© Frédérique Calloch, Courtesy La Biennale di Venezia
Odyssey Compagnie Hervé Koubi Mensile di cultura e spettacolo - n° 253-254 - anno 25 - Luglio/Agosto 2021 spedizione in A.P. 45% art.2 comma 20/B - legge 662/96 - DCI-VE
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253-254 J U LY - AU G U S T 2021
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Modern Odyssey
BIENNALE DANZA, TEATRO, ARCHITETTURA SPECIAL ISSUE
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M9 - Museo del ’900 via Giovanni Pascoli 11 Venezia Mestre M9museum.it
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july-august2021 CONTENTS
editoriale (pag. 6) Venezia Amazzonia zoom1 (pag. 12) Intervista ricci/forte, 49. Biennale Teatro | Intervista Krzysztof Warlikowski, Leone d’Oro | Kae Tempest, Leone d’Argento | Directors & Companies zoom2 (pag. 24) 15. Biennale Danza | Intervista Germaine Acogny, Leone d’Oro | Intervista Oona Doherty, Leone d’Argento | Choreographers & Companies tracce (pag. 34) Festa del Redentore incontro1 (pag. 36) Walter Veltroni, Premio Campiello incontro2 (pag. 38) Federico Buffa architettura (pag. 44) Lina Bo Bardi, Leone Speciale alla Memoria | Reportage: Arsenale + Giardini | Intervista Thomas Coldefy, Tropicalia | Striatus in TIME SPACE EXISTENCE | Piranesi Roma Basilico arte (pag. 60) Intervista Giandomenico Romanelli e Pascaline Vatin, Venezia Panoramica | Un’evidenza fantascientifica | Peggy Guggenheim Collection | Alice in Doomedland | Alice: Curiouser and Curiouser | Painting is Back | Peter Fischli. Stop Painting | Bruce Nauman | Archaeology Now: Damien Hirst | Mario De Biasi | L’Arca di vetro | San Giorgio e il drago | È per sempre/It’s forever | Massimo Campigli e gli Etruschi | Galleries | Intervista Paolo della Corte musica (pag. 76) Venezia Jazz Festival | Carmen Consoli | Patti Smith | Paolo Conte | Vinicio Capossela | Ikarus | Villa Manin Estate | No Borders Music Festival | Parklife Festival | Vicenza Jazz Festival | Sexto ‘Nplugghed classical (pag. 82) Riccardo Muti | Festival Palazzetto Bru Zane | Requiem | Jonas Kaufmann | Roberto Bolle & Friends theatro (pag. 86) Estiva Teatro Stabile del Veneto | È sempre una bella stagione | Scene di Paglia | Operaestate Festival | CortinAteatro | Estate Teatrale Veronese cinema (pag. 90) Nanni Moretti, Festival di Cannes | Aspettando Venezia 78 | Cinefacts etcc... (pag. 94) Labirinto di Borges | Review: Naviganti di frodo | Parole menu (pag. 100) Le Cementine – Alajmo | Una cena en plain air | Dizionario irresistibile di storie in cucina citydiary (pag. 105) Odyssey Compagnie Hervé Koubi
© Frédérique Calloch, Courtesy La Biennale di Venezia
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Biennale Teatro BLUE
Stefano Ricci and Gianni Forte (ricci/forte) chose a palette of colours, inspired by Balzac’s Comédie humaine, to compose the four-part story of their Biennale Teatro. Blue, in all its nuances, will be the colour guiding the 49th International Theatre Festival, on stage from July 2 to 11. zoom p. 12
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Biennale Danza FIRST SENSE
Everything that can be done with dance and through dance today. In his first year as the director of the 15th International Festival of Contemporary Dance, Wayne McGregor illuminates the complexity, the breadth, the “transformability” of a discipline that thrives on renewal. From July 23 to August 1. zoom p. 24
COVER STORY
Ci siamo ispirati a uno dei più attesi spettacoli della prossima Biennale Danza per raccontare la nostra estate che, come recita il titolo Odyssey, vuole essere un viaggio fatto di danza, musica, teatro, cinema, arte, architettura, libri e assolutamente sport. Proprio i quattordici danzatori in scena ci hanno ricordato gli antichi greci e le prime Olimpiadi! Abbiamo scelto questo spettacolo perché Odyssey di Hervé Koubi è una coreografia intensa e sensuale, che non rivolge l’attenzione alle imprese che Ulisse compie durante il suo viaggio, ma che vuole mettere in luce le connessioni culturali, le migrazioni e il tumulto di un mare che unisce e trasporta vite umane. Ma anche perché Odyssey è un omaggio alla femminilità. Riti, melodie, storie e tradizioni si mescolano nelle coreografie in maniera singolare al linguaggio della breakdance, dell’hip hop e della danza contemporanea. Il risultato è una narrazione nuova e potente. Proprio quello che abbiamo cercato di fare noi in questo nuovo numero! We took inspiration from one of the most anticipated shows at the upcoming Dance Biennale to talk about our summer. Odyssey is a journey into dance, music, theatre, cinema, art, architecture, books, and sports. The fourteen dancers that will stage Odyssey talked to us about the ancient Greeks and the first Olympics! We chose the show by Hervé Koubi because it employs an intense, sensual choreography that doesn’t focus on Ulysses’ feats, but on the cultural connections, the migrations, the chaos of a sea that unites and moves about human lives. Not only that – Odyssey is an homage to femininity. Rituals, melodies, stories, and traditions mix beautifully with breakdance, hip-hop, and contemporary dance. An original, powerful narration – which is what we tried to do with our own Venezianews! Odyssey 28 luglio h. 20 Teatro Malibran www.labiennale.org
