21.06.24 > 12.01.25
HOTEL CIPRIANI
MITICO, an artistic immersion
BELMOND, curated by ERIA CONTINUA and HERVÉ MIKAELOFF
, SOSTA COLORATA PER CIPRIANI, LAVORO i n situ, 2023
From 4 April t o Septembe r 2024
21.06.24 > 12.01.25
MITICO, an artistic immersion
BELMOND, curated by ERIA CONTINUA and HERVÉ MIKAELOFF
, SOSTA COLORATA PER CIPRIANI, LAVORO i n situ, 2023
From 4 April t o Septembe r 2024
di Massimo Bran
La forbice che denota e connota il quotidiano vivere in questa città, da sempre altra ma per ragioni altre, si sta progressivamente di anno in anno allargando, con effetti sempre più preoccupanti circa l’inveramento di un’idea normale, ordinaria di comunità, di territorio urbano inteso in una sua alta e risolta complessità. Qui le complessità non solo si fanno sempre più irrisolvibili, ma addirittura si fanno sempre più inaffrontabili in un’ottica di integrata composizione tra apparenti opposti. Noi in queste pagine, con il nostro lavoro, raccontiamo, cercando di farlo al nostro meglio, l’immagine concretissima di una città vitale, che dipana le sue attività e le sue proposte culturali in uno degli autentici epicentri della contemporaneità planetaria. La densità di proposte, di progetti artistici, certo prevalentemente espositivi, qui a Venezia trova pochi rivali nel mondo non solo in termini proporzionali alla superficie e alla densità abitativa della città, ma proprie in ordine di numeri assoluti. Numeri che fanno impressione e che dicono di una tenuta, anzi, di una crescita esponenziale dell’offerta culturale di questa città ai più illeggibile e inafferrabile.
Lo sappiamo, la Biennale in questi ultimi vent’anni è stato il motore principe di questa qualificata lievitazione del termometro culturale urbano, capace non solo di crescere in sé e per sé in quasi tutte le braccia del suo composito delta settoriale, con tutte le sue mostre d’arte e di architettura e i suoi festival di danza, musica e teatro, ma anche e soprattutto di coinvolgere con straordinario magnetismo sempre più soggetti, oggi si direbbero player, cruciali dell’arte internazionale, fondazioni, gallerie, singoli artisti, istituzioni governative, creando un vero e proprio sistema del contemporaneo. Di anno in anno siamo passati da partecipazioni stagionali, in concomitanza con le varie Biennali, a insediamenti permanenti di decine e decine di questi soggetti che qui hanno acquistato spazi e palazzi scommettendo, a ragion veduta, sulla già presente, ma ancor di più futura supremazia internazionale di Venezia nel contemporaneo. Sono cose felicemente ormai risapute, che noi per primi non manchiamo sin troppo spesso di sottolineare, e su cui quindi non vi è ragione qui di dilungarsi ancora, se non per dire, per disperatamente provare a far presente a chi dovrebbe avere chiara la direzione che dovrebbe prendere questa città che è questa, ora, l’ultima boa a cui aggrapparsi per ritrovare il necessario ossigeno per raggiungere l’altra riva lontana, quella di una complessa e complessiva rinascita. Parlavamo di sistema, del sistema-arte prima. Che c’è, più che per un disegno progettuale strategico, per impulso non sempre ordinato di un settore in impetuoso divenire. Ma tant’è ed evviva. Ma è un solo sistema, uno dei vari che dovrebbero caratterizzare l’articolazione vitale di una città, la somma dei quali andrebbe a definire un vero, meditato e progettato sistema-città. E qui eccoci risucchiati nel vuoto. Chi attraversa la città quotidianamente, ormai in tutte le
sue stagioni, misura di giorno in giorno l’esondante degrado di un turismo, il cosiddetto overtourism, che divora tutto, che succhia il sangue nelle vene del corpo-città. Un flusso di piena incontenibile, ormai al suo punto di quasi non ritorno. Un’onda costante cui anche con le migliori idee, le migliori menti in campo sarebbe difficile fermare oggi, perché troppo in ritardo ci si andrebbe a contrapporre a un fenomeno così massificato. Uso il condizionale perché non solo ciò non accade seppur oramai fuori tempo massimo, ma addirittura neanche si intravede il primo albeggio di una reazione siffatta. La catastrofe più che politica, verrebbe da dire antropologica di questa città, di ciò che esprime in termini di establishment, di borghesia delle professioni, dei mestieri, dell’imprenditorialità, è tale da non autorizzare praticamente più a sperare in alcunché. Una catastrofe endemica, epidemica, senza apparente cura. Il tutto in un luogo che è costitutivamente, per sua natura, artificio, storia, ma soprattutto oggi per i connotati di straordinaria, potenziale socialità dei suoi spazi urbani, modello di residenzialità del futuro, a tu per tu con un’ininterrotta bellezza, centro pedonale per eccellenza da sempre, ricco di aree industriali abbandonate, mi si passi l’ossimoro, che sarebbero il teatro ideale di una parziale riconversione della destinazione produttiva, e quindi residenziale, della città in linea con tutti i dettami cosiddetti sostenibili (questo termine indigeribile…!), green, di cui tutti nel mondo occidentale da tempo si riempiono la bocca e che in più di qualche dove, però, trovano espressione concreta, rimodellando e rivitalizzando centri, o aree di essi, che si davano per defunti. Quanti progetti, quante parole, quanti convegni, dibattiti, workshop a riguardo, che quando ti invitano al prossimo la mano scende fatalmente verso il fodero per fortuna vuoto di canne fumanti… Migliaia di elaborati, di atti che dicono, indicano, talvolta in maniera convincente talaltra meno, direzioni possibili, concrete di rivitalizzazione di una città ormai senza più società, comunità. Tutte cose alte e belle quanto profondamente sterili e inutili, direi frustranti, quando una classe dirigente degna di questo nome a dirigere le sorti della città semplicemente non esiste. Esiste un navigare a vista raffazzonato, sgrammaticato, uno spezzatino senza collante, fatto di risoluzioni fini a sé stesse e spesso senza costrutto, quando non proprio nocive. Inutile star qui a intristirci ricordando risoluzioni inutili quali il ticket d’accesso, o le imbarazzanti uscite sul terreno dell’arte e della cultura di gente che sembra passata qui per caso non si sa bene venendo da dove, con il cosiddetto Primo Cittadino capace di performance da baraccone che manco al Bagaglino i tempi che furono, come quella messa in scena alla vernice del Padiglione Italia, nell’imbarazzo e desolato sconcerto di tutti mentre lui ridanciano si gonfiava come un gallo assediato dalla cosiddetta intellighenzia snob…
Insomma, si è davvero esausti di tanta inadeguatezza. Ma la responsabilità è di tutti, di tutti noi che ancora increduli non ci capacitiamo di tanta arrogante mediocrità e che al suo cospetto non siamo ancora in grado di disegnare insieme una strada nuova e davvero percorribile per almeno incominciare ad uscire, a provare ad uscire da questa sabbia mobile. Brugnaro è solo la punta, certo esageratamente appuntita, di un iceberg che si è gonfiato negli anni, nei decenni. Sarebbe facile ora sparargli, metaforicamente s’intende, addosso, alla luce di quanto abbiamo sinora solo parzialmente saputo dalle indagini condotte dalla Procura attorno all’operato suo e di troppi componenti apicali della sua giunta e del suo entourage governativo. Questa è materia della giustizia, e il giustizialismo forcaiolo lo lasciamo a chi si nutre di astio a comando, ben supportato dalla deriva cosiddetta “social”. Certo, chi ha un ruolo politico, pubblico, avrebbe il dovere almeno di sollecitare chiarezza, ma soprattutto di farne lui per primo, non solo quando costretto, e a suo modo naturalmente, a farlo perché pressato dall’opinione pubblica e da quel che resta dell’opposizione. Nei paesi in cui la cultura delle regole è decisamente più solida della nostra in situazioni come queste un esponente delle istituzioni, del governo, sia esso nazionale o territoriale, non
dico che si dimetta sempre seduta stante, ma di sicuro come minimo anticipa tutti chiedendo scusa almeno per quello che risulta ai più evidente anche se non ancora passato in giudicato. Fantascienza. Va bene, o meglio, va male, ma non è questo il punto più grave. Anzi, lo è non tanto e non solo per i fatti in sé che racchiude, che se confermati sono comunque di rilevante importanza, quanto perché distrae ancor di più dal punto focale vero su cui ci si dovrebbe concentrare per edificare le basi di un futuro più vivibile di questa città: la costruzione di una visione, di un progetto a medio e lungo termine per fare ritornare questa città una vera città. Istanze che suonano sicuramente astruse, o meglio, astratte alle orecchie di chi oggi guida i nostri giorni qui. Per cui attenzione a concentrarsi esclusivamente sugli eventuali fatti corruttivi, così da allontanarsi dal vero nodo cruciale di questa crisi profonda che sta soffocando Venezia.
È ora di darsi una vera svegliata, a partire da chi si deve opporre a questo degradato stato delle cose, consapevoli però che ormai è solo dall’alto, da fuori che deve arrivare una scossa energica e vitale in grado poi di riavviare un corpo sociale esausto, livido, depresso. Buon cinema, buona arte, buona musica a tutti intanto, aggrappiamoci insieme forte a questa indistruttibile boa di nome Cultura.
coverstory (p. 12 ) 81. Mostra del Cinema di Venezia –Intervista Alberto Barbera | Leoni: Sigourney Weaver, Peter Weir | Claude Lelouch | Le giurie | Concorso – Venezia 81 | Fuori Concorso | Orizzonti | Orizzonti Extra | Classici | Venice Immersive | SIC | GdA | Notti Veneziane | Isola Edipo | Lights! Camera! Impact! | tradition (p. 62 ) Regata Storica | biennale musica festival guide (p. 68 ) Intervista Lucia Ronchetti | Polyphonies | Rebecca Saunders, Leone d’Oro | Intervista Ensemble Modern, Leone d’Argento | Assolo | Listening-Hearing | Intervista Christina Kubisch | Sound Structures | Absolute Jazz | Intervista Georg Vogel | Counter Points | Solo Electronics | Intervista Zsolt So˝rés | Pure Voices | Musica Reservata | Ricercare | Intervista Luca Mosca | arte (p. 117 )
Homo Faber 2024 | Universal Everything. Chameleon | Cinema Galleggiante | Yuri Ancarani | Your Ghosts Are Mine | Nebula: Basir Mahmood, Saodat Ismailova | Burtynsky. Extraction / Abstraction | Pierre Huyghe | Stranieri Ovunque/Foreigners Everywhere artists: Fred Kudjo Kuwornu, Maria Taniguchi, Nedda Guidi, Evelyn Taocheng Wang, Ana Segovia, Joshua Serafin, Disobedience Archive | Stranieri Ovunque review | National Participations: Belgio, Danimarca, Grecia, Irlanda, Turchia, Libano, Cile, Georgia | Collateral Events: The Spirits of Maritime Crossing, Yuan Goang-Ming, Josèfa Ntjam| The Venice Glass Week | Daniel Pešta | ULYSSES | Kiran Nadar Museum of Art | Last Call | Armando Testa | Il capolavoro veneziano di Giorgio Vasari | Marina Apollonio | Andrey Esionov | Kimiko Yoshida | Julian Lennon | Loris Cecchini | Henri Beaufour | Matisse | Intervista Paolo della Corte | Galleries musica (p. 168 ) Venezia Jazz Festival - Fall Edition | Diodato | Giovanni Allevi | Robert Plant | Boosta, Gallerie Sonore classical (p. 172 ) Palazzetto Bru Zane – Passione violoncello | Turandot | Dittico Nono e Schönberg | Musikàmera | Il Settembre dell’Accademia theatro (p. 180 ) Willem Dafoe – Biennale Teatro | Gli occhiali di Šostakóvic | Titizè. A Venetian Dream | Venere in Teatro | Il Milione | Alice in Wonderland Reloaded | 77. Ciclo di Spettacoli Classici etcc... (p. 188 ) Intervista Emanuela Evangelista, Premio Campiello Natura | Intervista Emanuele Trevi, Finalista Premio Campiello | Festival della Politica | Festival delle Idee | Parole: Piccolo Spazio Pubblicità citydiary (p. 199 )
W hen we say everyone, we mean everyone. The brightest Hollywood stars are ready to march on the red carpet to meet us at the Venice Film Festival. Pedro Almodóvar, Todd Phillips, Pablo Larraín, Walter Salles… plus a lot of Italy and France redefining auteurship. cover story p. 12
T he Venice Art Biennale, curated by Adriano Pedrosa, speaks with the multiple visions animating the city, like Nebula at Ospedaletto and the exhibitions at Fondazione Cini and Palazzo Franchetti.
A screen, a mirror of what is real, a reflection in image, a reflection on ideas. arte p. 118
H istory, colour, roots, sports: on water, every single soul of the city of Venice can swim in harmony. The Historical Water Parade is what will draw us all to the Grand Canal, to every embankment and balcony, to every window and terrace, to immerse ourselves in an amazing, poignantly beautiful piece of immortality. A unique show! t radition p. 64
P ure sound, no ovestructure, for the latest edition of the Venice Music Biennale, curated by Lucia Ronchetti. Sixteen days of meetings and concerts to investigate the prime matrix of auteur music from idea to performance. biennale musica festival guide p. 68
T he Venice Centre for Romantic Music dedicated their current festival to a single musical instrument: the cello. Seven concerts and a conference for a programme that will tell us all about the evolution of this beautiful instrument. classica l p. 172
Grotesque characters, fantastic creatures, sirens and seamen, fairies and jugglers roam freely in space and time as they welcome us into romantic eighteenthcentury mansions, into the euphoria of Carnival, into a first-person immersion in what is truly the essence of Venice. All of this is Titizè. A Venetian Dream t heatro p. 183
M ichelangelo Foundation, the producers of Homo Faber, gave carte blanche to filmmaker Luca Guadagnino to art direct the latest edition of a high crafts exhibition that will revolutionize whatever we thought we knew about craftsmen and craftsmanship. Live demonstrations, hands-on classes, and creative workshops under the sign of world-class artisan knowledge. arte p. 116
nella sfida di un sequel di un film di successo
come Joker, e vincendola a mani basse, Todd Phillips si conferma come uno dei registi
più coraggiosi e affidabili del nostro tempo
Alberto Barbera
Intervista Alberto Barbera
di Massimo Bran e Mariachiara Marzari
esima edizione della Mostra del Cinema, 16esima direzione, 12esima consecutiva, 74 anni portati alla grande. Insomma, con Alberto Barbera, ormai autentico doge del cinema veneziano direzione Lido, i numeri sono un qualcosa di sempre meno banale. Diciamo che ormai parlare di era Barbera suona tutt’altro che retorico o enfatico. E’ semplicemente nelle cose. L’abbiamo come ogni anno incontrato alla vigila del festival per farci raccontare un’edizione che davvero accoglie il cinema in tutti i suoi linguaggi espressivi, attraversando generazioni, generi, geografie. Inutile dire che l’assordante assenza di un ospite non proprio irrilevante lo scorso anno, Hollywood, ritornando ora in grande stile sul red carpet lidense ne fa motivo di massima, emozionante attesa. Buon viaggio nel cuore della Mostra!
Ogni anno, ogni edizione ha una sua storia per quel che riguarda il percorso di selezione dei film. Certo seguirete uno schema rodato, eppure di anno in anno le cose comunque mutano, l’industria ha sempre nuove esigenze in rapporto a un mercato in perenne evoluzione. In più siete reduci da anni a dir poco particolari, tra pandemie e scioperi hollywoodiani. Quale il tratto, il segno distintivo del vostro lavoro di selezione per questa Mostra 2024?
Una grande e piacevole fatica, caratterizzata da tutti i cambiamenti che si sono innescati dopo una pandemia che ha stravolto completamente il nostro modo di lavorare dal punto di vista cronologico, ma non solo.
Prima del 2020 il nostro lavoro si intensificava soprattutto a partire dal mese di marzo, quando arrivavano i primi film che venivano visionati in attesa dell’ondata vera e propria che sarebbe arrivata a partire dalla seconda metà di maggio. Fino a maggio il lavoro di valutazione dei film si concentrava nell’arco di due, tre giorni alla settimana, con un numero limitato di opere da visionare, una parte delle quali si trovava al bivio tra Venezia e Cannes, quindi con una delle due direzioni da imboccare. Ora le cose sono totalmente cambiate: i primi lavori per questa edizione hanno iniziato ad arrivarci tra novembre e dicembre e da gennaio in poi io e i miei collaboratori non abbiamo fatto altro che vedere film tutti i giorni, spesso e volentieri weekend compresi.
Accade questo perché sono saltati completamente tutti i parametri
e i calendari dopo lo smottamento sociale, economico e politico prodotto dalla pandemia. Prima chi aveva un film pronto in autunno lo presentava in visione a Berlino o al Sundance, chi invece arrivava alla fine della lavorazione in primavera cercava di farlo selezionare da Cannes, chi infine terminava il film in estate puntava su Venezia. Oggi, quando un regista ha un film pronto, lo manda ovunque subito, pretendendo anche un riscontro molto veloce; non c’è la pazienza di aspettare che i selezionatori ci ragionino sopra. Ecco che allora un film viene visionato nello stesso momento dai selezionatori del Sundance così come da quelli di Berlino, Telluride, Cannes, Venezia, San Sebastian, Toronto, Londra, New York, Locarno…, nella speranza da parte di autori e produttori di essere invitati da uno almeno tra questa decina di festival internazionali.
Difficile far capire ai non addetti ai lavori quanto dinamiche del genere siano ingovernabili e complichino immensamente il lavoro di selezione, costringendoci spesso ad operare al buio guidati dall’ansia di occupare a febbraio slot che poi in estate ci pentiamo di non aver lasciato liberi, dando spazio a prodotti migliori e più adatti alla nostra selezione ufficiale ricevuti magari solo all’ultimo momento. Ammetto di aver trascorso più di qualche notte insonne per i dubbi suscitati da una pellicola che davvero non sapevo bene dove collocare, o addirittura se includere, nel programma di questa Mostra. L’anno scorso già prima del Festival di Cannes avevamo selezionato almeno tre quinti dei film, trovandoci poi in serie difficoltà nell’inserire in selezione pellicole di notevole qualità che abbiamo ricevuto da maggio in poi. Quest’anno ho deciso perciò di andare avanti più
The81st edition of the Venice Film Festival, 16th under his direction, 12th consecutive, 74 years and still going strong. In short, with Alberto Barbera, now the true “Doge” of Venetian cinema, the numbers are anything but trivial. By now, talking about the “Barbera era” sounds far from rhetorical or emphatic. It’s simply a fact. As we do every year, we met him on the eve of the Festival to hear about an edition that truly embraces cinema in all its expressive languages, crossing generations, genres, and geographies. Needless to say, the deafening absence of a not-so-insignificant guest last year – Hollywood – now making a grand return to the Lido’s red carpet, adds to the exciting anticipation. Enjoy your journey into the heart of the festival!
The selection process... After the pandemic and the strike
Before 2020, we used to work hard from March, when we started watching the first movies waiting for the bulk of films which would arrive from the second half of May. Now things have fully changed: the first films for this edition began to arrive between November and December and from January onwards my collaborators and I have done nothing but see films every day, often also at weekends. Before the pandemic those who had a film ready in autumn presented it for viewing in Berlin or at Sundance, those who reached the end of production in spring tried to have it selected by Cannes, those who finished the film in summer aimed at Venice. Today, when a director has a film ready, he sends it everywhere immediately, asking for a very quick response. So, a film is viewed at the
same time by the selectors of Sundance, Berlin, Telluride, Cannes, Venice, San Sebastian, Toronto, London, New York, Locarno. It is difficult to make non-experts understand how ungovernable such dynamics are and how they make difficult the selection work, often forcing us to work in the dark guided by the anxiety of filling up slots in February that we then regret not having left free for better and more suitable products received maybe at the last moment in summer for our official selection. Last year we had selected at least three-fifths of the films before the Cannes Film Festival started, this year I therefore decided to move forward more slowly, to ensure that the program could be decided little by little, in order to allow the fantastic team that I am lucky enough to coordinate to have enough time to make their choices.
From May onwards my choice proved to be the good one and I gradually and increasingly convinced myself of the quality of the films selected and of the decisions made.
From our first contacts with American directors, cast and producers we soon had the feeling of being talking to people who couldn’t wait to return to Venice, who were very happy to hear from us again and to be able to see us again in person.
Everyone made sure to be able to come at the Lido even if only for 24 or 36 hours. In the past there had always been some defections, as it is normal; September is always a month when movie productions are in full swing. But this year they seem to want to somehow recover the backlog accumulated in 2023 with the screenwriters’ strike, supported by authors and actors.
Peter Weir had been one of our favourite directors for several years, we had been willing to reward him for a long time. He was the director of some absolute masterpieces of recent cinematography such as The Fleeting Moment and The Truman Show, an author who is able to reconcile an extremely personal and original vision with the need to speak to a very wide audience. Isn’t this the main challenge that cinema of all times should face? If nowadays you decide to do this job, when you are searching for resources you must necessarily ask yourself which audience you want to address and which language to adopt. I believe that Peter Weir has perfectly managed to reconcile these two opposites, to give balance and stability to these tensions which often risk to overwhelm directors if they are not lucid enough. I wanted to reward his extraordinary ability to bring together the artistic and industrial soul of today’s and recent past cinema.
I believe that Sigourney Weaver represents the female side of this attitude. In her career she has alternated great films for the public with auteur films addressing a smaller audience but absolutely meaningful. According to me she is a deserving figure to be awarded with our prestigious Lion, the protagonist of a career that in the mechanism of industrial cinema had at heart the preservation of the most original and subjective authorship.
In past years we have often been reproached for presenting a strongly European and North American-tinted Festival because
lentamente, per fare in modo che il programma si costruisse a velocità costante, con scelte ponderate al massimo e portate avanti dalla fantastica squadra che ho la fortuna di coordinare. Da maggio in poi ho avuto la conferma della bontà della mia scelta, convincendomi in maniera progressiva e crescente della qualità dei film invitati, delle decisioni prese insomma. Pur avendo manifestato spesso a diversi colleghi la mia volontà di tenere in Concorso al massimo 18 film, alla fine non ce l’ho proprio fatta a inserirne meno di 21: troppo alta la qualità delle proposte ricevute. Credo e spero che la cosa non dispiacerà…
Tra le mille suggestioni che ogni anno Venezia immancabilmente presenta, inutile dire che dopo la parentesi “bianca” del 2023 c’è una vitale e fremente attesa per il ritorno in grande stile di Hollywood al Lido. Ha avvertito, dopo lo stop del 2023, un qualcosa in più, una tensione crescente nel voler esserci qui, in questo 2024, da parte della grande industria dei sogni d’oltreoceano?
Se c’è una sensazione netta che abbiamo percepito fin dai primi contatti con registi, cast e produttori americani è stata proprio quella di parlare con persone che non vedevano l’ora di tornare a Venezia, che erano felicissime di risentirci e di poterci rivedere di persona. Non abbiamo dovuto insistere con nessuno; anzi, tutti i grandi nomi hanno da subito manifestato la volontà di esserci, anche facendo acrobazie non da poco tra impegni sul set e scadenze professionali varie. Tutti hanno fatto in modo, anche solo per 24 o 36 ore, di venire al Lido. In passato qualche defezione c’era sempre stata, come è normale che sia; settembre è sempre un periodo in cui le produzioni cercano di lavorare a pieno ritmo. Ma quest’anno sembra che si voglia in qualche modo recuperare l’arretrato accumulato nel 2023 con lo sciopero degli sceneggiatori, supportati poi da autori e attori. Ogni anno prima della conferenza stampa ci divertiamo a fare la lista delle star che verranno e quest’anno l’elenco è davvero lungo come non mai. Tutti, ma davvero tutti vogliono esserci senza se e senza ma!
Hollywood che fa la parte da Leone anche nei premi aurei alla carriera, con Sigourney Weaver e Peter Weir. Perché queste scelte e perché oggi?
Peter Weir era da diversi anni nei nostri radar. Ha realizzato alcuni capolavori assoluti della cinematografia recente, basti pensare a L’attimo fuggente o a The Truman Show, autore in grado di conciliare una visione estremamente personale e originale con la necessità di parlare ad un pubblico amplissimo. Non è forse questa la sfida cruciale che dovrebbe affrontare il cinema di ogni tempo? Se al giorno d’oggi decidi di fare questo mestiere, nella ricerca delle risorse devi necessariamente porti il problema del pubblico a cui vorresti rivolgerti e del linguaggio che intendi conseguentemente adottare, per fare in modo che il prodotto non sia autoreferenziale riuscendo così a trovare un suo ampio seguito. Credo che Peter Weir sia riuscito come pochi altri a conciliare questi due opposti, a dare equilibrio e stabilità a queste tensioni che una ricerca del genere può generare e da cui i registi rimangono spesso travolti se non abbastanza lucidi. Volevo premiare la sua straordinaria capacità di far convivere l’anima artistica e quella industriale del cinema di oggi e del recente passato: i suoi film sono prodotti di consumo e intrattenimento, risultato di riflessioni personali, originali, fortemente individuali. Questa sua
of a low presence of Southeast Asia, Africa or Latin America. These objective data far from being the result of our lack of attention towards film productions in these areas are mainly the result of a lack of ‘raw material’, i.e. the very few movies coming from those areas in the selection stage.
Today movies from Southeast Asia are almost inexistent; I think because they have been hit very hard by the pandemic, remaining isolated much more than we have been in the West, and because of the major role played by censorship in particular in China.
A multi-level censorship, indirect and direct: indirect because the Chinese government only finances films that promote content following the policies and ‘indications’ of the Ministry of Culture; direct because a director cannot say anything that has not first been screened and approved by the bureaucratic apparatus of reference. China produces a lot of movies, but most of them are targeted to a domestic market, they are propaganda or commercial films Western festivals are not interested in. South Korea produces only modest quality commercial cinema. It focuses essentially on series, while movies for the cinema are of rather poor quality. There are interesting authors such as Bong Joon-ho or Lee Chang-dong, who make films only every 3-4 years but they are rather isolated cases. The same goes for Japan, with Hirokazu Koreeda and Kiyoshi Kurosawa standing out in a panorama devoted to commercial products for platforms. A company managed by several filmmakers has recently been created in Japan with the aim of creating auteur products aimed at the international circuits. We really hope to see soon the fruits of this investment. As far as the African continent is concerned even if there is a certain activity in the cinema field, it is still at the beginning of a process of building its own cinema industry. Many of the movies produced in Africa are often funded by France because of their well-known former colonial roots, opening their way to Cannes festival. We have to wait for this system, this film industry to be structured over time, but I am convinced that the African context will become one of the most solid references in the near future. South America, on the other hand, is facing major problems completely different from the African ones. Brazil has recently emerged from Bolsonaro dictatorship which has isolated in a short time many intellectuals and art in general, while Argentina has now a populist government that is quite worrying from all points of view that is killing the country’s cinema by completely cutting off all the contributions that traditionally supported it. This year however, we have some South American movies, see I’m Still Here by Walter Salles in Competition, which I consider his most beautiful film, or El Jockey by Argentinian director Luis Ortega also in Competition.
Documentaries: A strong presence in the lineup
Documentaries are a product that finds a large audience in the various platforms that can be used from any existing device, this explains why there are so many of them. Obviously, the large quantity of productions is often the enemy of quality, because it inevitably increases the number of products of low level. I believe that the most interesting documentaries are those capable of dealing with the most urgent issues of everyday life: unfortunately, it is impossible not to deal with war. Among the documenta-
unicità è confermata, purtroppo, dal fatto che da diversi anni non riesca più a fare film, estraneo com’è al meccanismo crudele di una Hollywood che troppo spesso macina i talenti anziché esaltarli. Credo che Sigourney Weaver rappresenti il versante femminile di questa stessa disposizione, con una carriera che l’ha portata ad alternare grandi film per il pubblico a pellicole d’autore dalla circolazione più ridotta ma assolutamente significative. Opere originali e personali che i registi le hanno affidato sapendo con lei di poter con equilibrio cucire l’anima commerciale di un film con quella artistica. I grandi film per il pubblico le hanno garantito una visibilità e una credibilità che è stata ben felice poi di mettere a disposizione di registi esordienti che avevano qualcosa di proprio ed interessante da dire. Mi è sembrata senza dubbio alcuno una figura meritevole da premiare con il nostro prestigioso Leone, protagonista di una carriera che nel meccanismo del cinema industriale aveva a cuore la salvaguardia dell’autorialità più originale e soggettiva.
A ben vedere, credo che la ricerca che abbiamo portato avanti quest’anno per individuare i giusti profili dei Leoni alla carriera sia esattamente la stessa che da sempre caratterizza l’identità profonda della Mostra del Cinema.
Più volte lei ha ribadito che alla fine il palinsesto di un grande festival si fa con gli ingredienti che si hanno a disposizione “qui e ora”. Eppure è sempre intrigante indagare sulle geografie mutevoli da cui provengono i vari film in programma. A parte la massiccia presenza hollywoodiana, italiana e francese, quali filmografie quest’anno hanno prodotto quantitativamente e qualitativamente un deciso passo in più?
Negli anni passati ci è stato spesso mosso il rimprovero di presentare un Festival a tinte smaccatamente europee e nordamericane. Scarsa presenza del sudest asiatico, del continente africano o di quello latinoamericano. Si tratta di dati oggettivi, motivati tuttavia non dalla nostra scarsa attenzione verso queste cinematografie, quanto dalla mancanza di ‘materia prima’, ossia dagli sparuti titoli provenienti in fase di selezione da quelle aree del mondo. Dal sudest asiatico arriva davvero pochissimo oggi; ritengo per il fatto che sono stati colpiti durissimo dalla pandemia, rimanendo isolati assai di più rispetto a quanto lo siamo stati noi in occidente, e per il peso enorme che ha ovviamente la censura, in particolare per quel che riguarda il cinema cinese. Una censura a più livelli, indiretta e diretta: indiretta perché il governo cinese finanzia solo i film che promuovono un contenuto coerente con le politiche e le ‘indicazioni’ del Ministero della Cultura; diretta perché un regista non può dire nulla che prima non sia stato vagliato e approvato dagli apparati burocratici di riferimento. La Cina produce tantissimo cinema, rivolto però prevalentemente ad un mercato interno: film di propaganda o commerciali del tutto privi di quella qualità che contraddistingue il libero sguardo di un autore che può interessare ai Festival occidentali. Nel contesto sudcoreano non si produce nulla che non sia cinema commerciale, di qualità anche piuttosto modesta a dire il vero. Si punta moltissimo sulle serie, complice anche il grandissimo successo di Squid Game nel 2021, ideata e diretta da Hwang Donghyuk e divenuta fenomeno planetario grazie a Netflix, mentre i film destinati al cinema sono di qualità piuttosto scadente. Ci sono autori interessanti come Bong Joon-ho o Lee Chang-dong, che tuttavia fanno film ogni 3-4 anni e che rappresentano comunque dei casi
ries we have selected this year, there are the very strong and engaging documentaries on the Russian-Ukrainian conflict signed by the Ukrainian Olha Zhurba with Songs of Slow Burning Earth and by the Russian Anastasia Trofimova with Russians at War, both Out of Competition. Anastasia Trofimova managed to be accepted by a Russian medical team working on the front hiding while filming and being protected by these persons who suddenly became her life companions, producing a very difficult work whose result is shocking.
Olha Zhurba did not film the front, but a country that lives under the constant threat of Russian bombing, invaded by a foreign power that has devastated and distorted its topographical, social and civil features. She does so without any comment, without voiceover, making the viewer see the naked and raw reality and feel all the suffering and pain of an exhausting, unbearable situation. Moving on to the second war front on which the attention of the whole world is focused, namely the Israeli-Palestinian one, Amos Gitai presents Out of Competition Why War, focused on an exchange of letters which took place in the 30s between Einstein and Freud where they question each other why man in the course of his history has always chosen war as a solution to the contrasts and conflicts afflicting the world, triggering inevitably other conflicts in an inexorable and inexhaustible loop. Having the opportunity of getting straight to the heart of questions that we all ask ourselves at a very high level of interlocution is simply fantastic. Questions that unfortunately remain too often unanswered.
In the section Orizzonti we will see Of Dogs and Men by Dani Rosenberg, the protagonist is a young girl desperately looking for her mother and dog, who disappeared after Hamas attacked several kibbutz on October 7, 2023. It is precisely the passage through these farming communities, which remained deserted after the attacks, that serves as food for thought on how the actions of Hamas and the Israeli army are actually two sides of the same coin made up of unbearable suffering and violence. The images make us understand how much the common denominator of violence places everyone on the same level.
Another documentary which is certainly noteworthy is Errol Morris’ Separated which tells the terrifying purpose of the Trump administration to separate parents and children of immigrant families along the border between Mexico and the United States. Fortunately, this purpose was not fully fulfilled thanks to the work of some conscious officials who decided to rebel against it, but in many cases it still led to the separation of thousands of families who have still not been able to reunite, as Morris tells by interviewing some officials of the immigration control offices. A violence that I would define as Nazi, a totally wicked policy that could have had even more catastrophic consequences if it had not been for some individuals who were capable of disobeying such criminal government provisions.
The jury of the Competition necessarily needs strong, credible and reliable personalities, immediately recognizable not only from a media point of view, but also and above all from a thematic and expressive one. In this edition we have mainly involved directors, coordinated by an iconic personality like Isabelle Huppert,
piuttosto isolati. Stesso discorso vale per il Giappone, con Hirokazu Koreeda e Kiyoshi Kurosawa a spiccare in un panorama anche questo più votato verso prodotti commerciali o a produzioni destinati alle piattaforme. Si è da poco creata in Giappone una società gestita da diversi cineasti che ha come obbiettivo proprio quello di realizzare prodotti d’autore rivolti al circuito internazionale; speriamo davvero di vedere presto i frutti di questo lavoro. Il continente africano è di sicuro in fermento, ma ancora all’inizio di un processo di costruzione del proprio cinema proprio come industria direi. Molti dei prodotti che vengono realizzati in Africa godono spesso di finanziamenti francesi, per le note radici ex coloniali, il che li porta ad avere un canale di ingresso privilegiato a Cannes. Dobbiamo attendere che questo sistema, questa industria cinematografica si strutturi nel tempo, ma sono convinto che questo giovane continente diventerà uno dei riferimenti più solidi del prossimo futuro. Il Sud America è invece alle prese con problemi di ben altra mole e natura. Il Brasile è da poco uscito da una sostanziale dittatura quale è stata quella di Bolsonaro, capace in breve tempo di fare terra bruciata attorno a moltissimi intellettuali e all’arte tutta in generale, mentre l’Argentina si ritrova oggi con un governo populista alquanto preoccupante sotto tutti i punti di vista, governo che sta uccidendo il cinema del Paese tagliando completamente tutti i contributi che tradizionalmente lo sostenevano. Cinema sudamericano quest’anno comunque ne abbiamo, vedi Ainda estou aqui di Walter Salles in Concorso, che considero il suo film più bello, o El Jockey dell’argentino Luis Ortega, sempre in Concorso. C’è da augurarsi che in questi contesti culturali di straordinaria tradizione il futuro possa essere meno tormentato, ovviamente non solo in ambito cinematografico. Alla luce di questa serie di criticità geopolitiche e culturali la polarizzazione europea e americana giocoforza diviene, in qualche modo, fatale.
Un festival generalista di livello mondiale come la Mostra del Cinema è evidente che non può concentrarsi eminentemente sui generi, scegliendo di privilegiarne a tavolino alcuni anziché altri. Una sana dose di ecumenismo è nelle cose, ci sta in una selezione di così grande respiro. Eppure, volente o nolente, ogni anno c’è qualche direzione che emerge più di altre nel vasto delta della Mostra. Quest’anno ci pare che i documentari siano presenti in maniera ancora più forte ed importante, con un’attenzione intrigante sul mestiere del giornalismo, in particolare di chi lo svolge sul campo, da inviato. Una cosa quasi d’altri tempi ci si immaginava ormai. Eppure… È innegabile che di documentari ne arrivino davvero tantissimi. Si tratta di un prodotto che trova larga platea nelle diverse piattaforme che oggi sono fruibili ormai da ogni device. Ovviamente la grande quantità di produzioni spesso è nemica della qualità, perché fa lievitare inevitabilmente il numero di prodotti di scarso interesse o di basso livello. I documentari più interessanti credo siano quelli capaci di toccare le corde più vive della quotidianità: impossibile purtroppo allora non rivolgersi ai contesti di guerra di cui il mondo è disseminato, non volgere lo sguardo al tema sempre più pressante e drammatico dell’immigrazione, o ancora ai risvolti più inquietanti di una crisi climatica sempre più sul punto di deflagrare. Tra quelli quest’anno da noi selezionati, quindi, molto forti e coinvolgenti sono
i documentari sul conflitto russo-ucraino firmati dall’ucraina Olha Zhurba con Songs of slow burning earth e dalla russa Anastasia Trofimova con Russians At War, entrambi Fuori Concorso. Queste due giovani filmmaker hanno ripreso in diretta e senza filtri quella che è la quotidianità di questo conflitto diventato cronaca quotidiana. Anastasia Trofimova è riuscita a farsi accettare da un’unità medica russa che opera sul fronte portando avanti il lavoro registico in clandestinità e venendo protetta da questi improvvisi compagni di vita, aumentando se possibile il coefficiente di difficoltà di un lavoro il cui risultato è davvero sconvolgente. Ha vissuto al loro fianco per un anno e offre al pubblico ora immagini inedite, senza filtro alcuno, di un fronte che non vediamo nei telegiornali.
Olha Zhurba non ha filmato il fronte, ma l’interno di un Paese che vive sotto la costante minaccia dei bombardamenti russi, invaso da una potenza straniera che ne ha devastato e stravolto la fisionomia topografica, sociale e civile. Lo fa senza alcun commento, senza voce fuori campo, facendo toccare con mano allo spettatore la realtà nuda e cruda, restituendo tutta la sofferenza e il dolore di una quotidianità logorante, di fatto insostenibile.
Passando poi al secondo fronte di guerra su cui è concentrata l’attenzione del mondo intero, ossia quello israelo-palestinese, Amos Gitai presenta quest’anno Fuori Concorso Why War, lavoro incentrato sul dialogo epistolare svoltosi negli anni ‘30 tra Einstein e Freud attraverso il quale vicendevolmente i due geni novecenteschi si interrogano su che cosa abbia spinto l’uomo nel corso della propria storia a scegliere sempre e comunque la guerra come soluzione ai contrasti e ai conflitti che attanagliano il pianeta, generandone immancabilmente altri in un loop inesorabile ed inesauribile. Fantastica è la possibilità di entrare nel cuore vivo di quesiti che tutti ci poniamo qui espressi a un livello di interlocuzione ai massimi livelli immaginabili. Domande che, ahimè, rimangono troppo spesso senza risposta alcuna.
In Orizzonti troviamo poi Al klavim veanashim di Dani Rosenberg, autore già presente a Locarno quest’anno con The Vanishing
Soldier. Protagonista è una giovane ragazza alla disperata ricerca della madre e del cane, spariti dopo gli attacchi di Hamas in diversi kibbutz il 7 ottobre del 2023. Proprio il passaggio in queste comunità agricole, rimaste deserte dopo gli attacchi, serve da spunto di riflessione su come le azioni di Hamas e dell’esercito israeliano siano in realtà due facce di una stessa medaglia fatta di sofferenze e violenze insopportabili. Le immagini ci fanno capire quanto il comune denominatore della violenza ponga tutti sullo stesso piano; il fatto poi che una riflessione del genere sia portata avanti da un giovane regista israeliano, quindi appartenente a uno Stato, a un popolo che ha per primo subito l’aggressione, rappresenta un motivo di straordinario interesse e insieme un atto di notevole coraggio che merita già di per sé di godere dell’attenzione di una platea internazionale ampia e variegata come quella della Mostra del Cinema di Venezia.
Sempre in chiave documentaristica è poi sicuramente degno di nota Separated di Errol Morris, che racconta il terrificante proposito dell’amministrazione Trump di separare genitori e figli delle famiglie di immigrati lungo il confine tra Messico e Stati Uniti. Un proposito per fortuna non pienamente compiutosi grazie al lavoro di alcuni funzionari coscieniosi che hanno deciso di ribellarsi a questa folle disposizione, e che però in non pochi casi ha determinato comunque la separazione di migliaia di famiglie che ancora oggi non sono state in grado di ricongiungersi, come Morris ben racconta intervistando alcuni di questi funzionari degli uffici preposti al controllo dell’immigrazione. Una violenza che non fatico a definire nazista, una politica totalmente scellerata che avrebbe potuto avere conseguenze ancora più catastrofiche se non fosse stato per una reazione di coscienza di singoli individui capaci di disobbedire a risoluzioni governative di fatto criminali.
L’attenzione che il cinema dei nostri giorni dedica alla contemporaneità è fortissima, con un livello di approfondimento e consapevolezza che fa parte della storia del cinema di ogni tempo, ma che oggi si fa particolarmente significativo e tangibile.
that we have been very happy to host at the Lido in recent years. What about her? A very strong, open-minded personality. Her attentive gaze has led her to work with the same interpretative force both when directed by the great names of international cinema, and by the debuting director of the moment.
I know the other members of the Competition jury personally and I can therefore guess how great their contribution will be as far as the judging is concerned, personalities who don’t only attend their own cinema or that of their country, but who have an open gaze on all genres and all geographies.
For Orizzonti and Opera Prima the same is true and perhaps even more so, given that we are dealing in most cases with young directors, new talents, authors who are not yet established and who I believe must be observed with even greater attention to grasp their composite stylistic features. Finally, Gianni Canova, President of the Opera Prima jury, is a choice that I claim with great determination and satisfaction. A very competent, helpful and smart film critic who is able to wrong-foot with his judgments. In the context of film criticism my greatest fear is knowing what a critic will write about a movie even before reading the review.
After hearing and reading so much about how this year’s Competition is the best ever, I might start believing it myself!
As you mentioned earlier, a great festival is built from the elements that are available ‘here and now’, from what emerges and is selected. Choices are the base of everything. If someone were to look back a few months ago and examine the films that could have been in Venice but weren’t selected, they would realize just how complex and thoughtful our selection process is. These choices are the core of our work, the backbone of our design, and our hallmark. The choices are obviously not made only by taking into account famous names like Almodóvar, Todd Phillips, or Walter Salles,
A proposito di geografie, una giuria quella del Concorso a dir poco planetaria. Come ha costruito la squadra “arbitrale” di questa Mostra? Le diverse altre Giurie (Orizzonti, Opera Prima, Classici) sembrano voler restituire anch’esse uno scarto formale tra le differenti sezioni, con personalità improntate più alla scrittura, appartenenti al mondo accademico, o comunque titolari di talenti che si fanno sempre più aderenti alle sezioni che si troveranno ad esaminare. La giuria del Concorso ha necessariamente bisogno di personalità forti, credibili e affidabili, immediatamente riconoscibili non solo dal punto di vista mediatico, ma anche e soprattutto da quello tematico ed espressivo. In questa edizione abbiamo coinvolto soprattutto registi, coordinati da una personalità iconica come Isabelle Huppert, presenza che al Lido siamo stati felicissimi di ospitare in questi anni. Che dire di lei? Una personalità fortissima che attraverso le proprie scelte ha dimostrato di essere in possesso di una vastità di vedute davvero encomiabile, uno sguardo sempre attento che l’ha portata a lavorare con la stessa carica interpretativa sia quando diretta dalle grandi leggende del cinema internazionale, sia quando si è trovata a recitare per l’esordiente di turno. La sua filmografia affianca il grande cinema mainstream a prodotti fieramente indipendenti, a conferma non necessaria di quanto il suo lavoro di giurata sarà libero da ogni forma di preconcetto o chiusura mentale. Sono convinto si troverà davvero a proprio agio in questi panni, mai come quest’anno alle prese con un programma in cui troviamo davvero di tutto. Gli altri componenti della giuria del Concorso li conosco personalmente e posso quindi intuire quale grande contributo potranno dare al confronto in sede di giudizio, personalità che non frequentano solo il proprio cinema o quello del proprio Paese, ma che hanno uno sguardo aperto su tutti i generi e su tutte le geografie cinematografiche. Per Orizzonti e Opera Prima il discorso vale altrettanto e forse anche di più, visto che abbiamo a che fare nella maggior parte dei casi con giovani registi, nuovi talenti, autori non ancora affermati che credo debbano essere osservati con attenzione ancora maggiore per coglierne le composite peculiarità stilistiche, necessarie nella loro difformità esperienziale per giudicare a livello critico delle opere diversissime tra loro e che hanno al proprio interno un potenziale non ancora svelato, da scoprire con paziente osservazione. Gianni Canova, infine, Presidente della giuria Opera Prima, è una scelta che rivendico con grande determinazione e soddisfazione. Critico cinematografico dalla grande competenza, intelligenza e disponibilità, in grado di spiazzare con i propri giudizi in un contesto come quello della critica cinematografica in cui sempre più spesso si materializza il mio timore più grande: sapere cosa un critico scriverà di un film ancora prima di leggerne la recensione. Quest’anno è stato davvero difficile comporre le giurie per motivi di impegni concomitanti, ma mi considero davvero molto, molto soddisfatto del risultato ottenuto.
Un Concorso ricchissimo ed altrettanto atteso, che presenta al contempo una teoria di grandissimi maestri e registi emergenti o quasi. Questo Festival sembra quasi voler costruire e restituire una dialettica vitale tra generazioni e generi. A furia di leggere e sentirmi dire di quanto quello di quest’anno sia il Concorso migliore di sempre finirò per crederci anch’io! Cosa che, lo confesso, non mi capita mai, teso come sono per natura a pensare
che tutto sia migliorabile sempre e comunque. Che dire? Spero vivamente che tutti quelli che lo sostengono possano esserne convinti anche l’8 settembre!
Proprio come dicevate prima, un grande Festival si fa con gli ingredienti che si hanno a disposizione “qui e ora”, con quello che arriva e che viene selezionato. Le scelte sono naturalmente alla base di tutto: se uno per gioco volesse andare a ritroso nei mesi scorsi a cercare le pellicole che potevano essere potenzialmente presenti a Venezia e che invece ora non ci sono, capirebbe quanto è stato complicato e ponderato il nostro mastodontico lavoro di selezione. Le scelte rappresentano il fulcro del nostro mestiere, la spina dorsale della nostra progettualità, il tratto distintivo del nostro operare.
Scelte che ovviamente si fanno non solo affidandosi a nomi di grido quali Almodovar, Todd Phillips, Luca Guadagnino o Walter Salles, ma guardando un film valutandone lo specifico potenziale a prescindere dall’argomento trattato, o comunque senza permettere che l’argomento sia un fattore aprioristicamente condizionante, quanto piuttosto un semplice punto di partenza. Fatta una determinata scelta, poi si decide dove collocare il film, cercando di individuare quale sezione può esaltarne gli spunti. Il numero piuttosto limitato di titoli che possiamo selezionare per il Concorso qui a Venezia impone per forza di cose che sia la qualità il criterio guida in sede di scelta, ancora prima del cast, del regista o del richiamo mediatico di un’opera. Prendiamo su tutti il film attesissimo di Todd Phillips: se avesse fatto un seguito di Joker non all’altezza del primo capitolo, sarei stato il primo a consigliargli di entrare direttamente nel circuito delle sale a confrontarsi con il pubblico senza passare da noi. Perché avrebbe dovuto rischiare? Proprio a Venezia tra l’altro, dove ha vinto il Leone d’Oro, ragione per cui potrebbe tranquillamente vivere di rendita. Beh, capirete allora benissimo da voi i motivi per cui ho voluto con noi Joker: Folie à Deux. Un film semplicemente eccezionale. Insomma, i lavori che troverete in Concorso sono semplicemente i 21 migliori film candidabili, di questo siamo più che sicuri. Un Concorso in cui non mancano comunque le sorprese, registi magari poco conosciuti o del tutto sconosciuti al grande pubblico. Scommesse che sono ingredienti irrinunciabili di ogni Festival che si rispetti, sfide in cui ci lanciamo più che volentieri e che abbiamo vinto
spesso. Alice Diop non faceva parte dei nomi di primo piano quando nel 2022 ha vinto il premio migliore opera prima “Luigi De Laurentiis” con il bellissimo Saint Omer. Lo stesso dicasi per Audrey Diwan nel 2021, vincitrice del Leone d’Oro per il miglior film con L’événement Il tutto per sottolineare l’importanza di scelte che hanno inteso valorizzare una voce nuova, un talento emergente, un autore che sta muovendo i primi passi, trasformandolo in una certezza di domani. Mi preme comunicare al pubblico quanto sia significativo rilevare la presenza di ben 12 registi al debutto su un totale di 21 titoli in Concorso. È importante vedere Siew Hua Yeo a fianco di un Guadagnino che porta in Concorso il suo film più compiuto, Dea Kulumbegashvili nella stessa sezione di Almodovar, oppure ancora un lavoro come Vermiglio di Maura Delpero a distanza ravvicinata da un Todd Philips. Il bello del cinema è tutto qui. Tra i lavori dei grandi maestri, che da noi non mancano mai, il film di Lelouch Finalement avrebbe benissimo potuto essere inserito in Concorso; lo considero un lavoro bellissimo che rappresenta davvero la summa del cinema di questo straordinario autore francese. Ma la decisione di assegnargli il Premio Cartier Glory to the Filmmaker ci ha permesso di collocarlo a giusto e alto titolo tra i Fuori Concorso, il che ci ha dato la possibilità di inserire un altro film e un altro autore tra la lista dei 21 titoli in competizione. Il Festival vive di queste dinamiche ed è giusto che sia così. Rimanendo sempre oltralpe, mi piace qui segnalare Emmanuel Mouret, amatissimo dai Cahiers du cinéma, che con Trois amies confeziona una commedia che sembra scritta a sei mani con Woody Allen ed Éric Rohmer, molto convincente nel raccontare la deriva dei sentimenti con riuscita empatia e sensibilità.
Consiglio poi assolutamente di vedere Leurs enfants après eux dei fratelli Zoran e Ludovic Boukherma, tratto da un romanzo capace di vincere il Premio Goncourt e incentrato sulle vicende di un gruppo di ragazzi delle banlieue di provincia, un’opera caratterizzata da un linguaggio popolare limpido e genuino. Film magari non totalmente maturo e formato, eppure coinvolgente e personale, con qualcosa di urgente da dire; lo stesso dicasi per le due sorelle Delphine e Muriel Coulin con il loro Jouer avec le feu, interpretato da Vincent Lindon.
but by carefully watching the film and evaluating its potential, regardless of the subject matter. The topic is never an a priori conditioning factor; rather, it serves as a starting point. Take Todd Phillips’ highly anticipated film, for example: if he had made a sequel to Joker that did not live up to the first chapter, I would have been the first to suggest he go straight to movie theatres to engage with the public without passing through us. Well, now you can fully understand why I insisted on including Joker: Folie à deux in our selection.
In short, the movies you will find in Competition are simply the 21 best films that could be nominated, we are more than confident of that. This Competition is also full of surprises, featuring directors who may be little known or completely unknown to the general public. These bets are an essential element to any self-respecting Festival, challenges we are happy to take on, and that we have often won. It is important to see Siew Hua Yeo alongside Guadagnino, Dea Kulumbegashvili in the same section as Almodóvar, or a work like Vermiglio by Maura Delpero. This is the beauty of cinema. Among the works by great masters, Lelouch’s Finalement could very well have been included in the Competition section. I believe it’s a very beautiful film that represents the apex of this extraordinary French author’s cinema. However, the decision to award it the Cartier Glory to the Filmmaker allowed us to place it rightly in the Out of Competition section, which, in turn, made room for another film and director to be included among the 21 titles in Competition. I also strongly recommend Leurs enfants après eux by the Boukherma brothers, Zoran and Ludovic. The same can be said for the Coulin sisters, Delphine and Muriel, with their Jouer avec le feu, featuring Vincent Lindon. The ‘gap’ between masters and new generations is perceptible, as it should be, but this distance only involves us emotionally and aesthetically due to the vital diversity of perspectives and cinematic expression in these works.
We selected these ones because they could not have been more different from each other. Gianni Amelio’s Campo di Battaglia offers us a classic auteur cinema experience being more sober than usual. Maura Delpero’s Vermiglio is an unexpected work that draws inspiration from Olmi’s The Tree of Wooden Clogs with a story set in 1946 in a mountain village on the Austrian border that gives the film its name. Fabio Grassadonia and Antonio Piazza’s Iddu takes a fresh approach to portraying mafia, forgetting all the traditional Italian cinema’s portrayal on this subject, offering a work that is decidedly different. I personally fell in love with Diva Futura. Giulia Louise Steigerwalt is very good at portraying an emblematic figure such as Riccardo Schicchi, played by Pietro Castellitto, who reaffirms his status as one of the best actors of his generation and beyond. Set during the rise and spread of porn in Italy, it is rare to see such a subject tackled from a female point of view, completely free from prejudices. Tesa Litvan is really amazing in playing the role of Eva Henger.
Convincing directors to accept a spot in the Orizzonti section, especially Orizzonti Extra, is not always easy. Among those who
Il ‘solco’ tra maestri e nuove generazioni è percepibile, come è giusto che sia, ma è una distanza che non può che coinvolgerci emotivamente ed esteticamente per la vitale diversità di vedute e di resa filmica di questi lavori tanto lontani nei loro presupposti creativi, quanto prossimi nella loro dialettica ravvicinata in questa casa comune che è la Mostra.
Gli altri italiani in Concorso.
Li abbiamo scelti anche perché non avrebbero potuto essere più diversi tra loro. Gianni Amelio con Campo di battaglia ci regala un cinema classico e d’autore, con una sobrietà registica ancora più intensa del solito.
Maura Delpero con Vermiglio realizza un lavoro totalmente inaspettato, recuperando la lezione di Olmi ne L’albero degli zoccoli con una storia ambientata nel ‘46 nel villaggio di montagna ai confini dell’Austria che dà nome al film. Un lavoro dal realismo assoluto, con pochi attori professionisti nel cast, che segue per un anno la vita di queste persone impegnate nel duro ambiente alpino. Un film in cui sembra davvero di vivere lì, fianco a fianco a questi allevatori di capre e a questi agricoltori. Una storia semplice e fortissima, che rappresenta un salto di qualità significativo rispetto all’ultimo suo film, Maternal del 2019, presentato a Locarno.
Fabio Grassadonia e Antonio Piazza con Iddu realizzano un film sulla mafia dimenticandosi bellamente di tutta la tradizione italiana di film sul tema, offrendoci un lavoro che si discosta decisamente dal cinema di denuncia. Lo fanno con il registro a cui ci hanno abituato, farsesco e mai realistico.
Di Diva futura personalmente mi sono proprio innamorato. Giulia Louise Steigerwalt è davvero bravissima nel tratteggiare una figura emblematica quale quella di Riccardo Schicchi, interpretato da Pietro Castellitto che si conferma ancora una volta tra i migliori attori della sua generazione e non solo, proiettato qui in un periodo storico così particolare quale quello dell’avvento e della diffusione del porno in Italia. Piuttosto raro poter vedere qualcosa su quest’argomento da un punto di vista femminile, oltretutto completamente libero da pregiudizi. Bravissima Tesa Litvan nei panni di Eva Henger. Il ritratto di Schicchi che ne viene fuori è quello di una persona molto leale, che poneva il rispetto al centro dei propri rapporti, in un ‘gruppo di lavoro’ che viveva assieme condividendo tutto e mettendosi in gioco nel segno della reciprocità. Una storia che, venendo raccontata come una favola, genera un’empatia tale da far superare allo spettatore ogni barriera ideologica o moralistica che solitamente separa tali protagonisti e il loro milieu dalla cosiddetta “normalità”. Senza naturalmente nascondere le contraddizioni e alcune crude criticità che inevitabilmente connotano un ambiente di lavoro così singolare.
Temi attuali resi attraverso linguaggi artistici i più vari. Orizzonti e Orizzonti Extra rappresentano sempre di più la scena crossover di Venezia, costruendo un percorso di anno in anno sempre più vitale fatto di scelte libere e radicali. Una creatura che ha accompagnato per mano in questo ventennio in tutte le sue fasi di crescita. Come trova, oggi, questa sua creatura nella sua età adulta?
Non è sempre facile convincere i registi ad accettare la collocazione nella sezione Orizzonti, ancora meno in Orizzonti Extra,
have not attended the Festival in recent years, there is still a strong perception that these sections are somehow “second class”. I must say however that despite these challenges, our work has become easier in recent years. Orizzonti is now a section known and valued by the public and insiders because it has been able to earn its own credibility made up of intriguing discoveries and great confirmations. This year, for example, we are featuring Quiet Life by Alexandros Avranas, a director who in 2013 competed at Venice Film Festival with Miss Violence, which was awarded the Silver Lion for Best Director and the Volpi Cup for Best Actor (Themis Panou). Avranas immediately accepted our invitation to be in this section, because he recognized that our proposal was neither disqualifying nor diminishing but quite the opposite. Another standout is One of Those Days When Hemme Dies by Murat Fıratog˘lu, a film that was a real surprise, a title that arrived at the last moment and that we liked immediately. A first-time director who has also written the music and the screenplay, who acts, edits, and produces while shooting, as if he had never done anything else all his life. It is just filmmakers like him who make us believe that cinema can still have a future. However, I must highlight a couple of recommendations for Orizzonti Extra. Paola Randi has already made several films, but I believe The Story of Frank and Nina is her best work. It is impossible not to mention at least September 5 by Tim Fehlbaum, the director delves into ethical, moral, and deontological dilemmas faced by journalists in particular today.
It seemed right to me to open Orizzonti with Valerio Mastandrea’s second film, Nonostante. Francesco Costabile, who previously presented Una femmina in Berlin in 2022, brings Familia to Venice. This film clearly demonstrates his growth as a director. Giovanni Tortorici’s Diciannove stands in stark contrast to contemporary Italian cinema. It is a rigorous and highly personal work, largely autobiographical, in which all his “being extraneous” to the most typical features of his generation comes out. Despite some elements that could be refined, this debut film showcases a strong and distinctive film director personality.
This section is a festival within the Festival, which enjoys, and this is the most intriguing and encouraging aspect to underline, a growing participation from younger audiences. Among the restored masterpieces this year, one in particular stands out: From Darkness to Light by Michael Lurie and Eric Friedler. This documentary, which explores Jerry Lewis’ unfinished and unreleased film The Day the Clown Cried (1972), is one of the most anticipated and surprising entries in this section. The extraordinary aspect of this documentary is that it presents for the very first time previously unseen clips from the film, brief but significant footage that had been thought to be lost forever, thanks to reels miraculously found in some archives.
“Non
sezione che vi anticipo sin d’ora che l’anno prossimo cambierà nome, dato che Extra suona un po’ come una dimensione per così dire off, quasi da nicchia per pochi eletti, cosa che invece non è affatto. In chi non ha frequentato la Mostra negli ultimi anni esiste ancora forte la percezione che si tratti di sezioni in qualche modo di “serie B”, quasi si intendesse relegare queste pellicole in cantina per cavarsi un po’ d’impiccio. Si tratta di un pregiudizio davvero difficile da smantellare; in più di un caso abbiamo dovuto lottare parecchio con registi e produttori per far loro accettare una collocazione in questa sezione, che personalmente considero cruciale nella struttura del Festival, con una propria dignità, con una propria spiccata personalità, i cui film anno dopo anno stanno godendo di un successo di pubblico in sala sempre più crescente. Devo dire però che negli ultimi anni il lavoro per noi si è fatto sempre più agevole. Orizzonti è ormai una sezione conosciuta e valorizzata dal pubblico e dagli addetti ai lavori perché è stata capace di guadagnarsi una propria credibilità fatta di intriganti scoperte e grandi conferme. Quest’anno ci troviamo ad esempio Quiet life di Alexandros Avranas, regista che nel 2013 era qui in Concorso con Miss Violence e che arrivò a vincere tra l’altro il Leone d’Argento per la regia, nonché la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile a Themis Panou. Pur potendo ambire a ribalte differenti, Avranas ha accettato subito il nostro invito ad esserci in questa sezione perché conosce bene il Festival, capendo, perciò, che la nostra proposta non era in alcun modo squalificante o mortificante, anzi. Hemme’nin öldüg˘ü günlerden biri di Murat Fıratog˘lu è stata una sorpresa in tutto e per tutto: titolo arrivato sul filo di lana e come da buona tradizione piaciuto subito. Non avevo mai visto il processo di essiccazione dei pomodori e la sequenza iniziale di mezz’ora dedicata a questo lavoro è davvero di un’intensità rara: queste persone intente a tagliare i pomodori in quattro e a metterli sotto il sole a temperature cocenti, un addetto che getta sale per farli essiccare, il tutto con dei ritmi frenetici e travolgenti. Un regista esordiente che ha anche scritto la musica e la sceneggiatura, che recita, monta e produce girando come se non avesse mai fatto altro nella sua vita. Un meraviglioso e concretissimo visionario; sono persone come queste a farci credere che il cinema possa avere ancora un futuro. Molto difficile non innamorarsi poi di Mon inséparable, film di AnneSophie Bailly che ha come protagonista una mamma single alle prese con un figlio disabile che vorrebbe farsi una propria famiglia con una ragazza conosciuta al lavoro, innescando nella mamma dubbi sulla possibilità per il ragazzo di vedere realizzata compiutamente la propria felicità. Una storia bellissima e umanissima. Ritengo, senza esagerazione alcuna, che ogni singolo film di Orizzonti meriti attenzione, semplicemente perché si tratta di lavori personalissimi e originali fatti da registi pieni di talento che sentono forte la libertà di potersi esprimere senza preclusioni o preconcetti. Almeno un paio di segnalazioni infine per Orizzonti Extra lasciatemele però fare. Paola Randi ha già realizzato diversi film, ma La storia del Frank e della Nina lo considero il suo lavoro migliore, un film in cui viene inventato un nuovo linguaggio nel quale i giovani si riconosceranno, ritrovandoci i propri modelli sociali e culturali. Impossibile poi non menzionare almeno September 5 di Tim Fehlbaum, film di apertura di Orizzonti Extra: raccontando l’attentato agli atleti israeliani nel pieno dell’Olimpiade di Monaco del 1972 dal punto di vista di una redazione sportiva che deve improvvisarsi nella cronaca di uno
degli eventi storici più feroci della storia contemporanea, il regista si pone delle domande etiche, morali e deontologiche che investono il mondo del giornalismo in maniera del tutto attuale e urgente. Dubbi che dovrebbero informare anche oggi la riflessione su quello che dovrebbe essere davvero il ruolo, il mestiere di giornalista nel restituire la vita, gli accadimenti reali lì dove si consumano nella loro tangibile concretezza.
Gli italiani di Orizzonti.
Mi è sembrato giusto aprire Orizzonti con il secondo film di Valerio Mastandrea, Nonostante, perché credo si meriti pienamente questa vetrina, questa posizione privilegiata di apripista di una sezione così caleidoscopica e sempre almeno sorprendente. Francesco Costabile, dopo essere stato a Berlino nel 2022 con Una femmina, porta a Venezia Familia, che ne testimonia senza ombra di dubbio la maturazione registica. Diciannove di Giovanni Tortorici è un film in assoluta controtendenza rispetto a quello che è il cinema italiano di oggi, un’opera molto rigorosa e personale, largamente, anche se non dichiaratamente, autobiografica in cui viene fuori tutto il suo “essere estraneo” ai tratti più tipici della sua generazione. Alla musica elettronica e alla discoteca, ai social e alla letteratura di consumo lui preferisce il rinchiudersi in un mondo del tutto personale i cui riferimenti culturali sono la musica antica, la letteratura e la filosofia medievali, con un giudizio indiretto ma molto esplicito sulla deriva sociale e culturale che tutti noi stiamo attraversando in questa età liquida, in questo tempo orizzontale. Un’opera prima che, pur con elementi fisiologicamente migliorabili, denota una personalità registica già molto forte e ben delineata.
La centralità crescente dei Classici. Ormai non più “mera” vetrina storica, ma autentica sezione di ri-scoperte che muove interesse, aspettative, passioni sempre più crescenti anche nelle giovani generazioni. Quali le chicche vere di quest’anno e come avete calibrato il programma?
Sono tutti lavori di una bellezza e di un interesse straordinari. È davvero un festival nel Festival questa sezione, che gode, e questo è il dato più intrigante ed incoraggiante da sottolineare, di una crescente partecipazione da parte dei più giovani, il che testimonia ancora una volta che la storia del cinema, se restituita a dovere, è linfa vitale per tutte le generazioni, non certo solo “mera” materia per specialisti o vecchi nostalgici.
Tra tutti questi capolavori restaurati sicuramente una segnalazione speciale va al lavoro più sorprendente ed atteso quest’anno in selezione, vale a dire From darkness to light di Michael Lurie e Eric Friedler, il documentario sul film di Jerry Lewis The Day the Clown Cried (1972), incompiuto e inedito. Il grande comico statunitense diresse il film in Svezia, interpretando questo clown internato ad Auschwitz incaricato dai nazisti di intrattenere i bambini destinati alle camere a gas. Un film che ebbe una lavorazione molto complicata e che si rivelò un disastro economico per Lewis, caratterizzato tra l’altro da insuperabili problemi di comunicazione con gli interpreti che parlavano solo polacco. La cosa straordinaria è che vengono mostrati per la prima volta in assoluto spezzoni di questo film cui nessuno credeva vi fosse più traccia alcuna, pochi, ma significativi minuti di girato grazie a delle bobine miracolosamente scovate in alcuni archivi.
Quarantadue anni dopo il sodalizio artistico nel film Un anno vissuto pericolosamente, il talento visionario di Peter Weir e la forza interpretativa di Sigourney Weaver si incontrano di nuovo quest’anno al Lido, entrambi Leoni d’Oro alla Carriera dell’81. Mostra del Cinema di Venezia. A due anni da Master Gardener di Paul Schrader, Sigourney Weaver torna al Lido per ricevere – mercoledì 28 agosto, giorno di apertura – il primo dei due Leoni d’Oro di questa 81. Mostra del Cinema. Nata Susan Alexandra Weaver a New York nel 1949, Weaver è diventata un’icona del cinema grazie alla sua versatilità e alla capacità di interpretare personaggi complessi e memorabili. Dopo alcuni ruoli minori, la sua carriera decolla nel 1979 con Alien di Ridley Scott, in cui veste i panni di Ellen Ripley, una scienziata e ufficiale spaziale forte e determinata. Il ruolo la consacra come una delle prime eroine d’azione femminili del cinema, sfidando gli stereotipi di genere. «Uno dei veri piaceri di Alien è guardare una star come Sigourney Weaver», scriveva Ty Burr del Boston Globe. Riporterà sullo schermo Ripley sette anni più tardi, nel 1986, in Aliens – Scontro finale di James Cameron, che le vale le nomination agli Oscar e ai Golden Globe come migliore attrice, e nel 1992, in Aliens 3 di David Fincher. Del sequel di Jean-Pierre Jeunet del 1997 ( Alien – La clonazione ) sarà anche co-produttrice. Weaver ha attraversato la storia del cinema degli ultimi decenni con la sua bellezza al di là di qualsiasi canone prestabilito e con la naturale capacità di imprimere ad ogni ruolo tratti distintivi di pura originalità ed intensità, capace tuttavia di mettersi in gioco con autoironia anche in ruoli più leggeri. Da Ghostbuster a Gorilla nella nebbia, da Una donna in carriera a The Village, da La morte e la fanciulla ad
Avatar, sono oltre 60 i film in cui Sigourney Weaver ha recitato, diretta da alcuni dei più grandi nomi di Hollywood, fra gli altri Woody Allen, Ridley Scott, James Cameron, Roman Polan´ski, David Fincher e appunto Peter Weir, che come lei riceverà quest’anno l’ambito Leone d’Oro alla Carriera.
Noto per la sua capacità di creare atmosfere oniriche e surreali, spesso ambientate in luoghi remoti e selvaggi, Weir (Sydney, 1944) vanta una filmografia che spazia da drammi storici a thriller psicologici, caratterizzata da una grande attenzione ai dettagli e da una profonda sensibilità per i personaggi. Weir inizia il suo viaggio nel mondo del cinema negli anni ‘70, un periodo d’oro per il cinema australiano, che lo vede capofila della cosiddetta Australian New Wave. Il suo primo successo internazionale, Picnic at Hanging Rock (1975) è un thriller enigmatico che svela il suo talento unico nel creare atmosfere suggestive e inquietanti. Nel 1985, con Witness – Il Testimone, Weir fa il suo ingresso a Hollywood dirigendo Harrison Ford, ma sarà L’attimo fuggente (1989), con Robin Williams e un esordiente Ethan Hawke, a consacrarlo definitivamente nell’Olimpo dei più conosciuti e amati registi della nostra epoca. E poi arriva il capolavoro. Con The Truman Show del 1998, alle soglie del nuovo millennio, il regista anticipa temi di grande attualità come la sorveglianza e la realtà virtuale, raccontando la storia di un uomo la cui vita si rivela essere un gigantesco reality show. La pellicola, che valse a Jim Carrey un Golden Globe, è considerata una delle più profetiche e influenti degli ultimi decenni. E ora lo aspettiamo al Lido per l’ambito e meritatissimo Leone, che gli verrà consegnato lunedì 2 settembre.
Credo che la ricerca portata avanti quest’anno per individuare i giusti profili dei Leoni alla carriera sia esattamente la stessa che da sempre caratterizza l’identità profonda della Mostra del Cinema
Un uomo, il suo cinema
Forty-two years after their artistic collaboration in “The Year of Living Dangerously”, the visionary talent of Peter Weir and the powerful acting talent of Sigourney Weaver meet again this year at the Lido, both as Golden Lions for Lifetime Achievement at the 81st Venice Film Festival. Two years after Master Gardener by Paul Schrader, Sigourney Weaver returns to the Lido to receive the first of the two Golden Lions at this 81st Venice Film Festival. Born Susan Alexandra Weaver in New York in 1949, Weaver has become a cinema icon thanks to her versatility and her ability to portray complex and memorable characters. After a few minor roles, her career takes off in 1979 with Ridley Scott’s Alien, where she plays Ellen Ripley, a strong and determined scientist and space officer. The role cemented her status as one of the first female action heroines in cinema, challenging gender stereotypes. Known for his ability to create dreamlike and surreal atmospheres, often set in remote and wild locations, Peter Weir (Sydney, 1944) boasts a filmography that spans from historical dramas to psychological thrillers, characterized by meticulous attention to detail and a deep sensitivity to his characters. It was Dead Poets Society (1989), starring Robin Williams and a young Ethan Hawke, that definitively established him in the pantheon of the most well-known and beloved directors of our time. Then came the masterpiece. With The Truman Show in 1998, on the brink of the new millennium, Weir anticipated highly relevant themes such as surveillance and virtual reality, telling the story of a man whose life turns out to be one giant reality show.
Davanti all’opus cinematografico di Claude Lelouch - più di cinquanta film in sessant’anni di carriera - ci si sente un po’ smarriti come davanti alla vita di un patriarca che ha investito di passione devastante tutte le cose che ha attraversato (il cinema, l’amore, la velocità, la vita). Siamo di fronte ad uno dei registi più maltrattati della storia del cinema: la sua inguaribile vocazione ad un cinema elementare, essenziale, che affronta temi basici come l’amore tra un uomo e una donna, è stata spesso interpretata al peggio come propensione al più zuccheroso sentimentalismo, al meglio come imitazione cinematografica del fotoromanzo. In realtà Lelouch è il regista che più genialmente affronta l’osceno nel cinema: sì, l’osceno, il fuori scena dell’eros, ciò che si celebra al di fuori del rito sessuale come a dire le frasi smozzicate, gli sguardi infiniti tra un uomo e una donna che si stanno innamorando, i moti inconsapevoli di corpi attratti tra loro. Lelouch è un regista in cui determinazione e coraggio vanno di pari passo: ne fanno testo gli innumerevoli indizi, dentro i suoi film, di una sua passione per i primi piani lunghissimi, quasi sfacciati, o per i flashback senza parole che durano un’eternità (mi viene in mente quello di Un uomo, una donna che dura quanto il samba di Vinicius de Moraes e Baden Powell, che ne è colonna sonora). Ne vengono fuori film dall’andamento incerto, che vanno avanti ma spesso anche indietro, in cui la trama è il risultato più di un processo mentale che di una narrazione lineare. Film che non possono definirsi bellissimi, ma che sicuramente hanno il dono della necessità, cuciti addosso alla radicalità del meccanismo d’amore, della nostalgia, della solitudine. Film che hanno lo stesso DNA imitativo della poesia trobadorica oppure di quella barocca, concentrate, esattamente come il cinema di Lelouch, a declinare in mille modi diversi lo stesso, irrinunciabile tema. F.D.S.
ENG
A s we stand before Claude Lelouch’s oeuvre – over fifty features in a sixty-year career – we cannot help but feel bewildered. We are looking at a patriarch who invested devastating passion into anything he touched: film, love, speed, life. His calling for elemental, essential cinema, a cinema of simple subjects such as love between a man and a woman, was thought to be conducive to corny sentimentalism, but in fact, Lelouch is a master of the obscene: the off-scene of the eros, what is celebrated beyond sexual rite, the look in two lovers’ eyes, the unconscious gestures of bodies that are growing in mutual attraction. Premio Cartier Glory to the Filmmaker a Claude Lelouch
Isabelle Huppert
Presidente Attrice (Francia)
Non è mai stata un’attrice, o semmai lo sarà stata nei primi film. Poi è diventata luce, vento, forza magnetica, densità vibrante che attrae energia dallo schermo e la rimanda indietro al mondo. Gelo e calore, istinto ed esprit geometrique : Isabelle Huppert, l’irresistibile carisma della non-diva.
James Gray
Regista e sceneggiatore (USA)
Ha ragione chi lo definisce “il più grande regista d’insuccesso degli USA”. Eppure è un maestro, i suoi film sono tutti bellissimi, esempi di un nuovo classicismo americano, a partire dal primo, Little Odessa del 1994. In ciascuno dei suoi lavori emerge la peculiare capacità di reinterpretare il genere in modo creativo, libero, senza nessuna costrizione convenzionale. E poi dopo Allen è il regista di New York: non è Manhattan che Gray omaggia con la sua camera, ma Brighton Beach, a pochi passi da Coney Island.
Regista e sceneggiatore (UK)
Vite che sono insieme da 45 anni in cui all’improvviso cede il collante che le teneva unite; vite che si incrociano per una notte e che disperatamente cercano di trovare una stabilità nella passione. Di questo canta Andrew Haig nei suoi film: l’invenzione dei modi possibili, che stiano nella fantasia più sfrenata oppure nel rispetto della banalità della vita, per trasformare le pulsioni in logos, in speranza di un discorso non interrotto.
Regista, sceneggiatrice e produttrice (Polonia)
Con quel suo interesse poligrafo, molto polacco verrebbe da dire, nei confronti della Storia, declinata come biografia dei grandi artisti europei oppure come affresco entro il quale si agitano le vite degli umani, la Holland ha sempre conservato nel suo percorso artistico lungo oltre 50 anni uno sguardo ironico, quasi sarcastico, strumento per una meditazione complessiva sull’assurdità dell’umano agire.
Regista, sceneggiatore e programmatore cinematografico (Brasile)
Giornalista e critico cinematografico brasiliano, negli anni 2000 comincia a produrre opere sperimentali. Nel 2002 arriva al successo con il suo primo lungometraggio, Il suono intorno. Nel 2019 esce il suo secondo film, Bacurau
Regista, sceneggiatore e produttore (Mauritania)
Autore di fama internazionale grazie a film attraverso i quali progressivamente è passato da un approccio in cui la storia colonialistica africana era filtrata da una forte propensione alla poesia delle immagini, ad opere più recenti (Timbuktu, 2014) in cui lo sguardo storico sulla presa del potere a Timbuktu da parte di gruppi integralisti islamici si fa duro e intransigente.
Regista e sceneggiatore (Italia)
Artigiano del cinema e al contempo cinefilo vero, attraversa quarant’anni di vita italiana con dei film tutti, o quasi, assai centrati sulla sua Sicilia. Nel 1990 vince l’Oscar per il miglior film straniero con Nuovo Cinema Paradiso e nel 1996 ottiene la nomination con L’uomo delle stelle. Il suo ultimo film, Ennio, è un indimenticabile memoir della vita e delle colonne sonore di Morricone, un capolavoro assoluto di ricerca archivistica e devozione artistica.
Regista e sceneggiatrice (Germania)
Dei numerosi film che ha diretto in Italia se ne sono visti davvero pochi. Si ricorda E domani il mondo intero, in Concorso a Venezia nel 2020, opera incentrata su un gruppo di giovani militanti antifascisti opposti ad un gruppo di nazionalisti di estrema destra.
Attrice (Cina)
Assurta al successo mondiale con il film di Ang Lee La tigre e il dragone, diviene poi specialista nei ruoli dei blockbuster wuxia con due capolavori di Zhang Yimou, Hero e La foresta dei pugnali volanti Nel 2021 esordisce alla regia dirigendo uno dei quattro segmenti del film My country, my parents, che in Cina riscuote un grande successo.
Ali Asgari
Regista, sceneggiatrice (USA)
Solo tre film e un documentario nell’esigua filmografia della regista americana. Però sono tutti lavori magnifici, ambientati in un’America lontana dalle grandi città, in lande desolate abitate da gente violenta, orgogliosa, di poche parole.
Un gelido inverno, con una giovanissima Jennifer Lawrence, è gemma degna di stare nell’elenco dei film indipendenti americani più belli.
Sceneggiatore, regista e produttore (Iran)
Regista iraniano che ha fatto gli studi di cinema al DAMS di Roma. Nei suoi film ( Disappereance del 2017, La bambina segreta del 2022, Kafka a Teheran del 2023) rappresenta vite che entrano in conflitto con il sistema istituzionale, giuridico, politico della teocrazia iraniana. I produttori italiani pare si divertano a stravolgere i titoli originali dei suoi film, per cui Versetti terrestri, che è il titolo di una poesia della più celebre poetessa iraniana, Forugh Farrokhzad, diventa, per l’appunto, Kafka a Teheran
Soudade Kaadan
Regista e sceneggiatrice (Siria)
Residente a Londra, nel 2018 vince il Leone del Futuro con il film Il giorno che ho perso la mia ombra ; il suo secondo lavoro, Il buco nel cielo del 2022, è stato anch’esso presentato a Venezia. Entrambi i film raccontano storie di disperata follia nella Damasco devastata dalle bombe.
Christos Nikou
Regista, sceneggiatore e produttore (Grecia)
Lanthimos, Avranas, Makridis e anche Nikou, sì. Il cinema greco sta molto bene, è la Grecia magari che sta un po’ messa male. Come poche altre cinematografie al mondo, quella greca riflette sull’asfissia etica e sentimentale che si annida dentro le abitazioni degli uomini, quel malessere generale che produce orrore silenzioso, memoria perduta, abissi tra generazioni. Nikou è il regista di Apples, presentato alla Mostra nel 2020.
Tuva Novotny
Attrice e regista (Svezia)
Attrice e regista svedese, purtroppo della sua lunga filmografia solo pochi titoli sono stati distribuiti in Italia ( Jalla! Jalla!, Borg/McEnroe, Annientamento e purtroppo, ma certo non per colpa della sua recitazione, Mangia prega ama ).
Gabor Reisz
Regista (Ungheria)
Altro giovane regista di talento presente in questa bella giuria. Ungherese, con Una spiegazione per tutto ha vinto Orizzonti 2023. È la storia di un esame di maturità di un giovane che diviene una sorta di trincea, di conflitto tra i conservatori seguaci di Orbàn e i progressisti che lo contestano.
Valia Santella
Sceneggiatrice e regista (Italia)
Nasce in teatro come assistente e aiuto alla regia, poi passa alla regia di corti e di un lungometraggio, Te lo leggo negli occhi con la Sandrelli, per stabilizzarsi infine nella sceneggiatura. In questo direzione inanella una serie di lavori di buona ed ottima fattura ( Miele ed Euforia per la regia di Valeria Golino, Napoli velata di Ferzan Özpetek, Il traditore di Marco Bellocchio).
Critico cinematografico (Italia)
La figura di Gianni Canova esprime al meglio l’ardua traiettoria che, partendo da una passione totalizzante per il cinema, riesce talvolta a realizzare - attraverso opportunità prese al volo, azzardi rischiosi, visione manageriale del mondo - una vera e propria avventura professionale dai molteplici interessi e da alcune cadute. Avendo sempre il cinema come patrimonio culturale, ma affrontandolo nella affascinante versatilità delle sue numerose declinazioni, Gianni Canova ha fondato riviste, curato mostre, insegnato cinema, scritto libri, presentato film in tv. Da ultimo, nel 2018, è stato nominato rettore dello IULM a Milano, primo docente di cinema a diventare rettore universitario.
Sceneggiatore e regista (USA)
Giovane regista indipendente americano, il suo secondo film, The Cathedral, prodotto da Biennale College Cinema, racconta attraverso l’album di famiglia vent’anni di vita del giovane Jesse. Cartoline, fotografie, lettere, ricordi: è la storia raccontata attraverso le memorie familiari, come fa Annie Ernaux coi suoi libri, come ha fatto Catarina Vasconcelos col suo film La metamorfosi degli uccelli
Bárbara Paz
Regista, artista visiva, attrice e produttrice (Brasile) Attrice, produttrice, regista brasiliana. Il suo doc Babenco, tell me when I die, focalizzato sull’ultimo periodo di vita del marito, il regista Hector Babenco, è stato premiato alla Mostra del Cinema nel 2019. Artista talentuosa e multidisciplinare, ha vinto la prima edizione del reality show carioca Casa das artistas
Taylor Russell
Attrice e regista (Canada)
Anche l’attrice canadese è stata iniziata al successo al Lido, vincendo la Coppa Mastroianni grazie alla sua interpretazione nel film di Guadagnino Bones and All. Ma prima aveva recitato una parte in Waves-Le onde della vita di Trey Edward Shults, che inspiegabilmente mi ostino a ritenere un capolavoro.
Jacob Wong
Curatore di festival e direttore di mercati cinematografici (Cina)
Grande conoscitore del cinema del Far East. Ha co-prodotto lavori di grandissimi registi come Jia Zhangke, Tsai Ming Liang, Mohammad Makhmalbaf, ed è delegato della Berlinale per il cinema cinese.
Alberto Barbera
di Todd Phillips
«Ci si potrebbe attendere ‘semplicemente’ il seguito del primo capitolo, ragionamento che dal punto di vista narrativo torna, con Arthur Fleck/Phoenix rinchiuso nel manicomio criminale di Arkham in attesa di essere processato per gli omicidi confessati in diretta tv. Ma il film è molto, ma molto più di questo, completamente inatteso e inaspettato: lo potremmo definire un musical capace di prendere direzioni imprevedibili. Un film coraggiosissimo e duro, cupo e radicalmente pessimista, con una Lady Gaga a dir poco convincente.
Ricordo di averlo visto a febbraio nelle sale di proiezione della Warner a Los Angeles assieme a Giulia D’Agnolo Vallan e ad alcuni sceneggiatori che avevano lavorato al film: beh, a fine proiezione le luci si sono riaccese sorprendendoci con la bocca ancora spalancata. Avventurandosi nella sfida di un sequel di un film di successo, e vincendola a mani basse, Phillips si conferma come uno dei registi più coraggiosi e affidabili del nostro tempo».
ENG W hat should we expect? ‘Merely’ a sequel to the first chapter? That wouldn’t do it narration-wise, with Arthur Fleck/Phoenix locked up in Arkham Asylum, awaiting trial for the murders he confessed on live TV. The actual movie, though, is so much more than this. It is completely unexpected and unpredictable. We may call it a musical, too, one that goes where you would never imagine. A brave, tough film, dark and radically pessimist, starring a very convincing Lady Gaga.
I saw Joker: Folie à Deux in February, at the Warner Theatre in Los Angeles with Giulia D’Agnolo Vallan and others who worked at the script. Well, by the time the screening ended, lights switched on on our mouths agape. Phillips took the challenge of making a sequel to a successful film, and won. Definitely, one of the most courageous, dependable filmmakers around.
di Pedro Almodóvar
«Spesso si abusa del termine “capolavoro”, ma non mi vengono davvero in mente altre definizioni per questo film. Un tema complesso come l’eutanasia viene qui trattato con una delicatezza che non credevo possibile, con una precisione di scrittura, con dei dialoghi che si avvalgono del talento cristallino di due attrici fenomenali quali Tilda Swinton e Julianne Moore. Di capolavori Almodóvar ne ha fatti altri come ben sappiamo, ma questo credo sia il suo lavoro più dirompente e straziante tra gli ultimi realizzati. Visivamente stupendo: non c’è un’inquadratura sbagliata o un accento fuori posto, una concentrazione fatta di essenzialità e dignità, un’economia di mezzi portata avanti attraverso parole e gesti così centrati e profondi che metterebbero a tacere per sempre anni e anni di dibattiti su un argomento trattato spesso da troppa gente che dovrebbe imparare semplicemente a tenere la bocca chiusa. Mi sono profondamente emozionato guardandolo e mi commuovo tutt’oggi anche solo a parlarne. Grazie di esistere, Pedro».
di Brady Corbet
«Un film dall’ambizione inconsueta per il cinema contemporaneo. Un lavoro d’autore, indipendente e colossale. Dura 3 ore e 35 minuti ed è stato girato in 70mm; abbiamo dovuto rimontare dei proiettori ad hoc per proporlo in questo formato in Sala Grande e in Sala Darsena. Al centro della trama una storia inventata bigger than life : un architetto ebreo sopravvissuto ad Auschwitz arriva in America fortunosamente, lasciando la famiglia in Ungheria. Dopo aver attraversato un periodo di estrema povertà incontra un magnate che si innamora di lui e gli affida un grande progetto. Incapace di accettare una qualsiasi forma di compromesso, presto si scontrerà con il committente, con gli operai e con il capomastro pur di realizzare quello che ha in testa. Una storia che guarda anche ad un grande classico della storia del cinema, La fonte meravigliosa di King Vidor.
Un film grandioso e visivamente straordinario, con una grandissima interpretazione di Adrien Brody. Sarei davvero stupito se non dovesse rivelarsi come una delle grandi sorprese di questa Mostra. Ero già convinto che Corbet fosse un grandissimo regista. Ora sono certo che la sua grandezza vada davvero ‘oltre’».
«Guadagnino è un regista che progredisce di film in film, riuscendo ogni volta a confezionare qualcosa di diverso e unico, senza ripetersi mai. Che fosse un grande regista si era capito da tempo, ma considero questo il suo lavoro più riuscito e risolto. Mi spiace che il film abbia subito dei tagli nella durata rispetto alle originali tre ore e un quarto, perché consideravo per una volta la lunghezza qui assolutamente non eccessiva. Un film visivamente e stilisticamente pazzesco, coraggioso ed oltraggioso, in cui vengono integralmente ricostruiti a Cinecittà interi quartieri della Città del Messico degli anni ’50, una ricreazione volutamente fantastica ed edulcorata però, non una riproduzione realisticamente fedele della bruttezza e dello squallore di zone caratterizzate da una povertà feroce. Daniel Craig nei panni di William Burroughs ci regala, senza esagerazione alcuna, l’interpretazione della vita: davvero straordinario, assai coraggioso in alcune sequenze di sesso molto esplicite, ma esemplare nell’affidarsi totalmente a Guadagnino, confermandosi tra i migliori attori oggi in circolazione. Non vorrei essere nei panni di chi dovrà assegnare la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, magari dovendo scegliere tra lui e Joaquin Phoenix».
di Gianni Amelio
1918, in un ospedale da campo nei pressi del fronte lavorano Stefano e Giulio, compagni nel destino ma divisi da concezioni opposte sul piano politico e del dovere di un soldato. A complicare il loro rapporto c’è l’amore condiviso per Anna, infermiera che li affianca durante giornate fatte di dolore, sacrificio e violenza.
ENG I n 1918, at a field hospital near the front lines, Stefano and Giulio work together, bound by fate but divided by opposing views on politics and the duty of a soldier. Their relationship is further complicated by their shared love for Anna, a nurse who supports them through days of pain, sacrifice, and violence.
di Maura Delpero
Ricostruzione minuziosamente realistica della vita nel villaggio che dà titolo al film nell’arco di quattro stagioni, con un realismo che guarda alla lezione di Ermanno Olmi. Inverno, 1944. In un paesino di alta montagna in Trentino, dove la guerra è un orizzonte lontano ma onnipresente, vivono le sorelle Lucia, Ada e Flavia. Quando decidono di accogliere un soldato rifugiato, le loro vite cambiano per sempre.
ENG Meticulously realistic reconstruction of life in the village that gives the film its title over the course of four seasons, with a realism that looks to the lesson of Ermanno Olmi . Winter, 1944. In a high mountain village in Trentino, where war is a distant but omnipresent horizon, live the sisters Lucia, Ada and Flavia. When they decide to take in a refugee soldier, their lives change forever.
di Fabio Grassadonia, Antonio Piazza
Il film è liberamente ispirato alla trentennale latitanza di Matteo Messina Denaro, boss di Cosa Nostra catturato nel gennaio 2023 e morto di cancro nel settembre dello stesso anno. In particolare, ci si concentra sullo scambio epistolare avvenuto tra Messina Denaro e una sua vecchia conoscenza, assoldato dai Servizi Segreti speranzosi che nel carteggio il boss si tradisca, rivelando il proprio nascondiglio.
ENG T he film is loosely inspired by the thirty-year fugitive status of Matteo Messina Denaro, the Cosa Nostra boss who was captured in January 2023 and died of cancer in September of the same year. It specifically focuses on the correspondence between Messina Denaro and an old acquaintance who was recruited by the Secret Services, hoping that the letters would lead to the boss revealing his hiding place.
di Giulia Louise Steigerwalt
Debora è una studentessa alla ricerca di un impiego che le permetta di sostenere un mutuo quando incontra Riccardo Schicchi, che le offre un lavoro da segretaria nella sua agenzia. Quello che Debora non sa è che da quel momento entrerà a far parte della storia recente del nostro Paese: quell’agenzia è infatti Diva Futura, realtà manageriale che avrebbe cambiato le sorti della pornografia in Italia e nel mondo attraverso figure iconiche come Moana Pozzi, Cicciolina, Milly D’Abbraccio ed Eva Henger.
ENG D ebora is a student searching for a job to help pay off her mortgage when she meets Riccardo Schicchi, who offers her a position as a secretary at his agency. What Debora doesn’t realize is that she will soon become part of a significant chapter in Italy’s recent history: the agency in question is Diva Futura, a management firm that would transform the pornography industry in Italy and around the world through iconic figures such as Moana Pozzi, Cicciolina, Milly D’Abbraccio, and Eva Henger.
THE ROOM NEXT DOOR di PEDRO ALMODÓVAR
CAMPO DI BATTAGLIA di GIANNI AMELIO
LEURS ENFANTS APRÈS EUX di LUDOVIC BOUKHERMA, ZORAN BOUKHERMA
THE BRUTALIST di BRADY CORBET
JOUER AVEC LE FEU (THE QUIET SON) di DELPHINE COULIN, MURIEL COULIN
VERMIGLIO di MAURA DELPERO
IDDU (SICILIAN LETTERS) di FABIO GRASSADONIA, ANTONIO PIAZZA
QUEER di LUCA GUADAGNINO
KJÆRLIGHET (LOVE) di DAG JOHAN HAUGERUD
APRIL di DEA KULUMBEGASHVILI
THE ORDER di JUSTIN KURZEL
MARIA di PABLO LARRAÍN
TROIS AMIES di EMMANUEL MOURET
KILL THE JOCKEY di LUIS ORTEGA
JOKER: FOLIE À DEUX di TODD PHILLIPS
BABYGIRL di HALINA REIJN
AINDA ESTOU AQUI (I’M STILL HERE) di WALTER SALLES
DIVA FUTURA di GIULIA LOUISE STEIGERWALT
HARVEST di ATHINA RACHEL TSANGARI
QING CHUN GUI (YOUTH - HOMECOMING) di WANG BING, Documentario
STRANGER EYES di YEO SIEW HUA
Tim Burton rievoca Beetlejuice, Kitano fa esercizio
Clooney
metacinema, l’accoppiata
e
Corine si spinge sempre più oltre, mentre d’Anolfi e Parenti firmano un’enciclopedia cinematografica concentrata
© Warner Bros Pictures
di Tim Burton
La famiglia Deetz torna nella casa di Winter River, teatro del primo capitolo della storia, datato 1988. Lydia è diventata mamma ed è alle prese con l’adolescenza problematica della figlia Astrid. Quando la ragazza scopre il famigerato modellino della città in soffitta, dà inavvertitamente il via ad un domino di eventi che riporteranno nel mondo dei vivi il terribile spiritello Beetlejuice, capace in questi anni di non perdere nemmeno un grammo della propria potenza distruttiva e travolgente.
Leone d’Oro alla carriera a Venezia nel 2007, Tim Burton è uno dei più significativi registi della storia cinematografica mondiale. Il suo nome è più che mai sinonimo di scelte stilistiche inconfondibili, a tinte gioiosamente e orgogliosamente dark, in capolavori come Batman, Edward Mani di forbice, Nightmare Before Christmas, Il mistero di Sleepy Hollow, La fabbrica di cioccolato, Big Fish e La sposa cadavere, realizzati guardando sempre con occhio attento alle nuove tecnologie.
ENG T he Deetz family returns to the house in Winter River, the setting of the first chapter of the story from 1988. Lydia has become a mother and is dealing with the troubled adolescence of her daughter Astrid. When the girl inadvertently discovers the infamous model of the town in the attic, she sets off a chain of events that will bring the terrifying spirit Beetlejuice back into the world of the living, still retaining all of his destructive and overwhelming power.
Tim Burton, who received a Golden Lion for lifetime achievement at Venice in 2007, is one of the most significant directors in the history of cinema. His name is synonymous with unmistakable stylistic choices, characterized by a joyfully and proudly dark palette, in masterpieces such as Batman, Edward Scissorhands, The Nightmare Before Christmas, Sleepy Hollow, Charlie and the Chocolate Factory, Big Fish, and Corpse Bride, all while maintaining a keen eye on new technologies.
di Takeshi Kitano
«Un sorprendente esercizio di metacinema», così Alberto Barbera ha definito il nuovo lavoro del leggendario regista giapponese. Diviso in due parti, il film si regge su un’inconsueta costruzione narrativa. La prima metà è un violento film d’azione che ruota attorno a un sicario incastrato tra la polizia e la yakuza negli oscuri bassifondi della malavita. La seconda parte riprende la stessa storia, scena dopo scena, ma in forma di commedia e parodia, introducendo un improvviso scarto di genere e registro linguistico.
ENG “A surprising exercise in metacinema,” is how Alberto Barbera described the new work by the legendary Japanese director. Divided into two parts, the film relies on an unusual narrative structure. The first half is a violent action film centered around a hitman caught between the police and the yakuza in the dark underworld of crime. The second part retells the same story, scene by scene, but as a comedy and parody, introducing a sudden shift in genre and linguistic register.
di Jon Watts
Individualmente sono l’Alain Delon e il Paul Newman dei nostri tempi, figuriamoci in coppia! A quindici anni da Burn After Reading dei fratelli Coen, uno dei film più attesi della Mostra rimette insieme George Clooney e Brad Pitt, diretti questa volta dal regista di Spider-Man: Homecoming Jon Watts. In Wolfs Clooney è un ‘fixer’ professionista, un lupo solitario assunto dalla malavita altolocata per coprire un crimine. Quando però entra in scena un secondo risolutore (Pitt), i due sono costretti a lavorare insieme.
ENG I ndividually, they are the Alain Delon and Paul Newman of our times – together they are dynamite! Fifteen years after the Coen brothers’ Burn After Reading, one of the most anticipated films of the festival reunites George Clooney and Brad Pitt, this time directed by Spider-Man: Homecoming director Jon Watts. In Wolfs, Clooney plays a professional fixer, a lone wolf hired by the high-society underworld to cover up a crime. However, when a second fixer (Pitt) enters the scene, the two are forced to work together.
FUORI CONCORSO FICTION
FILM DI APERTURA BEETLEJUICE BEETLEJUICE di TIM BURTON
FILM DI CHIUSURA
L’ORTO AMERICANO di PUPI AVATI
IL TEMPO CHE CI VUOLE di FRANCESCA COMENCINI
PHANTOSMIA di LAV DIAZ
MALDOROR di FABRICE DU WELZ
BROKEN RAGE di TAKESHI KITANO
BABY INVASION di HARMONY KORINE
CLOUD di KUROSAWA KIYOSHI
FINALEMENT di CLAUDE LELOUCH
WOLFS di JON WATTS
SE POSSO PERMETTERMI
CAPITOLO II di MARCO BELLOCCHIO
ALLÉGORIE CITADINE di ALICE ROHRWACHER, JR
FUORI CONCORSO NON FICTION
APOCALIPSE NOS TRÓPICOS
(APOCALYPSE IN THE TROPICS) di PETRA COSTA
BESTIARI, ERBARI, LAPIDARI di MASSIMO D’ANOLFI, MARTINA PARENTI
WHY WAR di AMOS GITAI
2073 di ASIF KAPADIA
ONE TO ONE: JOHN & YOKO di KEVIN MACDONALD, SAM RICE-EDWARDS
SEPARATED di ERROL MORRIS
ISRAEL PALESTINA PÅ
SVENSK TV 1958-1989 (ISRAEL PALESTINE ON SWEDISH TV 1958-1989) di GÖRAN HUGO OLSSON
RUSSIANS AT WAR di ANASTASIA TROFIMOVA
Extending along the waterfront on one of the most beautiful stretches of the Grand Canal, the splendid Gritti Terrace continues to be the social hub of Venice. Drop in from 12:30pm until 5:30pm for an informal lunch, an afternoon snack, or a glass of perfectly chilled bubbles immersed in a living canvas of the city’s extraordinary architectural wonders.
Esploratore dei limiti dell’audiovisivo e delle contaminazioni del cinema con altri linguaggi ed espressioni artistiche, Harmony Corine torna a Venezia un anno dopo lo psichedelico Aggro Dr1ft, addentrandosi questa volta nell’estetica dei videogames. Baby Invasion è un thriller interattivo girato interamente in soggettiva, creato utilizzando sei body cam, una della quali indossata dallo stesso Korine. La casa del protagonista sarà invasa da inquietanti nemici con il volto di neonati, in un’immersione visiva resa ancora più realistica dalla tecnologia sperimentale sviluppata da EDGLRD.
ENG A n explorer of the boundaries of audiovisual art and the intersections of cinema with other languages and artistic expressions, Harmony Corine returns to Venice one year after the psychedelic Aggro Dr1ft, this time delving into the aesthetics of video games. Baby Invasion is an interactive thriller shot entirely in first-person perspective, created using six body cams, one of which was worn by Korine himself. The protagonist’s house will be invaded by eerie enemies with the faces of newborns, in a visual immersion made even more realistic by the experimental technology developed by EDGLRD.
di Massimo d’Anolfi, Martina Parenti
Una sorta di enciclopedia cinematografica e poetica divisa in tre atti, ognuno dei quali è dedicato ad un singolo soggetto: gli animali, le piante, le pietre. Ogni atto è anche un omaggio a uno specifico genere del cinema documentario, passando dal found-footage, fra cui immagini della spedizione al Polo Sud di Roald Amundsen nel 1910-1912 ( Bestiari ) alle poetiche riprese all’interno dell’Orto Botanico di Padova ( Erbari ), fino alle immagini industriali sulla trasformazione della pietra e sul contributo dei minerali nella permanenza della memoria collettiva ( Lapidari ).
ENG A sort of cinematic and poetic encyclopedia divided into three acts, each dedicated to a single subject: animals, plants, and stones. Each act is also a tribute to a specific genre of documentary cinema, ranging from found footage, including images from Roald Amundsen’s South Pole expedition from 1910-1912 (Bestiari ), to poetic footage shot inside the Botanical Garden of Padua (Erbaria), and industrial images about the role of minerals in preserving collective memory (Lapidari ).
TWST / THINGS WE SAID TODAY di ANDREI UJICA
RIEFENSTAHL di ANDRES VEIEL
PISNI ZEMLI, SHCHO POVILNO (SONGS OF SLOW BURNING EARTH) di OLHA ZHURBA
FUORI CONCORSO SERIES
DISCLAIMER (CAPITOLI 1 - 7) di ALFONSO CUARÓN
LOS AÑOS NUEVOS (THE NEW YEARS) (EP. 1 - 10) di RODRIGO SOROGOYEN DEL AMO, SANDRA ROMERO, DAVID MARTÍN DE LOS SANTOS
FAMILIER SOM VORES (FAMILIES LIKE OURS) (EP. 1 - 7) di THOMAS VINTERBERG
M - IL FIGLIO DEL SECOLO (EP. 1 - 8) di JOE WRIGHT
FUORI CONCORSO PROIEZIONI SPECIALI
LEOPARDI. IL POETA DELL’INFINITO (PARTE 1 E 2) di SERGIO RUBINI
MASTER AND COMMANDER: THE FAR SIDE OF THE WORLD (2003) di PETER WEIR
BEAUTY IS NOT A SIN di NICOLAS WINDING REFN
Credo che ogni singolo film di Orizzonti meriti attenzione, lavori personalissimi e originali fatti da registi pieni di talento che sentono forte la libertà di potersi esprimere senza preclusioni o preconcetti
Alberto Barbera
di Valerio Mastandrea
Una situazione sicura, lontana dal caos e dagli imprevisti della vita quotidiana, al riparo da tutto e da tutti: il protagonista è un paziente ricoverato da tempo che trova nella routine ospedaliera una personalissima comfort zone, in cui rassegnazione e apatia divengono libertà. L’arrivo di una nuova compagna di stanza finisce per cambiare il delicato equilibrio del paziente, mettendolo nuovamente davanti alla realtà. Lei, infatti, non vuole stare in ospedale, vuole vivere o morire senza compromessi. Il protagonista si ammala così di vita, contagiato dalla forza disperata della donna. «Una storia che è stata solo mia per tanto tempo e che, spero, diventerà di tutti»: con queste parole Valerio Mastandrea presenta la sua seconda regia dopo Ride (2018), vincitore del Nastro d’Argento per la Miglior opera prima. Attore – sono quattro i David di Donatello per le sue interpretazioni –, regista e produttore, dimostra coerenza creativa e di genere.
ENG A secure situation, away from the chaos and unpredictability of daily life, shielded from everything and everyone: the protagonist is a long-term patient who finds in the hospital routine a personal comfort zone, where resignation and apathy become freedom. The arrival of a new roommate ultimately disrupts the delicate balance of the patient, confronting him with reality once more. She, in fact, does not want to stay in the hospital; she wants to live or die on her own terms. The protagonist thus becomes afflicted with a thirst for life, infected by the woman’s desperate strength.
“This is a story that has been only mine for a long time and that, I hope, will become everyone’s”: with these words, Valerio Mastandrea introduces his second directorial effort after Ride (2018), which won the Nastro d’Argento for Best Debut Film. An actor with four David di Donatello awards for his performances, as well as a director and producer, Mastandrea demonstrates creative and genre consistency.
di Scandar Copti
Un piccolo incidente, dalle conseguenze apparentemente irrilevanti, ci porta a Gerusalemme e in profondità nelle pieghe di una società patriarcale dalle innumerevoli sfumature. Tra bugie e verità esiste una vasta gamma di sensazioni che si sviluppano in equilibrio precario tra questi due opposti, in una storia che dimostra quanto una vicenda personale possa avere al proprio interno riverberi universali che ci riguardano a dispetto delle differenze sociali, geografiche e politiche.
ENG A m inor incident, with seemingly insignificant consequences, takes us to Jerusalem and deep into the folds of a patriarchal society with countless nuances. Between lies and truth lies a vast array of emotions that develop in a precarious balance between these two extremes, in a story that demonstrates how a personal event can resonate universally, affecting us despite social, geographical, and political differences.
Murat Fıratog˘lu
Un giorno come tanti altri nella vita di Eyüp, ragazzo povero che si occupa dell’essiccazione e della salatura dei pomodori, sotto il cocente sole estivo, in attesa spasmodica della paga giornaliera. Una storia per capire quanto e come quotidianamente ognuno di noi entri in contatto diretto o indiretto con la morte; come ogni giorno le possibilità di morire – o uccidere qualcuno – siano innumerevoli. Murat Fıratog˘lu (1983) ha diretto, scritto, prodotto e interpretato il film portato a Venezia quest’anno.
ENG Ju st another day in the life of Eyüp, a poor boy who is involved in the drying and salting of tomatoes under the scorching summer sun, anxiously waiting for his daily wage. A story to understand how and how often each of us comes into direct or indirect contact with death; how every day the possibilities of dying – or killing someone – are countless. Turkish filmmaker Murat Fıratog˘lu (1983) directed, wrote, produced, and acted in the film presented in Venice this year.
ORIZZONTI
FILM DI APERTURA NONOSTANTE di VALERIO MASTANDREA
QUIET LIFE di ALEXANDROS AVRANAS
MON INSÉPARABLE di ANNE-SOPHIE BAILLY
AÏCHA di MEHDI BARSAOUI
YIN’AD ‘ALI KU (HAPPY HOLIDAYS) di SCANDAR COPTI
FAMILIA di FRANCESCO COSTABILE HEMME NIN ÖLDÜG ˘ Ü GÜNLERDEN BIRI
(ONE OF THOSE DAYS WHEN HEMME DIES) di MURAT FIRATOGLU
FAMILIAR TOUCH di SARAH FRIEDLAND
MARCO di JON GARAÑO, AITOR ARREGI
CARISSA di JASON JACOBS, DEVON DELMAR
WISHING ON A STAR di PÉTER KEREKES, Documentario
MISTRESS DISPELLER di ELIZABETH LO, Documentario
ANUL NOU CARE N-A FOST (THE NEW YEAR THAT NEVER CAME) di BOGDAN MURES , ANU
POOJA, SIR di DEEPAK RAUNIYAR
AL KLAVIM VEANASHIM (OF DOGS AND MEN) di DANI ROSENBERG
PAVEMENTS di ALEX ROSS PERRY
HAPPYEND di NEO SORA
L’ATTACHEMENT di CARINE TARDIEU
DICIANNOVE di GIOVANNI TORTORICI
Alberto Barbera
di Tim Fehlbaum
È l’alba del 5 settembre 1972 quando un commando di terroristi palestinesi dell’organizzazione Settembre Nero fa irruzione nel villaggio olimpico di Monaco, uccide subito due atleti israeliani e ne prende in ostaggio nove, che avranno destino analogo dopo estenuanti trattative. Il film ripercorre la tragedia incentrandosi su una diretta televisiva che cambiò per sempre la copertura giornalistica di un fatto di cronaca.
Nato in Svizzera nel 1982, Tim Fehlbaum ha all’attivo diversi cortometraggi realizzati appena dopo essersi diplomato all’Accademia del cinema e della televisione di Monaco di Baviera, nel 2009. Il suo thriller apocalittico Hell, di cui ha curato anche la sceneggiatura, è stato presentato al Festival di Locarno nel 2011, aggiudicandosi nello stesso anno il Förderpreis Deutscher Film al Festival del Cinema di Monaco.
ENG O n the dawn of September 5, 1972, a commando of Palestinian terrorists from the Black September organization stormed the Olympic Village in Munich, killing two Israeli athletes immediately and taking nine others hostage, who would meet a similar fate after exhausting negotiations. The film retraces the tragedy, focusing on a television broadcast that forever changed the coverage of such news events. Born in Switzerland in 1982, Tim Fehlbaum has several short films to his credit, created shortly after graduating from the Academy of Film and Television in Munich in 2009. His apocalyptic thriller Hell, which he also wrote the screenplay for, was presented at the Locarno Film Festival in 2011 and won the Förderpreis Deutscher Film at the Munich Film Festival the same year.
di Alessandro Cassigoli, Casey Kauffman
Jasmine ha un marito che la ama, tre adorati figli maschi e un’attività tutta sua, un salone da parrucchiera sul corso principale di Torre Annunziata. Nella sua vita sembra non mancare nulla, eppure dopo la morte di suo padre la donna è tormentata dal sogno ricorrente di una bambina bionda che le va incontro e le getta le braccia al collo. Il desiderio irrazionale di avere una figlia femmina si fa spazio in lei, spingendola a intraprendere un complesso percorso di adozione internazionale, anche a costo di mettere a rischio il proprio matrimonio e il rapporto con i figli.
ENG Jasmine has a husband who loves her, three adored children and her own business, a hairdressing salon on the main street of Torre Annunziata. After the death of her father, she is tormented by the recurring dream of a little blonde girl who runs towards her and throws her arms around her neck. The irrational desire to have a girl child takes hold in her, pushing her to embark on a complex path of international adoption, even at the cost of jeopardising her marriage and her relationship with her children.
di Frédéric Farrucci
Tra gli ultimi pastori rimasti sulle coste della Corsica, Giuseppe vede la sua terra minacciata dai loschi piani di speculazione edilizia della mafia locale. Anche di fronte a minacce e intimidazioni, il pastore sceglie di non cedere ma di reagire con decisione. Giuseppe diventa così il bersaglio di una feroce caccia all’uomo lungo la costa e sulle montagne corse nel cuore di un’estate rovente. Con il passare dei giorni, intanto, grazie alla nipote Vannina la leggenda di Giuseppe – incarnazione di una resistenza ritenuta impossibile – inizia a diffondersi per tutta l’isola.
ENG A mong the last shepherds remaining on the coast of Corsica, Giuseppe sees his land threatened by the shady real estate schemes of the local mafia. Despite facing threats and intimidation, the shepherd chooses not to yield but to respond with determination. Giuseppe thus becomes the target of a ruthless manhunt along the coast and in the Corsican mountains during a scorching summer. As the days pass, thanks to his niece Vannina, the legend of Giuseppe – embodiment of a resistance deemed impossible – begins to spread across the island.
ORIZZONTI EXTRA
FILM DI APERTURA SEPTEMBER 5 di TIM FEHLBAUM
VITTORIA di ALESSANDRO CASSIGOLI, CASEY KAUFFMAN
LE MOHICAN di FRÉDÉRIC FARRUCCI
AL BAHS AN MANFAZ I KHOROUG AL SAYED RAMBO (SEEKING HAVEN FOR MR. RAMBO) di KHALED MANSOUR
LA STORIA DEL FRANK E DELLA NINA di PAOLA RANDI
SHAHED (THE WITNESS) di NADER SAEIVAR
AFTER PARTY di VOJTECH STRAKATÝ
EDGE OF NIGHT di TÜRKER SÜER
KING IVORY di JOHN SWAB
La sezione dedicata ai Classici restaurati si configura anche quest’anno come un ponte tra passato e presente, facendoci attraversare indenni i rischi di una tecnologia che spesso cancella le tracce dei (fondamentali) passi fatti per arrivare dove siamo ora.
In occasione del centenario dalla nascita di Marcello Mastroianni, La notte (1961) di Michelangelo Antonioni viene riportato sullo schermo per ribadire la grandezza di entrambi, mentre Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974), di Lina Wertmüller, si conferma successo intramontabile che squarciò l’inerzia patriarcale dell’industria cinematografica dell’epoca.
Per rappresentare al meglio la cinematografia americana del ventesimo secolo si distinguono due titoli, His Girl Friday di Howard Hawks e The Big Heat di Fritz Lang. Da ricordare anche Frederick Wiseman, Fuori Concorso a Venezia lo scorso anno, che con il documentario Model (1980) porta il pubblico dietro le quinte del mondo della moda, mettendone in luce il cinismo.
Spazio viene dato anche ai grandi classici giapponesi, con Storia segreta del dopoguerra: dopo la guerra di Tokyo (1970) di Nagisa Ôshima e La casa degli amori particolari (1964) di Yasuzô Masumura.
Dalla Francia arriva La Peau Douce di François Truffaut, mentre dalla Danimarca giunge il capolavoro d’esordio di Nicolas Winding Refn, Pusher (1996), presente in Mostra quest’anno con Beauty is not a sin, proiezione speciale Fuori Concorso. Bianca Vasti
ENG A section dedicated to restored film, a bridge between past and present and a testament to the power of technology. 100 years since Marcello Mastroianni’s birthday, we will see Michelangelo Antonioni’s La notte (1961) to pay homage to the greatness of both actor and filmmaker. Crossing the pond over to America, two films in schedule are His Girl Friday by Howard Hawks and The Big Heat by Fritz Lang. There will be space for Japanese classics, too, like Nagisa Ôshima’s The Man Who Left His Will on Film (though the original title translates literally to ‘Secret History of the Post-Tokyo-War Period’). France is represented by François Truffaut’s The Soft Skin, and Denmark by Nicolas Winding Refn’s debut masterpiece, Pusher of 1996.
La sezione Venezia Classici, al centro di un interesse sempre crescente da parte del pubblico della Mostra, getta luce su alcune delle storie più interessanti del panorama cinematografico nazionale ed internazionale. Assolutamente da non perdere From Darkness to Light, che mostra per la prima volta alcune scene inedite tratte da The Day the Clown Cried (1972), leggendario film incompiuto di Jerry Lewis che costituì un investimento economico ed emotivo cruciale per l’attore americano, fino a Chain Reactions, riflessione sul profondo impatto di Non aprite quella porta a cinquant’anni dalla sua uscita. Non l’unico anniversario ad essere celebrato quest’anno: Volonté – L’uomo dai mille volti ricostruisce infatti la carriera del grande attore scomparso nel ‘94, mentre Carlo Mazzacurati – una certa idea di cinema ruota attorno alla figura dell’indimenticato regista padovano, omaggiato a dieci anni dalla scomparsa. Allo stesso modo, l’immenso cineasta armeno Sergei Paradjanov è ricordato nel documentario di Zara Jian, I will revenge this world with love, proprio nel centesimo anniversario della sua nascita. Alla celebrazione di tali ricorrenze si aggiunge poi quella di nomi di rilevanza globale, da Hayao Miyazaki e Jean Pierre Léaud, fino al regista franco libanese Maroun Bagdadi e allo spagnolo Pere Portabella, dei quali viene evidenziato l’impegno politico e sociale nei confronti della propria terra natale. Elena Bortoli
ENG T he Venice Film Festival’s section Venezia Classici revives some of the most interesting stories in cinema. An appointment you won’t want to miss is programme From Darkness to Light, which includes deleted scenes from The Day the Clown Cried of 1972, Jerry Lewis’s legendary unfinished feature, and Chain Reaction, a reflection on the impact The Texas Chainsaw Massacre had on cinema. One of the many anniversaries we’ll celebrate this year: Volonté - L’uomo dai mille volti is a compendium of actor Gian Maria Volonté’s career, while Carlo Mazzacurati - una certa idea di cinema pays homage to the Italian filmmaker ten years after his passing.
Una magnifica carrellata di cinema, passione e grande talento dedicata al più internazionale degli attori italiani: è Marcello, come here...Cent’anni e oltre cento volte Mastroianni, l’omaggio che Fondazione Scuola Nazionale di Cinema – Centro Sperimentale di Cinematografia, guidata dal Presidente Sergio Castellitto, dedica a Marcello Mastroianni nel centenario della sua nascita (28 settembre 1924), in occasione della 81. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. La mostra, a cura di Laura Delli Colli, che inaugura il 30 agosto sull’isola di San Servolo – dove è in allestimento la nuova sede del CSC Immersive Arts, primo polo dedicato alle arti immersive e performative in Italia –, è costruita con preziosi materiali d’archivio provenienti dalla Cineteca Nazionale diretta dal Conservatore Steve Della Casa, offrendo al pubblico un magnifico viaggio nel mondo di Mastroianni. Non solo scatti iconici dai suoi film, ma soprattutto il suo sguardo e la sua quotidianità colti dall’obiettivo di tanti fotografi di scena in circa 150 immagini, anche inedite, e una raccolta di filmati in cui sarà possibile riascoltare Marcello Mastroianni mentre parla di sé, di Fellini e del suo rapporto con il cinema e con i ‘suoi’ registi, ma anche delle sue passioni, delle donne e quell’ossessione dell’immagine del latin lover dalla quale non riusciva a liberarsi. Lungo il percorso di un originale allestimento ‘diffuso’ nell’Isola uno straordinario omaggio veneziano che – come spiega Laura Delli Colli, Presidente dei Giornalisti Cinematografici –diventa «l’occasione per un’incursione nella vita e nel cinema di un protagonista che attraverso i suoi personaggi ha unito al fascino di un’indolenza leggiadra il suo feeling speciale, nella vita come sulla scena, con le donne, sì, ma soprattutto con il suo pubblico».
ENG A n amazing roundup of film, passion, and talent dedicated to the most international of Italian actors, Marcello Matroianni, on the 100th year of his birth. The exhibition, curated by Laura Delli Colli, opened last August 30 at San Servolo Island and is a collection of archive material from the Cineteca Nazionale, the Italian national archive of film, and will offer a wonderful journey into Matroianni’s world. Movie stills, his art, his daily life in pictures taken by the many stage photographers who worked with him as well as footage of the actor talking about himself, Fellini, and ‘his’ filmmakers as well as his passions, the women in his life, and that Latin lover aura he just couldn’t shake off.
M arcello, come here... Cent’anni e oltre cento volte Mastroianni
3 0 agosto-9 gennaio 2025 Isola di San Servolo www.fondazionecsc.it
Inaugurata nel 2017, Venice Immersive rappresenta la prima competizione di opere in Extended Reality realizzata in un festival internazionale, sezione interamente dedicata ai media immersivi che quest’anno presenterà ben 63 progetti tra installazioni, film interattivi e uso della realtà virtuale.
La programmazione di quest’anno propone una selezione molto varia divisa in tre sezioni: 26 progetti in Concorso, 30 in Fuori Concorso, che sono a loro volta suddivisi in Best of Experience e Best of Worlds, e 7 opere sviluppate nel corso di Biennale College Cinema – Immersive, percorso riservato a cineasti e creativi esordienti per lo sviluppo di progetti di realtà virtuale. In questa edizione gli artisti ci presentano formati che vanno oltre la semplice proiezione, facendoci immergere completamente nel mondo virtuale. Un interessante esempio è Mammary Mountain che, attraverso speciali indumenti e una poltrona sensoriale, esplora la malattia all’interno del corpo durante il cancro al seno. Anche l’installazione Ceci est mon cœur di Stéphane Hueber-Blies e Nicolas Blies utilizza tute aptiche, accompagnandoci in un percorso di abbandono del senso di colpa, verso la riscoperta dell’amore per noi stessi. A condurci in un altro viaggio è 40 dias sem o sol di Joao Furia che segue il percorso emotivo di una famiglia dopo un evento traumatico. Queste installazioni ci dimostrano come la realtà virtuale, oltre a portarci alla scoperta di nuovi mondi, sia in grado di farci comprendere meglio noi stessi proponendo temi dalla potenza intima e delicata, capace di indurre a una riflessione personale. Veronica Triolo ENG O pened in 2017, Venice Immersive is the section of the Venice Film Festival that shows Extended Reality creations and the first such programme in an international film festival. This year, 63 projects made it into the programme: installations, interactive films, and virtual reality creations. Entries are either in the Main Competition, Outside of Competition, or part of the Biennale College Cinema production, the Biennale’s fellowship programme for up-and-coming filmmakers. The projects we will see are more than a simple ‘screening’, but are rather a full immersion into a virtual world. One example is Mammary Mountain, which will make you wear special clothing and sit in a sensorial chair to explore disease from within: breast cancer. Installation Ceci est mon cœur by Stéphane Hueber-Blies and Nicolas Blies uses haptic clothing to accompany us in a journey of freedom from guilt and discovery of self-appreciation. João Furia’s 40 days without the sun follows a family after a traumatic event.
Venice Immersive 28 agosto-7 settembre Isola del Lazzaretto Vecchio
di Michael Premo
È una storia tutta americana quella che il giornalista, regista e artista Michael Premo offre in questo agghiacciante ritratto documentaristico dello stato della politica statunitense. Nell’estate del 2020, tre attivisti di estrema destra provenienti da diversi background si imbarcano in un viaggio per seguire la campagna elettorale di Donald Trump, dando vita a un movimento tuttora in crescita che rischia di condurre alla deriva la democrazia americana.
Michael Premo è giornalista, regista e artista americano. Ha diretto il pluripremiato cortometraggio e la mostra fotografica Water Warriors (POV), che racconta la resistenza di una comunità all’industria del petrolio e del gas. Da allora è stato ritrasmesso centinaia di volte dalle stazioni PBS di tutto il Paese, anche ogni anno a novembre. Ha inoltre co-diretto il documentario partecipativo Sandy Storyline (vincitore del premio della giuria al Tribeca Film Festival).
ENG It is an all-American story that journalist, director, and artist Michael Premo offers in this chilling documentary portrait of the state of U.S. politics. In the summer of 2020, three far-right activists from diverse backgrounds embark on a journey to follow Donald Trump’s election campaign, giving rise to a still-growing movement that threatens to derail American democracy.
Michael Premo is a journalist, filmmaker, and artist. He directed the award-winning short film and photo exhibition Water Warriors (POV), a story about a community’s successful resistance to the oil and gas industry. He also co-directed the participatory documentary Sandy Storyline (Jury Award winner at the Tribeca Film Festival.
Opera prima del regista torinese di origine iraniane e unico film italiano in concorso alla Settimana delle Critica 2024, il lungometraggio segue le vicende di Issa, un immigrato clandestino che, licenziato dal datore di lavoro, si reinventa come rider. La sfortuna è però dietro l’angolo: a pochi giorni dall’acquisto, la sua bicicletta viene rubata e per ritrovarla il protagonista dovrà imbarcarsi in un’estenuante odissea tra le strade torinesi.
ENG F irst film by the Turin director of Iranian origin and the only Italian film in competition at the 2024 Critics’ Week, the feature follows the story of Issa, an undocumented immigrant who, after being fired by his employer, reinvents himself as a delivery rider. However, misfortune is just around the corner: a few days after purchasing his bicycle, it is stolen, and to find it, the protagonist must embark on an exhausting odyssey through the streets of Turin.
di Du’o’ng Diê · u Linh
Mescolando superstizioni popolari del Sud-Est asiatico e crudo realismo, feng shui e riti vudù, la regista vietnamita racconta la storia di Tam, una donna di mezza età che, dopo aver scoperto la relazione extraconiugale del marito in diretta tv, decide di ricondurlo a sé attraverso un oscuro rituale magico. Tuttavia, il potente incantesimo non sortirà l’effetto desiderato, risvegliando le oscure presenze che si annidano nella casa.
ENG M ixing popular superstitions from Southeast Asia with raw realism, feng shui with voodoo rituals, the Vietnamese director tells the story of Tam, a middle-aged woman who, after discovering her husband’s extramarital affair on live tv, decides to win him back through a dark magical ritual. However, the powerful spell does not have the desired effect, awakening the dark presences lurking in the house.
di Federica Di Giacomo
GIORNATE DEGLI AUTORI
Lei è costretta ad accettare le relazioni extraconiugali del marito; lui è un convinto sostenitore della “coppia aperta”, almeno fino a quando a tradire non è lei. Il film mette in scena la tragicomica storia di una coppia di coniugi alla ricerca di nuove forme d’amore, fra cui anche quella di aprire, o meglio di spalancare, la relazione a nuove frequentazioni. Un film sul desiderio di felicità tratto dallo spettacolo di Franca Rame e Dario Fo del 1983, totalmente dissacrante nel parlare della libertà sessuale e sentimentale della donna in una società borghese in cui il tradimento è consentito solo all’uomo.
Autrice, regista e operatrice, Federica Di Giacomo con Liberami ha vinto nel 2016 il Premio Orizzonti per il Miglior Film alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2021 ha presentato Il Palazzo alle Giornate degli Autori, nella sezione Eventi speciali. ENG She is forced to accept her husband’s affair, while he, in turn, is a staunch supporter of ‘open relationship’ – until she is the one to take lovers, that is. A tragicomic story of a married couple looking for new forms of love, including opening – and opening wide – their relationship to new acquaintances. A film on the pursuit of happiness adapted from a 1983 stage play by theatre-and-life-partner Franca Rame and 1997 Nobel Prize laureate Dario Fo. A harsh, ruthless display of the then-common bourgeois tenet of relationships: cheating is tolerated, as long as it is the man doing the cheating.
di Giovanni Dota NOTTI VENEZIANE
La notte di Ferragosto, in un ospedale napoletano, due infermieri scommettono sul destino del signor Caputo, ricoverato in condizioni critiche. Angelo, convinto che il paziente non sopravviverà, accetta la scommessa di Salvatore, il quale tenta di mantenerlo in vita per vincere le ferie natalizie. Tra manovre sleali e situazioni grottesche, si sviluppa una commedia dark che riflette la tradizione italiana esplorando i limiti morali e l’assurdità umana.
ENG O n the night of the 15th of August (a holiday in Italy), in a Neapolitan hospital two nurses place a bet on the fate of Mr. Caputo, who has been admitted in critical condition. Angelo, convinced that the patient won’t survive, accepts the bet from Salvatore, who tries to keep him alive to win the Christmas holidays. Amid underhanded tactics and grotesque situations, a dark comedy unfolds that reflects Italian tradition while exploring moral limits and human absurdity.
di Laura Citarella MIU MIU WOMEN’S TALES
Quella che sembrava un’idea originale (portare un evento di moda internazionale in una piccola città della Pampa argentina) ha finito per diventare una vicenda misteriosa, con una modella che sembra essere svanita nel nulla e che continua a disseminare piccoli indizi qua e là tra le immense pianure. Eppure niente è troppo strano per il commissario Sirota e un team particolare che comprende una chiaroveggente e una leggendaria detective di Santa Rosa. Si tratta di un caso di polizia oppure qualcuno le sta prendendo in giro?
ENG W hat seemed like an original idea (bringing an international fashion event to a small town in the Argentine Pampas) ended up becoming a mysterious affair, with a model who seems to have vanished into thin air and who keeps scattering little clues here and there across the vast plains. Yet nothing is too strange for Commissioner Sirota and a particular team that includes a clairvoyant and a legendary Santa Rosa detective. Is this a police case or is someone pulling their leg?
19.04 / 24.11
Produced by Qatar Museums Co-organized by the Doha Film Institute, Mathaf and the Art Mill Museum In collaboration with ACP Art Capital Partners
Le realtà aumentate
Perché la notte appartiene al cinema
Tornano le Notti Veneziane, la finestra annuale delle Giornate degli Autori realizzata in accordo con Isola Edipo e dedicata al cinema italiano.
Al centro della selezione di quest’anno c’è la volontà di mostrare la poliedricità del cinema come linguaggio espressivo che, a seconda dei contesti, si fa spazio narrativo, strumento d’indagine della realtà, mezzo per ricostruire frammenti di vita.
Sei documentari e tre film di finzione tratteggiano il profilo composito ed eclettico di un presente all’interno del quale sono i luoghi a fare da detonatori dei racconti. Accade così con gli studi di produzione e progettazione della Marechiaro Film in L’occhio della gallina di Antonietta De Lillo, all’interno dei quali la regista ricostruisce la propria vicenda legale e giudiziaria nell’affaire Il resto di niente, suo ultimo film di finzione datato 2004, mettendo in luce le contraddizioni del sistema produttivo e distributivo italiano. Vale lo stesso per la Palermo di Bosco grande di Giuseppe Schillaci, che raccoglie, coltiva e racconta la storia di Salvatore Spatola detto Sergione, uomo (troppo) grande, leggero di animo e sguardo, che incarna letteralmente il corpo del proprio quartiere e delle sue genti. Lo studio dell’artista autodidatta Antonia Mosca alias Isabella Ducrot in Tenga duro, signorina! di Monica Stambrini, si fa teatro di connessioni con gallerie internazionali di primissimo piano da Stoccolma a Oslo, passando per Londra e New York: tra le pareti di un quartier generale cosparso di colori a tempera, si racconta la biografia di una delle più interessanti artiste italiane contemporanee. Fuori da queste stanze/studi/città, si spalanca il mondo. Troviamo la Cambogia e il Vietnam in Vakhim di Francesca Pirani, racconto in presa diretta dell’adozione di un bambino, il figlio della regista, avvenuto vent’anni fa. È poi la volta di A Man Fell di Giovanni C. Lorusso, ritratto intercostale delle rovine del nostro tempo raccolte tra i calcinacci degli 11 piani dell’ex-ospedale OLP ora rifugio per profughi della Striscia di Gaza nel campo libanese di Sabra. Si procede poi tra le stanze di un reparto ospedaliero immerso nel caldo agostano di Napoli con La scommessa di Giovanni Dota, black comedy resa vibrante dalla bravura della coppia composta da Carlo Buccirosso e Lino Musella, accompagnati da Iaia Forte, che scommettono sulla vita e la morte dei ricoverati. Accanto a questi due lavori troviamo un autore centrale nello scenario del cinema indipendente italiano ed europeo come Fabrizio Ferraro, che con Desert Suite firma una visione del presente in cui pensiero e racconto si fondono in un movimento visivo profondamente articolato.
A sub-programme of the Venice Days events, Venice Nights, will be dedicated to Italian film. The programme’s line-up focuses on the diverse nature of film as an expressive language: narrational space, investigation tool, means to rebuild fragments of life, and includes the following, among others. Antonietta De Lillo’s L’occhio della gallina (lit. ‘the chicken’s eye’) is the reconstruction of the filmmaker’s legal incident following the release of her 2004 feature, Il resto di niente. Tenga duro, signorina! (lit. ‘hold tight, young lady!’) by Monica Stambrini is a biopic of one of the most important modern Italian female artists. Cambogia and Vietnam are featured in Francesca Pirani’s Vakhim, a real-life diary of the adoption of a child, the filmmaker’s own. A Man Fell, by Giovanni C. Lorusso, is a portrait of the ruins of modernity—those of the former PLO hospital and now refugee camp.
N otti Veneziane 28 agosto-7 settembre www.giornatedegliautori.com
Spazio iconico della Mostra del Cinema, il progetto Isola Edipo torna in laguna dal 28 agosto al 7 settembre in occasione della 81. Mostra del Cinema di Venezia. Rassegna dedicata a cinema, arte, cultura e cibo all’insegna dei diritti e della sostenibilità, nasce attorno all’Edipo Re, la storica barca a vela che ospitò Pier Paolo Pasolini e Maria Callas, oggi trasformata da Sybille Righetti, Enrico Vianello e Silvia Jop in un vero e proprio laboratorio creativo, protagonista di esperienze di innovazione sociale e ambientale che promuovono attività artistiche e culturali.
Cuore del progetto è il Premio Inclusione e Sostenibilità Edipo Re, riconoscimento collaterale ufficiale di Biennale Cinema con la direzione artistica di Silvia Jop, nato per sostenere la distribuzione nelle sale italiane di opere cinematografiche dall’alto spessore culturale e artistico, capaci di diffondere uno sguardo inclusivo e sostenibile sia da un punto di vista sociale che ambientale. La selezione si articola in dodici titoli provenienti dalle quattro principali sezioni con concorso della Mostra del Cinema (Concorso Internazionale, Orizzonti, Settimana della Critica, Giornate degli Autori), con una giuria ufficiale quest’anno composta dalla scrittrice Francesca D’Aloja, dalla regista Federica Di Giacomo (Premio Orizzonti nel 2016) e dalla montatrice Esmeralda Calabria.
Nei giorni della Mostra, oltre al Premio, Isola Edipo presenta anche un palinsesto ricco di eventi che avranno come scenario la barca, Riva Corinto con la nuova MYmovies Arena e la sala Laguna. Titolo dell’edizione di quest’anno, dedicata al centenario di Franco Basaglia, è La libertà è terapeutica, scritta che regna sulle pareti dell’ex ospedale psichiatrico liberato di Trieste da inizio anni ’70.
Isola Edipo in occasione di Venezia 81 diventa teatro della medesima coesione tra saperi e sguardi, come testimonia l’attesissimo progetto Soundwalk Collective & Patti Smith Correspondences, programma artistico di cinque giorni nel cuore della laguna: Patti Smith e Stephan Crasneanscki hanno intitolato i brani dell’EP Correspondences Vol. 1 proprio Pasolini e Medea, viaggi audiovisivi che provocano riflessioni e conversazioni attorno al cinema e alla poesia. Il legame tra la cantautrice, poetessa, fotografa e pittrice Patti Smith e Pier Paolo Pasolini è profondo ed è nato attraverso il cinema, come avrà modo di scoprire il pubblico della Mostra dalla viva voce della sacerdotessa del rock. Dal 29 agosto all’1 settembre, in Sala Laguna, spazio curato da Isola Edipo in collaborazione con le Giornate degli Autori, saranno proiettati Medea di Pier Paolo Pasolini con Maria Callas e Andrei Rublev di Andrei Tarkovsky, che svelano le ispirazioni di Correspondences Il 31 agosto sempre in Sala Laguna spazio ad una masterclass su prenotazione di Patti Smith e Stephan Crasneanscki, che si confronteranno sul processo creativo audiovisivo di Correspondences
ENG Iconic space at the Venice Film Festival, Isola Edipo is back in town until September 7. Its programme is dedicated to cinema, art, culture, and food, and was born aboard Edipo Re, a historical sailing vessel that once welcomed, among others, Maria Callas, and is today a creative workshop for social and environmental innovation and experience. Isola Edipo, run by Sybille Righetti, Enrico Vianello, and Silvia Jop, awards films that embrace inclusivity and sustainability from both a social and environmental point of view. The twelve nominees have been picked from all section of the official Venice Film Festival line-up, and the awarding jury will consist of author Francesca D’Aloja, filmmaker Federica Di Giacomo, and film editor Esmeralda Calabria.
I sola Edipo
28 agosto-7 settembre Riva Corinto www.isolaedipo.it
Lights! Camera! Impact! è un evento ideato e organizzato da The Human Safety Net ospitato negli spazi de La Casa di The Human Safety Net, alle Procuratie Vecchie di Piazza San Marco il prossimo 2 settembre alle 17 (prenotazioni: events@thehumansafetynet.org).
Si tratta della seconda edizione di un’iniziativa che, nata nell’ambito della Mostra del Cinema di Venezia, è dedicata ai registi, attori, narratori, produttori che hanno deciso di mettere il proprio talento e le proprie risorse al servizio dei grandi temi dell’inclusione sociale e della sostenibilità, tematiche di largo respiro a cui il cinema si presta ben volentieri come cassa di risonanza per raccontare, informare, sensibilizzare e sostenere il lavoro di tutti gli individui e le organizzazioni che sono al lavoro sul campo e per costruire insieme un mondo sempre più inclusivo. Ospiti di quest’anno tra gli altri, il regista americano Stephen Gyllenhaal, padre di Jake e Maggie, la regista Yasemin S , amdereli, Isabelle Giordano, a capo della BNP Paribas Foundation e Corporate Philanthropy, e la sceneggiatrice Misan Sagay membro della giuria che assegnerà anche quest’anno l’Impact Award all’opera cinematografica che ha meglio affrontato i temi dell’inclusione e della sostenibilità, premio vinto lo scorso anno, nella sua prima edizione, da Io Capitano di Matteo Garrone. L’evento è nell’ambito dell’agenda di Impact Leaders, l’incontro organizzato da Impact Europe che accoglierà alla Casa di The Human Safety Net tra i 150 leader a livello globale attivi nel campo della venture philantropy e degli investimenti orientati a produrre un cambiamento positivo nella società.
L ights! Camera! Impact!
2 settembre La Casa di The Human Safety Net www.thehumansafetynet.org
27
martedìTuesday
Sala Darsena h. 20.30
CERIMONIA DI PREAPERTURA – INVITI IN COLLABORAZIONE CON I QUOTIDIANI DI VENEZIA a seguire
VENEZIA CLASSICI – FILM DI PREAPERTURA
L’ORO DI NAPOLI di VITTORIO DE SICA (Italia, 137’)
28
mercoledìWednesday
Sala Perla h. 13.45
GIORNATE DEGLI AUTORI – EVENTI SPECIALI SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE COPPIA APERTA QUASI SPALANCATA di FEDERICA DI GIACOMO (Italia, 120’)
Sala Darsena h. 16
ORIZZONTI – FILM DI APERTURA NONOSTANTE di VALERIO MASTANDREA (Italia, 93’)
Sala Perla h. 17
GIORNATE DEGLI AUTORI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE SUPER HAPPY FOREVER di KOHEI IGARASHI (Francia, Giappone, 94’)
Sala Grande h. 19
CERIMONIA DI APERTURA – INVITI a seguire
CERIMONIA DI PREMIAZIONE DEL LEONE D’ORO ALLA CARRIERA A SIGOURNEY WEAVER a seguire
FUORI CONCORSO – FILM DI APERTURA BEETLEJUICE BEETLEJUICE di TIM BURTON (USA, UK, 104’)
PalaBiennale h. 19
DIRETTA CERIMONIA DI APERTURA
FUORI CONCORSO – FILM DI APERTURA BEETLEJUICE BEETLEJUICE di TIM BURTON (USA, UK, 104’)
29 giovedìThursday
Sala Casinò h. 9
ORIZZONTI – CORTI F II – LO STUPORE DEL MONDO di ALESSANDRO RAK (Italia, 6’) Animazione WHO LOVES THE SUN di ARSHIA SHAKIBA (Canada, 19’)
MINHA MÃE É UMA VACA (MY MOTHER IS A COW) di MOARA PASSONI (Brasile, 15’)
THREE KEENINGS di OLIVER MCGOLDRICK (UK, Irlanda, USA, 10’) SHADOWS di RAND BEIRUTY (Francia, Giordania, 12’) Animazione
JAMES di ANDRES RODRÍGUEZ (Guatemala, Messico, 20’)
O di RÚNAR RÚNARSSON (Islanda, Svezia, 20’)
Sala Corinto h. 11.15
VENEZIA CLASSICI – FILM DI PREAPERTURA L’ORO DI NAPOLI di VITTORIO DE SICA (Italia, 137’)
Sala Perla h. 13.15
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC
EVENTO SPECIALE
CORTOMETRAGGIO DI APERTURA – V.M. 14
SEGUE Q&A DOPO LE PROIEZIONI DARK GLOBE di DONATO SANSONE (Italia, Francia, 3’)
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC
EVENTO SPECIALE
CORTOMETRAGGIO DI APERTURA THE EGGREGORES’ THEORY di ANDREA GATOPOULOS (Italia, 15’)
SETTIMANA DELLA CRITICA – EVENTO SPECIALE
FILM DI APERTURA
PLANET B di AUDE LÉA RAPIN (Francia, Belgio, 119’)
Sala Darsena h. 13.45
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE POOJA, SIR di DEEPAK RAUNIYAR (Nepal, USA, Norvegia, 115’)
Sala Grande h. 14
FUORI CONCORSO – NON FICTION SEPARATED di ERROL MORRIS (USA, Messico, 93’)
Sala Corinto h. 14.15
PRESENTAZIONE VENEZIA CLASSICI
A HORA E VEZ DE AUGUSTO MATRAGA (THE HOUR AND THE TURN OF AUGUSTO MATRAGA) di ROBERTO SANTOS (Brasile, 114’)
Sala Casinò h. 14.30
ORIZZONTI – CORTI – V.M. 14 MOON LAKE di JEANNIE SUI WONDERS (USA, 12’) NEREDEYSE KESINLIKLE YANLIS ¸ (ALMOST CERTAINLY FALSE) di CANSU BAYDAR (Turchia, 20’) IL BURATTINO E LA BALENA di ROBERTO CATANI (Francia, Italia, 8’) Animazione NIME BAZ, NIME BASTEH (AJAR) di ATEFEH JALALI (Iran, 12’) MARION di JOE WEILAND, FINN CONSTANTINE (UK, Francia, 13’)
DUYAO MAO (THE POISON CAT) di TIAN GUAN (Cina, 18’) RENÉ VA ALLA GUERRA di LUCA FERRI, MORGAN MENEGAZZO, MARIACHIARA PERNISA (Italia, 18’)
PalaBiennale h. 15
FUORI CONCORSO – PROIEZIONI SPECIALI LEOPARDI IL POETA DELL’INFINITO (Parte 1 e 2) di SERGIO RUBINI (Italia, 245’)
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Sala Grande h. 16.15
FUORI CONCORSO – SERIES – V.M. 14 DISCLAIMER ( Capitoli 1 – 4) di ALFONSO CUARÓN (UK, USA, 181’)
Sala Darsena h. 16.45
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE QUIET LIFE di ALEXANDROS AVRANAS (Francia, Germania, Svezia, Grecia, Estonia, Finlandia, 99’)
Sala Casinò h. 17
FUORI CONCORSO – NON FICTION APOCALYPSE IN THE TROPICS di PETRA COSTA (Brasile, USA, Danimarca, 110’)
Sala Corinto h. 17
PRESENTAZIONE VENEZIA CLASSICI DOCUMENTARI SUL CINEMA CHAIN REACTIONS di ALEXANDRE O. PHILIPPE (USA, 103’)
Sala Perla h. 17
GIORNATE DEGLI AUTORI SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE SANATORIUM UNDER THE SIGN OF THE HOURGLASS di STEPHEN QUAY, TIMOTHY QUAY (UK, Polonia, Germania, 76’)
Sala Giardino h. 18
FUORI CONCORSO – NON FICTION RIEFENSTAHL di ANDRES VEIEL (Germania, 116’)
Sala Grande h. 19.45
VENEZIA 81
MARIA di PABLO LARRAÍN (Italia, Germania, USA, 125’)
PalaBiennale h. 20
VENEZIA 81
MARIA di PABLO LARRAÍN (Italia, Germania, USA, 125’) a seguire
VENEZIA 81
EL JOCKEY (KILL THE JOCKEY) di LUIS ORTEGA (Argentina, Spagna, 96’)
Sala Giardino h. 21
ORIZZONTI EXTRA – FILM DI APERTURA
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE SEPTEMBER 5 di TIM FEHLBAUM (Germania, 93’)
Sala Grande h. 22.15
VENEZIA 81
EL JOCKEY (KILL THE JOCKEY) di LUIS ORTEGA (Argentina, Spagna, 96’)
Circuito Cinema in Mostra
Multisala Rossini, Venezia IMG Cinemas Candiani, Mestre h. 16
GIORNATE DEGLI AUTORI – FILM D’APERTURA SUPER HAPPY FOREVER di KOHEI IGARASHI (Francia, Giappone, 94’)
h. 18.30
GIORNATE DEGLI AUTORI
EVENTO SPECIALE – V.M. 14
COPPIA APERTA QUASI
SPALANCATA di FEDERICA DI GIACOMO (Italia, 120’)
h. 21
FUORI CONCORSO
BEETLEJUICE BEETLEJUICE di TIM BURTON (USA, UK, 104’)
venerdì Friday
Sala Giardino h. 9
ORIZZONTI EXTRA – FILM DI APERTURA SEPTEMBER 5 di TIM FEHLBAUM (Germania, 93’)
Sala Astra 1 h. 9
FUORI CONCORSO – NON FICTION RIEFENSTAHL di ANDRES VEIEL (Germania, 116’)
Sala Perla h. 10.45
GIORNATE DEGLI AUTORI
EVENTI SPECIALI – V.M. 14
KORA di CLÁUDIA VAREJÃO (Portogallo, 28’)
GIORNATE DEGLI AUTORI - EVENTI SPECIALI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE
SOUDAN, SOUVIENS-TOI (SUDAN, REMEMBER US) di HIND MEDDEB (Francia, Tunisia, Qatar, 76’)
Sala Corinto h. 11 PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI LA PEAU DOUCE (LA CALDA AMANTE) di FRANÇOIS TRUFFAUT (Francia, 117’)
Sala Astra 1 h. 11.30
FUORI CONCORSO – NON FICTION APOCALYPSE IN THE TROPICS di PETRA COSTA (Brasile, USA, Danimarca, 110’)
Sala Perla h. 13.30
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC IN CONCORSO – V.M. 14
SEGUE Q&A DOPO LE PROIEZIONI PLAYING GOD di MATTEO BURANI (Italia, 9’) SETTIMANA DELLA CRITICA HOMEGROWN di MICHAEL PREMO (USA, 109’)
Pala Biennale h. 13.45
ORIZZONTI QUIET LIFE di ALEXANDROS AVRANAS (Francia, Germania, Svezia, Grecia, Estonia, Finlandia, 99’)
Sala Grande h. 13.50
FUORI CONCORSO – NON FICTION ONE TO ONE: JOHN & YOKO di KEVIN MACDONALD, SAM RICEEDWARDS (UK, 100’)
Sala Darsena h. 14
ORIZZONTI SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE DICIANNOVE di GIOVANNI TORTORICI (Italia, UK 109’)
Sala Astra 2 h. 14
VENEZIA CLASSICI – DOCUMENTARI SUL CINEMA CHAIN REACTIONS di ALEXANDRE O. PHILIPPE (USA, 103’)
Sala Corinto h. 14.15
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI LA NOTTE di MICHELANGELO ANTONIONI (Italia/Francia, 125’)
Sala Astra 1 h. 14.30
VENEZIA CLASSICI
A HORA E VEZ DE AUGUSTO MATRAGA (THE HOUR AND THE TURN OF AUGUSTO MATRAGA) di ROBERTO SANTOS (Brasile, 114’)
Sala Casinò h. 15
FUORI CONCORSO – NON FICTION
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE ISRAEL PALESTINA PÅ SVENSK TV 1958-1989 (ISRAEL PALESTINE ON SWEDISH TV 1958-1989) di GÖRAN HUGO OLSSON (Svezia, Finlandia, Danimarca, 202’
Sala Grande h. 16
FUORI CONCORSO – SERIES – V.M. 14
DISCLAIMER ( Capitoli 5 – 7) di ALFONSO CUARÓN (UK, USA, 148’)
Pala Biennale h. 16
FUORI CONCORSO – SERIES – V.M. 14
DISCLAIMER ( Capitoli 1 – 4) di ALFONSO CUARÓN (UK, USA, 181’)
Sala Perla h. 16.30
GIORNATE DEGLI AUTORI – FILM DI CHIUSURA
FUORI CONCORSO – V.M. 14
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE ANTIKVARIATI (THE ANTIQUE) di RUSUDAN GLURJIDZE (Georgia, Svizzera, Finlandia, Germania 132’)
Sala Darsena h. 16.45
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE MARCO di AITOR ARREGI, JON GARAÑO (Spagna, 101’)
Sala Giardino h. 17
BIENNALE COLLEGE CINEMA
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE THE FISHERMAN di ZOEY MARTINSON (Ghana, 105’)
Sala Corinto h. 17
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI DOCUMENTARI SUL CINEMA CARLO MAZZACURATI
UNA CERTA IDEA DI CINEMA di ENZO MONTELEONE, MARIO CANALE (Italia, 96’)
Sala Volpi h. 17
FUORI CONCORSO – NON FICTION SEPARATED di ERROL MORRIS (USA, Messico, 93’)
Sala Astra 2 h. 17
ORIZZONTI POOJA, SIR di DEEPAK RAUNIYAR (Nepal, USA, Norvegia 118’)
Sala Astra 1 h. 17.15
ORIZZONTI
POOJA, SIR di DEEPAK RAUNIYAR (Nepal, USA, Norvegia, 118’)
Sala Grande h. 19
VENEZIA 81 – V.M. 14
BABYGIRL di HALINA REIJN (USA, 114’)
Sala Corinto h. 19.15
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC
EVENTO SPECIALE
CORTOMETRAGGIO DI APERTURA – V.M. 14
DARK GLOBE di DONATO SANSONE (Italia, Francia, 3’)
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC
EVENTO SPECIALE
CORTOMETRAGGIO DI APERTURA
THE EGGREGORES’ THEORY di ANDREA GATOPOULOS (Italia, 15’)
SETTIMANA DELLA CRITICA
EVENTO SPECIALE – FILM DI APERTURA
PLANET B di AUDE LÉA RAPIN (Francia, Belgio 119’)
Sala Astra 2 h. 19.45
FUORI CONCORSO – NON FICTION SEPARATED di ERROL MORRIS (USA, Messico, 93’)
PalaBiennale h. 20
VENEZIA 81 – V.M. 14
BABYGIRL di HALINA REIJN (USA, 114’) a seguire
VENEZIA 81
TROIS AMIES
di EMMANUEL MOURET (Francia, 117’)
Sala Astra 1 h. 20
FUORI CONCORSO – NON FICTION
ISRAEL PALESTINA PÅ SVENSK TV 1958-1989 (ISRAEL PALESTINE ON SWEDISH TV 1958-1989)
di GÖRAN HUGO OLSSON (Svezia, Finlandia, Danimarca, 202’)
Sala Giardino h. 21
ORIZZONTI EXTRA SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE VITTORIA
di ALESSANDRO CASSIGOLI, CASEY KAUFFMAN (Italia, 80’)
Sala Grande h. 21.30
VENEZIA 81
TROIS AMIES
di EMMANUEL MOURET (Francia, 117’)
Sala Astra 2 h. 21.45
FUORI CONCORSO – NON FICTION SEPARATED
di ERROL MORRIS (USA, Messico, 93’)
Sala Grande h. 24
FUORI CONCORSO
CLOUD
di KIYOSHI KUROSAWA (Giappone, 124’)
Circuito Cinema in Mostra
Multisala Rossini, Venezia IMG Cinemas Candiani, Mestre h. 16
ORIZZONTI EXTRA SEPTEMBER 5
di TIM FEHLBAUM (Germania, 90’)
h. 16.30
ORIZZONTI POOJA, SIR di DEEPAK RAUNIYAR (Nepal, USA, Norvegia, 115’)
h. 18.30
VENEZIA 81
EL JOCKEY
di LUIS ORTEGA (Argentina, Spagna, 96’)
h. 19
SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA
EVENTO SPECIALE FILM D’APERTURA – V.M. 14
PLANÈTE B
di AUDE LÉA RAPIN (Francia, Belgio, 118’)
h. 21
VENEZIA 81
MARIA di PABLO LARRAÍN (Italia, Germania, USA, 124’)
h. 21.30
ORIZZONTI
QUIET LIFE di ALEXANDROS AVRANAS (Francia, Germania, Svezia, Grecia, Estonia, Finlandia, 99’)
31 sabato Saturday
Sala Giardino h. 9
ORIZZONTI EXTRA VITTORIA di ALESSANDRO CASSIGOLI, CASEY KAUFFMAN (Italia, 80’)
Sala Astra 1 h. 9
BIENNALE COLLEGE CINEMA THE FISHERMAN di ZOEY MARTINSON (Ghana, 105’)
Sala Astra 2 h. 9
FUORI CONCORSO – NON FICTION ISRAEL PALESTINA PÅ SVENSK TV 1958-1989 (ISRAEL PALESTINE ON SWEDISH TV 1958-1989) di GÖRAN HUGO OLSSON (Svezia, Finlandia, Danimarca, 202’)
Sala Corinto h. 11
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI THE BIG HEAT (IL GRANDE CALDO) di FRITZ LANG (USA, 90’)
Sala Astra 1 h. 11.15
VENEZIA CLASSICI LA PEAU DOUCE (LA CALDA AMANTE) di FRANÇOIS TRUFFAUT (Francia, 117’)
Sala Perla h. 13.30
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC IN CONCORSO
SEGUE Q&A DOPO LE PROIEZIONI AT LEAST I WILL BE 8 294 400 PIXEL di MARCO TALARICO (Italia, 15’)
SETTIMANA DELLA CRITICA PEACOCK di BERNHARD WENGER (Austria, Germania, 102’)
Sala Grande h. 14
FUORI CONCORSO – NON FICTION WHY WAR di AMOS GITAI (Francia, Svizzera, Italia, 90’)
Sala Astra 2 h. 14
VENEZIA CLASSICI
DOCUMENTARI SUL CINEMA
CARLO MAZZACURATI
UNA CERTA IDEA DI CINEMA di ENZO MONTELEONE, MARIO CANALE (Italia, 96’)
Sala Darsena h. 14.15
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE WISHING ON A STAR di PÉTER KEREKES (Italia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Austria, Croazia, Taipei, 99’)
PalaBiennale h. 14.15
ORIZZONTI
MARCO di AITOR ARREGI, JON GARAÑO (Spagna, 101’)
Sala Astra 1 h. 14.15
VENEZIA CLASSICI
LA NOTTE di MICHELANGELO ANTONIONI (Italia/Francia,125’)
Sala Corinto h. 14.30
PRESENTAZIONE – FUORI CONCORSO PROIEZIONI SPECIALI – V.M. 14
BEAUTY IS NOT A SIN di NICOLAS WINDING REFN (Italia, Danimarca, 7’)
VENEZIA CLASSICI
PUSHER di NICOLAS WINDING REFN (Danimarca, 109’)
Sala Casinò h. 15
FUORI CONCORSO – SERIES FAMILIER SOM VORES (FAMILIES LIKE OURS) ( Ep. 1 – 4) di THOMAS VINTERBERG (Danimarca, Francia, Svezia, Repubblica Ceca, Belgio, Norvegia, Germania, 195’)
Sala Grande h. 16
VENEZIA 81
LEURS ENFANTS APRÈS EUX di LUDOVIC BOUKHERMA, ZORAN BOUKHERMA (Francia, 146’)
Sala Perla h. 16.30
GIORNATE DEGLI AUTORI
MIU MIU WOMEN’S TALES
SEGUE Q&A DOPO LE PROIEZIONI I AM THE BEAUTY OF YOUR BEAUTY, I AM THE FEAR OF YOUR FEAR
di CHUI MUI TAN (Malesia, Italia, 21’)
GIORNATE DEGLI AUTORI
MIU MIU WOMEN’S TALES
EL AFFAIRE MIU MIU di LAURA CITARELLA (Argentina, 26’)
GIORNATE DEGLI AUTORI BOOMERANG
di SHAHAB FOTOUHI (Germania, Iran, 83’)
Sala Darsena h. 16.45
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE MON INSÉPARABLE di ANNE-SOPHIE BAILLY (Francia, 95’)
Sala Volpi h. 16.45
FUORI CONCORSO – NON FICTION ONE TO ONE: JOHN & YOKO di KEVIN MACDONALD, SAM RICEEDWARDS (UK, 100’)
PalaBiennale h. 17
FUORI CONCORSO – SERIES – V.M. 14 DISCLAIMER ( Capitoli 5 – 7) di ALFONSO CUARÓN (UK, USA 148’)
Sala Giardino h. 17
BIENNALE COLLEGE CINEMA
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE JANUÁR 2 (JANUARY 2) di ZSÓFIA SZILÁGYI (Ungheria, 87’)
Sala Astra 2 h. 17
ORIZZONTI DICIANNOVE di GIOVANNI TORTORICI (Italia, UK 109’)
Sala Corinto h. 17.15
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI
DOCUMENTARI SUL CINEMA
MIYAZAKI, L’ESPRIT DE LA NATURE di LEO FAVIER (Francia, 84’)
Sala Astra 1 h. 17.15
ORIZZONTI DICIANNOVE di GIOVANNI TORTORICI (Italia, UK 109’)
Sala Grande h. 19
VENEZIA 81
CAMPO DI BATTAGLIA di GIANNI AMELIO (Italia, 104’)
Sala Corinto h. 19.30
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC IN CONCORSO – V.M. 14
PLAYING GOD di MATTEO BURANI (Italia, 9’)
SETTIMANA DELLA CRITICA HOMEGROWN di MICHAEL PREMO (USA, 109’)
Sala Astra 2 h. 19.30
FUORI CONCORSO – NON FICTION ONE TO ONE: JOHN & YOKO di KEVIN MACDONALD, SAM RICEEDWARDS (UK, 100’)
PalaBiennale h. 20
VENEZIA 81
CAMPO DI BATTAGLIA di GIANNI AMELIO (Italia, 104’) a seguire
VENEZIA 81
THE ORDER di JUSTIN KURZEL (Canada, 116’)
Sala Giardino h. 21
ORIZZONTI EXTRA
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE LA STORIA DEL FRANK E DELLA NINA di PAOLA RANDI (Italia, Svizzera, 105’)
Sala Grande h. 21.30
VENEZIA 81
THE ORDER di JUSTIN KURZEL (Canada, 116’)
Sala Astra 2 h. 22
FUORI CONCORSO – NON FICTION
ONE TO ONE: JOHN & YOKO di KEVIN MACDONALD, SAM RICEEDWARDS (UK, 100’)
Sala Grande h. 24
FUORI CONCORSO
BABY INVASION di HARMONY KORINE (USA, 80’)
Circuito Cinema in Mostra
Multisala Rossini, Venezia
IMG Cinemas Candiani, Mestre h. 16
FUORI CONCORSO
CLOUD di KUROSAWA KIYOSHI (Giappone, 124’)
h. 16.30
GIORNATE DEGLI AUTORI – EVENTO SPECIALE SOUDAN, SOUVIENS-TOI di HIND MEDDEB (Francia, Tunisia, Qatar, 76’)
h. 18.30
VENEZIA 81 – V.M. 14
BABYGIRL di HALINA REIJN (USA, 114’) h. 19
SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA V.M. 14
HOMEGROWN di MICHAEL PREMO (USA, 109’) h. 21
VENEZIA 81
TROIS AMIES di EMMANUEL MOURET (Francia, 118’) h. 21.30
ORIZZONTI MARCO di AITOR ARREGI, JON GARAÑO (Spagna, 101’)
Set Sept 01 domenica Sunday
Sala Giardino h. 9
ORIZZONTI EXTRA LA STORIA DEL FRANK E DELLA NINA di PAOLA RANDI (Italia, Svizzera, 105’)
Sala Astra 1 h. 9
BIENNALE COLLEGE CINEMA JANUÁR 2 (JANUARY 2) di ZSÓFIA SZILÁGYI (Ungheria, 87’)
Sala Astra 2 h. 9
FUORI CONCORSO – SERIES FAMILIER SOM VORES (FAMILIES LIKE OURS) ( Ep. 1 – 4) di THOMAS VINTERBERG (Danimarca, Francia, Svezia, Repubblica Ceca, Belgio, Norvegia,Germania, 195’)
Sala Astra 1 h. 11
VENEZIA CLASSICI
THE BIG HEAT (IL GRANDE CALDO) di FRITZ LANG (USA, 90’,)
Sala Corinto h. 11.15
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI MODEL di FREDERICK WISEMAN (USA, 129’)
Sala Perla h. 11.30
GIORNATE DEGLI AUTORI
EVENTI SPECIALI – V.M. 14
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE PEACHES GOES BANANAS di MARIE LOSIER (Francia, Belgio 73’)
Sala Grande h. 13.45
FUORI CONCORSO SE POSSO PERMETTERMI CAPITOLO II di MARCO BELLOCCHIO (Italia, 30’)
FUORI CONCORSO ALLÉGORIE CITADINE di ALICE ROHRWACHER, JR (Francia, 21’)
Sala Corinto h. 14
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI ECCE BOMBO di NANNI MORETTI (Italia, 104’)
Sala Perla h. 14
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC IN CONCORSO – V.M. 14
SEGUE Q&A DOPO LE PROIEZIONI PHANTOM di GABRIELE MANZONI (Italia, 17’)
SETTIMANA DELLA CRITICA ANYWHERE ANYTIME di MILAD TANGSHIR (Italia, 85’)
Sala Astra 2 h. 14
VENEZIA CLASSICI – DOCUMENTARI SUL CINEMA MIYAZAKI, L’ESPRIT DE LA NATURE di LEO FAVIER (Francia, 84’)
Sala Darsena h. 14.15
ORIZZONTI SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE ANUL NOU CARE N-A FOST (THE NEW YEAR THAT NEVER CAME) di BOGDAN MURES¸ANU (Romania, Serbia, 138’)
PalaBiennale h. 14.30
ORIZZONTI MON INSÉPARABLE di ANNE-SOPHIE BAILLY (Francia, 95’)
Sala Astra 1 h. 14.30
FUORI CONCORSO
PROIEZIONI SPECIALI – V.M. 14
BEAUTY IS NOT A SIN di NICOLAS WINDING REFN (Italia, Danimarca, 7’)
VENEZIA CLASSICI PUSHER di NICOLAS WINDING REFN (Danimarca, 109’)
Sala Grande h. 15
VENEZIA 81 THE BRUTALIST di BRADY CORBET (UK, 215’)
Sala Casinò h. 15
FUORI CONCORSO – SERIES FAMILIER SOM VORES (FAMILIES LIKE OURS) ( Ep. 5 – 7) di THOMAS VINTERBERG (Danimarca, Francia, Svezia, Repubblica Ceca, Belgio, Norvegia, Germania, 150)
Sala Corinto h. 16.45
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI DOCUMENTARI SUL CINEMA FROM DARKNESS TO LIGHT di MICHAEL LURIE, ERIC FRIEDLER (USA, Germania, 108’)
Sala Volpi h. 16.45
FUORI CONCORSO – NON FICTION WHY WAR di AMOS GITAI (Francia, Svizzera, Italia, 90’)
PalaBiennale h. 17
VENEZIA 81
LEURS ENFANTS APRÈS EUX di LUDOVIC BOUKHERMA, ZORAN BOUKHERMA (Francia, 144’)
Sala Giardino h. 17
BIENNALE COLLEGE CINEMA
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE IL MIO COMPLEANNO di CHRISTIAN FILIPPI (Italia, 90’)
Sala Perla h. 17
GIORNATE DEGLI AUTORI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE TO KILL A MONGOLIAN HORSE di XIAOXUAN JIANG (Malesia, USA, Hong Kong, Corea del Sud, Giappone, 98’)
Sala Astra 2 h. 17
ORIZZONTI
WISHING ON A STAR di PÉTER KEREKES
(Italia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Austria, Croazia, Taipei, 99’)
Sala Astra 1 h. 17.15
ORIZZONTI
WISHING ON A STAR di PÉTER KEREKES
(Italia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Austria, Croazia, Taipei, 99’)
Sala Darsena h. 17.30
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE FAMILIA
di FRANCESCO COSTABILE (Italia, 124’)
Sala Grande h. 19
VENEZIA 81
AINDA ESTOU AQUI
(I’M STILL HERE)
di WALTER SALLES (Brasile, Francia 135’)
Sala Corinto h. 19.15
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC IN CONCORSO AT LEAST I WILL BE 8 294 400 PIXEL di MARCO TALARICO (Italia, 15’) SETTIMANA DELLA CRITICA PEACOCK di BERNHARD WENGER (Austria, Germania, 102’)
Sala Astra 2 h. 19.30
FUORI CONCORSO – NON FICTION WHY WAR di AMOS GITAI (Francia, Svizzera, Italia, 87’)
PalaBiennale h. 20
VENEZIA 81
AINDA ESTOU AQUI (I’M STILL HERE) di WALTER SALLES (Brasile, Francia 135’) a seguire FUORI CONCORSO WOLFS di JON WATTS (USA, 108’)
Sala Astra 1 h. 20
FUORI CONCORSO – SERIES FAMILIER SOM VORES (FAMILIES LIKE OURS) ( Ep. 1 – 4) di THOMAS VINTERBERG (Danimarca, Francia, Svezia, Repubblica Ceca, Belgio, Norvegia,Germania, 195’)
Sala Giardino h. 21
ORIZZONTI EXTRA
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE LE MOHICAN di FRÉDÉRIC FARRUCCI (Francia, 87’)
Sala Grande h. 21.45
FUORI CONCORSO WOLFS
di JON WATTS (USA, 108’)
Sala Astra 2 h. 22
FUORI CONCORSO – NON FICTION WHY WAR di AMOS GITAI (Francia, Svizzera, Italia, 87’)
Circuito Cinema in Mostra
Multisala Rossini, Venezia IMG Cinemas Candiani, Mestre
h. 16
FUORI CONCORSO – NON FICTION WHY WAR di AMOS GITAI (Francia, Svizzera, 87’) h. 16.30
ORIZZONTI
WISHING ON A STAR di PÉTER KEREKES (Italia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Austria, Croazia, 99’)
h. 18.30
FUORI CONCORSO
BABY INVASION di HARMONY KORINE (USA, 80’)
h. 19
SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA PEACOCK di BERNHARD WENGER (Austria, Germania, 102’) h. 21
VENEZIA 81
LEURS ENFANTS APRÈS EUX di LUDOVIC BOUKHERMA, ZORAN BOUKHERMA (Francia, 144’) h. 21.30
ORIZZONTI MON INSÉPARABLE di ANNE-SOPHIE BAILLY (Francia, 95’)
02 lunedì Monday
Sala Giardino h. 9
ORIZZONTI EXTRA LE MOHICAN di FRÉDÉRIC FARRUCCI (Francia, 87’)
Sala Astra 1 h. 9
BIENNALE COLLEGE CINEMA IL MIO COMPLEANNO di CHRISTIAN FILIPPI (Italia, 90’)
Sala Astra 2 h. 9
FUORI CONCORSO – SERIES FAMILIER SOM VORES (FAMILIES LIKE OURS) ( Ep. 5 – 7) di THOMAS VINTERBERG (Danimarca, Francia, Svezia, Repubblica Ceca, Belgio, Norvegia, Germania, 150’)
Sala Astra 1 h. 11
VENEZIA CLASSICI MODEL di FREDERICK WISEMAN (USA, 129’)
Sala Corinto h. 11.15
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI JEUX INTERDITS (GIOCHI PROIBITI) di RENÉ CLÉMENT (Francia, 102’)
Sala Perla h. 11.15
GIORNATE DEGLI AUTORI – V.M. 14
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE MANAS di MARIANNA BRENNAND (Brasile, Portogallo, 101’)
PalaBiennale h. 13.30
ORIZZONTI FAMILIA di FRANCESCO COSTABILE (Italia, 124’)
Sala Grande h. 13.45
CERIMONIA DI PREMIAZIONE
LEONE D’ORO ALLA CARRIERA
A PETER WEIR a seguire
FUORI CONCORSO – PROIEZIONI SPECIALI MASTER AND COMMANDER: THE FAR SIDE OF THE WORLD (2003) di PETER WEIR (USA, 138’)
Sala Perla h. 14
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC IN CONCORSO – V.M. 14
SEGUE Q&A DOPO LE PROIEZIONI
THINGS THAT MY BEST FRIEND LOST di MARTA INNOCENTI (Italia, 15’)
SETTIMANA DELLA CRITICA NO SLEEP TILL di ALEXANDRA SIMPSON (USA, Svizzera, 95’)
Sala Astra 2 h. 14
VENEZIA CLASSICI – DOCUMENTARI SUL CINEMA FROM DARKNESS TO LIGHT di MICHAEL LURIE, ERIC FRIEDLER (USA, Germania, 108’)
Sala Darsena h. 14.15
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE MISTRESS DISPELLER di ELIZABETH LO (Cina, USA, 94’)
Sala Corinto h. 14.15
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI BLOOD AND SAND (SANGUE E ARENA) di ROUBEN MAMOULIAN (USA, 125’)
Sala Astra 1 h. 14.15
VENEZIA CLASSICI ECCE BOMBO di NANNI MORETTI (Italia, 104’)
Sala Casinò h. 14.30
FUORI CONCORSO – V.M. 14 PHANTOSMIA
di LAV DIAZ (Filippine, 245’)
PalaBiennale h. 16
VENEZIA 81
THE BRUTALIST
di BRADY CORBET (UK, 215’)
Sala Giardino h. 16.30
BIENNALE COLLEGE CINEMA
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE
MEDOVYI MISIATS (HONEYMOON) di ZHANNA OZIRNA (Ucraina, 84’)
Sala Astra 2 h. 16.30
ORIZZONTI
ANUL NOU CARE N-A FOST (THE NEW YEAR THAT NEVER CAME) di BOGDAN MURES¸ANU (Romania, Serbia, 138’)
Sala Grande h. 16.45
VENEZIA 81 VERMIGLIO di MAURA DELPERO (Italia, Francia, Belgio 119’)
Sala Darsena h. 16.45
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE
HAPPYEND di NEO SORA (Giappone, USA, 112’)
Sala Volpi h. 16.45
FUORI CONCORSO
SE POSSO PERMETTERMI
CAPITOLO II
di MARCO BELLOCCHIO (Italia, 30’)
FUORI CONCORSO
ALLÉGORIE CITADINE
di ALICE ROHRWACHER, JR (Francia, 21’)
Sala Astra 1 h. 16.45
ORIZZONTI
ANUL NOU CARE N-A FOST (THE NEW YEAR THAT NEVER CAME) di BOGDAN MURES¸ANU (Romania, Serbia, 138’)
Sala Corinto h. 17
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI DOCUMENTARI SUL CINEMA VOLONTÉ – L’UOMO DAI MILLE
VOLTI di FRANCESCO ZIPPEL (Italia, 97’)
Sala Perla h. 17
GIORNATE DEGLI AUTORI – V.M. 14
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE
SELON JOY
di CAMILLE LUGAN (Francia, 86’)
Sala Giardino h. 19
EVENTO SPECIALE PRODOTTO DA ONE MORE PICTURES E RAI CINEMA
101% di SERENA CORVAGLIA (20’)
Sala Grande h. 19.15
VENEZIA 81
THE ROOM NEXT DOOR di PEDRO ALMODÓVAR (Spagna, 107’)
Sala Corinto h. 19.30
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC IN CONCORSO – V.M. 14
PHANTOM
di GABRIELE MANZONI (Italia, 17’)
SETTIMANA DELLA CRITICA ANYWHERE ANYTIME di MILAD TANGSHIR (Italia, 85’)
Sala Astra 2 h. 19.30
FUORI CONCORSO
SE POSSO PERMETTERMI
CAPITOLO II
di MARCO BELLOCCHIO (Italia, 30’)
FUORI CONCORSO ALLÉGORIE CITADINE di ALICE ROHRWACHER, JR (Francia, 21’)
PalaBiennale h. 20
VENEZIA 81
THE ROOM NEXT DOOR di PEDRO ALMODÓVAR (Spagna, 107’) a seguire
VENEZIA 81
VERMIGLIO di MAURA DELPERO (Italia, Francia, Belgio 119’)
Sala Astra 1 h. 20
FUORI CONCORSO – SERIES
FAMILIER SOM VORES (FAMILIES LIKE OURS) ( Ep. 5 – 7) di THOMAS VINTERBERG (Danimarca, Francia, Svezia, Repubblica Ceca, Belgio, Norvegia, Germania, 150’)
Sala Giardino h. 21
ORIZZONTI EXTRA
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE KING IVORY di JOHN SWAB (USA, 130’)
Sala Astra 2 h. 21
FUORI CONCORSO SE POSSO PERMETTERMI CAPITOLO II di MARCO BELLOCCHIO (Italia, 30’)
FUORI CONCORSO ALLÉGORIE CITADINE di ALICE ROHRWACHER, JR (Francia, 21’)
Sala Grande h. 21.45
CERIMONIA DI PREMIAZIONE PREMIO CARTIER A CLAUDE LELOUCH
FUORI CONCORSO FINALEMENT di CLAUDE LELOUCH (Francia, 127’)
Circuito Cinema in Mostra
Multisala Rossini, Venezia IMG Cinemas Candiani, Mestre h. 16
VENEZIA 81 THE BRUTALIST di BRADY CORBET (UK, 215’) h. 16.30
ORIZZONTI FAMILIA di FRANCESCO COSTABILE (Italia, 124’) h. 19
SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA ANYWHERE ANYTIME di MILAD TANGSHIR (Italia, 85’) h. 21
VENEZIA 81
AINDA ESTOU AQUI di WALTER SALLES (Brasile, Francia, 135’) h. 21.30
Sala Astra 1 h. 9
BIENNALE COLLEGE CINEMA
MEDOVYI MISIATS (HONEYMOON) di ZHANNA OZIRNA (Ucraina, 84’)
Sala Astra 2 h. 9
FUORI CONCORSO – V.M. 14
PHANTOSMIA di LAV DIAZ (Filippine, 245’)
Sala Corinto h. 11
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI
TOKYO SENSO SENGO HIWAEIGA DE ISHO WO NOKOSHITE
SHINDA OTOKO NO MONOGATARI (THE MAN WHO PUT HIS WILL ON FILM) di NAGISA OSHIMA (Giappone, 94’)
Sala Astra 1 h. 11
VENEZIA CLASSICI
JEUX INTERDITS (GIOCHI PROIBITI) di RENÉ CLÉMENT (Francia, 102’)
Sala Perla h. 11.30
GIORNATE DEGLI AUTORI – EVENTI SPECIALI SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE MOGUC ´ NOST RAJA (POSSIBILITY OF PARADISE) di MLADEN KOVACEVIC (Serbia, 75’)
Sala Perla h. 13.45
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC IN CONCORSO
SEGUE Q&A DOPO LE PROIEZIONI BILLI IL COWBOY (COWBOY BILLI) di FEDE GIANNI (Italia, 15’)
SETTIMANA DELLA CRITICA MU’A TRÊN CÁNH BU’O’M (DON’T CRY, BUTTERFLY) di DU’O’NG DIÊU LINH (Vietnam, Singapore, Filippine, Indonesia, 97’)
Sala Grande h. 14
FUORI CONCORSO – NON FICTION 2073 di ASIF KAPADIA (UK, 85’)
Sala Astra 2 h. 14
VENEZIA CLASSICI – DOCUMENTARI SUL CINEMA VOLONTÉ – L’UOMO DAI MILLE VOLTI di FRANCESCO ZIPPEL (Italia, 97’)
Sala Darsena h. 14.30
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE FAMILIAR TOUCH di SARAH FRIEDLAND (USA, 90’)
PalaBiennale h. 14.30
ORIZZONTI HAPPYEND di NEO SORA (Giappone, USA, 112’)
Sala Astra 1 h. 14.30
VENEZIA CLASSICI BLOOD AND SAND (SANGUE E ARENA) di ROUBEN MAMOULIAN (USA, 125’)
Sala Grande h. 16
VENEZIA 81
HARVEST di ATHINA RACHEL TSANGARI (UK, Germania, Grecia, Francia, USA, 131’)
Sala Giardino h. 16
FUORI CONCORSO – NON FICTION BESTIARI, ERBARI, LAPIDARI di MASSIMO D’ANOLFI, MARTINA PARENTI (Italia, Svizzera, 205’)
Sala Perla h. 16.45
GIORNATE DEGLI AUTORI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE TAXI MONAMOUR di CIRO DE CARO (Italia, 113’)
Sala Darsena h. 17
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE L’ATTACHEMENT
di CARINE TARDIEU (Francia, Belgio, 106’)
PalaBiennale h. 17
FUORI CONCORSO FINALEMENT di CLAUDE LELOUCH (Francia, 127’)
Sala Volpi h. 17
FUORI CONCORSO BABY INVASION di HARMONY KORINE (USA, 80’)
Sala Astra 2 h. 17
ORIZZONTI
MISTRESS DISPELLER
di ELIZABETH LO (Cina, USA, 94’)
Sala Astra 1 h. 17.15
ORIZZONTI
MISTRESS DISPELLER di ELIZABETH LO (Cina, USA, 94’)
Sala Corinto h. 17.30
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI DOCUMENTARI SUL CINEMA LE CINÉMA DE JEAN-PIERRE
LÉAUD
di CYRIL LEUTHY (Francia, 64’)
Sala Grande h. 18.45
VENEZIA 81 – V.M. 14
QUEER
di LUCA GUADAGNINO (Italia, USA, 135’)
Sala Astra 2 h. 19
FUORI CONCORSO – PROIEZIONI SPECIALI LEOPARDI IL POETA DELL’INFINITO (Parte 1 e 2) di SERGIO RUBINI (Italia, 245’)
Sala Corinto h. 19.15
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC IN CONCORSO – V.M. 14
THINGS THAT MY BEST FRIEND LOST
di MARTA INNOCENTI (Italia, 15’,)
FUORI CONCORSO WOLFS di JON WATTS (USA, 108’) 03
Sala Corinto h. 14.45
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI GHATASHRADDHA (THE RITUAL) di GIRISH KASARAVALLI (India, 108’)
Sala Casinò h. 15
martedìTuesday
Sala Giardino h. 9
ORIZZONTI EXTRA KING IVORY di JOHN SWAB (USA, 130’)
FUORI CONCORSO – SERIES – V.M. 14 LOS AÑOS NUEVOS (THE NEW YEARS) ( Ep. 1 – 5) di RODRIGO SOROGOYEN, SARA CANO, PAULA FABRA (Spagna, 225’)