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REDENTORE
Fireworks… or fire won’t. For the second year in a row, our beloved midsummer festival must confront the pandemic. The Redentore Feast is not only about fireworks, though: there’s a whole calendar of religious, food, and folk rituals. Here, a handbook on everything that will happen on July 17 and 18. tracce p. 34
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Biennale Architettura HOW WILL WE LIVE TOGHETER? The 17th Architecture Biennale outdoes the brightest expectations and enjoys immense success. Us, we keep on investigating on an exhibition that, while on special tracks due to the pandemic, knew how to reinvent itself and grow into a safe base, because now more than any other time, “we need architecture”. architettura p. 44
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VENEZIA JAZZ FESTIVAL
Until August 7, Veneto Jazz takes music around town with a rich concert programme. From Fenice Theatre to Palazzo Grimani, the Crociferi Convent to Splendid Venice Hotel to Laguna Libre, their 13th edition is a mix of international experiences and original domestic projects, all to make music history. musica p. 77
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editoriale di Massimo Bran
A CAMPO APERTO Studio L A, City to Dust
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ieccoci qui, con il secondo numero della nostra giovanis-
sima (ebbene sì!!) terza età, quella del radicale restyling editoriale del nostro ormai venticinquenne city-magazine. Il primo numero di questa rivoluzione per noi storica, con la progettazione di un nuovo assetto grafico-editoriale, molto attento al contempo all’immagine e all’approfondimento testuale, cuciti insieme in un nuovo più agile formato segnato in copertina dal nuovo logo di testata, è stato per noi un vero successo. In accoppiata con TheBAG_BiennaleArchitetturaGuide, la nostra storica guida alla Biennale, ha accompagnato in modo vivo, esaustivo, critico questa vera ripartenza, in particolare in occasione delle giornate dell’Opening della 17. Biennale Architettura. È stato per noi uno sforzo di carattere davvero straordinario, in termini di difficoltà che ogni nuova ridefinizione progettuale sempre porta con sé, in termini di rischio imprenditoriale nel cuore di un anno in cui anche solo sopravvivere come si era prima aveva il profumo di una micidiale impresa, in termini di ricucitura del grado di fiducia verso il domani che decisamente rischiava di rimanere gravemente lesa da questa brusca interruzione esistenziale direi, prima ancora che “meramente” professionale. Un impegno che ci ha preso tutto e tutti come non capitava da tempo, come quando si esce da un tunnel quasi cieco e l’orizzonte non finisce più. Ecco, tutto questo per noi è stata questa ripresa, questa ripartenza da seduti in una gara di sprint! Una gara conclusa col fiatone, ma ancora carichi di energia mentale, sì. Oggi scrivendo questa nuova pagina della nostra piccola storia ci sentiamo più leggeri, più sanamente aggressivi sul presente, sui temi a noi cari in divenire. In questo numero, ancora più ampio come foliazione del precedente, come vedrete presentiamo i festival estivi della Biennale Danza e Teatro, la ripresa dei concerti, degli spettacoli teatrali, la riapertura dei cinema e delle arene estive. Il tutto certo ancora a scartamento ridotto, però intanto si va, si va… Tra lunghe interviste, focus su nuove mostre e altre già in corso, reportage e riflessioni critiche sulla Biennale Architettura quanto mai in presa viva sul presente sin dal suo azzeccatissimo titolo, How will we live together?, noterete quanto abbiamo accelerato in una direzione editoriale peraltro già da noi imboccata da anni, qui percorsa in maniera ancora più profonda e radicale. Una strada connotata da un’idea di comunicazione culturale concentrata prioritariamente sull’approfondimento, convinti come siamo sempre di più che le migliori testate cartacee, quelle dotate di rinnovata vitalità in un’età in cui un giorno sì e l’altro pure alla carta viene suonata la campana a morte, sono quelle capaci di ridefinirsi andando oltre l’ansia di coprire le breaking news, gli eventi quotidiani, inevitabilmente bruciati dalla connessione permanente sul web, scommettendo sulla lettura, sulle opinioni, sulle riflessioni, sulle introduzioni critiche agli eventi in divenire. Una strada obbligata e però da percorrere con competenza, visioni aperte, con una capacità di selezionare i contenuti esclusivamente sul terreno dell’alta qualità.