SETTIMANA DELLA CRITICA NO SLEEP TILL di ALEXANDRA SIMPSON (USA, Svizzera, 95’)
PalaBiennale h. 19.45
VENEZIA 81 – V.M. 14
QUEER di LUCA GUADAGNINO (Italia, USA, 135’) a seguire
VENEZIA 81
HARVEST di ATHINA RACHEL TSANGARI (UK, Germania, Grecia, Francia, USA, 131’)
Sala Astra 1 h. 20
FUORI CONCORSO – V.M. 14
PHANTOSMIA di LAV DIAZ (Filippine, 245’)
Sala Giardino h. 21
ORIZZONTI EXTRA SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE AFTER PARTY di VOJTE ˇ CH STRAKATÝ (Repubblica Ceca, 89’)
Sala Grande h. 21.30
FUORI CONCORSO – V.M. 14 MALDOROR di FABRICE DU WELZ (Belgio, Francia, 155’)
Circuito Cinema in Mostra
Multisala Rossini, Venezia IMG Cinemas Candiani, Mestre
h. 16
ORIZZONTI EXTRA KING IVORY di JOHN SWAB (USA, 130’)
h. 16.30
GIORNATE DEGLI AUTORI – EVENTO SPECIALE PEACHES GOES BANANAS di MARIE LOSIER (Francia, Belgio, 73’) h. 18.30
VENEZIA 81 VERMIGLIO di MAURA DELPERO (Italia, Francia, Belgio, 119’)
h. 19
SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA NO SLEEP TILL di ALEXANDRA SIMPSON (USA, Svizzera, 95’)
h. 21
VENEZIA 81 THE ROOM NEXT DOOR di PEDRO ALMODÓVAR (Spagna, 107’)
h. 21.30
ORIZZONTI HAPPYEND di NEO SORA (Giappone, USA, 112’)
04 mercoledìWednesday
Sala Giardino h. 9
ORIZZONTI EXTRA AFTER PARTY di VOJTECH STRAKATÝ (Repubblica Ceca, 89’)
Sala Astra 2 h. 9
FUORI CONCORSO – SERIES – V.M. 14
LOS AÑOS NUEVOS (THE NEW YEARS) (Ep. 1 – 5) di RODRIGO SOROGOYEN, SARA CANO, PAULA FABRA (Spagna, 225’)
Sala Astra 1 h. 11
VENEZIA CLASSICI
TOKYO SENSO SENGO HIWAEIGA DE ISHO WO NOKOSHITE
SHINDA OTOKO NO MONOGATARI (THE MAN WHO PUT HIS WILL ON FILM) di NAGISA OSHIMA (Giappone, 94’)
Sala Corinto h. 11.30
VENEZIA CLASSICI LES FLOCONS D’OR (GOLDFLAKES)
di WERNER SCHROETER (Germania, Francia, 163’)
Sala Darsena h. 13.45
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE HAPPY HOLIDAYS
di SCANDAR COPTI (Palestina, Germania, Francia, Italia, Qatar, 123’)
Sala Perla h. 14
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC IN CONCORSO – V.M. 14
SEGUE Q&A DOPO LE PROIEZIONI SANS DIEU
di ALESSANDRO ROCCA (Italia, 10’)
SETTIMANA DELLA CRITICA
PAUL & PAULETTE TAKE A BATH di JETHRO MASSEY (UK, 109’)
Sala Astra 2 h. 14
VENEZIA CLASSICI – DOCUMENTARI SUL CINEMA LE CINÉMA DE JEAN-PIERRE
LÉAUD
di CYRIL LEUTHY (Francia, 64’)
Sala Grande h. 14.15
FUORI CONCORSO – NON FICTION
PISNI ZEMLI, SHCHO POVILNO HORYT’ (SONGS OF SLOW BURNING EARTH)
di OLHA ZHURBA (Ucraina, Danimarca, Svezia, 95’)
PalaBiennale h. 14.30
ORIZZONTI L’ATTACHEMENT di CARINE TARDIEU (Francia, Belgio, 106’)
Sala Astra 1 h. 14.30
VENEZIA CLASSICI
GHATASHRADDHA (THE RITUAL) di GIRISH KASARAVALLI (India, 108’)
Sala Casinò h. 15
FUORI CONCORSO – SERIES – V.M. 14
LOS AÑOS NUEVOS
(THE NEW YEARS) ( Ep. 6 – 10) di RODRIGO SOROGOYEN, SARA CANO, PAULA FABRA (Spagna, 225’)
Sala Corinto h. 15
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI BEND OF THE RIVER (LÀ DOVE SCENDE IL FIUME)
di ANTHONY MANN (USA, 91’)
Sala Grande h. 16.30
VENEZIA 81
JOUER AVEC LE FEU
(THE QUIET SON)
di DELPHINE COULIN, MURIEL COULIN (Francia, 110’)
Sala Darsena h. 16.30
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE
PAVEMENTS di ALEX ROSS PERRY (USA 128’)
PalaBiennale h. 16.30
FUORI CONCORSO – V.M. 14
MALDOROR di FABRICE DU WELZ (Belgio, Francia, 155’)
Sala Giardino h. 17
FUORI CONCORSO – NON FICTION TWST / THINGS WE SAID TODAY di ANDREI UJICA ˘ (Francia, Romania, 86’)
Sala Corinto h. 17
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI DOCUMENTARI SUL CINEMA
WA ADA MAROUN ILA BEIRUT (MAROUN RETURNS TO BEIRUT) di FEYROUZ SERHAL (Qatar, Libano, 120’)
Sala Perla h. 17
GIORNATE DEGLI AUTORI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE ALPHA di JAN-WILLEM VAN EWIJK (Paesi Bassi, Svizzera, Slovenia, 100’)
Sala Volpi h. 17
FUORI CONCORSO – NON FICTION
2073 di ASIF KAPADIA (UK, 85’)
Sala Astra 2 h. 17
ORIZZONTI FAMILIAR TOUCH di SARAH FRIEDLAND (USA, 90’)
Sala Astra 1 h. 17.15 ORIZZONTI FAMILIAR TOUCH di SARAH FRIEDLAND (USA, 90’)
Sala Grande h. 19
VENEZIA 81 – V.M. 14
JOKER: FOLIE À DEUX di TODD PHILLIPS (USA, 138’)
Sala Astra 2 h. 19.30
FUORI CONCORSO – NON FICTION 2073 di ASIF KAPADIA (UK, 85’)
PalaBiennale h. 19.45
VENEZIA 81 – V.M. 14
JOKER: FOLIE À DEUX di TODD PHILLIPS (USA, 138’) a seguire
VENEZIA 81 – V.M. 14
DIVA FUTURA di GIULIA LOUISE STEIGERWALT (Italia, 128’)
Sala Corinto h. 19.45
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC IN CONCORSO
BILLI IL COWBOY (COWBOY BILLI) di FEDE GIANNI (Italia, 15’)
SETTIMANA DELLA CRITICA MU’A TRÊN CÁNH BU’O’M (DON’T CRY, BUTTERFLY) di DU’O’NG DIÊU LINH (Vietnam, Singapore, Filippine, Indonesia, 97’)
Sala Astra 1 h. 20
FUORI CONCORSO – SERIES – V.M. 14
LOS AÑOS NUEVOS
(THE NEW YEARS) (Ep. 1 – 5) di RODRIGO SOROGOYEN, SARA CANO, PAULA FABRA (Spagna, 225’)
Sala Giardino h. 21
ORIZZONTI EXTRA
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE AL BAHS AN MANFAZ I KHOROUG AL SAYED RAMBO (SEEKING HAVEN FOR MR. RAMBO) di KHALED MANSOUR (Egitto, Arabia Saudita, 100’)
Sala Grande h. 22
VENEZIA 81 – V.M 14
DIVA FUTURA di GIULIA LOUISE STEIGERWALT (Italia, 128’)
Sala Astra 2 h. 22
FUORI CONCORSO – NON FICTION 2073 di ASIF KAPADIA (UK, 85’)
Circuito Cinema in Mostra Multisala Rossini, Venezia IMG Cinemas Candiani, Mestre h. 16
FUORI CONCORSO – NON FICTION 2073 di ASIF KAPADIA (UK, 85’)
h. 16.30
GIORNATE DEGLI AUTORI TAXI MON AMOUR di CIRO DE CARO (Italia, 113’) h. 18.30
FUORI CONCORSO FINALEMENT di CLAUDE LELOUCH (Francia, 129’) h. 19
SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA MU’A TRÊN CÁNH BU’O’M (DON’T CRY, BUTTERFLY) di DU’O’NG DIÊU LINH (Vietnam, Singapore, Filippine, Indonesia, 97’)
h. 21
FUORI CONCORSO MALDOROR
di FABRICE DU WELZ (Belgio, Francia, 155’) h. 21.30
ORIZZONTI L’ATTACHEMENT di CARINE TARDIEU (Francia, Belgio, 106’)
giovedìThursday
Sala Giardino h. 9
ORIZZONTI EXTRA AL BAHS AN MANFAZ I KHOROUG AL SAYED RAMBO (SEEKING HAVEN FOR MR. RAMBO)
di KHALED MANSOUR (Egitto, Arabia Saudita, 100’)
Sala Astra 1 h. 9
FUORI CONCORSO – NON FICTION TWST / THINGS WE SAID TODAY di ANDREI UJICA ˘ (Francia, Romania, 86’)
Sala Astra 2 h. 9
FUORI CONCORSO – SERIES – V.M. 14 LOS AÑOS NUEVOS
(THE NEW YEARS) (Ep. 6 – 10) di RODRIGO SOROGOYEN, SARA CANO, PAULA FABRA (Spagna, 225’)
Sala Corinto h. 11
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI MANJI (ALL MIXED UP) di YASUZÔ MASUMURA (Giappone, 90’)
Sala Astra 1 h. 11
VENEZIA CLASSICI LES FLOCONS D’OR (GOLDFLAKES) di WERNER SCHROETER (Germania, Francia, 163’)
Sala Perla h. 11.15
GIORNATE DEGLI AUTORI – EVENTI SPECIALI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE ALMA DEL DESIERTO di MÓNICA TABOADA TAPIA (Colombia, Brasile, 87’)
Sala Grande h. 13.45
FUORI CONCORSO –NON FICTION RUSSIANS AT WAR di ANASTASIA TROFIMOVA (Francia, Canada, 129’)
Sala Corinto h. 13.45
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI THE MAHABHARATA di PETER BROOK (IFrancia, UK, USA, 173’)
Sala Perla h. 13.45
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC IN CONCORSO
SEGUE Q&A DOPO LE PROIEZIONI NERO ARGENTO (BLACK SILVER) di FRANCESCO MANZATO (Italia, 20’)
SETTIMANA DELLA CRITICA MOATTAR BINANAA (PERFUMED WITH MINT) di MUHAMMED HAMDY (Egitto, Francia, Tunisia, Qatar, 113’)
Sala Astra 2 h. 14
VENEZIA CLASSICI – DOCUMENTARI SUL CINEMA WA ADA MAROUN ILA BEIRUT (MAROUN RETURNS TO BEIRUT) di FEYROUZ SERHAL (Qatar, Libano, 120’)
Sala Darsena h. 14.30
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE CARISSA di JASON JACOBS, DEVON DELMAR (Sudafrica, 88’)
PalaBiennale h. 14.30
ORIZZONTI HAPPY HOLIDAYS di SCANDAR COPTI (Palestina, Germania, Francia, Italia, Qatar, 123’)
Sala Astra 1 h. 14.30
VENEZIA CLASSICI BEND OF THE RIVER (LÀ DOVE SCENDE IL FIUME) di ANTHONY MANN (USA, 91’)
Sala Casinò h. 15
FUORI CONCORSO – SERIES M - IL FIGLIO DEL SECOLO (E p. 1 – 4) di JOE WRIGHT (Italia, Francia, 212’)
Sala Grande h. 16.30
VENEZIA 81 – V.M. 14
APRIL di DEA KULUMBEGASHVILI (Georgia, Francia, Italia, 134’)
Sala Volpi h. 16.45
FUORI CONCORSO – NON FICTION
PISNI ZEMLI, SHCHO POVILNO
HORYT’ (SONGS OF SLOW BURNING EARTH) di OLHA ZHURBA (Ucraina, Danimarca, Svezia, 95’)
Sala Darsena h. 17
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE AÏCHA di MEHDI BARSAOUI (Tunisia, Francia, Italia, Arabia Saudita, Qatar, 123’)
Sala Giardino h. 17
ORIZZONTI – CORTI F II – LO STUPORE DEL MONDO di ALESSANDRO RAK (Italia, 6’) WHO LOVES THE SUN di ARSHIA SHAKIBA (Canada, 19’)
MINHA MÃE É UMA VACA (MY MOTHER IS A COW) di MOARA PASSONI (Brasile, 15’)
THREE KEENINGS di OLIVER MCGOLDRICK (UK, Irlanda, USA, 10’)
SHADOWS di RAND BEIRUTY (Francia, Giordania, 12’) Animazione JAMES di ANDRES RODRÍGUEZ (Guatemala, Messico, 20’)
O di RÚNAR RÚNARSSON (Islanda, Svezia, 20’)
Sala Perla h. 17
GIORNATE DEGLI AUTORI – V.M. 14
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE SUGAR ISLAND di JOHANNE GÓMEZ TERRERO (Repubblica Domenicana, Spagna, 91’)
Sala Astra 2 h. 17
ORIZZONTI PAVEMENTS di ALEX ROSS PERRY (USA 128’)
PalaBiennale h. 17.15
VENEZIA 81
JOUER AVEC LE FEU (THE QUIET SON) di DELPHINE COULIN, MURIEL COULIN (Francia, 119’)
Sala Astra 1 h. 17.15
ORIZZONTI PAVEMENTS di ALEX ROSS PERRY (USA 128’)
Sala Corinto h. 17.30
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI DOCUMENTARI SUL CINEMA CONSTEL·LACIÓ PORTABELLA di CLAUDIO ZULIAN (Spagna, 88’)
Sala Grande h. 19.15
VENEZIA 81
IDDU (SICILIAN LETTERS) di FABIO GRASSADONIA, ANTONIO PIAZZA (Italia, Fracia, 131’)
Sala Corinto h. 19.30
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC IN CONCORSO – V.M. 14
SANS DIEU di ALESSANDRO ROCCA (Italia, 10’)
SETTIMANA DELLA CRITICA
PAUL & PAULETTE TAKE A BATH di JETHRO MASSEY (UK, 109’)
Sala Astra 2 h. 19.30
FUORI CONCORSO – NON FICTION
PISNI ZEMLI, SHCHO POVILNO HORYT’ (SONGS OF SLOW BURNING EARTH)
di OLHA ZHURBA (Ucraina, Danimarca, Svezia, 95’)
PalaBiennale h. 19.45
VENEZIA 81
IDDU (SICILIAN LETTERS) di FABIO GRASSADONIA, ANTONIO PIAZZA (Italia, Fracia, 131’) a seguire
VENEZIA 81
STRANGER EYES
di SIEW HUA YEO (Singapore, Taipei, Francia, USA, 125’)
Sala Astra 1 h. 20
FUORI CONCORSO – SERIES – V.M. 14 LOS AÑOS NUEVOS (THE NEW YEARS) (Ep. 6 – 10) di RODRIGO SOROGOYEN, SARA CANO, PAULA FABRA (Spagna, 225’)
Sala Giardino h. 21
ORIZZONTI EXTRA
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE SHAHED (THE WITNESS) di NADER SAEIVAR (Germania Austria, 100’)
Sala Grande h. 22
VENEZIA 81 STRANGER EYES di SIEW HUA YEO (Singapore, Taipei, Francia, USA, 125’)
Sala Corinto h. 22
GIORNATE DEGLI AUTORI SUPER HAPPY FOREVER di KOHEI IGARASHI (Francia, Giappone 94’)
Sala Astra 2 h. 22
FUORI CONCORSO – NON FICTION PISNI ZEMLI, SHCHO POVILNO HORYT’ (SONGS OF SLOW BURNING EARTH) di OLHA ZHURBA (Ucraina, Danimarca, Svezia, 95’)
Circuito Cinema in Mostra
Multisala Rossini, Venezia
IMG Cinemas Candiani, Mestre h. 16
VENEZIA 81
DIVA FUTURA di GIULIA LOUISE STEIGERWALT (Italia, 128’)
h. 16.30
ORIZZONTI PAVEMENTS di ALEX ROSS PERRY (USA, 128’)
h. 18.30
VENEZIA 81
JOUER AVEC LE FEU di DELPHINE COULIN, MURIEL COULIN (Francia, 119’)
h. 19
SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA V.M. 14
PAUL & PAULETTE TAKE A BATH di JETHRO MASSEY (UK, 109’)
h. 21
VENEZIA 81 – V.M. 14
JOKER: FOLIE À DEUX
di TODD PHILLIPS (USA, 138’)
h. 21.30
ORIZZONTI EXTRA AFTER PARTY di VOJTECH STRAKATÝ (Repubblica Ceca, 89’)
06
venerdì Friday
Sala Giardino h. 9
ORIZZONTI EXTRA SHAHED (THE WITNESS) di NADER SAEIVAR (Germania Austria, 100’)
Sala Perla h. 9
GIORNATE DEGLI AUTORI SANATORIUM UNDER THE SIGN OF THE HOURGLASS di STEPHEN QUAY, TIMOTHY QUAY (UK, Polonia, Germania, 76’)
Sala Astra 1 h. 9
ORIZZONTI – CORTI F II – LO STUPORE DEL MONDO di ALESSANDRO RAK (Italia, 6’) WHO LOVES THE SUN di ARSHIA SHAKIBA (Canada, 19’) MINHA MÃE É UMA VACA (MY MOTHER IS A COW) di MOARA PASSONI (Brasile, 15’) THREE KEENINGS di OLIVER MCGOLDRICK (UK, Irlanda, USA, 10’) SHADOWS di RAND BEIRUTY (Francia, Giordania, 12’) Animazione JAMES di ANDRES RODRÍGUEZ (Guatemala, Messico, 20’)
O di RÚNAR RÚNARSSON (Islanda, Svezia, 20’)
Sala Astra 2 h. 9
FUORI CONCORSO – SERIES M - IL FIGLIO DEL SECOLO (E p. 1 – 4) di JOE WRIGHT (Italia, Francia, 212’)
Sala Perla h. 11
GIORNATE DEGLI AUTORI – FILM DI CHIUSURA
FUORI CONCORSO – V.M. 14
ANTIKVARIATI (THE ANTIQUE) di RUSUDAN GLURJIDZE (Georgia, Svizzera, Finlandia, Germania 132’)
Sala Corinto h. 11.15
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI
HIS GIRL FRIDAY (LA SIGNORA DEL VENERDÌ) di HOWARD HAWKS (USA, 92’)
Sala Astra 1 h. 11.30
VENEZIA CLASSICI
MANJI (ALL MIXED UP) di YASUZÔ MASUMURA (Giappone, 90’)
Sala Perla h. 13.45
S ETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC EVENTO SPECIALE
CORTOMETRAGGIO DI CHIUSURA – V.M. 14
SEGUE Q&A DOPO LE PROIEZIONI DOMENICA SERA (SUNDAY NIGHT) di MATTEO TORTONE (Italia, 16’)
SETTIMANA DELLA CRITICA
EVENTO SPECIALE – FILM DI CHIUSURA
LITTLE JAFFNA di LAWRENCE VALIN (Francia, 100’)
Sala Grande h. 14
VENEZIA 81
QING CHUN: GUI (YOUTH: HOMECOMING) di WANG BING (Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, 152’)
Sala Corinto h. 14
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI TRAVOLTI DA UN INSOLITO DESTINO NELL’AZZURRO MARE D’AGOSTO di LINA WERTMÜLLER (Italia, 114’)
Sala Astra 1 h. 14
VENEZIA CLASSICI THE MAHABHARATA di PETER BROOK (Francia, UK, USA, 173’)
Sala Astra 2 h. 14
VENEZIA CLASSICI – DOCUMENTARI SUL CINEMA CONSTEL·LACIÓ PORTABELLA di CLAUDIO ZULIAN (Spagna, 88’)
Sala Darsena h. 14.15
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE HEMME’NIN ÖLDÜG ˘ Ü GÜNLERDEN BIRI (ONE OF THOSE DAYS WHEN HEMME DIES) di MURAT FIRATOGLU (Turchia, 83’)
PalaBiennale h. 14.15
ORIZZONTI AÏCHA di MEHDI BARSAOUI (Tunisia, Francia, Italia, Arabia Saudita, Qatar, 123’)
Sala Casinò h. 15
FUORI CONCORSO – SERIES M - IL FIGLIO DEL SECOLO (E p. 5 – 8) di JOE WRIGHT (Italia, Francia, 200’)
Sala Corinto h. 16.30
PRESENTAZIONE – VENEZIA CLASSICI DOCUMENTARI SUL CINEMA
“I WILL REVENGE THIS WORLD WITH LOVE” S. PARADJANOV di ZARA JIAN (Armenia, Francia, 110’)
Sala Volpi h. 16.45
FUORI CONCORSO – NON FICTION RUSSIANS AT WAR di ANASTASIA TROFIMOVA (Francia, Canada, 129’)
Sala Grande h. 17
FUORI CONCORSO
BROKEN RAGE di TAKESHI KITANO (Giappone, 62’)
PalaBiennale h. 17
VENEZIA 81 – V.M. 14
APRIL di DEA KULUMBEGASHVILI (Georgia, Francia, Italia, 134’)
Sala Giardino h. 17
ORIZZONTI – CORTI – V.M. 14
MOON LAKE di JEANNIE SUI WONDERS (USA, 12’)
NEREDEYSE KESI ˙ NLI ˙ KLE YANLIS ¸ (ALMOST CERTAINLY FALSE) di CANSU BAYDAR (Turchia, 20’)
IL BURATTINO E LA BALENA di ROBERTO CATANI (Francia, Italia, 8’) Animazione
NIME BAZ, NIME BASTEH (AJAR) di ATEFEH JALALI (Iran, 12’)
MARION di JOE WEILAND, FINN CONSTANTINE (UK, Francia, 13’)
DUYAO MAO (THE POISON CAT) di TIAN GUAN (Cina, 18’)
RENÉ VA ALLA GUERRA di LUCA FERRI, MORGAN MENEGAZZO, MARIACHIARA PERNISA (Italia, 18’)
Sala Perla h. 17
GIORNATE DEGLI AUTORI – FUORI CONCORSO FILM DI CHIUSURA – V.M. 14
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE BASILEIA di ISABELLA TORRE (Italia, Svezia, Danimarca, 90’)
Sala Astra 2 h. 17
ORIZZONTI CARISSA di JASON JACOBS, DEVON DELMAR (Sudafrica, 88’)
Sala Darsena h. 17.15
ORIZZONTI
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE AL KLAVIM VEANASHIM (OF DOGS AND MEN) di DANI ROSENBERG (Israele, Italia, 82’)
Sala Astra 1 h. 17.30 ORIZZONTI CARISSA di JASON JACOBS, DEVON DELMAR (Sudafrica, 88’)
Sala Grande h. 19
VENEZIA 81 – V.M. 14
KJÆRLIGHET (LOVE) di DAG JOHAN HAUGERUD (Norvegia, 119’)
Sala Astra 2 h. 19
FUORI CONCORSO – NON FICTION RUSSIANS AT WAR di ANASTASIA TROFIMOVA (Francia, Canada, 129’)
Sala Corinto h. 19.15
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC IN CONCORSO NERO ARGENTO (BLACK SILVER) di FRANCESCO MANZATO (Italia, 20’)
SETTIMANA DELLA CRITICA MOATTAR BINANAA (PERFUMED WITH MINT) di MUHAMMED HAMDY (Egitto, Francia, Tunisia, Qatar, 113’)
Sala Volpi h. 19.30
VENEZIA CLASSICI HIS GIRL FRIDAY (LA SIGNORA DEL VENERDÌ)
di HOWARD HAWKS (USA, 92’)
PalaBiennale h. 20
VENEZIA 81 – V.M. 14
KJÆRLIGHET (LOVE)
di DAG JOHAN HAUGERUD (Norvegia, 119’) a seguire
FUORI CONCORSO IL TEMPO CHE CI VUOLE di FRANCESCA COMENCINI (Italia, Francia, 110’)
Sala Casinò h. 20
PROIEZIONI SPECIALI 81. MOSTRA
INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA IN COLLABORAZIONE CON SETTIMANA DELLA
CRITICA E GIORNATE DEGLI AUTORI IL POSTINO di MICHAEL RADFORD (Italia, Francia, Belgio, 108’)
Sala Astra 1 h. 20
FUORI CONCORSO – SERIES
M - IL FIGLIO DEL SECOLO (E p. 1 – 4) di JOE WRIGHT (Italia, Francia, 212’)
Sala Perla h. 20.30
FUORI CONCORSO – NON FICTION
BESTIARI, ERBARI, LAPIDARI di MASSIMO D’ANOLFI, MARTINA PARENTI (Italia, Svizzera, 205’)
Sala Giardino h. 21
ORIZZONTI EXTRA
SEGUE Q&A DOPO LA PROIEZIONE GECENIN KIYISI (EDGE OF NIGHT) di TÜRKER SÜER (Germania, Turchia 85’)
Sala Grande h. 21.30
CERIMONIA DI PREMIAZIONE PREMIO CAMPARI A PAOLA COMENCINI a seguire
FUORI CONCORSO IL TEMPO CHE CI VUOLE di FRANCESCA COMENCINI (Italia, Francia, 110’)
Sala Volpi h. 21.30
VENEZIA CLASSICI
TRAVOLTI DA UN INSOLITO DESTINO NELL’AZZURRO MARE D’AGOSTO di LINA WERTMÜLLER (Italia, 114’)
Sala Astra 2 h. 21.30
FUORI CONCORSO – NON FICTION RUSSIANS AT WAR di ANASTASIA TROFIMOVA (Francia, Canada, 129’)
Sala Corinto h. 22
GIORNATE DEGLI AUTORI – V.M. 14 MANAS di MARIANNA BRENNAND (Brasile, Portogallo, 101’)
Circuito Cinema in Mostra
Multisala Rossini, Venezia IMG Cinemas Candiani, Mestre h. 16
FUORI CONCORSO – NON FICTION RUSSIANS AT WAR di ANASTASIA TROFIMOVA (Francia, Canada, 129’)
h. 16.30
GIORNATE DEGLI AUTORI – EVENTO SPECIALE ALMA DEL DESIERTO di MÓNICA TABOADA-TAPIA (Colombia, Brasile, 87’) h. 18.30
VENEZIA 81 STRANGER EYES di SIEW HUA YEO (Singapore, Taipei, Francia, USA, 125’) h. 19
SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA MOATTAR BINANAA
(PERFUMED WITH MINT) di MUHAMMED HAMDY (Egitto, Francia, Tunisia, Qatar, 113’) h. 21
VENEZIA 81 – V.M. 14
APRIL di DEA KULUMBEGASHVILI (Georgia, Francia, Italia, 134’) h. 21.30
ORIZZONTI
AÏCHA di MEHDI BARSAOUI (Tunisia, Francia, Italia, Arabia Saudita, Qatar, 123’)
07 sabato Saturday
Sala Darsena h. 9
FUORI CONCORSO – SERIES M - IL FIGLIO DEL SECOLO (E p. 1 – 4) di JOE WRIGHT (Italia, Francia, 212’)
Sala Giardino h. 9
FUORI CONCORSO HORIZON: AN AMERICAN SAGA CAPITOLO 1 di KEVIN COSTNER (USA, 181’)
Sala Corinto h. 9
ORIZZONTI EXTRA
GECENIN KIYISI (EDGE OF NIGHT) di TÜRKER SÜER (Germania, Turchia 85’)
Sala Perla h. 9
SETTIMANA DELLA CRITICA – SIC@SIC EVENTO SPECIALE – CORTOMETRAGGIO DI CHIUSURA – V.M. 14
DOMENICA SERA (SUNDAY NIGHT) di MATTEO TORTONE (Italia, 16’)
SETTIMANA DELLA CRITICA
EVENTO SPECIALE – FILM DI CHIUSURA
LITTLE JAFFNA di LAWRENCE VALIN (Francia, 100’)
Sala Astra 1 h. 9
ORIZZONTI – CORTI MOON LAKE di JEANNIE SUI WONDERS (USA, 12’) NEREDEYSE KESI ˙ NLI ˙ KLE YANLIS ¸ (ALMOST CERTAINLY FALSE) di CANSU BAYDAR (Turchia, 20’) IL BURATTINO E LA BALENA di ROBERTO CATANI (Francia, Italia, 8’) Animazione
NIME BAZ, NIME BASTEH (AJAR) di ATEFEH JALALI (Iran, 12’)
MARION di JOE WEILAND, FINN CONSTANTINE (UK, Francia, 13’)
DUYAO MAO (THE POISON CAT) di TIAN GUAN (Cina, 18’)
RENÉ VA ALLA GUERRA di LUCA FERRI, MORGAN MENEGAZZO, MARIACHIARA PERNISA (Italia, 18’)
Sala Astra 2 h. 9
FUORI CONCORSO – SERIES
M - IL FIGLIO DEL SECOLO (E p. 5 – 8) di JOE WRIGHT (Italia, Francia, 200’)
Sala Astra 1 h. 11.15
VENEZIA CLASSICI HIS GIRL FRIDAY (LA SIGNORA DEL VENERDÌ) di HOWARD HAWKS (USA, 92’)
Sala Perla h. 11.30
GIORNATE DEGLI AUTORI TO KILL A MONGOLIAN HORSE di XIAOXUAN JIANG (Malesia, USA, Hong Kong, Corea del Sud, Giappone, 98’)
Sala Perla h. 14
PROIEZIONE FILM PREMIATO SIC
Sala Astra 1 h. 14
VENEZIA CLASSICI
TRAVOLTI DA UN INSOLITO
DESTINO NELL’AZZURRO MARE
D’AGOSTO di LINA WERTMÜLLER (Italia, 114)
Sala Astra 2 h. 14
VENEZIA CLASSICI – DOCUMENTARI SUL CINEMA “I WILL REVENGE THIS WORLD WITH LOVE” S. PARADJANOV di ZARA JIAN (Armenia, Francia, 110’)
Sala Darsena h. 14.30
FUORI CONCORSO – SERIES M - IL FIGLIO DEL SECOLO (E p. 5 – 8) di JOE WRIGHT (Italia, Francia, 200’)
Sala Casinò h. 14.30
FUORI CONCORSO CLOUD di KIYOSHI KUROSAWA (Giappone, 124’)
PalaBiennale h. 15
ORIZZONTI HEMME’NIN ÖLDÜG ˘ Ü GÜNLERDEN BIRI (ONE OF THOSE DAYS WHEN HEMME DIES) di MURAT FIRATOG ˘ LU (Turchia, 83’)
Sala Giardino h. 15
FUORI CONCORSO
HORIZON: AN AMERICAN SAGA CAPITOLO 2 di KEVIN COSTNER (USA, 190’)
Sala Volpi h. 16.45
VENEZIA 81
QING CHUN GUI (YOUTH - HOMECOMING) di WANG BING (Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, 152’)
PalaBiennale h. 17
FUORI CONCORSO
BROKEN RAGE
di TAKESHI KITANO (Giappone, 62’)
Sala Perla h. 17
GIORNATE DEGLI AUTORI – V.M. 14
SUGAR ISLAND
di JOHANNÉ GÓMEZ TERRERO (Repubblica Domenicana, Spagna, 91’)
Sala Astra 2 h. 17
ORIZZONTI
AL KLAVIM VEANASHIM (OF DOGS AND MEN)
di DANI ROSENBERG (Israele, Italia, 82’)
Sala Astra 1 h. 17.15
ORIZZONTI
AL KLAVIM VEANASHIM (OF DOGS AND MEN)
di DANI ROSENBERG (Israele, Italia, 82’)
PalaBiennale h. 19
DIRETTA DELLA CERIMONIA
DI PREMIAZIONE a seguire
FUORI CONCORSO – FILM DI CHIUSURA L’ORTO AMERICANO
di PUPI AVATI (Italia, 107’) a seguire
PROIEZIONE FILM PREMIATO MIGLIORE OPERA PRIMA
Sala Corinto h. 19
GIORNATE DEGLI AUTORI
ALPHA di JAN-WILLEM VAN EWIJK
(Paesi Bassi, Svizzera, Slovenia, 100’)
Sala Astra 2 h. 19.30
VENEZIA 81
QING CHUN GUI (YOUTH - HOMECOMING) di WANG BING
(Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, 152’)
Sala Perla h. 20
PROIEZIONE FILM PREMIATO MIGLIOR FILM ORIZZONTI
Sala Volpi h. 20
GIORNATE DEGLI AUTORI – V.M. 14
SELON JOY di CAMILLE LUGAN (Francia, 86’)
Sala Astra 1 h. 20
FUORI CONCORSO – SERIES M - IL FIGLIO DEL SECOLO (E p. 5 – 8) di JOE WRIGHT (Italia, Francia, 200’)
Sala Grande h. 21
FUORI CONCORSO – FILM DI CHIUSURA
L’ORTO AMERICANO di PUPI AVATI (Italia, 107’)
Sala Darsena h. 21
PROIEZIONE DEL FILM PREMIATO LEONE D’ORO
Sala Giardino h. 21
PROIEZIONE FILM PREMIATO
GRAN PREMIO DELLA GIURIA a seguire
VENEZIA 81 - ORIZZONTI EXTRA PREMIO DEL PUBBLICO ARMANI BEAUTY
Sala Casinò h. 21
PROIEZIONE FILM PREMIATO MIGLIORE REGIA
Sala Corinto h. 21.30
PROIEZIONE FILM PREMIATO
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA
Sala Volpi h. 22
GIORNATE DEGLI AUTORI BOOMERANG di SHAHAB FOTOUHI (Germania, Iran, 83’)
Sala Perla h. 22.15
PROIEZIONE FILM PREMIATO MIGLIORE REGIA ORIZZONTI
Circuito Cinema in Mostra Multisala Rossini, Venezia IMG Cinemas Candiani, Mestre h. 16
VENEZIA 81 QING CHUN: GUI (YOUTH: HOMECOMING) di WANG BING (Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, 152’) h. 16.30
GIORNATE DEGLI AUTORI – FUORI CONCORSO FILM DI CHIUSURA – V.M. 14 BASILEIA di ISABELLA TORRE (Italia, Svezia, Danimarca, 90’) h. 19
SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA EVENTO SPECIALE FILM DI CHIUSURA – V.M. 14
LITTLE JAFFNA di LAWRENCE VALIN (Francia, 100’)
h. 19.30
FUORI CONCORSO BROKEN RAGE di TAKESHI KITANO (Giappone, 62’) h. 21
VENEZIA 81 – V.M. 14
KJÆRLIGHET di DAG JOHAN HAUGERUD (Norvegia, 119’) h. 21.30
ORIZZONTI HEMME’NIN ÖLDÜG ˘ Ü GÜNLERDEN BIRI (ONE OF THOSE DAYS WHEN HEMME DIES) di MURAT FIRATOGLU (Turchia, 83’)
08 domenica Sunday
Circuito Cinema in Mostra
Multisala Rossini, Venezia
IMG Cinemas Candiani, Mestre
Orario da definire
VENEZIA 81
LEONE D’ORO
O ALTRO FILM PREMIATO
Il frastuono degli applausi e dei gridi annunzia il loro arrivo nel Canal Grande. I rematori, posti sull’estrema punta della lor navicella, fanno da principio palpitare il riguardante, che non ha l’occhio avvezzo a tal genere di esercizio
delle Feste veneziane, Giustina Renier Michiel, Milano 1829
di Fabio Marzari (Venews 279, settembre 2023)
La Regata Storica è l’appuntamento che segna il quasi epilogo dell’estate veneziana e al contempo apre il mese di settembre, una sequela di giorni fittissimi di appuntamenti e di “mondanità” come si diceva un tempo.
La Regata – non tanto il corteo in costume che evoca l’arrivo a Venezia di Caterina Cornaro, prima di finire ad Asolo, dopo essere stata obbligata per ragioni di realpolitik a cedere l’isola di Cipro ai veneziani, ma la sfida tra imbarcazioni a remi lungo le acque non semplicissime del Canal Grande, un corso d’acqua rivelatosi insidioso e lo sanno bene molti regatanti che hanno fatto i conti con forti correnti e con difficoltà impreviste lungo il percorso di gara – rappresenta ancora un momento di autentica venezianità, privo di contaminazioni esterne. Ritrovare gli sguardi di moltissime persone, tutti rivolti verso un palcoscenico liquido, è uno spettacolo nello spettacolo e tutti i palazzi affacciati sul Canal Grande brulicano di ospiti che incuriositi seguono dalle finestre lo svolgersi delle differenti gare a forza di braccia. Mancando sempre più un vero tessuto sociale autoctono in città ed essendo tutto concepito a misura di visitatore, i riti legati ai regatanti finiscono con essere confinati nei recinti delle remiere e non si avverte quasi più quella animata dialettica che opponeva le differenti tifoserie su piani contrapposti nel supportare questa o quella coppia di campioni del remo. Lo spettacolo è tuttavia garantito sempre, e non può essere diversamente, trattandosi di Venezia, ma quello che manca è una forza popolare autentica che riporta ad uno spirito di città viva, non in rianimazione. Ammetto che quando si parla di Venezia si finisce sempre col confrontarsi in maniera ossimorica tra bellezza infinita e degrado crescente, e questo rappresenta un limite alla poesia di un racconto, che finirebbe con l’ammantarsi di retorica e nostalgia di un passato, remoto.
Scuciaro, Ciaci, Strigeta, Crea, Fongher, Busetto, Vignotto, D’Este e moltissimi altri hanno fatto grande lo sport del remo, ora in città si vedono sovente imbarcazioni a remi che solcano i canali, ma sono molto più evidenti e inquinanti i battelli di ogni tipo che non smettono mai di percorrere il Canal Grande e la Laguna, carichi di merci e di persone. La prima domenica di settembre, nel pomeriggio fino quasi al tramonto, sono le braccia e il sudore a muovere i natanti, e ognuno dei presenti è giustamente entusiasta dello spettacolo, poi tutto inevitabilmente è destinato a tornare come prima. Fino a quando?
The Historical Regatta is the Venetian event that marks the end of summer and open the month of September, itself packed with appointments and ‘mundane’ events, as they used to say. The Regatta began as a parade in honour of Caterina Cornaro, made Queen of Cyprus only as a bridgehead to allow Venetian control of the island, but those days are long gone, and the Regatta turned into a quasi-competitive rowing event along the unsuspectingly insidious waters of the Grand Canal. The day is a day a pure Venetianness, largely uncontaminated by outside forces. The crowds are a show within the show: the whole city watches, whether from the comfort of canal-facing palazzos or from one of the embankments. Since a real social fabric is sadly lacking in a city where everything is oriented to the satisfaction of the outside visitor, the rituals around the regatta end up taking place only within the very small circles of duelling teams. There is barely any heartfelt preference for one or the other team of rowers. Of course, a beautiful show will always be in the cards – it is Venice we are talking about, after all –what is missing is some sort of popular, authentic spirit that might make Venice look really alive, not merely resuscitated. Alas, there’s more going on than traditions evolving (or involving) and legends coming and going. Surely, what a day of wholesome sport should inspire in us is maybe taking it up ourselves, and act as healthy counterbalance to the machine-driven vessels that are far dirtier and noisier than human power. On the first Sunday of September, natural brawn will push all boats forward, and we will all enjoy the show very much. Everything, though, will soon revert to the status quo ante. Until when?
Imbarcazione veloce usata un tempo per la vigilanza marittima o come barca da casada. Molto sviluppata nella poppa da cui prende il nome. Vogata a un remo fino ad un massimo di 4, la sua lunghezza varia da 9 a oltre 10 m.
ENG A fast, agile boat traditionally used by maritime guards or as a barca da casada (family boat). Wider in the stern ( poppa), from which it takes its name, the pupparin is generally 9 or 10 m long and can be rowed by between one and four oarsmen.
Tipo di sandolo leggero usato per la pesca, per le regate e per il diporto lagunare. La sua lunghezza (6-8 m) varia in rapporto al numero di vogatori (1-4 remi).
ENG A k ind of light sandolo boat used for fishing, regattas and general recreation in the lagoon. Its length (usually 6-8 m) depends on the number of rowers (1-4 oars).
Barca da lavoro, conserva le forme originali. Adibita alla pesca ( caorlina da seragia ) e soprattutto al trasporto delle primizie ortofrutticole dalle isole al mercato cittadino. Il nome fa presumere l’origine da Caorle.
ENG T his work boat still preserves the original shape. Built for fishing (caorlina da seragia) and especially for transporting fresh fruit and vegetables from the islands to the city market. The boat’s name suggests that it was originally built in the town of Caorle.
Nato ed usato esclusivamente per la Regata Storica, il gondolino fece la sua prima apparizione in gara nel 1825. Imbarcazione più leggera e svelta della gondola dalla quale trae la sua forma, misura attualmente 10.50 m di lunghezza, 1.10 m di larghezza e 0.65 m di larghezza del fondo.
ENG D esigned and built exclusively for the Regata Storica, the gondolino was first launched in 1825. Lighter and faster than the gondola from which it takes its shape, today’s craft are 10.50 m long, with a width of 1.10 m and a keel width of 0.65 m.
National Participation AZERBAIJAN PAVILION
From Caspian To Pink Planet: I Am Here Campo della Tana, Castello 2126/A
Collateral Event Above ZobeideExhibition from Macao China
Istituto Santa Maria della Pietà, Castello 3701
Global Painting. La Nuova pittura cinese
From an idea of Vittorio Sgarbi and Silvio Cattani
Curated by Lü Peng and Paolo De Grandis with Carlotta Scarpa and Li Guohua
07.12.2023 – 05.05.2024
SINCE 1984 Curatorship Consultancy Management
136 EXHIBITIONS IN THE VENICE BIENNALE
40th Anniversary 1984 -2024
This is where it all started in Scuola Grande di San Giovanni Evangelista with artists Joseph Beuys, Bruce Nauman, Enzo Cucchi, Luciano Fabro and curators Paolo De Grandis, Achille Bonito Oliva, Alanna Heiss, Kaspar Koenig
Collateral Event Trevor Yeung: Courtyard of AttachmentsHong Kong in Venice Campo della Tana, Castello 2126
LI CHEVALIER
I Hear the Water Dreaming
BIENNALE ARTE 2024 20.04 – 24. 11 artecommunications.com
Mart - Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Curated by Paolo De Grandis and Carlotta Scarpa Scientif direction of Marta Boscolo Marchi 11.05 – 15.09 2024 Museo d’Arte Orientale di Venezia
ABSOLUTE MUSIC
Intervista Lucia Ronchetti
Un Festival che illumina quella parte della produzione musicale attuale che non risente dell’ibridazione delle arti e dei sistemi espressivi, ma mira ad utilizzare un linguaggio non verbalizzabile come quello dei suoni in modo comunicativo, emozionante e trascinante
di Fabio Di Spirito
Il mandato quadriennale di Lucia Ronchetti iniziato nel 2021 arriva a compimento con un Festival dal programma corposo come non mai: in sedici giorni di concerti ed eventi teorici dal 26 settembre all’11 ottobre, la Biennale Musica 2024 intitolata Absolute Music mette in evidenza il significato della musica come linguaggio autonomo e lo statuto ontologico del suono, mostrando lo stato dell’arte di questa disciplina alchemica e coinvolgente, entrando nel laboratorio dei compositori e degli interpreti più rigorosi e inventivi che elaborano partiture, programmi, codici e performance, senza alcun riferimento extra-musicale e senza riferimenti visivi. Il Festival, articolato in dieci diverse sezioni, ne presenta una teorica a sua volta organizzata in conferenze, incontri, tavole rotonde e lezioni di musica in collaborazione con L’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale, per indagare gli aspetti speculativi del linguaggio musicale, il rapporto tra tempo musicale e fenomenologia dell’ascolto, le questioni cognitive ed ermeneutiche della produzione e della fruizione di nuova musica, e il problema filosofico fondamentale del significato della musica e della sua essenza linguistica e comunicativa.
Alla tradizione di matrice europea della musica contemporanea scritta, fondata sullo sviluppo della musica come disciplina autonoma, si aggiunge l’immenso repertorio dell’elettronica e quello generato dalle prassi improvvisative testimoniate da tecniche di registrazione sempre più sofisticate. Nell’ambito di Absolute Music saranno presentati importanti protagonisti della scena globale elettronica e digitale attuale, oltre a performer e improvvisatori attivi nell’ambito del jazz sperimentale, mettendo in evidenza i processi e trattamenti digitali che permeano ogni aspetto della creazione, produzione,
6 8. Festival Internazionale di Musica Contemporanea – Absolute Music
26 settembre-11 ottobre www.labiennale.org
perfor-mance, distribuzione e ricezione musicale oggi. Dopo le tre edizioni precedenti, che a ben vedere erano tutte e tre articolazioni della musica non assoluta (2021 il testo e la parola; 2022 il teatro; 2023 la tecnologia digitale), l’ultima edizione del ciclo di Lucia Ronchetti sposta il focus su questa distinzione nell’estrema consapevolezza che la categoria della “musica assoluta” ci possa aiutare a costruire traiettorie nuove, inusitate, mai sperimentate prima. Traiettorie che mettono insieme Luca Francesconi, Unsuk Chin e Beat Furrer come vessilliferi di un nuovo sinfonismo, che coinvolgono certe aree del jazz di ricerca come legittime incursioni nelle praterie sconfinate della musica contemporanea, che accendono uno spot sulla persistenza, oggi, del contrappunto, che individuano eccezioni (stanno tutte nel Baltico…) al vecchio teorema che, quando c’è la voce, siamo al di fuori della musica assoluta. Insomma, le dieci sezioni di Biennale Musica quest’anno sono un divertissement e, nello stesso tempo, un tentativo giocoso (e cosa c’è di più serio del gioco?) per fare accorpamenti, connessioni, analogie. Per lavorare sulle eccezioni, per costruire percorsi comuni, per mettere insieme capolavori ed opere prime che potrebbero diventarlo oppure no, per accendere fiaccole che magari non aspirano all’eternità, ma che ci possono illuminare il percorso per un tratto…
Il concetto di ‘musica assoluta’, tema portante di questa edizione di Biennale Musica, è centrale nel passaggio dal Settecento all’Ottocento. Con l’Ottocento e con il passaggio ad una musica per la prima volta assoluta, sciolta cioè da ogni riferimento extra-musicale, essa diviene l’elemento centrale dell’affermazione di una autocoscienza collettiva, di una cultura nazionale ed europea. Perché ha posto questo tema fondamentale al centro della sua progettazione di Biennale Musica 2024?
Nell’ambito dei quattro temi scelti per le quattro edizioni della Biennale Musica sotto la mia direzione artistica ho voluto presentare la scena della creatività musicale attuale da diversi punti di vista e con la massima apertura tecnica e stilistica, sempre in riferimento alla storia della musica e alle istituzioni musicali veneziane, per creare un contatto profondo tra il festival e la città, al fine di coinvolgere al meglio il pubblico interessato alla musica. La scuola veneziana del 1500, attraverso i due importanti teorici Zarlino e Vicentino e importanti organisti compositori attivi a San Marco come Andrea Gabrieli e Claudio Merulo, ha creato le basi compositive e performative dell’autonomia espressiva della musica strumentale, una musica scevra da rimandi testuali che si presenta come una generazione di forme sonore astratte proiettate nello spazio acustico. È grazie a questo grande laboratorio di ricerca compositiva che a Venezia nei secoli seguenti si è arrivati ai celebrati capolavori di musica strumentale, speculativa e virtuosistica ed autonoma da testi e intenzioni programmatiche, come la raccolta di concerti di Vivaldi L’Estro Armonico pubblicata nel 1711 e programmata nell’ambito del festival. Il termine “Musica Assoluta” è stato creato da Richard Wagner nel 1846 per indicarne l’impossibilità, il miraggio, e nel tempo è diventata una meta per molti compositori, alcuni dei quali sono tra i più importanti compositori viventi. In questo senso, il festival raccoglie varie tendenze di elaborazione musicale pura attuale da parte di musicisti e compositori in ambiti di musica contemporanea scritta, elettronica, jazz, dj e ricerca compositiva basata sull’IA, illuminando quella parte della produzione musicale attuale che non risente dell’ibridazione delle arti e dei sistemi espressivi, ma mira ad utilizzare un linguaggio non verbalizzabile come quello dei suoni in modo comunicativo, emozionante e trascinante.
Dai cori dell’edizione 2021 al teatro musicale del 2022, dalla musica digitale dell’anno scorso alla celebrazione oggi della musica assoluta, co -
Lucia Ronchetti’s four-year position as Venice Music Biennale art director comes to an end with a Festival rich beyond any expectation: taking place over sixteen days, Absolute Music is a collection of concerts and lectures that will show the meaning of music as self-sufficient language and the ontological nature of sound. We will learn about the state of the art of this alchemic, totalizing discipline and walk into the workshop of some of the most rigorous, inventive composers and performers as they churn out scores, programmes, coding—all without any extra-musical or visual references. The Biennale will comprise ten sections, one of which is purely theoretical: conferences, meetings, round tables, lectures in cooperation with the Biennale’s Historical Archive of Contemporary Arts will investigate the speculative features of music, the relationship between musical tempo and the phenomenology of listening, the cognitive and hermeneutical issues in the production and enjoyment of new music, and the essential philosophical issue of the meaning of music and its linguistic, communicational language.
To the traditional European matrix of written contemporary music, founded upon the development of music as an autonomous discipline, the Biennale added the vast repertoire of electronic music and improvisational music, helped by increasingly sophisticated recording technology. At Absolute Music, we will meet influential protagonists of the global electronic and digital music scene as well as performers and improvisers in the field of experimental jazz who will showcase the digital processing and treatment in all phases of creation, production, performance, distribution, and listening of music.
Ronchetti’s three earlier Biennales all focused, in some way, on non-absolute music: in 2021, text and word; in 2021, theatre; in 2023, digital technology. Her last Biennale will instead focus on this precise distinction, fully aware that the ‘absolute music’ category
struendo un programma che mette insieme composizioni di giovani autori con alcuni grandi titoli ed autori che hanno fatto la storia della musica del Secondo Novecento (tra gli altri Grisey, Benjamin, Rihm). A vederle in filigrana queste edizioni, la sensazione è che rispondano ad uno schema generale, esistente fin dall’inizio, fatto di connessioni, rimandi, assonanze. È così?
I quattro temi dei quattro festival sono complementari perché tendono ad evidenziare aspetti diversi della grande scena compositiva attuale, disegnando nell’insieme una mappa possibile della creatività legata al suono di questi ultimi anni e del presente. Ho volutamente evitato di programmare i grandi lavori dell’avanguardia storica musicale perché ritengo che siano conosciuti, concentrando lo sforzo finanziario e produttivo su ambiti creativi recenti che necessitano di grande attenzione. Il panorama che viene delineato è multi-stilistico, multi-tecnologico e tendenzialmente mondiale, anche se il tutto è limitato dalla mia visione personale e dalla mia mancanza di conoscenza radicale in alcuni ambiti e luoghi. Per questo è importante che un altro direttore artistico continui questa esplorazione, dato che la diversità crea conoscenza e cultura.
Senza fare torto a nessuno, ci può svelare quali sono stati i momenti musicali che, nelle edizioni precedenti, l’hanno particolarmente emozionata e perché?
Da ascoltatore ho imparato ad apprezzare la poesia compositiva straordinaria che può generare la musica elettronica nelle mani dei compositori e programmatori raffinati dell’ultima generazione, come l’installazione sonora Weather Gardens del giovane artista inglese Louis Braddock Clarke e A Conversation Between A Partially Educated Parrot And A Machine, un raffinatissimo lavoro di elettronica performativa della giovanissima compositrice canadese Estelle Schorpp. Mi hanno sorpreso ed emozionato i lavori performativi e installativi di due compositori e programmatori illuminati come Marcus Schmickler e Paul Hauptmeier, ma anche la Sacra rappresentazione di Elena Tulve eseguita a San Marco dalla Cappella Marciana diretta da Marco Gemmani e il fantastico concerto che hanno realizzato nel 2021 con i Liturgical Chants di Valentin Silvestrov.
Da Biennale Musica emerge un’idea che sembra contrastare coi soliti pregiudizi sulla musica contemporanea e le geremiadi di un distacco irriducibile tra musica e pubblico: la sensazione di una grande vitalità, di una grande vivacità, di un entusiasmo creativo che attraversa le nuove generazioni e forse anche di un sistema culturale produttivo che è in grado di garantire ai suoi professionisti almeno un livello decente di sostentamento. È davvero così secondo lei, oppure è una sensazione alterata dal fascino della manifestazione?
La Biennale Musica di Venezia è una grande istituzione che da sola rappresenta un sistema culturale produttivo capace di creare ottime condizioni di lavoro per musicisti e compositori di ogni tendenza; sono convinta sia in tutto e per tutto un esempio da seguire. In questo senso abbiamo potuto vedere musicisti, compositori e programmatori felici e illuminati dalle possibilità offerte, dai luoghi fantastici di cui dispone la città e dalla complicità creativa del team che ha seguito con la medesima dedizione giovani artisti della Bien-
may help us build new, unusual, original trajectories, such that they can embrace Luca Francesconi, Unsuk Chin, and Beat Furrer as standard-bearers of new symphony and involve certain areas of research jazz as a legitimate foray into the vast territories of contemporary music. They will cast light on the persistence of counterpoint and find exceptions to the old theorem that says that voice is incompatible with absolute music.
In the end, the ten sections of the Biennale are a divertissement and, at the same time, a playful attempt to integrate, connect, analogize, work on exceptions, build common paths, pair masterpieces with debut works who one day might be, and light up a few flames here and there—they might not burn forever, but they may illuminate our path for a while…
The idea of ‘absolute music’ will be central in the upcoming Venice Music Biennale, as has been central in the passage from the eighteenth to the nineteenth century. The nineteenth century saw absolute music coming about for the first time – music that was freed from any outside references and grew into a central element in the affirmation of a collective consciousness, of a national and European culture. Why did you pick this essential theme for your 2024 Venice Music Biennale?
I wanted to tell the story of musical creativity from different points of view, with the greatest possible openness in terms of techniques and styles, all while keeping a vital link with the history of Venetian music and musical institutions. I wanted to establish a deep bond between the Music Biennale and the City of Venice, such that the audience that is interested in music will feel more involved.
The 1500s-era Venetian school, thanks to theorists Zarlino and Vicentino and important composers and instrumentalists who worked in San Marco like Andrea Gabrieli and Claudio Merulo, built the compositional and performative base of instrumental music’s expressive autonomy, a kind of music that is free from any textual underpinning and presents itself as a generation of sound shapes projected into soundspace. Thanks to this laboratory of compositional research that Venice hosted for centuries, music generated masterpieces of instrumental art: speculative, virtuoso-worthy, not in need of any textual or programmatic intentionality. An example would be Vivaldi’s Estro Armonico released in 1711, which will be in the Biennale’s programme.
The term ‘absolute music’ was coined by Wagner in 1846 to define its very impossibility, a mirage quality of music. Over time, it became a goal of composers, some of whom became the greatest alive. In this sense, the Biennale collects several trends of modern pure music elaborations by musicians and composers in the fields of contemporary written music, electronic music, jazz, DJ techniques, and AI-based research, highlighting that part of contemporary musical production that is independent of artistic hybridization, but aims as using a non-verbal language – like that of sounds – in communicational and exciting fashion.
The choirs of the 2021 edition and the musical theatre of the 2022 edition, last year’s digital music, and absolute music today: a programme that embraces compositions by young authors with those by artists who made history in the late
D’AUTUNNO | 21 SETTEMBRE – 24 OTTOBRE 2024
GIOVEDÌ 12 SETTEMBRE
ORE 18
Presentazione del festival
QUATUOR CAMBINI-PARIS
Enrico Graziani violoncello
Francesco Granata pianoforte estratti da opere per violoncello e pianoforte di BONIS, BOULANGER, FARRENC e GRANDVAL
ingresso gratuito
SABATO 21 SETTEMBRE
ORE 19.30
SCUOLA GRANDE
SAN GIOVANNI EVANGELISTA
Passione violoncello
QUATUOR CAMBINI-PARIS
Julien Chauvin e Karine Crocquenoy violini
Pierre-Éric Nimylowycz viola
Atsushi Sakai violoncello
Marion Martineau violoncello opere per quintetto con due violoncelli di BAUDIOT, FRANCHOMME e GOUVY
DOMENICA 22 SETTEMBRE
0RE 17
Violoncelli in coro
Anne Gastinel, Xavier Phillips, Lila Beauchard e Leonardo Capezzali violoncelli opere per ensemble di violoncelli di ERB, OFFENBACH, FRANCHOMME, FAYE-JOZIN e SCHMITT
MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE
ORE 19.30
Il Beethoven francese
QUATUOR DUTILLEUX
Guillaume Chilemme e Matthieu Handtschoewercker violini
David Gaillard viola
Thomas Duran violoncello
Victor Julien-Laferrière violoncello opere per quintetto con due violoncelli di ONSLOW e GOUVY
GIOVEDÌ 3 OTTOBRE
ORE 19.30
Sere straniere
Yan Levionnois violoncello
Guillaume Bellom pianoforte opere per violoncello e pianoforte di BOËLLMANN, MAGNARD e VIERNE
MARTEDÌ 8 OTTOBRE
ORE 19.30
L’arte del violoncello
Edgar Moreau, Gabriel Guignier e Jean-Baptiste de Maria violoncelli opere per ensemble di violoncelli di LA TOMBELLE, D’OLLONE, BATTANCHON, FRANCHOMME e OFFENBACH
GIOVEDÌ 10 OTTOBRE
ORE 18
Storie di musica a palazzo conferenza di Neda Furlan in collaborazione con la Fondazione Querini Stampalia ingresso gratuito
MARTEDÌ 15 OTTOBRE
ORE 19.30
Note su misura
Aurélien Pascal violoncello
Josquin Otal pianoforte
opere per violoncello e pianoforte di CHEVILLARD, DUMAS, HURÉ e LECOCQ
GIOVEDÌ 24 OTTOBRE
ORE 19.30
Il tempo ritrovato
Miriam Prandi violoncello
Gabriele Carcano pianoforte opere per violoncello e pianoforte di DEBUSSY, BOULANGER e FRANCK
Palazzetto Bru Zane San Polo 2368, Venezia +39 041 30 37 615 tickets@bru-zane.com
Biglietti da 5 a 15 euro
Dettagli delle tariffe online
Visite guidate gratuite Ogni giovedì 14.30 italiano 15.00 francese 15.30 inglese BRU-ZANE.COM
nale Musica College e artisti riconosciuti venuti a vivere nuove dimensioni sonore rispetto alla loro storia creativa come Brian Eno, Christina Kubisch, Elena Tulve, Francesca Verunelli, John Zorn, David Lang. Quest’anno speriamo quindi di offrire esperienze musicali memorabili a Luca Francesconi, Salvatore Sciarrino, ai giovanissimi emergenti Hristina Susak e Miles Walter, per citarne solo alcuni. Se gli artisti sono soddisfatti e felici delle possibilità che possono avere ecco che pubblico e critica entrano in sintonia con loro, in profonda empatia con questa emozione del fare musica inaudita e bellissima.
Siamo un po’ curiosi di conoscere il suo pensiero su Biennale Musica come dispositivo complesso dal punto di vista dell’organizzazione, della produzione, della gestione. Scouting, progettazione, contatti e relazioni con compositori, esecutori, agenzie; criteri di assegnazione di nuove commissioni, gestione del budget, comunicazione, logistica, ticketing... Indubbiamente Biennale Musica non si può improvvisare, ma anzi richiede uno staff oliato e molto focalizzato sugli obiettivi. Ci può raccontare la sua esperienza sotto questo fondamentale profilo?
È stata la mia prima importante esperienza di direzione artistica, dopo quella del Festival Animato creato con la curatrice Mary Angela Schroth della Sala 1 a Roma. Molti percorsi di questo lavoro articolato da lei elencati nella domanda sono curati dalle persone preposte dalla Biennale di Venezia a sviluppare gli stessi sotto l’egida del Direttore Generale e la guida del Presidente della Biennale, che ha sempre reagito positivamente alle mie ambizioni organizzative. A livello di ideazione artistica ho dovuto studiare molto, per ogni tema ho puntato soprattutto sulla mia capacità di analisi dei testi scritti e delle ricerche internazionali pubblicate negli ultimi 10 anni, aiutata da vari servizi bibliotecari, come quello del Wissenschaftskolleg di Berlino, dove ero in residenza, e quello straordinario dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale. Devo a riguardo ringraziare amici curatori, musicologi e critici che mi hanno aiutato nella ricerca, fornendomi libri e articoli. Sono convinta che un direttore artistico debba essere sempre “sul campo” e attivo da tanti anni, non solo attento a studiare e ascoltare registrazioni. Naturalmente ho fatto tanti errori, ma sento di aver dato sempre il massimo e di aver imparato moltissimo.
Vorremmo conoscere il suo personale bilancio su Biennale College Musica. È un investimento con dei ritorni positivi?
Assolutamente sì, senza alcun dubbio. Anche quest’anno è stato emozionante ricevere 408 candidature da 52 Paesi da parte di compositori e musicisti under 30, con tantissimi dossier importanti, progetti impressionanti che denotano talento e intelligenza, preparazione e capacità propositive. È stato difficilissimo selezionare tante erano le proposte imperdibili; i dieci prescelti stanno realizzando dei lavori straordinari sotto la guida di un gruppo di tutor d’eccezione che non smetto mai di ammirare: i due importanti compositori Luca Francesconi e David Lang, la violoncellista Eva Boecker e la violista Megumi Kasakawa, soliste dell’Ensemble Modern di Francoforte, Brian Archinal, percussionista americano membro dell’ensemble di percussioni Ensemble This|Ensemble That (ET|ET), Federico Tramontana, giovane ed emergente percussionista italiano, Bertrand Chamayou, pianista francese di grande fama, Hervé Boutry, orga-
nizzatore e drammaturgo francese, e Thierry Coduys, compositore e sound engineer francese responsabile degli studi del CIMM.
Non la vorremmo lasciare senza prima averle chiesto quali saranno i suoi impegni professionali una volta lasciato il suo incarico in Biennale. Accompagniamo questa domanda con i nostri migliori auguri e con la gratitudine per aver vissuto da accaniti suiveurs molti momenti indimenticabili nelle edizioni da lei dirette.
Tornerò a dedicarmi a tempo pieno alla composizione, con due grandi opere commissionatemi da due grandi istituzioni europee che mi terranno occupata almeno quattro anni e continuerò ad insegnare composizione al Conservatorio di Salerno, grazie al quale sento di avere una posizione e un ruolo sociale attivo e gratificante.
1900s (Grisey, Benjamin, Rihm…) Overall, it seems that there is a sort of general plan made of connections, references, assonance. Is it so?
The four themes of the last four Biennales complement one another, because they highlight different aspects of modern music composition and draw a possible map of sound-based creativity. I purposefully avoided to list in our programme any large work of the historical avant-garde because I think they’re well-known enough. I focused our efforts, including financial efforts, on more recent creative milieus that demand our attention. What we are looking at is a multi-style, multi-technological panorama that aims to be global, though of course is limited to my own blind spots. For this reason, it is important that another art director continue this research. Diversity breeds knowledge and culture.
We don’t want you to pick sides, but is there any moment of the past Biennales that moved you more than others? If so, why?
As part of an audience, I learned to appreciate the extraordinary compositional poetics that electronic music can generate in the hands of refined composers and programmers of the last generation, like sound installation Weather Gardens by English artist Louis Braddock Clarke and A Conversation Between a Partially Educated Parrot and a Machine, an exquisite work of performative electronic music by Canadian composer Estelle Schorpp. I found myself surprised and touched by the performances and installations of two enlightened composers and programmers: Marcus Schmickler and Paul Hauptmeier, though also Elena Tulve’s Sacra rappresentazione performed at the Cappella Marciana at St. Mark’s.
The Venice Music Biennale’s idea contrasts all prejudices on contemporary music and all lamentations on the detachment of music and audience. It all seems so vital, so lively. New generations and the cultural production industry seem enthusiastic and self-sustaining. Is it so? Or is it just the beauty of the Biennale dazzling us?
The Venice Music Biennale is a great institution that, on its own, represents a cultural production environment that is able to create excellent working conditions for composers and performers in every field. I maintain that it is an example to be followed. In this sense, we saw musicians, composers, programmers that are happy to have the possibilities the Biennale offers them, the places and installations, the creativity of the teams that supported equally the up-and-coming artists at Biennale College and established artists like Brian Eno, Christina Kubisch, Elena Tulve, Francesca Verunelli, John Zorn, David Lang. This year, we are looking forward to offering memorable musical experiences to Salvatore Sciarrino,
Hristina Susak, Miles Walter, just to name a few. If artists are happy and satisfied of these possibilities then audience and critics will surely sympathize with them and understand how exciting it is to make this original, beautiful music.
We’d like to find out more about your take on the Venice Music Biennale as a complex organizational machine in terms of production and management. Scouting, projects, contacts, relationships with composers, performers, agents. Your criteria to pick commissioners, to run your budget, communication, logistics… surely, you cannot just improvise the Biennale.
This is my first important experience as an art director after Mary Angela Schroth’s and my Festival Animato in Rome. Many paths in this articulated machine are taken care of by the Biennale main office, whose staff positively supported me in my organizational choices. As far as art direction goes, it took a lot of study, and for each topic, I analysed the literature and international research published over the last ten years with the help of libraries such as the one at the Berlin Institute for Advanced Study, where I took up a residency, and our own amazing Historical Archive at the Biennale. I must extend my thanks to all my friends: curators, musicologists, and critics, who helped me in my research with books and articles. One thing I know is that an art director must always be current and active in their field, even academically. I made mistakes – I know that, too – but I gave my all, and I learned so much.
The Music Biennale College is an investment – what returns are we looking at?
Very positive ones, there’s no doubt about that. We were overwhelmed by the number of applications: 408 from 52 countries, all composers and performers under the age of thirty. So many important resumes, impressive projects, talent, intelligence, preparation, and positivity. It was very hard to choose among the several applicants. The ten we eventually picked are making a wonderful job under the guide of exceptional tutors: composers Luca Francesconi and David Lang, cellist Eva Boecker, violist Megumi Kasakawa, drummers Brian Archinal and Federico Tramontana, pianist Bertran Chamayou, producer and playwright Hervé Boutry, composer and sound engineer Thierry Coduys.
What will your next adventure be?
I will go back to composition full-time. I will be working on two large jobs, compositions commissioned by big European institutions that will keep me busy for at least four years, and I will also give composition classes at the Salerno Conservatory, which allows me to keep an active social role in our world.
Quando si parla di musica assoluta, sciolta cioè da ogni legame con ogni altro elemento – voce, teatro, tecnologie multi-mediali –che ne possa limitare il potere di coinvolgere gli animi e di parlare ai cuori, è chiaro che, anche a distanza di secoli, continuiamo a parlare di musica sinfonica, ovvero dell’orchestra da una parte e di musica da camera dall’altra, in cui il ruolo del singolo strumento è sempre individuale.
Musiche cioè che, prima di essere connotate dalla maggiore o minore abbondanza degli strumenti, lo erano soprattutto per il luogo in cui venivano eseguite. La camera, ad intendere le sale delle corti dei principi ove la musica si sviluppò fino agli inizi del 1600, e il teatro, che ne raccolse l’eredità. Ed a questi due luoghi dobbiamo aggiungere la chiesa per tutta la musica sacra. E qui giova ricordare una cosa ampiamente risaputa: il primo teatro pubblico al mondo fu costruito a Venezia nel 1637, il teatro di San Cassiano. Certo, era un teatro d’opera, genere allora imperante, ma va detto che a quei tempi il termine sinfonia era ai suoi primi utilizzi, molto diversi tra loro, e ci sarebbero voluti altri 50 anni per la codificazione del concerto grosso di Arcangelo Corelli, che della sinfonia è il progenitore.
La sezione Polyphonies esplora cosa è diventata la musica sinfonica dal dopoguerra ad oggi: ci troviamo di fronte a composizioni che, pur avendo perso ogni legame storico con la struttura quadripartita della sinfonia classica, mantengono tuttavia una scrittura complessa e una sofisticazione della tecnica compositiva che non si discostano dai modi compositivi delle sinfonie di Beethoven e di Brahms. Ascoltiamo per esempio il Concerto per violino ed orchestra di Beat Furrer, pubblicato nel 2020: ritroviamo ancora quei dialoghi serrati tra strumento solista ed orchestra tipici della sinfonia dell’Ottocento, anche se ora l’orchestra è diventata uno sciame di suoni violenti e tutto è confuso rispetto alla ripartizione dei ruoli di un tempo. Ecco allora che, se ci possiamo permettere una sintesi un po’ grossier, quel rapporto che nel periodo classico era finalizzato al raggiungimento di un fine condiviso adesso è diventato conflitto, inesausta guerriglia.
Speaking of absolute music, such music that holds no connection with any other element – voice, theatre, multimedia – that might limit its power to enchant the spirits and speak to our hearts, it is clear that, centuries later, we still make a difference between symphony, or orchestra music, and chamber music, with prominence given to the individual instrument.
The difference lies, more than in the sheer number of instruments, in the places where music was to be played. The chamber (court halls and the like) music developed in the early 1600s, then we have theatre, and obviously church for the whole corpus of sacred music. We shall also remind our readers that the first public theatre in the modern world opened in Venice – the San Cassiano Theatre in 1637. Sure, it was an opera theatre, for opera was all the rage at the time and the term symphony was just making its appearance. It would take a further fifty years to codify it thanks to Arcangelo Corelli, whose concerto grosso is the forefather of symphony.
Section Polyphonies explores what became of symphony from the postwar. We will be seeing compositions that, while keeping no historical connection with the fourfold structure of classic symphony, do keep complex writing and a sophistication of compositional technique that is not dissimilar from Beethoven’s or Brahm’s method of symphonymaking. Let’s focus on Beat Furrer’s 2020 concert for violin and orchestra: we will still find that animated conversation between solo instrument and orchestra that is typical of 1800s music, even though in this case, the orchestra is a swarm of violent sound, and everything sounds confuse when compared to the established roles we once knew. This is why we might go out on a limb and conclude that the relationship that, in classical times, was finalized to a common goal, is now deeply conflictual.
Unsuk Chin, Subito con forza
La musica della compositrice sudcoreana, ed allieva di Ligeti, Unsuk Chin è l’esempio migliore di come la musica contemporanea possa risultare di grande impatto senza per forza essere conservativa e derivata. Attualmente, a circa 60 anni, Chin è riconosciuta come una delle personalità più in vista del panorama musicale internazionale, eseguita dalle orchestre e dai direttori più autorevoli quali Rattle, Dudamel, Nagano, Salonen. Alla Fenice, il 26 settembre, sarà eseguito il suo Concerto per violino n. 2 con Leonidas Kavakos al violino, l’Ensemble Modern e l’Orchestra della Fenice condotta da Tito Ceccherini. Sicuramente uno dei momenti più attesi del programma di questa Biennale Musica.
ENG S outh Korean composer and Ligeti’s pupil Unsuk Chin’s music is the best example of how contemporary music may be truly impactful, yet not conservative and derivative. Today, aged around sixty, Chin is one of the most prominent personalities in the international music world. Her music is performed by the most important orchestras and conductors, such as Rattle, Dudamel, Nagano, Salonen. At the Fenice Theatre in Venice, on September 26, the resident orchestra and Ensemble Modern will perform in one of the most anticipated events of the season her Violin Concerto no. 2, with Leonidas Kavakos at the violin. Conductor: Tito Ceccherini.
Beat Furrer, Konzert per violino ed orchestra (2020)
Il 6 ottobre alle Tese la WDR Sinfonieorchester diretta da Ilan Volkov eseguirà questo concerto insieme ad un caposaldo della musica contemporanea del dopoguerra, Sinfonie in einem satz di Bernd Alois Zimmermann, e ad una composizione, Kinderszenen, per piano elettrificato, electronics ed orchestra del compositore italiano Fabio Momi.
ENG A t Teatro alla Tese on October 6, the WDR Sinfonieorchester, conducted by Ilan Vokov, will play Furrer’s concert, followed by a cornerstone of contemporary music: Sinfonie in eine m Satz by Bernd Alois Zimmerman, and a further composition for electric piano and orchestra, Kinderszenen, by Fabio Momi.
Luca Francesconi, Da Capo, per 9 strumenti (1985-1986)
In questo pezzo di Luca Francesconi ognuno dei nove strumenti converge a conferire quell’energia auto-rinnovatasi che è la caratteristica dell’opera: una dolce pulsazione continua, che arriva rallentando alla fine. Se volete conoscere gli ultimi lavori di due grandi compositori italiani, conviene assistere al concerto alle Tese del 9 ottobre: Luca Francesconi presenterà Sospeso, per orchestra amplificata, e Salvatore Sciarrino Nocturnes, per orchestra.
ENG I n this piece by Luca Francesconi, each of the nine instruments converges to build a sort of self-renovating air that is, in the end, what the piece is all about: a sweet, continuous pulse that slows down till the very end. Get to know the latest compositions by two great Italian creators at Teatro alle Tese on October 9: Luca Francesconi will present Sospeso, while Salvatore Sciarrino will present Nocturnes
venerdì 26 settembre
h. 20 Teatro La Fenice
REBECCA SAUNDERS (1967)
WOUND * (2022) (38’) per ensemble e orchestra
UNSUK CHIN (1961)
CONCERTO PER VIOLINO NO. 2
SCHERBEN DER STILLE * (2021) (27’)
Leonidas Kavakos, violino
ENSEMBLE MODERN
Orchestra del Teatro La Fenice
Tito Ceccherini, direttore
In collaborazione con Fondazione Teatro La Fenice
domenica 6 ottobre
h. 20 Teatro alle Tese
MARCO MOMI (1978)
KINDERSZENEN (2024) (32’) per pianoforte amplificato, elettronica e orchestra
Commissione La Biennale di Venezia / Patron’s
Françoise et Jean-Philippe Billarant / Milano
Musica
BEAT FURRER (1954)
KONZERT * (2020) (17’) per violino e orchestra
BERND ALOIS ZIMMERMANN (1918-1970)
SINFONIE IN EINEM SATZ (1951, Rev. 1953) (15’) per orchestra
Mariangela Vacatello, pianoforte
Noa Wildschut, violino
WDR Sinfonieorchester
Ilan Volkov, direttore
Serge Lemouton, Ircam computer music design
mercoledì 9 ottobre
h. 20 Teatro alle Tese
LUCA FRANCESCONI (1957)
SOSPESO *** (2024) (30’) per orchestra amplificata Commissione La Biennale di Venezia
SALVATORE SCIARRINO (1947)
NOCTURNES *** (2024) (30’) per orchestra Commissione La Biennale di Venezia
Frankfurter Opern-und Museumsorchester
Thomas Guggeis, direttore
Thierry Coduys, realizzazione informatica musicale e sound projection
*** Prima assoluta
* Prima italiana
Jacques Offenbach
direttore Antonello Manacorda regia Damiano Michieletto
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con Sydney Opera House, Royal Opera House of London, Opéra de Lyon 24, 26, 28, 30 novembre, 2 dicembre 2023 / Teatro La Fenice
Giacomo Puccini
direttore Stefano Ranzani regia Francesco Micheli
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
nel 100° anniversario della morte di Giacomo Puccini
2, 4, 6, 8, 10 febbraio 2024 / Teatro La Fenice
Wolfgang Amadeus Mozart
direttore Robert Treviño regia Damiano Michieletto
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
16, 17, 18, 19, 21, 22, 23, 24, 25 maggio 2024 Teatro La Fenice
Giacomo Puccini
direttore Francesco Ivan Ciampa regia Cecilia Ligorio
allestimento Fondazione Teatro La Fenice nel 100° anniversario della morte di Giacomo Puccini
30 agosto, 3, 8, 14, 18 settembre 2024 / Teatro La Fenice
LIBERAMENTE ISPIRATO ALLE QUATTRO STAGIONI DI VIVALDI
Antonio Vivaldi e Giovanni Antonio Guido
coreografia Thierry Malandain direttore e violino Stefan Plewniak
Malandain Ballet Biarritz
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con Opéra Royal de Versailles, Festival de Danse de Cannes, Opéra de Saint-Etienne Teatro Victoria Eugenia, Ballet T Ville de Donostia San Sebastian, Malandain Ballet Biarritz
10, 11, 12, 13, 14 gennaio 2024 / Teatro La Fenice
Ottorino Respighi
direttore Manlio Benzi regia Pier Luigi Pizzi
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
8, 10, 12, 14, 16 marzo 2024 / Teatro Malibran
Antonio Vivaldi
direttore Diego Fasolis regia Fabio Ceresa
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
7, 9, 11, 13, 15 giugno 2024 / Teatro Malibran
Luigi Nono
Arnold Schönberg
direttore Jérémie Rhorer regia Daniele Abbado
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice nel 150° anniversario della nascita di Arnold Schönberg
e nel 100° anniversario della nascita di Luigi Nono
13, 15, 17, 19, 22 settembre 2024 / Teatro La Fenice
Pierangelo Valtinoni OPERA PER LE SCUOLE
direttore Marco Paladin regia Gianmaria Aliverta
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
18, 19, 20, 24 gennaio 2024 / Teatro Malibran
Studenti di composizione del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia OPERA PER LE SCUOLE
direttore Luisa Russo regia Emanuele Gamba
Orchestra e Coro del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Venezia prima rappresentazione assoluta
18, 19, 20, 21 aprile 2024 / Teatro Malibran
Gioachino Rossini
direttore Renato Palumbo regia Bepi Morassi
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
26, 28 gennaio, 1, 3, 7, 9, 11, 13 febbraio 2024 Teatro La Fenice
Arrigo Boito
direttore Nicola Luisotti regia Moshe Leiser e Patrice Caurier
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
12, 14, 17, 20, 23 aprile 2024 / Teatro La Fenice
Richard Strauss
direttore Markus Stenz regia Paul Curran
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Bologna 21, 23, 25, 27, 30 giugno 2024 / Teatro La Fenice
Gian Francesco Malipiero
direttore Francesco Lanzillotta regia Valentino Villa nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
31 ottobre, 3, 5, 7, 9 novembre 2024 / Teatro Malibran
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Alfonso Caiani
Il conferimento a Rebecca Saunders del Leone d’Oro alla carriera di Biennale Musica 2024, dopo il premio l’anno scorso a Brian Eno, è, da una parte, la prova di quanto immenso oramai sia diventato il territorio della cosiddetta ‘musica contemporanea’, dall’altro, una decisa conferma da parte della direttrice Lucia Ronchetti di una fortissima attenzione alla musica come “fatto sonoro”, al suono come elemento fondamentale in grado di definire spazi di riflessione e di relazione da parte dell’ascoltatore. Perché se Rebecca Saunders, a differenza del geniale autodidatta Brian Eno, è compositrice di solidi studi accademici (diplomata in violino e composizione al Conservatorio di Edimburgo, studi con Wolfgang Rihm a Karlsruhe, vincitrice di numerosi e prestigiosi premi internazionali), ad Eno la accomuna una «fortissima sensibilità – così recita la motivazione del premio – al microcosmo sonoro, alla capacità di creare nell’ascoltatore un’area riservata di ascolto, uno spazio acustico intimo ed interiore che evolve ed amplifica l’immaginario sonoro». La peculiarità di Saunders come compositrice è una fortissima attrazione verso le infinite potenzialità sonore dello strumento impiegato. Nelle sue composizioni, che di frequente sono per strumento solo o per due strumenti, Saunders scava nel sottosuolo fertilissimo del timbro strumentale ricavandone possibilità che hanno del miracoloso. Ascoltiamo ad esempio White, pezzo del 2015 per tromba a doppia campana: pigolii, armonici, mezze voci, pieni maestosi si alternano in una sequenza che, lungi dal diventare banale, ripetitiva o stucchevole, ci cattura per la sua continua cangianza. Cangianza, proprio: non so trovare termine più appropriato di questo, che esprime il cambiamento di colore di una pietra, in base al tipo di luce. Nelle composizioni di Rebecca Saunders appare evidente il predominio del timbro e del suono su qualsiasi altro parametro musicale. La sua musica è concepita in termini di materialità sonora, di fisicità meditata e soppesata. Non pensiate si tratti di musica difficile da ascoltare: al
contrario, possiede tutte le caratteristiche di una narrazione densa di episodi, fertile di immaginazione e di contrasti continui tra la violenza di brutali masse sonore e l’ironia impagabile di momenti ironici e di luce soffusa. È musica fisica, ma riesce anche a costruire in chi ascolta uno spazio per la speculazione, per il passaggio ad una dimensione di astrazione.
È musica che non cerca affatto la linea melodica, anzi, ma nello stesso tempo è capace di tessere una linea narrativa attraverso l’equilibrio davvero magistrale dei diversi episodi sonori che si susseguono. È musica scabra, come dicevo per uno solo o due strumenti, talvolta accompagnati da un esiguo ensemble cameristico, ma è in grado di donare tutta la fascinazione timbrica possibile. E poi è anche una musica che costruisce lo spazio dell’ascolto, e spesso compie il miracolo di trasformarlo in un luogo di accoglienza, ove il suono non si manifesta solo nella sua esistenza virtuosa, ma anche e soprattutto come eco, rifrazione, armonico, massa d’urto. Musica che nasce ‘dal’ e finisce ‘nel’ silenzio. Su YouTube trovate diverse sue composizioni suonate dal vivo: provate ad ascoltarle. F.D.S. ENG Awarding Rebecca Saunders the Golden Lion for Lifetime Achievement at the 2024 Music Biennale proves just how large the scope of so-called ‘contemporary music’ has become. Contrary to 2023 awardee Brian Eno, a self-taught genius, Saunders boasts a solid academic education, though what they share is the “attention she dedicates to the sonic microcosm, for her capacity to create a private listening area within the listener, an intimate inner acoustic space that evolves and amplifies the sonic imaginary” (thus reads the Biennale’s motivation for the Award. White, her 2015 piece for trumpet and bells: chirping, harmony, mezzavoce, and majestically full voices. Far from being repetitive or trite, White captivates us for its shimmering beauty. Echoes, refractions, sound impact… her music is born of silence and ends into silence.
Intervista Ensemble Modern
di F.D.S.
L’Ensemble Modern è premiato quest’anno con il Leone d’Argento “per l’indomita e coraggiosa creazione di progetti musicali in collaborazione con i più interessanti e riconosciuti compositori e performer, nell’ambito di media e di linguaggi musicali diversi. Nei suoi 44 anni di attività l’Ensemble si è distinto per la curiosità, l’energia, l’innovazione, il virtuosismo e la passione con cui si è dedicato a ogni nuovo progetto”, come recita la motivazione di Lucia Ronchetti.
Presente ai festival della Biennale Musica fin dal 1985, il gruppo quest’anno sarà interprete di due importanti e complessi lavori strumentali di Rebecca Saunders in prima italiana: Wound, che inaugurerà il Festival il 26 settembre al Teatro la Fenice e che vedrà la celebre formazione tedesca insieme all’Orchestra del Teatro diretti da Tito Ceccherini; e Skull, commissione della Biennale in collaborazione con il Festival Acht Brücken, l’Ensemble Contrechamps di Ginevra, l’Oslo Sinfonietta e lo stesso Ensemble Modern, che lo eseguirà il 28 settembre al Teatro Piccolo Arsenale diretto da Bas Wiegers. Abbiamo intervistato Ueli Wiget (piano) ed Eva Böcker (violoncello), componenti della storica formazione.
Il vostro complesso è nato a Francoforte nel 1980, quando diciotto musicisti da diversi Paesi si unirono per divulgare la New Music. Com’era il mondo della New Music nei primi anni Ottanta, e com’è oggi? Cosa è cambiato?
UW_Negli anni Ottanta c’eravamo solo noi, almeno in Germania. Era il nostro piccolo mondo per così dire, ma va anche detto che avevamo molto sostegno da parte di Fondazioni e dalla stessa città di Francoforte, cosa che ci ha sempre garantito la possibilità di suonare e tenere concerti. Naturalmente all’epoca la creazione di musica contemporanea era una cosa strettamente accademica, mentre oggi i creatori di questo genere vengono da mondi diversi: classica, pop, dal mondo dell’intrattenimento, dalla musica teatrale, da diverse tradizioni etnografiche.
È bellissimo che anche dopo quarant’anni Ensemble Modern abbia questa forza incredibile per la musica innovativa. Non vi chiederò qual è la formula magica, ma di spiegare se vi sono regole interne nel vostro gruppo che aiutano a preservare queste energie e se a volte c’è bisogno di cambiarle, aggiornarle ai tempi che mutano.
EB_Il modo in cui siamo organizzati ci dà flessibilità per quanto riguarda procedure, regole e scelte artistiche. Il fatto che i membri siano coinvolti in tutti gli aspetti della gestione dell’Ensemble è probabilmente il segreto che mantiene alta la nostra motivazione. La musica contemporanea è un movimento estetico in divenire, quindi vogliamo essere flessibili e adattare a quel fine il modo in cui lavoriamo. Essere aperti e desiderosi di esplorare, così come essere attenti ai cambiamenti e alle necessità in divenire, sono i motivi per cui siamo “moderni” anche nel nome.