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Questo vogliamo fare, questo cercheremo di fare al nostro meglio. Il che non significa “tradire” la nostra prima ragion d’essere, ossia costruire un city-magazine che accompagna residenti e visitatori tra la frammentata giungla di eventi sparsi sul territorio. L’agenda c’è sempre, ricca più di prima, ancora più funzionale di prima, poiché raccolta in un’unica sezione anziché essere distribuita rubrica per rubrica. Una scelta che ci è sembrata rispondere anche alle abitudini di consultazione fattesi sempre più rapide, vocate alla sintesi, allo sguardo obliquo che sceglie il meglio in uno spazio ristretto e connettivo. Eppure questo tratto identitario e costitutivo del nostro lavoro editoriale, ossia restituire con precisione e funzionalità la ricca teoria di eventi e occasioni culturali della città, non può davvero più essere assolto esaustivamente dalla carta, che oggi può “solo” restituire una selezione di questi eventi arricchendoli di chiavi di lettura critiche. Chi deve assolvere a questa funzione con tempi e linguaggi di questo secolo è naturalmente il web. Ebbene, qui nei prossimi mesi vi riserveremo sorprese ancora più grandi di quante ve ne abbiamo riservate in questi ultimi numeri cartacei. Siamo nel pieno dei lavori in corso per più che trasformare, direi rifondare tutta la sezione web di Venews. I più attenti di voi avranno già avuto modo spero di apprezzare la nostra nuova Newsletter, sia quella relativa a Venews che quella specificamente dedicata alla Biennale Architettura. Bene, questo è solo un succoso antipasto. Stiamo infatti costruendo un sito, un portale che non avrà solo la “funzione” di restituire in forme e modi propri del web l’identità editoriale di Venews, ma direi ancor più ambiziosamente della città tutta di cui Venews da un quarto di secolo è voce viva, con l’ambizione davvero di dotare questa capitale culturale del mondo ancora afflitta da troppe criticità irrisolte, da croniche inadeguatezze, di un polmone di comunicazione sistemica in grado di restituire al mondo la sua miglior cifra qualitativa, quella dell’arte, della cultura, della sua impareggiabile natura. Detto senza alcuna presunzione ma anche senza falsa modestia, crediamo di avere tutto per soddisfare in maniera davvero funzionale questo obiettivo, poiché la forza di una redazione come la nostra non si costruisce nel lampo di una app o di qualche abbacinante next big thing digitale. Ci vuole un duro lavoro pluriennale, continuo e quotidiano, perché i contenuti non piovono dal cielo, ma si costruiscono, si lavorano, si selezionano. E questo decisamente non è un lavoro che si improvvisa. Insomma, è una grande sfida questa, su cui scommettiamo tutto ciò che di più prezioso abbiamo, convinti che è di questo che una città internazionale e di impareggiabile bellezza e ricchezza culturale quale è la nostra abbisogni. Infine questo spazio, questa verbosa pagina che da sempre apre il nostro magazine. È sempre stato uno spazio libero quello dell’Editoriale, nel senso che sin dalla prima ora non è mai stato connotato dalla necessità di coprire la stretta attualità, che so, un dato evento o una data mostra. No. Qui si è quasi sempre privilegiata la riflessione sullo
stato di salute di questa città, privilegiando il più delle volte un’attenzione verso le sue criticità, che sono troppe e ancora gravi. E questo per l’amore sconfinato e inscalfibile che nutriamo per Venezia, per il fatto che davvero non sopportiamo certe mediocrità che gravemente la caratterizzano, a partire dall’inconsapevolezza di troppi ancora su quale dovrebbe essere nel concreto il ruolo che essa dovrebbe recitare nel grande proscenio globale. Ecco, su questo terreno non intendiamo cedere di un millimetro, anzi, raddoppiamo l’impegno! E le pagine. Infatti saranno due da ora in poi quelle che occuperanno la sezione dell’editoriale, perché ci piacerebbe ogni mese ospitare un’altra voce a fianco della nostra, diretta o come citazione testuale di scritti apparsi altrove, scegliendo sempre persone in grado pertinentemente nella propria disciplina di dare del tu al futuro, di essere sempre alla ricerca di una visione larga del domani, in grado di conservare un vitale, imprescindibile stupore per queste pietre e queste acque, senza il quale tutto si inaridisce fatalmente. Bene, questo mese incominciamo con un amico, un architetto di valore e notissimo anche per il suo impegno, per le sue riflessioni analitiche sul futuro della nostra città, ben restituite nella loro ramificata articolazione nel suo ultimo volume dall’eloquente titolo Venezia Secolo Ventuno. Parliamo di Sergio Pascolo, che sarà una delle voci più importanti di questa giornata di incontri e riflessioni sullo stato di salute ambientale del nostro Pianeta organizzata il 5 luglio in occasione del G20 dalla galleria newyorchese Saphira & Ventura, ospite con una propria mostra a Palazzo Mora nel contesto della collettiva Time Space Existence coordinata da European Cultural Centre. La chiave di questo incontro è interessantissima, poiché traccia un sorprendente a prima vista parallelo tra la crisi demografica di Venezia e la deforestazione che mette a rischio la sopravvivenza dell’Amazzonia. Ecco un esempio, una modalità per uscire dall’autoreferenzialità lagunare mettendosi a confronto con altre specificità, unicità, così da comprendere che tutto è unico ma nulla è in sé e per sé.
La sostenibile leggerezza della cura
di Sergio Pascolo
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’evento G20 Sustainable solutions fa parte di una
serie di attività ed incontri che, in occasione della riunione del G20 a Venezia dal 5 all’11 luglio, hanno l’obiettivo di annunciare la Amazon Biennal del 2022 e contemporaneamente informare e sensibilizzare i Leader mondiali sui problemi urgenti dell’Amazzonia e soprattutto sulle possibili azioni mirate alla sostenibilità a vantaggio delle comunità locali ma anche degli aspetti ambientali legati ai cambiamenti climatici del Pianeta. In questo contesto ho proposto agli organizzatori dell’evento una sorta di parallelismo narrativo, tra Venezia e l’Amazzonia, perché si tratta di un’occasione unica per affiancare due realtà che sembrano apparentemente non associabili da qualche istanza comune, ma che invece hanno significative e, spero, prolifiche convergenze. Si potrebbe parlare della lirica e paragonare la grande tradizione veneziana che alla fine del Settecento ha portato alla costruzione del Gran Teatro La Fenice con la passione che ha portato a costruire alla fine dell’Ottocento il maestoso Teatro Amazonas a Manaus, nel centro dell’Amazzonia. Ma certamente quello che maggiormente muove questo inedito gemellaggio concettuale è la delicatezza e la vulnerabilità e quindi la necessità di resilienza di queste due entità lontane tra loro, una piccolissima e una enormemente grande: entrambe preziose per l’umanità, entrambe necessitano di un’azione urgente e un ripensamento culturale dei valori da parte degli abitanti della casa comune chiamata Terra, l’unica casa che abbiamo, per il momento. Ci troviamo in una città, Venezia, unica al mondo per la sua struttura morfologica e per la bellezza architettonica e artistica, che perde i suoi abitanti e stiamo discutendo di una foresta, unica al mondo per dimensione e per biodiversità, che perde i suoi alberi. Partendo dall’Amazzonia, il problema è abbastanza ovvio perché è il polmone del mondo. La foresta primaria è gravemente minacciata dalla deforestazione. Dagli anni ‘70 è già andato perso il 18% della copertura originaria, l’equivalente al doppio della superficie della Germania. Solo negli ultimi due anni sono andati perduti 10.000 chilometri quadrati di foresta ogni anno. Una deforestazione del 20-30 per cento, porterebbe a un punto di non ritorno e alla trasformazione della foresta pluviale amazzonica in una savana con gigantesche conseguenze climatiche per l’intero pianeta. È una questione molto nota che riguarda tutti nel mondo e gran parte del pianeta è preoccupato, consapevole e preoccupato. Altrettanto, la città di Venezia è seriamente minacciata dallo spopolamento. Dagli anni ‘50 la città ha perso circa 90.000 abitanti, passando dai 160.000 del primo Dopoguerra agli attuali 50.000 dell’isola principale e 75.000 considerando l’intero sistema insulare, che comprende il Lido, Murano, Burano, Sant’Erasmo Una città non è una città senza abitanti. Se il ritorno alla monocultura del turismo di massa globale continuasse ad alimentare il processo di spopolamento, l’ecosistema urbano e l’equilibrio demografico e socio-economico crollerebbero. Per quanto riguarda Venezia, non c’è ancora nel mondo la consapevolezza dell’importanza per il pianeta del problema del suo spopolamento; Venezia è percepita come città da visitare e finché sarà visitabile sembra sempre esistere nel suo splendore. La vera preoccupazione è che se continua ad avere sempre più turisti e meno abitanti non sarà più una città, ma diventerà un monumento e un macro resort. Cosa c’è di grave, potrebbe suggerire qualcuno? C’è di grave che il mondo intero perderebbe un esempio di città sostenibile che insegna all’umanità la sostenibilità proprio a partire dallo stile di vita, il modo di pensare e di vivere. E questo insegnamento basato su una storia millenaria, oltre che su molte eccellenze produttive e su 7
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editoriale
molteplici stratificazioni di sapere, è fondamentale per il futuro di tutti. La permanenza di questa testimonianza di cultura urbana è cruciale, preziosa, insostituibile. Si tratta quindi di costruire una necessaria narrativa contemporanea alla città lagunare, considerando Venezia, in questo inizio del terzo millennio, Patrimonio dell’Umanità per lo stile di vita sostenibile che la sua morfologia induce e promuove: da questo punto di vista appare evidente come la sopravvivenza di Venezia come città abitata sia una questione che riguarda il pianeta; combattere la monocultura turistica che accelera lo spopolamento, fermare definitivamente le Grandi Navi distruttive dell’ecosistema e promuovere una crocieristica innovativa, ecologica e compatibile con la Laguna sono in questo caso decisioni conseguenziali. La parola chiave per imbastire quello che ho chiamato il “Rinascimento sostenibile” è quindi equilibrio! L’equilibrio tra artificiale e naturale, paradigma fondante della Repubblica di Venezia che ha portato a costruire la più straordinaria struttura urbana del mondo proteggendo la Laguna, cioè il suo habitat, avendo saputo capire che questo era possibile solo guardando oltre i suoi limiti geografici, proteggendo le foreste in montagna anche se erano indispensabili per fornire il legname per costruire la città. Un disboscamento troppo accelerato avrebbe portato alla distruzione del sistema lagunare sul quale si stava fondando la città. L’equilibrio è questo, saper modulare gli interventi e prevenire squilibri irreversibili e catastrofici. Capire il valore di economie minori a grandissimo valore aggiunto culturale e sociale. Saper miscelare e condividere anziché separare ed eliminare. In antitesi all’avidità cieca e irresponsabile, impregnata di’istantaneismo distruttivo e poco lungimirante, la saggezza dell’equilibrio deve fare da ponte tra passato
e futuro, perché è l’unica prospettiva di futuro sia per la città lagunare che per l’Amazzonia. La distruzione degli ecosistemi culturali e ambientali non è un’opzione. A Venezia ci sono in questo momento segnali molto positivi sul piano istituzionale in concomitanza con una situazione congiunturale favorevole in Europa, che, su iniziativa personale della Presidente Ursula von der Leyen ha lanciato l’iniziativa New European Bauhaus per promuovere la coniugazione tra bellezza sostenibilità ed inclusione; il DNA di Venezia. L’Università Ca’ Foscari ha lanciato il progetto VeniSIA che intende attirare da tutto il mondo innovatori ed esperti che si occupano di sostenibilità, di scienze ambientali e di energia. Comune, Regione e Governo hanno siglato un epocale accordo approvando il progetto di “Venezia capitale mondiale della sostenibilità”, che vede coinvolte in un’inedita e virtuosa filiera istituzionale tutte le Università, prestigiosi enti di cultura e ricerca insieme al mondo imprenditoriale. Ci sono quindi tutti i presupposti per credere nell’inizio di quello che nel libro Venezia Secolo Ventuno ho chiamato il Rinascimento sostenibile. È importante che le azioni da ora in avanti rispecchino le intenzioni e che tutta la cittadinanza sia coinvolta in un nuovo comune sentire eticamente sintonizzato ai principi della sostenibilità. In questo scenario è lecito pensare che sia possibile allargare quel comune sentire al resto del mondo ottenendo quel rispetto necessario per rendere sostenibile e responsabile anche il turismo che in questo caso si potrebbe affiancare armoniosamente alla vita cittadina, mantenendone l’ineguagliabile qualità. Oggi abbiamo le competenze e le possibilità per costruire economie solide e quindi posti di lavoro e prosperità con azioni sostenibili. Abbiamo la possibilità, partendo da Venezia, di ricostruire l’equilibrio perduto. 9
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RWTH AACHEN UNIVERSITY - DEPARTMENT OF URBAN DESIGN RYOHEI TANAKA - G ARCHITECTS STUDIO SABAH SHAWKAT SAPHIRA & VENTURA ART | DESIGN | ARCHITECTURE SBGA | BLENGINI GHIRARDELLI SCAAA SCULP[IT] ARCHITECTS & JANSEN STEEL SYSTEMS SEVERINO ALFONSO AND LOUKIA TSAFOULIA - THOMAS JEFFERSON UNIVERSITY SIM ATELIERS SOFIA VERZBOLOVSKIS SPATIAL FUTURES LAB - GEORGIA INSTITUTE OF TECHNOLOGY STEPHEN SPARTANA STUDIO SKLIM SWINBURNE UNIVERSITY OF TECHNOLOGY TECHNICAL UNIVERSITY DARMSTADT TECNOLÓGICO DE MONTERREY MÉXICO TERRY MEYER TESTA ASSOCIATES
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LASALLE COLLEGE OF THE ARTS
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LEBANESE AMERICAN UNIVERSITY
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LOVE ARCHITECTURE AND URBANISM
DELFT UNIVERSITY OF TECHNOLOGY
LUCILA AGUILAR ARQUITECTOS
DEWITT GODFREY
MAGDA MOSTAFA
DOUG EDMUNDS
MAHL GEBHARD KONZEPTE
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EARTHASIA DESIGN GROUP (EADG)
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PETTIROSSI TESTARDI
Like Birds on a Wire
Una Biennale da combattimento senza alcun clamore, come la lotta che facciamo con il nostro angelo, silenziosa, ma non per questo meno furiosa
zoom
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ricci/forte
12
©Andrea Avezzù
49. FESTIVAL INTERNAZIONALE DI TEATRO Programma a p. 106
di Fabio Marzari e Chiara Sciascia
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iennale Teatro 2021 , seconda edizione in versione