Fin dall’inizio della vostra attività vi siete definiti come un curioso altoparlante per la musica contemporanea. Vi considerate ancora così? Questa definizione, che vi si addice molto, sottovaluta la vostra attività e i vostri rapporti con i compositori che scrivono per voi? Dopotutto, suonate più di settanta nuove composizioni ogni anno…
EB_Per noi è sempre stato importante presentare il maggior numero possibile di lavori e siamo impegnati a farlo tuttora. In questo modo il nostro pubblico scopre nuove creazioni e nuovi interessanti, giovani compositori, coi quali vogliamo instaurare una collaborazione duratura. Allo stesso modo è anche importante approfondire la nostra collaborazione con compositori che conosciamo da più tempo. Anni di collaborazione spesso si concretizzano in musica composta specificamente sulle qualità individuali dei nostri membri. Vogliamo bilanciare le due cose.
Bill Viola, artista straordinario che ha ridefinito le regole della videoarte, è morto il 12 luglio scorso. Nel 1994 Ensemble Modern gli commissionò l’accompagnamento video usato durante un concerto di un lavoro di Varèse, Déserts. Trent’anni dopo cosa ricorda di questo incontro e di quella collaborazione?
UW_L’arte di Bill Viola è fatta su misura per la musica, fino all’ultimo secondo. La cosa affascinante di Déserts è la differenza tra le immagini meravigliosamente lente e gli strati di eruzioni sonore di Varèse. E comunque anche Viola ha creato qualcosa di assolutamente musicale, che si adatta alla perfezione alla partitura, ad esempio la coda musicale corrispondente alle immagini della lampada che sparisce nell’acqua, o la scena di quell’occhio che si accompagna all’interludio…
Ensemble Modern was awarded the Silver Lion at the 2024 Venice Music Biennale “for the fearless and courageous creation of musical projects in collaboration with the most interesting and acknowledged composers and performers in the fields of media and different musical languages. In its 44 years of activity, the Ensemble has distinguished itself for its curiosity, energy, innovation, virtuosity and the passion with which it has dedicated itself to every new project.” in the words of the Biennale’s director Lucia Ronchetti. A presence at Biennale since 1985, this year Ensemble Modern will perform in two important, complex instrumental pieces by Rebecca Saunders: Wound, opening the Biennale on September 26; and Skull, a Biennale-commissioned piece in collaboration with Festival Acht Brücken, the Contrechamps Ensemble of Geneva, the Oslo Sinfonietta, and Ensemble Modern themselves, who will play on September 28. We met Ensemble Modern’s Ueli Wiget (piano) and Eva Böcker (cello).
Your ensemble was born in Frankfurt in 1980, when 18 musicians from different countries decided to form a group with a mission: popularize New Music. Can you tell us what the New Music situation was like at the beginning of the eighties, and how it is today? Are there any differences?
UW_In the 1980s, we were pretty unique. There were hardly any other new music groups yet in Germany, and this world was our oyster, so to speak. Of course, we enjoyed great support from foundations and the city of Frankfurt am Main, which guaranteed us continuous performance opportunities. At the time, contemporary composition was defined by an academic background, whereas composing today includes a multitude of possible backgrounds: classical, pop, entertainment, theatrical music, different ethnographic origins, etc…
What is amazing about Ensemble Modern is its ability to still exert, just like 40 years ago, its great driving force in favour of innovative music. I won’t ask you if there are any secret formulas, but rather to explain if there are any inner rules within your organization that allow you to still maintain these energies, and whether there is sometimes a need to refresh these rules, to update them to changing times.
EB_The way we are organised enables us to stay flexible with procedures, rules, and artistic choices. The fact that the members are involved in all aspects of running the Ensemble is probably part of the secret to our lasting motivation. Contemporary music is in constant aesthetic movement, so we have and want to be flexible by adjusting the way we work accordingly. Openness and willingness to explore, as well as the alertness to notice these changes are the requirements to enable doing justice to the word ‘modern’ in our name.
Since your earliest years you have always define yourselves as a curious loudspeaker of contemporary music. Do you still define yourselves in the same way? Doesn’t this very apt definition underestimate your activity of relationship and moral suasion towards the composers who write for you? After all, you perform 70 new compositions every year.... EB_It was always important to us to present as many new works as possible, and this remains one of our main efforts. This way we and our audience discover beautiful new creations and exciting young composers, with whom we then want to build a lasting working relationship. At the same time it is equally important to us to deepen our cooperation with composers with whom we have been working for a long time. Years of collaboration often result in works composed around the unique qualities of our members. Our goal is to keep a good balance.
Bill Viola, an extraordinary artist who redefined the rules of video art, died on July 12th. In 1994, Ensemble Modern commissioned Viola the visual score to be used during the performance of a work by Varèse, Déserts. 30 years later, what do you remember best of this meeting and this collaboration? UW_Bill Viola’s work is tailored to the music, down to the second. What is so fascinating about the film about Varèse’s Déserts is the discrepancy between his wonderfully slow images and Varèse’s eruptive layers of sound. At the same time, Viola created an absolutely musical work, a perfect fit for the composer’s score. Just think of the coda in the music when the film shows the table lamp disappearing in the water, or the scene with the toad-like eye that goes with Varèse’s electronic taped interlude.
Questa sezione esplora ciò che è diventata la musica per strumento solo in questi due decenni del terzo millennio. E il pianoforte non può che farla da padrone, proprio come dall’Ottocento in poi. George Benjamin, Alberto Posadas e Unsuk Chin sono tre musicisti nati intorno agli anni ’60 che hanno della musica e del pianoforte concezioni diverse tra loro. Benjamin è noto che fosse un grande pianista già nei suoi anni giovanili; quando scrisse Shadowlines aveva 19 anni ma egualmente era già arrivato a quella che sarebbe stata la sua matura cifra musicale: intrecciare tradizione ed avanguardia, rigore intellettuale ed emozioni espressive in una musica di fascino assoluto nel creare paesaggi sonori. Con Erinnerungsspuren (2018) Posadas, musicista spagnolo di grande spessore intellettuale e speculativo, tenta una rilettura del repertorio per piano solo in sei tracce che partono da Couperin, passano per Debussy, Schumann, Scelsi, per finire con Bernd Alois Zimmermann e Karlheinz Stockhausen. Unsuk Chin nei suoi Six Piano Etudes, composti tra il 1995 e il 2003, dimostra una straordinaria conoscenza del patrimonio pianistico del primo Novecento, un gusto sviluppato attraverso il controllo delle dissonanze ed un grande virtuosismo.
T he section will explore what became of music for solo instrument in the first two decades of the third millennium. Piano will take the lion’s share of the programme, much like it did from the 1800s onwards. George Benjamin, Alberto Posadas, and Unsuk Chin are three musicians born around the 1960s who have different views on music and on the piano. Benjamin is known as a great pianist since his younger years. He was merely nineteen when he wrote Shadowlines, though he was already at the point when his maturity was all there. Benjamin can blend tradition and avant-garde, intellectual rigour and expressive emotion in a music of absolute charm that creates beautiful sound landscapes. With Erinnerungsspuren of 2018, Spanish composer Posadas re-reads a piano solo repertoire in six tracks: Couperin, Debussy, Schumann, Scelsi, Zimmermann, Stockhausen. Unsuk Chin’s Six Piano Etudes, composed between 1995 and 2003, demonstrate an extraordinary knowledge of the early twentieth-century piano heritage, a taste she developed thanks to her mastery of dissonance and unparalleled virtuosity.
George Benjamin, Shadowlines, per piano solo (2001)
Come un fulmine a ciel sereno apparve il genio precoce di George Benjamin nel panorama della musica degli anni ’80. Aveva 22 anni quando scrisse At first light, per ensemble di 14 strumenti, opera che allora fu accolta con stupore ed ammirazione, sia per la somma abilità orchestrale del giovane musicista allievo di Messiaen, sia per la violenza timbrica della composizione che portò la critica a considerarla la Sagra della primavera della seconda metà del Novecento. Anche Shadowlines, opera per pianoforte composta da sei preludi, rivela la stessa determinazione nel tracciare linee musicali scolpite, incipit che aggrediscono e costruiscono tensioni sempre più forti che mai si risolvono, una maestria strumentale degna davvero di Stravinsky. Il 27 settembre, a Ca’ Giustinian, il pezzo sarà interpretato dal pianista francese Bertrand Chamayou. ENG George Benjamin came in like a breaking ball in the 1980 music world. He was merely twenty-two when he wrote At first light, a composition for a fourteen-element ensemble and a piece that was met, upon its release, with surprise and admiration, both for Benjamin’s orchestral ability – he had been a pupil of Messiaen’s – and for its timbral violence. Shadowlines, a piano composition comprising six preludes, reveals the same determination in looking for sculptured musical lines and aggressive lead-ins that build up stronger and stronger, unresolved tensions. Performing at Ca’ Giustinian on September 27 will be Bertran Chamayou.
Miles Walter, Variations on a theme by Flyng Lotus (2022)
Come potete sentire da questa clip, che é una cover al piano del pezzo di un rapper e hip-hopper molto famoso, il giovane compositore e pianista americano Miles Walter non ama erigere steccati tra generi musicali. Nella stessa serata del 27 settembre Walter suonerà in prima esecuzione assoluta un suo pezzo per pianoforte, Fantasy, del 2024. ENG W hat you can hear in this clip – a piano cover of a famous piece by a known rapper – is that American composer and pianist Miles Walter refuses to build fences between musical genres. On September 27, Walter will play in world premiere a new piano piece, Fantasy.
Bahar Royaee, Tombstone, for solo viola (2017)
Bahar Royaee è una giovane compositrice iraniana da molti anni residente negli Stati Uniti. Dal 2016 al 2020, ci spiega, attraversò un periodo di isolamento e di frammentazione interiore, dal quale si salvò riprendendo a parlare il farsi, la sua lingua madre, e leggendo le poesie di Yadollah Royaee. Frutto dell’uscita da quel periodo è Muted Stones, disco del 2023 che contiene quattro composizioni di straniante bellezza, tra cui Tombstone per assolo di viola. Questo brano lavora con molta coerenza sulle possibilità timbriche dello strumento, rifuggendo tuttavia sia da frenetiche fughe in avanti che da cupi romanticismi. La violista Hannah Levinson suonerà questo brano nel corso del concerto del 4 ottobre a Ca’ Giustinian.
ENG B ahar Royaee is a young Iranian composer who has been living in the USA for the last several years. From 2016 to 2020, she explains, she felt isolated, fragmented, and came out of it by going back to her mother language, Farsi, and by reading Yadollah Royaee’s poetry. What came out of it is Muted Stones, her 2023 record that comprises four absolutely beautiful compositions, one of which is Tombstone, for viola solo.
venerdì 27 settembre
h. 17 Ca’ Giustinian – Sala delle Colonne BIENNALE COLLEGE MUSICA COMPOSERS
MILES WALTER (1994)
FANTASY FOR PIANO SOLO *** (2024) (25’)
UNSUK CHIN (1961)
PIANO ETUDES 1-6 * (1995-2003) (16’)
GEORGE BENJAMIN (1960)
SHADOWLINES (2001) (20’) Six canonic preludes per pianoforte Bertrand Chamayou, pianoforte
giovedì 3 ottobre
h. 17 Ca’ Giustinian – Sala delle Colonne
MIHARU OGURA (1996) RIFRAZIONE *** (2024) (30’) per pianoforte
Commissione La Biennale di Venezia
ALBERTO POSADAS (1967)
ERINNERUNGSSPUREN * (20142018) (36’) per pianoforte
Chisato Taniguchi, pianoforte
Produzione La Biennale di Venezia in collaborazione con il Festival Pianistico Internazionale Bartolomeo Cristofori
venerdì 4 ottobre
h. 17 Ca’ Giustinian – Sala delle Colonne
BAHAR ROYAEE (1986)
TOMBSTONE * (2017) (13’)
MICHAEL PISARO-LIU (1961)
MIND IS MOVING N. 5 * (2015) (20’)
BIENNALE COLLEGE MUSICA COMPOSERS
JAEDUK KIM (1995) MICROCOSMIC SPACE – UNVEILING HIDDEN
SOUNDSCAPES *** (2024) (30’) Hannah Levinson, viola
*** Prima assoluta * Prima italiana
Per tutta la durata del festival, dalle 12 alle 18, sarà aperto nella Sala d’armi E dell’Arsenale uno spazio installativo per l’ascolto individuale con la diffusione del suono curata dal compositore e sound engineer francese Thierry Coduys. In questo spazio, concepito dalla light designer tedesca Theresa Baumgartner, saranno presentate opere di musica elettronica digitale ed acusmatica (la musica creata per essere ascoltata tramite altoparlanti) che si ispirano al concetto di “musica assoluta”. Tra le opere che si potranno ascoltare in questo antro digitale spiccano due assoluti capolavori di musica elettroacustica. Uno è De natura sonorum di Bernard Parmigiani del 1975: in poche opere come in questa il suono, generato da strumenti acustici o digitali, diventa un’entità superiore proteiforme, che trasmette infinite suggestioni espressive. L’altro è Bohor di Iannis Xenakis del 1962, in pratica un’esperienza di ascolto della durata di oltre 20 minuti in cui sembra di stare dentro una campana che viene continuamente colpita. Ovviamente non si tratta di esperienze sonore che aspirino ad una qualche comfort zone, tutt’altro: ma davvero possono portare in uno spazio altro, non solo sonoro, ma proprio anche interiore, perché quello che sembra essere l’espressione di un caos totale assolutamente dilettantesco e velleitario man mano diviene l’esito di una precisa e lucida creazione. È un po’ come vedere le opere di Donald Judd e reagire con un «Le so fare anch’io». No, non è per niente così. Tra le opere che verranno diffuse nello spazio ricordiamo anche The Hermetic Organ di John Zorn: si tratta di una delle tante manifestazioni sonore del folletto americano, improvvisazioni su di un organo a canne che partono da un disco del 2012 e che videro Zorn suonare l’anno scorso in un memorabile concerto i due organi frontapposti del Conservatorio Marcello di Venezia.
T hroughout the 2024 Venice Music Biennale, the Sala d’armi space at Arsenale will house an installation for individual listening curated by French composer and sound engineer Thierry Coduys. In this space, designed by German light designer Theresa Baumgartner, works of digital electronic music and acousmatic music will exemplify the concept of absolute music. Among the several pieces on the playlist of this digital den are two masterpieces of electro-acoustic music: one is Bernard Parmigiani’s 1975 De natura sonorum. There are barely any other examples, other than this, of sound generated by acoustic or digital means that becomes a proteus-like superior being, capable of infinite expressive immersion. The other is Bohor (1962) by Iannis Xenakis, a twenty-minute listening experience that will make us feel like within a bell that is rapped continually. Obviously, these are not experiences that aspire to take us to any sort of comfort zone – far from it. What they can and will do is take us to another zone, not merely a sound zone, but a zone of our inner self. What might seem the outwards expression of amateur, impracticable chaos slowly grows into the result of precise, intelligent creation. It feels like seeing Donald Judd’s minimalist art and thinking: “I can do that!” – though no, you can’t. The Hermetic Organ by John Zorn will also be played. It is one of the many of Zorn’s musical creations, an improvisation piece on organ elaborated on a 2012 recording. Zorn was in Venice last year, and played the piece at the two opposite organs at the Venice Conservatory.
Opening hours: Daily | 6.30 pm-12.30 am at The St. Regis Venice
Discover an artistic mixology experience where art turns into cocktails. Drinks inspired by the city's artistic a nd cultural legacy, all served in a stunning experiential space, along with an impressive terrace overlooking the Grand Canal.
The St. Regis Venice Hotel
San Marco 2159 - 30124, Venice
+39 041 240 0001
artsbarvenice.com
Iannis Xenakis, Bohor (1967)
Per creare questo lavoro il compositore utilizzò un organo a bocca laotiano, denominato khen, ed alcune cavigliere e crotali di provenienza orientale. La trasformazione dei suoni minimali prodotti da questi strumenti ed oggetti in un viaggio nella potente oscurità del suono, che altera la percezione del tempo e trasforma il tempo dell’esecuzione in un unico attimo frammentato, teso, bloccato, è frutto di una lucida visionarietà del compositore greco che ancora oggi, a distanza di oltre 60 anni, suscita incondizionata ammirazione.
ENG To create this piece, Xenakis used a Laotian mouth organ called khen and anklets and rattles from Asia. The transformation of the natural sounds coming from these instruments into a journey into the powerful darkness of sound, altering the perception of time and making the time of the performance a fragmented, tense, freezing moment is the result of the visionary composer’s lucidity, which earned him unconditional admiration.
Christina Kubisch, Tesla’s dream
In Christina Kubisch la musica sperimentale si ibrida con la video arte, con le installazioni sonore, con la performance art. Per lei si parla di “sinestesia” delle arti, anche se lei, va detto, con rigorosi studi di musica strumentale (suona il flauto) ed elettronica alle spalle non ha mai tranciato il legame che la lega fin dagli inizi della sua carriera alla musica d’avanguardia. Il lavoro che presenterà a Biennale Musica è basato su registrazioni effettuate nella Basilica di San Marco di musiche della Scuola Veneziana eseguite dalla Cappella Marciana diretta dall’attuale Kapellmeister Marco Gemmani.
ENG For Christina Kubisch, experimental music will hybridize with video art, sound installation, and performance art. A ‘synaesthetic’ approach to art for a rigorously trained musician who never severed her link with avant-garde music. The piece she will present at the Venice Music Biennale is based on recordings of Scuola Veneziana music performed by the Cappella Marciana choir in St. Mark’s Basilica.
Natasha Barrett, Little animals (2017)
Altro nome importante della musica elettroacustica, ovvero della musica prodotta attraverso la manipolazione dei timbri di suoni acustici: Natasha Barrett, musicista inglese di base in Norvegia. Di lei nello spazio della Sala d’Armi E sarà diffusa Volvelle, opera del 2015.
ENG A nother big name in electro-acoustic music: Natasha Barrett, a Norway-based English musician. At Sala d’armi, we will listen to her 2015 piece Volvelle
giovedì 26 settembre
h. 12 Arsenale – Sala d’Armi E INAUGURAZIONE SOUND EXHIBITIONS
26.09 > 10.10 (Lunedì 7/10 chiuso)
h. 12-18
DMITRI KOURLIANDSKI (1976)
PIANO SPACE *** (2020-2024) (60’)
Disklavier sound installation
Versione installativa
JOHN ZORN (1953)
THE HERMETIC ORGAN *** (2024) (30’)
Nuova versione per spazializzazione multicanale
CHRISTINA KUBISCH (1948)
TRAVELLING VOICES *** 2024 (30’)
Nuova versione per spazializzazione multicanale
Registrazioni a cura della Cappella Marciana
diretta da Marco Gemmani
Produzione La Biennale di Venezia – CIMM, Centro di Informatica Musicale Multimediale
PATRICIA KOPATCHINSKAJA (1977)
FLÜGELNWUND * (2023) (8’) per spazializzazione multicanale
Produzione SWR Experimentalstudio Freiburg
NATASHA BARRETT (1972)
VOLVELLE * (2015) (21’) per spazializzazione multicanale
FRANÇOIS J. BONNET (1981)
MEITH *** (2020) (37’)
Multiphonic acousmatic piece New version for multichannel diffusion
Produzione INA GRM Paris
IANNIS XENAKIS (1922-2001)
BOHOR (1962) (22’) per fixed media
BERNARD PARMEGIANI (1927-2013)
DE NATURA SONORUM * (1975) (53’) per fixed media
Produzione INA GRM Paris
ALVIN CURRAN (1938)
FOOTNOTES 1.3 *** (2024) (20’)
Un’installazione sonora autocomposta per Solo Disklavier e diffusione multicanale
Angelo Farro, app e sound-design
HANNA HARTMAN (1961)
FRACTURE * (2016) (24’)
Electroacoustic piece
Registrazioni di fagotto suonato da Dafne VicenteSandoval
Produzione Deutschlandfunk Kultur
BIENNALE COLLEGE MUSICA
COMPOSERS
MATTIA PARISSE (1998)
ZEAL *** (2024) (30’) per spazializzazione multicanale
ALI NIKRANG (1980)
ABSOLUTE HALLUCINATION *** (2024) (30’)
AI self-playing piano improvisation
Produzione La Biennale di Venezia in collaborazione con Ars Electronica Linz
Thierry Coduys, mixage e sound projection
Theresa Baumgartner, design luci
*** Prima assoluta
* Prima italiana
Intervista Christina Kubisch
di F.D.S.
Grande attesa per la prima assoluta della versione per spazializzazione multicanale di Travelling Voices (2024) della pioniera della ricerca elettronica tedesca Christina Kubisch. Il lavoro basato su registrazioni effettuate nella Basilica di San Marco di musiche della Scuola Veneziana eseguite dalla Cappella Marciana diretta da Marco Germani risuona il 26 settembre nelle Sale d’Armi dell’Arsenale: Kubisch si conferma artista interessata a un ascolto spaziale fuori dai luoghi deputati, che impongono la frontalità dell’esecuzione. I suoi lavori sono frutto di studi approfonditi della specificità del luogo prescelto, come ci spiega in questa intervista.
Fin dai suoi inizi come flautista classica, i suoi interessi musicali hanno compreso anche la musica elettronica e l’uso di sorgenti e poi di dispositivi elettronici che fanno parte della vita quotidiana. Di conseguenza i suoi lavori occupano l’ambito delle installazioni tecnologiche e in particolare dell’induzione elettromagnetica. È così?
Le questioni tecniche relative alla musica mi hanno sempre interessato, è per questo che dopo gli studi di musica classica come flautista ho studiato musica elettronica al Conservatorio di Milano. Penso che una buona conoscenza della parte tecnica degli strumenti e dell’acustica possa allargare il campo su cui lavorare con la composizione e l’installazione sonora. Mi interessano gli spazi sonori che vanno oltre l’esperienza del suonare strumenti classici. Inoltre, negli anni Settanta, che è quando ho cominciato a comporre, le donne che scrivevano per strumenti classici erano poche e spesso pure considerate incapaci! Ma è proprio in quel momento che importanti compositrici di musica elettronica come Éliane Radigue o Pauline Oliveros hanno cominciato a lavorare con sintetizzatori e strumenti elettronici. Questo le ha rese indipendenti dal mondo della musica classica, che spesso è dominato dalle loro controparti maschili.
Lei ha poi sviluppato delle particolari cuffie capaci di ricevere e manipolare i campi elettromagnetici emessi da macchine come bancomat, sistemi di sicurezza, biglietterie, reti, eccetera. Questa è una parte importante della sua ricerca, che col tempo ha mappato i cambiamenti tecnologici e l’aumento dei flussi di elettricità presenti nelle nostre città. Ad esempio, i pannelli fotovoltaici sono diventati sorgenti sonore che variano a seconda della luminosità. Come descriverebbe l’esperienza fatta col suo Electrical Walk ? In quante città lo ha condotto?
Finora ho realizzato 94 electrical walks con mappe annesse, ma nel mio archivio ci sono registrazioni fatte in centinaia di città, ciascuna
coi suoi suoni elettromagnetici. Negli ultimi vent’anni i suoni sono diventati più netti, più acuti, a volte più ritmici. Questo è dovuto al fatto che le sorgenti sono più digitali e meno analogiche. I campi diventano più forti e più intensi in tutto il mondo.
Che cosa ha imparato da questo lavoro?
Quel che posso dire è che il mondo sta cambiando rapidamente e dipende sempre di più dalla comunicazione digitale e dall’intelligenza artificiale. Questo non è ancora abbastanza discusso in pubblico, ma dovrebbe esserlo.
Cosa può anticiparci su Travelling Voices, il progetto che porterà a Venezia quest’anno?
La musica rinascimentale nel contesto della Basilica di San Marco si fondava sullo scambio fra compositori, istituzioni, governatori, mecenati e ovviamente la Chiesa. Molti musicisti europei in quel periodo volevano trasferirsi a Venezia. Questi compositori, ritornando successivamente nei loro Paesi d’origine, influenzarono moltissimo la musica europea. Cosa potrebbe succedere se i viaggi di allora si ripetessero ma con le possibilità di oggi? Se i compositori avessero avuto le possibilità tecniche della musica elettronica di oggi? Nel 2021 una serie di pezzi per coro di Monteverdi, Zarlino, Gabrieli, Merulo, Willaert cantati dall’Ensemble vocale della Cappella Marciana, sono stati registrati a Venezia con un arrangiamento di microfoni speciali. Queste registrazioni di voci, da sole e in gruppo, sono poi state riregistrate in diversi luoghi europei. Oggi, nel 2024, abbiamo creato una nuova versione a 16 canali che viene spazializzata da Thierry Coduys. È basata sull’idea di fare una composizione che considera anche lo spazio e l’acustica del luogo di presentazione, come inizialmente nel 2021 a San Marco.
© Katrin Binner
Much anticipation for the premiere of a multi-channel, spatialized version of Travelling Voices (2024) by German electronic music pioneer Christina Kubisch. The piece is based on recordings of choir music performed by the Cappella Marciana choir directed by Marco Germani in St. Mark’s Basilica. Travelling Voices will be played at Sale d’Armi, Arsenale, on September 26. Kubisch once again shows her capabilities as a creator of spatial listening occasions in places not specifically designated for musical performances, and ones that command frontality of execution. Her art comes after in-depth study of the venue’s specificities, as she explains in this interview.
Since the very beginning, your musical interests (you were trained as a classical flutist) have mixed with a special interest in the electrical field and with the curiosity to use as sound sources all electrical and later electronic devices that are present in our daily lives. As a result your calling has turned towards the world of technological installations related to electromagnetic induction. Is this correct?
I was always interested in technical questions related to music. That’s why after my classical flute studies I continued with studies in electronic music at the conservatory in Milan. I think that a good knowledge of the technical part of instrumentation and acoustics can enlarge our field of composition and sound installation. I am interested in sound spaces which go beyond the experience of playing classical instruments. In the seventies, when I started my first compositions, women who were writing for classical instruments were very few and were often considered incompetent. But it is exactly in this period that important female electronic composers such as Eliane Radigue or Pauline Oliveros started their important work with synthesizers and electronics. It made them independent from the classical music business, which was dominated by their male counterparts.
Then you developed custom made headphones, capable of receiving and manipulating electromagnetic fields from machines such as ATMs, security systems, subway counters and networks, etc. This was another very important area for
your research. Over time, your research has become an ongoing mapping of technological changes and of the increasing electricity flows present in our cities. For example, solar panels have become sources of sound, which varies according to the level of brightness. Would you like to describe the experience of your Electrical walk project? In how many cities have you realized it?
I have realized until now 94 Electrical Walks and designed related maps, but I have an archive of recordings of hundreds of different cities and their electromagnetic sounds. Within the last twenty years, sounds have become sharper, higher, sometimes more rhythmic. This is due to the change of more digital than analogue electrical sources. The fields become stronger and more intense all over the world.
What ‘lessons’ have you learned from it?
But maybe I could say: the world is changing very quickly and becomes more and more dependent on digital communication and artificial intelligence. But until now this is not discussed very much in public as it should happen.
Can you give us a preview of Travelling Voices, the work you will bring to Venice this year?
Renaissance music at St. Mark’s Basilica grew upon exchange between composers, institutions, governors, sponsors, and obviously the Church. Many European musicians of the time moved to Venice. Upon returning to their country, those composers influenced greatly European music at large. What would have happened if those travels could take place with today’s possibilities? If composer could use electronic music technology? In 2021, a selection of choir works by Monteverdi, Zarlino, Gabrieli, Merulo, Willaert performed by the Cappella Marciana choir were recorded in Venice with a special sound set-up. These recordings of solo and choir voices would then be re-recorded in other places in Europe. Today, in 2024, we created a sixteen-channel version spatialized by Thierry Coduys, based on the premise that a composition will consider the acoustics of the place it will be performed at, which is exactly what happened in Venice in 2021.
Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus (Ora bisogna bere, ora bisogna battere la terra con il piede libero): questi versi di Orazio potrebbero risultare perfetti per restituire il mood di questa sezione, dedicata alle composizioni che esplorano la natura fisica del suono, la sua origine dionisiaca e percussiva, la sua stretta contiguità con stati immersivi di violenza acustica. Da segnalare le due serate in cui verranno proposti due capolavori della musica della seconda metà del Novecento: quel monumento alla primordiale violenza percussiva che è Tutuguri di Wolfgang Rihm (di cui sarà presentato Kreuze, il quarto ed ultimo movimento del poema) e Le noir de l’étoile di Gérard Grisey per sei percussionisti, tape ed electronics, opera composta nel 1990 ed ispirata alla scoperta, vent’anni prima, di segnali radio provenienti dallo spazio e che allora fecero credere all’esistenza di civiltà extraterrestri. Mentre invece erano segnali emessi ogni 1,3 secondi dalle pulsar, le stelle di neutroni dalla massa comparabile a quella del Sole ma compressa in un raggio di pochi chilometri. La sezione prevede anche, la sera del 28 settembre al Teatro Piccolo Arsenale, l’esecuzione di Skull, composizione per ensemble del 2023 di Rebecca Saunders, Leone d’Oro quest’anno, opera che davvero toglie il respiro per la compattezza tensiva che riesce ad esprimere lungo tutto l’arco della sua durata (oltre 30 minuti).
“Now it is time to drink; now with loose feet it is time for beating the earth” – Horace’s verses are perfect to set the mood for this section, which is dedicated to compositions that explore the physical nature of sound, its Dionysian, percussive origine, its close adjacency with the immersive states of acoustic violence. The two concerts you should be looking forward to are performances of masterpieces of late twentieth-century music: a primordial monument to percussive violence, Wolfgang Rihm’s Tutuguri, and Gérard Grisey’s Le noir de l’étoile, a piece for six drummers, tape, and electronics composed in 1990 and inspired by the discovery, twenty years earlier, of radio signals coming from deep space that at the time made some believe in the existence of extra-terrestrial civilizations.
Rebecca Saunders, Skull, per ensemble di 14 strumenti (2023)
Partitura affascinante, quasi un lamento barocco che concede tanto spazio al silenzio come luogo d’arrivo di un’attesa, o forse, meglio, un viaggio in surplace. Quella del 28 settembre sarà la prima italiana di quest’opera, con l’Ensemble Modern (Leone d’Argento 2024) ad eseguirla.
ENG A fascinating piece, almost a baroque lamentation that gives much space to silence—the endpoint of waiting or, maybe, of a breezy, agile journey. Skull will premiere on September 28, performed by Ensemble Modern (the 2024 Silver Lion awardees).
Ben Vida e Yarn/Wire, Who’s haunting who here (dall’album The beat my head hit, 2023)
Ma davvero pensate che la musica contemporanea sia quella Via Crucis dove l’inascoltabilità dei suoni si deve per forza associare ad una capacità di sopportazione da parte dell’ascoltatore degna di Giobbe? Ascoltate questa filastrocca che sembra ricordarci le gemme più luminose ed inquietanti di Meredith Monk, tratta dall’album che il compositore USA Ben Vida ha realizzato l’anno scorso in collaborazione con i Yarn/Wire, un ensemble di due pianisti e due percussionisti nato per creare musica insieme a compositori, artisti del suono, scultori del rumore votati alla curiosità, alla sperimentazione, all’apertura della mente. Gli Yarn/Wire eseguiranno i lavori di Lisa Streich e Zeno Baldi al Teatro Piccolo Arsenale l’8 ottobre.
ENG You identify contemporary music with an ordeal of unbearable noise, such that it takes the patience of Job to sit through to the end? Listen to this rhyme. It will remind you of Meredith Monk’s brightest, eeriest gems. Who’s haunting who here is taken from the album that American composer Ben Vida recorded last year with Yarn/Wire, a two-pianists, two-drummers ensemble that works with composers, sound artists, and noise sculptors following curiosity, experimentation, and open-mindedness. Yarn/Wire will perform music by Lisa Streich and Zeno Baldi at Piccolo Arsenale Theatre on October 8.
Zeno Baldi, Bonsai (2017)
Compositore e artista sonoro veronese, studi di composizione e teoria musicale fatti a Graz, nella sua musica stupisce l’ironia garbata e la contiguità incessante con altri mondi sonori poco frequentati dalla musica contemporanea, come l’indie e il rock sperimentale USA, che danno vita a momenti in cui la musica si ritaglia estasi ritmiche che nascono e finiscono come temporali estivi. ENG A composer and sound artist from Verona who studied composition and musical theory in Graz, Austria, Baldi makes music of surprising, gentle irony and uninterrupted continuity with other less-travelled sound world in contemporary music, like indie and American experimental rock. The resulting moments of ecstatically rhythmic music generate and dissipate like fiery summer storms.
venerdì 27 settembre
h. 20 Teatro alle Tese
GÉRARD GRISEY (1946-1998)
LE NOIR DE L’ÉTOILE (1989-1990) (60’) per sei percussionisti, suoni registrati e trasmissione di segnali astronomici Ensemble This-Ensemble That Federico Tramontana, percussioni
BIENNALE COLLEGE MUSICA
PERFORMERS
Aleksandra Nawrocka, percussioni
Thierry Coduys, sound projection
sabato 28 settembre
h. 20 Teatro Piccolo Arsenale
BIENNALE COLLEGE MUSICA
COMPOSERS
ALICE HOI-CHING YEUNG (1999)
SONIC RITUAL *** (2024) (20’) per tre percussionisti
Brian Archinal, Federico Tramontana, percussioni
BIENNALE COLLEGE MUSICA
PERFORMERS
Aleksandra Nawrocka, percussioni
REBECCA SAUNDERS (1967)
SKULL * (2023) (45’) per ensemble
Commissione La Biennale di Venezia / Ensemble
Modern / Oslo Sinfonietta / Contrechamps / Festival ACHT BRÜCKEN Musik für Köln
Ensemble Modern
Bas Wiegers, direttore
lunedì 30 settembre
h. 17 Chiesa della Pietà
ANTONIO VIVALDI (1678-1741)
L’ESTRO ARMONICO, OP. 3 (1711) (55’)
N. 1 in Re maggiore RV 549, N. 2 in Sol minore RV 578, N. 4 in Mi minore RV 550, N. 8 in La minore RV 522, N. 10 in Si minore RV 580
Venice Baroque Orchestra
Andrea Marcon, direttore
martedì 8 ottobre
h. 20 Teatro Piccolo Arsenale
LISA STREICH (1985)
ORCHESTRA *** (2024) (40’)
per due pianoforti e due percussioni
Commissione La Biennale di Venezia / Miller
Theatre at Columbia University
ZENO BALDI (1988)
LAMINAR FLOW * (2020/2021) (20’)
per due pianoforti, due percussioni ed elettronica Yarn/Wire
Laura Bager, Julia Den Boer, pianoforti
Russell Greenberg, Sae Hashimoto, percussioni CIMM, Centro Informatico Musicale Multimediale, diffusione sonora
*** Prima assoluta
* Prima italiana
La capacità del jazz di rinnovarsi, di trovare continuamente una rigenerazione, una capacità di adattarsi ai tempi e di essere un fattore di interpretazione e di sintesi degli stessi, ha dell’incredibile. Da questo punto di vista, rivela una vivacità e una predisposizione al cambio di pelle molto più del rock, che invece sembra destinato alla sopravvivenza silenziosa dopo che la cometa Radiohead cominciò la sua parabola discendente. Certo, alcune di queste resurrezioni sembrano debitrici più ad un mimetismo che riproduce un po’ pedissequamente i fasti del passato: ho in mente la musica epica ma di evidente matrice post-coltraniana di Kamasi Washington. Mentre il jazz più innovativo degli ultimi due decenni è quello che cerca di smussare il più possibile la cesura, classica del jazz, tra composizione ed improvvisazione, lavorando sulle sopraffine qualità tecniche dei musicisti e soprattutto sulla loro capacità di ascolto reciproco. Artisti come Vijay Iyer, Tyshawn Sorey, Makaya McCraven, Mary Halvorson, Joel Ross sono tutti musicisti accomunati da una comune visione del mondo: una grande libertà nell’attraversamento di generi diversi, una formidabile abilità nel controllo dello strumento, che però non è al servizio dell’esibizionismo di facciata, un interplay perfetto. E soprattutto una visione della struttura del pezzo in cui esposizione del tema e improvvisazione non sono momenti separati, ma vivono di un’intima connessione, di una serie di rimandi e di richiami, in un rapporto non di alterità ma di sviluppo biologico. Proprio questo jazz, in cui prassi compositiva e ricerca improvvisativa si confondono, si mescolano, si ibridano, sarà presente con Georg Vogel, Tyshawn Sorey, Peter Evans a Biennale Musica 2024.
Jazz’s ability to renovate and regenerate, to adapt to the times and be an active factor in interpreting them is nothing short of incredible. From this point of view, it reveals a liveliness and a better inclination for renewal than rock’s, which is looking at silent survival after Radiohead’s descent started. Sure, we seem to owe some of these ‘resurrections’ to a kind of mimicry that follows, a bit too closely maybe, the splendour of the past. I’m thinking of Kamasi Washington’s epic music of obviously postColtronian matrix. While the most innovative jazz of the last two decades is the jazz that tries to smooth out as much as possible the difference, which is classically jazz, between composition and improvisation, and to work on the technical prowess of performers that show a common vision, freedom to cross over onto different genres, and willingness to listen to one another. Artists like Vijay Iyer, Tyshawn Sorey, Makaya McCraven, Mary Halvorson, and Joel Ross do have a common vision: great freedom in exploring different genres, an amazing ability to control their instruments while keeping clear of showy, swanky bravura, and perfect interplay. Also, and above all, a vision of the structure of the music where exposition of a theme and improvisation are not separate moments, but live in intimate connection and cross-references. They’re not opposed, but biologically symbiotic. This is the kind of jazz we’ll see: compositional praxis and improvisational research blend, mix, hybridize, thanks to Georg Vogel, Tyshawn Sorey, and Peter Evans at the 2024 Venice Music Biennale.
Peter Evans col suo gruppo Being and becoming, My sorrow is luminous
Peter Evans è un giovane compositore newyorkese che suona anche la tromba. Nel 2017 ha formato questo gruppo che mette magnificamente in pratica tutte gli assunti del jazz contemporaneo: notazioni tematiche che servono a sviluppare l’improvvisazione, una forte attenzione alla dimensione timbrica, creatività spontanea, una qualità improvvisativa che rifugge dall’esibizionismo tecnico per privilegiare l’interplay tra i diversi musicisti. Evans sarà il 6 ottobre alle Tese dei Soppalchi con la sua tromba in solitaria.
ENG Peter Evans is a young New York composer and trumpetist. In 2017, he started his band to perfectly put into practice the tenets of contemporary jazz: thematic notions to develop improvisation, exhaustively accounted-for timbral dimension, attention to timbral dimension, spontaneous creativity.
Georg Vogel è un jazzista viennese di grande innovazione: l’album uscito nel 2020 dal titolo Between a rock and a hard place, che lo vede suonare il piano in un trio chiamato Tree, rappresenta sicuramente l’ultima wave in ambito jazz, in cui i singoli temi di ogni composizione servono solo a costruire un frame in cui poi il processo di improvvisazione e di interplay tra i musicisti diventa l’elemento essenziale. Ma Vogel ha anche una sorta di ossessione per sistemi temperati (quella convenzione occidentale per cui le note della scala musicale sono dodici con intervalli di un semitono tra l’una e l’altra) alternativi, come quello ideato nel 1500 da Gioseffo Zarlino, il più grande teorico musicale del Rinascimento e maestro di cappella a San Marco. E Vogel è anche un artigiano, perché costruisce il Claviton, uno strumento a tastiera che, in omaggio alle teorie dello Zarlino, ha 31 toni per ottava. I tasti neri sono suddivisi in quattro sezioni, ciascuna corrispondente ad un quarto di tono del sistema temperato in vigore nell’Occidente. Ascoltate dunque l’8 ottobre alle Tese dei Soppalchi questa musica suonata da Vogel col suo Claviton, così vicina e così lontana alle nostre orecchie, così familiare eppure così inafferrabile, e pensate a cosa sarebbe stata la musica occidentale se il sistema temperato di Gioseffo Zarlino avesse prevalso...
ENG Georg Vogel is an innovative Austrian jazzman whose 2020 album Between a Rock and a Hard Place represents the latest jazz wave. In it, individual compositional themes frame improvisation and interplay, which is the real essence of this music. Vogel also loves alternative tunings, like the one devised in the 1500s by Gioseffo Zarlino, the greatest musical theorist of the Renaissance and chapel master at St. Mark’s in Venice.
Tyshawn Sorey, For Jaimie Branch (2023)
È uno dei giganti della musica contemporanea, dove per tale intendiamo in senso temporale “la musica di oggi”. Perché Sorey non è solo uno dei più ispirati compositori di oggi, per l’appunto, ma è anche uno dei più validi batteristi jazz oggi in circolazione, che nel suo fertile percorso ha suonato con musicisti del calibro di Anthony Braxton, John Zorn, Vijay Iyer, Dave Douglas. Se la fluidità, la mobilità di spostarsi da un genere all’altro, da un territorio all’altro, sono forse la caratteristica principale del sentire contemporaneo, allora Tyshawn Sorey è un intellettuale che rispecchia ai livelli più alti il suo tempo. Quindi non solo un grande musicista, ma un saggio in cui lo spirito del tempo ha deciso di incarnarsi.
ENG A g iant of contemporary music—here meaning, ‘the music of today’. Sorey is not one of the most inspired modern composers, but also one of the most talented jazz drummers around, a performer who worked with Anthony Braxton, John Zorn, Vijay Iyer, Dave Douglas. If fluidity and mobility are the main feature of modern times, then Tyshawn Sorey is an intellectual that mirrors his time at the highest levels.
domenica 29 settembre
h. 17 Tese dei Soppalchi
TYSHAWN SOREY (1980) ALONE *** (2024) (60’)
Tyshawn Sorey, pianoforte
Theresa Baumgartner, design luci
domenica 6 ottobre
h. 17 Tese dei Soppalchi
PETER EVANS (1981)
CONCERTO FOR SOLO
TRUMPET *** (2024) (60’)
Peter Evans, tromba
Theresa Baumgartner, design luci
martedì 8 ottobre
h. 17 Tese dei Soppalchi
GEORG VOGEL (1988)
CLAVITON SOLO *** (2024) (60’)
Georg Vogel, claviton
Theresa Baumgartner, design luci
mercoledì 9 ottobre
h. 17 Tese dei Soppalchi
LAYALE CHAKER (1990) QARAR/JAWAB (INTERNAL DIALOGUES) *** (2024) (60’)
Layale Chaker, violino
Theresa Baumgartner, design luci
*** Prima assoluta
Intervista Georg Vogel di F.D.S.
Georg Vogel, giovane performer viennese, porta l’8 ottobre alla Biennale Musica il Claviton, strumento di sua costruzione con divisione dell’ottava in 31 toni, secondo il sistema naturale teorizzato da Gioseffo Zarlino proprio a Venezia nel 1558. Il suo jazz riprende la tecnica del contrappunto nell’intensità vertiginosa di speculazioni sonore ad alto tasso d’improvvisazione, come lui stesso ci racconta.
Lei è qui a Venezia per suonare il suo Claviton, ma comunque vorremmo farle anche in paio di domande in quanto jazzista. Ho ascoltato con grande interesse il suo album Tree : il suo jazz è molto moderno e affascinante, con quell’uso di basso e batteria. Cosa può dirci della sua formazione musicale e di come è diventato jazzista?
Prima di appassionarmi al jazz sono cresciuto come improvvisatore e poi come compositore in generi che riflettevano il mio materiale di studio. Quando poi ho conosciuto altri musicisti per provare improvvisazioni su accordi progressivi ho cominciato a comporre in modo diverso, per poter creare delle sfide al ‘vocabolario’ dei nostri esercizi. Io e i miei amici abbiamo provato qualsiasi genere di musica che trovavamo interessante. Ripensando a quei tempi, stavo cercando di capire quale fosse il genere cui potessi sentirmi più legato per poi dedicarmi a rifinire i dettagli. E infine, sono stati proprio i dettagli il punto focale della mia passione musicale.
Il suo jazz gode di una bellissima interazione tra musicisti e di una specie di approccio ‘biologico’ all’improvvisazione che non mostra cesure in esecuzione. Pensa sia un modo adeguato di descrivere la sua musica?
L’improvvisazione, di base, implica l’uso di moltissime componenti della natura umana. Mi piace l’idea di capire la nostra biologia per mezzo dell’arte. In effetti è una cosa reciproca, dal momento che cultura e natura interagiscono da quando esistono. Il rendersi conto di ciò che stiamo facendo mentre suoniamo passa costantemente dalla ragione all’intuizione, secondo tecniche che si imparano nel corso degli anni e che scegliamo di adottare di volta in volta. Il processo di inventare musica in tempo reale, specialmente farlo assieme ad altri musicisti, può dare risultati davvero inattesi. Insomma, assecondare la propria natura in questo senso è un’attività molto affascinante, e non si tratta solo di natura ma di una comprensione più profonda del significato dei nostri simboli culturali.
Passiamo ora alla sua attività di suonatore e, se ho capito bene, costruttore del suo Claviton. Da dove nasce il suo interesse per temperamenti alternativi a quello largamente adottato in Occidente? Può spiegare, in termini semplici, la differenza tra il temperamento a dodici toni e quello a trentuno?
I dodici toni permettono ottimi, quasi perfetti intervalli di quinta ma spesso scarsi intervalli di terza, i trentuno toni hanno terze perfette ma quinte temperate, la maggior differenza è questa. Questi due
temperamenti hanno un ascendente comune, sia il dodici toni che il trentuno si sono sviluppati dal tetracordo, che è la base delle scale cosiddette maggiori e minori.
Geograficamente l’idea dei trentuno toni non nasce da molto lontano. Il temperamento mesotonico, che è strettamente imparentato, è stato usato in pratica sin dal quindicesimo secolo, esteso a diciannove e trentuno note per ottava successivamente nel sedicesimo secolo, per poi cent’anni dopo arrivare a descrivere teoricamente la divisione equabile. Mi affascinano le possibilità del temperamento a trentuno toni come strumento per esplorare musiche di origini e fondamenti molto diversi, questo perché lo spettro di intervalli delle serie armoniche, cioè la scala naturale descrivibile con rapporti tra numeri interi, è molto più ampio.
Ha una spiegazione sul perché il temperamento a dodici toni abbia prevalso nel mondo occidentale? La storia della tecnologia è piena di esempi di standard subottimali che hanno prevalso per ragioni altre da quelle inerenti la loro intrinseca qualità. Forse è successa la stessa cosa in musica? Giusto farlo notare, sì, dal momento che la musica è legata ad altri fattori di storia sociale. Assumiamo che ci sia una logica interna allo stile musicale che sia più o meno indipendente dagli strumenti effettivamente usati. Ci sono due possibilità per chi ascolta e per chi esegue: la musica può essere suonata con strumenti che possono essere accordati come la musica richiede o possono essere accordati diversamente. La decisione è quindi di scegliere di usare lo strumento a disposizione o procurarsene uno diverso. Nella realtà osserviamo diverse soluzioni, che appunto dipendono dalla situazione socioeconomica e che possono mal adattarsi a uno standard che non è ideale. Ma tornando agli intervalli, ci sono alcune tecniche basate sulla teoria delle proporzioni che rivelano vantaggi e svantaggi di ciascun sistema (usando rapporti tra interi). Questa teoria è la base di partenza di ciascuna accordatura, ma non è necessario comprenderla a fondo per usare i dodici toni. Il suo intervallo costitutivo è tre mezzi, che è il rapporto più semplice delle serie armoniche a parte il rapporto di due a uno. Nei trentuno intervalli e nel temperamento mesotonico si usano i cinque quarti, che descrivono la più semplice delle terze maggiori. Questa può essere una delle ragioni.
Ha costruito il Claviton da solo? Se sì, come è diventato un assemblatore di tastiere? Non dev’essere stato facile o immediato. Chi potrebbe comprare questo strumento?
Sì, tutti i Claviton sono stati costruiti nel mio laboratorio a Vienna negli ultimi anni. Quando questa attività è cominciata avevo bisogno di questi strumenti sia per i miei progetti da solista che per quelli in orchestra. Ho cominciato coi modelli acustici ed elettrici per poi passare al digitale, i cui esempi sono già stati replicati qualche volta per i miei colleghi. Prossimamente credo riuscirò a mettere sul mercato dei Midi-Clavitones per altri musicisti e compositori.
Austrian performer Georg Vogel is in town with his Claviton on tow. The Claviton is an instrument built by Vogel himself, and is tuned such that its octave comprises thirty-one tones, a temperament theorized by Gioseffo Zarlino right here in Venice in 1558. Georg Vogel’s jazz play counterpoint with vertiginous intensity and highly speculative improvisation. Here’s how.
Even if you are coming to Venice to play your Claviton, I would like to ask you my first two questions focusing on you as a jazz player. I listened with great interest to the album Tree, where you play a very contemporary and very fascinating jazz together with bass and drums. Can you tell us something about your origins as a musician and how did you become a jazz musician? What are your main influences? Before developing passion for the jazz approach, I improvised on the piano which led to compositions that reflected the material I was investigating beforehand. When I then met people to try out rhythmic improvising over chord progressions, I began to write differently. I wanted to challenge the vocabulary training I mentioned. My friends and I discussed and tried every kind of music we found that was interesting. Thinking about that time, I was intensely searching for the musical piece that would attract me the most. My goal was to define the necessity to work on the details. Later on, I developed fascination and passion for details in and of themselves.
As I said, your jazz thrives on an amazing interplay between the musicians, and on a sort of biological approach to improvisation, without major breaks in the execution phase. Do you recognize yourself in this description? Improvisation involves basically so many parts of our human nature operating, all at once. I like the idea of approaching our biology through art; actually, it is mutual, since our culture and nature interacted since the very beginning. The awareness of what you do and think while playing constantly switches between associatively driven intuition and rationally selectable techniques learned over the years; the process of inventing music in real time and especially together with other musicians can then create
very unexpected results. It is a very fascinating undertaking to act naturally in this sense, which never is just nature itself, but also a source of inspiration for a deeper understanding and meaning of our cultural symbols.
Let’s come to your second activity as a player and builder if I understood correctly of your Claviton. Where does your interest in alternative temperament systems to the one adopted by the Western world come from? Can you explain, in simple words, the difference between temperament in 12 and 31 tones?
12 equal tuning contains great, almost pure fifths but often no good thirds, 31 involves pure thirds but has got tempered fifths—these are the major differences. Both have the same ancestor: 12 and 31 developed from interlocked tetrachords (four note groupings, basic elements of so-called major and minor scale). In terms of geography, the idea of 31 was first invented not that far away; the closely related meantone temperament is used in practice since the 15th century and was extended to 19 and 31 notes per octave in the 16th century. A hundred years later, the equal division was described theoretically. The possibilities of 31 as a tool to explore music of very different origin and premises fascinate me. They contain a vast spectrum of intervals of the harmonic series, the basic natural scale, describable with whole number ratios.
Do you have your own explanation why the 12-tone temperament has prevailed in the Western world? The history of technologic achievements is full of standards that are lower than others, but they have prevailed for different reasons which are not related to the quality of the standards themselves. Has something similar happened in the musical field as well?
Thank you for pointing this out. The answer is yes, as music is embedded to all circumstances of social history. Let’s assume there is an inner logic in every musical style, more or less independent of the actual instruments used. There are two scenarios connected to the awareness of the players and listeners: either music is exposed to instruments that do offer the required tuning possibilities or they provide different ones. Then it is a decision either to choose the instruments that are available or to create other types for said different needs. In reality, we observe everything in between, due to the different socioeconomic situations we mentioned before, and this can result in unfitting standards. Returning to the question of either 12 or 31: there are some techniques based on proportion theory that help to hear and see the advantages and disadvantages of both systems (using whole number ratios). This theory stands at the very beginning of both tunings but it is not so much necessary to understand it for using the 12-tone system. Its constitutive interval is 3/2, the most basic sound of the harmonic series beside 2/1. 31 equal tuning and meantone temperament involve 5/4, the simplest major third. This is may be one part of the reasons
Is it true that you build the Claviton yourself? If so, how did you turn into a keyboard builder? It must not be such a simple and immediate step. Who would be the possible buyers of this instrument?
Yes, all Claviton instruments are built at my workshop in Vienna and have been for the last few years. At the beginning of this process, I needed these instruments for my solo and ensemble projects (like the 31-tone band Dsilton). I started with the acoustic and the electric model and later developed the digital one, which already was replicated a couple of times for my colleagues. In the near future I will hopefully be able to offer some more Midi-Clavitones to other musicians and composers.
Questa sezione mette insieme compositori viventi e non (è il caso di George Crumb e di Galina Ustvolskaya), di cui verranno presentate opere caratterizzate da un forte ricorso al contrappunto, da una complessità strutturale, da una fascinazione straniante in grado di far perdere all’ascoltatore il contatto con la realtà. In questa sezione incontriamo alcuni grandi nomi della musica contemporanea, sulla scena da parecchi decenni, come l’americano David Lang e il francese Tristan Murail, oltre a compositori affermatisi a livello internazionale in tempi più recenti, come Clara Iannotta e lo sloveno Vito Žuraj.
A section that lists living and past composers (like George Crumb and Galina Ustvolskaya) whose work prominently features counterpoint, structural complexity, and alienating charm that will make the audience lose touch with reality. In this section, we shall meet some of the greatest names of contemporary music who have been on the scene for decades, like American David Lang and Frenchman Tristan Murail, as well as professionals who established themselves in more recent years, like Clara Iannotta and Vito Žuraj.
Galina Ustvolskaya, Duetto per violino e pianoforte (1964)
Segnatevi la serata del 2 ottobre, a Ca’ Giustinian, per l’esecuzione di due opere tratte dallo scarno repertorio della “signora col martello”, vale a dire Galina Ustvolskaya, tra i musicisti più originali del XX secolo, nata a Leningrado nel 1919 e morta nel 2006. Allieva di Shostakovich, è stata un’artista dalla moralità assoluta e inscalfibile, convinta della necessità che il musicista debba sacrificarsi per tutta la vita al servizio dell’arte, senza nessun compromesso con il potere e senza alcun ammiccamento ai gusti ed alle mode imperanti. Da queste convinzioni esce una musica scarna, essenziale, povera di espressione (da qui il soprannome con cui era conosciuta), ma tesa in modo spasmodico a quel nucleo centrale che per Ustvolskaja era la verità della sua arte. Le opere che saranno presentate la sera del 2 ottobre, la Sonata ed il Duetto, entrambe per violino e pianoforte, sono due sue testimonianze del tutto imperdibili.
ENG O ctober 2 – save the date. A concert at Ca’ Giustinian will comprise two pieces from the admittedly small repertoire of ‘the Lady with the Hammer’ a.k.a. Galina Ustvolskaya, one of the most original musicians of the twentieth century. Ustvolskaya was born in Leningrad in 1919 and died in 2006. A pupil of Shostakovich’s, she was an artist of absolute, unassailable morality, convinced as she was that musicians were called to sacrifice their whole life to art, with no compromise with power or the moment’s fads. Thanks to these convictions, we can enjoy essential, bare music, poor in expression (hence Ustvolskaya’s nickname), though stretched smasmodically to the very core of art’s truth.
Becca Stevens con gli Attacca Quartet, Be still
I Kronos Quartet hanno fatto scuola e cinquant’anni fa hanno gettato i loro semi facendo nascere, una generazione dopo, un piccolo esercito di musicisti i cui interessi si dividono equamente tra musica classica, musica d’avanguardia e rock indipendente, e che non hanno nessuna intenzione di erigere steccati tra questi ambiti musicali. Ecco spiegati gli Attacca Quartet, gruppo nato nel 2003, vincitore di due Grammy Award, che l’1 ottobre, a Ca’ Giustinian, suonerà una composizione di Georg Crumb, Black Angels del 1970, lamento trenodico per la guerra in Vietnam. Prima di loro, un altro quartetto d’archi, gli Amsterdam String Quartet, eseguiranno Daisy, una composizione commissionata da Biennale Musica a David Lang, compositore post minimalista, fondatore dei Bang on a Can, altro luminoso gruppo/organizzazione per la diffusione della musica contemporanea “dolce” nel mondo. Una delle date davvero imperdibili di questa Biennale Musica.
ENG F ifty years ago, Kronos Quartet lay the groundwork for what would become an army of musicians whose interests divide equally between classical music, avant-garde, and independent rock. This explains the birth of the Attacca Quartet in 2003, who have so far been awarded two Grammys. On October 1 at Ca’ Giustinian, Attacca will play a 1970 composition by Georg Crumb, Black Angels, a lamentation for the Vietnam War. The show will begin with a performance by the Amsterdam String Quartet, who will play Daisy, a composition commissioned by the Venice Music Biennale to David Lang. Lang is a post-minimalist composer who founded Bang on a Can, another great team/organization working to popularize ‘soft’ contemporary music.
Compositrice romana che dalla capitale è partita per un lungo viaggio che l’ha portata a Milano, Parigi, Harvard per finire a Berlino, dove attualmente risiede, Iannotta per le sue composizioni parte da un’idea sonora, una immagine di spazio in vibrazione sulla quale cerca poi di manipolare lo strumento orchestrale per riprodurre questa idea. L’ascolto di Moult ci ha fatto venire in mente, alla stregua del bouquet di un vino, lo stridere complesso di strati terrestri sovrapposti, oppure uno sciame di memorie dei tempi lontani che tornano a parlarci. In realtà il pezzo ha a che fare con le mutazione degli animali, in particolare dei ragni che Chiara trovava con una certa frequenza nel parco di Villa Medici a Roma, dove stava facendo una residenza. C’è comunque sempre l’idea di una temporalità che si sovrappone all’altra, di una mutazione che lascia un segno tangibile del corpo precedente. Lunedì 7 ottobre, a Ca’ Giustinian, la sua composizione A failed entertainment (2013) per quartetto d’archi sarà eseguita dal Kandinsky Quartet. ENG A composer who left her native Rome to study at Milan, Paris, Harvard and to later move to Berlin, where she now resides. Iannotta builds her compositions starting with a sound idea, a vibrating image in space that helps her manipulate orchestral instruments. As we listen to Moult, we are reminded of the complexity of wine, the jarring of earthly layers, or of a swarm of memories from afar that now come to visit us. In fact, Moult is about animals, spiders in particular, which Iannotta often saw during her residency at Villa Medici, in Rome. The idea is temporality laying upon another, a mutation that leaves a tangible sign on earlier bodies. On October 7, at Ca’ Giustinian, her composition A failed entertainment (2013) will be performed by the Kandisnky Quartet.
martedì 1 ottobre
h. 20 Ca’ Giustinian – Sala delle Colonne
DAVID LANG (1957)
DAISY *** (2024) (30’) per quartetto d’archi
Commissione La Biennale di Venezia / Parabola Foundation / Amsterdam String Quartet Biennale
GEORGE CRUMB (1929-2022)
BLACK ANGELS (1970) (20’) per quartetto d’archi amplificato
Attacca Quartet
Thierry Coduys, sound projection
mercoledì 2 ottobre
h. 20 Ca’ Giustinian – Sala delle Colonne
GALINA USTVOLSKAYA (1919-2006)
SONATA (1952) (20’) per violino e pianoforte
DUETTO (1964) (23’) per violino e pianoforte
Patricia Kopatchinskaja, violino
Markus Hinterhäuser, pianoforte
giovedì 3 ottobre
h. 20 Teatro Piccolo Arsenale
KAIJA SAARIAHO (1952-2023)
NYMPHÉA [JARDIN SECRET III] * (1987) (20’)
per quartetto d’archi e live electronics
Jean-Baptiste Barrière, Thierry Coduys, live electronics
BIENNALE COLLEGE MUSICA
COMPOSERS
HRISTINA SUSAK (1996)
NANO II *** (2024) (35’-40’) per quartetto d’archi
Quatuor Béla
Thierry Coduys, realizzazione informatica musicale e sound projection
lunedì 7 ottobre
h. 20 Ca’ Giustinian – Sala delle Colonne
CLARA IANNOTTA (1983)
A FAILED ENTERTAINMENT * (2013) (17’) per quartetto d’archi
VITO ŽURAJ (1979)
SCRATCH (2012) (6’)
GEORG FRIEDRICH HAAS (1953)
STRING QUARTET N.10 * (2016) (40’)
BIENNALE COLLEGE MUSICA
PERFORMERS
Kandinsky Quartet
*** Prima assoluta
* Prima italiana
VII
Il Padiglione 30 di Forte Marghera è il luogo deputato per i tre concerti di questa sezione, dove si avvicenderanno alcuni dei protagonisti dell’elettronica sperimentale. La prima serata vede i dj-set di Sam Barker, Tim Hecker, Cecilia Tosh. La seconda serata vedrà la partecipazione di una musicista danese, Sos Gunver Ryberg, la cui musica liminale occupa uno spazio variegato e multidisciplinare: dj-set, musiche per film e per videogames, arte installativa, teatro danza, performance. La terza serata presenta un lavoro composto dall’ungherese Zsolt So˝res: Mut Naq Fo Mus (Ic) per viola pentafonica ed elettronica.
Padiglione 30 at Forte Marghera is where all three concerts in this section will take place, starring some of the protagonists of experimental electronic music. First night, DJsets by Sam Barker, Tim Hecker, Cecilia Tosh. On the second date, Danish musician Son Gunver Ryberg’s liminal music will occupy a diverse, multi-disciplinary space: DJ-sets, film music, videogames, installation art, dance theatre, performance art. On the third day, a composition work by Zsolt So˝rés: Mut Naq Fo Mus (Ic) for five-string viola and electronic instruments.
Zsolt So˝res/AHAD, Pulse geometries estende
Nato a Budapest, figura centrale dell’avantgarde ungherese sia come strumentista in moltissime formazioni che praticano la musica sperimentale, che come compositore, organizzatore, editore, presenterà la sua opera per viola a 5 corde il 29 settembre.
ENG B orn in Budapest and a central figure of Hungarian avant-garde both as an experimental music performer and as a composer, producer, editor, Zsolt So˝rés will present his first five-string viola composition on September 29.
Tim Hecker, Ravedeath, 1972 (album, 2011)
Spunto del disco sono alcune registrazioni in presa diretta dell’organo a canne di una chiesa di Reykjavik, poi manipolate in studio di registrazione. È il capolavoro di Hecker, ai vertici dell’ambient music contemporanea. Tim Hecker suonerà il suo dj-set la sera del 4 ottobre.
ENG T he idea behind the record are live recordings of a church organ in Reykjavik and later processed in a studio. This is Hecker’s masterpiece of contemporary ambient music. Tim Hecker will run his DJ-set on October 4.
Sos Gunver Ryberg, Palacelike Timescale of black
Estrema abilità nel giocare tra tecno e industrial noise, ritmi eccitati attraversati da drones, uso del silenzio immersivo: sono queste le caratteristiche di questa straordinaria musicista danese (5 ottobre a Forte Marghera).
ENG I ncredible ability to play between techno and industrial noise, excited rhythms, drone, immersive silence: this is what amazing Danish musician Sos Gunver Ryberg can do, and will on October 5 at Forte Marghera.
domenica 29 settembre
h. 21 Forte Marghera, Mestre
ZSOLT SO ˝ RÉS / AHAD (1969) MUT NAQ
FO MUS (IC) *** (2024) (35’) Zsolt So˝rés, viola a 5 corde, electronicsCommissione DAAD ArtistsIn-Berlin Program
ASH FURE (1982)
ANIMAL * (2023) (40’) per solo suono e luci
ROBERT MACHIRI (1978)
DJ-SET (60’)
Theresa Baumgartner, design luci
venerdì 4 ottobre
h. 21 Forte Marghera, Mestre
TIM HECKER
LIVE (60’)
SAM BARKER
LIVE (60’)
CECILIA TOSH
DJ-SET (60’)
Theresa Baumgartner, design luci
sabato 5 ottobre
h. 21 Forte Marghera, Mestre
SØS GUNVER RYBERG
LIVE (60’)
PAN DAIJING
LIVE (60’)
RICHARD DEVINE
LIVE (60’)
In collaborazione con CTM Festival Berlin
Theresa Baumgartner, design luci
* Prima italiana
ZSOLT SO ˝ RÉS
Intervista Zsolt So˝rés
di F.D.S.
Il 29 settembre a Marghera l’artista e musicista Zsolt So˝rés/Ahad presenta il suo nuovo lavoro (commissione DAAD Artists-in-Berlin program), rielaborazione delle caratteristiche linguistiche della grande tradizione musicale ungherese assieme alla compositrice americana Ash Fure e al producer sudafricano Robert Machiri. Di questo e del suo eterogeneo percorso formativo abbiamo parlato con lui, in questa intervista.
La sua formazione è di storia e teoria della letteratura. Come è diventato musicista?
Ho vissuto nel mondo della musica e del suono da quando ho memoria. Ho studiato chitarra classica da ragazzo e poi basso jazz. All’epoca – erano gli anni Settanta e Ottanta – la musica prog dell’Europa occidentale e dell’America avevano grandissima influenza culturale anche in Europa orientale. Arte e musica occidentali arrivavano anche in Ungheria, e tanto bastò per ispirarmi.
A un certo punto, negli anni Novanta, prima che arrivasse internet, curavo la sezione musicale di una rivista d’arte indipendente a Budapest e intervistammo Chris Cutler, che ci parlò dell’era delle comunità virtuali. Ci spiegò come diversi pubblici in giro per il mondo, ovunque lui andasse a suonare, conoscessero la sua musica e ascoltassero i suoi dischi. Parlando con queste persone capiva che aveva più cose in comune con loro che con le persone che aveva attorno nel suo ambiente a Washington DC. In questo senso, anch’io sono parte di una comunità virtuale. Ho suonato in gruppi rock quando andavo a scuola e poi, per l’influenza di un insegnante di lettere molto carismatico, mi sono iscritto a Lettere e Filosofia. Disegnavo molto da ragazzo, i miei insegnanti mi hanno fatto partecipare a dei concorsi, con un certo successo. Poi ho cominciato a scrivere poesia d’avanguardia, e anche lì gli insegnanti hanno continuato a incoraggiarmi. Solo alla fine dell’Università ho ripreso in mano la musica. Alla presentazione della mia prima raccolta di poesie, nel 1992, ho suonato della noise music lì in libreria assieme a un amico chitarrista. Fu il mio primo concerto dal vivo e quella musica rappresentava l’embrione di quanto avrei sviluppato in seguito.
Negli anni Ottanta, grazie a un amico ungherese che abitava in Austria, sono riuscito a ottenere dischi di artisti di cui da noi non si era mai sentito parlare, dagli Xenakis a Robert Wyatt allo harsh noise giapponese. Dopo il 1989, ho potuto ottenere i CD distribuiti da Recommended Records, perché casualmente conoscevo il loro distributore in Ungheria. Dopo il cambio di regime, Eugene Chadbourne, Chris Cutler, Jon Rose Trio, The Ex + Tom Cora, Catherine Jauniaux, Ikue Mori, PFS Band e molti altri finalmente potevano venire a suonare a Budapest e sono stati una grande ispirazione per me. Ascoltare la musica, anzi ‘ascoltare’ in generale, è stato essenziale per formare la mia creatività. Sono passato dalla chitarra al violino nel 1992 e qualche anno dopo alla viola, che da allora è il mio
strumento principale. Dopo l’Università ho lavorato come curatore tecnico e bibliografo all’Istituto di Lettere dell’Accademia Ungherese delle Scienze. Grazie a questa istituzione ho potuto lavorare e avere la libertà di far crescere la mia musica e la mia arte. Sfortunatamente, nell’Ungheria di oggi non ci si può mantenere lavorando esclusivamente come compositore di musica sperimentale, ma non era possibile neanche allora…
Parlare di lei solo come musicista è limitante, dato che è un artista militante e interdisciplinario che lavora all’avanguardia in molti generi, senza distinzioni: musicista, esecutore, editore, produttore e molto altro ancora. Come vive questa sua poliedricità espressiva e professionale? C’è il rischio che il fare musica ne risenta?
Ho sempre avuto molti interessi diversi, anche da molto giovane ero ingenuamente entusiasta per le diverse arti e scienze, dalla letteratura all’astronomia alla psicologia. Più avanti questo entusiasmo si è fatto man mano più strutturato, facendomi influenzare da molta teoria e altrettanta pratica.
Dal punto di vista teorico sono stato liberato dall’anarchismo epistemologico di Paul Feyerabend, dall’anarchismo ontologico di Hakim Bey, dal New York Autonomedia, dall’anarchismo mistico di Robert Anton Wilson, da Guy Debord e dal situazionismo.
In termini di pratica artistica, per me è stato fondamentale prendere contatto, nei primi anni Novanta, con i fondatori della rivista d’avanguardia e del movimento artistico Hungarian Workshop a Parigi, che erano tutti scappati all’Ovest dopo il fallimento della guerra d’indipendenza del 1956. Tramite loro ho potuto conoscere di persona le figure leggendarie dell’avanguardia internazionale del tempo e le loro opere, inclusi i poeti fonici, il movimento Fluxus e l’arte intermediale, tutte esperienze che mi hanno profondamente influenzato. Ho conosciuto Bernard Heidsieck, Paul Dutton, David Moss, Phill Niblock in Ungheria, poi Ernst Jandl a Venezia al festival VeneziaPoesia, Jaap Blonk e Paul Panhuysen in Slovacchia e così via… A proposito di Fluxus, una delle esperienze più importanti della mia vita è stata lavorare con Bet Patterson come membro dei Lazy Anarchists, un gruppo fondato dal mio amico, teorico musicale e artista concettuale, Jozef Cseres.
Quello che Dick Higgins chiama “intermedia” è un’eccellente articolazione della direzione che all’epoca volevo prendere. D’altra parte anche Phill Niblock e il suo concetto di intermedia sono stati importanti. Per lui questa arte intermediale di esecuzione sonora, stretta microtonalità, ronzio, film strutturalisti/ripetitivi definisce un macrouniverso che è più di un miscuglio di film e musica, perché crea una nuova qualità di arte, oltre che una nuova estetica.
Nonostante io abbia pubblicato due raccolte di poesia sperimentale e abbia curato libri e riviste di studi culturali, scritto saggi, girato film sperimentali, scritto poesia visiva, organizzato gruppi cinefili
Marghera (Venice), September 29: artist and musician Zsolt So˝rés/Ahad will present his new piece, a DAAD Artists-in-Berlin commission and a re-elaboration on the linguistic features of the great Hungarian musical tradition. So˝rés will be accompanied by American composer Ash Fure and South African producer Robert Machiri. We talked with him about his diverse education and work.
Your initial background is related to literary theory and history. When and how did you become a musician?
I have lived with music and the world of sound for as long as I can remember. I learned classical guitar as a child and later jazz bass. At that time – the 70s and 80s – Western European and American prog and experimental rock music had a huge cultural influence in Eastern Europe. Some of the contemporary Western art and music reached Hungary, which was enough to inspire me.
At one time, in the 90s, before the age of the internet, I was the music editor of an independent arts magazine in Budapest and we interviewed Chris Cutler, who spoke about the age of the virtual taste community. He was talking about how audiences all over the world, wherever he performs, know his music because they listen to his records and love them. When he talks to these members of the audience after the concert somewhere in the World, they have more in common with him than most of the people who surround him in his home micro-environment in Washington, D.C. In that sense, I have become more and more an active part of the virtual taste community.
At first, I was in underground rock bands in high school, and then, under the influence of a charismatic literature teacher, I went on to study a liberal arts course at university (philosophy and literature). I used to draw a lot as a child, and my art teacher at school thought I was talented and entered me in drawing competitions, in which I did well. Later I started to write avant-garde poems, which I showed to my high school literature teacher, who encouraged my creativity in this direction and awakened my interest in literary and artistic theory. Towards the end of my university studies, I returned to active music-making. At the launch of my first book of poetry, in 1992, I gave a duo concert of noise music improvisation in a bookshop with a guitarist friend. It was my first live concert where I played an embryonic version of the music I still play and compose today as an experimental composer, musician and sound artist.
In the 80s, thanks to a Hungarian friend living in Austria, I started to have access to recordings by artists who were almost completely unknown in Hungary at that time, from Xenakis to Robert Wyatt and Japanese harsh noise. After 1989 I started listening to CDs distributed by Recommended Records, because I was lucky to know their Hungarian distributor.
It was after the regime change that the Eugene Chadbourne – Chris Cutler – Jon Rose trio, The Ex + Tom Cora, Catherine Jauniaux and Ikue Mori, the PFS band, among others, came to Budapest for the first time to play club gigs and were a direct inspiration for me. Listening to music, and listening in general, has always been instrumental in shaping my own music and art.
I finally switched from guitar to violin in 1992 and a few years later to viola, which has been my main instrument ever since. After university, I worked as a technical editor and bibliographer at the Institute of Literature of the Hungarian Academy of Sciences. I basically saw this institution as a necessary job that would allow me the freedom to pursue my music and my art. Unfortunately, not only is it not possible to make a living in Hungary today as an exclusively experimental composer, but it was not possible even then…
Actually, talking about you just as a musician is quite limiting. In fact, you are an interdisciplinary, militant artist of all kinds of avant-garde, without any boundaries between artistic disciplines or activities. As a matter of fact you’re a musician, performer, magazine editor, cultural organizer, and many other things. How do you live the proliferation of so many interests at the same time? Is there any risk that your focus on music will pay the price for it?
I have always had a wide range of interests, and even at a very young age I had an almost naive enthusiasm for the arts and different sciences from literature to astronomy and psychology. Later on, this enthusiasm became more and more structured and I was influenced by many theoretical and practical influences that helped this process.
Theoretically, I was liberated by Paul Feyerabend’s epistemological anarchism, Hakim Bey’s ontological anarchism, the New York Autonomedia circle, Robert Anton Wilson’s mystical anarchism and Guy Debord and Situationism.
In terms of artistic practice, it was crucial for me to come into contact in the early 1990s with the founders of the avant-garde journal, publishing house and art movement Hungarian Workshop in Paris, all of whom had fled to Western Europe after the failed Hungarian War of Independence and Revolution in 1956. Through them, I was able to get to know personally the legendary figures of the international avant-garde of the time and their oeuvres. Among them, the phonic poets, the Fluxus movement and intermedia art had the greatest impact on me. I met Bernard Heidsick, Paul Dutton, David Moss, Phill Niblock in Hungary, but also Ernst Jandl in Venice at the VeneziaPoesia Festival, Jaap Blonk and
ZSOLT SO ˝ RÉS
underground e insegnato, sono sempre stato interessato alla struttura profonda della meta-arte, scoprendola ed approfondendola in particolare attraverso la musica e l’arte sonora. Nei miei lavori letterari ho cercato sempre di descrivere un tipo di processo artistico sperimentale e fonico, finendo di abbandonare la dimensione meramente descrittiva privilegiando una scrittura per improvvisazione. L’uso della grafica e della notazione estesa è ancora importante nel mio lavoro musicale, benché poi diventi improvvisazione libera nella noise music. Ho anche provato a trovare un anello di congiunzione tra la musica e la filosofia nel mio lavoro di improvvisazione libera (e non è un caso che la musica di Philip Corner mi sia così cara). Tuttavia l’improvvisazione è un modo di comporre antico, ritualistico e anche molto moderno. In questo senso, l’interpretazione che Eddie Prévost ha dato della meta-musica ha rappresentato un momento essenziale per la mia formazione. La funzione della meta-musica è provare la presenza dello spaziotempo con grandissimo acume psicologico mettendosi alla prova con la creazione. Può creare esperienze condivise uniche, sciamaniche, in cui la catarsi è simultanea per l’esecutore e per il pubblico, racchiusi nella stessa bolla. Questa poesia della meta-musica fa pensare a Tim Hodgkinson, che argomenta come nell’improvvisazione noi sentiamo e allo stesso tempo sperimentiamo il processo stesso, mentre ascoltiamo le infinite qualità e possibilità irrealizzate dietro ogni scelta musicale. Non è un caso che Hakim Bey consideri la libera improvvisazione la più importante forma d’arte, nel senso che è il linguaggio che libera di più l’immaginazione perché cambia costantemente a ogni punto della creazione e dell’esecuzione. Nella musica che compongo l’objet sonore è più che un fenomeno percettivo. Sperimentazione e composizione sono fattibili grazie all’interazione col materiale sonoro. È anche una forma di pensiero pratico. Negli ultimi venti, venticinque anni ho cercato modi di integrare le mie esperienze in diverse discipline artistiche nella musica che creo. Come compositore ho lavorato spesso col teatro, con compagnie di danza moderna, col cinema e con videoartisti. Ho tenuto diversi laboratori e oggi tengo un corso di analisi della musica da film all’Accademia Liszt a Budapest. La versatilità per me è più importante dell’iperspecializzazione. Questa non è per nulla un’idea moderna, perché l’ideale di integrità personale si è vista per la prima volta, nella storia europea, con l’antica democrazia greca. I greci credevano che interessi particolari e conoscenze troppo parziali distorcessero il carattere. Il fatto che apprezzassero il dilettante più dell’esperto non ha impedito loro di abbracciare i principi della filosofia, della scienza, della matematica e del teatro occidentali. Questa idea etica è sopravvissuta alla caduta delle poleis per secoli e questo è il modo in cui l’avanguardia ritorna alla tradizione.
Quando parla di sé come musicista si dichiara “ontologo del suono fantasma”. Sembra quindi aver bisogno di un linguaggio filosofico ed estetico per definirsi, come se la musica non fosse sufficiente. Ci vuole spiegare il significato di questa espressione?
Dunque, il linguaggio è – nelle parole di Merleau-Ponty – «il nostro elemento tanto quanto l’acqua è l’elemento dei pesci». Questo significa che la nostra percezione della realtà dipende meno dalle cose fisiche che vediamo rispetto alle cose che sentiamo.
E Salomé Voegelin, con la sua nozione di “cosmopolitismo sonoro”, esplora le possibilità di una politica del suono che enfatizzi “l’irriconoscibile e l’inascoltato”. Uno dei più importanti cambi di prospettiva a proposito della svolta sonora è che i principi rivelati dalla ricerca sonora ontologica si applicano non solo alle discipline di musica sperimentale dell’arte sonora, ma anche a una comprensione della realtà più ampia e sfaccettata, che quindi possa aprire a possibilità di metafisica materialista di ritorno dalla decostruzione. E assieme ad esso, come parte di esso, la creazione di una filosofia politica del suono. Questo avrà anche un impatto fondamentale nello status del musicista e sulla qualità della nuova musica creata. Penso che l’ontologia sonora moderna e neomaterialista, che descrive il suono non come fenomeno ma come materia o addirittura ‘prima materia’ che ci circonda completamente, possa portarci a profondità finora inesplorate del creare musica. L’ontologo del suono fantasma cosmopolita ha a che fare con queste aree speciali e oscure della realtà, la “materia sonora oscura” e l’”energia sonora oscura”. L’ontologo del suono fantasma è egli stesso Ahad, l’antico nome del Medio Oriente, un’entità unica che è al tempo stesso uno, unico e trascendente. Questo carisma è necessario per raggiungere questi spazi (sonori) inesplorati, per scoprire i punti bianchi della mappa e non solo riempirli. Ahad può raggiungere la sua meta solo andandoci; ma ovunque sia, egli è già arrivato.
Alla Biennale Musica di quest’anno presenta una delle sue composizioni nella sezione di musica elettronica sola, una composizione per viola a cinque corde e strumenti elettronici. Ce la può descrivere?
Il mio nuovo pezzo, MUT NAQ FO MUS (IC), sarà musica “accordata antropicamente”. È per questo che sto lavorando a una viola a cinque corde, uno strumento elettroacustico, con l’aiuto dell’ingegnere Sukandar Kartadinata. Lo strumento si chiamerà PolyViola e sarà accompagnato da un archetto sensoriale, il SensoBoo. Sarà l’incarnazione di un nuovo tipo di objet sonore, un “essere sonoro agente intermedio” nello “spazio sonico intermedio” creato da una gerarchia antropocentrica e dalla liberazione dal dualismo soggetto-oggetto. Il lavoro vuole unire l’ontologia intuitiva della prassi e l’ontologia tonale della metafisica a livello dell’organizzazione del suono usando la cosiddetta “regola della somma”, così come usata in meccanica quantistica.
Penso che la musica intuitiva supersensibile e la svolta tonale, un nuovo modo di vedere i processi più profondi del mondo, i meccanismi del regno quantico e il principio del cosmo antropico si muovano verso una creazione simbolico-analogica che è ancora più sottile delle realtà sonore alternative. In effetti, il mio nuovo lavoro MUT NAQ FO MUS (IC) tenta di modellare l’armonizzazione di un processo sonoro trascendentale particolare “posto nello spazio nomadico” in analogia con la regola della somma che descrive la transizione tra livelli di energia. La discussione sulla “concretezza” e la mediabilità del suono è stata per molto tempo condotta lungo le ben note questioni della natura mimetica del suono e le sue possibilità rappresentative. MUT NAQ FO MUS (IC), invece, implementa una prospettiva performativa che esplora le possibilità del suono come creazione di forma attraverso i rapporti e le interazioni tra PolyViola e SensoBoo, il corpo stesso dell’esecutore, il tessuto sonoro e le idee futuro-nomadi.
Paul Panhuysen at a performance art festival in Slovakia etc. And speaking of Fluxus, one of the defining experiences of my life was working with Ben Patterson as a member of The Lazy Anarchists, a group founded by my friend and music theorist and conceptual artist Jozef Cseres.
The intermedia in the Dick Higgins sense, the ‘between media’, was an excellent articulation for me at that time of the direction I was taking myself. On the other hand, I was also very much influenced by Phill Niblock’s conception of intermedia: for him, this intermedia art, with its sonic performativity, its strict microtonality, its drone music and its repetitive-structuralist films, creates a macro-universe that is more than a mixture of film and music, because it creates a new quality while also creating its own aesthetic.
Although I have published two experimental poetry collections, edited books of cultural studies and journals, written essays, made experimental films, created visual poetry, led underground film clubs and taught, I have always been interested in meta-artistic deep structure. And I found this meta-art through music and sound art. In my literary works I increasingly sought to describe a kind of experiemental, phonic process art in a complex way and eventually abandoned description itself, until I ended up writing improvisationally. The use of graphic and extended notation is still important in my musical work, although I very soon turned to free improvisation in noise music. I have also tried to find a link between music and philosophy in my work with free improvisation (which is why, I think, it is no coincidence that Philip Corner’s music is very close to me). However, improvisation is also an ancient, ritualistic and very modern, liberating way of composing. In this respect, Eddie Prévost’s interpretation of meta music has been a defining moment for me. This musical language was for me one of the most relevant forms of artistic modelling of reality. The meta music function is to experience the presence of space-time with exceptional psychological acuity and real creative challenges. It is capable of creating unique, ‘shamanistic’ shared experiences where catharsis is experienced by the musician and the audience simultaneously, enveloped in a shared bubble. And this ‘poetry’ of meta music brings to mind the thoughts of Tim Hodgkinson, who argues that in improvisation we both hear and experience the process itself, while ‘hearing’ the myriad qualities of unrealised possibilities behind each musical choice. I think it is no accident that Hakim Bey considered free improvised music to be the most important art form, in that it is the language that unleashes the most imagination, because it is constantly changing at every point of performance and creation. In my music, I see objet sonore as more than a mere perceptual phenomenon. Here experimentation and composition are achieved through interaction with the sounding material. It is also a practical form of thinking.
Over the last twenty to twenty-five years, I have been trying to find ways to integrate my experiences in different artistic disciplines into my own music. As a composer, I have worked regularly with theatre, contemporary dance companies, film and video artists, I have given numerous workshops and to this day I have a course in film music analysis at the Liszt Academy of Music in Budapest. Versatility is more important to me than over-specialisation. This is really not a modern idea, because this ideal of coherent personal integrity was first seen in European history in the ancient Greek democracy. The Greeks believed that particular interests and one-sided expertise distorted one’s character. The fact that they valued the amateur more than the expert did not prevent them from buying into the foundations of Western philosophy, science, mathematics and drama. This ethical ideal survived the fall of the polis for centuries. This is how the avant-garde returns to tradition...
When you talk about yourself as a musician, you call yourself a ‘ghost sound ontologist’. So you seem to need philosophical and aesthetic language to define yourself, as if music by itself were not enough. Would you like to explain the meaning of this expression?
Well, language is – in the words of Maurice Merleau-Ponty – ‘our element as water is the element of fish’. That is, our perception of reality depends less on the physical things we see than on the things we hear. And Salomé Voegelin, through the notion of ‘sonic cosmopolitanism’, explores the possibility of a politics of sound that always emphasises ‘the unrecognisable and the unheard’. And one of the most important changes of perspective in relation to the sonic turn is that the principles revealed by sonic ontological research apply not only to the experimental musical disciplines of sound art, but also to a more comprehensive and multifaceted grasp of reality, thus opening the possibility of a materialist metaphysics returning from deconstruction. And with it, as part of it, the creation of a sound political philosophy. This in turn has a fundamental impact on the status of the musician and on the quality of the new music that is created.
I believe that contemporary, new materialist sound ontology, by describing sound not as a phenomenon but as a material, even prima materia (that completely surrounds us), takes us to hitherto unexplored depths of music-making. The sonic cosmopolitan ghost-sound ontologist has to deal with these special, ‘dark’ areas of reality: the ‘dark sonic material’ and the ‘dark sonic energy’. And the ghost sound ontologist is himself ‘Ahad’, that is to say, according to the ancient Middle Eastern Christian name, a ‘unique’ entity who is at once ‘one’, ‘matchless’ and ‘transcendence’ itself. This charisma is necessary to reach the unexplored (sonic) landscapes, to discover the white spots on the map (not just fill them in). Ahad can only reach his destination by going; wherever he is, he has already arrived.
This year at Biennale Musica you will present and play one of your compositions for the Solo Electronics section, for fivestring viola and electronics. Please can you describe it to us? My new piece MUT NAQ FO MUS (IC) will be ‘anthropically tuned music’. For this, I am developing a new five-string viola-based electroacoustic instrument with experimental and digital instrument engineer Sukandar Kartadinata, called ‘PolyViola’, which will be accompanied by a sensory bow, the ‘SensoBoo’. The piece is the embodiment of a new type of objet sonor, the ‘acting intermediate sonic being’ in the ‘intermediate sonic space’, created by anthropocentric hierarchism and liberation from subject-object dualism. The work seeks to unite the intuitive ontology of praxis and the tonal ontology of metaphysics at the level of the organisation of sound, using the so-called ‘sum rule’.
I believe that the super-sensitive intuitive music and the tonal turn, a new way of looking at the deepest processes of the world, the workings of the quantum field and the principle of the anthropic cosmos, is moving towards the symbolic-analogical creation of ever more subtle alternative sonic realities. In fact, my new solo work MUT NAQ FO MUS (IC) attempts to model anthropic attunement in a peculiar transcendental sound process ‘placed in nomadic space’, by analogy with the sum rule of transitions between energy levels. The debate about the ‘concreteness’ and mediability of sound has long revolved around the well-known question of the mimetic nature of sound and its representational possibilities. Instead, MUT NAQ FO MUS (IC) aims to implement a performative perspective that explores the material possibilities of sound in form creation through the relationships and interactions between PolyViola + SensoBoo, the musician’s own body, sound textures and futuro-nomadic ideas.