“pandemica”, capitolo primo della direzione ricci/forte, un diarchia che promette assai bene per i prossimi quattro anni, lo si è compreso da subito durante la conferenza stampa di presentazione, in cui i due, quanto mai uniti, ma…separatamente, hanno illustrato le loro idee sul progetto sviluppato per il settore Teatro, con una capacità affabulatoria rara e convincente oltre che densa di valore, adoperando inoltre una tecnica di comunicazione di livello così raffinato ed elegante da suscitare una partecipata ed autentica ammirazione nel pubblico. E proprio per il valore delle parole espresse nel presentare il loro lavoro curatoriale abbiamo scelto di restituirle qui di seguito quasi letteralmente, perché davvero non necessitavano di alcunché attorno. Il loro è un polittico afferma Stefano Ricci: «siamo partiti dai colori, che per noi hanno una stretta attinenza con quello che raccoglie il significato di arte; il colore non ha la possibilità di essere categorizzato, non ha limiti. Proveremo a tracciare un affresco di un popolo, quello culturale e quello artistico, alla luce di quest’ibernazione dell’ultimo periodo, con i nostri sensi che si sono ‘congelati’ in attesa di ciò che sta arrivando adesso... C’è un unico teatro, il cielo è lo stesso. Per questo partiamo dal Blue, il cielo che ci rappresenta, che è in noi; un cielo che per tanto tempo è diventato il coperchio di una ‘bara’ si trasforma in un cielo possibile, laddove riusciamo a far trionfare i valori delle differenze e a lanciarci nel firmamento per raccontare ancora una volta che siamo qui. Tutti gli artisti invitati per la rassegna, sia i giovanissimi che le figure professionali più conosciute, nazionali o internazionali, attraversano i temi cari a questo momento storico di ricostruzione, di ascolto dell’altro, con un comune tentativo di recuperare quella dignità da troppo tempo dimenticata. Tutti insieme costruiremo il nostro polittico, un giardino delle delizie, per raccontare una resistenza, per dire “ricominciamo, riprendiamo a vivere!”, ma soprattutto cerchiamo di restituire un senso al fare teatro, al fare spettacolo dal vivo, perché il nostro senso è il senso di un Paese che si affaccia su un futuro possibile». Gianni Forte a seguire apre con parole di pulsante e netta energia, senza concessioni: «Useremo il potere rivoluzionario della parola poetica. Auspichiamo che il Festival diventi una sinfonia pubblica non solo da camera, un’incandescente leva trasversale di riflessione, di scambio e di incontro, una Biennale da combattimento senza alcun clamore, come la lotta che facciamo con il nostro angelo, silenziosa, ma non per questo meno furiosa. Uno spazio di vita in questo mondo che lascia il tunnel solo per riprendere la stessa strada polverosa percorsa precedentemente. Vogliamo imboccare sentieri altri non convenzionali, apparentemente impervi, che però alla fine risultano più luminosi, utilizzando ciascuno il proprio alfabeto e non uniformandoci alla corrente. Siamo dei pettirossi testardi, appollaiati sul filo spinato, che inondano la notte, spesso senza più luna né stelle, con il loro canto fragile, ma abbagliante». L’idea del coinvolgimento, dell’apertura alla città, di riportare il teatro in mezzo alla gente, fuori dai confini degli spazi Biennale, porta con sé la voglia di uscire da quell’ambito di quasi auto-referenzialità che talvolta manifestazioni come queste determinano. G.F. Aprirci alla città era uno degli intenti prioritari che avevamo. Con il nuovo bando Site Specific del College andando ad utilizzare spazi non teatrali volevamo, così come si faceva in passato, anche
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second ‘pandemic’ edition for Theatre Biennale and the first one under the Ricci/Forte diarchy. The two will show their ideas on theatre with a rarely convincing rhetoric ability, and also quite valuable. It is, indeed, the value of their words that we try to offer you verbatim, because there is nothing else to add. Says Stefano Ricci: “we started with colour, which we believe is strictly connected to the meaning of art. Colour cannot be classified: it is limitless. We try to create an epic of a people, the cultural and artistic people, after the hibernation they went through over the last several months, with our senses ‘frozen’ and waiting for what we are welcoming now. There is only one theatre, the sky is the same for everyone. That’s why we start with Blue, the sky that represents us, that is within us, the sky that has for long been the lid on a ‘coffin’ and now turns into the land of the possible. We will see the values of diversity triumph – all artists invited to the Biennale, both debutants and established performers, will touch the themes that are the most relevant to this historical period of reconstruction, of reaching out to the other, of attempt to recover that dignity that we seemed to forget about. All together, we will paint a large fresco, a garden of delights, to show what we mean by resistance and to say out loud: let’s get back to life!” Gianni Forte adds, unapologetically: “We will use the revolutionary power of the poetic word. We wish for the Festival to grow into a public symphony, a glowing, all-encompassing leverage for reflection and exchange, a Biennale that fights like we fight our Angel – silently, though by no means any less furious.” Breaking away from self-reference. G.F. To open up to the city was one of our most important goals. With the Biennale College’s site-specific project about non-theatrical spaces we wanted to go back to the agora, the public square, to create a forum to gather and discuss, talk together, and create living theatre. Something that is, as mentioned, non-referential. All to often, theatre is seen as a luxury good, something that caters to the elite. Well, with all the strength we can muster, we shall demolish this idea. As directors at Biennale, we will not list any of our own work, but scout for new talents. We saw many interesting pieces at College and we picked some of those. S.R. The shows that won the Site Specific competition are quite diverse. The -ness collective, composed of Rooy Charlie Lana and Giulia Zulian, authored three performance theatre pieces under the title On a Solitary Beach, that will be staged around Venice: at Lido, Giardini, Arsenale, on canals, and in the outer lagoon. At Campo Santo Stefano, Stellario Di Blasi will stage his Ab imis, an attempt, es evidence by the meaning of those Latin words, to ‘rebuild from the bottom up’. The show questions what have arguably been the errors that occurred over the last year and a half in trying to keep communication open. All the while, the available masterclasses show how we ‘feed’ the younger generations as they prepare to conduct their own research. Opera and other forms of art. S.R. To foster exchange between different forms of art is useful not only because it works to improve the cultural standing of
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RICCI/FORTE 49. FESTIVAL INTERNAZIONALE DI TEATRO nell’antica Grecia, ritornare nell’agorà, nella piazza, ricreando un forum che consentisse di riunirci e di discutere, di parlare insieme, per rendere il teatro vivo, non un qualcosa di già mummificato, autoreferenziale, per l’appunto. Vogliamo uscire per calli e campielli portando la gente a teatro, alla vita. C’è un pensiero diffuso che vede il teatro come una sorte di bene di ‘lusso’, per élites; bene, con tutte le nostre forze vogliamo demolire questo preconcetto. Sono felicissimo di essere approdato alla Biennale Teatro e credo che come Direttori in questi quattro anni probabilmente non proporremo niente di nostro; faremo lavoro di puro scouting ed è davvero entusiasmante smettere di guardarsi l’ombelico per proiettarsi alla scoperta di nuovi talenti. Ci sono tantissimi fiori preziosi che stiamo pian piano cogliendo, innestando e coltivando nel nostro ‘campo’ di Biennale. Abbiamo visto dei lavori molto interessanti tra tutte le proposte che ci sono state fatte tramite il College; ne abbiamo selezionati alcuni secondo il numero che ci veniva permesso dal Bando. Il 14 luglio sarà svelato il vincitore tra i registi under 35, che percorrerà la medesima strada che sta seguendo quest’anno Paolo Costantini, vincitore dell’edizione 2020, che debutterà nel Festival di Teatro 2022 con una vera produzione commissionata dalla Biennale stessa. Per un giovane regista è un passo importantissimo. Quando abbiamo cominciato noi, ma anche in seguito quando eravamo già affermati, anche con grandi produzioni, non abbiamo mai ottenuto una somma così rilevante sufficiente in sé per permetterci di creare esattamente quello che volevamo realizzare. Diciamo sempre che non c’è una sola forma di teatro, ma tanti teatri possibili, quindi questi bandi del College e le Masterclass diventeranno fattivamente un’officina di idee, un luogo di scambio di visioni, di progettazione con tutti i codici possibili che abbiamo oggi a disposizione. S.R. Vedremo in città gli spettacoli dei vincitori del nuovo bando Site Specific che sono molto diversi tra loro. Il collettivo -ness, composto da Rooy Charlie Lana e Giulia Zulian, firma tre diverse azioni performative raccolte nel titolo On a Solitary Beach, che prenderanno forma in diversi luoghi al Lido, ai Giardini, all’Arsenale e tra i canali, in laguna. In Campo Santo Stefano Stellario Di Blasi allestisce invece il suo Ab imis che racconta il tentativo, come dice la locuzione latina stessa, di “ricominciare dalle più profonde fondamenta”. Lo spettacolo si interroga su quelli che sono stati probabilmente gli errori maturati anche alla luce di quest’immobilismo lungo un anno e mezzo e sul tentativo, che è poi il filo conduttore di tutto il Festival, di mettersi in ascolto dell’altro attraverso l’inclusione. È presente e palpabile un’attitudine da parte di tutti gli artisti ad affrontare un’indagine liminale, che racconti uno stato di coscienza che è sottopelle, quindi un tentativo veramente differente di entrare in relazione con l’altro. Nel caso di Stellario Di Blasi, costruire un cortocircuito del genere, focalizzando l’attenzione su un’indagine così preziosa, in un luogo come Campo Santo Stefano, all’interno di un ambiente sociale definito, restituisce un valore assolutamente deflagrante rispetto a quello che è il senso profondo dello spettacolo dal vivo. Nel contempo le Masterclass raccontano il ‘nutrimento’ che offriamo ai giovani che un giorno prenderanno in carico le redini di un nuovo percorso. Tutte le discipline possono raccontare la tavolozza delle possibilità di parlare e di muoversi sul palcoscenico, dalla Masterclass di Galatea Ranzi e Chiara Guidi, che lavorano con attori e performer su testi di Virginia Woolfe, al laboratorio di drammaturgia con Martin Crimp, uno dei massimi esponenti della drammaturgia contemporanea 14