Da Biennale Musica ci arriva un messaggio inequivocabile: c’è una terra ove ancora la voce è utilizzata in musica come strumento di preghiera, di totale dissociazione dalla dimensione corporea per acquistare una radicalità di estatica purezza, di rarefazione spirituale. Questa terra è il Baltico, con il suo padre spirituale, l’estone Arvo Pärt, e le sue seguaci, la lituana Juste˙ Janulyte˙ e la lettone Santa Ratniece. Delle due serate della sezione Pure Voices, quella del 30 settembre al Teatro alle Tese è appunto dedicata a tre opere di questi musicisti: la Missa Syllabica di Pärt, Saline per coro (2011) della Ratniece e Radiance per coro e live electronics della Janulytè. La seconda serata della sezione conclude questa edizione di Biennale Musica il 10 ottobre in un luogo d’eccezione: la Basilica di San Marco ospiterà infatti lo Stabat contemporaneo di Lisa Streich e i due Stabat Mater di Giovanni Croce e Palestrina, un gioco continuo di rifrazioni e di rimandi tra antico e contemporaneo che è la chiave segreta per arrivare al cuore musicale di questa edizione della Biennale Musica.
F rom the Venice Music Biennale, we expect an unambiguous message: there exists a place where music is still used in music as instrument of prayer, of dissociation from our corporeal dimension to acquire radical, pure, ecstatic spiritual rarefaction. This place is the Baltic, with Estonian Arvo Pärt, Lithuanian Juste˙ Janulyte˙, and Latvian Santa Ratniece. There will be two dates for section Pure Voices. The first is September 30, with the Baltic musicians we mentioned, who will present Pärt’s Missa Syllabica, Ratniece’s Saline, and a live electronics performance by Janulyte · . The second date is the final day of the Biennale – October 10 – and will take place nowhere else than St. Mark’s Basilica. The programme includes Lisa Streich’s modern Stabat and the two Stabat Mater by Giovanni Croce and Palestrina, and is a continuous game of refractions and references between ancient and modern, truly the key to understand the 2024 Venice Music Biennale.
Justè Janulytè, Now I’m nowhere
Compositrice di musica che lei stessa definisce “monocroma”, crea nelle sue partiture una musica di lentezza insinuante in cui tessiture stratificate procedono senza cambiamenti di ritmo verso lente mutazioni di timbri e di luce.
ENG A composer of a kind of music she calls ‘monochrome’ herself, Juste˙ Janulyte˙ pens scores of insinuating slowness, with layered threads going steadily forward, their rhythms unchanged, towards calmly mutating combinations of timbres and light.
Santa Ratniece, Where the insects cry per coro femminile e 4 violoncelli (2023)
Anche per questa compositrice baltica la musica nasce da un approccio processuale in cui strati sonori si sovrappongono dando vita ad un ritmo interiore di continue pulsazioni, di micro-vibrazioni in cui viene alterata la nozione del tempo dell’ascolto.
ENG For Santa Ratniece, music is born out of a process where sound layers come one on top of the other to create an inner rhythm of incessant beatings, micro-vibrations that alter the perception of listening time.
Cappella Marciana condotta da Marco Gemmani canta Sanctus a 12 voci (1597), di Andrea Gabrieli
La tecnica del coro spezzato, o battente, vanto della scuola veneziana del XV e XVI secolo, in realtà fu introdotta ai primi del Cinquecento nella Basilica del Santo da fra Ruffino Bartolucci, che per la prima volta innovò la pratica tardo medievale di alternare la monodia gregoriana con parti polifoniche cantate da un coro con l’utilizzo di due semicori, che non solo si alternavano tra loro, ma si intersecavano e si sovrapponevano, creando così una duplicità che dava vita ad un’unità continuamente mobile e cangiante.
La Cappella Marciana sarà protagonista del concerto finale in Basilica del 10 ottobre, dove ai due Stabat per doppio coro di Giovanni Croce e Pierluigi da Palestrina farà seguito la Stabat di Lisa Streich, addirittura per quattro cori.
ENG T he Venetian polychoral style, the pride of Venetian music in the fifteenth and sixteenth century, was introduced by friar Ruffino Bartolucci, who for the first time innovated late Medieval practice of alternating Gregorian monody with polyphony segments performed by a split (spezzato) choir. The two semi-choirs alternated, intersected, or overlapped, thus creating a kind of duality, a living, mobile, changing unity. The Cappella Marciana is the protagonist of the Biennale’s final concert on October 10, with two Stabat for split choir by Giovanni Croce and Pierluigi da Palestrino followed by Lisa Streich’s Stabat for four choirs.
lunedì 30 settembre
h. 20 Teatro alle Tese
SANTA RATNIECE (1977)
SALINE * (2011) (12’) per coro
ARVO PÄRT (1935)
MISSA SYLLABICA (1977-1996) (16’) per coro
JUSTE ˙ JANULYTE ˙ (1982)
RADIANCE * (2015) (30’) per coro e live electronics
Ensemble vocal Sequenza 9.3
Catherine Simonpietri, direttore
Michele Tadini, Antonello Raggi, electronics
Thierry Coduys, sound projection
giovedì 10 ottobre
h. 20 Basilica di San Marco
LISA STREICH (1985)
STABAT (2018) (27’) per quattro cori in trentadue voci
GIOVANNI CROCE (1557-1609)
STABAT MATER (1597) (10’)
Sequenza a otto voci in due cori
GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA (1525 Ca-1594)
STABAT MATER (1590 Ca) (13’)
Sequenza a otto voci in due cori
Cappella Marciana
Marco Gemmani, maestro di cappella
* Prima italiana
La musica reservata, detta anche secreta, era uno stile musicale in voga in Italia e nella Germania meridionale e che va inteso in una duplice accezione. Innanzitutto come prassi esecutiva contraddistinta dall’utilizzo di progressioni cromatiche e di ornamentazioni estemporanee e da una forte aderenza tra testo musicale e testo poetico. In secondo luogo, la raffinatezza e l’audacia stilistica propria di questo stile lo portavano ad essere patrimonio ristretto di piccoli gruppi di intenditori, appartenenti alle corti nobili della seconda metà del ‘500. In questa sezione verranno presentati lavori di ricerca ambiziosa per uno strumento solo o per piccolo ensemble.
Musica reservata, also called secreta, was a music style popular in Italy and southern Germany, and its interpretation is twofold. First, is it a performative practice that makes use of chromatic progression, impromptu ornaments, and strict adherence between music and poetry. Second, its refinement and daring style restricted its appeal to few connoisseurs at mid-1500s courts of nobility. In this section, we shall find music of ambitious research, for either solo instruments or small ensembles.
Orlando di Lasso, Prophetyae Syllabarum (1600)
È unanimemente considerata l’apice della musica reservata questa raccolta di 12 mottetti scritti da Orlando di Lasso tra il 1558 e il 1560 e pubblicata postuma 40 anni dopo. Qui l’approccio cromatico raggiunge livelli inusitati: l’introduzione al ciclo dei 12 mottetti, il famoso Carmina Chromatico, è il pezzo più analizzato della musica del Rinascimento, perché porta l’ascoltatore alla perdita del centro tonale, a perdersi cioè nelle modulazioni dei cantanti che abbandonano ogni certezza dell’orecchio occidentale.
ENG Unanimously considered the peak of musica reservata, this twelve-motet collection been was composed by Orlando di Lasso in 1558-60, and was published posthumously some forty years later. Chromatic techniques are unparalleled, here: the introduction, the celebrated Carmina Chromatico, is the most analysed piece of Renaissance music. It makes the listener lose focus of the tonal centre, which is to say, to lose themselves in the vocal modulations that abandon every certainty related to Western music.
Il pezzo linkato rappresenta un magnifico esempio di musica reservata di oggi, che mette insieme un ayre di Tobias Hume, il poeta soldato dell’età elisabettiana, due brevi improvvisazioni, alla viola da gamba di Eva Reiter e alla chitarra di Tom Pauwels, e la chiusura con un canto contemporaneo. Eva Reiter è una compositrice e violista da gamba austriaca che, all’interno di questa sezione, presenterà nel Salone Sansoviniano della Biblioteca Marciana, il 10 ottobre, una sua composizione commissionata da Biennale Musica, L’étoffe de la Memoire. ENG T he piece linked above is a perfect example of modern musica reservata
The first part of the set is an ayre by Tobias Hume, the Elizabethan soldier poet, followed by two short improvisation by Eva Reiter and Tom Pauwels (viola da gamba and guitar), and by a modern song. Eva Reiter is an Austrian composer and violist who will present a composition commissioned to her by the Biennale, L’étoffe de la Memoire, on October 10.
Golfam Khayam, Simorgh (estratto da Seven Valleys of love, for string, 2020)
Golfam Khayam, compositrice e polistrumentista iraniana, interpreterà alla chitarra una sua composizione, Saz, basata sulla musica tradizionale persiana e sulle tecniche ornamentali della improvvisazione. ENG I ranian composer and multi-instrumentalist Golfam Khayam will interpret her own composition Saz at the guitar. The piece is based on traditional Persian music and on ornated improvisational techniques.
sabato 28 settembre
h. 17 Biblioteca Marciana – Salone Sansoviniano
GOLFAM KHAYAM (1983)
SÂZ *** (2024) (60’)
Golfam Khayam, chitarra
mercoledì 2 ottobre
h. 17 Biblioteca Marciana – Salone Sansoviniano
BENEDETTO MARCELLO (1686-1739)
SONATE OP.2 (1734) (40’)
N.2, N.3, N.4, N.5 per due viola da gamba e violoncello
ISABEL MUNDRY (1963)
TOUS LES MONDES *** (2024) (15’) per due viole da gamba e violoncello
Cristiano Contadin, viola da gamba
Massimo Raccanelli, violoncello
BIENNALE COLLEGE MUSICA
PERFORMERS
Giulio Tanasini, viola da gamba Commissione La Biennale di Venezia
giovedì 10 ottobre
h. 17 Biblioteca Marciana – Salone Sansoviniano
EVA REITER (1976)
L’ÉTOFFE DE LA MÉMOIRE *** (2024) (25’) per due viole da gamba Commissione La Biennale di Venezia
MONSIEUR DE SAINTE-COLOMBE (16401700)
CONCERTS À DEUX VIOLES ESGALES (1600) (25’)
Eva Reiter, Romina Lischka, viole da gamba
*** Prima assoluta
È la sezione teorica, delle domande e delle risposte, delle tavole rotonde, dello scambio di conoscenza, dell’interpretazione dei segreti della musica. Anche della divulgazione. La biblioteca ASAC ospiterà conferenze di alcuni dei musicisti coinvolti (David Lang, Georg Vogel, Tristan Murail, Golfam Khayam), due incontri dello storico della musica Oreste Bossini rispettivamente con Marco Momi e Luca Francesconi, vale a dire due generazioni di musicisti italiani, ed una conversazione con Salvatore Sciarrino. Ci saranno inoltre quattro tavole rotonde con studiosi e ricercatori internazionali, di cui segnaliamo quella sul silenzio e sulla musica liminale il 3 ottobre. Mentre per la parte divulgativa, anche quest’anno il musicologo Giovanni Bietti presenterà un ciclo di quattro Lezioni di musica, segnatamente sulla musica speculativa di Messiaen, Stravinsky, Machaut e Bach. Dalle Sale Apollinee della Fenice il grande divulgatore e colto musicista Luca Mosca darà vita a due letture al piano dell’Estro armonico di Vivaldi e delle Sonate op. 2 di Marcello.
T his is the section of research, of questions and answers, of round tables, of knowledge exchange, of interpretation of the secrets of music. And of education, too. The library of the Biennale’s Historical Archive of Contemporary Arts will host conferences held by some of the musicians participating in the Music Biennale (David Lang, Georg Vogel, Tristan Murail, Golfam Khayam), two meetings by music historian Oreste Bossini with Marco Momi and Luca Francesconi, and a talk with Salvatore Sciarrino. The programme also lists four round tables with international scholars and researchers. There will be an interesting one on silence and liminal music on October 3. As for educational content, musicologist Giovanni Bietti will hold four Lezioni di musica on Messiaen, Stravinsky, Machaut, and Bach; while musician and educator Luca Mosca will hold piano readings of Vivaldi’s Estro armonico and Marcello’s Sonate op. 2.
sabato 28 settembre
h. 9 Ca’ Giustinian – Sala delle Colonne
MUSICA SPECULATIVA
RAI RADIO3 LIVE LEZIONI DI MUSICA (30’)
Giovanni Bietti
GUILLAUME DE MACHAUT (1300-1377)
MA FIN EST MON COMMENCEMENT (1360)
a cura di Paola Damiani
h. 11 Biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti
Contemporanee – ASAC
EBU (EUROPEAN BROADCASTING UNION) ABSOLUTE LISTENING
Introduce Pascale Labrie
Hervé Déjardin, Pierre Charvet, Giovanna Natalini, Sofi Jeannin
Modera Patrick Hahn
Tavola rotonda (120’)
domenica 29 settembre
h. 9 Ca’ Giustinian – Sala delle Colonne
MUSICA SPECULATIVA
RAI RADIO3 LIVE LEZIONI DI MUSICA (30’)
Giovanni Bietti
JOHANN SEBASTIAN BACH (1685-1750)
14 CANONI BWV 1087 (1747-1748)
a cura di Paola Damiani
lunedì 30 settembre
h. 11 Biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee – ASAC
LA MUSICA ELETTRONICA NEL CONTESTO DEL DAAD ARTISTS-INBERLIN PROGRAM
Ash Fure, Zsolt Sörés / Ahad, Robert Machiri
Modera Dahlia Borsche
Tavola rotonda (120’)
martedì 1 ottobre
h. 11 Biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee – ASAC
DAVID LANG (1957) Lecture (60’)
h. 17 Teatro La Fenice – Sale Apollinee
LUCA MOSCA (1957)
L’ESTRO ARMONICO DI ANTONIO VIVALDI
Performative lecture (60’)
In collaborazione con Fondazione Teatro La Fenice
mercoledì 2 ottobre
h. 11 Biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee – ASAC
GOLFAM KHAYAM
L’ORNAMENTAZIONE NELLA
MUSICA PERSIANA ANTICA
Performative lecture (60’)
giovedì 3 ottobre
h. 11 Biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee – ASAC MUSICA LIMINARE
Marco Momi, Salvatore Sciarrino, Isabel Mundry, Carlo Serra
Modera Stefano Lombardi Vallauri
Tavola rotonda (120’)
venerdì 4 ottobre
h. 11 Biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee – ASAC
REMCO SCHUURBIERS (1968) Lecture (60’)
sabato 5 ottobre
h. 9 Ca’ Giustinian – Sala delle Colonne MUSICA SPECULATIVA
RAI RADIO3 LIVE
LEZIONI DI MUSICA (30’)
Giovanni Bietti
OLIVIER MESSIAEN (1908-1992)
QUATRE ÉTUDES DE RYTHME (1949-1950)
a cura di Paola Damiani
h. 11 Biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti
Contemporanee – ASAC
Marco Momi in conversazione con Oreste Bossini (60’)
h. 17 Teatro La Fenice – Sale Apollinee
LUCA MOSCA (1957)
LE SONATE DI BENEDETTO MARCELLO
Performative lecture (60’)
In collaborazione con Fondazione Teatro La Fenice
domenica 6 ottobre
h. 9 Ca’ Giustinian – Sala delle Colonne
MUSICA SPECULATIVA
RAI RADIO3 LIVE
LEZIONI DI MUSICA (30’)
Giovanni Bietti
IGOR’ STRAVINSKIJ (1882-1971)
CANTICUM SACRUM AD HONOREM
SANCTI MARCI NOMINIS (1955)
a cura di Paola Damiani
h. 11 Biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee – ASAC
GEORG VOGEL (1988)
JAZZ ELABORATIONS AND SPECTRALISM ON THE 31-TONE
CLAVITON Lecture (60’)
lunedì 7 ottobre
h. 11 Biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti
Contemporanee – ASAC
LUCA FRANCESCONI in conversazione con Oreste Bossini (60’)
martedì 8 ottobre
h. 11 Biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee – ASAC
Documentare i settori dello spettacolo dal vivo: il progetto dell’Archivio della Biennale di Venezia
LA DOCUMENTAZIONE DELLA
BIENNALE MUSICA 2021-2024
Debora Rossi, Responsabile Archivio Storico della Biennale di Venezia
Lucia Ronchetti, Direttore Artistico Biennale Musica
Vincenzina C. Ottomano, Tutor del College
ASAC Scrivere In Residenza - Musica e coordinatrice del Progetto di documentazione
Biennale Musica 2021/2014
Chiara Casarin, Anna Martini, Marco Surace, Giulia Vitale, Michele Leggieri, Oscar Corpo, Giovanni Meriani, giovani musicologi selezionati al College ASAC, Scrivere In Residenza – Musica 2021-2022
Tavola rotonda (120’)
mercoledì 9 ottobre
h. 11 Biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee – ASAC ARTE E SCIENZA
NELL’ORCHESTRAZIONE CONTEMPORANEA
Robert Hasegawa, Makis Solomos, Moe Touizrar, Daniele Ghisi
Modera Ingrid Pustijanac Tavola rotonda (120’)
giovedì 10 ottobre
h. 11 Biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee – ASAC
SALVATORE SCIARRINO in conversazione con Daniela Bruni (60’)
RICERCARE
LUCA MOSCA
Intervista Luca Mosca
di F.D.S.
Il compositore e pianista veneziano Luca Mosca nelle Sale Apollinee del Teatro La Fenice presenta le proprie riflessioni analitiche ed elaborazioni pianistiche dei due capolavori della musica barocca strumentale veneziana presenti nel programma, L’estro Armonico di Vivaldi e le Sonate op. 2 di Benedetto Marcello, per mettere in risalto l’importanza e l’influenza di questi grandi capolavori del passato sulla produzione attuale di musica assoluta. Diplomato in pianoforte, clavicembalo e composizione al Conservatorio di Milano, Mosca vive e lavora a Venezia, dove è docente al Conservatorio Benedetto Marcello. Dal 2014 conduce per Rai Radio 3 il programma Lezioni di musica, format presente in diverse passate edizioni della Biennale Musica diretta da Lucia Ronchetti. Assieme a lui ci siamo interrogati sul nucleo tematico dell’edizione di quest’anno.
In questa Biennale Musica lei ha il compito di illustrare, con le sue imperdibili performative lecture, due opere della tradizione veneziana del Settecento: L’estro armonico op. 3 di Vivaldi e le Sonate op. 2 di Benedetto Marcello. Poiché il tema di Biennale quest’anno è la musica assoluta, ci può spiegare come la musica di Vivaldi e di Marcello possa essere considerata tale? O come può comunque avere ispirato autori e composizioni rientranti nel concetto di ‘musica assoluta’? Cosa ne facciamo della celebre, cattiva sentenza di Stravinsky secondo la quale «Vivaldi non ha scritto quattrocento concerti, ma quattrocento volte lo stesso concerto»? Vivaldi, con le Quattro stagioni e molti altri suoi Concerti (come ad esempio La tempesta di mare ), ha composto le musiche a programma più belle e ingegnose che si possano immaginare. Con L’estro armonico ci troviamo di fronte a 12 composizioni in cui si mette a tu per tu con un materiale musicale totalmente astratto, mai descrittivo. Si tratta di musica pura ed eccellente. Non per nulla il giovane Bach si mise di buzzo buono e trascrisse per clavicembalo ben otto dei suoi Concerti
Stravinsky, il mio compositore preferito insieme a Bach e Mozart, è ammirevole sempre, massimamente quando esprime spericolate idiosincrasie come capita con Wagner: «...c’è più musica ne La donna è mobile che in tutte le vociferazioni della Tetralogia».
Da una sua lettura performativa del Faust di Gounod che appare in rete abbiamo appreso come lei consideri il Farnace di Vivaldi un’opera degna di stare appena al di sotto delle sue opere favorite, ovvero la trilogia di Mozart e Da Ponte. Confessiamo che la cosa ci ha colpito assai e le chiederemmo di spiegare le ragioni che informano questa sua “classifica”. Ricordo che una volta portai provocatoriamente a lezione da Donatoni l’Inverno di Vivaldi. Arrivato ad analizzare il tempo lento, Franco espresse un’ammirazione inaspettata per la melodia, così casta, pura ed elementare, di quel modesto gioiello. Chi l’avrebbe mai detto? Vivaldi è un genio melodico al livello dei più grandi e un’opera come Juditha Triumphans è fra le mie preferite di tutta la storia del teatro musicale.
Fra Amami Alfredo e la Morte di Isotta, io me ne sto volentieri con Gelido in ogni vena…
Se lei fosse stato un patrizio veneziano nel 1720, cosa avrebbe pensato del Teatro alla Moda di Marcello e di tutto il suo disprezzo per l’intero sistema dell’opera seria di quei tempi? Gli assidui frequentatori della quindicina di teatri d’opera veneziani dell’epoca assistevano inermi a decine e decine di soporifere rappresentazioni di opere noiosissime. Nella mole di cento nuove, se ne annidava magari una che meritava davvero di essere ascoltata. Occorreva molta, molta pazienza per arrivare a un vero e proprio godimento. Oggi, però, non credo che i tempi siano poi tanto cambiati.
Lei è il divulgatore musicale per eccellenza in Italia. La sua lezione sulla storia del ritmo da Bach ai Beatles ha raggiunto quasi 100.000 visualizzazioni e una sfilza di commenti entusiastici. Per quale colpo del destino possiamo inserire nel nostro lettore dvd le lezioni di Bernstein ai giovani americani e non possiamo fare altrettanto con le lezioni al pianoforte del professor Mosca?
Penso che la straordinaria bravura, la simpatia e l’inimitabile comunicativa di Bernstein siano difficilmente eguagliabili. Inoltre, contava su mezzi davvero sfarzosi che rendevano più impattante il suo appassionato lavoro divulgativo. È senz’altro un bellissimo lavoro e, come lui, continuo a farlo con divertimento e passione.
Venetian pianist and composer Luca Mosca will present his new analysis and piano elaborations on two masterpieces of Venetian instrumental music of the Baroque era at the Fenice Theatre on October 1 and 5. The two pieces are Antonio Vivaldi’s Estro armonico and Benedetto Marcello’s Sonate op. 2. Mosca will highlight the importance and the influence both had on the actual production of ‘absolute music’. A graduate in piano, harpsichord, and composition at the Milan Conservatory, Luca Mosca lives and works in Venice and teaches at the local Conservatory. Since 2014, he has been hosting radio show Lezioni di musica (lit. ‘music classes’). The show has also been integrated in several past edition of the Venice Music Biennale. We talked with Mosca about the core theme of this year’s Biennale
At this Venice Music Biennale, your job will be to exemplify, with your performative lectures, two works of eighteenth-century Venetian tradition: Antonio Vivaldi’s Estro Armonico, op. 3 and Benedetto Marcello’s Sonate op. 2. Since the Biennale’s theme, this year, is absolute music, can you tell us how Vivaldi’s and Marcello’s music may fit? What are we to make of Stravinsky’s harsh judgment, “Vivaldi didn’t write four hundred violin concertos. He wrote the same concerto four hundred times”?
Vivaldi, with his Four Seasons and several others of his concertos like the Storm at Sea, composed programme music among the finest and most ingenious we can imagine. His Estro Armonico is a set of twelve compositions that put him face to face with an absolutely abstract musical material. It is never descriptive in any way. This is pure music, and it is excellent music. It is no chance that a young Bach worked so hard to arrange no less than eight of Vivaldi’s concertos for the harpsichord. Stravinsky, who is my favourite composer with Bach and Mozart, is always admirable, especially so when he utters daringly idiosyncratic maxims. He did the same with Wagner, too: “I say that in the aria La donna è mobile, for example, which the elite thinks only brilliant and superficial, there is more substance and feeling than in the whole of Wagner’s Ring cycle”.
Thanks to one of your performative readings of Gounod’s Faust we saw online, we learned that you consider Vivaldi’s Farnace a piece of music that well deserves a place right after your favourite operas, the Mozart/Da Ponte trilogy. The notion impressed us. How can you explain to us this ranking on your part?
I once provocatively brought to a class by Franco Donatoni Vivaldi’s Inferno. When it was time to analyse the lento, Franco began to unexpectedly wax about the melody – so chaste, pure, elementary – of that modest jewel. Who would have ever thought? Vivaldi is a melody genius, on par with the greatest. An opera like Juditha Triumphans is among my favourites in all the history of musical theatre.
If you woke up as a Venetian nobleman in 1720, what would you think of Marcello’s Teatro alla Moda and his disdain for contemporary ‘serious opera’?
Opera aficionados of the time saw, in the fifteen opera theatres Venice had, dozen after dozen of terribly boring operas. For every hundred that were released, maybe one deserved attention. It took a whole lot of patience to come to the point when one could actually enjoy this music. I don’t believe things changed much since.
You are the most prominent musical educator in Italy. Your classes on the history of rhythm from Back to the Beatles hit 100k views and countless enthusiastic comments. Why do we have such easy access to Bernstein’s classes for American youth, and not at all an easy access to Professor Mosca’s piano classes?
I think Bernstein’s amazing ability, niceness, and communication aptness are hard to come close to. Also, he could count on means that made his classes all the more impactful. It is great work, there’s nothing to add to this, and, like him, I hope I can keep on doing what I love with passion and a bit of fun.
GREENHOUSE
Portugal National Pavilion at ACP - Palazzo Franchetti (II Noble Floor)
MALATH-HAVEN
Oman National Pavilion at Palazzo Navagero Gallery
THE ART OF SEEING - STATES OF ASTRONOMY
Georgia National Pavilion at Palazzo Palumbo Fossati
THE BLUE NOTE
Côte d’Ivoire National Pavilion at San Trovaso Art Space
THE NEIGHBOURS
Bulgaria National Pavilion at Sala Tiziano - Centro Culturale Don Orione
VLATKA HORVAT: BY THE MEANS AT HAND
Croatia National Pavilion at Fabrica33
WAN ACEL. TULI BAMU, TURI BAMWE, WE ARE ONE
Uganda National Pavilion at Bragora Gallery
BREASTS
ACP, Fondazione IEO Monzino, Contemporis ETS at ACP - Palazzo Franchetti (Mezzanine Floor)
DANIEL PEŠTA. SOMETHING IS WRONG
Museum Montanelli at Tana Art Space
DOMANI
Jacques Martinez at SPARC* - Spazio Arte Contemporanea
GYÖNGY LAKY & REBECCA TABER. BETWEEN WORLDS
Mima Begovic Art Projects at Magazzino Van Axel
H2O VENEZIA: DIARI D’ACQUA / WATER DIARIES
Lapis Lazuli: artE in collaboration with Fondazione Barovier&Toso at SPUMA
HENRI BEAUFOUR. PORTRAITS IMAGINAIRES
curated by Valerio Dehò at Palazzo Pisani Santa Marina
HUGO McCLOUD. NEW WORKS
Luce Gallery at Palazzo Contarini Polignac
INFINITY ART
Pahsi Lin at Cavana ai Gesuati
LEAPS, GAPS AND OVERLAPPING DIAGRAMS
Loris Cecchini at Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento Veneziano
MARIA KREYN. CHRONOS
Ministry of Nomads Foundation at Chiesa Anglicana
MEMO AKTEN. BOUNDARIES
Vanhaerents Art Collection at Chiesa di Santa Maria della Visitazione
PASSENGERS IN TRANSIT
193 Gallery - Collateral Event at Ex Farmacia Solveni
REZA ARAMESH. NUMBER 207
MUNTREF and ICA MIAMI at Chiesa di San Fantin
MONGOL ZURAG: THE ART OF RESISTANCE
U. Tsultem, Herron School of Art+Design and Mongol Zurag Society at Garibaldi Gallery
THE ROOTED NOMAD
Kiran Nadar Museum of Art at Magazzini del Sale 5
TRANSCENDENCE
Wallace Chan at Cappella di Santa Maria della Pietà
ULYSSES: WE ARE ALL HEROES
Fondation Valmont at Palazzo Bonvicini
YOUR GHOSTS ARE MINE: EXPANDED CINEMA, AMPLIFIED VOICES
Qatar Museums at ACP - Palazzo Franchetti (I Noble Floor)
Ci troviamo a un punto della nostra
civiltà in cui avvertiamo molto acutamente la necessità d’una pausa
immaginifica
Gillo Dorfles
di Mariachiara Marzari
Aveva già superato le attese nelle due precedenti edizioni (2018, 2022), affermandosi come appuntamento mondiale dedicato all’alto artigianato contemporaneo e in particolare a quello di lusso, divenendo un “must see” internazionale, tuttavia Homo Faber 2024 si preannuncia davvero come un unicum, a partire dalla significativa scelta di un direttore artistico che risponde al nome di Luca Guadagnino. Dal Lido, dove è in concorso alla 81. Mostra del Cinema di Venezia con il sorprendente Queer, si è preso una pausa immaginifica che lo ha portato a ripensare totalmente Homo Faber, ribaltando i canoni espositivi precedenti e ponendo al centro dell’attenzione gli artigiani prima che gli oggetti, ma al contempo – è qui la novità geniale del concept – eliminando i limiti delle categorie produttive o dei materiali e proponendo una formula composita che pone i bisogni della vita in primo piano, di conseguenza scandendo la mostra come un autentivo viaggio della vita, The Journey of Life, titolo, per l’appunto, dell’edizione. Come in un suo film, Guadagnino, con la preziosa collaborazione di Nicolò Rosmarini, ha costruito una vera e proprie narrazione attorno agli artigiani e ai loro magnifici oggetti, una sceneggiatura sorprendente che si è trasformata in scenografia sensoriale, ridisegnando totalmente i magnifici spazi della Fondazione Cini, pur mantenendo intatta una coerenza estetica e di ricerca dei materiali tale da rendere l’allestimento una parte della mostra stessa.
Naturalmente per realizzare tutto ciò Guadagnino ha avuto carta bianca e totale fiducia da parte dei committenti di Michelangelo Foundation, nucleo fondatore di Homo Faber, che sapientemente hanno sostenuto la scelta di un direttore artistico di tale calibro, con una a dir poco spiccata personalità, al fine di creare un unicum concettuale ed espositivo con tutto quello che ciò comporta. Tutti i migliori architetti, tecnici, artigiani, imprese locali del settore sono state coinvolte per creare questo progetto, che certamente segnerà un cambio di direzione e di linguaggio nel settore dell’altissimo artigianato, influenzando un cambio di gusto attraverso delle nuove, e verrebbe da dire radicali, scelte estetiche.
Luca Guadagnino con questa sua curatela intende produrre uno scarto attraverso un deciso passaggio dall’immagine all’immaginario, unendo la maestria artigiana a ogni momento significativo delle nostre esistenze, presentando oggetti attorno ai quali si formano i nostri ricordi più importanti. Homo Faber 2024 parte quindi dalla riscoperta di tutti i momenti piccoli e grandi delle nostre vite in cui l’artigianato svolge un ruolo da protagonista, offrendo una vasta selezione di manufatti creati in ogni angolo del mondo proposti in diverse sezioni che si dispiegano da un capo all’altro del percorso espositivo, come per esempio Childhood, Celebration, Love, Journeys e Nature Il talento, l’eccellenza e la passione di maestri artigiani vengono trasmessi direttamente attraverso dimostrazioni dal vivo, workshop partecipativi e laboratori creativi, per mostrare concretamente come nascono vasi e ricami, mappamondi e valigie, orologi e gioielli, calzature, strumenti di scrittura e tanto altro ancora.
Homo Faber 2024 prosegue anche al di fuori della Fondazione Giorgio Cini: grazie a Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte e con il sostegno di Cartier, a Venezia 70 atelier di maestri artigiani e giovani talenti apriranno in città le loro porte al pubblico durante tutto il mese di settembre.
Two earlier editions (2020 and 2022) beat expectations already, establishing as a worldclass event in the field of modern craftsmanship and luxury crafts in particular, however, Homo Faber 2024 promises to go even further, starting with their picking of art director, no other than Luca Guadagnino. The Italian filmmaker is at the Venice Film Festival with his surprising latest feature, Queer – still, he took the time to work on an all-in uphaul of Homo Faber, one that revolutionized the exhibition as we knew it. Not only craftsmen, more than the individual crafts, will be at the centre of our attention, though also, and that’s where the genius is, there will be no more borders between categories or material of the craft. What we will see is a composite formula that puts life’s needs forward, hence the exhibition’s title: The Journey of Life Guadagnino wrote a film-worthy story for Homo Faber, the story of skilled craftsmen and their beautiful creations. An engaging script has been paired with the most beautiful set at Fondazione Cini, a sensorial stage that redesigned the spaces into a conceptual unicum. The best architects, technicians, contractors, and local businesses contributed to this project, which is certain to mark a change of pace (and of language) in the field of high crafts. Filmmaker Guadagnino thus re-focused his interests from the image to the imaginary, injecting artisan prowess into every meaningful moment of our existence.
Homo Faber 2024 is a rediscovery of all those big and small moments in our lives when crafts were protagonists. It is a showcase of amazing creations from all corners of the world, arranged following the themes of Childhood, Celebration, Love, Journeys, and Nature Talent, excellence, and passion are living and breathing ideas that will involve visitors with live demonstrations, hands-on workshops, and creative labs. We will see how real things are made: vases, embroidery, watches, jewels, shoes, writing instruments, and much more. The exhibition lives outside Fondazione Giorgio Cini, too: thanks to Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte and with the support of Cartier, seventy Venetian workshops will open extended hours throughout the month of September.
Nell’ultimo decennio, lo sviluppo tecnologico ha assunto connotati sempre più ambigui e controversi, suscitando timori e riflessioni sul potenziale sovvertimento dei fondamenti ontologici dell’esistenza umana. La visione distopica per cui macchine e intelligenze artificiali altro non sono che maligni antagonisti ha di fatto plasmato l’immaginario collettivo, influenzando criticamente il discorso artistico. Tuttavia, accanto a questo crescente senso di sfiducia, esiste una visione aperta e ottimistica, in cui la tecnologia si fa strumento cognitivo ed espressivo capace di amplificare le possibilità creative e facilitare nuove forme di sperimentazione visiva. È in questo quadro che si inserisce l’opera di Matt Pyke, artista e designer che ha saputo ridefinire il ruolo della tecnologia nell’arte, abbracciandola come una vera e propria estensione dell’umano. Fondatore dello studio Universal Everything, Pyke utilizza software avanzati e algoritmi complessi per dar vita a opere digitali immersive, in cui l’interazione tra dati si condensa nell’iconica immagine della “figura che cammina”, un curioso organismo dalle sembianze antropomorfe che, catturato nell’atto di passeggiare, assorbe informazioni e stimoli esterni restituendo, attraverso la sua pelle, un originale mosaico di forme, texture e colori.
Dopo aver calcato gli schermi di prestigiose gallerie e musei, il 6 settembre questo viandante digitale fa tappa alla Fondazione Cini trasformandosi in un vero e proprio Chameleon, che per dodici minuti guida gli spettatori in una passeggiata visionaria tra gli ambienti
U niversal Everything. Chameleon
6 settembre h. 11-18
B iblioteca del Longhena, Fondazione Cini, Isola di San Giorgio Maggiore w ww.cini.it | www.archive-venice.org
un tempo adibiti a monastero e oggi sede di Istituti, Centri Studi, e biblioteche. Tuttavia, a differenza di altre opere incentrate sulla “figura che cammina”, in questo caso Chameleon trasfigura mentre è in movimento, riflettendo i colori, i giardini, le sale e i chiostri che attraversa lungo il suo percorso. Nel suo peregrinare, non si limita dunque a mimetizzarsi passivamente, bensì viene plasmato e trasformato dalla forza attrattiva della grande eredità culturale insita nell’Isola di San Giorgio Maggiore e nella stessa Fondazione, da anni impegnata nella digitalizzazione del proprio patrimonio.
Dal 2018, il Centro Digitale Cini – ARCHiVE si distingue infatti come uno dei principali poli di innovazione tecnologica applicata alla conservazione, utilizzando scansioni 3D, realtà aumentata e intelligenza artificiale per creare archivi digitali di altissima qualità. Tra le numerose iniziative, nel 2020 il Centro ha intrapreso un ambizioso progetto di mappatura 3D dell’Isola, utilizzando un sensore radar per monitorare e registrare tutti i dati relativi all’ambiente circostante. Ed è proprio questo il materiale di partenza cui si sono ispirati gli artisti di Universal Everything, messo a disposizione dalla Fondazione con l’obiettivo di assecondare un approccio interdisciplinare in cui arte, tecnologia e storia concorrono all’elevazione del patrimonio culturale.
In questo fertile incontro tra passato e futuro, la macchina si trasforma così in prezioso alleato, divenendo non solo uno strumento di conservazione ma anche di riscoperta, capace di amplificare la narrazione storica rendendola attuale, vivida e accessibile. E mentre Chameleon passeggia, con il suo continuo mutare riflette l’evoluzione costante della cultura umana; una cultura che, pur radicata nel passato, non cessa di camminare verso l’avvenire, accogliendo con entusiasmo ogni innovazione. Adele Spinelli
Biennale Arte e Biennale Cinema, linguaggi sempre più prossimi, sempre più compenetrati, da anni cercano di costruire una vera sinergia, che non si è ancora compiuta anche se sempre più necessaria. In questa ancora “terra di mezzo”, tra arte e cinema, non a caso sospeso nelle acque di una Laguna sud metafisica, torna Cinema Galleggiante – Acque Sconosciute, il format che pone l’accento sull’immagine in movimento come linguaggio universale delle arti con l’intento di dare forma a una visione e un desiderio collettivi. Nata da un progetto di Edoardo Aruta e Paolo Rosso, presentato da Microclima e co-curato Alice Ongaro Sartori (II e III edizione) e da Alessandra Messali (IV e V edizione), la quinta edizione di Cinema Galleggiante, in programma dal 23 agosto all’8 settembre, esplora la percezione soggettiva della realtà e di mondi interiori, concentrandosi su esperienze che riportano al centro l’individuo, gli esseri viventi e gli ambienti in cui coesistono. Un programma fittissimo che potremmo definire senza dubbio di smentita da festival internazionale contemporaneo, una line-up fittissima dove alle proiezioni – filo conduttore di tutte le serate – si alternano incontri, performance, presentazioni, dj-set con protagonisti artisti, registi, curatori, musicisti, scrittori, attori, critici internazionali. È evidente che il format di immediato successo, ha acquisito negli anni un’autorevolezza e una sua forte identità tale per cui ha conquistato partner sempre più importanti e fidati quali: TBA21–Academy Ocean Space, Pentagram Stiftung, Palazzo Grassi – Punta della Dogana Pinault Collection, Fondazione In Between Art Film, Padiglione Nazionale dell’Uzbekistan, Michèle Lamy, Collezione Peggy Guggenheim, Fondation Cartier pour l’art contemporain, numerosissime collaborazioni locali e internazionali. Un Festival molto metropolitano che ha conquistato anche e soprattutto un pubblico sempre più numeroso, divenendo un appuntamento cool, capace di far muovere i cinefile dal Lido fino alla Giudecca, cosa certamente non così scontata. Entrando nel vivo della programmazione 2024, che invitiamo a consultare nella sua interezza sul sito www.cinemagalleggiante. it, segnaliamo qualche evento a nostro avviso da non perdere: il 31 agosto Bliss Point (2023, 26’) di Gerard Ortìn Castellvì, presentato da Fondazione In Between Art Film, e The Last Carnival Cruise (1980-1990, 13’) di Antoni Miralda, presentato da MACBA Museu d’Art Contemporani de Barcelona; il 2 settembre CORRESPONDENCES, screening di Soundwalk Collective con Patti Smith, presentato da Fondation Cartier pour l’art contemporain; il 4 settembre History of the World According to a Lesbian (1988, 16’) di Barbara Hammer, presentato da Disobedience Archive, e The Watchman (2024, 26’) di Ali Cherri, presentato da Fondazione In Between Art Film; 7 settembre Film (1964, 24’) di Alan Schneider, scritto da Samuel Beckett, sonorizzato live da Giovanni Claudio Di Giorgio (violino), Marco Aurelio Di Giorgio (flauto), Gabriele Tai (violoncello), presentato da Collezione Peggy Guggenheim; 8 settembre dalle 17 alle 20, l’evento finale, dove in una dimensione di libero ascolto e condivisione si alternano gli interventi musicali di: Sofia Pozdniakova e Giovanni Mancuso, Regno Maggiore, Death of Master, Carlos Casas, Gabriele Tai ed Emanuele Wiltsch Barberio. M.M.
5 . Cinema Galleggiante – Acque Sconosciute
23 agosto-8 settembre
L aguna sud, Giudecca, Rio de Sant’Eufemia, Consorzio Venezia Sviluppo Ex “Cantiere Lucchese” www.cinemagalleggiante.it
«Più che un cortometraggio sul calcio è un cortometraggio su cosa rappresenta il calcio per gli altri – racconta Yuri Ancarani –. Inoltre, è un modo per mostrare una realtà nascosta come la realizzazione di un campo. È proprio questo il compito degli artisti, aiutare gli altri a vedere cose che sono vicine a noi ma che non vediamo davvero se non ci vengono mostrate». La nuova produzione dell’artista e regista Yuri Ancarani (Ravenna, 1972) è dedicata ai sogni dell’infanzia. Il titolo del cortometraggio, Il Tappeto Verde, si ricollega all’immagine del tappeto magico delle fiabe ed evoca il campo da gioco del calcio come un perimetro di possibilità, dove si intrecciano speranze e desideri in un caleidoscopio di emozioni e aspettative. Il cortometraggio, che vede come protagonista l’ex centrocampista della Juventus Claudio Marchisio, è ambientato all’Allianz Stadium di Torino e riflette sull’innata capacità dei bambini di sognare in grande e sulla responsabilità degli adulti di difendere, rispettare e sostenere questi sogni, collegandosi così al tema della prossima edizione di Artissima The Era of Daydreaming. Una produzione che celebra uno degli sport più diffusi e amati a livello internazionale, che accomuna nella passione generazioni di bambini di tutto il mondo, riletto attraverso il linguaggio del cinema e dell’arte contemporanea, con l’obiettivo di avvicinare un pubblico sempre più ampio al mondo dell’arte.
Il progetto, nato dalla collaborazione tra Juventus e Artissima nell’ambito di un’edizione speciale di Artissima Junior, dopo il successo della proiezione in anteprima al Giffoni Film Festival a luglio, viene presentato nell’ambito della 81. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il 4 settembre con una proiezione speciale in Sala Laguna. Tappa finale del road-show: Torino, in occasione di Artissima (1-3 novembre), un ritorno a casa dove “il sogno” è cominciato.
Yuri Ancarani. Il Tappeto Verde 4 settembre Sala Laguna, Lido www.artissima.art
Si spengono le luci a Palazzo Franchetti, trionfo del neogotico veneziano che in occasione della 60. Biennale Arte accoglie nelle tenebre dei suoi saloni i fantasmi di Your Ghosts Are Mine, un racconto totalizzante, immersivo e innovativo dove cinema e installazioni video si fondono per esplorare la condizione umana contemporanea. Attraverso gli estratti di quaranta opere video promosse dal Doha Film Institute e da prestigiose istituzioni quali il Qatar Museums e il Museo Arabo d’Arte Moderna, l’esposizione si aggiunge al coro degli “Stranieri ovunque” offrendo al pubblico veneziano e globale un inedito sguardo nel cangiante universo della cultura araba, raramente rappresentato in Occidente eppure denso di suggestioni capaci di trascendere confini geografici e nazionali. Saranno dunque questi spettri a guidarci tra le dieci sezioni della mostra, in cui storie di vita ordinaria si mescolano all’ambiguità del sogno in una perpetua danza tra luci e ombre.
Il percorso ha inizio nel deserto, luogo metafisico e fortemente connotato nella letteratura araba in quanto simbolo ambivalente di mutamento e perennità. Qui l’uomo è chiamato a perdersi nel miraggio per raggiungere una dimensione altra, ma anche a ricordare le proprie radici, come mostrano le opere 143 Sahara Street e Land of Dreams, in cui le dune si fanno custodi ancestrali della civiltà. Oltre le mute distese di sabbia sorgono le rovine, testimoni di un passato sconvolto e di una devastazione incombente, mentre in lontananza divampano i bagliori dei fuochi, simboli di resistenza e rinascita, la cui fiamma diviene metafora di un’inevitabile trasformazione. Tuttavia, quella della metamorfosi è una via impervia, che
richiede il superamento dei propri confini, come raccontano Ghost Hunting e Ceuta’s Gate, in grado di restituire la paura e l’isolamento di chi è costretto a fuggire dalla propria terra. All’esodo segue l’esilio, rappresentato nell’omonima sezione in cui, creando un interspazio tra il paese d’origine e quello di residenza, si rivela la triste condizione dell’apolide, sospeso tra le lunghe ombre del passato e le abbaglianti luci del presente. Anche chi resta deve pagare un caro prezzo: soggetto della sesta sezione sono storie di donne all’apparenza ordinarie, provenienti da Turchia, Libia, Marocco, Iran, Algeria, Cambogia ed Egitto, che, malgrado il torpore della vita quotidiana, trovano la forza per conquistare l’indipendenza. Ma quale sorte attende questi individui, queste comunità che si trovano ad abbandonare le proprie consuetudini nella speranza di una nuova esistenza? A rispondere è la regista Sophia Al Maria, il cui lavoro, incentrato sul progressivo isolamento provocato dal capitalismo, svela il vero volto della società occidentale, soffocata dal consumo e incapace di garantire un futuro migliore. Cadute le illusioni, non resta allora che voltarsi indietro: attingendo a un archivio visivo di memorie perdute, la sezione “Ghost” riesuma immagini cinematografiche vernacolari e frammentarie, fantasmi di un passato ormai lontano e presagi di un avvenire sempre più nebuloso, condensato nelle utopie fantastiche della sezione “Cosmo”. Un ultimo miraggio conclude questo lungo cammino trasportandoci nei ricordi dell’artista Hassan Khan, che rievoca le strade del Cairo attraverso l’immagine notturna di due uomini abbandonati al ritmo incalzante dello shaai. Ipnotizzati dalla danza, non possiamo che immedesimarci in questi e altri fantasmi, eternamente imprigionati dentro la camera eppure destinati a vivere per sempre, come ombre, nella memoria di chi li osserva. Adele Spinelli
#BiennaleArte2024 labiennale.org
Orario [Opening Hours]
20.04 — 30.09 h. 11 — 19
01.10 — 24.11 h. 10 — 18
Chiuso il lunedì [Closed on Mondays]
Continua il viaggio alla scoperta degli artisti e delle loro opere filmiche protagonisti di Nebula, mostra collettiva in corso al Complesso dell’Ospedaletto, curata da Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi, che presenta otto nuove video installazioni site-specific prodotte da Fondazione In Between Art Film e commissionate a Giorgio Andreotta Calò, Basel Abbas e Ruanne Abou-Rahme, Saodat Ismailova, Cinthia Marcelle e Tiago Mata Machado, Diego Marcon, Basir Mahmood, Ari Benjamin Meyers e Christian Nyampeta.
Regista e artista, Basir Mahmood divide la sua vita e il suo lavoro tra Lahore e Amsterdam. Le sue opere hanno trovato spazio in numerose istituzioni internazionali di rilievo, tra cui Lahore Biennale, Stedelijk Museum di Amsterdam e Palais de Tokyo di Parigi. Nel 2021 Mahmood ha ricevuto il prestigioso Ammodo Tiger Short Award all’International Film Festival Rotterdam con il film Sunsets Everyday, che affronta il drammatico tema della violenza contro le donne durante la pandemia da Covid 19. In quest’opera come nelle altre, Mahmood, con la sua maestria nella fotografia e nella videoarte, trasforma esperienze ordinarie e straordinarie in sequenze poetiche, esplorando la complessità della vita quotidiana e riflettendo su tutto quello che accade lontano dallo sguardo dello spettatore. Le sue opere si muovono tra i confini della memoria, dell’identità e della migrazione, mettendo in risalto temi cruciali come l’empatia e la disuguaglianza. Il suo lavoro più recente, commissionato da In Between Art Film per Nebula, dal titolo Brown Bodies in an Open Landscape are Often Migrating (2024), offre una visione innovativa sulle difficoltà e gli ostacoli affrontati dai migranti nei loro viaggi alla ricerca di una vita migliore, esplorando il tema della distanza come condizione intrinseca delle esperienze diasporiche e dell’atto filmico. Collaborando con una troupe cinematografica, Mahmood ha diretto una serie di se -
quenze basate su video trovati online, registrati da migranti durante i loro viaggi dall’Asia meridionale all’Europa. Questi video offrono uno sguardo sulle sfide che queste persone sono costrette ad affrontare, spesso senza riuscire a raggiungere la destinazione sperata, e forniscono consigli a coloro che devono ancora intraprendere il periglioso viaggio. Nell’opera di Mahmood, i video compaiono su telefoni cellulari o stampati su fogli, creando una narrazione che non rappresenta direttamente le esperienze dei migranti, ma le evoca attraverso l’azione dei membri della troupe. Questi si muovono sfiniti sotto il sole cocente, in un paesaggio secco e arido, permettendo agli spettatori di immergersi in prima persona e percepire il disagio fisico e psicologico che i migranti devono affrontare.
L’opera si fonde con l’ambiente della Chiesa di Santa Maria dei Derelitti, dove i colori del paesaggio naturale presenti nel video si mescolano con i marmi e gli affreschi del luogo sacro, creando un’armonia visiva e simbolica. Inoltre, la colonna sonora, prodotta completamente in studio, accentua la discrepanza tra ciò che si vede e ciò che si sente, tra ciò che appare vicino e ciò che è lontano. Questa divergenza è fondamentale nel lavoro di Mahmood, che cerca di rivelare la verità attraverso la rappresentazione, evidenziando la differenza tra l’immagine come testimonianza e come creazione. Basir Mahmood si afferma come uno degli artisti più innovativi della sua generazione, utilizzando l’arte come potente strumento per esplorare e discutere questioni sociali e politiche di grande rilevanza. Beatrice Poggesi
Il 17 e il 18 ottobre al Teatrino di Palazzo Grassi, In Between Art Film in collaborazione con Palazzo Grassi – Pinault Collection, presenta il public program 2024 a cura di Bianca Stoppani. Il programma di approfondimenti interdisciplinari coinvolge gli artisti presenti in mostra ed espande il dibattito riguardo alle loro pratiche attraverso un fitto calendario di momenti discorsivi, proiezioni e contributi performativi. Per l’occasione sarà presentato il catalogo di Nebula.
Sotto lo stesso Sole
Saodat Ismailova, riflessioni visive tra mito e modernità
Nata a Tashkent (Uzbekistan) nel 1981, Saodat Ismailova, è una figura di spicco nell’arte e nella regia contemporanea. La sua carriera è stata riconosciuta a livello internazionale con mostre personali e collettive in spazi prestigiosi come Le Fresnoy e l’Eye Filmmuseum, nel 2022 ha ricevuto l’Eye Prize for Art and Film. Oltre a essere curatrice del CCA Lab e del Tashkent Film Encounters, Ismailova ha fondato DAVRA, un gruppo di ricerca dedicato alla cultura dell’Asia centrale. Saodat Ismailova infonde una voce moderna nelle tradizioni uzbeke, ispirandosi ai racconti della nonna sui “18.000 mondi”. Le sue opere intrecciano storie di eventi storici, miti, rituali e paesaggi, caratterizzandosi per una liricità e un’attenzione ai suoni naturali e alle voci umane. Cresciuta tra i contenitori di pellicola di un archivio uzbeko, ha studiato cinema e teatro; la sua prima installazione video, Zukhra (2013), ha segnato l’inizio di un percorso che unisce cinema, audio e arte visiva. I suoi lavori sfidano la percezione occidentale, offrendo esperienze che trasformano profondamente la visione dello spettatore.
In Between Art Film le ha commissionato per Nebula l’opera Melted into the Sun (2024), che si trova nella stanza SEVEN del percorso di mostra del Complesso dell’Ospedaletto.
Saodat Ismailova intreccia abilmente giochi di luce e ombra con
NEBULA
S aodat Ismailova
M elted into the Sun Fino 24 novembre Complesso dell’Ospedaletto [SEVEN] inbetweenartfilm.com/nebula
panorami sconfinati, accompagnando lo sguardo del pubblico in un viaggio visivo attraverso la figura storica di al-Muqanna‘, reinterpretata in un contesto contemporaneo. Al-Muqanna‘, che nel VIII secolo si distinse come guida spirituale e agitatore politico nel contesto sociale dell’Asia centrale, viene indagato da Ismailova con uno sguardo che unisce passato e presente. Il film si immerge nella complessità delle influenze culturali e politiche di al-Muqannaʿ, il cui pensiero sincretico abbracciava elementi dello Zoroastrismo, Mazdakismo e Buddhismo. Attraverso un dialogo intimo tra il profeta e i suoi discepoli, l’opera rielabora le sue visioni rivoluzionarie e spirituali. Le parole che accompagnano il film, selezionate e interpretate dal poeta uzbeko Jontemir Jondor, riflettono sul sole come simbolo di illuminazione e sull’interazione continua tra tempo, uomo e natura. Ambientato in luoghi storici e mitologici come il fiume Amu Darya e la città di Bukhara, il film si arricchisce di riferimenti contemporanei, come la centrale solare di Tashkent, che dialoga simbolicamente con il concetto di sole ricorrente nei testi del Velato.
Melted into the Sun non si limita a rappresentare i miracoli attribuiti ad al-Muqanna‘, ma invita a riflettere sulla potenza di questa figura divina, simbolo di ribellione e giustizia sociale, ripresa successivamente dalla propaganda sovietica. Con una maestria visiva che fonde storia e mito, Ismailova offre uno sguardo affascinante e provocatorio che stimola una profonda riflessione sulla natura del potere e della spiritualità. Beatrice Poggesi
Fotografare tra cielo e terra, per rivelare l’interfaccia Uomo Natura su questo Pianeta, nelle sue radicali trasformazioni che portano a raffrontarci sempre più con le conseguenze del nostro operato, ovvero con la gestione delle scorie e rifiuti prodotti, nonché con i cambiamenti climatici derivati dall’inquinamento per l’intensificarsi di industrializzazione, estrazioni minerarie e agricoltura intensiva tra disboscamento, esaurimento delle falde acquifere e pesticidi. Si vorrebbe così stimolare un’osservazione empatica da parte dello spettatore, impressionato dalla vastità di nuovi e vecchi orizzonti, dalle lontananze e dimensioni ravvicinate riprese che rendono visibili particolari o dettagli impossibili a notarsi senza ingrandimento, generando originali vedute d’insieme di alterazioni naturali e artificiali nell’era dell’Antropocene.
Questo, in sintesi, il pensiero del canadese Edward Burtynsky, fotografo e regista di film-documentari, nell’antologica che celebra quarant’anni della sua carriera, in corso a M9 – Museo del ‘900 di Mestre.
In uno stretto e imprescindibile connubio estetica e contenuti sono suddivisi in due sezioni principali che rimandano l’una all’altra,
Extraction / Abstraction, nel progetto allestitivo dello studio d’architettura Alvisi Kirimoto: enormi pannelli ospitano un’ottantina di fotografie di grande formato e dieci murales
Nella stanza “Process Archive” trovano posto strumenti tecnici, fotocamere e droni e il corto Where I stand, che presenta l’artista con elevatori, aerei ed elicotteri, per far emergere il “dietro le quinte” e i viaggi che hanno determinato la restituzione reale e artistica della tessitura di un paesaggio ripreso ad altissima definizione. Introduzione alla visione in Sala M9 Orizzonti della pluripremiata proiezione multimediale immersiva In the Wake of Progress (2022). Lo sguardo di Burtynsky si posa anche sull’Italia, fissata nelle immagini tratte dalla campagna fotografica commissionata dalla Fondazione Sylva sugli effetti del disastro ambientale provocato dalla Xylella sugli olivi pugliesi.
L’attività produttiva manifatturiera, con i suoi robot, automatismi e manodopera alienata, è protagonista in un terribile e seriale “sublime industriale” di interni di fabbriche automobilistiche e alimentari asiatiche e africane, mentre si susseguono ponti, dighe, strade e trasporti, coltivazioni e fognature, nonché immani mucchi di spazzatura. Si va dalle merci del Porto container di Rotterdam nei Paesi Bassi, quasi ordinate file di costruzioni di mattoncini Lego, al caos delle segherie nigeriane intorno alle baraccapoli del villaggio su palafitte di Makoko, B urtynsky. Extraction /
alla periferia di Lagos, con la dispersione degli innumerevoli tronchi di alberi abbattuti anche illegalmente e legati come fossero scope di saggina in balia della laguna, alle interminabili cataste di pneumatici abbandonati e poi bruciati nella discarica americana di Westley in California, senza contare gli ammassi di oggetti di plastica e metalli a Nairobi in Kenya. I barili di petrolio ad Hamilton nell’Ontario in Canada, accartocciati o densificati come cubi di metallo pressato e compattato per facilitarne lo stoccaggio e il trasporto, paiono valigie pitturate e impilate in attesa del loro destino: smaltimento o riciclo. Si rimane soggiogati dalle profondità indorate e vivide delle miniere di rame di Morenci in Arizona (il quarto metallo più estratto al mondo dopo ferro, alluminio e cromo), sia dagli sterili o scarti “rabdomanti” delle miniere d’oro a Johannesburg in Sudafrica, quando non australiane, di carbone e metano, che a dispetto del riscaldamento globale, “disegnano” colline come fossero fiori di Bella di giorno, a Ravensworth nella Hunter Valley. Dai crinali con le saline spagnole abbandonate di Cadice, tra serpeggianti paludi di rivoli di acqua marina turchese, si giunge all’inganno dell’arcobaleno del bunkering del petrolio che traccia iridescenti schizzi psichedelici nel Delta del Niger. L’immagine del surreale e spezzato andamento del limo vulcanico del Þjórsá, il più lungo fiume glaciale islandese ricco di centrali elettriche, non è meno potente di quella delle conduttrici a raggiera dei bacini di decantazione delle miniere di diamanti sudafricane come “Big Hole” di Kimberley, o dell’impeto del fiume Colorado, che prima scorreva liberamente dalle sorgenti delle Montagne Rocciose fino alla California, per poi inaridirsi a seguito della realizzazione di dighe idroelettriche e canali di irrigazione, causando zone desertiche. Sempre dall’alto, il sovraccarico o cumulo policromo di materiali di superficie di roccia, terreno ed ecosistemi che ricoprono il deposito di valore nelle miniere di ferro di Sishen a Kathu in Sudafrica, assume la consistenza di matasse di fili di lana e semi, così come nel territorio delle saline senegalesi, ombre grigie di piedi possono sembrare piume e pozze multicolori, parere gemme o persino preziosi mosaici bizantini o klimtiani. E che dire poi dei giganteschi “cerchi nel grano” dell’irrigazione circolare texana che permettono agli agricoltori di attingere alle acque sotterranee anziché affidarsi unicamente alle precipitazioni atmosferiche, dato l’incombente siccità? Pura Land Art, come l’effetto di “Nautilus” o rosoni originati dalle combine negli scavi delle miniere sotterranee in Russia, per l’estrazione di carbonato di potassio, che hanno in sé oltre al bianco argenteo anche le sfumature vermiglie di minerali di antichi fondali marini evaporati. L’aridocoltura nella contea di Monegros in Spagna, basata sui criteri di sostenibilità dell’acqua seguendo il ciclo delle stagioni umide e secche, modella invece paesaggi alla Dubuffet. E viene allora da chiedersi con il curatore della mostra Marc Mayer, direttore della National Gallery del Canada e del Musée d’Art Contemporain di Montréal, se davvero i grandi artisti dell’Astratto e dell’Informale, fautori dell’indagine della forma, struttura e colore in quanto tali, ben lungi dalle accuse di non saper più disegnare o dipingere secondo i canoni del Realismo, non abbiano fatto null’altro che anticipare, con il potere delle loro menti e l’abilità delle mani, da inconsapevoli visionari in preda ad un “delirio di preveggenza”, le nuove esperienze collegate alla fotografia macro e microscopica. Arte e Tecnica possono vivere in simbiosi con l’Umano a meno di tornare a confrontarsi con la Natura creata da Dio. Una prospettiva di critica alternativa su cui meditare. Luisa Turchi
In un ideale percorso che pone il linguaggio filmico al centro della nostra indagine attraverso le mostre in corso a Venezia, un posto d’onore lo occupa certamente Liminal, la mostra concepita dall’artista Pierre Huyghe in stretta collaborazione con la curatrice Anne Stenne, che trasforma Punta della Dogana in uno spazio dinamico e sensibile in costante evoluzione. In un contesto di assenza di luce, Huyghe rimette in discussione la nostra percezione della realtà fino a farci diventare estranei a noi stessi, ad essere trasportati se non in un’altra dimensione, sicuramente in altri luoghi e in una prospettiva altra rispetto a quella umana. L’artista da tempo si interroga sul rapporto tra l’umano e il non umano e concepisce le sue opere come finzioni speculative da cui emergono altre forme di mondi possibili. Le finzioni sono per Huyghe «mezzi per accedere al possibile o all’impossibile – a ciò che potrebbe o non potrebbe essere». E questi mezzi si traducano in linguaggio filmico che offre a Huyghe la possibilità di scardinare il limite dell’arte e di creare visioni fuori misura che trovano negli spazi di Punta della Dogana piena espressione fisica. I linguaggi visivi in movimento non sono però solo il fine, ma anche il mezzo per costruire le sue opere, come evidente in Camata (2024), che occupa il cubo centrale di Tadao Ando: il film è autogenerato e montato in tempo reale dall’intelligenza artificiale, modificandosi all’infinito, senza linearità, inizio o fine. I sensori nello spazio espositivo generano di continuo modifiche nel montaggio. Il visitatore si trova davanti ad un rituale eseguito dalle macchine che richiama al tempo stesso un rito funebre infinito, un teatro operatorio e un processo di apprendimento e formazione di una specifica soggettività. Mentre l’enigmatico rituale si svolge in tempo reale davanti a noi, assistiamo a un’operazione transazionale tra realtà diverse, a un passaggio da un’entità incorporea a un corpo umano senza vita. Liminal è un esperimento, la simulazione di una condizione umana in evoluzione, dove l’impossibile diventa possibile.
ENG To Pierre Huyge the exhibition is an unpredictable ritual where human and non-human intertwine with hybrids and transformations, cutting-edge technology and an even too smart use of AI. The artist turns Punta della Dogana into a sensitive and dynamic space inhabited by life forms in constant evolution, leading us to question our own perception of reality to the point of becoming strangers to ourselves.
Pierre Huyghe. Liminal Fino 24 novembre Punta della Dogana www.pinaultcollection.com
In questa edizione di Biennale Arte, il curatore Adriano Pedrosa stranamente non ha contemplato molti video tra le opere che compongono la mostra Stranieri Ovunque, video invece presenti in gran numero nei Padiglioni Nazionali – alcuni esempi tra tutti: Francia con la bellissima opera immersiva di Julien Creuzet, Gran Bretagna con lo spettacolare lavoro di Sir John Akomfrah, Listening All Night to the Rain, e Svizzera con l’ironico lavoro del brasiliano Guerreiro Do Divino Amor.
I pochi lavori video presenti in Stranieri Ovunque sono tuttavia molto interessanti, tra loro certamente colpisce per intensità, argomento e fattura, il (quasi) film di Fred Kudjo Kuwornu, artista di origine africana con diverse nazionalità (italiana, USA e Ghanese), nato a Bologna e residente a New York, che da anni con i suoi film-documentari lavora sulla negritudine, sul razzismo e sui diritti delle minoranze. We Were Here – The Untold History of Black Africans in Renaissance Europe è il titolo del suo intenso documentario, nel Padiglione Centrale ai Giardini, che in quasi un’ora racconta le storie di africani presenti in Europa nel XV e XVI secolo. L’artista è anche attore e voce narrante. Supportato da interviste a studiosi e scrittori, Kuwornu narra il suo viaggio attraverso Italia, Spagna, Portogallo, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Stati Uniti, Ghana, Brasile per dar voce a personaggi incredibili e spesso oscurati solo per il fatto di essere africani. L’artista dice di aver voluto seguire il tema di questa Biennale Stranieri Ovunque, includendo nel progetto del video attori migranti e rifugiati, per spiegare come gli africani hanno sempre vissuto in Europa per secoli, anche se la loro presenza si è diluita nel corso di tre generazioni, nonostante sia rintracciabile in numerosi documenti e rappresentazioni visive dell’epoca.
Se solo ci facciamo caso, infatti, troveremo una gran quantità di
Fred Kudjo Kuwornu STRANIERI OVUNQUE | Nucleo Contemporaneo Padiglione Centrale, Giardini www.labiennale.org
persone di colore nei quadri dei più grandi artisti come Tiziano, Caravaggio, Velasquez, ma sempre relegati in secondo piano nel ruolo di servitù, per non parlare di Otello, il Moro di Venezia, celebrato da Shakespeare.
Ecco che nel racconto visivo di Kuwornu si scopre la storia di Alessandro de’ Medici, il primo Duca di Firenze e primo capo di Stato nero del mondo occidentale, figlio illegittimo di Papa Clemente VII e di una schiava africana. Di lui esiste un ritratto agli Uffizi eseguito da Vasari e la sua vicenda è stata raccontata nel bel corto del 2021 Il Moro di Daphne di Cinto. Si trova anche il racconto della vita di San Benedetto il Moro, compatrono di Palermo, francescano, schiavo etiope, nato nel 1524 a Messina. La devozione popolare per lo schiavo santo è enorme e un gigantesco murale a Ballarò ne sottolinea la grandezza. E poi ancora le vite di Joao Panasco, cavaliere portoghese dell’Ordine di Santiago, o lo schiavo pittore Juan de Pareja, assistente di Velasquez. Quello di Kuwornu non è solo un’opera di denuncia, ma è un momento di riflessione sui diritti negati, in primis quello di cittadinanza. Irene Machetti
ENG 2024 Venice Art Biennale curator Adriano Pedrosa oddly didn’t include much video art in the main exhibition, though there’s plenty of it in several of the National Pavilions. Among the many examples are France’s, whose installation is a piece of immersive art by Julien Creuzet, Great Britain’s, with spectacular art by Sir John Akomfrah, Listening All Night to the Rain, and Switzerland’s, with an iconic piece by Brazilian artist Guerreiro Do Divino Amor. The few pieces of video art that made it into the Main Exhibition are also interesting, including the almost-feature film by Fred Kudjo Kuwornu on blackness, racism, and minority rights. We Were Here – The Untold History of Black Africans in Renaissance Europe is the title of his hour-long documentary on African presence in Europe in the fifteenth and sixteenth centuries, like Alessandro de’ Medici, an illegitimate son of Pope Clement VII and an African enslaved woman who grew to be the first black head of state in the western world.
STRANIERI OVUNQUE ARTISTS
Lungo il percorso ideato da Adriano Pedrosa per Stranieri Ovunque nel Padiglione Centrale ai Giardini si incontra una delle stanze più delicate e sorprendenti della 60. Biennale Arte: è quella dedicata alla filippina Maria Taniguchi, con le sue grandi tele scultoree quasi monocrome nere-grigie appoggiate direttamente a terra, all’italiana Nedda Guidi, con le sue stupende ceramiche messe su una pedana a pochi centimetri dal pavimento, e alla cinese Evelyn Taocheng Wang, con le sue grandi pitture minimaliste dai delicati colori pastello ispirate all’opera di Agnes Mardin. Dalle opere in dialogo si sprigiona un’enorme energia, non solo per la raffinatezza dei colori e dei materiali usati, ma soprattutto per lo spirito creativo che porta le tre artiste, distanti per età e geografia, a raccontare con leggerezza la fatica del fare arte in modo così meticoloso e perfetto. Maria Taniguchi costruisce, letteralmente, disegnando minuscoli mattoncini che riempiono tutta la tela, una vera architettura mentale sulle sfumature del nero. Evelyn Taocheng Wang dipinge la serie Do Not Agree with Agnes Martin All the Time (2022-2023), omaggio alla pittrice canadese, organizzando il dipinto nella più pura sensibilità taoista e nella tradizione cinese, aggiungendo alla griglia minimalista perfetta elementi disturbanti come bambù, frutta, wok. Quasi a terra risaltano potenti le piccole sculture in ceramica incisa di Nedda Guidi. Nata a Gubbio nel 1927 e morta nel 2015 a Roma, Nedda Guidi è una delle più importanti scultrici a livello internazionale, usa un materiale considerato povero come la ceramica per creare le sue opere. Come donna, attivista, femminista e lesbica, è stata emarginata dal mondo dell’arte, forse anche per la scelta di usare la ceramica, che se utilizzata da artisti uomini come Picasso, Fontana, Leoncillo era invece accettata e rispettata.
Nedda Guidi studia filosofia e inizia successivamente la sua carriera
M aria Taniguchi | Nedda Guidi | Evelyn Taocheng Wang
STRANIERI OVUNQUE | Nucleo Contemporaneo
Padiglione Centrale, Giardini www.labiennale.org
artistica da autodidatta, avvicinandosi a ceramica e terracotta nelle manifatture di Gubbio. Le sue sculture sono per lo più modulari, sperimenta smalti colorati e ossidi metallici, oltre a utilizzare tecniche innovative nell’uso della ceramica. Modulare I del 1968, in mostra, ha un volume geometrico che richiama un corpo (non abbandonerà mai la ricerca filosofica sull’uomo), è composto di quattro forme identiche e ordinate, smaltate in blu elettrico, spezzate da inserti rosso vivo, come una ferita sulla materia corporea.
L’artista riesce a fondere magistralmente l’abilità dell’artigiano con la visione dell’artista, assumendo un ruolo di scultrice chiave nella tecnica rivoluzionaria della ceramica contemporanea. Uno dei progetti speciali di Biennale Arte, vede sempre la Guidi protagonista alla Polveriera Austriaca di Forte Marghera a Mestre, dove sono esposte dieci sue creazioni, tra cui le Tavole di campionatura e la poetica installazione Morandiana o Vasi rovesciati dai tenui colori pastello.
I vasi rovesciati sembrano tante teste rivolte verso lo spettatore, lo osservano trascinandolo nel mondo astratto e incantato di questa poetessa della materia. Irene Machetti
ENG O ne of the most delicate and surprising room at the Venice Art Biennale is dedicated to Filipino artist Maria Taniguchi and her large sculptural canvases, to Italian artist Nedda Guidi and her beautiful ceramic art, and to Chinese artist Evelyn Taocheng Wang and her large, minimalist pastel paintings inspired by Agnes Mardin’s art. The energy generated by this conversation is awesome, not only for the refinement of colours and materials, but for the very creative spirit that guided the three artists, different in age and provenance, in their making such meticulous, perfect art. Taniguchi builds her art with tiny bricks slowly filling the canvas—a mental architecture of nuances of black. Guidi (1927–2015) was a philosopher and self-taught artist who experimented with modular enamelled ceramic. Wang organizes her painting along the purest Tao, adding to a minimalist grid disturbing elements like bamboo, fruit, and woks.
STRANIERI OVUNQUE ARTISTS
Percorrendo l’Arsenale, dove lungo le Corderie la seconda parte della mostra Stranieri Ovunque di Adriano Pedrosa trova perfetta collocazione, proprio nell’ultimo grande spazio in fondo, prima di girare verso le Artiglierie, si incontrano alcune opere sul tema delle differenze di genere, uno dei soggetti ampiamente sviluppati dalla mostra. Contrapposto alla violenta delicatezza degli intagli su carta colorata a pastello del cinese Xiyadie, di origini contadine, che ritrae la vita queer in Cina con scene di cruising gay in luoghi pubblici per liberare il proprio desiderio sessuale represso e gli acquerelli di La Chola Poblete (Menzione speciale), pieni di figure indigene transgender dall’identità sessuale fluida, spicca il video di Ana Segovia, giovane artista messicana, che ribalta i generi prendendosi gioco del machismo usando colori flou e “femminili”. Il suo primo lavoro video di pochi minuti del 2021 Pos se acabó este cantar è proiettato al centro della stanza dipinta di rosa neon, trasformata in uno spazio burlesque da cabaret. Nel video due charros, i cowboy macho messicani (uno è impersonato dall’artista stessa), vestiti con abiti tipici ricamati dai colori alterati rosa e blu elettrici, sono al centro della scena. Non si vedono mai i loro volti e il loro genere è volutamente ambiguo. I due personaggi si vestono a vicenda, si allacciano la cintura, si schiaffeggiano le mani e le facce, si scuotono violentemente, con una crescente violenza latente omoerotica. Segovia sottolinea l’ambiguità dei loro gesti, non proponendo tuttavia nuove forme di mascolinità, ma sottolineando che gli stereotipi di amore, identità e tradizione sono stati imposti principalmente da una cultura patriarcale che andrebbe smantellata.
La trasgressione è evidente sia nella scelta dei colori marcatissimi, sia nell’abbigliamento tradizionale, che capovolge lo stereotipo della
mascolinità, al punto che Segovia ha ricevuto molti rifiuti da parte di numerosi sarti, poiché ritenevano che i tessuti scelti fossero da “finocchio”! Per questo motivo gli abiti del video sono stati creati dal nipote charro del sarto di Jorge Negrete, famosa star del cinema messicano dell’età d’oro, che incarna ancora oggi l’idea di mascolinità nel Paese.
Per il suo video Ana Segovia reinterpreta frammenti di vecchie pellicole messicane come Allà en el Rancho Grande e Los Tres Garcías, facendo dialogare cinema e pittura fluorescente, che è il suo principale tratto artistico.
In mostra si possono ammirare anche alcuni dipinti, tra cui ¡Vámonos con Pancho Villa! Anche qui troviamo volti indefiniti, colori acidi e stridenti in una scena ironica e intrisa di umorismo. Tutto è realistico e non reale allo stesso tempo, prevalgono le descrizioni degli oggetti come grandi cappelli, pistole, bandoliere, ma nessuna caratterizzazione dei volti o nessun gesto eclatante, i dialoghi non servono perché quel che vediamo è esplicito e sufficiente.
Irene Machetti
ENG Mexican artist Ana Segovia’s video sets out to revolutionize our understanding of gender by slapping feminine, neon colours on machos. Her short video of 2021 Pos se acabó este cantar is screened at the center of a pink-painted room turned into a burlesque-themed cabaret club. In Segovia’s video, two charros – Mexican macho cowboys, one of which is played by the artist herself – show their typical clothing curiously adorned with pink and blue embroidery. We never get to see their faces, and their gender is deliberately left ambiguous. The two dress each other, buckle their belts, slap each other’s hands and faces, and shake each other in a vaguely homoerotic crescendo of violence. Ana Segovia highlights ambiguity in their actions as well as the fact that the stereotypes of love, identity, and tradition have been imposed on us by a patriarchal culture that needs undoing.
Void del filippino Joshua Serafin, presentato all’Arsenale nell’ambito della mostra Stranieri Ovunque, rappresenta un viaggio visivo e concettuale attraverso un vuoto generativo. L’opera, una video installazione di 9 minuti e 14 secondi, esplora il concetto di vuoto non come assenza, ma come un intervallo di possibilità. Serafin, attraverso il movimento e la gestualità di una figura non binaria, immagina un mondo nuovo, superando le convenzioni patriarcali dell’imperialismo e proponendo una visione futuristica tropicale. Sarafin ha detto di voler raffigurare in Void la nascita di una divinità non binaria, impersonata nel video dall’artista stesso che, danzando in uno spazio primordiale, crea e si crea, incarnando una visione che sfida le nozioni tradizionali di potere, bellezza ed esistenza. Seminudo, con indosso solo un perizoma, Serafin si immerge in una piscina piena di liquido scuro e viscoso come il petrolio e si schiaffeggia i capelli intorno a uno spazio pieno di sabbia, mentre la musica per chitarra di Calvin Carrier risuona per tutto il tempo. Il video si riflette su una superficie specchiante sul pavimento, tutto è oscuro e immerso in una luce blu scura, che sembra arrivare direttamente dai film di fantascienza.
L’opera è radicata nei miti della creazione dell’arcipelago filippino, reinterpretati attraverso performance queer e trans, per prefigurare un futuro che valorizza la diversità di genere. La forza di Void risiede nella sua capacità di trasformare il vuoto in un momento generativo, dove l’essere si trasfigura in un “élan vital” in continuo divenire e il corpo è fonte di energia. In questa installazione, Serafin non solo propone un’allegoria dell’assenza, ma invita a riflettere sulla possibilità di una nuova presenza, che è allo stesso tempo umana, trans-divina e post-umana. L’opera, con la sua estetica potente e la sua profonda riflessione sulla condizione umana e
Jos hua Serafin
STRANIERI OVUNQUE | Nucleo Contemporaneo C orderie, Arsenale www.labiennale.org
la sua evoluzione, segna il debutto di Joshua Serafin alla Biennale di Venezia, portando con sé una visione radicale e innovativa dell’arte contemporanea.
Serafin sfida lo spettatore a confrontarsi con un vuoto che è tutto fuorché inerte, un vuoto che pulsa di potenzialità e di nuove narrazioni, che dischiude mondi possibili attraverso la danza e la performance. Questa installazione interroga la nostra percezione del vuoto, nonché la nostra comprensione della diversità e della creazione, in un’opera che è allo stesso tempo visione artistica e manifesto politico. Irene Machetti
ENG F ilipino artist Joshua Serafin’s Void, included in the Foreigners Everywhere exhibition at the 2024 Venice Art Biennale, is a visual and conceptual journey into generative void. The art is a 9’14’’ video installation that explore the concept of void not as absence, but as a range of possibilities. Using the movement and gestures of a non-binary person, the artist offers a vision of tropical futurism that overcomes the conventions of patriarchal imperialism. Serafin stated that Void depicts the birth of a non-binary deity, which is played in the video by Serafin diving into a pool of a black, thick liquid, like oil, while Calvin Carrier’s guitar plays along. The video mirrors onto the floor and everything is dark and deep blue, like in a sci-fi movie.
The art is rooted into Filipino creation myth, reinterpreted in queer and trans performances that prefigure a future where gender diversity is appreciated. The strength of Void lies in its ability to turn void into generative force. Joshua Serafin not only offers an allegory of absence, but also invites to reflect on the possibilities of new and original presence, at once human, trans-divine, and post-human. The art is a powerful, deep reflection on human condition and evolution, as well as a radical, innovative vision on modern art. We shall find ourselves questioning if void is really empty, and what possible words are generated in dance and performance art.
Alla Biennale in corso una sezione tutta per sé all’Arsenale spetta al grandioso progetto speciale Disobedience Archive (the Zoetrope), fondato a Berlino nel 2005 da Marco Scotini, che ha ideato questo archivio di video in continua evoluzione, incentrato sul rapporto tra le azioni artistiche di disobbedienza politica e civile e le testimonianze “visive” di azioni contro il sistema. Il sottotitolo Zootropia fa riferimento al dispositivo ottico ottocentesco precursore del cinema usato per vedere le immagini in movimento e l’architettura dello spazio espositivo lo rispecchia pienamente. Scotini collabora direttamente da più di vent’anni con artisti, registi, attivisti e filmmaker, ha esposto nelle principali istituzioni internazionali, come il Castello di Rivoli, il MIT di Boston o il Festival di San Pietroburgo, raccogliendo le voci di ribellioni, conflitti e rivolte. Come tutti gli archivi, Disobedience Archive raccoglie testimonianze video registrate da numerosi artisti, tra cui Zanele Muholi, Hito Steyerl, Liminal & Border Forensics, che narrano storie di manifestazioni, interviste e performance.
Fortemente voluto da Adriano Pedrosa dopo aver visto il progetto alla Biennale di Istanbul, il lavoro incarna perfettamente il tema scelto quest’anno dal curatore, Stranieri Ovunque.
I diversi video sono suddivisi in due sezioni principali appositamente concepite per la Biennale, intitolate rispettivamente Attivismo della diaspora e Disobbedienza di genere Disobedience Archive include le opere di 39 artisti e collettivi realizzate tra il 1975 e il 2023. La particolarità di Disobedience è la versatilità e il fatto di essere itinerante, dunque cambiare ogni volta a seconda del luogo nel quale viene esposto, arricchendo l’opera di nuove testimonianze.
Fino a oggi sono stati raccolti più di 200 materiali video e filmici, che ogni volta vengono ricombinati e riassemblati a seconda del tema e della situazione contingente. Alla Biennale i due temi presentati sono legati alle migrazioni, al superamento dei confini nazionali e alle problematiche e movimenti LGBTQ+, dunque, un costante mescolamento e nomadismo di generi e persone. «È molto importante in questo periodo e in questo nostro mondo sottolineare l’importanza della storia che – dice Scotini – è stata silenziata e riscritta. È come se fossimo stati espropriati della storia, resi silenti rispetto a tante questioni. Il compito di questi materiali è anche quello di denunciare la rappresentazione solo mediatica della storia, affermandone la sua valenza culturale e politica». Maria Laura Bidorini
Project Disobedience Archive (the Zoetrope) at the 2024 Venice Art Biennale is an ever-evolving video archive focusing on the relationship between art acts of political and civil disobedience and visual testimony of anti-system action. Its subtitle – Zootropia – points at the nineteenth-century precursor of cinema, and the architecture around the installation reflects that perfectly. The founder of Disobedience Archive, Marco Scotini, has been working with filmmakers, artists, and activists for over twenty years, and shown his project in important international institutions. Biennale director Adriano Pedrosa insisted that this project be included after seeing it in Istanbul and realizing it perfectly incapsulates the current Biennale’s theme: Foreigners Everywhere The several videos are sorted in two sections: Diaspora activism and Gender disobedience, though this may change any time the exhibition is installed in a different place. The two themes presented at Venice focus on migration, the overcoming of the national borders concept, and LGBTQ+ issues.
D isobedience Archive
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OVUNQUE
Foreigners Everywhere_Part 2
La visita al padiglione nazionale Hãhãwpuá è un’emozione, un esempio di de-identificazione dal concetto stesso di nazione a partire dal suo nome, Brasile, che è stato sostituito dai curatori con un atto radicale istituzionalmente e necessario storicamente in epoca di fondamentalismi identitari.
Nella seconda sala, mentre leggo dell’impegno dell’artista in mostra Glicéria Tupinambá per la restituzione del manto Tupinambá dal National Museet di Copenhagen, mi ritorna in mente l’espressione misteriosa Kalaallit Nunaat sovrapposta a Denmark, che avevo notato e non decifrato pochi minuti prima sulle pareti a mattoncini del Padiglione Danese, un altro gesto di de-identificazione nazionalista che stabilisce una doppia corrispondenza tra padiglioni e movimenti indigeni, tra Polo Nord e Tropico del Capricorno che, nel cuore della Biennale di Venezia, danno una scossa alle fondamenta delle categorie nazionali ridisegnandone i confini. Pochi metri e un’altra corrispondenza, questa volta di segno opposto, tra il Padiglione Austriaco e quello Serbo, tra le Prove del Lago dei Cigni di Anna Jermolaewa, un progetto creato in collaborazione con la coreografa ucraina Oksana Serheieva, e l’Exposition coloniale di Aleksandar Denic´. La messa in scena del balletto di C ˇ ajkovskij, mandato in onda in Unione Sovietica come forma di intrattenimento per oscurare crisi politiche e proteste di piazza, è una performance antimperialista che vuole prepararci a un’auspicata caduta del regime russo. La scelta del Ministero della Cultura Austriaco è un segnale politico chiaro che si distacca dalle posizioni di governi a volte troppo accondiscendenti verso le aggressioni del Cremlino e da quelle della società civile, informate da sentimenti spesso conflittuali sul tema. A pochi passi, l’installazione scenografica di Denic´ del Padiglione Serbo restituisce un clima politico opposto: immediatamente insospettito dalla retorica a mio avviso scaduta del titolo, mi sono trovato di fronte all’enorme insegna Europa posta di spalle al pubblico, in castigo, sul lato destro della sala principale, a ricordare la decadenza della narrativa europeista. Il Padiglione ricalca la linea anti-europea dei circoli artistici e intellettuali decoloniali, in fila a celebrarne l’inaugurazione, che ho percepito, detto con tutta onestà e pochi dubbi, come pura propaganda di Stato, aggravata dalla sua adesione al concentrico attacco russo sul piano culturale e mediatico contro l’idea stessa di Europa, le sue istituzioni socialdemocratiche liberali, intensificato a seguito dell’aggressione all’Ucraina. L’installazione ricorda l’attitudine del governo serbo a dir poco ambigua circa la propria adesione all’Europa, aggressiva con il vicino Kosovo, espressione di un’ideologia identitaria cristianoortodossa sempre più reazionaria. L’artista nel comunicato stampa si dichiara, nonostante la carriera di successo e il riconoscimento in patria, “sfollato permanentemente” proprio nel cuore della disprezzata Europa, dove ha scelto di vivere e lavorare. Per non regalare più tempo alla propaganda, esco dopo pochi minuti da un clima politico generale inevitabilmente ad alta tensione, che svanisce attraversando la mostra principale, Stranieri Ovunque, la cui presenza alla Biennale di Venezia è stata presentata come una
conquista del Sud globale, una categoria geopolitica prima che culturale. Nei mesi che hanno preceduto l’inaugurazione, il curatore ha ribadito in ogni possibile occasione la portata storica e politica rivoluzionaria della sua mostra, ossessivamente definita provocatrice. L’insistente sottolineatura della rilevanza politica di Stranieri Ovunque, con un lavoro incalzante di comunicazione a riguardo, è stata parte di un meticoloso percorso che ha guardato sin dall’inizio con grande attenzione all’eredità mediatica che avrebbe dovuto lasciare la mostra e insieme al registro storiografico della Biennale. Ma l’esperienza del pubblico, che è stata presupposta come inevitabilmente identificata con la visione del curatore, non è prevedibile e la sua libertà di sentire e immaginare a prescindere dalle intenzioni curatoriali non è controllabile. Personalmente ho percepito una decisa incongruenza tra il dettato politico programmatico dichiarato rivoluzionario e la mostra, che a me è risultata svuotata proprio del suo potenziale politico.
La presunta provocazione si rivela un’innocua riassicurazione.
Stranieri Ovunque è infatti una mostra garbata, pensata e realizzata per entità istituzionali conservatrici, che si fa certamente portavoce di un movimento di importanza storica nel segno del riequilibrio e del riavvicinamento di linguaggi e culture marginalizzate dalle forze coloniali, tuttavia silenziando di fatto qualsiasi forma di denuncia delle conseguenze sociali, ecologiche, economiche nefaste e soprattutto delle sofferenze causate ai popoli oppressi dai colonizzatori, invisibili nelle opere selezionate. E così nel Nucleo Contemporaneo la ‘categoria’ dei popoli indigeni, stranieri nella propria terra, è rappresentata da opere liriche scelte in corrispondenza delle aspettative del mercato dell’arte e dei suoi mecenati. Senza richiamare la storia del genocidio che avrebbe potuto riempire il Nucleo Storico, sull’Amazzonia contemporanea non c’è nessun riferimento al pericolo esistenziale rappresentato dalla deforestazione di terre indigene per la produzione agricola e di legname in parte destinato al mercato europeo, dalle invasioni di cercatori d’oro, dalla costruzioni di nuove autostrade transamazzoniche, dalla minaccia alla demarcazione delle terre indigene garantita dalla costituzione
brasiliana e recentemente messa in discussione ingiustamente dal Congresso Nazionale. Una tale disconnessione dalla tragicità della realtà è sintetizzata dall’opera simbolo di Claire Fontaine, Stranieri Ovunque, sculture in neon che secondo le dichiarazioni degli artisti fanno riferimento alla crisi e alla condizione dei milioni di rifugiati e che invece si presentano sterilizzate proprio da questa condizione. Un approccio all’opera d’arte opposto rispetto a quella di Barca Nostra di Christoph Büchel, un’opera che ha toccato lo stesso tema ed è stata esposta nello stesso luogo in occasione della 58. Biennale
Arte di Ralph Rugoff, dal titolo May You Live in Interesting Times, un monumento che portò a segno un gancio allo stomaco che fummo tutt* costretti ad incassare.
La scelta del Nucleo Storico Modernista è di per sé indicativa a livello politico dello scarto tra le intenzioni dichiarate e l’efficacia reale delle scelte operate da Pedrosa. Invece di portare alla luce opere e artisti condannati all’invisibilità o marginalizzati dalle oligarchie culturali, il curatore adotta come suo orizzonte di riferimento la storia della Biennale di Venezia e in particolare l’epoca modernista, individuando una possibilità di correzione storica di stampo museale, nonostante la Biennale non sia un museo e non abbia una collezione da riequilibrare. Inscrivere nella storia della Biennale di Venezia artisti già celebrati regionalmente per consegnare loro un attestato di partecipazione quale consacrazione di una carriera: questa pare essere la scelta di fondo del curatore, preferita a un’idea più radicale di coinvolgimento effettivo di artisti esclusi e senza riconoscimento istituzionale o storiografico, regionale o internazionale che sia.
La scelta di opere moderniste inoltre, già storicizzate regionalmente, valorizzate istituzionalmente e dal mercato, è direttamente figlia del canone europeo che dunque è dichiaratamente prediletto rispetto a qualsiasi altro, a partire da quello definitosi nel tempo attraverso un radicamento storico nei territori delle provincie, lontane dai circoli intellettuali delle grandi città del Sud globale, principali vittime del colonialismo.
In conclusione, l’occasione di emancipazione e riscatto è andata ahinoi perduta.
Proseguendo il cammino tra i padiglioni, ci imbattiamo nella coraggiosa e ammirevole non apertura di Ruth Patir, capace di dare un segnale di risposta all’emorragia culturale degli ultimi anni, all’involuzione reazionaria del governo Netanyahu.
Le potenze coloniali ottocentesche, su tutte Inghilterra, Francia e Paesi Bassi, cercano invece nuovi sentieri che valorizzino le culture in passato colonizzate e disprezzate e dalle quali hanno dovuto necessariamente incominciare ad imparare per non decadere nelle entropie culturali identitarie.
La presenza italiana, a partire dal Padiglione nazionale stesso all’Arsenale, di fatto ignora la necessità di questa apertura, di questa presa di coscienza delle responsabilità collettive sul passato coloniale: il sistema-arte non indica la strada e si rifugia in una meditazione lirica atemporale. L’eccezione è la preziosa opera-documentario Anatomia di un’amicizia di Alessandra Ferrini esposta nella mostra di Pedrosa in un sottopassaggio del Padiglione Centrale, dove giganteggia la figura del combattente della resistenza libica Omar al-Mukhtar, giustiziato dalle forze italiane dopo un’eroica resistenza all’invasore.
La Russia, al centro della coreografia di alleanze del Sud globale, ospita l’elegante mostra della Bolivia plurinazionale, che con l’idea di superare il concetto di nazione, ne rafforza il peso, moltiplicandone il formato, auspicando il superamento «degli sconvolgimenti prodotti dal colonialismo attraverso la comprensione della storia e l’uso saggio delle lezioni che essa impartisce». Un auspicio che, nella “buona” tradizione intellettuale decoloniale contemporanea, vale per gli altri ma non per sé stessi, essendo ospiti di una potenza imperiale attualmente impegnata in una sanguinosa guerra espansionistica in Ucraina.
Trovatomi nuovamente al cospetto dell’inizialmente odiata Exposicion Coloniale di Denic´, approfittando dell’assenza di pubblico, inizio a circolare nelle sue camerette puzzolenti di muffa, improvvisamente attratto dai colori consumati dal tempo e dalla magia del jukebox che suona la musica Europa interpretata da Boki Milosevic´, interrotta dallo squillo a cadenza regolare della cabina telefonica adiacente. All’improvviso vengo catturato da un canto di sirene, un’incantevole melodia che ascoltavo da bambino con un testo che, per ragioni anagrafiche, all’epoca non comprendevo:
«Vorrei comprare al mondo
una Coca Cola per fargli compagnia
…
questo è ciò che è reale tutto quello che il mondo oggi desidera
Una Coca Cola»
In arte e nella propaganda l’esecuzione è più importante delle intenzioni e il capolavoro ha un potere simbolico irresistibile che riesce a sopraffare la realtà; seduttore, avvolgente e pericoloso, ad esso è impossibile rimanere indifferenti, motivo per cui è così caro al potere, così fondamentale per la politica.
Sono partiti la scorsa primavera da Charleroi in Vallonia e dalla famigerata Dunkerque, la località francese affacciata sulla Manica al confine con il Belgio; attraversando Passo Resia sono giunti in Italia, dove si sono intrattenuti per un picnic sul lago ghiacciato, per poi fare tappa nella città del Santo, a Padova, e infine approdare ai Giardini della Biennale, solcando la Laguna su di una chiatta. Sono i ‘giganti’ che fino al 24 novembre abitano il Padiglione del Belgio, Petticoat Government, colossi folcloristici provenienti da diverse comunità del Belgio, ma anche della Francia e Spagna, che il collettivo composto da Denicolai & Provoost, Antoinette Jattiot, Nord, Spec uloos ha scelto come mezzo artistico per sollevare una necessaria riflessione sul superamento dei confini, sia geografici che metaforici. Attraverso un mix di pratiche artistiche, che vanno dall’attività curatoriale all’architettura, dalla tipografia alla cartografia, il Collettivo sovverte il tradizionale format espositivo servendosi di una narrazione in capitoli che si succedono, amplificando il potenziale di trasmissione. A differenza di un’opera chiusa, il Padiglione è immaginato come un luogo di passaggio, con una prospettiva caleidoscopica. Grazie al ruolo dato all’oralità e alla creazione collaborativa di storie, oltre alla messa in scena aerea e sonora di queste gigantesche figure, la mostra intende interrogare l’origine di mitologie contemporanee e di storie secolari. Petticoat Government immagina per il prossimo futuro un cambiamento di paradigma, sfumando le frontiere tra discipline e culture, sia artistiche che popolari.
ENG T hey left Charleroi and Dunkerque last spring, crossed the alps, stopped in Padova, and eventually made it to Venice, to the Biennale, gently cruising the Lagoon waters on a barge. They are the ‘giants’ that live in the Belgian Pavilion at the Venice Art Biennale, and will until November 24. Petticoat Government – this is the name of the exhibit – are folk colossuses coming from different Belgian communities as well as France and Spain that Belgian artists picked to reflect on the obsolescence of borders, both geographical and metaphorical.
Una targa trasparente accoglie i visitatori con la scritta “Kalaallit Nunaat”, che significa “Groenlandia” nella lingua locale, annunciando l’esordio di un artista groenlandese a rappresentare per la prima volta la Danimarca alla Biennale Arte di Venezia. Le esplorazioni visive di Inuuteq Storch sfidano la percezione stereotipata della sua madre patria – colonia danese per oltre due secoli e ora territorio autonomo ma non ancora indipendente! –, ponendo l’identità indigena groenlandese al centro della scena internazionale.
La mostra Rise of the Sunken Sun evidenzia il potenziale della fotografia come documento culturale, sociale e storico, con una selezione di immagini digitalizzate risalenti ai decenni intorno al 1900 realizzate dal primo fotografo groenlandese professionista, John Møller, affiancate a fotografie amatoriali provenienti dall’archivio di famiglia di Storch e a nuove serie come Soon Will Summer be Over, che documenta le tracce del colonialismo a Qaanaaq, nel nord della Groenlandia, e l’impatto della crisi climatica sulla vita quotidiana. Tra le immagini storiche e quelle contemporanee emerge con decisione la storia coloniale del Paese, facendo della decolonizzazione il tema principale della mostra, che riunisce i diversi approcci fotografici di Storch sotto la complessa tematica della vita groenlandese tramite concetti di mirroring, doubling e riferimenti alla luce, compreso il sole, simboleggiato dal semicerchio rosso che appare sulla bandiera di Kalaallit Nunaat.
ENG A see-through plaque reading Kalaallit Nunaat (‘Greenland’ in the local language) welcomes visitors and announces a Greenlander’s first participation to the Venice Art Biennale. Inuuteq Storch’s visual exploration challenges the stereotypical image of his home country, placing Greenlandish indigenous identity at the centre of the international scene. Rise of the Sunken Sun shows the potential of photography as a cultural, social, and historical document with a collection of digitized pictures from around the year 1900, taken by the first Greenlandish professional photographer, John Møller, plus pictures from the Storch family, and new series Soon Will Summer be Over, documenting colonialism in the north Greenland town of Qaanaaq, and the impact of the climate crisis on daily life.
DANIMARCA
R ise of the
Non un approccio estetico, ma un’immediatezza emotiva: corpi sonori e visivi occupano lo spazio del Padiglione Grecia ai Giardini, che evoca fatalmente la forma di un magazzino agricolo o l’architettura religiosa tradizionale, offrendo una riflessione sul rapporto tra esperienza folclorica e sua rappresentazione. Xirómero/Dryland è un’installazione audiovisiva ibrida, un’opera unica che si compone di frammenti di ricerca, performance, sequenze sonore e installazioni video, frutto di un lavoro artistico collettivo, curato da Panos Giannikopoulos e promosso da Onassis Culture con il National Museum of Contemporary Art di Atene, sostenuto tra gli altri dal Festival Internazionale del Cinema di Salonicco e dal Festival di Atene-Epidauro. Ideata dall’artista interdisciplinare e compositore Thanasis Deligiannis e dal drammaturgo e filologo Yannis Michalopoulos, realizzata insieme all’artista visiva e regista Elia Kalogianni, al fotografo e documentarista Yorgos Kyvernitis, al tecnico del suono e designer Kostas Chaikalis e all’artista visivo e architetto Fotis Sagonas, l’opera consiste in un impianto di irrigazione agricola che sincronizza in tempo reale gli ambienti sonori, video e luminosi che compongono l’installazione. L’opera indaga l’esperienza di una festa di paese seguendo il suo percorso dalla piazza fino alla periferia e al territorio circostante. Più specificamente, si rifà alle panighíria – feste locali – della Grecia continentale, della Tessaglia e della zona di Xirómero, nella Grecia occidentale, da cui prende il titolo. L’incessante interazione tra performance e realtà che scandisce il ritmo di queste fiere sono al centro del Padiglione greco, che si trasforma portando lo spazio di incontro della comunità dall’esterno all’interno. Tra il rituale e l’intrattenimento, la festa del villaggio trasmette informazioni e si carica di significato. È legata al lavoro agricolo, ma anche genera il ciclo temporale interno alla comunità, che segue il ritmo dell’irrigazione e di altre attività rurali. Aiuta la comunità a formare un’immagine di sé. Allo stesso tempo, però, fonde nozioni contraddittorie: gli spettatori diventano partecipanti, la scena diventa fuori scena, il performativo lascia il posto al quotidiano. Gli artisti si riferiscono all’acqua come a un prisma – un modo di vedere e pensare –, concentrandosi sulla sua scarsità o abbondanza, sulla sua necessità o sul suo spreco, nonché sulle sue connotazioni sociali. L’esaurimento delle risorse è qui collegato all’esaurimento fisico e finanziario.
Xirómero/Dryland si propone di mettere in relazione l’esperienza dei costumi locali, geograficamente contestualizzata, con la condizione globale in cui le direttive estetiche cambiano, le tradizioni mutano, la vita rurale e la celebrazione assumono forme diverse, mentre le dimensioni politiche di questi processi rimangono un tema di indagine aperto.
What we are looking at is not an aesthetical approach, rather emotional immediacy: bodies made of sound and vision populate the Greek Pavilion at the 2024 Venice Art Biennale in what looks like a barn, or maybe a piece of religious architecture, offering a reflection on the relationship between folklore experience and its representation. Xirómero/Dryland is a hybrid audio-video installation and a unique piece of art blending research, performance, sound sequences, and video installations curated by Panos Giannikopoulos. Based on an idea by artist and composer Thanasis Deligiannis and by playwright and philologist Yannis Michalopoulos, the installation is an irrigation system synchronized with all other elements. Specifically, the reference is to local folk fetes, panighiría, that are common in Thessaly and in the Xirómero area, whence the exhibition’s title. Half-ritual, half-entertainment occasion, the fete is saturated with information and meaning. It is about field work, about seasonal cycles, about communities, and about the image communities have of themselves. Local customs are compared to global conditions, with changing traditions, rural lives, and celebratory rituals.
GRECIA. Ξηρόμερο / Dryland Giardini pavilionofgreece2024.emst.gr
Una scultura immersiva, che si compone di un’installazione video multicanale e di una colonna sonora operistica, occupa letteralmente lo spazio espositivo del Padiglione Irlanda all’Arsenale. È Romantic Ireland, che da il titolo anche al Padiglione, dell’artista Eimear Walshe, la cui pratica spazia dal video alla scultura, dall’editoria al suono e alla performance, con colonna sonora composta da Amanda Feery su libretto della stessa Walshe.
Curato da Sara Greavu e dal Project Arts Centre, promosso da Culture Ireland in partnership con Arts Council of the Ireland, il progetto di Eimear Walshe esplora i complessi giochi di potere che si creano attorno alla costruzione collettiva di edifici tramite la tradizione irlandese dei “meitheal”, gruppi di lavoratori – vicini, amici e parenti – che si riuniscono per aiutarsi reciprocamente. Il tema, che prende le mosse dall’attuale crisi abitativa in Irlanda, si sviluppa attraverso un’installazione audiovisiva multicanale ambientata in contesti di costruzioni realizzate in terra cruda, una pratica millenaria con molteplici declinazioni locali in tutto il mondo. Il video mostra sette performer, tra cui l’artista, guidati dal coreografo Mufutau Yusuf, dare vita a personaggi archetipici che, attraverso dialoghi frenetici, tracciano i retaggi della disputa fondiaria consumatasi nel Paese alla fine del XIX secolo, evidenziando le intricate relazioni tra proprietà privata, ambiente edificato e conservatorismo sessuale. Il video è stato realizzato filmando con quattro telefoni cellulari passati tra un attore e l’altro, che rendono meno netta la tradizionale distinzione tra regista, interprete e cameraman. Il Padiglione irlandese diventa così, a seconda dei casi, un cantiere di possibilità, un’arena per gli antagonismi generazionali e di classe dell’Irlanda, uno spazio di tenera cura e una struttura che la morte sociale, rappresentata dallo sfratto, ha reso una fredda rovina. L’opera impone l’incontro tra momenti storici, di cui evidenzia le dinamiche di potere e i registri affettivi paralleli; le forme di lavoro, di conflitto e di piacere; il groviglio di storie di sessualità, proprietà e Stato.
«Ci sono molte intuizioni della storia irlandese – spiega l’artista – che dobbiamo condividere con il resto del mondo. La vita sull’isola, la sua storia di colonizzazione, rivoluzione e spartizione, offre così tante opportunità di rievocare traumi storici, così tanti inviti al tradimento del nostro passato, dei nostri vicini e di noi stessi. Siamo una Nazione colonizzata, eppure contribuiamo alla colonizzazione degli altri. Alcuni di noi sono stati espropriati e hanno continuato a fare lo stesso. La storia non fa differenze».
An immersive sculpture that includes multi-channel video art and an operatic soundtrack: Romantic Ireland explores the complex power games that take place in meitheal, a form of cooperative work that is traditionally Irish. The idea for the exhibition started with the current housing crisis in Ireland, and developed via a video installation set in areas of Ireland where traditional building techniques include raw earth houses – itself common in other areas of the world, as well. Seven performers, including artist Eimear Walshe, are guided by choreographer Mufutau Yusuf to give life to archetypical characters whose conversation traces the heritage of the late nineteenth-century Irish land dispute, highlighting the complicated relationship between estate, built environment, and sexual conservatism. The video was filmed using four smartphones which the performers passed one another, blurring the lines between director, actor, and cameraman. The Irish Pavilion is an open construction site of possibilities, an arena for Irish intergenerational and inter-class antagonism, and a space for care that social death (represented by eviction) turned to cold ruins. The art forces different historical moments to come together and highlights power play, affection modes, forms of labour, conflict, pleasure.
IRLANDA Romantic Ireland A rtiglierie, Arsenale www.irelandatvenice2024.ie
Tra le artiste di maggiore ispirazione per le nuove generazioni Gülsün Karamustafa, chiamata a rappresentare la Turchia alla 60. Biennale Arte, è conosciuta per i dipinti e le installazioni che affrontano temi diversi e attualissimi, tra cui il senso di appartenenza locale, la modernizzazione del Paese, lo sradicamento e la memoria, la migrazione, la differenza culturale e l’identità sessuale. In dialogo con gli spazi delle Sale d’Armi, la mostra Hollow and Broken. A State of the World riecheggia lo stato attuale del mondo, svuotato e ridotto ad un campo di battaglia, sconquassato da guerre, migrazioni forzate, crisi ambientali, minacce nucleari. Entrando all’interno del Padiglione, i visitatori incontrano tre straordinari lampadari in vetro veneziano sospesi dall’alto, ciascuno dei quali rappresenta una fede monoteistica: cristianesimo, ebraismo e islam. Una rete di filo spinato avvolge i tre luminosi oggetti simbolici, restituendo le tensioni e le storiche guerre tra religioni, che ancora non trovano fine. Stampi cavi di plastica che assomigliano a capitelli e colonne di cemento sono sparsi in tutto il Padiglione in netto contrasto con le tradizionali associazioni di gloria e potere. Anche il vetro veneziano frantumato emerge come motivo ricorrente all’interno dell’installazione, risuonando con i sentimenti dell’artista. Completa la mostra un film d’artista inedito, composto da immagini in bianco e nero tratte da filmati di propaganda che descrivono migrazioni, guerre e manifestazioni da tutto il mondo. Originariamente proiettate nei cinema, le immagini sono state reinventate da Karamustafa, prive dell’intervento del cameraman e del punto di vista originale, per mettere in luce la condizione umana.
ENG Using reclaimed materials, Turkish artist Gülsün Karamustafa creates sculptures that reflect the current state of the world, reduced to a battlefield ravaged by wars, forced migrations, environmental crises, and social injustices. Evoking both physically and emotionally the void caused by unprecedented and seemingly endless devastation, the installation offers a clear look on contemporary human and environmental challenges, inviting the audience to become fully aware of the reality surrounding them.
Per il padiglione del Libano, l’artista Mounira Al Solh (1978, Beirut) ha ideato un caleidoscopico ponte tra la realtà e un mito dal fascino eterno, quello del rapimento di Europa da parte di Zeus; un mito che oltretutto è il fondamento leggendario della migrazione da Oriente a Occidente, da Tiro a Creta, da una cultura ad un’altra.
Si narra che, invagatosi della bellissima principessa Europa, il “padre di tutti gli dei” scese dall’Olimpo sotto le sembianze di un meraviglioso toro candido dalle corna luccicanti e, mentre la giovane era sulla spiaggia di Tiro con le ancelle, riuscì con l’inganno a rapirla e a portarla a Cnosso sull’isola di Creta. Qui, riprese le sembianze divine, il dio giacque con lei, che diede poi alla luce Minosse, Serpedonte e Radamanto, cosa che naturalmente non impedì all’indomito Zeus di abbandonarla. Rivisitando la mitologia degli antichi Fenici, Mounira Al Solh con l’installazione multimediale A Dance with her Myth – che combina pittura, disegno, scultura, ricamo e video – immerge i visitatori nell’antica Fenicia attraverso moderne tecniche plastiche e visive. Ponendo il presente in relazione con la leggenda in modo inaspettato, l’artista propone una lettura alternativa o addirittura invertita del mito, che richiede una sana distanza critica e una buona dose di umorismo. La ricerca di Europa, alla quale il visitatore è invitato a partecipare, contribuisce al compimento di un destino femminile liberato dagli “dèi”, che si traduce, ai giorni nostri, in un percorso per il raggiungimento di una sempre più urgente condizione di equilibrio tra ruoli nella direzione di una compiuta parità di genere. ENG O n a beach in Tyre, Zeus takes the form of a white bull to seduce the beautiful princess Europa and deceitfully carry her to Crete shores, where he unites with her. Revisiting the mythology of the ancient Phoenicians, Mounira Al Solh (Beirut, 1978) reconnecs the present to the legend in an unexpected way, proposing an alternative or even inverted interpretation that allows for critical distance and humour. The exploration of Europa’s myth, which the artist invites us to take part in, contributes to the fulfillment of a female destiny freed from gods’ interference, which in modern times translates into a journey towards gender balance and equality.
Il padiglione Cile connette il pubblico con dibattiti contemporanei che riecheggiano interrogativi quali “Chi sono?” e “Dove sono?”, nell’intricato processo di “territorializzazione dell’esistenza” di individui che hanno identità diverse. Il termine “cosmonazione” che dà il titolo alla mostra è preso in prestito dall’antropologo Michel S. Laguerre, il quale afferma che le comunità diasporiche in verità non interrompono mai le relazioni con i propri luoghi d’origine, ma rimangono legate alle loro terre ancestrali in svariati modi, per esempio attraverso pratiche spirituali. Di conseguenza, questi individui abitano una nazione estesa e multilocalizzata, una “cosmonazione” che unisce in sé territori geograficamente distanti. Nata in Svezia due anni dopo la fuga dei suoi genitori dalla dittatura militare cilena, Valeria Montti Colque (1978) è cresciuta a Stoccolma in una cittadina che ospitava una comunità di esuli, e i suoi lavori abbondano di entità non identificabili, body-collage, soggettività meticce che creano oggetti animati, attraversando paesaggi colorati, in costante transito. Al centro del Padiglione Mamita Montaña (Madre Montagna) è un’imponente scultura alta più di cinque metri, composta da tappeti decorati con collage, acquerelli, disegni su carta, tessuti stampati, piccoli pezzi di ceramica e fotografie. Ricordando la forma di una montagna, l’installazione rappresenta un luogo sicuro per esiliati e rifugiati. Attorno a questo fulcro, Cosmonación si sviluppa presentando altre opere dell’artista, fra cui una processione di figure in ceramica che rappresentano divinità o esseri mitologici, pezzi tessili e proiezioni video. Nell’insieme il Padiglione trasfigura in uno spazio di confine simbolico, dove le culture si incontrano, si fondono, si dissolvono per poi ritornare. ENG Mamita Montaña (Mother Mountain) is a massive five-metertall sculpture made of carpets decorated with collage, watercolors, drawings on paper, printed fabrics, small ceramic pieces, and photographs. Recalling the shape of a mountain, the installation represents a safe haven for exiles and refugees. Cosmonación unfolds around this core, presenting other works by the Chilean-Swedish artist Valeria Montti Colque, including a parade of ceramic statuettes representing deities or mythological beings, fabric pieces, and video projections. Overall, the environment transforms into a symbolic borderland where cultures meet, blend, dissolve, and finally come back.
Protagonista del padiglione Georgia a Palazzo Palumbo Fossati è 65 Maximiliana o la Pratica illegale dell’Astronomia, un volume del 1964 concepito dall’artista, poeta ed editore georgiano Ilia Zdanevich e da Max Ernst. Il libro è dedicato a Ernst Wilhelm Tempel (1821–1889), astronomo e litografo tedesco, noto per il suo approccio non convenzionale e sensuale all’astronomia, sottovalutato dai contemporanei a causa della sua mancanza di formazione accademica. Visse e lavorò anche in Italia, in particolare a Venezia, dove osservò le comete ad occhio nudo dalla Scala Contarini del Bovolo. Zdanevich ha fatto risalire la propria storia a Tbilisi, dove la sua casa editrice, “41 gradi” – latitudine che Tbilisi condivide con Roma, Madrid, New York e altre città –, promuoveva un linguaggio poetico futurista. Subito dopo essere emigrato a Parigi nel 1921, adottò il nome di Iliazd e pubblicò diversi libri importanti, tra cui Maximiliana, fondendo poesia e astronomia per evidenziare l’esperienza degli esuli in senso sia fisico che metafisico.
The Art of Seeing – States of Astronomy, curata da Julia Marchand e David Koroshinadze, è una mostra concepita come un archivio vivente che invita il pubblico a confrontarsi con l’affascinante biografia di Tempel attraverso materiali originali e opere nuove. Rodrigue de Ferluc e Juliette George hanno realizzato mobili unici ispirati alla tipografia di Iliazd, creando così un’identità visiva e spaziale originale. Nika Koplatadze, ispirato dalla Maximiliana, ha dato vita a una serie di libri d’arte basati sulle sue interpretazioni di mappe stellari e altre questioni cosmiche. Grigol Nodia con la videoproiezione Lonely Planet offre un viaggio meditativo alla ricerca di un ritmo innocente. ENG T he Georgian project presents 65 Maximiliana or the Illegal Practice of Astronomy, a volume conceived by the Georgian artist, poet, and publisher Ilia Zdanevich and by Max Ernst in 1964. The book is dedicated to Wilhelm Tempel (1821–1889), a German astronomer and lithographer who lived and worked in Italy too, in particular in Venice, where he observed comets with the naked eye from the Scala Contarini del Bovolo. The exhibition is conceived as a living archive that invites visitors to engage with Tempel’s fascinating biography through original materials and new works, including a set of pieces of furniture inspired by the typographic characters of the volume.
GEORGIA
T
Palazzo Palumbo
IG @georgian_pavillon_2024
TUna costellazione di artisti, provenienti da Thailandia, Laos, Cambogia, Vietnam, Myanmar, Filippine, Malesia e Singapore, prendono in esame i temi dello sradicamento, della diaspora e del colonialismo con gli occhi di coloro che sono lontani sia fisicamente che spiritualmente dalla loro terra natale. È l’Evento Collaterale The Spirits of Maritime Crossing, ospitato a Palazzo Smith Mangilli Valmarana, che affronta le complesse realtà, culture e storie della regione del sud-est asiatico, contrapponendole alle narrazioni occidentali. Opere dalla natura variegata, danze mitologiche, cocci scintillanti, ricami, video performance e assemblaggi fantasmagorici restituiscono tracce di colonialismo contemporaneo e culture ibride, concentrandosi sui destini di coloro che sono considerati estranei e “stranieri ovunque”, inserendosi pienamente nel dibattito innescato da Adriano Pedrosa. La mostra prende il titolo da nuovo film diretto dal curatore Prof. Dr. Apinan Poshyananda con Marina Abramovic´, che segna il suo debutto come attrice, insieme all’artista di danza contemporanea tailandese Pichet Klunchun. Abramovic´ interpreta il ruolo di uno spirito errante che viaggia da Venezia a Bangkok, attraversando terre sconosciute alla ricerca di pace e appagamento. Durante il viaggio, lo spirito incontra preti, talismani e un personaggio chiamato Monkey King (Re delle Scimmie), interpretato da Klunchun, che assiste lo spirito durante la sua navigazione, esplorando la spiritualità e le relazioni tra mondi così lontani, così vicini.
M.M.
ENG A constellation of artists from all over the world tackle the theme of uprooting and diaspora through their diverse works, engaging in the debate triggered by Adriano Pedrosa’s guidelines. A short film featuring Marina Abramovic´, mythological dances, sparkling shards, embroideries, video performances, and phantasmagorical assemblages talk about contemporary colonialism and hybrid cultures, focusing on the destinies of those who are considered as strangers and as foreigners everywhere, offering a unique perspective on these experiences.
Cinque video e un’installazione cinetica di Yuan Goang-Ming, artista taiwanese considerato il precursore di una nuova forma espressiva a metà strada tra il cinema e la videoarte, noto per utilizzare videocamere da lui stesso realizzate, compongono il percorso espositivo di Everyday War al Palazzo delle Prigioni, Evento Collaterale alla Biennale Arte 2024, curato da Abby Chen e promosso da Taipei Fine Arts Museum of Taiwan. Nell’opera omonima che dà il titolo alla mostra, Yuan GoangMing si concentra su oggetti della vita quotidiana per trasmettere il disagio diffuso provocato da un costante senso di precarietà e da scenari di guerra sempre più inquietanti. Nonostante le ombre che incombono sul mondo, l’artista crede nel persistere di un desiderio innato negli uomini, che li spinge a cercare «un regno di libertà, un luogo esclusivo nella natura selvaggia, dove l’essenza di un individuo può rimanere in pace con una libertà immutabile».
Tra i lavori, Dwelling è una delle opere video più iconiche dell’artista. Il titolo dell’opera deriva dal filosofo tedesco Martin Heidegger, facendo riferimento a una poesia del poeta romantico Friedrich Hölderlin del 1951. In Dwelling, Yuan Goang-Ming costruisce un’ambientazione utopica da salotto, amplificando teatralmente esplosioni inaspettate e riproducendole al contrario. Attraverso questo ciclo di immagini, l’artista costringe gli spettatori a confrontarsi con le loro ansie e preoccupazioni interiori per la perdita di una casa sicura, incarnando la natura ciclica della distruzione e della speranza.
ENG T he exhibition includes six works – five videos and one kinetic installation – by Yuan Goang-Ming, a Taiwanese artist considered the forerunner of a new expressive form halfway between cinema and video art, known for using video cameras he himself has made. In Everyday War, Yuan focuses on everyday objects to convey the widespread discomfort caused by a constant feeling of precariousness and by more and more disturbing scenarios of war. Despite the shadows looming over the world, the artist believes in the persistence of an innate desire in humans, which drives them to seek “a realm of freedom, an exclusive place in wild nature, where the essence of an individual can peacefully coexist with immutable freedom.”
Josèfa Ntjam è un’artista, performer e scrittrice la cui pratica combina scultura, fotomontaggio, immagine in movimento e suono. Raccogliendo la materia prima del suo lavoro da internet, libri di scienze naturali e archivi fotografici, Ntjam utilizza l’assemblaggio di immagini, parole, suoni e storie come metodo per decostruire le grandi narrazioni alla base dei discorsi egemonici sull’origine, l’identità e la razza. Il suo lavoro intreccia più narrazioni multiple, tratte da indagini su eventi storici, processi scientifici e concetti filosofici, e si confronta con i riferimenti alla mitologia africana, rituali ancestrali, simbolismo religioso e fantascienza. Per il nuovo progetto swell of spæc(i)es, promosso da LAS Art Foundation, Evento Collaterale alla 60. Biennale Arte, è stato creato all’interno del chiostro monumentale dell’Accademia di Belle Arti a Santo Spirito (Zattere) un padiglione a forma di prisma blu, progettato dallo studio di architettura UNA / UNLESS, guidato dall’architetto Giulia Foscari. La sorprendente geometria del solido è in contrasto con le forme organiche che emergono al suo interno: l’opera di Josèfa Ntjam assume la forma di un ambiente ultraterreno, i paesaggi cosmici di un film ciclico si muovono su un grande ledwall curvo, arricchito da un paesaggio sonoro composto da Fatima Al Qadiri. Le “docce sonore” di meduse sospese riproducono frammenti di narrazione, mentre una forma simile a una membrana emerge dal terreno, diffondendo frequenze elettroacustiche e offrendo uno spazio di riposo. swell of spæc(i)es è un processo alchemico in perpetua agitazione, che intende indagare un nuovo mito della creazione plasmato da modi antichi ed emergenti di concepire l’universo. In questo immaginario, il plancton è un punto di convergenza tra l’oceano profondo e lo spazio esterno, tra i regni biologici e mitici, passati possibili e futuri alternativi. In uno spazio satellite presso la Palazzina Canonica - CNR-ISMAR (Istituto di Scienze Marine), Ntjam chiede al pubblico di unirsi al suo processo di moltiplicazione degli “avatar” di queste storie in forme sempre nuove, creando le proprie specie ibride generate dall’intelligenza artificiale a partire dal suo set di dati. Queste creature abiteranno un ecosistema virtuale in loco.
ENG A n artist, performer, and writer, Josèfa Ntjam uses the assembly of images, words, sounds, and stories as a method to deconstruct important narratives underlying hegemonic discourses on origin, identity, and race. In the courtyard of the Fine Arts Academy and within the spaces of the Marine Sciences Institute, Ntjam showcases a new myth of creation, shaped by ancient and emerging ways of conceiving the universe. In this imaginary realm, plankton serves as a convergence point between deep ocean and outer space, biological and mythical realms, possible pasts and alternative futures.
E VENTO COLLATERALE
J osèfa Ntjam: swell of spæc(i)es
Accademia di Belle Arti, Dorsoduro 423 Palazzina Canonica, CNR ISMAR (Istituto delle Scienze Marine), Riva dei Sette Martiri www.las-art.foundation
FESTIVAL D’AUTUNNO
21 SETTEMBRE – 24 OTTOBRE 2024
CONCERTO D’INAUGURAZIONE
SABATO 21 SETTEMBRE
ORE 19.30
SCUOLA GRANDE
SAN GIOVANNI EVANGELISTA
Passione violoncello
QUATUOR CAMBINI-PARIS
Julien Chauvin e Karine Crocquenoy violini
Pierre-Éric Nimylowycz viola
Atsushi Sakai violoncello
Marion Martineau violoncello
opere per quintetto con due violoncelli di BAUDIOT, FRANCHOMME e GOUVY
Finale con brindisi
Palazzetto Bru Zane San Polo 2368, Venezia +39 041 30 37 615 tickets@bru-zane.com
Biglietti da 5 a 15 euro
Dettagli delle tariffe online
BRU-ZANE.COM
VENICE GLASS WEEK BEST OF
Torna Venice Glass Week, il Festival sempre più internazionale, che dal 14 al 22 settembre pone il vetro al centro dell’attenzione degli artisti da tutto il mondo. Ottava edizione con un programma fitto di mostre ed eventi, dove tradizione, innovazione, contemporaneità, arte e design si incontrano. Ecco una selezione di eventi da non perdere!
14-22 settembre September
Dalla fine del XIX secolo agli anni ‘50/’60 del XX secolo, sono stati realizzati vasi, coppe, bacili e vetri per la tavola, raffiguranti rappresentazioni allegoriche, mitologiche, religiose o semplicemente fregi ed elementi decorativi eseguiti per esaltare la luce del vetro. ENG F rom the end of the 19th century to the 50s/60s of the 20th century, are on display vases, cups, basins and glassware depicting allegorical, mythological, religious representations or simply friezes and decorative elements made to enhance the light of the glass. San Marco 3449/C | IG @alessandrazoppi
Il Convito di Vetro
14-22 settembre September
Installazione a cura di Sungmoon Cho che mostra l’evoluzione estetica e l’innovazione tecnologica del vetro muranese, grazie all’allestimento di una tavola imbandita con una selezione di servizi da vino, bibite e liquori, realizzati a Murano dagli anni ‘20 del Novecento ad oggi.
ENG T he installation curated by Sungmoon Cho showing the aesthetic evolution and technological innovation of Murano glass, through the display of a banquet table set with a selection of wine, beverage, and liquor services, created in Murano from the 1920s to the present day.
Campo della Carità, Dorsoduro 1050 | ww.gallerieaccademia.it
14-22 settembre September
Le tre sculture in vetro policromo di Giberto Arrivabene Valenti Gonzaga utilizzano una complessa tecnica di sovrapposizione di strati di vetro, materiale mutevole alla luce, per catturare le sfumature dell’astrattismo di Mark Rothko.
ENG A rrivabene’s three polychrome glass sculptures are inspired by the Rothko’s visual system, using a complex layering technique to capture the luminous transitions and abstract nuances.
Ponte di Rialto | www.giberto.it
FONDACO DEI TEDESCHI
Flowers in Wonderland
14-22 settembre September
I fiori con stelo e corolla in vetro artistico di Alessandra Baldereschi, designer dallo stile poetico, colorato e minimalista, sono capaci di una piccola e deliziosa magia: illuminarsi quando vengono colti ed inseriti nell’apposito vaso.
ENG T he hand-made glass flowers by Alessandra Baldereschi, a designer with a poetic, colourful and minimalist style, are displayed and capable of a small and delicious magic: they light up when picked and placed in the appropriate vase.
Salizada Fontego dei Tedeschi, Rialto | www.dfs.com/venice
Sono
16 settembre September h. 18-19.30
Proiezione del docufilm di Jacob Patrick sul Maestro Lino Tagliapietra, un racconto della vita del Maestro in un momento particolare della sua lunga carriera./ The docufilm by Jacob Patrick is a story of the master’s life at a unique moment in his long career. Multisala Rossini, San Marco 3997 | www.comune.venezia.it
14-22 settembre September
Una magnifica Arca di Noè composta da animali in vetro di Murano soffiato a mano, realizzati dall’artista americana Judi Harvest e dal Maestro Marco Giuman, vuole sensibilizzare l’attenzione sulle specie in via di estinzione, tra cui gli stessi maestri vetrai di Murano./ Noah’s Ark Now consists of handmade blown, one of a kind Murano glass animals in pairs by Judi Harvest and Maestro Marco Giuman. The exhibition brings awareness to fragile endangered species including Murano glass masters.
Giorgio Giuman Glass Factory, Murano Honey Garden, Sacca Serenella 14, Murano | www.giuman.it
21 settembre September h. 17.30-19
Tracy Chevalier, autrice di La ragazza con l’orecchino di perla, presenta il suo nuovo romanzo, in dialogo con lo scrittore e giornalista Matteo Strukul. Siamo nel 1486. Orsola Rosso è la figlia maggiore di una famiglia di soffiatori di vetro di Murano.../ Tracy Chevalier, author of The Girl with a Pearl Earring, presents her new novel, in dialogue with the writer and journalist Matteo Strukul. We are in 1486. Orsola Rosso is the eldest daughter of a family of Murano glass blowers... Ateneo Veneto, Campo San Fantin, San Marco 1897 | ateneoveneto.org
LE STANZE DEL VETRO
1912-1930. Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia
Fino Until 24 novembre November
La mostra documenta la presenza del vetro muranese alla Biennale tra il 1912 e il 1930 (dalla X alla XVII edizione) attraverso un’accurata selezione di 135 opere, molte delle quali di grande rarità, provenienti da importanti istituzioni museali e da collezioni private.
ENG T he exhibition documents the presence of Murano glass at the Biennale between 1912 and 1930 (from the 10th to the 17th edition) through a careful selection of 135 pieces, many of which are very rare, from important museum institutions and private collections.
Isola di San Giorgio Maggiore | www.lestanzedelvetro.org
MUSEO DEL VETRO
Federica Marangoni. On The Road
1970-2024. Non solo vetro
Fino Until 3 novembre November
La mostra monografica ripercorre la lunga carriera dell’artista e designer veneziana Federica Marangoni, focalizzandosi sul suo speciale rapporto con il vetro e con Murano.
ENG T he monographic exhibition retraces the long career of Venetian artist and designer Federica Marangoni, focusing on her special relationship with glass and Murano. Fondamenta Giustinian 8, Murano | www.museovetro.visitmuve.it
NEGOZIO OLIVETTI
Cragg. Le forme del vetro
Fino Until 24 novembre November
La mostra, ospitata nello spazio assoluto creato da Carlo Scarpa, dove sono proprio i materiali a caratterizzare l’ambiente, presenta una serie di sculture di Cragg, realizzate in collaborazione con i maestri vetrai di Berengo Studio.
ENG T he exhibition, hosted in the absolute space created by Carlo Scarpa, where it is the materials themselves which characterize the environment, presents a series of sculptures by Cragg, created in collaboration with the master glassmakers of Berengo Studio. Piazza San Marco 101 | www.fondoambiente.it
PALAZZO LOREDAN
The Venice Glass Week HUB
The Venice Glass Week HUB Under35 14-22 settembre September
Le sale del piano nobile ospitano una interessante selezione di opere e progetti di artisti di tutto il mondo, mentre al piano terra sono esposte le opere di giovani artisti e designer, tra i 18 e 35 anni.
ENG T he rooms on the main floor of Palazzo Loredan host an intriguing selection of works and projects by artists from around the world, while on the ground floor, the works of young artists and designers, aged between 18 and 35, are exhibited.
Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Campo Santo Stefano www.theveniceglassweek.com
È il 1971, nei sotterranei dell’Università di Stanford 24 studenti si apprestano a spogliarsi della propria identità per prendere parte a quello che sarà ricordato come uno dei più importanti esperimenti di psicologia sociale del Novecento. Una simulazione della durata di due settimane in cui, guidati dal professor Philip Zimbardo, due gruppi di individui sono chiamati ad abitare un’immaginaria prigione vestendo i panni di guardie e carcerati, con lo scopo di indagare l’origine dei comportamenti antisociali nei penitenziari. Tuttavia, dopo soli sei giorni, il team di ricerca si trova costretto ad interrompere l’esperimento a causa del crescente numero di brutalità e abusi perpetrati dai fittizi carcerieri nei confronti dei prigionieri. L’esito della simulazione sconvolge la comunità scientifica: se fino ad allora la violenza era immaginata come peculiare caratteristica dell’individuo deviato, ora si attesta quale condizione ineluttabile della natura umana, un “genoma diabolico” collettivo, dormiente ma attivato da specifiche situazioni, tra tutte, la depersonalizzazione derivata dall’adesione a un particolare gruppo o ruolo sociale. È proprio questa innata condizione il soggetto chiave dell’opera di Daniel Pešta, artista ceco (classe 1959), che con la mostra Something Is Wrong torna a Venezia trasformando lo Spazio Tana / Tanarte in un inquietante osservatorio sui mali del mondo. Cresciuto nella morsa del regime comunista, dai primi anni Ottanta Pešta esplora le ossessive macchinazioni della politica e la forza distruttiva delle masse manipolate, che attraverso un’ampia gamma di mezzi espressivi in mostra trovano un sinistro epilogo. Ispirato dall’esperimento di Stanford, nel primo ambiente l’artista rievoca l’atmosfera di una cella popolata da ordinate schiere di uomini senza volto, vittime e carnefici, la cui brutalità si riflette nelle opere circostanti avvolte in nubi atomiche e abbozzi di corpi martoriati. Seguendo la silente processione, si giunge al secondo ambiente, un asettico laboratorio dove rivoli di sangue disegnano sulle pareti mostruosi ammassi di carne, a ricordare gli effetti devastanti del potere subito ed esercitato, ma anche della bestialità dell’uomo moderno, abbandonato agli istinti e privo di inibizioni. In questo eterno dualismo tra potere e obbedienza, tra individuo e società di massa, tra realtà e alienazione, una sola è la strada tracciata da Pešta verso la redenzione: al centro del percorso, da un blocco rosso sangue, si leva la pallida figura di Gesù Cristo che, spogliato di sovrapposizioni storiche e religiose, diviene simbolo universale del ritorno alla spiritualità, unico antidoto al “gene del male”. Adele Spinelli
The year is 1971. In a basement at Stanford University, twenty-four students get ready to lose their identity to take part in what would be remembered as one of the most important social psychology experiments of the twentieth century. A simulation that took place over a two-week timespan saw two groups of people, guided by Professor Philip Zimbardo, populate a mock prison as guards and inmates. The goal of the simulation was to observe anti-social behaviour in correctional facilities. Czech artist Daniel Pešta (b. 1959) installed exhibition Something Is Wrong in Venice, a disquieting observation post on the evils of the world. As one who grew up under a communist regime, Pešta knows the obsessive machinations of politics and the destructive forces of manipulated masses, ending in a tragic epilogue in the exhibition. In the dualism between power and obedience, individual and crowd, reality and alienation, the artist shows one figure of redemption.
D aniel Pešta. Something is Wrong Fino 24 novembre Spazio Tana / Tanarte, Arsenale danielpesta.com
L’Odissea di Omero viene interpretata da quattro artisti internazionali – Gayle Chong Kwan, Stephanie Blake, ISAO e Didier Guillon – in ULYSSES. We Are All Heroes, la mostra in corso a Palazzo Bonvicini, promossa da Fondation Valmont. Quattro momenti salienti del viaggio di Ulisse sono rappresentati in quattro sale che accolgono altrettante installazioni immersive, offrendo ai visitatori un originale viaggio multisensoriale.
Nella prima sala, CYCLOPS di Gayle Chong Kwan rievoca l’incontro tra Ulisse e Polifemo. L’installazione multidisciplinare esplora la politica dello sguardo attraverso un grande trittico fotografico costituito da collage realizzati a mano. Le immagini, un mix di elementi storici, contemporanei e creati dall’intelligenza artificiale, raffigurano una testa gigante e mani disincarnate, che richiamano le caratteristiche del ciclope, della gorgone e della medusa. Inoltre, una struttura mobile, formata da un grande treppiede in legno con rami di metallo, espone collage in miniatura che raffigurano gli occhi di donne artiste. Infine, tre cornici di legno su cavalletti richiamano le tavole optometriche. Queste cornici, realizzate con tessuti e fotografie digitali, incorporano talismani e amuleti restituendo molteplici prospettive o approcci al “vedere”.
Nella seconda sala, CIRCE di Stephanie Blake rappresenta la celebre maga dell’isola di Eea. Una maestosa figura domina la scena, solenne e pronta a difendere il suo regno solitario. Intorno a lei, dieci maiali di pezza sparsi sul pavimento rappresentano i compagni di Ulisse trasformati da Circe. L’opera esplora la dualità della mitica figura, sia maga crudele sia potenziale compagna fidata, creando un parallelismo con Penelope e il tema dell’autodifesa e della solitudine.
Nella terza sala, THE SIRENS di ISAO crea un’esperienza immersiva
tramite suoni seducenti che richiamano il canto delle sirene tentatrici. All’interno della stanza completamente buia, il visitatore è circondato dalla proiezione di uno stagno pieno di carpe koi, simbolo di prosperità e fortuna, che si espande inondando metaforicamente l’intero pavimento. L’opera celebra l’enigma e il pericolo incarnato dalle sirene, invitando a scoprire cosa si cela dietro la melodia incessante e immergendo completamente il visitatore nell’atmosfera ipnotica dell’installazione.
Nell’ultima sala, DEATH OF THE SUITORS di Didier Guillon rappresenta la sfida finale di Ulisse contro i Proci, unendo mito e attualità. Al centro dell’installazione Penelope e i Proci che la circondano, simbolo della minaccia alla democrazia. Gli elementi artistici evocano la lotta e la resistenza, creando un ponte tra la narrazione antica e le sfide contemporanee. Un focus sul valore della democrazia e della resilienza, con Penelope simbolo di fedeltà e astuzia.
Nel reinterpretare l’Odissea la mostra invita a riflettere personalmente e collettivamente sull’eroismo e sulla scoperta attraverso i codici semantici dell’arte, della storia e della contemporaneità.
Beatrice Poggesi
ENG Homer’s Odyssey interpreted by four international artists – Gayle Chong Kwan, Stephanie Blake, ISAO, and Didier Guillon – in ULYSSES. We Are All Heroes, an exhibition at Palazzo Bonvicini. Four salient moments in Ulysses’ journey are represented in immersive, multi-sensorial installations. CYCLOPS by Gayle Chong Kwan explore the politics of gaze with a hand-collaged photo triptych. CIRCE by Stephanie Blake depicts the sorceress as a domineering, majestic figure, ten rag hogs surrounding her. THE SIRENS by ISAO is an immersive sound experience, like, arguably, that of the original Sirens of the myth. DEATH OF THE SUITORS by Didier Guillon shows Ulysses’ confrontation with his wife’s suitors, here metaphorizing the struggle to defend democracy.
È nel groviglio di vicoli stipati di gente, nel vociare intenso delle piazze e dei mercati che troviamo Maqbool Fida Husain, seduto sul ciglio della strada, i piedi scalzi imbruniti dal sole, le mani strette alle pagine del quotidiano locale dietro cui due occhi attenti scrutano l’eterno spettacolo di fumi e colori della baraccopoli di Nuova Dehli. Nato nel lontano 1915, per più di settant’anni Husain ha passeggiato a piedi nudi per le strade della memoria imprimendo nelle sue tele visioni di un’India vecchia e nuova, raccogliendo icone dimenticate e fotografando i mille luminosi volti di una delle civiltà più antiche e feconde della storia. Oggi, questo sentiero fa tappa ai Magazzini del Sale, che per l’occasione si trasformano in un personale tempio consacrato al mosaico sincretico della sua vita e della sua arte. Il cammino di Husain inizia nella periferia di Mumbai, dove muove i primi passi come illustratore per l’infanzia producendo un ricco corpus di disegni, in cui miti e leggende rurali si mescolano organicamente al repertorio occidentale. La vera svolta arriva nel 1947, anno della liberazione della Nazione dal giogo britannico e della sua prima mostra: unitosi a un gruppo di giovani avanguardisti desiderosi di fondare un’arte nuova, epurata dall’indottrinamento coloniale, con taglio sarcastico Husain si riappropria di tradizionali iconografie religiose, politiche e letterarie avvicinandosi alla vigorosa pennellata cubista che gli valse il nome di “Picasso dell’India”. Nei decenni a venire il pittore conquista un successo straordinario, rivelando la sua personale mitologia nelle gallerie e nei musei di tutto il globo. Tuttavia, al picco estremo della carriera, sarà proprio la terra natia a voltargli le spalle: a seguito di ripetuti e violenti attacchi perpetrarti dalla corrente integralista indiana, che nella sua arte aperta e conciliatrice intravedeva la corruzione della cultura nazionale, Husain è costret-
to a lasciare la sua amata patria migrando in esilio volontario tra il Qatar e Londra. Quell’India fatta di coloratissimi quartieri popolari, di festose divinità e di luccicanti insegne al neon ha pervaso l’immaginario dell’artista sino alla morte, infondendo i suoi ultimi capolavori dell’aura nostalgica e sognante che ha ispirato il titolo dell’esposizione: The Rooted Nomad
La mostra è un’occasione unica per calcare le orme del padre del Modernismo indiano, non solo attraverso le 160 opere provenienti dal Kiran Nadar Museum of Art, ma soprattutto grazie alla toccante esperienza immersiva che, combinando interpretazioni animate dei dipinti, musiche originali e una trama evocativa, restituisce a pieno la natura di questo spirito itinerante, capace di abbracciare ogni cultura e al contempo profondamente innamorato della sua terra.
Adele Spinelli
ENG Born in 1915, for over seventy years Maqbool Fida Husain walked barefoot along the streets of memory to then frame on the canvas his vision of old a new India – pictures of the faces of one of the most ancient, prolific civilizations in history. Today, Husain’s journey passes through Venice, where the Magazzini del Sale exhibition space turned in a temple, a mosaic of his life and his art. The artist began his journey in Mumbai, where he worked as an illustrator. After India’s independence in 1947, Husain joined other local artists to found some new art, cleansed of western indoctrination. Sarcastically, Husain reclaims traditional religious, political, and literary icons with vigorous cubist brushstrokes, which earned him his fame as the ‘Indian Picasso’. In the following years, his conciliatory stance irritated Indian nationalists, which in turned forced him to take voluntary exile in Qatar and London. His memories of India, popular neighbourhoods, festive deities, bright neon signs, would stay with him until the end and infuse his art of the nostalgic, dreaming aura that inspired the title of the exhibition: The Rooted Nomad
IN THE CITY LAST CALL
Geografie espanse e identità uniche, linguaggi artistici che hanno segnato il tempo ed esiti contemporanei sorprendenti, XX e XXI secolo a confronto, visioni esclusive che Venezia, sempre più indiscussa capitale dell’arte e della cultura, invita a visitare prima della loro imminente chiusura. Le mostre “imperdibili”!
Fino Until 8 settembre September
Una pagina straordinaria e ancora poco nota dell’arte della prima metà del XX secolo viene raccontata attraverso cento opere provenienti dal Museo Nazionale di Tashkent e dal Museo Savitsky di Nukus (il Louvre del deserto), mostrando la genesi e il successivo sviluppo dell’Avanguardia Orientalis. Un’autentica scuola nazionale che da una parte anticipa la ricezione di una matrice di grande modernità, capace di riprendere le esperienze dell’Europa occidentale, e dall’altra la trasforma in un linguaggio totalmente originale, multietnico e interdisciplinare. ENG A n astonishing and yet almost unknown page of art of the first half of the 20th century is told through 100 works from Tashkent National Museum and from Nukus Savitsky Museum (The Louvre in the desert) showing the genesis and the development of the Orientalis Avantgarde. An authentic national school that shows its ability to turn Western Europe experiences into an original, multiethnic and interdisciplinary language. Ca’ Foscari Esposizioni, Dorsoduro 3246 | www.unive.it
Fino Until 14 settembre September
Realizzata in partenariato con PHOTO ELYSEE e Plateforme 10 – Losanna (Svizzera), la mostra, fortemente voluta da Fondation Bru, presenta le opere di Monique Jacot (1934), una delle più importanti fotografe svizzere. Alla sua carriera di fotoreporter Jacot ha affiancato un ampio corpus di lavori che restituiscono in forma immaginifica la sua ricerca artistica. Le fotografie in mostra rivelano il modo in cui l’artista gioca con la figura e i suoi doppi. Attraverso il montaggio e vari effetti di rispecchiamento, Jacot conferisce alle sue opere un’estetica poetica, quasi onirica.
ENG P roduced in partnership with PHOTO ELYSEE and Plateforme 10 – Lausanne (Switzerland), this exhibition, which had the committed support of Fondation Bru, presents the works of Monique Jacot (1934), one of the most important Swiss photographers. Alongside her career as a photojournalist, Jacot has amassed a wide body of work reflecting her artistic explorations. The photographs on display reveal how the artist plays with the figure and its doubles. Through montage and various mirroring effects, Jacot imbues her works with a poetic, almost dreamlike aesthetic. Palazzetto Bru Zane, San Polo 2368 | www.fondation-bru.org
Fino Until 15 settembre September
Prima grande retrospettiva in Italia dedicata a Willem de Kooning, uno degli artisti più rivoluzionari e influenti del XX secolo. Il progetto espositivo approfondisce in particolare i due periodi che l’artista ha trascorso in Italia, nel 1959 e 1969, e l’influenza italiana sui suoi successivi dipinti, disegni e sculture realizzati in America. Durante questi viaggi formativi in Italia de Kooning ha arricchito il suo linguaggio e rielaborato un nuovo modus operandi, come ben testimoniato dalla straordinaria selezione di opere in mostra che spaziano dagli anni ‘50 agli anni ‘80.
ENG T he first major Italian retrospective dedicated to Willem de Kooning, one of the most revolutionary and influential artists of the 20th century. The exhibition delves particularly deep into the two periods the artist spent in Italy, in 1959 and 1969, and the Italian influence on de Kooning’s subsequent paintings, drawings, and sculptures in America. During these formative journeys in Italy, de Kooning enriched his language and developed a new modus operandi, as evidenced by an extraordinary selection of works from the period between the 1950s and the 1980s. Gallerie dell’Accademia, Campo della Carità, Dorsoduro 1050 | www.gallerieaccademia.it
Fino Until 16 settembre September
La versatilità o destrezza da giocoliere – da cui il titolo – caratterizza il linguaggio artistico di Jean Cocteau (1889–1963), scrittore, poeta, drammaturgo, saggista, disegnatore, regista, attore. Una sorprendente varietà di lavori, oltre centocinquanta, traccia lo sviluppo della sua estetica, unica e personalissima, ripercorrendo i momenti salienti della tumultuosa carriera di una delle figure più influenti del panorama artistico e più estesamente culturale del XX secolo.
ENG T he artistic language of Jean Cocteau (1889–1963) – writer, poet, playwright, essayist, draftsman, director and actor – was characterized by the versatility of the juggler. A surprising variety of over a hundred and fifty pieces trace the development of his unique and highly personal aesthetic, retracing the highlights of the tumultuous career of one of the most influential figures in the artistic landscape of the 20th century.
Collezione Peggy Guggenheim, Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 | www.guggenheim-venice.it
Fino Until 22 settembre September
Una serie di dipinti di grandi dimensioni realizzati ad acquerello indagano la dimensione storica, biologica e ambientale dei soggetti rappresentati nella collezione dell’Ateneo Veneto, in particolare la figura del leone nell’Apparizione della Vergine a San Girolamo di Tintoretto (c. 1580). Nella ricerca di analogie tra passato e presente, i dipinti di Walton Ford sovrappongono rappresentazioni intricate di storia naturale con una lettura critica contemporanea, il tutto reso nello stile della pittura dei grandi maestri.
ENG A series of large-scale watercolor paintings that delve into the historical, biological, and environmental dimensions of the subjects depicted in the Ateneo Veneto collection, focusing in particular on the figure of the lion in Tintoretto’s Apparition of the Virgin to Saint Jerome (c. 1580). In the search for analogies between past and present, Walton Ford’s paintings overlay intricate representations of natural history with a contemporary critical reading, all rendered in the style of the great masters’ work.
Ateneo Veneto, Campo San Fantin, San Marco 1897 | www.ateneoveneto.org
Fino Until 29 settembre September
La mostra segue la recente retrospettiva dell’artista al Guggenheim di New York e comprende tre grandi gruppi di opere, realizzate tra il 2021 e il 2022, che rappresentano tre aspetti chiave della sua pratica. Il grande maestro della pittura americana del Novecento, con il suo tratto inconfondibile, si racconta attraverso una selezione di dipinti ispirati agli abiti della stilista americana di metà secolo Claire McCardell, accompagnata da rappresentazioni in primo piano su larga scala di oceani dalle tinte inchiostro e di terreni erbosi nei toni del verde e del giallo.
ENG T his exhibition follows the recent retrospective of the artist at the Guggenheim in New York and includes three large groups of work created between 2021 and 2022 and representing three key aspects of his practice. With his unmistakable style, the great master of American painting of the twentieth century tells his story through a selection of paintings based on the mid-century American designer Claire McCardell’s clothing, accompanied by largescale close-up representations of ink-toned oceans and grassy terrains in shades of green and yellow.
Fondazione Giorgio Cini, (Sala Carnelutti), Isola di San Giorgio Maggiore | www.cini.it
Fino Until 30 settembre September
L’allestimento progettato da Tadao Ando rilegge gli incredibili spazi della Scuola Grande della Misericordia offrendo un’esperienza totalizzante dell’arte del maestro cinese Zeng Fanzhi. Attraverso due nuovi cicli mai esposti prima, l’artista, celebre per l’equilibrio tra maestria tecnica ed emozione, ridefinisce l’astratto attraverso la rappresentazione figurativa, sfidando chi osserva a riconoscere la superiorità della pittura come arte e mestiere secolare.
ENG T he setting-up of the exhibition designed by Tadao Ando is a reinterpretation of the huge spaces of the Scuola Grande della Misericordia to offer an all-encompassing experience concerning the art of the Chinese master Zeng Fanzhi. Through two new cycles on display for the first time, the artist redefines abstract art through figurative representation, a sort of provocation to invite the viewer to recognize the superiority of painting as an art and a centuries-old craft.
Scuola Grande della Misericordia, Cannaregio 3599 | www.lacma.org
Avere un’idea in testa, un’idea buona e talvolta anche divertente, non è da tutti.
Forse le premesse c’erano, bisogna dirlo, in quel manifesto del 1937 dal sapore futurista vinto da Armando Testa (Torino, 1917-1992), artista e grafico in prima linea, per ICI, l’Industria Colori Inchiostri di Milano, ed era come il volo dei colori del giallo del sole e della determinazione del continente americano, il blu degli oceani e il rosso della lotta e del sacrificio per l’indipendenza. Il suo più grande merito è quello di averci fatto amare la pubblicità, colorando la normalità della vita per farcela apparire meno noiosa e più desiderabile, addirittura unica e sorprendente.
in mano, a forma di bocca, pronto ad essere riempito, intriso di un liquore rosso-nero che nasconde un volto, ispiratogli in parte da una bambola trovata a Chinatown (studiata con schizzi in pittura), perché per lui «un cartellone non è una parola, è una dottrina, un modo di vedere e di sentire». Sembra quasi il proseguo del Paulista, che ride sotto i baffi e profuma del nero caffè Lavazza in una tazza a forma di barattolo di Caffè, tenuta in mano da Carmencita, perché “goditi un Paulista, se no che vita è”… Così il Caballero a lei vicino diventa il rosso Paulista, supereroe del suo cuore. Testa era partito da un fregio rosso, giallo e nero dei tappeti sudamericani.
Arte che trasmigra dal figurativo all’astratto, un naso come da
Testa è stato capace di ribaltare il concetto di superfluo con il linguaggio dell’essenzialità; tramite le sue campagne pubblicitarie, a partire dai Manifesti e dai Caroselli (dagli anni Cinquanta in poi), ha trasformato con l’ironia oggetti nati e fruiti per un unico scopo in pure forme di un desiderio, che rallegra gli occhi accompagnando il pubblico, le persone in un immaginifico altrove, in una sorta di “paese” contemporaneo di Alice delle Meraviglie. A causa della perdita del padre in un incidente, questo straordinario inventore di linguaggi della comunicazione è costretto fin da giovane a lasciare gli studi iniziando così a lavorare in tipografia. Capisce da subito che «la bellezza della narrazione è nella sintesi del segno»; non a caso introduce lo sfondo bianco per far emergere dalla luce prepotentemente l’immagine. A ben guardare il suo Punt e Mes, «una sfera che fluttua su un piano bidimensionale sopra una mezza sfera», è la restituzione folgorante di un “semplice” modo di bere (una dose di vermouth e mezza di amaro). Un bicchiere mezzo vuoto
pagliaccio sopra una bocca che sorride. È «la gioia di comunicare divertendo», perché «quando si parla di immagine, inevitabilmente si finisce per parlare di realtà e fantasia, di vero ed interpretazione sognata». Nel suo “reame”, o Polis immaginata, il quotidiano diventa eccezione rimanendo tale, facendosi Arte nella sua originalità, davvero geniale. Così fa rinascere fra il 1949 e il 1952 il brindisi storico di Re Carpano Cavour, per poi sdoppiarlo attraverso il rosso-blu e “ridurlo” a un Gotto. In un certo senso Testa ha dato voce alla parabola divina dei Talenti e ci ha insegnato a «guardare il mondo con gli occhi di un bambino in pigiama», facendo emergere il lato ludico delle cose che arricchiscono la nostra esistenza, rendendola più comoda. Cercando, al contempo, di non farsi troppo condizionare dal marketing. Dal più serioso Martini in smoking “ben disposto”, che si apre al dinamismo festoso di Riccadonna e Asti Gancia, alla fluorescenza Carpano, l’invito è sempre quello di amare e di condividere, di bere e mangiare, se si ha sete e fame. Di essere spensierati nonostante tutto e ballare e ridere quando è festa, cercando poi di digerire (“è arrivata la felicità” con Digestivo Antonetto, “Birra speciale” Nastro
Azzurro Peroni, il salutare “festeggia con noi” e “buona sete” di San Pellegrino Bitter e Aranciata ).
Non ha mai avuto l’ossessione di costruire un suo stile, non ne aveva bisogno, dato che dava naturalmente del tu all’eleganza con una classe senza età, in bianco e nero o a colori, rarefatta ed interiore. Due semplici, mirabili esempi: togliersi il cappello quando ci si saluta come status symbol ( Borsalino ), il sorriso smagliante o la disinvoltura dell’uomo con una o due mani in tasca ( Facis ).
In famiglia è il colore azzurro e blu di un cucchiaio a forma di naso all’insù che fa bene (“l’ha mangiata tutta” di Alimenti Sasso ), il rassicurante trotterellare di Pippo, il memorabile, ingombrante ippopota-
Testa comprende sin dai suoi primi passi che la pubblicità incanta le persone facendole volare via con il cuore e la mente; sa anche, però, che deve essere capace di unire il mondo, fare bene anche a chi sta veramente male. Supera così la sua più grande ossessione, quella di perdere davvero, come gli stava per succedere, anche un solo dito di una mano, che poi è liberarsi della paura ancestrale di essere allontanato o di perdere una persona cara.
In un murales misura lo spazio con le ombre cinesi: ci prova nel 1982 col manifesto A spanne e ce la fa, almeno sulla carta, col solo colore, tra il rosa e il grigio, anche se le mani che disegna sono nere come la notte che dorme ancora all’alba. Poi aprirà le mani
mo azzurro di poliuretano espanso di Lines, la magia del paese del rotondo personaggio di Papalla o il va tutto liscio nell’“ancora più forte” trinità spaziale ripartita di una Testa che canta (TV sorrisi e canzoni 1974). Fra i manifesti Metamorfosi del primo periodo, “Fa molta strada” per Pirelli Atlante con L’elefante dal muso di ruota e le zanne in 3D a colori e, potremmo dire noi, “l’aver peli sulla lingua senza dire che barba!” (la lingua pelosa di Graphicus 7/8 ), che per una rivista glamour, impegnata e all’avanguardia è proprio il massimo! Per Testa «la foto è un po’ come gli spaghetti: piace a tutti, certamente però non bisogna sbagliare il sugo». Alcune volte non si ha neppure la pasta e ci si accontenta di un pezzo di pane spezzato, basta quello per far ritrovare il sorriso ad un bimbo dalla pelle nera, dagli occhi coperti da una benda con la scritta “Date a coloro che hanno fame”, quasi per non turbarlo o essere turbati e infondere speranza ( Contro la fame nel mondo. Centro cattolico riminese, 1963); poi la benda diventa due mani adulte che si coprono viso e occhi non riuscendo però a cancellare le rughe della fronte: e allora “Aiutiamoli! chi dona ai poveri non sarà mai nel bisogno” ( L’inverno del povero. Società di San Vincenzo De Paoli ).
per chiedere e ricevere, come dopo aver lavato i piatti con i guanti da cucina, nel manifesto di Amnesty International In difesa dei diritti dell’uomo (1987). Sono i bisogni elementari negati e richiesti a gran voce: “chiedi e ti sarà dato”. Allora le dita si toccano e si uniscono e diventano mucchi di vite in bianco e nero: ma sono sporche, e sono tante, troppe a chiedere aiuto ( Dita performance 1975). Possono guarire, gocciolare come lacrime per poi tornare a ridiventare colore, come nel manifesto Action painting la cui immagine è una croce colorata per il 40. Congresso Federazione nazionale pubbliche assistenze (1986).
Il tempo è un albero tendente all’infinito di mani ramificate, che dalla grande mano come radice divina diventano sempre più piccole, come quelle dei bambini, che dovrebbero essere naturalmente sempre protese e senza pretese. Dio stesso chiama l’uomo regalandogli la vita toccandogli il dito con con la punta del suo, Michelangelo e la Cappella Sistina docet. Si può toccare così il cielo con un dito, talvolta, ma senza riuscire a trattenerlo.
Armando Testa dà quindi voce alla gioiosità, da novello Arcimboldo, facendo esplodere la sua creatività libera come espressione
Artists:
Nyam-Osoryn Tsultem
Baasanjav Choijiljav
Baatarzorig Batjargal
Urjinkhand Onon
Historical & Contemporary Mongolian Paintings
April 20 – November 24, 2024
Art Exhibition in Conjunction with the 60th Venice Biennale
April 20 to September 30, 11 am - 7 pm
October 1 to November 24, 10 am – 6 pm
Closed on Mondays
Via Garibaldi, Castello 1815, 30122 Venice, Italy
Curator: Dr. Uranchimeg Tsultem, Herron School of Art +Design, Indiana University, U.S.A, in collaboration with the Mongol Zurag Society
di una felicità temporanea quanto necessaria, quasi per tirare un sospiro di sollievo, si tratti di un passo di danza matissiano al peperoncino che crea un armonico equilibrio fra due Spadaccini infiammati dalle loro passioni, o del riposo di due Amanti come olive verdi che si guardano a vicenda poggiando le loro teste su bianchi ravioli come cuscini, mentre ci si può sedere su di una sontuosa, morbida Poltrona di prosciutto oppure camminare su faraglioni di parmigiano sul mare in Saluti da Capri. L’ufficio moderno avrà una Lampadina limone che pende dal soffitto, mentre una coppia di limoni tagliata a doc si fronteggerà in Esprimiamoci di più
Le unghie possono creare un Marabù rosa dell’Alto Kenya diventando un becco oppure assumere la consistenza di una lingua rosa a penzoloni di un cane randagio a forma di tubo, mentre una sigaretta “animale” può incurvarsi su sé stessa come un intristito Cane da tabacco. Omaggia il rigore contemporaneo tangente e parallelo di Mondrian costruito sul colore e da lui racchiuso in cornici immutate nel tempo: se cambiano gli stili o le forme, il contenuto è il medesimo, assemblato solo in maniera differente. La sua sedia creativa per antonomasia è la Sedia blu con matita (1972) in diagonale, che buca la seduta e fa da stampella o equilibra quando manca una gamba. Incontrarsi in centro (1983) o in diagonale non fa differenza se la meta è la stessa, ovvero rimanere in equilibrio. E c’è anche la sedia AT che non ha più bisogno di matite: ha un triangolo aperto nella seduta e la testata manca della parte alta della croce (1990). E così nasce il nostro “Terzo Occhio”, un seme di luce che può rischiarare in parte il buio dell’Universo, seppur contenuto nel nostro cervello, assimilabile per lui ad un piccolo guscio di noce ( Neuroradiologia, 1991). Puntare il dito sempre in alto, verso la leggerezza del cielo e delle nuvole come dovrebbero essere i nostri pensieri, respirando aria in libertà e facendo rinascere il verde anche dall’oro della benzina. Da qui il segreto di alcune campagne antinquinamento e per l’energia pulita, che partono dalle insondabili profondità del mare finendo in un deposito di carrozzerie fiammanti di automobili che non intendono farsi cimitero…, ma poi finisce che si rischia di mangiare un panino rosetta ripieno di cavi elettrici colorati, vivace ma non proprio digeribile (è il Successo 1968/2017 o “l’affare FiatCitroen”, l’occasione della prima grande impresa europea o l’ultima novità elettronica nell’azienda, il cervello tentacolare o la Michetta energetica ).
Nelle sue campagne sociali, sportive e culturali di sensibilizzazione e di grande impatto, operando tra grafica, fotografia e pittura Testa si muove liberamente e con disinvoltura negli ambiti delle Avanguardie storiche, «dal Futurismo a Mario Sironi, da Alberto Martini all’Espressionismo tedesco, dal fotomontaggio Dada all’astrazione, dal Surrealismo all’Informale internazionale», come ben evidenzia Elisabetta Barisoni.
«Non si può risolvere ciò che pensiamo sia irrisolvibile», afferma Tim Marlow, sebbene permanga in noi «un profondo senso di possibilità e al contempo risolutezza». Forse ciò avviene solamente perché ci scordiamo di navigare con il nostro Dio – che peraltro abbiamo scelto di accogliere noi, sulla nostra barca, perché è lui che ce l’ha chiesto con quel libero “Tu lo dici” – o perché ci dimentichiamo che è con noi e gli abbiamo permesso di addormentarsi, per mancanza di fede nelle sue o nostre capacità. È solo apparentemente incurante della Tempesta o Brainstorming (1985) che esiste in realtà sin dall’origine dei mondi, e se adesso quella sembra andare per conto suo
è solo perché noi abbiamo desiderato che Lui dormisse; essendo però incapaci di vegliare veramente o di stare al timone, proviamo allora a risvegliarlo dentro e fuori di noi, per vedere ancora una volta con gli occhi di Tommaso o di chi non crede che la Tempesta può essere fermata: è successo una volta e succederà ancora, anche se non sappiamo quando e fino a quando.
Il Dissenso culturale nei Paesi dell’Est (1978) fa diventare rosso e con occhi sbarrati L’Urlo di Munch, che diviene color del sangue, mentre il manifesto per il Comitato nazionale per la difesa del divorzio è in bianco e nero e inchioda l’uomo alle sue responsabilità, come Cristo trafitto che non c’è, perché è già risorto ed è colui che permette quel suo Meglio il divorzio che inchiodati nell’odio (1970), poiché “per la vostra durezza di cuore” è stato permesso il ripudio di “testa”, almeno stando al Vangelo, e le giunture di quella croce da lui costruita con due dita forse possono riaprirsi con la speranza umana di generare ancora nuova vita. Parte tutto da lì, “dalla bellezza di un segno”, come spiega la moglie e collaboratrice Gemma De Angelis Testa, che in ricordo del marito ha scelto di donare un consistente nucleo di opere al museo di Ca’ Pesaro, proprio nella città che aveva visto nascere il loro amore. Quel segno non tramonta mai e non ha confini, perché «l’unica vera meta non la si cerca, sarà lei a raggiungerti, ovunque andrai» e la forma più umana di valore continua ad essere l’abbraccio. Noi ci chiudiamo in esso, in uno, tanti abbracci per cercare di essere protetti dimenticandoci che c’è uno che l’abbraccio non l’ha chiuso ma l’ha aperto ed è rimasto lì, aperto per noi. Armando Testa sa trasformare “il segno in un’emozione”, appropriandosi dei «segni elementari della comunicazione visiva dell’uomo: la croce, il cerchio, la diagonale e il moltiplicato», facendo tuttavia propria la frase dell’architetto Mies van der Rohe: «nel meno c’è di più». Per Gillo Dorfles è «un visualizzatore globale dei rapporti tra uomo e mondo, tra produzione e consumo, tra creatività pura e creatività finalizzata a uno scopo». Non a caso, quindi, utilizzando il linguaggio di chi va in barca, strambando cerca di trasformare un segno, che una volta fatto rimane, nell’intima emozione di una resurrezione: ecco perché nelle sue croci di tante sfumature di colore il risorto, essendo risorto, non c’è: resta però il suo ricordo o Spirito Santo o la viva energia del suo capo reclinato, perché Cristo ha piegato anche la croce, ma lui non c’è, perché è con noi e sempre sarà in Spirito sino alla nostra fine, è nella memoria dell’uomo che sceglie di averlo con e dentro di sé. In fondo, è pur vero che «L’ovvio è quel che non si vede mai, finché non lo si esprime con la massima semplicità», come diceva Kahlil Gibran. Luisa Turchi
Pittore, architetto e biografo, Giorgio Vasari (Arezzo, 1511–Firenze, 1574), nel corso della sua vita fece alcuni soggiorni veneziani, il primo, quello tra il dicembre del 1541 e l’agosto del 1542, avvenne grazie all’amicizia con il conterraneo Pietro Aretino, che era giunto in Laguna già nel lontano 1527. L’occasione fu l’allestimento scenico della commedia La Talanta, commissionata allo scrittore toscano dai Sempiterni, una Compagnia della Calza, e rappresentata durante il Carnevale del 1542. Il Vasari, assieme ad alcuni collaboratori, realizzò la decorazione dei palchi riservati alle signore con soggetti allegorici e mitologici incorniciati da grottesche e fogliami, apportando tra le lagune un nuovo linguaggio desunto dal manierismo dell’Italia centrale. Fu in questa occasione che Vasari ottenne un’altra importante commissione: la decorazione di un soffitto per la dimora rinascimentale dei Corner a Sant’Angelo sul Canal Grande, oggi sede della collezione storica del marchio di tessuti Rubelli. Il committente Giovanni Corner, discendente da un’antica e influente famiglia nobile veneziana legata da vincoli di parentela a Caterina regina di Cipro, aveva fatto restaurare l’interno del palazzo dall’architetto veronese Michele Sanmicheli e nella primavera del 1542 una delle numerose stanze della dimora patrizia venne impreziosita da una decorazione che risultava essere uno dei primi esempi di sistemi decorativi aperti nei soffitti in città, uno schema che avrà un’influenza dirompente sui giovani pittori manieristi veneziani come Tintoretto e Veronese, ma colpì anche il più maturo e famoso Tiziano. Dopo quasi cinque secoli dalla sua realizzazione, le Gallerie dell’Accademia presentano, il 28 agosto, Il capolavoro veneziano di
I l capolavoro veneziano di Giorgio Vasari. Un Soffitto Rinascimentale ricomposto Dal 28 agosto Gallerie dell’Accademia www.gallerieaccademia.it
Giorgio Vasari. Un soffitto rinascimentale ricomposto, la straordinaria e inedita ricomposizione integrale del soffitto rimosso dalla sua collocazione originaria già alla fine del XVIII secolo, quando l’edificio passò alla famiglia Spinelli e ricomposto grazie a un’importante campagna di ricerca e di fundraising partita negli anni Ottanta del XX secolo. Ancora una volta un esempio virtuoso di collaborazione tra pubblico e privato che vede coinvolte molte istituzioni, dal Ministero della Cultura alle Gallerie dell’Accademia, da Venetian Heritage ad altri istituti culturali.
Riproposto in una sala appositamente dedicata nella loggia palladiana, il ciclo vasariano viene esposto nella corretta visione dal sotto in su, nella ricostruzione a scomparti che comprende quattro tavole rettangolari con le rappresentazioni di Virtù ( Fede, Speranza, Giustizia e Pazienza ) attorno allo scomparto centrale con la Carità e quattro pannelli con Putti con cartiglio ai lati. Splendide sono le figure delle Virtù, bilicate sul bordo degli spazi aperti, impostate con un senso ardito dello scorcio prospettico e una costruzione volumetrica ben lontana dalla tradizione pittorica veneziana, qualcosa che non si era mai visto prima in città. Vasari, forse tenuto in tensione dalla competitività con la grande pittura veneziana, raggiunge esiti magistrali, tra i migliori della sua produzione artistica, con soluzioni formali che verranno replicate dall’artista anche per altre committenze. In occasione della riproposizione del soffitto vasariano è stato pubblicato un prezioso volume, edito da Marsilio Arte, che ripercorre la lunga storia collezionistica delle tavole, proponendo un’interessantissima e accurata lettura iconologica del ciclo e mettendo in risalto, grazie al ricco corredo di immagini, l’affascinante tema della tecnica usata dal maestro aretino come si evince dal recente restauro realizzato sull’intero soffitto. Franca Lugato
Fu “contagiata dal virus dell’arte” proprio a Venezia, dove scoprì la sua vera passione. Marina Apollonio, triestina classe 1940, arrivò in Laguna a soli otto anni quando il padre Umbro, studioso e critico d’arte accettò il prestigioso incarico alla direzione dell’ASAC, alla cui guida restò dal 1949 al 1972, rendendolo uno dei più importanti ed imprescindibili luoghi di consultazione e archiviazione interdisciplinare di materiale storico artistico della Biennale. Erano gli anni in cui Peggy si stava entusiasmando per la città, circondandosi di talenti per dare forma e sostanza alla sua collezione.
Nel frattempo Marina cresceva e compiva i primi passi d’artista frequentando l’Accademia di Belle Arti; dedicandosi successivamente all’arredamento di interni, fu attratta dal rigore della matematica applicato all’arte. Inizia le proprie ricerche attorno alla percezione visiva nel 1962, appassionandosi al linguaggio oggettivo della geometria che nel cerchio aveva la sua massima espressione visiva. «Ogni mia ricerca plastica vuole essere un’indagine sulle possibilità fenomeniche di forme e strutture elementari. La forma elementare ha in sé l’astrazione totale in quanto è costituita da un programma matematico... l’azione si svolge con assoluto rigore in un rapporto diretto tra intuizione e verifica: intuizione a livello ottico e verifica su un sistema matematico».
Da qui parte la nuova mostra della Collezione Peggy Guggenheim, dal 12 ottobre al 3 marzo 2025, Marina Apollonio. Oltre il cerchio, prima esaustiva personale dedicatale in Italia curata da Marianna Gelussi, che presenta un centinaio di opere provenienti dallo studio dell’artista, da musei nazionali e internazionali tra i quali la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e di Torino, il Mart di Rovereto, i tedeschi Kunsthalle e Ritter Museum di Waldenbuch, la francese Fondation Villa Datris de l’Isle-sur-la Sorgue. Una finestra aperta sul periodo Optical che caratterizzò le ricerche dalla metà degli anni Sessanta agli anni Settanta, con un fiorire di movimenti e tendenze nazionali e internazionali, da Nuova Tendenza 3 a Zagabria, al Gruppo N di Padova, al Gruppo T di Milano, al Gruppo Azimuth, fino al Gruppo 0 di Düsseldorf, ai quali Marina Apollonio guarderà con attenzione senza mai aderirvi, dialogando con gli amici Getulio Alviani, Dadamaino, Piero Manzoni e Enrico Castellani, Nanda Vigo, Bruno Munari. Li accomunava quello slancio utopistico, l’urgenza di superare la realtà, ma non in chiave informale, piuttosto rivoluzionando il linguaggio espressivo, rendendolo
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oggettivamente legato al presente in una nuova forma di democratizzazione dell’arte.
In mostra si ripercorrono le molteplici ricerche di Apollonio, dal rigoroso metodo esecutivo alla sperimentazione sui materiali che spingono a una dinamica percezione dello spazio attraverso la visione. Così il cerchio, protagonista della serie iconica delle Dinamiche circolari, cui lavorò dal 1963, la portò a esplorare la struttura e le mobilità ottiche, laddove i Rilievi, tra i suoi primi lavori, si presentano come strutture metalliche che si aprono all’ambiente circostante con brillante vitalità. Le Gradazioni, eleganti pitture realizzate nella seconda metà degli anni Sessanta, sviluppano il colore programmato in cerchi concentrici, fino ai Rilievi a diffusione cromatica, pitture-rilievo dei primi anni Settanta, Espansioni di piccolo formato dello stesso periodo, quali esplosioni di colore graduate in linee concentriche. Per questa mostra l’artista ha inoltre realizzato due opere site-specific per consentire allo spettatore di Entrare nell’opera visivamente e con Endings persino attraverso la percezione acustica, grazie alla collaborazione col compositore Guglielmo Bottin. Un omaggio che non poteva mancare a questa sperimentatrice che proprio nel 1968 non era sfuggita alla lungimiranza e al fiuto di Peggy, di cui vide la personale esposta alla Galleria Barozzi. In quell’occasione le commissionò Rilievo 505, opera tutt’oggi parte della Collezione Guggenheim, un intreccio metallico in alluminio fluorescente dal forte potere attrattivo, così come quelle linee sinuose e mobili capaci di ipnotizzare lo sguardo. Michela Luce
ENG It is in Venice that artist Marina Apollonio (b. 1940) was “infected by the art virus”. Apollonio moved to Venice aged eight after her art critic father, Umbro, was made director of the Biennale Historical Archive of Contemporary Arts. Those were the years Peggy Guggenheim’s love for Venice was growing fonder, and was gathering talent around her to give shape and substance to her art collection. All the while, Marina Apollonio was taking her first steps as an artist, studying at the local Fine Arts Academy. She worked as an interior designer for a while, and later became fascinated with the rigour of mathematics applied to art. She began researching visual perception in 1962. “Elemental shapes hold in themselves total abstraction, for they are designed by a mathematical process”. Exhibition Marina Apollonio. Beyond the Circle is due to open at Peggy Guggenheim Collection on October 12, and will showcase the artist’s rigorous experimentational method on optical structures and mobilities, her metal Reliefs, and her explosive gradations of colours innervating concentric circles.
Vagabondi perdigiorno, signore impellicciate, ragazzi di strada e affaccendati gentiluomini: questi gli Strangers dell’artista Andrey Esionov, padre del Neorealismo visionario post-sovietico e maestro indiscusso dell’Accademia Russa, che dal 13 settembre al 30 novembre approda in Fondazione Bevilacqua la Masa per la sua prima mostra veneziana. Co-curata dallo scrittore, poeta e pittore Tahar Ben Jelloun e dallo storico e saggista Giordano Bruno Guerri, l’esposizione propone oltre settanta ritratti in cui fotogrammi di vita quotidiana, memorie di viaggio e strascichi di un’esistenza segnata dagli sconvolgimenti politici dell’ex Unione Sovietica si fondono per ricreare l’imperscrutabile e fantastica fauna urbana che popola l’immaginario del pittore. Nato nel 1963 in URSS, sin da giovane Esionov si avvicina all’arte figurativa guadagnando notorietà con una serie di ritratti ad olio su tela rappresentanti personaggi di spicco dell’intellighenzia, della scienza e dell’arte russa, ora esposti nei più prestigiosi musei del mondo. Tuttavia, è con l’acquerello che esprime il massimo virtuosismo, mettendo in scena visioni liriche e frammentate, frutto di un approccio puramente soggettivo, «espressione di un’umanità che aspetta di essere salvata dall’arte, dalla poesia, dalla musica, in particolare da tutta la musica che attraversa gli acquerelli. Questa è l’arte di Andrey Esionov. Stupefacente, sorprendente, diversa e simile, ma sempre vicina all’essere umano, che ne ha tanto bisogno». Adele Spinelli ENG Vagrant loiterers, fur-coated ladies, street boys, busy gentlemen: these are the Strangers in Andrey Esionov’s art. Esionov is the father of post-Soviet visionary neo-realism, and his first Venetian exhibition, curated together with author, poet, and painter Tahar Ben Jelloun and historian and essayist Giordano Bruno Guerri, is a collection of seventy-plus watercolour portraits of daily life, travel memories, and the aftermath of an existence marked by the political turmoil following the collapse of the Soviet Union. Watercolour is the “expression of a humanity that waits to be saved by art, poetry, music. Esionov’s art is amazing, surprising, different, and similar, though always close to the human”.
A ndrey Esionov. Strangers 13 settembre-30 novembre Fondazione Bevilacqua la Masa, Galleria di Piazza San Marco www.bevilacqualamasa.it
In una città come Venezia, in cui di fatto l’arte è ovunque, dentro e fuori, antica, moderna e contemporanea, in cui in ogni angolo sorprende la bellezza, invasa pacificamente da artisti di tutte le parti del mondo – più di 200 mostre in musei, fondazioni, chiese, palazzi, gallerie, magazzini, grazie ad una edizione record di Biennale Arte –, non sorprende che l’arte scenda anche in strada. Non stiamo parlando di Street Art o di una nuova (e attesa) incursione di Banksy, ma di una nuova frontiera dell’esporre: The Street is my Gallery. Un’idea geniale nella sua semplicità, quella di utilizzare i muri (e le affissioni) di Venezia per una esposizione extra-ordinaria. Fautrice del progetto, Fondation Valmont che ogni due mesi lancia una specialissima campagna di affissione dedicata alle opere di artisti internazionali, che da anni lavorano con la Fondazione e con Didier Guillon.
Protagonista della campagna di settembre – dal 27 agosto al 10 settembre – l’artista di fama internazionale (oltre che una persona veramente speciale) Kimiko Yoshida, che espone le sue fotografie in formato manifesto in 50 poster numerati sui muri di calli e campi di Venezia. Una nuova edizione che trasforma i muri della città in muri di una specialissima galleria a cielo aperto, ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette.
Particolarmente impattante saranno così le sue fotografie, sempre autoritratti, che Kimiko Yoshida trasforma in una varietà di personaggi diversi per mettere in discussione le nozioni di identità in relazione al genere e alla storia personale. Il suo lavoro si ribella all’oppressione che sentiva come donna nella società giapponese convenzionale prima di trasferirsi in Francia nel 1995. Nella maggior parte dei suoi ritratti, il trucco e l’abbigliamento di Yoshida corrispondono al colore dello sfondo. Scomparendo di fatto, l’artista mette in discussione la stabilità dell’identità stessa. Kimiko Yoshida ci osserverà dai muri mentre passeremo velocemente per le calli, regalandoci uno specialissimo attimo di sublime bellezza. M.M.
K imiko Yoshida. The Street is my Gallery 27 agosto-10 settembre fondationvalmont.com
Il cognome è certamente senza bisogno di presentazioni, tuttavia le opere fotografiche sono una vera sorpresa. Il “figlio di” diventa protagonista assoluto del mezzo fotografico presentando a Venezia, alle Stanze della Fotografia sull’Isola di San Giorgio, Whispers – A Julian Lennon Retrospective, dal 28 agosto al 24 novembre, curata dallo stesso Lennon e da Sandrina Bonetti Rubelli.
Un’ampia selezione di scatti che ripercorrono l’intero lavoro fotografico dell’artista britannico, partendo dalle sue prime pose fino ad esplorare i lavori più recenti. Le opere permettono al pubblico di intraprendere un percorso di scoperta della parabola creativa di Julian Lennon: dall’esordio nella musica come cantautore e chitarrista – seguendo le orme del padre John –, a una produzione fotografica caratterizzata da una forte impronta umanitaria, ispirata soprattutto alle iniziative filantropiche realizzate per la sua fondazione no profit, The White Feather Foundation.
Ritratti, paesaggi, attimi di vita quotidiana che Lennon ha saputo cogliere durante vari viaggi intrapresi proprio per narrare storie di vita altrui. Storie intrecciate da un forte legame tra natura e dimensione umana: spostandosi tra Kenya, Etiopia e Sud America e mantenendo uno sguardo introspettivo su queste culture, è riuscito a catturare momenti intimi osservati da un altro punto di vista. Con l’intento di ispirare gli spettatori, per Lennon le fotografie sono tracce rappresentative del suo viaggio personale come artista nel mezzo di esperienze di vita uniche. Eleonora Franceschi ENG H is surname needs no introduction, but we’ll gladly introduce his amazing photography. Whispers – A Julian Lennon Retrospective, curated by Lennon and Sandrina Bonetti Rubelli, is a selection of photographs that trace the British photographer’s career arc from his first works to his most recent. Humanitarianism and philanthropy innervate his creation, which follows the charity initiatives of his not-for-profit foundation, the White Feather Foundation. Portraits, landscapes, daily life moments that Julian Lennon got to know in Kenya, Ethiopia, South America. An introspective look on these cultures captures intimate moments, observed from a singular point of view. Inspiring pictures represent the artist’s personal journey and the unique lives we feel almost able to touch.
W hispers – A Julian Lennon Retrospective 28 agosto-24 novembre Le Stanze della Fotografia, Isola di San Giorgio www.lestanzedellafotografia.it
Natura, scienza, arte: la potenza della tecnologia coniugata alla modularità per creare spazi di rappresentazione che «provano a rompere la scatola euclidea in scultura». Queste le parole e il nucleo vivo dell’arte di Loris Cecchini, un instancabile lavoro di ripensamento della scultura. Invitato a confrontarsi con gli spazi fortemente caratterizzati di Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento Veneziano, l’artista ci invita a scoprire i suoi Leaps, gaps and overlapping diagrams, una serie di opere modulari che compongono la mostra curata da Luca Berta e Francesca Giubilei, con il supporto di Galleria Continua e in collaborazione con VeniceArtFactory, che inaugura il 21 settembre. Ammirando i magistrali soffitti affrescati da Giambattista Tiepolo, Jacopo Guarana, Giovanni Battista Crosato e Gaspare Diziani, si percepisce quanto essi proiettino un desiderio di sfondamento visivo della gabbia architettonica. Una comune ansia di scardinamento delle geometrie consolidate ispira gli affreschi settecenteschi e la pratica artistica di Cecchini. Laddove Tiepolo e i suoi emuli proponevano come rimedio la rappresentazione illusoria di uno sfolgorante spazio celeste, Cecchini lavora per sottrazione rispetto alla logica mimetica, elimina la soglia dentro/fuori, registra l’assenza di centro e l’abolizione della forma intesa come convessità intuitivamente comprensibile, riconoscibile, assimilabile a un qualche solido geometrico. Cecchini vuole estrarre la struttura morfologica, esporre il processo, mettere in scena i salti e i buchi dei processi non lineari, per «celebrare la geometria di ogni cosa», senza limitazioni e imprevedibile. M.M. ENG Nature, science, art: the power of technology and modularity create representational spaces that “try to break the Euclidean box using sculpture”. With these words and this art, sculptor Loris Cecchini invites us to discover his Leaps, gaps and overlapping diagrams, a series of modular artworks that project their hyper-visual potential onto the surrounding architectural constraints. The consolidated geometry of the Ca’ Rezzonico Museum, with its magnificent frescoes, and its illusory representation of majestic celestial vault, is under attack by Cecchini’s logic of mimesis, elimination of the inside/ outside boundaries, absence of centre of focus, and abolition of shape as intuitively understandable convexity. The artist extracts the morphological process to celebrate “the geometry of everything” – limitless and unpredictable.
L oris Cecchini. Leaps, gaps and overlapping diagrams 21 settembre-31 marzo 2025 Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento Veneziano carezzonico.visitmuve.it
La singolarità dell’artista francese Henri Beaufour sta nel fatto che propone attraverso il ritratto una visione diversa della bellezza a cui siamo abituati, completamente al di fuori del campo dell’accademismo così come dell’anti-accademismo. Le sue sculture sono di una libertà incredibile, una deformazione della materia e del ritratto rappresentato, che proviene da ricordi letterari, filosofici e artistici mescolati con elementi tratti dalla realtà. L’artista fa emergere dalla materia una verità imprescindibile, uno stato dell’essere che raggiunge l’apice di un espressionismo senza eguali. Nella pittura, Beaufour inventa il “senza sfondo”. I suoi ritratti o personaggi sono rappresentati direttamente sulla tela. Non c’è sfondo, nessuna distrazione possibile per l’occhio, nessuna confusione permessa, nessuna via di fuga. Beaufour offre un’opera senza fronzoli, senza artifizi, un’opera grezza e brutale, ma molto affascinante perché rispecchia la realtà. Contemporaneamente barocco, espressionista e informale, Beaufour costruisce attraverso le vie parallele della scultura, della pittura, del disegno e dell’incisione, una ricerca infinita della verità esistenziale. La sua mostra, Henri Beaufour. Portraits imaginaires / sculptures-tableaux-gravures, che apre il 7 settembre a Palazzo Pisani Santa Marina, è l’occasione da non perdere per conoscere la singolarità del suo lavoro, originale e libero da schemi formali prestabiliti.
ENG T he singularity of Henri Beaufour lies in the fact that he proposes, through portraiture, a different vision of beauty than what we are accustomed to, outside the realm of academicism or anti-academicism. His sculptures exhibit incredible freedom, a distortion of both the matter and the portrayed subject, emerging from literary, philosophical, and artistic memories mixed with elements drawn from reality. The artist brings forth an indispensable truth, a state of being that reaches the apex of unparalleled expressionism.
Hen ri Beaufour. Portraits imaginaires / sculptures-tableaux-gravures
7 settembre-23 novembre Palazzo Pisani Santa Marina, Cannaregio 6104 www.henri-beaufour.com
Luce e colore accendono gli spazi del Centro Culturale Candiani di Mestre nel nuovo capitolo di indagine del Novecento promosso da Muve e curato da Elisabetta Barisoni attraverso le collezioni di arte moderna conservate a Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna. Protagonista Matisse e la luce del Mediterraneo e in particolare l’influenza del Maestro francese (Le Cateau-Cambrésis, 1869–Nizza, 1954) nel panorama artistico europeo del primo Novecento, un dialogo tra le sue opere e quelle di altri grandi maestri quali Henri Manguin, André Derain, Albert Marquet, Maurice de Vlaminck, Raoul Dufy e Pierre Bonnard: ricerche e produzioni distinte che qui partecipano ad un racconto corale nel vibrante mondo dei Fauves. Fu il critico Louis Vauxcelles a definire la sala ottava del Salon d’Automne di Parigi (1905) una “cage aux fauves”, cioè una “gabbia di belve”, per la selvaggia violenza espressiva del colore steso in tonalità pure. Il percorso espositivo, diviso in sette sezioni con oltre cinquanta opere, evidenzia infatti l’innovazione dirompente introdotta dai Fauves, di cui Matisse fu uno dei principali esponenti. Abbandonato il giovanile puntinismo, Matisse adotta una tecnica in cui tutte le parti del quadro sono lavorate contemporaneamente, con contrasti di colore che si diffondono su tutta la superficie, grazie ai quali riesce a tradurre sulla tela emozioni profonde, una capacità eccezionale che lo ha reso degno di essere chiamato il “maestro della luce”. Bianca Vasti
ENG L ight and colour illuminate the Centro Culturale Candiani for their new foray into twentieth-century art thanks to the art collection of Ca’ Pesaro, the International Modern Art Gallery of Venice. Matisse e la luce del Mediterraneo (lit. ‘Matisse and the Light of the Mediterranean’) is a confrontation of Matisse’s art with art by other great painters such as Henri Manguin, André Derain, Albert Marquet, Maurice de Vlaminck, Raoul Dufy, and Pierre Bonnard – among those whom art critic Louis Vauxcelles called ‘beasts’ for the expressive violence of their pure colours. The technique Matisse developed in his maturity makes use of large colour fields painted in the same session, whose contrast is so fiercely emotional it earned him the moniker of ‘master of light’.
Ma tisse e la luce del Mediterraneo
28 settembre-4 marzo 2025 Centro Culturale Candiani-Mestre muvemestre.visitmuve.it
Intervista Paolo della Corte
di Elisabetta Gardin
Paolo della Corte, veneziano, dopo una Laurea in Storia dell’Arte a Ca’ Foscari inizia a fotografare concentrandosi sui ritratti di personaggi del mondo della cultura, soprattutto letteratura e arte. Docente all’Accademia di Belle Arti, collabora con importanti testate nazionali ed estere dove pubblica le sue fotografie, tantissime le esposizioni che lo hanno visto protagonista. Il 4 ottobre inaugura la sua personale Flooded Souls, curata da Laura Riolfatto e ospitata nei Docks Cantieri Cucchini, bellissimo spazio espositivo all’interno di un complesso industriale di fine ‘800 a San Pietro di Castello. La mostra sarà aperta fino al 30 novembre e visitabile su appuntamento (info@docks-cucchini.com | info@ laurariolfatto.com).
Flooded Souls è il frutto di un lungo lavoro di ricerca e di indagine dedicato al sistema lagunare veneziano, un ecosistema fragile e unico al mondo. Paolo della Corte è profondamente legato a Venezia, alla Laguna, alla sua storia, più di una volta nei suoi progetti fotografici ha portato all’attenzione del pubblico i problemi di questa città straordinaria, del suo delicato ecosistema e dell’importanza della sua salvaguardia.
Compongono la mostra quindici nature morte di pesci della Laguna di Venezia, stampate su tela, che sono state immerse in vari punti della Laguna e lasciate sott’acqua per un periodo di 6/8 settimane a macerare, riempiendosi di alghe, fango, micro organismi e molluschi. A seconda dell’esposizione alla luce, delle correnti, della profondità di immersione, le opere ‘ripescate’ raccontano lo stato della Laguna e il grado di inquinamento.
I dipartimenti di area scientifica di Ca’ Foscari e il CNR – Istituto di Scienze Polari hanno analizzato le opere di della Corte da un punto di vista chimico e morfologico dopo l’immersione in acqua, correlandone i mutamenti chimico-fisici con l’ambiente lagunare e con alcune delle conseguenze delle attività umane in Laguna. Ci ha raccontato il progetto lo stesso fotografo, Paolo della Corte.
Una mostra particolare che parla di pesci e di Laguna, ma soprattutto di inquinamento e moto ondoso. Com’è nato il progetto?
Negli ultimi anni ho navigato e fotografato molto in Laguna, incontrando veneziani che la vivono, che pescano o che coltivano la terra delle isole. Ho scoperto così un mondo che conoscevo solo marginalmente, per così dire “esteticamente”, nella mia mente di fotografo. Le parole di Ivan Bognolo, di Palmiro Fongher, di Gastone e Dariella Vio, sono un grido di allarme sullo stato dell’ambiente lagunare: non potevo fermarmi alla solita foto del pescatore eroico, una figura quasi mitologica, che sopravvive alle difficoltà o allo scorcio di una barena all’alba.
Il digitale offre molte possibilità di approfondire un argomento, affiancando alle fotografie anche video, testi, infografiche, stratificando così moltissime informazioni.
Partendo da un’idea di “stratificazione” materica, ho pensato che, immergendo delle foto di still-life di pesci di Laguna stampate su tela
per un certo periodo di tempo, si sarebbe attaccato su di loro fango, alghe, molluschi. In questo modo si sarebbero lacerate e consunte per il moto ondoso e le correnti sempre più forti dovute agli interventi dell’uomo e così ogni tela si sarebbe pure impregnata degli elementi inquinanti presenti in Laguna. Una volta ripescate, gli strati avrebbero potuto raccontare quello che noi non vediamo.
Nei suoi lavori Venezia e la Laguna sono fondamentali protagoniste, bellissime ad esempio le immagini dei veneziani immersi nell’acqua, in una specie di Atlantide.
Cosa rappresenta per lei questa città? Continua ancora a stimolare la sua creatività nonostante i tantissimi problemi che la rendono quasi invivibile?
Sarà banale dirlo, ma è una città che odi, non sopporti, non ne puoi più, vuoi scappare via lontano. Poi accade un evento, una visione, un incontro e capisci che non puoi vivere da nessun’altra parte. E allora continui a resistere e da fotografo lo faccio liberando attraverso le immagini il mio stato d’animo. Come vedo la città? I temi della problematicità di Venezia sono di rilevanza globale, se faccio un lavoro su inquinamento, moto ondoso, innalzamento dei mari, over tourism, trovo riduttivo che venga visto solo come un lavoro di un veneziano che parla della sua città.
Quali sono i suoi progetti futuri?
A breve aprirò con il fotografo Federico Sutera un nuovo spazio per la fotografia in zona Punta della Dogana, dove non vogliamo limitarci a esporre i nostri lavori, ma aprire lo spazio ad altri fotografi, presentare libri, organizzare incontri. Parallelamente sto portando avanti due nuove serie di immagini, ma è presto per parlarne. Continuo a seguire i precedenti lavori per farli conoscere anche all’estero. Alcune foto della serie Venezia 2050 DC e di Flooded Souls sono state imbarcate, assieme ai lavori di altri tre artisti, sulla Avontuur, uno schooner cargo a vela del 1908, che è partito da Amburgo il 18 agosto per arrivare in Colombia, dove si terrà un’esposizione. È un viaggio che si potrà seguire sul sito www.galeriegreen.com, curato dall’americana Patricia Warning.
Paolo della Corte. Flooded Souls 4 ottobre-30 novembre Docks Cantieri Cucchini www.paolodellacorte.eu
MARIGNANA ARTE CONFLUENCE
Romana Drdová, Beata Hlavenková, Lukáš Likavcˇan, Matyas Pavlik, Daniel Vlcˇek
6-30 ottobre October
Mostra interdisciplinare, curata da Lucie Drdová e Mária Gálová, riunisce voci provenienti da diversi ambiti impegnate nella creazione di nuove forme di cooperazione tra arte, scienza e conservazione per affrontare le questioni ambientali attraverso il prisma dell’arte. Il progetto non cerca di esporre gli impatti negativi dell’attività umana, al contrario, illumina il potere di adattamento positivo della natura. L’impulso primario è offerto dal documentario sperimentale dell’artista multimediale e musicista, Daniel Vlcˇek, Metafora Island, sulla trasformazione unica dell’isola chiamata “bacan” (isolotto) nella Laguna di Venezia. Attraverso una combinazione di registrazioni scientifiche sul campo e video realizzati con iPhone e GoPro, sotto la guida di Giovanni Cecconi, esperto con tre decenni di esperienza nel progetto MOSE, il video è un’esplorazione multiforme, una combinazione di spiegazione scientifica ed indagine artistica. Accanto a Vlcˇek, diversi artisti si sono uniti al progetto: l’artista visiva Romana Drdová, l’artista del vetro Matyas Pavlik, la compositrice e musicista Beata Hlavenková, il filosofo e planetologo Lukáš Likavcˇan in collaborazione con l’incisore di vetro Pavlína C ˇ ambalová. L’aspetto significativo non è solo la forma finale unica – oggetti, installazioni multimediali, performance dal vivo –, ma anche il processo creativo dinamico e in continua evoluzione, che riflette la molteplicità di approcci artistici differenti.
ENG A n interdisciplinary exhibition curated by Lucie Drdová and Mária Gálová welcomes voices from different fields and fosters new forms of collaboration between art, science, and conservation to see environmental issues through the lens of art. The project is not about humanity’s negative impact on nature, rather on nature’s positive potential for adaptation. Objects, multimedia installations, and live performances complement a dynamic creative process that evolves continuously to reflect the diversity of artistic practices.
Rio Terà dei Catecumeni, Dorsoduro, 141 www.marignanaarte.it
Mohammad AlFaraj, Barrato & Mouravas, Polam Chan, Alfredo Graal, Rajyashri Goody, Margot Kalach, Lebohang Kganye, Nancy La Rosa, Kyinat Molta, Mohammad Muneem, Germán Naglieri, Cabinet Oseo, Anhar Salem, Matilde Sambo, Serhat Tunç, Riccardo Vicentini, Annie Yuan Zhuang
30 agosto August-5 ottobre October
Il titolo della mostra, curata dai partecipanti della School for Curatorial Studies Venice del 2024, laboratorio aperto per le arti visive e per tutte le professioni legate all’arte contemporanea che quest’anno festeggia il suo ventesimo anno di attività, fa riferimento al concetto di “nessun luogo” (nowhere) e di “ora qui” (now here) per sottolineare la natura effimera e fluida dell’appartenere. Artisti internazionali sono stati invitati ad esplorare attraverso media diversi, tra cui pittura, fotografia, poesia e cinema, il concetto di appartenenza in rapporto con il luogo, l’identità e la memoria. In mostra le opere si servono dell’emozione come punto di partenza per una narrazione intima e sorprendente, sia per le esplorazioni immaginative e sognanti del Realismo Magico, che per sperimentazioni formali e come strumento di critica politica e sociale, che accende dialoghi tra installazioni, fotografia, scultura e pittura, unendo lavori di artisti internazionali e veneziani. Ispirata alle riflessioni di Pablo Neruda sulla terra e l’appartenenza, in particolare alla sua poesia Non c’è oblio, no[w]here cattura l’essenza dei legami profondi con i propri luoghi. I versi malinconici di Neruda evocano un senso di nostalgia per luoghi e persone lasciate indietro, un sentimento che risuona in tutta la mostra e ne informa il nucleo tematico.
ENG T he title of the exhibition can be read as nowhere or as now here to highlight the transient, fluid nature of belonging. International artists have been invited to explore the concept of belonging viz. places, identity, and memory. Art use feelings as starting point of an intimate, surprising narration both in terms of imagination and in terms of formal experimentation and a tool for political and social critique. Inspired by Pablo Neruda’s reflection on earth and belonging, no[w]here captures the essence of the bond each of us has with the places they see as their own. San Marco 3073 www.aplusa.it | www.corsocuratori.com
FORNI IN VENICE
1 settembre September-30 ottobre October Un insieme complesso di espressioni, tecniche e idee che gravitano intorno alla figurazione contemporanea con l’intento di offrirne uno spaccato senza alcun elemento aggregante se non la provenienza, ovvero la storica Galleria Forni di Bologna, presente a Venezia per due mesi con una pop-up gallery alla Giudecca. Un nuovo spazio dove trovano posto opere di autori noti ed affermati, alcuni dei quali ormai scomparsi come Luciano Ventrone, maestro dell’iperrealismo, e Randall Morgan, con i suoi celeberrimi paesaggi della costiera amalfitana, ed altri nel pieno della loro maturità artistica e più che mai prolifici come Giorgio Tonelli, Massimo Kaufmann, Andrea Baruffi, nonché giovani artisti di fama internazionale come Laurent Chéhère, Tommaso Ottieri, Paolo Quaresima, Ana Kapor, Nicola Nannini, Giovanni Viola e giovani emergenti come Francesca Dondoglio, Olmo Gasperini e Giovanni Mercatelli. Mauro Davoli e Vera Rossi completano la sezione dedicata alla fotografia, mentre la sezione di scultura è rappresentata da Michelangelo Barbieri, Mario Branca e Jeanne-Isabelle Cornière.
ENG A complex set of expressions, techniques, and ideas that gravitate around modern figuration with nothing in common except provenance: the historical Galleria Forni in Bologna. The Galleria set up a temporary gallery at Giudecca Island, a space that welcomes art by established artists such as the late Luciano Ventrone, Randal Morgan, Giorgio Tonelli, Massimo Kaufmann, Andrea Baruf as well as budding professionals like Francesca Dondoglio, Olmo Gasperini e Giovanni Mercatelli. Mauro Davoli and Vera Rossi complete the photography section, while the sculpture section comprises art by Michelangelo Barbieri, Mario Branca, and Jeanne-Isabelle Cornière.
GAS Giudecca Art Space
Fondamenta Sant’Eufemia, Giudecca 673 www.galleriaforni.com
GALLERIA MICHELA RIZZO
David Rickard
Mariateresa Sartori
Fino Until 28 settembre September
Fitto dialogo a cura di Riccardo Greco tra opere di Mariateresa Sartori e David Rickard, che esplorano la dicotomia tra assenza e presenza, un concetto che in epoca medievale era descritto dal quinto elemento: l’etere, un materiale effimero che non c’era ma si percepiva. Questo antico elemento diventa metafora di una ricerca che porta a interrogarsi sulle cose e su come le percepiamo. Rickard e Sartori, come due veri e propri artisti-ricercatori, si addentrano nel mondo circostante partendo dalle cose che molto spesso vengono date per scontate, come polvere, vento o raggi cosmici. Dietro ad elementi così impercettibili all’attenzione della quotidianità i due artisti hanno trovato il modo di descrivere l’etere, in quanto fenomeno in continua trasformazione. Le opere di Rickard non si soffermano sulla superficie ma si addentrano in un racconto più complesso e ricercato. Mariateresa Sartori coinvolge gli ambiti del suono, del linguaggio, della poesia e dei fenomeni naturali. ENG A conversation curated by Riccardo Greco and held by art. Mariateresa Sartori’s and David Rickard’s pieces explore the dichotomy between presence and absence, a concept that in Medieval times was described by theorizing the fifth element: aether, an element that was there, but was imperceptible. This ancient element is the metaphor for research on things and the way we perceive them. Rickard and Sartori penetrate the surrounding world starting with things we used to take for granted: dust, wind, cosmic rays. Behind such imperceptible elements the two artists found a way to describe aether, a phenomenon in continuous transformation. Giudecca 800 Q galleriamichelarizzo.net
DOROTHEA VAN DER KOELEN VISIONS OF BEAUTY
Lore Bert, Daniel Buren, Mohammed Kazem, Joseph Kosuth, Nam Tchun-Mo, Fabrizio Plessi, Arne Quinze, Turi Simeti, Günther Uecker, Bernar Venet
Fino Until 24 novembre November
In occasione del quarantacinquesimo anniversario della galleria, la mostra Visions of Beauty è una dichiarazione contro gli orrori del mondo, un controprogetto rivolto alle guerre attuali e ai disastri naturali. La bellezza può portare alla coesistenza pacifica. Così Dorothea van der Koelen ha invitato gli artisti con cui lavora da anni a lanciare un appello alla bellezza attraverso le loro opere. In mostra: Lore Bert e le sue ultime creazioni in carta giapponese e foglia d’oro; Daniel Buren con l’opera in vetro magenta del ciclo Cadre décadré ; Mohammed Kazem con l’opera di luce Collecting Waves, insieme a uno dei suoi tipici graffi Directions ; un capolavoro filosofico di Joseph Kosuth; Fabrizio Plessi con la toccante video scultura Mosaico Veneziano ; l’artista coreano Nam Tchun-Mo con le sue tipiche opere con travi in blu e rosso e una meravigliosa opera di grande formato in oro; Turi Simeti con 12 ovali disposti in un quadrato; Günther Uecker con la stampa in rilievo fluida e dinamica, Strom. ENG O n the occasion of the forty-fifth anniversary of the gallery, the exhibition Visions of Beauty is a statement against the horrors of the world, a counter-project aimed at today’s wars and natural disasters. Beauty can lead to peaceful coexistence, and thus Dorothea van der Koelen has invited the artists she has been working with for years to launch an appeal to beauty. Their responses make up the new exhibition.
Calle Calegheri, San Marco 2566 www.galerie.vanderkoelen.de
Un contenitore di anime e provenienze inesorabilmente evoluto verso tanti linguaggi. Se cercate ricchezza multiculturale, pluralità di voci e bellezza Venezia Jazz Festival Fall Edition è il luogo giusto
Giuseppe Mormile – Direttore artistico Venezia Jazz Festival
Nuove suggestioni e consueto viavai sonico per la settima edizione di Venezia Jazz Festival Fall Edition, il festival di musica jazz e contemporanea firmato da Veneto Jazz dedicato alle sonorità del mondo che vanno dal soul alla musica classica, passando per progetti innovativi come la sonorizzazione cinematografica, l’audiofonia dei musicisti austriaci Klaus Paier, Gerald Preinfalk e della croata Asja Valcˇic´, per approdare alle coinvolgenti e sicure note del soul interpretate dalla voce di Ginga nel salotto del festival, lo Splendid Venice Hotel; oppure nelle effervescenti sonorità del giovane e ormai affermato chitarrista Luca Zennaro, al Laguna Libre Jazz Club. Sono solo alcune delle proposte di un festival ormai consolidato e ricercato dal pubblico che continuerà fino a novembre in alcuni fra i luoghi più affascinanti di Venezia. Interiors è un viaggio che il 12 ottobre al Teatrino di Palazzo Grassi unisce elettronico e analogico e cavalca il ritmo senza mai abusarne, in cui Valerio Corzani (voce, basso semiacustico, basso tinozza, percussioni, laptop e iPhone) ed Erica Scherl (violino, tastiera, effetti e looper) mettono in moto un tracciato pieno di fibrillazioni e sorprese creando un forte connubio con suggestioni visive, come quelle dei super8 sperimentali di Derek Jarman o dei film del regista franco canadese Yann
Arthus-Bertrand. Proprio di questo autore il duo propone una sonorizzazione del lungometraggio Planet Ocean, in una sperimentazione che incrociandosi con il festival Nu Fest porta in dote un mix di musica acustica, elettronica e suggestioni visive.
In scena il 17 ottobre allo Splendid Venice Hotel, con Alvise Seggi al contrabbasso e Matteo Alfonso al piano, ecco Claudia Scapolo, in arte Ginga, membro del prestigioso gruppo vocale Halleluja Zucchero. Gospel Singers, progetto della cantante americana Cheryl Porter che la porta a collaborare con artisti come Mario Biondi, Zucchero, Eros Ramazzotti e Marco Mengoni. Luca Zennaro conferma il 25 ottobre al Laguna Libre il suo precoce talento di chitarrista portando in scena Altera Limes, il terzo album a proprio nome.
Il festival si tuffa nella liricità del pianista svizzero Nik Bärtsch, alla Fenice il 26, con una formazione musicale in trio. La sua musica è una raffinata fusione tra contemporanea e ritmi orientali, uso percussivo dei tasti del pianoforte, ricchezza timbrica delle percussioni, coinvolgenti atmosfere espressive frutto di un lavoro compositivo colto. I musicisti austriaci Klaus Paier, Gerald Preinfalk e la croata Asja Valcic hanno formato un trio che segna una nuova area creativa: il caleidoscopio di audiofonia ideato nel nuovo album Fractal Beauty è un progetto audace che offre equilibrio fra libertà e forma, musica complessa e melodie avvincenti. Li troviamo al Candiani di Mestre il 27 ottobre, compresi nel cartellone di Candiani Groove
This is the traffic with like: truckload after truckload of contemporary and jazz music thanks to the producers of the Venice Jazz Festival Fall Edition. Performers like Klaus Paier, Gerald Preinfalk, Asja Valcˇic´, Ginga, Luca Zennaro. These are but a few of the participants in a festival that has had an established presence in town for years now, and will populate some of the most charming venues in Venice over the months of October and November. Programme Interiors is a journey that blends analogue and electronic music. It will start at Teatrino di Palazzo Grassi on October 12, with Valerio Corzani (voice, semi-acoustic bass, tinozza bass, drums, laptop, and iPhone) and Erica Scherl (violin, keyboard, sound effects, and looper) putting in motion a track of fibrillation and surprise, blending in visual input in their show, like clips by Franco-Canadian filmmaker Yann Arthus-Bertrand. On October 17, Alvise Seggi, Matteo Alfonso, Claudia Scapolo a.k.a. Ginga will perform at Splendid Venice Hotel. Luca Zennaro will present his third and latest album, Altera Limes, at Laguna Libre on October 25. The Festival will take a lyrical penchant on October 26, with Swiss pianist Nik Bärtsch performing at Fenice Theatre with his trio. Their music is a refined mix of contemporary western and oriental rhythm, a percussive use of the piano, their drum’s rich timbres, and enthralling atmosphere overall. Austrian musicians Klaus Paier and Gerald Preinfalk, together with Croatian Asja Valcˇic´, formed a trio that established a foothold in a brand new creative area: the kaleidoscopic audiophony in their new album Fractal Beauty. It is a daring project that balances freedom and form, complex music and captivating tunes. We will see them at Candiani, in Mestre, on October 27, as part of the Candiani Groove programme.
Fresco di premio speciale MEI alla carriera per il suo «virtuoso percorso che l’ha portato dalle autoproduzioni alla vittoria al Festival di Sanremo», Diodato è atteso al Toniolo di Mestre il 5 ottobre, la sera seguente la premiazione di Faenza, per una delle sedici tappe del suo tour autunnale che va a chiudere quello che per il cantautore aostano non può che definirsi un “anno d’oro”. Artista intenso e ricercato, tra i più apprezzati della scena musicale italiana, Diodato vanta quattro album di inediti all’attivo. Ha partecipato alla 74esima edizione del Festival di Sanremo con Ti muovi, una ballad energica e profonda, già disco d’oro, che ha scritto, composto e arrangiato. Con La mia terra, canzone originale del film Palazzina Laf di Michele Riondino, ha vinto il Nastro d’Argento 2024, il David di Donatello, e il Ciak d’Oro per la miglior canzone originale, oltre alla Targa Tenco come “miglior canzone singola”.
Il 2024 ha visto anche la pubblicazione di Ho acceso un fuoco, album registrato in presa diretta alle Officine Meccaniche di Milano che coglie e cristallizza le emozioni dei live e l’energia vissuta sui palchi di tutta Italia negli ultimi anni. Dopo il successo del tour estivo in Brasile, che ha ispirato il nuovo singolo Molto amore, Diodato torna ora alla dimensione intima e autentica del teatro, dove sa raccontarsi al meglio, dagli ultimi successi ai brani che hanno segnato la sua carriera come Fai rumore, con cui conquistò l’Ariston nel 2020, e Che vita meravigliosa, pietre miliari che lo hanno consacrato tra le voci più amate dell’attuale panorama musicale. C.S.
Giovanni Allevi torna a calcare il palcoscenico dopo la malattia che l’ha costretto ad uno stop per oltre due anni, ritrovando quel contatto con il pubblico tanto invocato durante la convalescenza e cruciale, a detta dell’artista, nella velocità di recupero. In piano solo, sarà infatti ospite di Veneto Jazz al Teatro Goldoni di Venezia il 18 ottobre nell’ambito della rassegna Dal Vivo - La grande musica al Teatro Goldoni, per far apprezzare ancora la sua arte con maggiore trasporto e consapevolezza. Un ritorno sperato dai tanti fans di tutto il mondo e annunciato dallo stesso artista dal palco dell’ultima edizione del Festival di Sanremo, dove ha tenuto un commovente monologo, regalando al pubblico un inedito brano al pianoforte, Tomorrow, scelto per un momento tanto particolare proprio «perché domani per tutti noi ci sia sempre ad attenderci un giorno più bello».
La rinascita di Giovanni Allevi, fra i pianisti italiani più apprezzati sulla scena internazionale, passa indiscutibilmente attraverso la musica. E non poteva essere diversamente, per un artista che in ogni concerto dona anima e corpo al proprio pubblico, dialogando con gli spettatori in brevi monologhi genuini e non studiati, oltre che con le proprie canzoni.
La malattia ha moltiplicato la sua gioia di vivere, sottolinea Allevi: «Adesso cerco di cogliere dalla vita tutti i doni che essa mi offre, molto più di prima». E spiega perché ha chiamato Panic la musica dolcissima immaginata in ambulanza dopo un attacco di panico: «Era relativa all’esperienza del mio primo attacco di panico, quindi contiene una sorta di contraddizione, è una musica dolcissima che ha un titolo inquietante». Quanto alla Laurea in Filosofia racconta: «È importantissima per il mestiere che faccio. A Sanremo ho citato Kant e sono stato contento, perché quando ho affrontato l’esperienza della possibilità concreta della mia fine e del dolore fisico l’immortalità dell’anima è tornata a essere un nodo centrale nei miei pensieri: l’immortalità dell’anima, la grande speranza o la grande illusione del genere umano? E allora mi sono fatto avvolgere dalle parole di Kant, in quella splendida pagina finale della Critica della ragion pratica, in cui sostiene come ognuno di noi intuisca immediatamente che nella profondità del nostro essere ci sia qualcosa di più grande, di bello, di buono, precedente alla nostra aggressività, che trascende la nostra vicenda individuale e in questo caso il mio dolore fisico».
Sono poche le voci rimaste nell’immaginario di chi ha vissuto la musica e tutto quello che ci girava intorno agli anni ’70. Una di queste era quella inconfondibile tra altre mille di Robert Plant, che con i suoi Led Zeppelin e il suo timbro unico e pazzesco ha segnato un’epoca, sostenuto da musicisti formidabili come Jimmy Page, John Bonham e John Paul Jones. In un mondo musicale che per anni era stato monopolizzato da Beatles e Stones, i Led Zeppelin hanno rappresentato il momento di passaggio tra due generazioni musicali, dettando le linee di un diverso modo di far musica che fondeva e rendeva trasversali generi musicali che avevano solo sporadicamente fatto capolino nella musica ‘di prima’, il blues, il funk, l’hard rock, addirittura il metal, quando ancora non era nato.
I Led Zeppelin hanno saputo creare un suono unico, fondamentale, semplicemente vestendo con panni nuovi una musica che ormai cominciava a diventare vecchia. Una rivoluzione talmente massiccia da travolgere anche la sostanza, tanto da ‘dare il la’ a buona parte dell’hard-rock sviluppatosi negli anni a venire, fino ad arrivare ai giorni nostri, nei quali è ancora ben visibile lo spettro del dirigibile su molte band. Robert Plant dopo lo scioglimento del gruppo continuò e ancora continua la carriera da solista. La voce, certo, non è più quella a volte shockante di prima, gli alti se ne sono andati per lasciare spazio a sonorità più tranquille. Il tempo passa per tutti ed è passato anche per le sue corde vocali. E poi ha cambiato genere. Non aspettatevi una cavalcata dei pezzi sacri dei vecchi Zeppelin, a parte un paio di incursioni nel vecchio repertorio come omaggio finale al passato. Lui da anni si è dato alla musica folk, ha seguito altre strade, un po’ come il Blackmore dei Deep Purple che fa tournee suonando musica medioevale. Ma non aspettatevi nemmeno che abbia perso la grinta e il carisma di una volta.
Insomma, il 20 ottobre al Geox ecco un concerto tutto da gustare assieme al gruppo Saving Grace, con Suzi Dian (voce), Oli Jefferson (percussioni), Tony Kelsey (mandolino, baritono e chitarre acustiche) e Matt Worley (banjo, chitarre acustiche e baritono, cuatro). Massimo Macaluso
« Gallerie Sonore - spiega il comunicato stampa – mira a creare un’esperienza immersiva e trasversale, legando le quattro sedi di Gallerie d’Italia sotto la medesima matrice di interpretazione artistica attraverso il medium del suono».
Un nuovo progetto performativo di sound art che darà voce e suono alle opere d’arte, traendo ispirazione dalla collezione artistica di Banca Intesa Sanpaolo e coinvolgendo Davide ‘Boosta’ Dileo, storico componente e fondatore dei Subsonica a unire concretamente arte, cultura e musica.
Un vero e proprio tour che prende il via da Vicenza il 10 ottobre, dove arte e musica si fondono e l’artista interagisce con il pubblico in un costante dialogo. Le tappe successive saranno Napoli (25 ottobre), Torino (29 ottobre) e Milano (22 novembre).
Il musicista torinese è stato coinvolto in un meticoloso lavoro di ricerca tra le collezioni di Intesa Sanpaolo e l’Archivio Publifoto visitando le quattro sedi di Gallerie d’Italia e selezionando alcune specifiche opere pittoriche, scultoree e fotografiche individuate all’interno di un patrimonio di oltre 35.000 opere e circa 7 milioni di fotografie. Le opere e i musei stessi sono così diventati vera e propria fonte di ispirazione per la composizione di quattro opere musicali dedicate a ciascuna sede, che saranno presentate al pubblico nell’autunno in quattro concerti live in programma alle Gallerie d’Italia.
«Il progetto nasce dall’idea che una collezione d’arte non possa essere muta. Gallerie Sonore è un progetto di ‘sonificazione della collezione’ che dimostra la lungimiranza di Intesa Sanpaolo nel supportare le arti nella loro complessità. Il suono, effimero nella sua forma eppure tangibile e universale, non è un semplice accompagnamento, ma parte integrante dell’esperienza museale. Gallerie Sonore è questo, l’invito a sentire l’arte».
«La collaborazione con Davide - spiega Michele Coppola, Direttore Generale Gallerie d’Italia - nasce per scoprire il suono e raccontare la melodia delle Gallerie d’Italia, delle collezioni d’arte e di opere iconiche come la Caduta degli angeli ribelli. L’iniziativa conferma la vocazione di aprirsi alla musica, non solo ospitando concerti, performance e momenti di improvvisazione sonora. Questa tournée italiana in quattro date è un passo avanti nel dialogo tra le arti e nel contributo a scrivere la nuova definizione di museo come spazio attuale, vivo e sempre capace di sperimentare».
Questi violoncelli che cantano, che ampliano gradualmente il loro suono, sono l’anima, l’entusiasmo del poeta
Alfred Ernst
di D.P.
Il Palazzetto Bru Zane dedica per la prima volta un intero festival a uno strumento musicale, che assume un ruolo di primo piano nella Francia del XIX secolo: il violoncello.
Sette concerti e una conferenza compongono il corpus di Passione violoncello, ciclo in programma a Venezia dal 21 settembre al 24 ottobre che racconta la storia dell’evoluzione musicale di questo strumento concentrandosi su tre ambiti: il quintetto con due violoncelli, l’ensemble di violoncelli e le opere per violoncello solo accompagnato al pianoforte.
Il secolo romantico è un momento culminante nella storia del violoncello, conseguente alla grande ascesa conosciuta dallo strumento nel Settecento. L’evoluzione della posizione del pollice permette di acquisire il registro acuto dello strumento e di aumentare il virtuosismo della mano sinistra, facilitando in particolare l’uso delle doppie corde nella parte del manico più vicina al ponticello. Valorizzato dai più grandi compositori dell’epoca, lo strumento si emancipa definitivamente dal tradizionale ruolo di accompagnamento. Nasce anche una letteratura scritta da violoncellisti, che esplora i confini tecnici ed espressivi del violoncello, rivelando ad altri compositori le sue potenzialità.
La presentazione del festival è giovedì 12 settembre, seguita da un concerto per violoncello e pianoforte con Enrico Graziani al violoncello e Francesco Granata al pianoforte impegnati in estratti da opere di Bonis, Boulanger, Farrenc e Grandval.
Il quintetto con due violoncelli è protagonista del concerto d’inaugurazione del festival il 21 settembre alla Scuola Grande San Giovanni Evangelista con il Quatuor Cambini-Paris e Marion Martineau. Se il pezzo di Schubert è molto conosciuto, spesso si dimentica che la Francia ha prodotto un ricco repertorio ancora tutto da scoprire, tra cui i quintetti con due violoncelli di CharlesNicolas Baudiot e Théodore Gouvy. Questa formazione
Passione violoncello
12 settembre-24 ottobre
Palazzetto Bru Zane, Scuola Grande San Giovanni Evangelista bru-zane.com
si ritrova mercoledì 25 con il Quatuor Dutilleux e Victor Julien-Laferrière, in occasione di un concerto che ci permetterà di ascoltare l’altro quintetto con due violoncelli di Gouvy, insieme a quello di Onslow. Il secondo concerto del weekend d’inaugurazione, domenica 22, è invece incentrato sull’ensemble di violoncelli. Il corpus di partiture per questa formazione si è un po’ ampliato a cavallo del Novecento, uscendo dai confini della scuola. L’esplorazione di questo repertorio poco noto ci porterà in territori quasi sconosciuti, come le opere di Marie-Joseph Erb o di Hélène-Frédérique de Faye-Jozin, eseguite da maestri (Anne Gastinel, Xavier Phillips) insieme ai loro allievi (Lila Beauchard, Leonardo Capezzali). Sia l’ensemble di violoncelli che l’immagine commovente di trasmissione del sapere potranno essere ritrovati martedì 8 ottobre con Edgar Moreau, professore al Conservatoire National Supérieur de Musique et de Danse di Parigi dal 2023, e due suoi allievi, Gabriel Guigner e Jean-Baptiste de Maria.
Faranno parte del festival anche le opere per violoncello solo e pianoforte, che risultano altrettanto liriche e di pregio. In particolare, il concerto di giovedì 3 ottobre, interpretato da Yan Levionnois e Guillaume Bellom, testimonia l’emancipazione di uno strumento che nel secolo romantico trova il posto che gli spetta come solista. Martedì 15 ottobre Aurélien Pascal e Josquin Otal suonano rarità composte per i loro omologhi nati nell’Ottocento: Raymond Marthe, Fernand Pollain e Pablo Casals. Chiude il festival un concerto giovedì 24 ottobre con due artisti italiani di talento, Miriam Prandi e Gabriele Carcano, in un programma variegato tra opere di Claude Debussy e Nadia Boulanger, nonché la sonata di César Franck che, si dice, ispirò a Proust la famosa
Sonata di Vinteuil ne La Recherche du temps perdu
Per approfondire il tema del festival, da non perdere una conferenza giovedì 10 ottobre in collaborazione con la Fondazione Querini Stampalia di Venezia in cui
Neda Furlan parlerà dei legami tra i palazzi di Venezia e l’eredità musicale cameristica in una città dal ricchissimo patrimonio artistico e culturale.
Programma Festival a seguire
Palazzetto Bru Zane dedicates – for the first time – a whole festival to a single musical instrument, one that rose to prominence in nineteenth-century France: the cello. Seven concerts and a conference make up the programme of Passione violoncello (September 21 to October 24), the story of the instrument’s musical evolution from three points of view: cello duet, cello ensemble, and cello solo with piano accompaniment. The Romantic century is a key moment in cello history, with the greatest composers of the time emancipating it from its role of accompanying instrument.
Passione violoncello will be presented on September 12, starting with a cello and piano concert. Enrico Graziani and Francesco Granata will play music by Bonis, Boulanger, Farrenc, Grandval. Cello quintets are the main feature of the September 21 concert at Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, starring Quatuor Cambini-Paris and Marion Martineau. While Schubert’s piece is widely known, we often forget that the French cello repertoire is vast and underacknowledged. It includes, for examples, cello quintets by Charles-Nicolas Baudiot and Théodore Gouvy. Further cello quintets by Onslow and Gouvy will be played on September 25 by Quatuor Dutilleux and Victor Julien-Laferrière.
The September 22 concert will be all about ensembles. The source material comes from an expanded timeframe over the late nineteenth century and early twentieth century, with such composers as Marie-Joseph Erb, Hélène-Frédérique de Faye-Jozin, whose musice will be performed by teachers (Anne Gastinel, Xavier Phillips) and their pupils (Lila Beauchard, Leonardo Capezzali). Beautiful images of knowledge passing on through generations will also be on stage on October 8, with a concert by Professor Edgar Moreau and his students Gabriel Guigner and Jean-Baptiste de Maria.
Also in the festival’s programme are three pieces for cello solo and piano, just as fine and lyrical as the others. The October 3 concert by Yan Levionnois and Guillaume Bellom testifies the emancipation of an instrument. On October 15, Aurélien Pascal and Josquin Otal will play rare pieces from the 1800s by Raymond Marthe, Fernand Pollain, and Pablo Casals.
21 settembre h.19.30 | Scuola Grande San Giovanni Evangelista PASSIONE
Versione più confidenziale, quasi privata, della mondanità, il salotto mantiene la funzione di emulazione e di creazione del gusto per tutto il XIX secolo. È qui che il “gran genere” dell’opera viene rilanciato, ed è sempre qui che si sperimentano le formazioni strumentali più svariate. Il momentaneo entusiasmo per il quintetto con due violoncelli testimonia come l’estetica fosse cambiata, rivelando al contempo l’attrazione per il virtuosismo, reso possibile dalla presenza di un violoncello principale regolarmente trattato come solista, e il gusto per il suono prettamente romantico dello strumento. Il Quintetto di Schubert è molto conosciuto, ben noto, ma spesso si dimentica che la Francia ha prodotto un ricco repertorio ancora tutto da scoprire. Il Quatuor Cambini-Paris esegue opere per quintetto con due violoncelli di Baudiot, Franchomme e Gouvy.
ENG T he two-cello formation reveals how tasted changed and how virtuosity was given extra attention, no doubt helped by the cello’s romantic voice. The Schubert Quintet is well-known, but there’s so much more to discover in French romantic music repertoire: Quatuor Cambini-Paris will perform pieces by Baudiot, Franchomme, and Gouvy.
22 settembre h. 17 | Palazzetto Bru Zane
Inizialmente legato alle pratiche didattiche e alla necessità di proporre brani che riunissero i violoncellisti di una stessa classe (come nel caso di Jacques Offenbach o Auguste Franchomme), il corpus di partiture per ensemble di violoncelli si è ampliato a cavallo del Novecento, uscendo dai confini della scuola. Non furono insegnanti o virtuosi dello strumento a prendere in mano la penna per comporre questi brani, ma artisti alla ricerca di nuove sonorità, attraverso combinazioni strumentali rare o inedite. I violoncelli di Anne Gastinel, Xavier Phillips, Lila Beauchard e Leonardo Capezzali esploreranno questo repertorio poco noto tra territori quasi sconosciuti, come le opere di Marie-Joseph Erb (1858-1944) o di Hélène-Frédérique de Faye-Jozin (1871-1942).
ENG A g reat many cello pieces were written in the late nineteenth and early twentieth century. Not by teachers or virtuosos, but mainly by performers themselves who were looking for new sounds and possibilities in rare, unusual combination. Anne Gastinel, Xavier Phillips, Lila Beauchard, and Leonardo Capezzali will explore this often-unacknowledged repertoire.
George Onslow, che compose non meno di trentaquattro quintetti, fu acclamato ai suoi tempi per l’accademismo dello stile, la grande padronanza dell’armonia e l’aspetto erudito della sua scrittura. Diversamente da molti compositori suoi contemporanei, ammetteva apertamente il proprio debito con la musica germanica, tanto che nel 1830 Pleyel lo definì “il Beethoven francese”. Le combinazioni strumentali concepite da Onslow attirarono presto degli emulatori, tra cui addirittura Franz Schubert con il suo Quintetto D.956. Più tardi, Théodore Gouvy seguì le sue orme con sei quintetti per archi composti tra il 1869 e il 1880, ma nel frattempo l’influenza d’oltre Reno era diventata inaccettabile. Il Quatuor Dutilleux esegue le opere per quintetto con due violoncelli di George Onslow, n°21 in sol minore op. 51, e di Théodore Gouvy n°3 in re minore.
ENG George Onslow authored no less than thirty-four cello quintets, and was at the time praised for his mastery of harmony and the scholarly features of his music. Unlike most of his contemporaries, he freely acknowledged his indebtedness to German music. Quatuor Dutilleux will perform Onslow’s quintet number 21 in G-, op. 51, and Théodore Gouvy’s number 3 in E-.
3 ottobre h. 18 | Palazzetto Bru Zane
La scrittura per il violoncello subisce una rivoluzione nel XIX secolo. Distaccandosi a poco a poco dal suo uso sistematico come basso armonico, il violoncello trova presto il posto che gli spetta come strumento solista. In ambito francese, la sonata per violoncello si sviluppa ancora prima della sonata per violino, grazie a compositori che spesso sono essi stessi violoncellisti o amici di un solista rinomato. Tuttavia, bisognerà attendere la fine del secolo perché accanto alle sonate di Camille SaintSaëns si sviluppi una letteratura significativa, i cui autori seguono la strada aperta da César Franck, al pari di Léon Boëllmann e Albéric Magnard, oppure scelgono di adottare forme più libere, come Louis Vierne nei suoi Soirs étrangers
ENG C ello music was revolutionized in the nineteenth century. Gone were the days of its use for harmonic basslines, the cello earned its spot as a solo instrument. In France, cello sonatas appeared before their violin counterpart. Camille Saint-Saëns expanded greatly the number of cello pieces, followed by the work of César Franck, Léon Boëllmann, and Albéric Magnard.
ottobre h. 19.30
Le opere per più violoncelli erano estremamente rare nelle esecuzioni concertistiche del periodo romantico e vanno affrontate come un repertorio destinato al mondo dell’insegnamento. I Cours méthodiques de duos pour deux violoncelles (1839-1855) di Jacques Offenbach, allora violoncellista virtuoso, propongono una serie di duetti classificati da “molto facile” a “molto difficile”, per far dialogare due strumentisti dello stesso livello. Anche altri insegnanti di violoncello, come Auguste Franchomme (dal 1847 al 1884 al Conservatorio di Parigi) e Félix Battanchon (dal 1851 al 1861 al Conservatorio di Ginevra), scrissero pezzi per ensemble di violoncelli, per riunire i loro studenti in un’unica partitura. ENG Romantic music for multiple cellos is rare, and mostly devoted to teaching pieces. Jacques Offenbach’s Cours méthodiques de duos pour deux violoncelles (1839 – 1855) are a series of duets sorted from ‘very easy’ to ‘very difficult’. Other cello teachers like Auguste Franchomme and Félix Battanchon wrote pieces for cello ensembles, so as to have all their students play together.
15 ottobre h. 19.30 | Palazzetto Bru Zane NOTE
Poiché la tecnica strumentale è in continua evoluzione, scrivere per il violoncello richiede conoscenze molto specifiche: un compositore che non sia anche violoncellista potrebbe non sfruttare appieno le capacità dello strumento. Camille Chevillard, figlio di un violoncellista, conosce certo questi limiti, ma molti musicisti si confrontano con i virtuosi dello strumento per comporre pezzi all’altezza del loro talento. Le partiture vengono generalmente dedicate a loro, come il Lamento di Dumas a Raymond Marthe (1858-1923), le Deux Pièces di Lecocq a Fernand Pollain (1879-1955) o la Sonata di Huré a Pablo Casals (1876-1973). Aurélien Pascal al violoncello e Josquin Otal al pianoforte eseguono queste opere che rivelano non soltanto lo stile dei rispettivi compositori, ma anche quello dei loro primi interpreti.
ENG Since instrumental technique is always evolving, writing cello music requires specific knowledge. Many a composer trusted their cellist fellows to fine-tune their creations, which they often dedicated to them. A few examples: Dumas’ Lamento to Raymond Marthe, Lecocq’s Deux pieces to Fernand Pollain, and Huré’s Sonata to Pablo Casals. Tonight, Aurélien Pascal and Josquin Otal will show what we mean.
24 ottobre h. 19.30 | Palazzetto Bru Zane
La Sonata per violino e pianoforte di César Franck ha un impatto duraturo sul mondo della musica da camera a cavallo del XX secolo. Si dice che Proust ne abbia tratto l’essenza della famosa Sonata di Vinteuil della Recherche du temps perdu, ossessionato da quella «piccola frase [...] che gli aveva allargato l’anima». Nadia Boulanger nasce nello stesso anno della prima esecuzione parigina della Sonata. La compositrice si impegna a sostenere un retaggio di cui Franck fa innegabilmente parte, ma è anche segnata dalla rivoluzione di Debussy. Sottolineando l’innegabile contributo di quest’ultimo, pronuncia una frase che sembra riassumere l’eredità e l’innovazione della scuola francese di inizio secolo: «Debussy era già Debussy, mentre Brahms era ancora Brahms». Dopo il concerto di Miriam Prandi al violoncello e Gabriele Carcano al pianoforte, viene proposta una conferenza (in italiano) legata ai temi del festival.
ENG C ésar Franck’s Sonata for violin and piano had a lasting impact on chamber music. Composer Nadia Boulanger was born the year of the sonata’s premiere, and made it her life’s mission to support the heritage of such important figures as Franck and Dabussy. After Miriam Prandi’s and Gabriele Cercano’s concert, a conference (in Italian) will illustrate the Festival’s theory.
Nell’agosto del 1920, durante un soggiorno termale, Giacomo Puccini ebbe l’occasione di ascoltare un carillon con alcune melodie tradizionali cinesi, in possesso dell’amico barone Fassini ch’era stato console italiano in Cina. Alcune di esse lo colpirono a tal punto ch’egli volle integralmente riportarle nella partitura dell’opera cui stava allora lavorando, e che nella misteriosa Cina aveva proprio la sua ambientazione, Turandot. L’opera si svolge infatti a Pechino “al tempo delle favole”, e racconta i tormenti e le peripezie del principe Calaf, deciso a risolvere i tre enigmi che gli permetterebbero di ottenere la mano della crudele principessa Turandot, in un singolare intreccio introspettivo nelle coscienze in continua evoluzione dei protagonisti. Il libretto s’ispira ai precedenti adattamenti di una leggenda di origini antichissime (e probabilmente non cinesi ma persiane), che aveva conosciuto grande popolarità in Europa a partire dalla pubblicazione dell’omonima fiaba teatrale da parte di Carlo Gozzi nel 1762. La stesura appassionò particolarmente il compositore lucchese, impegnandolo soprattutto sul modo di rendere in musica le trasformazioni interiori della protagonista, la cui fredda spietatezza lascia spazio all’amore che esplode nel commosso duetto finale.
Duetto che, tuttavia, Puccini non riuscì a concludere, a causa dell’intensificarsi della malattia e del sopraggiungere della morte nel novembre 1924: fu poi l’editore Ricordi a conferire a Franco Alfano il difficile incarico di comporre un finale il quanto più possibile aderente agli appunti del maestro. Benché la redazione finale sia stata considerata dalla critica un’ottima sintesi dei caratteri espressivi propri dello stile pucciniano, essa fu ignorata nientemeno che da Arturo Toscanini, durante la prima dell’opera, il 25 aprile 1926 alla Scala, quando il direttore interruppe l’esecuzione appena dopo il verso iniziale del duetto, motivando così al pubblico la sua decisione: «Qui termina la rappresentazione, perché a questo punto il Maestro è morto». È tuttavia proprio con l’integrazione dell’Alfano che l’ultima fatica del maestro lucchese, nell’anno che segna il centenario dalla sua scomparsa, sarà messa in scena al Teatro La Fenice di Venezia dal 30 agosto al 18 settembre. L’orchestra, per l’occasione diretta da Francesco Ivan Ciampa, vedrà il proprio organico arricchito da un certo numero di percussioni inusuali, dal glockenspiel alle campane tubolari, tramite le quali Puccini ha ricercato e realizzato inedite soluzioni timbriche di particolare impatto, in grado di trasmettere le sensazioni favolistiche delle terre lontane in cui l’opera si ambienta. Nicolò Ghigi
August 1920. Giacomo Puccini was taking some time off at the baths and came across a music box of some traditional Chinese tune that belonged to his fellow, Baron Fassini, who was once consul in China. Some of the songs fascinated him to the point he wanted to integrate them wholly into his upcoming opera, which was, in fact, set in mysterious China, Turandot The scene is set in Peking in ‘legendary times’ and follows Prince Calaf’s quest for the answers to three riddles, which would allow him to marry Princess Turandot. The libretto was inspired by a very ancient legend, probably Persian and not Chinese, that popularized in Europe after a theatrical adaptation by Carlo Gozzi back in 1762. The interesting plot shows the evolution of the two protagonists’ conscience, with Turandot’s ruthlessness giving space to love in the touching final duet. Puccini gave his all to Turandot, but died shortly before completing it. His publisher, Ricordi, entrusted his pupil Franco Alfano to compose the finale, based on the maestro’s note. It is generally recognized as a perfectly apt integration (and is the version that is currently on schedule at Fenice Theatre) but none other than Arturo Toscanini, in 1926, stopped his performance right at the incipit of the final duet with the words: “We stop here, for here is where the Maestro died.”
Turandot 3, 8, 14, 18 settembre Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it
Può apparire strano, a chiunque sia avvezzo ai sottotitoli delle partiture musicali, trovarsi di fronte all’indicazione “composizione per soprano e nastro magnetico”, quale si legge in capo al breve componimento operistico La fabbrica illuminata del veneziano Luigi Nono. Non meno singolare appare la definizione di “monodramma” che accompagna l’Erwartung del viennese Arnold Schönberg, un insolito monologo di mezz’ora di un soprano solista accompagnato da una grande orchestra. Son queste le due opere che compongono il peculiare dittico in programma alla Fenice dal 13 al 22 settembre, che vuole rendere omaggio rispettivamente al centenario e al centocinquantenario della nascita dei due compositori, con un nuovo allestimento e un inedito accostamento. La fabbrica illuminata si propone di denunciare le condizioni di lavoro degli operai, attraverso la registrazione su nastro dei rumori di fabbrica e delle voci dei lavoratori dello stabilimento Italsider di Cornigliano. Per «superare l’impronta naturalistica» della mera registrazione e quella «freddamente meccanica» delle integrazioni elettroniche, Nono decise di aggiungere alcune parti per soprano e per coro (sia registrati che dal vivo), su testi del suo collaboratore Giuliano Scabia e su alcuni versi di Cesare Pavese. La voce dal vivo scandisce ed evidenzia i passaggi più drammaticamente significativi, e si mescola con il registrato fino a produrre sensazioni che il maestro stesso definì «oniriche». Erwartung (Attesa), unica opera di Schönberg a non fare uso del suo caratteristico leitmotiv, nonché brano di rara complessità strutturale, è invece il dialogo interiore di una donna in stato di apprensione, alla ricerca del suo amante, che trova infine morto. L’ansia, la rabbia, la disperazione vengono narrate dalla voce con l’ausilio delle potenzialità dell’ampio organico orchestrale, in un dramma che, secondo quanto lo stesso compositore viennese scrive nel suo Stil und Gedanke, ha lo scopo di «rappresentare al rallentatore tutto ciò che accade durante un solo secondo di massima eccitazione spirituale». Pur raccontando due mondi completamente diversi, caratterizzandosi l’uno come un vero e proprio flusso di coscienza, e l’altro come una pesante denuncia sociale, i due componimenti esprimono appieno, tanto nella materia quanto nella forma, l’impenetrabilità e le sfaccettature della sperimentazione del modernismo musicale, allorché anche la musica, insieme alla società, sembra perdere la serenità che aveva caratterizzato l’Ottocento, e volgersi inquieta alla ricerca di un nuovo senso. Nicolò Ghigi
The note “composition for soprano voice and magnetic tape” may sound odd, but those are the precise indications Luigi Nono left for his 17-minute opera La fabbrica illuminata (lit. ‘the illuminated factory’) of 1964. Also peculiar is the definition – monodram – accompanying Arnold Schönberg’s Erwartung, a half-hour monologue for soprano solo and orchestra. These two pieces are the Fenice Theatre’s programme for September 13-22. La fabbrica illuminata is a denunciation of steel mill workers’ condition that includes taped factory noise and voices. Erwartung (lit. ‘Expectation’) is the Schönberg’s only work that makes on use of Leitmotiv as well as a piece of notable structural complexity: an anxious woman looks for his lover, who in the end is found dead. Anxiety, rage, despair are connotated thanks the potential of an orchestra organ. In Style and Idea, the composer notes that Erwartung ’s aim is “to represent in slow motion everything that occurs during a single second of maximum spiritual excitement, stretching it out to half an hour”.
D ITTICO: La fabbrica illuminata & Erwartung 13, 15, 17, 19, 22 settembre Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it
Il primo premio nel 2012 al Concorso ARD di Monaco ha segnato l’affermazione nel panorama internazionale del Quartetto Armida. Fra il 2016 e il 2018 la formazione è stata New Generation Artist ed ha debuttato al BBC Proms, mentre nel 2017 il quartetto è stato Rising Stars e dal 2021 è direttore artistico ospite del Mecklenburg - Vorpommem Rügen Festival, occupandosi di tutta la programmazione concertistica della manifestazione. Fondato a Berlino nel 2006, il gruppo ospite di Musikàmera il 10 e 11 settembre con un repertorio di Mendelssohn-Bartholdy ( Capriccio op. 81 n. 3 ), Janacek ( Quartetto n. 2 “Lettere intime” VII/13 1928 ) e Schubert ( Quartetto D804 “Rosamunde” ) si è dato il nome dell’opera Armida di Haydn, studiando con i membri del Quartetto Artemis e con Rainer Schmidt del Quartetto Hagen, ricevendo sollecitazioni artistiche e interpretative da Alfred Brendel, Walter Levin, Tabea Zimmermann e Natalia Prischepenko. Formazione cameristica di grande prestigio, l’Hèsperos Piano Trio formato da Filippo Lama al violino, Stefano Guarino al violoncello e Riccardo Zadra al pianoforte arriva alla Fenice il 22 settembre per un concerto con musiche di Schubert e Shostakovic. Tra le composizioni degli ultimi anni di Schubert e, paradossalmente, non soltanto tra quelle, al Trio in mi bemolle maggiore op. 100 D929 toccò la sorte rara di essere non solo eseguito mentre l’autore era ancora in vita, ma anche di venir pubblicato prima della sua morte.
Il sodalizio tra i tre musicisti, forte di uno spontaneo e naturale affiatamento, è basato sulla condivisione di percorsi di vita musicale molto diversi ma convergenti, che comprendono una ricca rete di esperienze solistiche, cameristiche, orchestrali e didattiche di livello internazionale.
Fondato nel 2003 da Annette von Hehn (violino), Stefan Heinemeyer (violoncello) e Thomas Hoppe (pianoforte), Atos Trio è oggi una delle formazioni tedesche più apprezzate dalle grandi stagioni concertistiche di tutto il mondo, come il pubblico di Musikamerà potrà verificare di persona il 15 e 16 ottobre prossimi ascoltandoli impegnati nell’Integrale dei trii di Mendelssohn, Schumann e Brahms.
Musikàmera 10, 11, 22 settembre; 15, 16, 22 ottobre Teatro La Fenice www.musikamera.org
Anche quest’anno il Teatro Filarmonico di Veronica, in occasione della XXIII edizione della Rassegna internazionale di musica classica Il Settembre dell’Accademia, vede esibirsi sul proprio palco alcune delle più prestigiose orchestre mondiali. Il Festival costituisce il culmine dell’intensa attività culturale annuale dell’Accademia Filarmonica di Verona, che, fondata nel 1543, è la più antica accademia musicale d’Europa.
La rassegna si apre l’8 settembre con le musiche della Mahler Chamber Orchestra, reduce da tanti successi internazionali, con la partecipazione della soprano austro-inglese Anna Proaska: l’evento veronese costituisce l’unica tappa italiana del progetto New Worlds, il cui cuore è rappresentato dalla Sinfonia Dal nuovo mondo del compositore boemo Antonín Dvorˇák, una delle più celebri pagine sinfoniche dell’ultimo Ottocento in cui le suggestioni delle musiche dei nativi americani e degli afroamericani, filtrate attraverso la sensibilità europea del compositore, propongono all’ascolto un inedito incontro di diverse civiltà e tradizioni musicali.
La serata successiva il 13 settembre vede protagonista la Cappella di Stato di Dresda, una delle più antiche orchestre del mondo, fondata nel 1548, e che vantò tra i suoi direttori nientemeno che Wagner e Strauss, e da quest’anno diretta da Daniele Gatti, tre volte vincitore del premio “Franco Abbiati”, che la guida nell’esecuzione dell’enigmatico poema sinfonico Verklärte Nacht, visionario e inquieto capolavoro di un giovanissimo Arnold Schönberg, in cui le sensazioni tardoromantiche si fondono alle prime innovative ricerche sulla libertà armonica.
Sarà sul palco del Filarmonico anche l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, mentre le pagine anticonformiste di Cajkovskij e Béla Bartók costituiscono il fulcro dell’esibizione della Sinfonica di Vienna e dell’acclamata pianista russa Anna Vinnitskaya.
Infine, la misteriosa, monumentale e apocalittica Sinfonia n. 8 di Anton Bruckner, a buon titolo definita “la corona della musica del XIX secolo”, è affidata all’Orchestre de Champs-Elysées, dedita all’interpretazione con strumenti d’epoca, e al suo storico direttore Philippe Herreweghe. Le potenzialità sonore della sinfonia, che si sprigionano nella coda ove risuonano insieme sovrapposti i temi di tutti e quattro i precedenti movimenti, costituisce il gran finale di un festival che presenta anche quest’anno un cartellone di gran pregio e di altissima caratura internazionale. Nicolò Ghigi
I l Settembre dell’Accademia 8, 13, 18, 22, 29 settembre Teatro Filarmonico-Verona www.accademiafilarmonica.org
Il teatro mi ha formato e mi ha scosso… Sono un attore. Il teatro mi ha educato all’arte e alla vita.
La direzione del mio programma Teatro sarà tracciata dalla mia formazione personale. Una sorta di esplorazione dell’essenza del corpo
di F.D.S.
Alla notizia della nomina, da parte del Consiglio di Amministrazione della Biennale presieduto da Pietrangelo Buttafuoco, di Willem Dafoe a nuovo direttore artistico di Biennale Teatro per il 2025 e il 2026, non c’è stata da parte degli addetti ai lavori e degli appassionati nessuna considerazione che non sia stata anticipata dalle stesse dichiarazioni ufficiali di Dafoe. Il quale ha ammesso di essere perfettamente consapevole di dovere la sua notorietà al cinema, e non al teatro, ma di essere nato in teatro, di essere stato “formato e scosso dal teatro”, e di sentirsi “un animale da palcoscenico”. In effetti, avremmo subito dopo scoperto che Dafoe già a 22 anni, nel 1977, è stato tra i fondatori del The Wooster Group, compagnia di teatro sperimentale estremo con sede a New York, e fucina di numerosi altri artisti poi destinati a luminose carriere in ambiti diversi, quali Trisha Brown, Richard Foreman, John Lurie, Frances McDormand. Ma prima ancora, a 19 anni, era entrato nel gruppo d’avanguardia Theatre X, che allora si ispirava al Living Theatre e a Grotowski, con il quale aveva recitato in una pièce di Peter Handke, Insulti al pubblico, e partecipato a numerose tournee, anche in Europa, dove aveva recitato in uno dei teatri a quel tempo più famosi, il Mickery Theatre di Amsterdam. E la sua frequentazione del teatro non si limita al periodo professionale precedente al cinema (il suo primo film è Heaven’s Gate di Michael Cimino, uscito nel 1980, e famoso per aver provocato il collasso della Universal, la casa di produzione), ma prosegue anche dopo la fama cinematografica con partecipazioni importanti a regie di Richard Foreman, Bob Wilson e Romeo Castellucci. Quanto all’attore, quello che colpisce nella filmografia di Dafoe è la sua estrema duttilità, la flessibilità con cui interpreta ruoli così diversi in film così diversi, come, poniamo, Siberia di Abel Ferrara e, l’anno dopo, The French Dispatch di Wes Anderson, mettendo al servizio di entrambi la sua recitazione raffinata, sospesa, oscillante tra Male e Bene (proprio come il dottor Godwin “God” Baxter da lui interpretato in Povere creature! di Yorgos Lanthimos). Ma questa caratteristica di poter impersonare grandi villain oppure eroi alla ricerca della redenzione finale è presente fin dall’inizio della sua carriera, quando nel 1985 impersona il sergente Elias Grodin in Platoon di Oliver Stone, illuminato angelo di rettitudine nell’inferno del Vietnam, e, subito dopo, quell’autentico genio del male che è Eric Masters nel capolavoro di Friedkin Vivere e morire a Los Angeles. E i grandi registi si innamorano spesso di Dafoe, di quel suo equilibrio corporeo, di quei gesti di controllato understatement, di quel volto scavato e di quel corpo glabro e nervoso: Paul Schrader, Abel Ferrara, Sam Raimi con la saga di Spider Man, Lars von Trier, Wes Anderson e, da ultimo, Yorgos Lanthimos. La scelta di Dafoe come direttore di Biennale Teatro è forte e insieme rassicurante all’interno di un percorso di rafforzamento delle discipline di minore impatto mediatico della Biennale. C’è forse bisogno di una spinta verso una maggiore visibilità di certi momenti, senza ovviamente venir meno all’elevato e costante livello qualitativo dei programmi, che è sempre stata la cifra principale delle Biennali degli ultimi anni. È certo che Dafoe metterà in questo suo nuovo ruolo tutto l’impegno e la serietà professionale che l’hanno sempre contraddistinto come attore. È possibile che, sotto la sua la direzione, assisteremo verosimilmente a programmi orientati ad un “teatro del corpo”, di genere performativo, lontano dalle grandi meta-narrazioni, perché a queste sorgenti l’artista si abbeverò nella fase della sua formazione. È auspicabile che una quota cospicua dell’impegno progettuale ed organizzativo venga orientata alla realizzazione di qualche evento ad alta visibilità, senza nulla togliere alla missione di Biennale di fare scouting e promozione dei soggetti artistici più innovativi e creativi. Dopotutto, l’anno scorso, per Biennale Musica arrivò Brian Eno e per due serate la Fenice fece sold out
As soon as we learned of Willem Dafoe’s nomination as art director for the 2025 and 2026 Venice Theatre Biennale, nobody had any consideration that Dafoe didn’t address right after his acceptance. He admitted he is perfectly aware he owes his fame to cinema, not theatre, but he also stated that he has been “shaped and shocked by theatre” and that he feels a “stager animal”. In fact, we learned that in 1977, 22-year-old Willem Dafoe co-founded the Wooster Group, an experimental theatre company based in New York where future talents of stage and screen cut their teeth: Trisha Brown, Richard Foreman, John Lurie, Frances McDormand. Even earlier than that, aged merely nineteen, Dafoe was part of Theatre X, and toured Europe with them.
Willem Dafoe didn’t abandon theatre after his first few big roles in film, either. Even with a well-established film career underway, he worked on stage with Richard Foreman, Bob Wilson, Romeo Castellucci.
As an actor, what is prominent in his performances is versatility and flexibility. Such diverse roles in such diverse features, like Abel Ferrara’s Siberia or, a year later, Wes Anderson’s The French Dispatch. In both, we admired his refined acting, suspended between Good and Evil. We saw that in his performance as Godwin God Baxter in Yorgos Lanthimos’ Poor Things. Dafoe’s love for great villains or heroes looking for final redemption is a constant in his career: think about his role as Elias Grodin in Oliver Stone’s Platoon, an enlightened angel of integrity in the living hell of ‘Nam, or as authentic evil genius Eric Masters in William Friedkin’s To Live and Die in L.A.
Great filmmakers love Willem Dafoe, his corporeal balance, his controlled understatement, his gaunt face, his smooth, nervous body. Paul Schrader, Abel Ferrara, Sam Raimi, Lars von Trier, Wes Anderson, Yorgos Lanthimos. Dafoe’s pick as art director of the Venice Theatre Biennale is a strong one, and a reassuring one, too. It reassures that the Biennale is investing their resources in the disciplines that enjoy a lesser mediatic impact — Dance, Music, and Theatre viz. Art, Architecture, and Cinema. What we need is a stronger push for visibility without compromising the quality of the programmes, which has been the Biennale’s signature move over the last several years. What is certain is that Willem Dafoe will give his all in terms of commitment and professionalism. It is possible that, under his tenure as art director, we will be seeing programmes oriented towards ‘body theatre’ of performative kind, far from the big meta-narrations. We are looking forward to seeing high-visibility and high-impact programmes, all the while appreciating Biennale’s commitment in scouting and promoting artistic subjects of the most innovative and creative kinds.
Molto appropriato il titolo dello spettacolo che Valerio Cappelli, giornalista e scrittore, porta in scena al Teatro Malibran il 12 settembre: Gli occhiali di Šostakovicˇ , con protagonista Sergio Rubini. Da un lato richiama il tratto più caratteristico del compositore, gli occhiali dalla scura montatura con le spesse lenti da miope, dall’altro l’ambizione dichiarata di voler mostrare la sua vita senza filtri costrittivi e ideologici, ma neppure celebrativi. Un uomo apparentemente semplice, costretto a guadagnarsi da vivere in tempi difficili per un intellettuale musicista. Dmítrij Dmítrievicˇ Šostakovicˇ nasce a San Pietroburgo nel 1906, da famiglia borghese con madre pianista. Le sue prime composizioni risalgono già al 1915. Bambino prodigio al conservatorio, è poi però costretto dalla morte del padre a lavorare nei cinema accompagnando al piano i film muti in sala. Il cinema fu sicuramente una sua passione, innumerevoli le colonne musicali da lui scritte, che per anni furono la sua reale fonte di sostentamento economico. La sua autobiografia del 1927 descrive molto bene questo periodo. Contraddittori i rapporti con Stalin, che talvolta lo difese nelle beghe della Lega dei compositori sovietici, ma non mancò di criticarlo aspramente nel 1936, dopo la rappresentazione al Bolshoi dell’opera Lady Macbeth dedicandogli addirittura un articolo Caos invece di musica. Con Stalin non si scherzava e Šostakovicˇ si inchinò sempre ai voleri del dittatore. Inattendibile la biografia a cura di Solomon Volkov, che, edita negli Stati Uniti nel 1979, mostra un compositore fieramente oppositore del regime. Negli anni ‘60 prese la tessera del Partito Comunista e venne eletto membro del Soviet Supremo. Venezia potrebbe ricordare la rappresentazione di Lady Macbeth nel 1960. Dopo le proteste del Patriarca e di Andreotti per alcune scene giudicate scandalose, nella seconda serata parte dell’opera venne eseguita a sipario chiuso. Ma fu anche lo Šostakovicˇ che restò affascinato dai musical a Broadway (in particolare da Il violinista sul tetto ) o che compose la sua Quattordicesima Sinfonia (1970) con strumenti davvero inusuali per quei tempi. La pièce teatrale penetra in questi mondi apparentemente contraddittori. L’attore Sergio Rubini, che è anche valente regista e sceneggiatore, ben sa rendere questi variegati aspetti della personalità del compositore russo. Non mancheranno le musiche originali registrate, in primis la famosa Settima Sinfonia, che nel 1942 venne rappresentata nell’allora Leningrado assediata e leggenda racconta che perfino l’esercito tedesco cessasse gli attacchi per poterla ascoltare. Loris Casadei
A very well chosen title for Valerio Cappelli upcoming show at the Malibran Theatre, due September 12: Gli occhiali di Šostakovicˇ, (lit. ‘Shostakovich’s spectacles’). On one side, a reference to the short-sighted composer’s signature thick lenses in dark frames, on the other, the ambition to show Shostakovich’s life with no constrictive ideological filters. An apparently simple man forced to make ends meet as a composer in very difficult times for a musician and intellectual. Born in Saint Petersburg in 1906, he authored his first compositions as early as 1915. The child prodigy lost his father as an adolescent, and had to take a job accompanying silent movies at the piano. Dmitri Dmitriyevich loved film, was part of the Soviet intelligentsia, and shocked Venice with his Lady Macbeth in 1960. Actor Sergio Rubini, also an appreciated director and dramatist, will beautifully render all these different faces of the Russian composer.
G li occhiali di Šostakóvicˇ
12 settembre Teatro Malibran www.teatrolafenice.it
Da qualche tempo, nei pressi del Teatro Goldoni si aggira un banditore a cavallo. Indossa un cappello a tricorno, ha le guance incipriate e il suo destriero poggia su due gambe sole. Di sera, lo si vede trottare verso i mari di gente che affollano le calli e, accanto ai passanti affranti dal caldo, pare quasi un miraggio mentre esclama a gran voce: «Entrate signori, allo spettacolo della città di Venezia!». Così, nel viavai quotidiano, ha inizio il sogno di Titizè, opera con cui la compagnia Finzi Pasca rende omaggio alla città anadiomene (di dannunziana memoria) in occasione del lancio internazionale del Teatro Goldoni, il più antico tra i teatri moderni tutt’ora in attività, che dopo il recente restauro ha aperto i battenti a un’inedita stagione estiva.
Scritto e diretto da Daniele Finzi Pasca in collaborazione con la Fondazione del Teatro Stabile del Veneto, lo spettacolo intende riflettere l’ondivaga e ineffabile natura della Laguna ricorrendo a un linguaggio universale, quello dei corpi in movimento di clown, ballerini e acrobati che, affrancati dal peso della parola, si librano sul palcoscenico dipingendo visioni di una Venezia sospesa tra incanto e realtà. Accolto l’invito del bizzarro banditore, entriamo dunque in sala. Sul teatro aleggia una nebbia densa, rivoli d’acqua volteggiano dietro le quinte e suoni di onde e cicale riportano alla mente l’atmosfera delle placide notti lagunari. Al buio, quasi non si nota la piccola folla a cavallo che pian piano inonda la platea galoppando in direzione del palco, dove nel frattempo ha fatto capolino una chiassosa banda di Pulcinella. In mezzo al trambusto, un ragazzo in jeans si leva improvvisamente dal pubblico, corre verso il gruppo e si tuffa contro la struttura in metallo al centro della scena, esibendosi in mirabolanti acrobazie capaci di mozzare il fiato al teatro intero. Poi calano nuo-
vamente le luci e un corteo di dame imparruccate fa il suo ingresso sulle stridenti note del violino, inscenando un valzer aereo che pare strappato dai soffitti del Tiepolo.
Da qui, sul palco si alternano personaggi grotteschi e creature fantastiche, sirene e marinai, fate e giocolieri, che vagando liberamente nello spazio e nel tempo accompagnano lo spettatore dai fumosi boudoir settecenteschi all’euforia del Carnevale fin sulle spiagge di Morte a Venezia, quando il Lido si chiamava ancora Isola d’Oro. Nessuna trama, nessuna struttura narrativa se non quella data dalle immagini delicate e oniriche costruite per libera associazione, arricchite dalle musiche emozionali composte da Maria Bonzanigo e dalle spettacolari scenografie marine di Hugo Gargiulo. Nei panni di un moderno Morfeo, Finzi Pasca costruisce così un festante carosello, in cui quadri pittoreschi vorticano senza soluzione di continuità offrendo al pubblico locale e internazionale l’occasione di immergersi in prima persona nell’essenza di Venezia. D’altronde, proprio sul concetto di partecipazione fa leva il titolo Titizè, in veneziano, “tu sei”, che – citando l’autore – con la sua evocativa sonorità richiama l’attenzione sul potere del verbo essere, sottolineando l’universalità di un’esperienza immaginata per coinvolgere intimamente un pubblico eterogeneo e di ogni età.
Titizè non è dunque solo un omaggio alla Laguna, ma un promemoria di come l’arte possa trasformare il quotidiano in straordinario, ricordandoci che ogni luogo, come ogni vita, ha il suo momento di poesia da svelare. E proprio in una città afflitta dal fenomeno dell’overtourism, dove l’incanto rischia di svanire sotto il peso della folla incessante, questo spettacolo diviene un invito a riscoprire Venezia con uno sguardo più intimo e sensibile: non semplice sfondo di una foto, ma spazio vivo, da preservare nella sua essenza più autentica. Adele Spinelli T itizè. A
Torna per la quarta edizione Venere in Teatro – Festival di danza, accolto dal 10 al 22 settembre negli spazi di Forte Marghera, dove la manifestazione è nata grazie all’impegno dell’associazione curatrice Live Arts Culture, che nel 2024 celebra i dieci anni dalla sua costituzione. Non a caso il sottotitolo di questa edizione del Festival è Goccia a goccia, ad evocare poeticamente il continuo e progressivo lavoro che la crescita di un progetto richiede. Il tempo fa dunque da cornice a questa Venere che, attraverso i lavori di coreografi e performer, intende riflettere su temi quali mito, rito, materia, trasformazione, lutto, nascita, ritmo.
In collaborazione con Università Ca’ Foscari, il Festival si inaugura al polo scientifico di via Torino con un happening di danza verticale di Vertical Waves Project: DIECI, un doppio evento celebrativo, una doppia festa per i dieci anni di Live Art Culture e del Campus universitario (10 settembre). La serata prosegue al Teatro del Parco di Mestre con la straordinaria voce di Mariangela Gualtieri del Teatro Valdoca e il suo rito sonoro Il quotidiano innamoramento
Dall’11 al 15 e dal 18 al 22 settembre si susseguono le serate performative negli spazi di Forte Marghera: 12 giorni, 21 performance, 1 progetto speciale, 22 formazioni artistiche invitate, un laboratorio di 4 giorni, 2 concerti, 3 talk, installazioni di screendance aperte a tutti, una passeggiata performativa e 4 dj set. Tra i nomi più noti del panorama nazionale e non solo, la compagnia Enzo Cosimi presenta Coefore Rock&Roll (12), seconda tappa del progetto ORESTEA. Trilogia della Vendetta : un concerto performance site-specific con la partecipazione dell’icona della club culture e romana e internazionale Lady Maru. Onde (19) della coreografa Simona Bertozzi parte dal celebre play-poem di Virginia Woolf The Waves e prende forma attraverso una pratica performativa, co-
reografica e musicale che si apre a un presente di corpi protesi e fluttuanti tra estasi, guizzi animali e curvature verso l’evanescenza. Gruppo Nanou propone una rilettura di Paradiso (20) all’aperto, in un giardino, ponendosi in dialogo con l’ambiente naturale. Questa reazione delicata e contemplativa all’ambiente circostante modifica i termini di una relazione artistica, mirando alla creazione di un’opera totale e ibrida che permette l’emersione di effimere visioni.
E ancora Claudia Caldarano, Chiara Ameglio, Collettivo Munerude, Perypezye Urbane sono quattro diverse realtà nazionali che porteranno rispettivamente la danza con la musica dal vivo, la danza vicino al pubblico, la forza del collettivo e un’indagine sull’intelligenza artificiale.
Tra gli ospiti internazionali, Cie Bittersweet, giovane compagnia francese selezionata grazie alla collaborazione con Operaestate Festival (14), con Signe-moi l’éphémère sulla caducità del momento, la natura effimera della vita e la fragilità dei ricordi. Baptiste Cazaux (15) al grido di Gimme a break!!! coinvolge il pubblico in una performance solista che assume la forma narrativa di una meditazione guidata su musica veloce, rapidamente distorta da un momento di danza hardcore. L’artista maltese Angela Bettoni (19) in B a l m esplora una connessione lenitiva, profumata e ristoratrice; quel tipo di connessione che crea sicurezza e fiducia affinché un’anima possa rivelarsi ed essere accolta con rispetto da un’altra anima. Dall’Olanda, il duo gemneye, composto Irina Baldini e Emily Welther, presenta la performance sonora Through a Portal (20), mentre la danzatrice canadese di stanza in Germania, Maia Joseph nel solo The Other (21) cerca di superare le ripercussioni dell’internalizzare le voci di tanti, mentre fatica ad ascoltare la propria. All’artista sudafricano Tiran Willemse l’onore di chiudere il Festival il 22 settembre con Blackmilk, che interviene sulla rappresentazione della mascolinità nera con i mezzi della performance e la apre a una diversa complessità e sensibilità, che il coreografo descrive come “malinconia maschile nera”. C.S.
Per le persone di una certa generazione, Marco Paolini è il volto e la voce che le ha guidate attraverso alcune delle vicende più note e terribili della storia italiana contemporanea – troppo piccoli per comprenderle nel momento in cui accadevano, è stato proprio lui a farle scoprire, con racconti-denuncia – Ustica, il Vajont – che sono diventati momenti indelebili di teatro-televisione. Ad ottobre, solo al Teatro Goldoni, è possibile recuperare un altro grande titolo del suo repertorio, che, come nella migliore tradizione paoliniana, nel tempo è diventato opera multimediale: un monologo teatrale, uno spettacolo televisivo, un libro, persino un CD. È quel capolavoro de Il Milione. Quaderno veneziano, oggetto di una memorabile diretta Rai dal bacino dell’Arsenale nel 1998, ora di nuovo in scena in apertura della Stagione di prosa per celebrare i 700 anni dalla morte di Marco Polo.
È la storia, in bilico tra acqua e terra, di Campagne (“oltre il ponte, tutte …”) uomo di terraferma, in barca con Sambo, vogatore alla veneta. È il racconto di una città costruita sull’acqua e dei suoi milleseicento anni di storia, dei popoli che l’hanno abitata, delle grandi opere che l’hanno tenuta in vita strappandola al fango e di quelle che la stanno minacciando. È un intreccio di storie antiche e contemporanee, seguendo arabeschi da tappeti orientali e strani personaggi: abusivi di terra e di mare, turisti di ogni parte del mondo, comitati anti-sfratti, ma anche cavallini di Murano mutilati, cormorani troppo pesanti per decollare, piccioni ‘fatti’, gabbiani monogami. È il tentativo di dar dignità agli sforzi di chi ha deciso di continuare ad abitare nella città più scomoda d’Italia – un pensiero che era vero nel 1998 ed è cento volte più vero oggi. È un omaggio agli esploratori piccoli e grandi, quelli che attraversando isole, paesi, mercati e caravanserragli arrivano fino in Cina, ma anche quelli che superano “la linea Maginot” dei centri commerciali che separa Venezia dal resto del mondo. È un ponte fra “nostrani” e “foresti”, gettato tra uomini che si riconoscono per la patria d’adozione, quella a cui hanno deciso di dedicare i loro sforzi e il loro lavoro. Chi non l’ha mai visto, troverà ne Il Milione un monologo musicale e appassionato che attraversa tutta la storia di Venezia, una dichiarazione d’amore alla cittàisola che intreccia risate e commozione; chi già lo conosce, si stupirà di fronte alla prepotente modernità di parole vecchie di trent’anni eppure attualissime: «Il turismo è industria pesante: obnubila il cervello, cancella la coscienza e l’identità collettiva di una città». È un viaggio tortuoso, un avanti e indietro per provare a raccontare la complessità di Venezia – d’altra parte, dice lo stesso Paolini/Marco Polo sul palco, «non ho mai pensato che nella vita per procedere si debba andare in linea retta». Livia Sartori di Borgoricco
I l Milione. Quaderno veneziano 23-27 ottobre Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it
Non poteva esserci apertura più scoppiettante per la stagione di prosa del Teatro Toniolo di Mestre, che sceglie di riaprire al pubblico portando sul palco i 25 ballerini e acrobati del Circus-Theatre Elysium di Kiev impegnati in Alice in Wonderland Reloaded, adattamento scenico avveniristico ed esaltante dell’omonimo romanzo di Lewis Carroll del 1865 ad opera di Yuliia Sakharova e Oleksandr Sakharov. Uno spettacolo multiforme, sofisticato e spumeggiante, che mescola circo contemporaneo, ginnastica acrobatica, recitazione e danza. Alice – in questa versione, arricchita di una linea narrativa più romantica, alla ricerca di un Principe Azzurro – intraprende un viaggio tra colori, forme e melodie incalzanti, lungo il quale incontra i personaggi iconici della storia di Carroll: il Cappellaio Matto, il Bianconiglio, Il Gatto del Cheshire, la Regina di Cuori e la Regina Bianca, di volta in volta acrobati, danzatori, pattinatori, trapezisti, in movimento su una coinvolgente colonna sonora e avvolti in splendidi e mutevoli costumi. Senza voler professare aderenza filologica al testo inglese originale, il senso dello spettacolo è quello di restituire appieno la dimensione onirica e fantastica del mondo in cui Alice si trova catapultata e degli incontri che fa. Affascinanti effetti di luce e scenari tridimensionali, proiettati su grandi schermi a led, amplificano l’effetto di questo spettacolo di nuovo circo (adatto a tutte le età) protagonista di una serrata tournée che l’ha portato nei teatri d’Europa.
Livia Sartori di Borgoricco
A lice in Wonderland Reloaded 22-27 ottobre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
Dal 20 settembre al 20 ottobre, Vicenza accoglie la 77. edizione del Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico, uno dei festival teatrali più prestigiosi e longevi, che ha sede nel “luogo sacro” palladiano, il teatro coperto più antico del mondo. Sotto la direzione di Ermanna Montanari e Marco Martinelli, la rassegna offre un intenso programma di opere che esplorano temi universali attraverso il prisma della classicità, rendendo omaggio a grandi autori e adattando le loro opere al contesto contemporaneo.
L’inaugurazione del Festival si tiene il 20 e 21 settembre con una prima nazionale diretta da Theodoros Terzopoulos, L’Oresteia, una trilogia di Eschilo che affronta i complessi temi della giustizia e della vendetta in un contesto di tensioni politiche e sociali ad Atene nel 458 a.C. La storia narra il drammatico ritorno di Agamennone, re dei Greci, dopo la guerra di Troia. Tuttavia, il suo arrivo segnerà il suo tragico destino, poiché sarà ucciso dalla moglie Clitennestra. Questo evento scatenante porterà alla vendetta di Oreste, figlio di Agamennone, che si ritroverà a dover affrontare il peso di una maledizione familiare. Attraverso il dramma, Eschilo esplora il tema della giustizia, culminando nell’istituzione del tribunale dell’Areopago da parte di Atena, che simboleggia la speranza di una riconciliazione e la fine del ciclo di vendetta.
Successivamente, dal 27 al 29 settembre, il festival presenta Canto di Edipo, un’opera che si propone di indagare la tragedia nella sua accezione contemporanea. Questo spettacolo si interroga sulla necessità di ricostruire un sapere collettivo attorno al mito di Edipo, uno dei più iconici della tradizione greca. In un contesto di crisi sociale e culturale, la figura di Edipo diventa simbolo di ricerca di conoscenza e auto-riflessione. Attraverso il suo viaggio alla scoperta della verità, Edipo sfida le sue paure e i suoi demoni, scoprendo una nuova luce interiore che lo guida verso la comprensione di sé
77. Ciclo di Spettacoli Classici
20 settembre-20 ottobre Teatro Olimpico-Vicenza
www.tcvi.it
stesso e del suo destino. Lo spettacolo è una versione site-specific di Tragùdia, il nuovo progetto artistico del regista Alessandro Serra. La messa in scena, è ideata appositamente per il Teatro Olimpico di Vicenza, oltre che a pochi oggetti e ai costumi vede protagonisti i due elementi qualificanti il tragico: il canto e la danza.
L’11 ottobre è la volta di Pluto, l’ultima commedia superstite di Aristofane, che affronta l’ingiustizia sociale e la distribuzione delle ricchezze. La trama ruota attorno a Cremilo, un contadino che, seguendo un oracolo, decide di curare Pluto, il dio della ricchezza, restituendogli la vista. Questo atto “rivoluzionario” ha l’obiettivo di portare abbondanza e giustizia ai giusti, contrastando il potere dei malfattori. Con il suo stile ironico e pungente, Aristofane mette in luce le contraddizioni della polis ateniese, creando un’opera che risuona ancora oggi. Sotto la direzione di Martinelli, il lavoro si arricchisce con le improvvisazioni di sessanta giovani attori, napoletani e vicentini, rendendo la commedia fresca e coinvolgente. Infine, il 15 e 16 ottobre, va in scena Elettra di Hofmannsthal, un’opera che rielabora il mito eschileo nel contesto culturale della Vienna a cavallo tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900. Con Federica Rosellini e Arianna Scommegna nei ruoli principali, la regia di Serena Sinigaglia sonda il complesso legame tra Elettra, il padre assassinato e Clitennestra. La rappresentazione mette in evidenza come la vendetta possa distruggere chi la persegue, ponendo interrogativi sulla scelta tra vendetta e vita. Al contempo, si affronta il tema dell’autodeterminazione femminile attraverso la figura di Clitennestra, una donna che si confronta con il peso delle sue azioni e le conseguenze delle sue scelte. Questo 77° Ciclo di Spettacoli Classici non è solo un tributo alla tradizione teatrale, ma un’opportunità per riflettere su temi universali come giustizia, identità e il ruolo delle donne nella società contemporanea. Una rassegna che invita il pubblico a riscoprire il potere delle storie classiche, rendendole vitali e rilevanti per le sfide del mondo moderno. Con uno sguardo sempre attento alla tradizione e uno sguardo proiettato verso il futuro. Katia Amoroso
Intervista
Emanuela Evangelista | Premio Campiello Natura
Mi sono ispirata a due grandissimi romanzi, La mia Africa di Karen
e Ebano di Ryszard
Kapuscinski, perché in entrambi i casi trasmettevano emozione accanto a informazioni vere, precise, che erano nel loro insieme il resoconto della vita in quelle terre lontane...
di Elisabetta Gardin
Emanuela Evangelista è la vincitrice della seconda edizione del Premio Campiello Natura con il libro Amazzonia. Una vita nel cuore della foresta, edito da Laterza. Il Premio, nato dalla collaborazione tra Fondazione Il Campiello e Venice Gardens Foundation, presieduta da Adele Re Rebaudengo, è un importante riconoscimento alla letteratura legata alle tematiche ambientali, a quelle opere che esprimono un dialogo profondo e rispettoso con la natura, in cui vengono trattati temi cruciali come la tutela della biodiversità e la sostenibilità ambientale, argomenti di fondamentale importanza in un’epoca in cui l’ambiente è gravemente minacciato.
Biologa e attivista ambientale, Emanuela Evangelista da quasi venticinque anni svolge la sua attività di ricerca in Amazzonia, dove si è trasferita a vivere stabilmente dal 2013, precisamente a Xixuaú, villaggio di palafitte nel cuore della foresta.
Nel suo libro racconta la vita nella foresta amazzonica, luogo bellissimo e fragile, vulnerabile e cruciale per gli equilibri del Pianeta, dove si trova la più alta concentrazione di forme di vita della terra, esplorandone non
solo la biodiversità, i corsi d’acqua, le piante, la vita delle popolazioni indigene, ma anche le sfide quotidiane e tutti i pericoli che la minacciano come la deforestazione, la siccità, le speculazioni, il bracconaggio, il degrado, il surriscaldamento globale. Amazzonia. Una vita nel cuore della foresta è un invito a un impegno concreto per la salvaguardia del polmone verde del Brasile, per la sua conservazione, per il rispetto delle biodiversità, un invito a sperimentare una maniera più sostenibile di vivere in piena armonia con la natura. La Giuria dei Letterati del Premio Campiello ha motivato la sua scelta con la seguente dichiarazione: «Il libro di Emanuela Evangelista è un’appassionante e documentata testimonianza dello stato presente della più grande foresta del mondo: un polmone o un cuore che con il suo respiro o con la sua pulsazione alimenta tutto il pianeta (anzi, il bioma) e che tutto il pianeta ha la responsabilità di sottrarre alla catastrofe cui oggi è esposto. Il pericolo della deforestazione e dell’uso irresponsabile delle risorse naturali sono denunciati in questo libro con l’obiettività della scienziata e con la passione dell’attivista, che dà la parola non solo ai dati misurabili ma anche all’autocoscienza, sempre maggiore negli ultimi anni, delle genti che abitano queste terre, in un reportage che merita di essere letto e meditato».
Il 21 settembre a Venezia riceverà da Adele Re Rebaudengo, Presidente della Venice Gardens Foundation, il Premio Campiello Natura.
Qual è stato il suo primo pensiero quando le hanno annunciato la vittoria?
È stato un pensiero di gratitudine, di soddisfazione e devo dire anche di grande allegria pensando che questo lavoro potrà rafforzare il messaggio che desideravo trasmettere. Questo Premio così importante potrà amplificarlo e farlo arrivare lontano.
Da più di dieci anni vive in un villaggio nel cuore dell’Amazzonia: cosa l’ha portata là e come si è integrata con la popolazione locale? Come si svolge la sua vita in luogo così remoto e straordinario, qual è la percezione del tempo?
All’inizio, venticinque anni fa, sono andata in Brasile per svolgere una ricerca scientifica particolare. Stavo studiando una specie di mammifero acquatico che vive là, la lontra gigante, i locali la chiamano “lupo del fiume”, e in effetti come i lupi vive in branchi. Negli anni questa specie è stata oggetto di una caccia feroce per farne pellicce. Moltissimi esemplari sono stati sterminati, i sopravvissuti si sono rintanati nelle zone più remote, così anch’io mi sono inoltrata nel cuore della foresta. Più avanti il mio interesse si è spostato altrove, o meglio, si è ampliato. Ho il privilegio di vivere l’Amazzonia ancora integra. Sono stata accolta benissimo, sono molto legata a questi luoghi e ho rapporti di amicizia con la popolazione locale. Vivo in una palafitta, la vita inizia procacciandosi il cibo. L’alimentazione naturalmente è una parte essenziale della vita e lì si basa su caccia e pesca, gli abitanti della zona non sono infatti coltivatori. La vita si svolge seguendo i ritmi naturali, tutto è scandito dal ciclo del giorno e da quello della notte, dodici ore di luce e dodici ore di buio. Parallelamente è fondamentale il ritmo delle stagioni, soprattutto di
quelle idrologiche. Il livello dei fiumi non è stabile mai, salgono e scendono di dieci metri trasformando il paesaggio. Si passa dalla stagione dell’acqua alta alla stagione della siccità, il che influenza tutte le attività, la sopravvivenza stessa. Vi è una stagione in cui si raccolgono le noci, una in cui si pesca e così via, bisogna rispettare e assecondare questi ritmi.
Ci racconti la foresta: perché la conservazione delle sue risorse, della sua biodiversità sono così fondamentali per la salvaguardia dell’intero Pianeta?
Prima di tutto devo precisare che questa foresta, questa regione –il termine esatto è bioma – è enorme, è grande una volta e mezza l’Unione Europea, parliamo quindi di un’estensione gigantesca, dove è inevitabile esistano tante realtà diverse. Io vivo nell’Amazzonia “intatta”, l’Amazzonia forestale, che è natura, acqua, foresta, dove è veramente ancora tutto intatto e vi è una grande biodiversità. Poi all’interno della foresta esistono realtà molto meno romantiche dove la terra è sotto pressione, bruciata, deforestata.
Non dobbiamo mai dimenticare che la Foresta è indispensabile per la sopravvivenza del Pianeta perché in primis consente di mantenere la temperatura globale a un livello accettabile per la nostra specie. Inoltre l’Amazzonia regola tantissimi altri equilibri del Pianeta, come ad esempio le piogge nell’America del Sud. In Brasile, infatti, le città di San Paolo e di Rio de Janeiro si trovano a una latitudine per cui dovrebbero essere zone desertiche; se non lo sono è solo grazie all’influsso della Foresta. Tutta la parte dell’Amazzonia sotto pressione sta raggiungendo un “punto di non ritorno”. Sarà un disastro, da foresta tropicale potrà trasformarsi in zona arida, il che renderebbe vana tutta la nostra lotta al riscaldamento globale. Ragion per cui la salvaguardia dell’Amazzonia è conditio sine qua non per preservare gli equilibri del nostro Pianeta.
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EMANUELE TREVI
LA CASA DEL MAGO
Intervista Emanuele Trevi | Finalista Premio Campiello
di Elisabetta Gardin
Tra i cinque finalisti del Premio Campiello c’è uno degli scrittori e critici più apprezzati nel nostro Paese, Emanuele Trevi con La casa del mago, edito da Ponte alle Grazie, dedicato alla memoria del padre, Mario Trevi, famoso psicanalista junghiano, grande personaggio e uomo complicato. Un intreccio di vita vera e letteratura, di profondità e leggerezza, di autobiografico e biografico, in un esercizio della memoria che attraversa la storia e la cultura del Novecento. Con La casa del mago lo scrittore prosegue la sua “narrazione dei morti” e, dopo aver rievocato le figure di Pier Paolo Pasolini, Laura Betti, Cesare Garboli, Amelia Rosselli, Rocco Carbone, Pia Pera, ora tocca al padre. Trevi sostiene che i morti sembrano essere attratti dalla scrittura, capaci di “affiorare nelle parole”, ma forse qui, nel tentativo di ritrovare il padre e capirne l’essenza, lo scrittore cerca e trova sé stesso. Emanuele Trevi è nato a Roma nel 1964, ha vinto il Premio Viareggio nel 2018 con Sogni e favole e il Premio Strega con Due Vite nel 2021. Ha esordito nel 2003 con il romanzo I cani del nulla. Tra gli altri romanzi ha pubblicato: Qualcosa di scritto, Istruzioni per l’uso del lupo, Senza verso, Il libro della gioia perpetua, Il popolo di legno È autore di molti saggi e curatele, collabora con Radio3 e con il Corriere della Sera.
Incontriamo lo scrittore dall’aria apparentemente ruvida per una breve intervista prima del verdetto finale del Campiello 2024.
Cosa l’ha spinta a scrivere La casa del mago?
Questo ricordo di mio padre è nato nel momento giusto, si tratta di quando le cose non sono troppo lontane né troppo vicine, ma hanno raggiunto la giusta distanza, a metà fra il troppo e il troppo poco.
Che cosa le piacerebbe che il pubblico riuscisse a cogliere in questo suo racconto?
Mi piacerebbe che i lettori cogliessero un essere umano molto originale, che non faceva nulla per essere amato, immerso in una vita indipendente dagli altri. Vorrei che apprezzassero la sua maniera di essere, che non è la mia.
Le sue opere hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti; ha vinto uno Strega e un Viareggio, ora è finalista al Campiello. Cosa rappresenta per lei questo Premio?
Mi fa ovviamente molto piacere quando mi premiano e sono disposto a fare tutto il lavoro che sta intorno a un Premio così importante come il Campiello. Ritengo sia fondamentale far circolare i libri, sostenere tutto il lavoro di diffusione, quindi mi impegno nelle presentazioni, negli incontri; devo proprio dire che incontrare la gente mi piace. Ho sempre sentito l’affetto dei lettori. Ho pubblicato il primo libro da giovane, a ventotto anni, la gente mi scriveva, mi cercava, c’è sempre stata una risposta, per me è molto importante questo.
Questo ricordo di mio padre è nato nel momento giusto, si tratta di quando le cose non sono troppo lontane né troppo vicine, ma hanno raggiunto la giusta distanza, a metà fra il troppo e il troppo poco
Parlando di padri, lei chi considera il padre della letteratura italiana?
Mah, un padre non riesco ad individuarlo, forse Dante. Più che un padre posso indicare una madre: Elsa Morante. È la mia scrittrice preferita, quella che ha usato meglio la nostra lingua.
Cosa si può fare per avvicinare i giovani ai libri?
Non credo che i giovani non siano attratti dai libri, anzi vedo moltissime persone giovani agli incontri letterari, anche proprio in questi giorni per il Campiello. Del resto la letteratura storicamente è sempre stata un’occupazione per poche persone, sì, forse oggi è più marginale di un tempo perché nei settori più svariati, pensiamo ai social, alle nuove tecnologie, l’offerta è enorme e molto differenziata, prima invece c’era ben poca scelta. Comunque io ho sessant’anni e ricordo che alle superiori nella mia classe eravamo in tre a leggere, quindi non vedo poi grandi cambiamenti e non sono per niente pessimista su questo tema.
Nel suo romanzo racconta di un viaggio a Venezia in visita alla Biennale con suo padre, lei bambino. Che sensazioni le suscita questa città?
Venezia è il luogo più bello del mondo, un luogo di elezione; è come se ognuno di noi fosse un po’ veneziano. Mi vengono in mente certi capolavori della letteratura, del cinema, della pittura; è nell’immaginario di tutti, sono molto legato a questa città. Certo oggi subisce il fenomeno del turismo di massa, che purtroppo affligge anche tante altre città. È un problema complesso, pare quasi un flagello biblico. Ho davvero bellissimi ricordi qui, soprattutto al Lido; amo Malamocco, gli Alberoni, le lunghe passeggiate che facevo, il mare. Ho trascorso molto tempo al Lido, l’estate prima del Covid avevo affittato una casa là; luoghi incredibili, dove ho scritto un libro, Due vite, con cui ho vinto il Premio Strega.
Emanuele Trevi (Ponte alle Grazie, 2023)
È forse il suo romanzo più personale, commovente e al tempo stesso pieno di ironia e umorismo, dedicato alla memoria del padre, Mario Trevi, famoso psicanalista junghiano, un grande personaggio, un uomo complicato, distratto, che vive quasi in un suo “altrove”. Nella frase che la madre ripete sempre di fronte ai comportamenti del marito – «Lo sai com’è fatto» – si trova un’indicazione precisa: bisogna accettare la sua distanza, la sua riservatezza. C’è un episodio emblematico nel racconto. Durante la gita a Venezia da bambino per visitare la Biennale, il padre non si gira mai, prosegue sempre dritto, spedito; moglie e figlio lo devono seguire ed Emanuele si tiene stretto a lui con la cintura dell’impermeabile. Alla fine si smarrirà e tornerà in hotel, ritrovando la strada da solo.
Nel titolo l’autore usa una parola arcaica per descrivere il lavoro di psicanalista, che è in fondo un guaritore d’anime, quindi un mago, come nelle società primitive dove c’era sempre qualcuno che sapeva curare i problemi del corpo e della mente. La casa invece è l’ordinatissimo appartamento-studio del padre, in cui il disordinatissimo scrittore si trasferisce, che diviene una protagonista parlante, il centro essenziale della storia. Riportando le emozioni provate nel non facile rapporto padre-figlio, Trevi offre al lettore moltissimi spunti e suggestioni attraverso una scrittura che ipnotizza, uno stile unico, mai banale.
Da attivista impegnata, ma soprattutto da studiosa, affidandosi al suo rigore scientifico quanto considera davvero in pericolo il mondo e qual è la sfida più grande che dobbiamo affrontare per il futuro?
A riguardo le ho appena risposto: indubbiamente è il riscaldamento globale. Io comunque sono ancora ottimista, perché tante soluzioni le abbiamo già in mano ma siamo molto lenti nell’applicarle. Senza voler in alcun modo spaventare nessuno, il rischio di estinzione per l’uomo non è poi del tutto da escludere; è molto più facile che sopravvivano altre specie.
La passione per la scrittura quando è arrivata?
Quali le sue ispirazioni?
La passione per la scrittura per me era una specie di sogno nel cassetto. Questo è il mio primo libro. Sono stata un’adolescente che teneva il diario, poi mi sono misurata con la rendicontazione scientifica, infine ho iniziato a scrivere qualche articolo, quando i giornali italiani mi chiedevano reportage dall’Amazzonia. Questa è la prima volta che mi dedico ad un libro.
Non ho dei veri e propri modelli, però, ripensando ai miei venticinque anni in Amazzonia, posso dire di essermi ispirata a due grandissimi romanzi: La mia Africa di Karen Blixen e Ebano di Ryszard Kapuscinski, perché in entrambi i casi trasmettevano emozione accanto a informazioni vere, precise, che erano nel loro insieme il resoconto della vita in quelle terre lontane. Quindi per me l’idea era la stessa, ossia raccontare l’Amazzonia, la sua gente, i suoi problemi; volevo raccontare i fatti, certo, ma anche tutte le emozioni che questa Foresta mi fa vivere, il mio amore per questa terra insomma.
Questa vittoria al Campiello Natura sarà utile per sensibilizzare le persone ai problemi dell’ambiente?
Sinceramente non lo so, è il mio primo libro, la mia prima esperienza in questo campo. Ovviamente mi auguro che davvero possa amplificare il messaggio che voglio trasmettere con il mio lavoro di ricercatrice. Spero quindi che il Campiello Natura riesca a sensibilizzare quante più persone possibile verso questi temi fondamentali: bisogna avere la percezione esatta di quanto l’Amazzonia sia importante per l’umanità. Le ripercussioni climatiche su questi luoghi che paiono lontanissimi ci interessano da vicino, coinvolgono tutti.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Rimango in Italia solo per il Premio, poi torno subito in Amazzonia. Al momento sto lavorando su due fronti: un’Amazzonia intatta e una che soffre, in grande stress, quindi da una parte operiamo per farla rimanere tale, per preservarla dai tanti pericoli che incombono sul suo futuro, in particolare dalle speculazioni, dall’altra parte, in quella deforestata, ci attiviamo invece per restaurarla, per piantare nuovi alberi. Il comune denominatore è che offriamo lavoro agli abitanti di queste terre, dove c’è purtroppo una grande povertà e uno dei nostri obiettivi principali è proprio la lotta alla povertà, offrendo lavoro e reddito alle popolazioni locali. Segue intervista a Emanuela Evangelista da p. 187
SHOWCASE MODELLO — DESIGN DARIO SIMPLICIO VILLA
L’Italia è territorio di festival. Questa è una delle poche certezze inconfutabili delle quattro stagioni del Belpaese, anche se naturalmente l’estate la fa da padrona, come e più di sempre. Dalle Alpi a Lampedusa, non c’è settimana, giorno, ora in cui dal vivo non vi siano incontri, dialoghi, presentazioni di libri, concerti, spettacoli teatrali e di danza, film, workshop sulle più disparate materie. Da un lato questo iperattivismo festivaliero garantisce visibilità e spesso anche contenuti di almeno decente livello a località non poche delle quali ordinariamente dimenticate da Dio, dall’altro questo febbrile e inesausto produrre e offrire eventi all’interno di una cornice festivaliera più o meno probabile è inutile negare che determini un circuito inflattivo da overfestival che profuma sempre più di autoreferenzialità. Ciò premesso, e smettendola subito con i distinguo da eterni insoddisfatti che anche questo rischia di farsi mestiere autoreferenziale, non è certo motivo di preoccupazione godersi la propria città, il proprio villaggio, la propria vacanza con attorno una sana dose di cultura attiva, buona o meno buona che sia. È pur sempre un’occasione di ridare vita al vecchio, ma evidentemente mai del tutto spentosi, socializzare per strada, nelle piazze, salutandosi e incontrandosi fisicamente, parlando guardandosi negli occhi. Tra l’altro è un’ottima modalità per trovare l’occasione di visitare luoghi lontani mille miglia dai circuiti turistici tradizionali, centri magari non così meravigliosi come invece la gran parte qui da noi e che proprio per questa ragione si danno ancora più da fare per costruire momenti di interesse culturale originali, in grado di suscitare buone aspettative e quindi di stimolare più persone a recarvisi. Sicuramente questo è da un po’ di anni il caso di Mestre, città certo tutt’altro che bella, inutile nasconderselo, e per di più appiccicata alla più bella città del mondo, capitale lei sì di tutte le culture contemporanee, al netto di un overtourism che la sta sempre più soffocando e riducendo a una non-città. Mestre che a fatica sta cercando di darsi un’identità più circolare, che la sottragga a quella immagine che da sempre la contraddistingue di città dormitorio, spesso inducendo i più a dimenticare, o peggio ad ignorare, che comunque qui si è fatta e consumata cultura contemporanea da sempre, e anche di notevole livello, nel teatro e nella musica in particolare. Ma tant’è, o meglio, tanto è stato. Sì, perché da un po’ di tempo, pur con esiti contraddittori e non sempre lineari in termini di crescita e coinvolgimento di pubblico, la città si è data da fare nell’offrire nuovi spazi urbani adeguati ad ospitare cultura contemporanea di livello congruo a un centro che con tutto il suo hinterland può contare su almeno mezzo milione di abitanti. Su tutti l’M9, che dopo anni di faticoso avvio oggi sta finalmente definendosi come vero hub del contemporaneo della terraferma, tra museo, mostre,
incontri, eventi live. M9 che da anni, unitamente a Piazza Ferretto, è l’epicentro di un festival che di anno in anno ha costruito una sua peculiare identità e che in questo settembre 2024 si presenta più ricco e vario che mai in termini di contenuti e partecipanti. Stiamo naturalmente parlando del Festival della Politica, arrivato quest’anno alla sua 14. edizione. Un festival che oltre ai soliti volti noti e stranoti presenti nei talk show, che fanno comunque sempre immagine e sono quindi motivo di attrazione per il pubblico, nella prima settimana di settembre centrerà il proprio obiettivo primariamente sulla cosiddetta Generazione Z, l’ennesima, indigeribile formuletta per definire i giovani-giovani, ossia quelli attorno i vent’anni, sì, perché in un paese in cui si è giovani ancora a 40 anni va specificata la cosa. Il titolo stesso parla eloquentemente da sé: Tutta la vita davanti – Una polis per la Generazione Z. Per affrontare al meglio il tema dei temi del nostro presente sono stati invitati nuovi protagonisti della cultura e della comunicazione della generazione, dall’influencer Edoardo Prati al militante ecologista Giorgio Brizio, dalla giornalista Cecilia Sala alla divulgatrice Sara Segantin, dall’analista politico Gilles Gressani allo scrittore Charlie Moon, e accanto a loro altri ancora. Il tutto con la finalità di porre al centro del dibattito non tanto i giovani come “oggetto di politiche”, quanto, e soprattutto, come “soggetto politico”. Staremo a vedere se sarà il solito parlarsi addosso circolarmente o se invece verranno fuori concreti spunti di interesse nuovi, idee mai percorse, tragitti da disegnare davvero da chi ha il futuro dalla sua.
Il festival, curato da due note e validissime voci di Radio 3 quali Pietro del Soldà e Sara Sanzi (autori insieme di programmi di notevole interesse quali Tutta la città ne parla e Zarathustra ), avrà come sempre anche un suo corpo per così dire generalista, che vedrà affrontare i tempi più scottanti del nostro presente attraverso la partecipazione di studiosi, giornalisti, economisti, filosofi, psicologi e decine di altri specialisti ancora. L’elenco è così lungo che si farebbe un torto ad indicare alcuni dialoghi piuttosto che altri: bisogna immergersi e vivere il tutto scegliendo quello che più ci è affine o che più ci intriga per meglio conoscere temi che poco frequentiamo. Su tutti, però, non si può per chiudere non segnalare il dialogo inaugurale del festival, ossia quello che si terrà giovedì 5 settembre tra Massimo Cacciari e il Presidente della CEI Matteo Zuppi, senza dubbio alcuno la mente più aperta e stimolante della Chiesa di Bergoglio oggi. Un dialogo che affronterà tutti gli argomenti più caldi del nostro tempo, dalla crisi della democrazia ai connessi tragici conflitti che minano gli equilibri del mondo come non capitava da 80 anni a questa parte, dall’evoluzione del tema sempre più in divenire dei diritti alla drammatica crisi ambientale. Insomma, una quattro giorni da immersione totale nell’attualità più spinosa e al tempo coinvolgente, godendosi Mestre per quella che è oltre ogni stereotipo. Massimo Bran
Giunto alla sua sesta edizione, il Festival delle Idee torna a Venezia dal 23 settembre al 28 ottobre, invitando il pubblico a intraprendere un mirabolante viaggio tra letteratura, filosofia, musica e divulgazione scientifica. Non solo un’occasione di apprendimento, ma anche un momento di ascolto e condivisione, dove ospiti d’eccellenza ci guideranno oltre i confini della conoscenza. Il tema centrale di quest’anno, Esplorando l’ignoto, richiama «il fascino della scoperta, il bisogno di allontanarsi dalle proprie rassicuranti abitudini o semplicemente il desiderio di partire per il puro piacere di andare, non importa dove». Un omaggio a Marco Polo, l’illustre veneziano di cui nel 2024 ricorrono i settecento anni dalla morte, che, come scrive Gianluca Gotto, «non era un conquistatore, non era un guerriero… Incarnava lo spirito del vero viaggiatore: camminava sul mondo senza lasciare traccia». Con la stessa fame di conoscenza e leggerezza, il Festival delle Idee ci invita a riscoprire quello spirito intraprendente, curioso e aperto, spingendoci a esplorare ciò che è altro da noi e a lasciarci sorprendere dalla meraviglia. Quest’anno, la rassegna stessa amplia i suoi orizzonti, coinvolgendo nuovi spazi sia a Mestre che a Venezia. Alle abituali sedi di M9 – Museo del ‘900 e Teatro Toniolo, si aggiungono infatti musei, università e centri culturali, oltre a prestigiosi teatri come il Malibran, la Fenice e il Goldoni. Proprio quest’ultimo, il 20 ottobre, ospiterà una celebrazione speciale per i 30 anni di Novecento, con Alessandro Baricco, Gabriele Vacis e Roberto Tarasco, affiancati dagli attori della Scuola del Teatro Stabile di Torino, in una rilettura del celebre spettacolo.
Il Festival sarà inaugurato il 23 settembre al Teatro Toniolo dalla scrittrice iraniana Azar Nafisi, autrice del bestseller Leggere Lolita a Teheran. In dialogo con la giornalista Mauretta Capuano dell’Ansa, Nafisi presenterà il suo ultimo libro, Leggere pericolosamente. Per l’autrice, esplorare l’ignoto significa infatti battersi per la libertà, individuale e collettiva, facendo dell’arte e della letteratura strumenti essenziali per comprendere il presente e immaginare il futuro.
Il programma, che si estende per più di un mese, vedrà la partecipazione di oltre 40 ospiti che condivideranno le proprie storie, visioni e conoscenze. Di seguito, una selezione degli eventi da non perdere, mentre per il calendario completo vi rimandiamo al sito del Festival, in costante aggiornamento.
Festival delle Idee 23 settembre-28 ottobre festivalidee.it
DON’T MISS
MASSIMO RECALCATI
Un mistero in piena luce: l’inconscio
Massimo Recalcati, filosofo, saggista e psicoanalista, esplora l’ignoto che concerne l’inconscio, non come una forza selvaggia, ma come un desiderio profondo che esige riconoscimento. Tra i principali interpreti italiani del pensiero di Jacques Lacan, Recalcati è autore di numerosi saggi e collabora con Repubblica e La Stampa. Ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti, tra cui il Premio Hemingway e l’Ambrogino d’Oro per il suo contributo al pensiero contemporaneo.
2 ottobre, Teatro Malibran h. 21
UTE LEMPER
Memorie di una viaggiatrice del tempo
Cantante, attrice, ballerina, pittrice, regina dei palcoscenici a livello internazionale, è considerata la massima interprete del cabaret berlinese e francese del primo dopoguerra, erede di Marlene Dietrich per espressività e fascino, interprete di Piaf, Weill e Brecht, ma anche di un repertorio più jazzistico. Ute Lemper è stata ed è davvero La viaggiatrice del tempo, come recita il titolo del suo ultimo libro.
6 ottobre, Teatro Toniolo-Mestre h. 21
UMBERTO GALIMBERTI
Le relazioni umane
Quanta felicità siamo in grado di barattare in cambio di un po’ di sicurezza? Quanti cambiamenti dell’altro ignoriamo per garantirci un certo livello di stabilità? E soprattutto, quando diciamo “ti amo” cosa intendiamo esattamente? Il filosofo Umberto Galimberti con questa lectio magistralis ci parla delle dimensioni emotive nelle quali l’amore transita, fino a condurci all’inquietante prossimità con la follia, “l’enigmatica voce dell’altra parte di noi stessi” che l’amore tira fuori.
10 ottobre, Teatro Toniolo-Mestre h. 21
TRUDIE STYLER
Italia, mon amour
Attrice, regista, produttrice cinematografica, ma anche attivista per i diritti umani, ambientalista, ambasciatrice dell’Unicef. E moglie di Sting, naturalmente. Trudie Styler, grande conoscitrice e appassionata dell’Italia, presenta il suo docufilm dedicato a Napoli, Posso entrare? An ode to Naples (2023), vincitore di numerosi riconoscimenti, con cui affronta le complessità di questa città unica al mondo, tanto crudele e generosa, facendola raccontare dai suoi abitanti, tra luci e ombre.
11 ottobre, Teatro Toniolo-Mestre h. 18
ACH OF THE TEN ROOMS IS CHARACTERIZED BY A PRECISE IDENTITY. DURING THE RESTORATION, THE HISTORY AND TRADITIONS OF VENICE WERE CAREFULLY PRESERVED, AND ARE NOW ENHANCED
… BY THE MODERN DESIGN OF THE SELECTED FURNISHINGS AND FABRICS. A MAGICAL PLACE FOR HOLIDAYS, PRIVATE FUNCTIONS, WEDDINGS, EXCLUSIVE EVENTS OR FAMILY CELEBRATIONS.
HOTELHEUREKA. COM
COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO NATIONAL PARTICIPATION
at 60th International Venice Biennale MONTENEGRO
Bajagić Darja. It Takes an Island to Feel This Good 20 April – 24 November
Barbaria de le Tole, Castello 6691
COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO NEBULA
Giorgio Andreotta Calò, Basel Abbas and Ruanne Abou-Rahme, Saodat Ismailova, Cinthia Marcelle and Tiago Mata Machado, Diego Marcon, Basir Mahmood, Ari Benjamin Meyers, Christian Nyampeta produced by Fondazione In Between Art Film 17 April - 24 November
Barbaria de le Tole, Castello 6691
SCALA DEL BOVOLO SHANE GUFFOGG
At the Still Point of the Turning World. Strangers of Time produced by Patrick Carpentier Gallery 20 April - 24 November
San Marco 4303
CHIESA DELLE PENITENTI NATIONAL PARTICIPATION at 60th International Venice Biennale ESTONIA
Edith Karlson. Hora Lupi 20 April - 24 November
Fondamenta Cannaregio 890
a cura di Renato Jona
uando alla sera metto la testa sul cuscino, alla luce incerta dell’abat-jour, con l’ultimo libro in lettura a portata di mano, per il desiderio e la speranza di poter continuare a leggerne ancora qualche pagina prima che il sonno abbia la meglio, prima di ingaggiare questa lotta, spesso assai breve, (di cui conosco già l’esito), non di rado mi capita, quasi sorridendo tra me e me, di pensare a quel tipo di materasso, gonfiabile in pochi secondi, a una o due piazze, che la pubblicità mi consiglia di tenere sempre in casa, nell’eventualità che possano arrivare d’improvviso ospiti inaspettati, per passare assieme qualche ora lieta. Già, però, dare loro riparo notturno non è sufficiente: occorre, nel caso, provvedere anche a offrire una cena appetitosa. Nessun problema! Proprio di recente sono stato colpito da un ventaglio incredibile di possibilità risolutive adatte al mio caso: prodotti già pronti, o rapidissimi da cuocere, dai colori sgargianti, profumi attraenti, appetitosi, ricchi di contenuti vitaminici, proteici, eventualmente privi di lattosio, utili a rinforzare anche le ossa, che richiamano verdi prati di montagna. Qualcosa da scaldare sul fuoco in un attimo o da introdurre nel forno a microonde. Un gioco da ragazzi, di una semplicità e rapidità estrema: nutrirli, curarli, soddisfarli senza quasi farli attendere.
E se l’ospite soffrisse di reflusso? Nessun problema! Dei quattro o cinque prodotti suggeriti da grandi specialisti luminari, sorridenti, suadenti, almeno due o tre sono certo di averli acquistati, soltanto per prudenza (perché io, fortunatamente, non soffro di reflusso!).
E se l’ospite fosse stanco e lamentasse un po’ di mal di testa? Ma certo, ho la pastiglia che inizia la sua azione lenitiva nel giro di tre minuti!
A ncora un pensiero: addormentandomi, la mia sovraesposizione alla enorme quantità di suggerimenti pubblicitari per qualche momento si fermerà. E se mi venisse una crisi di astinenza che involontariamente mi mette in ansia e io non riuscissi a dormire? Tranquillo: c’è già il rimedio! E mi ritornano alla mente subito quelle capsule molli, invitanti che velocemente conciliano il sonno e permettono perciò il giorno successivo prestazioni eccezionali e sorrisi d’intesa.
Ma la mia vita, il mio modo di pensare, non saranno forse un po’ troppo condizionati dalla pubblicità? In fin dei conti forse sì, tuttavia…
Ma che cos’è questa magia che ha il potere di stregarmi, costringendo la mia mente, il mio subconscio a farmi comportare in un certo modo, condizionando delicatamente, ma risolutamente, ogni mio pensiero, ogni mia azione? E quando è iniziata questa dolce spinta, nel corso della storia? Non c’è una data precisa, tuttavia ricordo di aver letto che qualche traccia, di diversa natura, è stata trovata addirittura già nella civilissima cittadina di Pompei: negli scavi sono emerse tracce di insegne che informavano in merito a vari tipi di lavorazione di stoffe, a riprova della buona qualità delle stesse; una interessante esibizione di un gladiatore e anche, sembra, offerte di ottime prestazioni muliebri a prezzi molto vantaggiosi. Considerati i risultati sorprendenti, la pubblicità ha avuto nel tempo uno sviluppo che oggi i giovani definirebbero “esponenziale”. La rivoluzione industriale l’ha abbondantemente utilizzata e, naturalmente, nel tempo ha dovuto cambiare stile e ‘abito’, adattandosi alle mode, alle esigenze, ai desideri, ai linguaggi dei vari momenti storici, senza però cambiare la sua vera natura. Tra i tanti esempi, famoso è il catalogo dell’Esposizione Universale di Londra del 1851, che elencando elegantemente i prodotti presenti e illustrando le loro caratteristiche, praticamente li pubblicizzava ottenendo un successo veramente rimarchevole.
L a radio poi ha costituito un mezzo di diffusione pubblicitario di notevole consistenza ed efficacia. Menti raffinate, colte, psicologi, senza apparire, hanno lavorato dietro alle promozioni di prodotti. Con la televisione che ha iniziato regolari trasmissioni appena settant’anni fa (il 3 gennaio la prima trasmissione della Radio Televisione Italiana – RAI), la pubblicità ha avuto uno sviluppo inizialmente assai garbato, ad ore fisse (ricordate il Carosello?) e poi via via si è sviluppato in modo incontenibile, commerciale, spietato, quasi senza controlli. Anzi la pubblicità è stata basilare per sostenere il peso del costo delle televisioni private stesse. E poi, dal momento che “pecunia non olet”, anzi…, si è estesa comodamente a tutti i canali, anche quelli statali che fruivano già di altre fonti ufficiali di sostentamento.
Ma la pubblicità, va correttamente riconosciuto, è anche una scienza, un’arte, che segue delle regole precise, per attirare l’attenzione, per caratterizzare, per invogliare. Pensate solamente all’invenzione del Marchio. Una semplice lettera deformata, una parola scritta sempre con lo stesso carattere, le cui lettere sono però ciascuna di formato differente, la sola posizione di una lettera non allineata all’interno di una parola, l’uso di acronimi, che raccolgono una sintesi di più parole, scritte talvolta con un certo colore, una sottolineatura di colore differente rispetto alla parola da evidenziare, l’abbinamento del nome di una azienda con un oggetto gradevole, raro, prezioso oppure soltanto curioso, uno stile grafico originale. Quanto studio spesso si trova dietro soltanto a una sola lettera che caratterizza una attività o il nome di un’azienda o “semplicemente” di un museo! E le idee migliori, più efficaci, più originali vengono premiate con prestigiosi riconoscimenti, con premi o festival.
Ma per attirare l’attenzione su un prodotto, comunque assistiamo attualmente ad una pubblicità che utilizza una rima, un ritornello, uno slogan, una battuta anche sguaiata, urtante, iperbolica, assordante, ossessionante, seria, spiritosa, garbatamente informativa, assurda, raffinata, elegante, colta, sussurrata, sottintesa, non di rado accompagnata da un motivo musicale.
Assistiamo ad una parata di invenzioni, di trovate, di straordinari suggerimenti per occasioni economicamente favorevoli. Le città sono tappezzate di manifesti pubblicitari. Va onestamente riconosciuto che la pubblicità è anche un mezzo di preziosa, immediata informazione. A Venezia, come altrove, alcuni muri della città sono destinati ad un succedersi di manifesti colorati, con immagini artistiche, con prodotti nuovi. Perfino le staccionate provvisorie erette dai cantieri che operano manutenzioni edilizie sono ottimi spazi per stendere manifesti.
La pubblicità è ritenuta necessaria, ammessa, tollerata, fa parte ormai della normalità, della vita quotidiana. Le trasmissioni si interrompono con una naturalezza straordinaria, dopo l’annuncio del presentatore: “pubblicità”.
Il costume di vita attuale è talmente assuefatto oggi a questo tipo di interruzioni, che non mi stupirebbe più di tanto se, durante il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, un Corazziere interrompesse annunciando: “pubblicità”!
I ragazzi, addirittura, spesso per comunicare un intervallo durante certe attività, usano il termine: “pubblicità”.
E adesso, prima di passare a divertirci e sorridere con la prossima parola, consentitemi una pausa, sento l’esigenza impellente di un po’ di… pubblicità!
september-october2024
festivals, art, theatre, dance, music, cinema and more!
04
mercoledìWednesday
ANTONIO LIZANA 4TET
Jazz
Palazzo Zuckermann-Padova h. 21
05
giovedìThursday
Women for Freedom in Jazz SARA FORTINI
FEDERICO DE WITTOR
Jazz Hotel Carlton on the Grand Canal h. 21
07
sabato Saturday
CHRIS STUSSY + IDRISS D MARCO ZABEO
House
Il Muretto-Jesolo h. 23
12
giovedìThursday
Women for Freedom in Jazz LARA FERRARI
MICHELE CORCELLA
Jazz
Hotel Carlton on the Grand Canal h. 21
20
venerdì Friday
Festival delle Idee
DARDUST
Pop
Teatro Toniolo-Mestre h. 21.15
25
mercoledìWednesday
Festival delle Idee
ROBERTO CACCIAPAGLIA
Musica d’autore
Teatro La Fenice h. 21
26
giovedìThursday
MICHELE BRAVI
Pop Teatro Verdi-Padova h. 21
05
sabato Saturday
DIODATO
Pop Teatro Toniolo-Mestre h. 21
10
giovedìThursday
BOOSTA
Sonorizzazione
Palazzo Leoni Montanari-Vicenza h. 19
11
venerdì Friday
DIEGO BASSO PLAYS
QUEEN
Queen tribute
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
12
sabato Saturday
Venezia Jazz Festival
VALERIO CORZANI
ERICA SCHERL
Sonorizzazione cinematografica
Teatrino Grassi h. 20
17
giovedìThursday
Venezia Jazz Festival GINGA
Soul
Splendid Venice Hotel h. 19.30
18
venerdì Friday
GIOVANNI ALLEVI
Musica sinfonica
Teatro Goldoni h. 21
19
sabato Saturday
ENSEMBLE SYMPHONY ORCHESTRA
Morricone tribute
Teatro Goldoni h. 21
BRIT FLOYD
Pink Floyd tribute
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
20 domenica Sunday
ROBERT PLANT
Rock
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
22
martedìTuesday
ANGELINA MANGO
Pop
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
25
venerdì Friday
Venezia Jazz Festival
LUCA ZENNARO & JAM
WORLD JAZZ
Jazz
Laguna Libre h. 20
26
sabato Saturday
Venezia Jazz Festival NIK BÄRTSCH TRIO
Jazz
Teatro La Fenice h. 19.30
27
domenica Sunday
Venezia Jazz Festival PAIER VALCIC PREINFALK TRIO
Jazz
Centro Culturale Candiani-Mestre h. 18.30
INDIRIZZI
CENTRO CULTURALE CANDIANI
Piazzale Candiani 7-Mestre www.venetojazz.com
GRAN TEATRO GEOX Via Tassinari 1-Padova www.zedlive.com
HOTEL CARLTON ON THE GRAND CANAL Santa Croce 578 Fb: Women for Freedom in Jazz IL MURETTO Via Roma Destra 120-Jesolo www.ilmuretto.org
LAGUNA LIBRE Cannaregio 969 www.venetojazz.com
PALAZZO LEONI MONTANARI Contrà Santa Corona 25-Vicenza gallerieditalia.com/it/vicenza
PALAZZO ZUCKERMANN
Corso Garibaldi 33-Padova www.venetojazz.com
SPLENDID VENICE
HOTEL
S. Marco Mercerie, 760 www.venetojazz.com
TEATRINO GRASSI Campo San Samuele 3231 www.venetojazz.com
TEATRO GOLDONI San Marco 4650/B www.venetojazz.com
TEATRO LA FENICE Campo San Fantin 1965 www.venetojazz.com
TEATRO TONIOLO Piazzetta Malipiero 1-Mestre www.comune.venezia.it
TEATRO VERDI Via dei Livello 32-Padova www.zedlive.com
01
domenica Sunday
CARMINA BURANA
Musiche di Orff
Direttore Michele Spotti
“Arena Opera Festival 2024”
Ingresso/Ticket € 240/28
Arena di Verona h. 21.30
03
martedìTuesday
TURANDOT
Dramma lirico in tre atti
Musiche di Puccini
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Regia Cecilia Ligorio
“Stagione Lirica e Balletto 20232024”
Ingresso/Ticket € 210/15
Teatro La Fenice h. 19
05
giovedìThursday
AIDA 1913
Opera in quattro atti
Musiche di Verdi
Direttore Daniel Oren
Regia Gianfranco de Bosio
“Arena Opera Festival 2024”
Ingresso/Ticket € 270/32 Arena di Verona h. 21
06
venerdì Friday
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Opera buffa in due atti
Musiche di Rossini
Direttore George Petrou
Regia Hugo De Ana
“Arena Opera Festival 2024”
Ingresso/Ticket € 270/32 Arena di Verona h. 21
07 sabato Saturday
CARMEN
Opéra-comique in quattro atti Musiche di Bizet
Direttore Daniel Oren
Regia Franco Zeffirelli
“Arena Opera Festival 2024”
Ingresso/Ticket € 270/32 Arena di Verona h. 21
08
domenica Sunday
TURANDOT
Dramma lirico in tre atti
Musiche di Puccini
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Regia Cecilia Ligorio
“Stagione Lirica e Balletto 20232024”
Ingresso/Ticket € 210/15
Teatro La Fenice h. 19
MAHLER CHAMBER ORCHESTRA
Musiche di Dvorák, Busoni, Mahler
ì“Il Settembre dell’Accademia 2024”
Ingresso/Ticket € 60/45
Teatro Filarmonico-Verona h. 20.30
10
martedìTuesday
ARMIDA QUARTETT
Martin Funda violino
Johanna Staemmler violino
Teresa Schwamm-Biskamp viola
Peter-Philipp Staemmler violoncello
Musiche di Mendelssohn-
Bartholdy, Janacek, Schubert
“Musikàmera 2024”
Ingresso/Ticket € 30/15
Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
11
mercoledìWednesday
ARMIDA QUARTETT
Martin Funda violino
Johanna Staemmler violino
Teresa Schwamm-Biskamp viola
Peter-Philipp Staemmler violoncello
Musiche di Mendelssohn-
Bartholdy, Janacek, Schubert
“Musikàmera 2024”
Ingresso/Ticket € 30/15
Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
12
giovedìThursday
ENRICO GRAZIANI violoncello
FRANCESCO GRANATA
pianoforte
Musiche di Bonis, Boulanger, Farrenc, Grandval
“Passione violoncello”
Ingresso/Ticket € 15/5
Palazzetto Bru Zane h. 18
13
venerdì Friday
LA FABBRICA ILLUMINATA
Musiche di Nono ERWARTUNG
Musiche di Schönberg “Stagione Lirica e Balletto 20232024”
Ingresso/Ticket € 220/15
Teatro La Fenice h. 19
SÄCHSISCHE
STAATSKAPELLE DRESDEN
Musiche di Schönberg, Mahler
ì“Il Settembre dell’Accademia 2024”
Ingresso/Ticket € 60/45
Teatro Filarmonico-Verona h. 20.30
14
sabato Saturday
TURANDOT
Dramma lirico in tre atti
Musiche di Puccini
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Regia Cecilia Ligorio “Stagione Lirica e Balletto 20232024”
Ingresso/Ticket € 210/15
Teatro La Fenice h. 19
15
domenica Sunday
LA FABBRICA ILLUMINATA
Musiche di Nono
ERWARTUNG
Musiche di Schönberg
“Stagione Lirica e Balletto 20232024”
Ingresso/Ticket € 220/15
Teatro La Fenice h. 17
17
martedìTuesday
LA FABBRICA ILLUMINATA
Musiche di Nono
ERWARTUNG
Musiche di Schönberg “Stagione Lirica e Balletto 20232024”
Ingresso/Ticket € 220/15
Teatro La Fenice h. 19
18
mercoledìWednesday
TURANDOT
Dramma lirico in tre atti
Musiche di Puccini
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Regia Cecilia Ligorio
“Stagione Lirica e Balletto 20232024”
Ingresso/Ticket € 210/15
Teatro La Fenice h. 19
ORCHESTRA DELL’ACCADEMIA
NAZIONALE DI SANTA CECILIA
Musiche di Widmann, Mozart, Beethoven
ì“Il Settembre dell’Accademia 2024”
Ingresso/Ticket € 60/45
Teatro Filarmonico-Verona h. 20.30
17
martedìTuesday
LA FABBRICA ILLUMINATA
Musiche di Nono
ERWARTUNG
Musiche di Schönberg
“Stagione Lirica e Balletto 20232024”
Ingresso/Ticket € 220/15
Teatro La Fenice h. 19
21
sabato Saturday
QUATUOR CAMBINI-PARIS
Julien Chauvin violino
Karine Crocquenoy violino
Pierre-Éric Nimylowycz viola
Atsushi Sakai violoncello
Musiche di Baudiot, Franchomme, Gouvy
“Passione violoncello”
Ingresso/Ticket € 15/5
Scuola Grande San Giovanni Evangelista h. 19.30
22
domenica Sunday
ANNE GASTINEL violoncello
XAVIER PHILLIPS violoncello
LILA BEAUCHARD violoncello
LEONARDO CAPEZZALI violoncello
Musiche di Erb, Offenbach, Franchomme, Schmitt
“Passione violoncello”
Ingresso/Ticket € 15/5
Palazzetto Bru Zane h. 17
LA FABBRICA ILLUMINATA
Musiche di Nono ERWARTUNG
Musiche di Schönberg
“Stagione Lirica e Balletto 20232024”
Ingresso/Ticket € 220/15
Teatro La Fenice h. 17
HESPEROS TRIO
Filippo Lama violino
Stefano Guarino violoncello
Riccardo Zadra pianoforte
Musiche di Shostakovic, Schubert
“Musikàmera 2024”
Ingresso/Ticket € 30/15
Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
WIENER SYMPHONIKER
Musiche di Cajkovskij, Bartòk
ì“Il Settembre dell’Accademia
2024”
Ingresso/Ticket € 60/45
Teatro Filarmonico-Verona h. 20.30
25
mercoledìWednesday
QUATUOR DUTILLEUX
Guillaume Chilemme violino
Matthieu Handtschoewercker violino
David Gaillard viola
Victor Julien-Laferrière violoncello
Musiche di Onslow, Gouvy
“Passione violoncello”
Ingresso/Ticket € 15/5
Palazzetto Bru Zane h. 19.30
28
sabato Saturday
ALFONSO CAIANI direttore
Musiche di Honegger
Orchestra del Teatro La Fenice “Stagione Sinfonica 2023-2024”
Ingresso/Ticket € 99/77
Teatro La Fenice h. 20
29
domenica Sunday
ALFONSO CAIANI direttore
Musiche di Honegger
Orchestra del Teatro La Fenice
“Stagione Sinfonica 2023-2024”
Ingresso/Ticket € 99/77
Teatro La Fenice h. 20
ORCHESTRE
DES CHAMPS–ÉLYSÉES
Musiche di Bruckner
ì“Il Settembre dell’Accademia 2024”
Ingresso/Ticket € 60/45
Teatro Filarmonico-Verona h. 20.30
03
giovedìThursday
YAN LEVIONNOIS violoncello
GUILLAUME BELLOM
pianoforte
Musiche di Magnard, Vierne
“Passione violoncello”
Ingresso/Ticket € 15/5
Palazzetto Bru Zane h. 19.30
08
martedìTuesday
EDGAR MOREAU violoncello
GABRIEL GUIGNIER violoncello
JEAN-BAPTISTE DE MARIA
violoncello
Musiche di La Tombelle, Offenbach, D’Ollone
“Passione violoncello”
Ingresso/Ticket € 15/5
Palazzetto Bru Zane h. 19.30
11
venerdì Friday
PREMIO VENEZIA
Concerto dei concorrenti
Ingresso su invito/Admission upon invitation
Teatro La Fenice h. 15
12
sabato Saturday
PREMIO VENEZIA
Concerto dei concorrenti
Ingresso su invito/Admission upon invitation
Teatro La Fenice h. 15
13
domenica Sunday
PREMIO VENEZIA
Concerto dei finalisti e premiazione
Ingresso su invito/Admission upon invitation
Teatro La Fenice h. 17
15
martedìTuesday
AURÉLIEN PASCAL violoncello
JOSQUIN OTAL pianoforte
Musiche di Chevillard, Dumas, Lecocq
“Passione violoncello”
Ingresso/Ticket € 15/5
Palazzetto Bru Zane h. 19.30
ATOS TRIO
Annette von Hehn violino
Stefan Heinemeyer violoncello
Thomas Hoppe pianoforte
Musiche di Schumann, Brahms
“Musikàmera 2024”
Ingresso/Ticket € 30/15
Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
16
mercoledìWednesday
ATOS TRIO
Filippo Lama violino
Stefano Guarino violoncello
Riccardo Zadra pianoforte
Musiche di Schumann, Brahms
“Musikàmera 2024”
Ingresso/Ticket € 30/15
Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
17
giovedìThursday
BARBARA MASSARO soprano
ELENA CHIAVEGATO pianoforte
Musiche di Scarlatti, Debussy, Schubert
“Musica con le Ali”
Ingresso/Ticket € 20/10
Teatro La Fenice h. 18
22
martedìTuesday
GIULIA SEMENZATO soprano
STEFANO FAVRETTO violino
GIANLUCA GEREMIA tiorba
FRANCESCO ERLE
clavicembalo
Musiche di Monteverdi, Cavalli, Grossi
“Musikàmera 2024”
Ingresso/Ticket € 30/15
Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
24
giovedìThursday
MIRIAM PRANDI violoncello
GABRIELE CARCANO
pianoforte
Musiche di Debussy, Boulanger, Franck
“Passione violoncello”
Ingresso/Ticket € 15/5
Palazzetto Bru Zane h. 19.30
26
sabato Saturday
QUARTETTO DI VENEZIA
Musiche di Beethoven
“Stagione 2024”
Ingresso/Ticket € 33/11
Auditorium Lo Squero h. 16.30
INDIRIZZI
ARENA DI VERONA Piazza Bra-Verona www.arena.it
AUDITORIUM LO SQUERO
Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it
PALAZZETTO BRU ZANE San Polo 2368 bru-zane.com
SCUOLA GRANDE SAN GIOVANNI EVANGELISTA San Polo 2454 bru-zane.com
TEATRO FILARMONICO Via Roma 3-Verona www.accademiafilarmonica.org
TEATRO LA FENICE Campo San Fantin 1965 www.teatrolafenice.it
01
domenica Sunday
TITIZÉ. A VENETIAN DREAM
Regia di Daniele Finzi Pasca
Compagnia Finzi Pasca
Fino al 13 ottobre lo spettacolo va in scena al Teatro Goldoni ogni giovedì, venerdì, sabato e domenica
Vedi approfondimento p.181
Ingresso/Ticket € 50/20
Teatro Goldoni h. 19
10
martedìTuesday
VENERE IN TEATRO 2024
Goccia a Goccia
Fino al 22 settembre a Forte
Marghera Torna la IV edizione del Festival di danza e arti performative
Venere in Teatro: 12 giorni, 21 performance, 1 progetto speciale, 22 formazioni artistiche invitate. Vedi approfondimento p.182 Forte Marghera-Mestre
20
venerdì Friday
ORESTEIA
di Eschilo
Regia e adattamento di Theodoros Terzopoulos
Con Evelyn Assouad “77. Ciclo di Spettacoli Classici”
Ingresso/Ticket € 30/20
Teatro Olimpico-Vicenza h. 20
21
sabato Saturday
ORESTEIA
(vedi venerdì 20 settembre)
Ingresso/Ticket € 30/20
Teatro Olimpico-Vicenza h. 20
24
martedìTuesday
IL VIAGGIO DEI BRONZI DI RIACE
dagli studi di Daniele Castrizio
Con Annalisa Insardà
Musiche di Fulvio Cama
Ingresso/Ticket € 12/25
Teatro Verdi-Padova h. 20
27
venerdì Friday
IL CANTO DI EDIPO
Regia, scene, luci, suoni, costumi di Alessandro Serra
Con Alessandro Burzotta, Salvatore Drago, Francesca
Gabucci, Sara Giannelli, Jared
McNeill, Chiara Michelini, Felice
Montervino
“77. Ciclo di Spettacoli Classici”
Ingresso/Ticket € 30/20
Teatro Olimpico-Vicenza h. 21
28
sabato Saturday
IL CANTO DI EDIPO
(vedi venerdì 27 settembre)
Ingresso/Ticket € 30/20
Teatro Olimpico-Vicenza h. 21
29
sabato Saturday
IL CANTO DI EDIPO
(vedi venerdì 27 settembre)
Ingresso/Ticket € 30/20
Teatro Olimpico-Vicenza h. 21
05
sabato Saturday
SDISORÈ
di Giovanni Testori
Regia Gruppo UROR
Con Evelina Rosselli
“77. Ciclo di Spettacoli Classici”
Ingresso/Ticket € 30/20
Teatro Olimpico-Vicenza h. 21
11
venerdì Friday
PLUTO – GOD OF GOLD
da Aristofane
di Marco Martinelli
Con gli adolescenti di Pompei, Torre del Greco, Castellammare di Stabia, Torre Annunziata e Vicenza
“77. Ciclo di Spettacoli Classici”
Ingresso/Ticket € 30/20
Teatro Olimpico-Vicenza h. 21
15
martedìTuesday
ELETTRA da Hugo von Hofmannsthal
16
mercoledìWednesday
ELETTRA
(vedi martedì 15 ottobre)
Ingresso/Ticket € 30/20
Teatro Olimpico-Vicenza h. 21
18
venerdì Friday
MOLTITUDINE IN CADENZA, PERCUOTENDO
Voce Giovanni Lindo Ferretti
Percussioni Simone Beneventi “77. Ciclo di Spettacoli Classici”
Ingresso/Ticket € 30/20
Teatro Olimpico-Vicenza h. 21
22
martedìTuesday
ALICE IN WONDERLAND RELOADED
Regia circense di Maria Remneva direzione artistica e coreografie di Yuliia Sakharova e Oleksandr Sakharov
Theatre-Circus Elysium “Stagione Teatrale 2024-25”
Ingresso/Ticket € 32/30
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
23
25 venerdì Friday
IL MILIONE
Quaderno Veneziano di Marco Paolini (vedi mercoledì 23 ottobre) Ingresso/Ticket € 5/39
Teatro Goldoni h. 20.30
ALICE IN WONDERLAND RELOADED (vedi martedì 22 ottobre) Ingresso/Ticket € 32/30
Teatro Toniolo-Mestre h. 21
26 sabato Saturday
IL MILIONE
Quaderno Veneziano di Marco Paolini (vedi mercoledì 23 ottobre) Ingresso/Ticket € 5/39
Teatro Goldoni h. 19
ALICE IN WONDERLAND RELOADED (vedi martedì 22 ottobre)
Ingresso/Ticket € 32/30
Teatro Toniolo-Mestre h. 15/19.30
27 domenica Sunday
mercoledìWednesday
IL MILIONE
Quaderno Veneziano di Marco
Paolini di e con Marco Paolini
“Colpo di scena - Stagione 24/25”
Ingresso/Ticket € 5/39
Teatro Goldoni h. 20.30
ALICE IN WONDERLAND RELOADED
(vedi martedì 22 ottobre)
Ingresso/Ticket € 32/30
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
24
giovedìThursday
IL MILIONE
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30 :t h eatro
Adattamento Angela Demattè, Serena Sinigaglia
Regia di Serena Sinigaglia
“77. Ciclo di Spettacoli Classici”
Ingresso/Ticket € 30/20
Teatro Olimpico-Vicenza h. 21
Quaderno Veneziano di Marco
Paolini
(vedi mercoledì 23 ottobre)
Ingresso/Ticket € 5/39
Teatro Goldoni h. 20.30
ALICE IN WONDERLAND RELOADED
(vedi martedì 22 ottobre)
Ingresso/Ticket € 32/30
IL MILIONE
Quaderno Veneziano di Marco Paolini (vedi mercoledì 23 ottobre) Ingresso/Ticket € 5/39
Teatro Goldoni h. 16
ALICE IN WONDERLAND RELOADED (vedi martedì 22 ottobre) Ingresso/Ticket € 32/30
Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
FORTE MARGHERA
Via Forte Marghera-Mestre liveartscultures.weebly.com
TEATRO GOLDONI San Marco 4650/B www.teatrostabileveneto.it
TEATRO OLIMPICO
Piazza Matteotti 11-Vicenza www.tcvi.it
TEATRO TONIOLO Piazzetta Malipiero-Mestre www.comune.venezia.it
TEATRO VERDI Via dei Livello 22-Padova www.teatrostabileveneto.it
NATIONAL PARTICIPATIONS / COLLATERAL EVENTS / NOT ONLY BIENNALE IN THE CITY
Repubblica di ARMENIA
Magazzino del Sale 3, Dorsoduro 264 IG @khemchyan_nina
Repubblica dell’AZERBAIGIAN
Campo della Tana, Castello 2126/A www.azerbaijanvenicebiennale.com
Repubblica Popolare del BANGLADESH
Spazio Espositivo STAERT, Santa Croce 1979/A BOSNIA-ERZEGOVINA
Palazzo Zorzi (UNESCO Venice Office), Castello 4930
BULGARIA
Sala Tiziano-Centro Culturale Don Orione Artigianelli Dorsoduro 919 www.bulgarianpavilionvenice.art
Repubblica del CAMERUN
Palazzo Donà delle Rose, Fondamenta Nove Cannaregio 5038
CILE
Magazzino n. 42, Marina Militare, Castello 2738/C IG @cosmonacion | www.cultura.gob.cl
Repubblica di CIPRO
Associazione Culturale Spiazzi, Castello 3865
Repubblica Democratica del CONGO
Ex Cappella Buon Pastore, Castello 77 COSTA D’AVORIO
Centro Culturale Don Orione Artigianelli, Dorsoduro 947
CROAZIA
Fàbrica 33, Calle Larga dei Boteri, Cannaregio 5063 www.croatianpavilion2024.com
CUBA
Teatro Fondamenta Nove, Cannaregio 5013 www.wilfredoprieto.com
ESTONIA
Chiesa delle Penitenti, Fondamenta Cannaregio 890 www.cca.ee
ETIOPIA
Palazzo Bollani, Castello 3647 www.ethiopiapavilion.org
GEORGIA
Palazzo Palumbo Fossati, San Marco 2597 IG @georgian_pavillon_2024
GERMANIA/2
Isola della Certosa e Giardini IG @deutscherpavillon
GRENADA
Palazzo Albrizzi-Capello, Cannaregio 4118 www.grenadavenice.org
Repubblica Islamica dell’IRAN
Palazzo Malipiero, San Marco 3198 Repubblica del KAZAKHSTAN
Museo Storico Navale, Riva San Biasio, Castello 2148
Repubblica del KOSOVO
Museo Storico Navale, Riva San Biasio, Castello 2148 www.pavilionofkosovo.com
LITUANIA
Chiesa di Sant'Antonin, Salizada Sant’Antonin Castello 3477 www.lndm.lt/inflammation
Repubblica di MACEDONIA DEL NORD
Scuola dei Laneri, Santa Croce 131/A IG @macedonianpavilion
MONGOLIA
Campo della Tana, Castello 2127/A (near the Arsenale entrance) www.2024mongolian-pavilion.org
MONTENEGRO
Complesso dell’Ospedaletto Barbaria de le Tole, Castello 6691 IG @slavadar
NIGERIA
Palazzo Canal, Rio Terà Canal, Dorsoduro 3121 www.nigeriaimaginary.com
Sultanato dell’OMAN
Palazzo Navagero, Castello 4147 IG @omanpavilion
Repubblica di PANAMA
Spazio Castello 2131 www.panamapavilion.org
PORTOGALLO
Palazzo Franchetti, San Marco 2842 www.greenhouse2024.com
ROMANIA/2
Palazzo Correr, Campo Santa Fosca, Cannaregio 2214 IG @romanianpavilion2024
Repubblica di SAN MARINO
Fucina del Futuro, Calle e Campo San Lorenzo Castello 5063/B www.biennaleveneziasanmarino.com
SANTA SEDE
Casa di Reclusione Femminile Venezia Sant’Eufemia, Giudecca 712 www.vatican.va
Repubblica di SLOVENIA
Serra dei Giardini, Via Garibaldi, Castello 1254 www.mg-lj.si
Repubblica Unita della TANZANIA
La Fabbrica del Vedere, Calle del Forno Cannaregio 3857 www.tanzaniapavilion2024.com
Repubblica Democratica di TIMOR-LESTE
Spazio Ravà, San Polo 1100 IG @natalieking_curator
UGANDA
Bragora Gallery, Castello 3496
Repubblica dello ZIMBABWE
Santa Maria della Pietà, Castello 3701
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA/1
A Journey to the Infinite. Yoo Youngkuk
Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.yooyoungkuk.org
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA/2
A World of Many Worlds
Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.asia-forum.international www.bagrifoundation.org
ISTITUTO SANTA MARIA DELLA PIETÀ/1
A bove Zobeide
Exhibition from Macao, China
Calle della Pietà, Castello 3701 www.MAM.gov.mo
CASTELLO GALLERY
A ll African Peoples’ Consulate Castello 1636/A www.theafricacenter.org
PROCURATIE VECCHIE/1
A ndrzej Wróblewski (1927-1957)
In the First Person
Piazza San Marco 139-153/A www.starakfoundation.org
ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE
Berlinde De Bruyckere.
City ofRefuge III
Abbazia di San Giorgio Maggiore www.abbaziasangiorgio.it
DOCKS CANTIERI CUCCHINI
Catalonia in Venice
Bestiari | Carlos Casas
San Pietro di Castello 40/A www.bestiari.llull.cat
SALONE VERDE - ART & SOCIAL CLUB
C osmic Garden
Calle Regina, Santa Croce 2258 IG @chanakya.school
PALAZZO CONTARINI POLIGNAC
Daring to Dream in a World of Constant Fear
Dorsoduro 874
BRUCHIUM FERMENTUM
D esde San Juan Bautista…
Calle del Forno, Castello 2092 www.consolatorem.org | IG @remproject.gallery
CAMPO DELLA TANA/1 E lias Sime
D ichotomy jerba
Tanarte, Ramo de la Tana, Castello 2125 (near the Arsenale entrance) www.simevenice.org
ESPACE LOUIS VUITTON E rnest Pignon-Ernest
Je Est Un Autre
Calle del Ridotto, San Marco 1353 www.pignon-ernest.com
PALAZZO CAVANIS
E wa Juszkiewicz. Locks withLeaves and Swelling Buds
Fondamenta Zattere ai Gesuati, Dorsoduro 920 www.fabarte.org
PALAZZO ROCCA CONTARINI CORFÙ
Jim Dine. Dog on the Forge Dorsoduro 1057/D www.dogontheforge.com
ACCADEMIA DI BELLE ARTI
PALAZZINA CANONICA CNR-ISMAR
Josèfa Ntjam
swell of spæc(i)es
Accademia di Belle Arti di Venezia, Dorsoduro 423 CNR-ISMAR, Riva dei Sette Martiri, Castello1364/A www.las-art.foundation | IG @josefantjam
FONDATION WILMOTTE
L ee Bae
La Maison de la Lune Brûlée
Corte Nuova, Fondamenta dell'Abbazia Cannaregio 3560 www.leebaestudio.com | www.wilmotte.com
IL GIARDINO BIANCO ART SPACE
M adang: Where We Become Us Via Garibaldi, Castello 1814 www.biennialfoundation.org
EX FARMACIA SOLVENI
Passengers in Transit Dorsoduro 993-994 www.193gallery.com
FONDAZIONE DELL’ALBERO D’ORO Per non perdere il filo.
Karine N’guyen Van Tham
Parul Thacker
Palazzo Vendramin Grimani, San Polo 2033 www.fondazionealberodoro.org
ISTITUTO SANTA MARIA DELLA PIETÀ/2
Peter Hujar
Portraits in Life and Death
Calle della Pietà, Castello 3703 IG @peterhujararchive
FONDACO MARCELLO
R ebecca Ackroyd Mirror Stage
Calle del Traghetto, San Marco 3415 IG @rebeccaackroyd
PROCURATIE VECCHIE/2
R obert Indiana
T he Sweet Mystery
Corte Maruzzi, Piazza San Marco 105 (second floor) www.ysp.org.uk
ARTENOVA
S eundja Rhee
Towards the Antipodes
Campo San Lorenzo, Castello 5063 www.korica.org | www.seundjarhee.com
PALAZZO SORANZO VAN AXEL
S hahzia Sikander
Collective Behavior
Fondamenta Van Axel o de le Erbe Cannaregio 6099, 6071, 6072 www.cincinnatiartmuseum.org | www.clevelandart.org
PALAZZO CONTARINI POLIGNAC
MAGAZZINO GALLERY
S outh West Bank. Landworks, Collective Action and Sound Dorsoduro 874 www.adambroomberg.com
FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA T he Endless Spiral B etsabeé Romero
Galleria di Piazza San Marco, San Marco 71/C www.betsabeeromero.com
PALAZZO SMITH MANGILLI VALMARANA T he Spirits of Maritime Crossing Cannaregio 4392 www.bkkartbiennale.com
CAMPO DELLA TANA/2 T revor Yeung
Courtyard of Attachments, Hong Kong in Venice Ramo de la Tana, Castello 2126 (opposite the Arsenale entrance) 2024.vbexhibitions.hk | IG @plantertrevor
SPAZIO BERLENDIS
Ydessa Hendeles. Grand Hotel Calle Berlendis, Cannaregio 6301 www.artmuseum.utoronto.ca
PALAZZO DELLE PRIGIONI Yuan Goang-Ming Everyday War Castello 4209 (next to Palazzo Ducale) www.taiwaninvenice.org
AKKA PROJECT
The Residency Outcome Fino Until 13 settembre September Ca’ del Duca, Corte Duca Sforza, San Marco 3052 www.akkaproject.com
ARSENALE INSTITUTE FOR POLITICS OF REPRESENTATION
William Kentridge Self-Portrait as a Coffee-Pot Riva dei Sette Martiri, Castello 1430/A www.arsenale.com
ATENEO VENETO
Walton Ford. Lion of God Fino Until 22 settembre September Campo San Fantin, San Marco 1897 www.ateneoveneto.org
BEL-AIR FINE ART
Carole Feuerman. Patrick Hughes Calle del Spezier, San Marco 2765 | Dorsoduro 728 www.belairfineart.com
BIBLIOTECA MARCIANA At Home Abroad Piazzetta San Marco 7 bibliotecanazionalemarciana.cultura.gov.it
CA’ D’ORO César Meneghetti + Laboratori d’arte di Sant’Egidio
Fino Until 15 settembre September
Galleria Giorgio Franchetti (atrio, piano terra) Cannaregio 3932 www.polomusealeveneto.beniculturali.it www.cadoro.org
CA’ PESARO/1
Armando Testa Fino Until 15 settembre September
Galleria Internazionale d’Arte Moderna Santa Croce 2076 www.capesaro.visitmuve.it
CA’ PESARO/2
Chiara Dynys. Lo Stile
Fino Until 15 settembre September
Galleria Internazionale d’Arte Moderna (Sale Dom Pérignon), Santa Croce 2076 www.capesaro.visitmuve.it
CA’ PESARO/3
Lucia Veronesi La desinenza estinta Fino Until 13 ottobre October
Galleria Internazionale d’Arte Moderna Santa Croce 2076 www.capesaro.visitmuve.it
CA’ REZZONICO/1
Lorenzo Quinn
Fino Until 15 settembre September
Museo del Settecento Veneziano (androne) Dorsoduro 3136 www.carezzonico.visitmuve.it
NOT ONLY BIENNALE IN THE CITY
CA’ REZZONICO/2
Loris Cecchini
Leaps, gaps and overlapping diagrams
21 settembre September-31 marzo March, 2025 Museo del Settecento Veneziano carezzonico.visitmuve.it
CASA DI CARLO GOLDONI
Eva Marisaldi. Biribisso San Polo 2794 www.carlogoldoni.visitmuve.it
CENTRO CULTURALE CANDIANI
Matisse e la luce del Mediterraneo 28 settembre September-4 marzo March, 2025 Centro Culturale Candiani-Mestre muvemestre.visitmuve.it
CHIESA DI SAN FANTIN
Reza Aramesh. Number 207 Fino Until 2 ottobre October Campo San Fantin, San Marco 3090 www.actionbynumber.com
CHIESA DI SAN GALLO
Jaume Plensa. Janus
Fino Until 30 settembre September Campo San Gallo, San Marco 1103 www.fondazioneberengo.org
CHIESA DI SANTA MARIA DELLA PIETÀ
Wallace Chan. Transcendence Fino Until 30 settembre September (Cappella laterale) Riva degli Schiavoni, Castello www.wallace-chan.com
CHIESA DI SANTA MARIA DELLA VISITAZIONE Memo Akten. Boundaries Fondamenta Zattere ai Gesuati, Dorsoduro 919/A www.vanhaerentsartcollection.com
CIPRIANI GIUDECCA
Daniel Buren. Haltes Colorées Fino Until 30 settembre September Belmond Hotel Cipriani, Giudecca 10 www.belmond.com
COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM/1
Jean Cocteau
La rivincita del giocoliere
Fino Until 16 settembre September Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 www.guggenheim-venice.it
COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM/2 Marina Apollonio. Oltre il cerchio 12 ottobre October-3 marzo March, 2025 Dorsoduro 701 guggenheim-venice.it
COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO NEBULA
Barbaria de le Tole, Castello 6691 inbetweenartfilm.com
DOCKS CANTIERI CUCCHINI
Paolo della Corte. Flooded Souls 4 ottobre October-30 novembre November Castello 40/A www.paolodellacorte.eu
EUROPEAN CULTURAL CENTRE (ECC)
PALAZZO MORA | PALAZZO BEMBO GIARDINI MARINARESSA
PERSONAL STRUCTURES Beyond Boundaries
Palazzo Mora, Strada Nova, Cannaregio 3659
Palazzo Bembo, Riva del Carbon, San Marco 4793 Giardini della Marinaressa, Riva dei Sette Martiri, Castello www.personalstructures.com www.ecc-italy.eu
FONDACO DEI TEDESCHI Best Regards
The Anonymous Project by Lee Shulman
Fino Until 17 novembre November Rialto www.dfs.com/venice
FONDAMENTA SANT’ANNA
Milena ZeVu. Silent Supper Venice Art Projects, Castello 994 www.silentsupper.com
FONDATION VALMONT Ulysses. We Are All Heroes
Fino Until 23 febbraio February, 2025 Palazzo Bonvicini, Santa Croce 2161/A www.fondationvalmont.com
FONDAZIONE BERENGO ART SPACE ARSENALE NORD | TESA 99 GLASSTRESS 8½
Fino Until 24 novembre November
Fino Until 25 agosto August
Campiello della Pescheria 4, Murano Arsenale Nord www.glasstress.org | www.fondazioneberengo.org
FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA
Andrey Esionov. Strangers 13 settembre September-30 novembre November
Galleria di Piazza San Marco www.bevilacqualamasa.it
FONDAZIONE EMILIO E ANNABIANCA VEDOVA/1
Eduard Angeli. Silentium
Magazzino del Sale, Zattere, Dorsoduro 266 www.fondazionevedova.org
FONDAZIONE EMILIO E ANNABIANCA VEDOVA/2 Amendola
Burri Vedova Nitsch
Spazio Vedova, Zattere, Dorsoduro 50 www.fondazionevedova.org
FONDAZIONE POTENZA TAMINI
Gianmaria Potenza Dorsoduro 1450 www.fondazionepotenzatamini.it
FONDAZIONE PRADA
Christoph Büchel
Monte di Pietà
Ca’ Corner della Regina, Santa Croce 2215 www.fondazioneprada.org
GALLERIA LUCE
Spazialismo, Optical Art, Figurazione e Novecento
San Marco 1922/A www.gallerialuce.com
GALLERIA RAVAGNAN
Spaces and Contemplation
Piazza San Marco 50/A | Dorsoduro 686 www.ravagnangallery.com
GALLERIE DELL’ACCADEMIA/1
Willem de Kooning e l’Italia
Fino Until 15 settembre September Campo della Carità, Dorsoduro 1050 www.gallerieaccademia.it
GALLERIE DELL’ACCADEMIA/2
Il capolavoro veneziano di Giorgio Vasari
Un Soffitto Rinascimentale ricomposto
Dal From 28 agosto August Dorsoduro 1050 www.gallerieaccademia.it
GALLERIA RAVAGNAN Matthias Kostner Visions
11-29 ottobre October Dorsoduro 686 www.ravagnangallery.com
GARIBALDI GALLERY Mongol Zurag
The Art of Resistance
Via Giuseppe Garibaldi, Castello 1815
HOTEL METROPOLE
Rob e Nick Carter
Beyond the Frame
Riva degli Schiavoni, Castello 4149 www.hotelmetropole.com
IKONA | LAB | AZZIME I confini dell’Alterità
Fino Until 27 ottobre October Campo del Ghetto Novo, Cannaregio www.ghettovenezia.com
ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE FONDAZIONE CINI/2
Alex Katz Claire, Grass and Water
Fino Until 29 settembre September Sala Carnelutti, Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it
ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE LE STANZE DEL VETRO 1912-1930. Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia
Isola di San Giorgio Maggiore www.lestanzedelvetro.org
ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA/1
Helmut Newton. Legacy
Isola di San Giorgio Maggiore www.lestanzedellafotografia.it
LA GALLERIA DOROTHEA VAN DER KOELEN
Visions of Beauty
Calle Calegheri, San Marco 2566 www.galerie.vanderkoelen.de
LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA
Whispers – A Julian Lennon Retrospective
28 agosto August-24 novembre November
Isola di San Giorgio www.lestanzedellafotografia.it
M9 – MUSEO DEL ‘900 Burtynsky Extraction/Abstraction
Fino Until 12 gennaio January, 2025 Via G. Pascoli 11, Venezia Mestre www.m9museum.it
MAGAZZINI DEL SALE 5
Kiran Nadar Museum of Art
The Rooted Nomad
Dorsoduro 262 www.knma.in
MAGAZZINO MARINA MILITARE N. 41 Tomokazu Matsuyama Mythologiques
Campo della Celestia, Arsenale
MUSEO CORRER
Francesco Vezzoli
Musei delle Lacrime Piazza San Marco correr.visitmuve.it
MUSEO D’ARTE ORIENTALE Li Chevalier
I Hear the Water Dreaming
Fino Until 15 settembre September
Ca’ Pesaro (terzo piano), Santa Croce 2076 www.orientalevenezia.beniculturali.it
MUSEO DEL MERLETTO Fragile Stories
Fino Until 8 gennaio January, 2025 Piazza Galuppi 187, Burano www.museomerletto.visitmuve.it
MUSEO DEL VETRO Federica Marangoni
On The Road 1970-2024. Non solo vetro
Fino Until 3 novembre November Fondamenta Giustinian 8, Murano www.museovetro.visitmuve.it
MUSEO FORTUNY
Eva Jospin. Selva
Palazzo Pesaro degli Orfei, San Marco 3958 www.fortuny.visitmuve.it
NEGOZIO OLIVETTI
Tony Cragg
Le forme del vetro
Fino Until 1 settembre September Piazza San Marco 101 www.fondoambiente.it
OCEAN SPACE
Re-Stor(y)ing Oceania
Fino Until 13 ottobre October
Chiesa di San Lorenzo, Castello 5069 www.ocean-space.org | www.tba21.org/academy
PALAZZETTO BRU ZANE
Monique Jacot
La figura e il suo doppio
Fino Until 14 settembre September San Polo 2368 www.fondation-bru.org
PALAZZINA MASIERI
Armonia Metis
Galerie Negropontes, Dorsoduro 3900 www.negropontes-galerie.com
PALAZZO AMALTEO
Kimiko Yoshida
Private Collection
Corte Amaltea, San Polo 2646/A (visit by appointment) www.kimiko.fr
PALAZZO BEMBO/1
Journey of Labels
European Cultural Centre
R iva del Carbon, San Marco 4793-4785 www.artsconnectionfoundation.org www.foodofwar.org
PALAZZO BEMBO/2
R r OMA LEPANTO
European Cultural Centre
Riva del Carbon, San Marco 4793–4785 www.eriac.org | www.dokuzentrum.sintiundroma.de
PALAZZO CINI/1
Martha Jungwirth
Heart of Darkness
Fino Until 29 settembre September Campo San Vio, Dorsoduro 864 www.palazzocini.it
PALAZZO CINI/2
Eleonora Duse
Fino Until 13 ottobre October Campo San Vio, Dorsoduro 864 www.palazzocini.it
PALAZZO CORNER DELLA CA’ GRANDE
Mariko Mori. Peace Crystal: A Prayer for Peace
Fino Until 7 ottobre October San Marco 3878 www.berggruenarts.org
PALAZZO DIEDO
Berggruen Arts & Culture
Janus
Da Fr om 20 aprile April Fondamenta Diedo, Cannaregio 2386 www.berggruenarts.org
PALAZZO DUCALE
I mondi di Marco Polo
Fino Until 29 settembre September
Appartamento del Doge, Piazzetta San Marco www.palazzoducale.visitmuve.it
PALAZZO FERRO FINI
Grand Hotel Venezia
Fino Until 30 novembre November Consiglio regionale del Veneto, San Marco 2322 www.consiglioveneto.it
PALAZZO FRANCHETTI/1
Your Ghosts Are Mine
Expanded cinema, amplified voices
ACP- Palazzo Franchetti (piano nobile), San Marco 2847 www.dohafilminstitute.com
PALAZZO FRANCHETTI/2 Breasts
ACP- Palazzo Franchetti (mezzanino) San Marco 2847
PALAZZO GRASSI
Julie mehretu. Ensemble
Fino Until 6 gennaio January, 2025 Campo San Samuele, San Marco 3231 www.pinaultcollection.com
PALAZZO GRIMANI
Rick Lowe
The Arch Within the Arc
Castello Ramo Grimani, Castello 4858 www.polomusealeveneto.beniculturali.it
PALAZZO PISANI SANTA MARINA
Henri Beaufour
Portraits imaginaires / sculptures-tableaux-gravures
7 settembre September-23 novembre November Cannaregio 6104 www.henri-beaufour.com
PALAZZO ROTA IVANCICH Planète Lalanne
Fino Until 3 novembre November Calle del Remedio, Castello 4421 www.benbrownfinearts.com
PROCURATIE VECCHIE/1 The Human Safety Net A World of Potential
Procuratie Vecchie, Piazza San Marco 128 www.thehumansafetynet.org
PROCURATIE VECCHIE/2 About Us
Tracey Snelling for The Human Safety Net
Da From 12 aprile April Procuratie Vecchie, Piazza San Marco 128 www.thehumansafetynet.org
PUNTA DELLA DOGANA Pierre Huyghe. Liminal Dorsoduro 2 www.pinaultcollection.com
SAN CLEMENTE PALACE KEMPINSKI VENICE Seung-Hwan Kim. Organism Isola di San Clemente www.kempinski.com/venice
SCALA CONTARINI DEL BOVOLO Shane Guffogg San Marco 4303 www.vcprojects.art
SCOLETTA DEI TIRAORO E BATTIORO Scoletta Dell’arte: Digital Reform Fino Until 15 settembre September Salizada San Stae, Santa Croce 1980 www.taex.com
SCUOLA GRANDE DELLA MISERICORDIA Zeng Fanzhi Near and Far/Now and Then Fino Until 30 settembre September Cannaregio 3599 www.lacma.org
SPARC* SPAZIO ARTE CONTEMPORANEA Jacques Martinez. Domani Campo Santo Stefano, San Marco 2828/A www.veniceartfactory.org
SPAZIO SV
Sobin Park. Enter the Dragon Campo San Zaccaria, Castello 4693 www.spaziosv.com
SPUMA SPACE FOR THE ARTS
H 2 O VENEZIA. Diari d’acqua (chiuso in Agosto closed in August) Fondamenta San Biagio, Giudecca 800/R www.lapislaz.com
TANA ART SPACE Daniel Pešta
Something is Wrong
Fondamenta de la Tana, Castello 2109/A www.museummontanelli.com
UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI L’Avanguardia nel deserto Fino Until 29 settembre September Ca’ Foscari Esposizioni, Dorsoduro 3246 www.unive.it
Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero Numero 291-292 - Anno XXVIII Venezia, 1 settembre 2024
Con il Patrocinio del Comune di Venezia
Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996
Direzione editoriale Massimo Bran
Direzione organizzativa Paola Marchetti
Relazioni esterne e coordinamento editoriale Mariachiara Marzari
Redazione Chiara Sciascia, Davide Carbone
Speciali Fabio Marzari
Coordinamento Newsletter e progetti digitali Marisa Santin
Grafica Luca Zanatta
Hanno collaborato a questo numero
Katia Amoroso, Maria Laura Bidorini, Elena Bortoli, Loris Casadei, Maurizio De Luca, Fabio Di Spirito, Eleonora Franceschi, Elisabetta Gardin, Nicolò Ghigi, Renato Jona, Michela Luce, Franca Lugato, Irene Machetti, Beatrice Poggesi, Lucio Salvatore, Livia Sartori di Borgoricco, Adele Spinelli, Camillo Tonini, Riccardo Triolo, Veronica Triolo, Luisa Turchi, Bianca Vasti
Si ringraziano
Alberto Barbera, Paolo Lughi, Flavia Fossa Margutti, Laura Delli Colli, Emanuela Caldirola, Ilaria Grando – Ufficio stampa DMT de La Biennale di Venezia, Giuseppe Mormile
Traduzioni
Andrea Falco, Patrizia Bran, Richard McKenna
lo trovi qui:
Bookshop Gallerie dell’Accademia; Qshop (c/o Querini Stampalia, Santa Maria Formosa); Alef (c/o Museo Ebraico, zona Ghetto); Mare di Carta (Fondamenta dei Tolentini); Studium (zona S. Marco); Toletta, Toletta Cube e Toletta Studio (zona Campo San Barnaba) e in tutte le edicole della città.
Direttore responsabile Massimo Bran
Guide spirituali
“Il più grande”, Muhammad Alì Il nostro “Ministro della Fantasia”, Fabio Marzari
Recapito redazionale
Cannaregio 563/E - 30121Venezia tel. +39 041.2377739 redazione@venezianews.it www.venezianews.it
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