The Mountain, Agrupación Señor Serrano © Jordi Soler
mondiale. Andrea Porcheddu conduce un workshop con giovani critici che monitoreranno il Festival per tutta la sua durata; Adrienn Hód lavora sull’abbattimento dei confini del teatro attraverso un laboratorio sull’espressione performativa; Krzysztof Warlikowski, premiato con il Leone d’Oro, avrà uno spazio di indagine e di colloquio con un gruppo di registi e drammaturghi, elaborando un’ipotesi su un testo di J.M. Coetzee; Danio Manfredini lavora sul trionfo del corpo poetico. È interessante anche la presenza della lirica e il coinvolgimento di altre forme di spettacolo, quasi a restituire una evidente urgenza di creare un nuovo pubblico, coinvolgendolo con altri linguaggi, altre energie, attraverso altre possibilità di accesso al lavoro in scena. S.R. Costruire un terreno di incontro vivo, dinamico tra diverse espressioni artistiche è utile non solo perché contribuisce a elevare la cifra culturale del Paese, la percezione del valore dei linguaggi scenici in linea con ciò che già succede nei Paesi europei più culturalmente solidi, ma anche perché permettere di far comprendere a un giovane cantante, attore, regista e artista in generale le potenzialità che non sa di possedere, il che è davvero un processo fondamentale nel percorso formativo degli artisti in erba. Una delle Masterclass, che rappresenta più di tutto la commistione tra generi, è focalizzata sull’interpretazione nel teatro d’opera, dove un gruppo di giovanissimi cantanti lirici sarà guidato dal regista Leo Muscato, dalla coach fisica Nicole Kehrberger e dal maestro Riccardo Frizza, perché anche la lirica appartiene allo stesso cielo, ha bisogno di interpreti e sta comprendendo che lo strumento vocale è soltanto uno tra quelli a disposizione di un interprete quando costruisce uno spettacolo dal vivo. Per quanto riguarda gli spettacoli, qual è il fil-blue che li unisce? G.F. C’è un filo ed è ideale naturalmente, perché i tredici spettacoli che abbiamo scelto di rappresentare ci hanno sconvolto per la loro attualità, pur non essendo legati o ingabbiati necessariamente in questo presente. In scena vedremo diverse opere, alcune di repertorio, tutte di artisti che sono stati fermi un anno e mezzo. Di conseguenza non troveremo il tema “pandemia” nei loro lavori, ma nello stesso tempo emergerà un’urgenza, consapevole, fortissima, che il disastro, la distruzione, è un qualcosa che non appartiene solo a questo sventurato momento, alla dimensione pandemica universale: già ce lo portiamo avanti da tempo. Questi spettacoli ci permettono una sorta di distorsione dello sguardo, perché capaci di prendere lo spettatore per mano come Virgilio con Dante per entrare in questa Selva Oscura che non è solo metafora di disagio, di ostilità e pericolo, ma anche di cambiamento, di rinnovamento, di rinascita. Non possiamo ignorare, al di là del significato della crisi attuale, l’urgenza di restituire al cittadino, cioè a ciascuno di noi, i mezzi essenziali per una nostra emancipazione, per una nostra concreta possibilità di determinare e sviluppare dignito-
our country, but also because it allows younger performers and directors to understand the potential they didn’t know they had, which is paramount in their education. Opera lives under the same sky as theatre, and it needs interpreters that know not only how to use their voices, but all of their talents.
samente il nostro futuro. La cultura è necessaria, non è un accessorio, né tantomeno un lusso! La cultura quindi per voi è una vera arma per scuotere il presente, le coscienze, per stimolare attivamente lo spazio che viviamo e noi che qui viviamo. S.R. Tutti abbiamo sperato che questo lockdown, questa ‘glaciazione’, servisse per ricostruire, ma in realtà c’è stato un accanimento su quelle certezze più risibili che si sono andate ad accentuare purtroppo, mentre non c’è stato quell’ascolto che auspicavamo. Probabilmente il nostro obiettivo, anche attraverso il teatro, è proprio questo: cercare di scuotere le coscienze, ma in modo davvero empatico, dicendo: «siamo qui, siamo tutti sotto lo stesso cielo, e questo è un grande valore, ma lo stesso cielo può trasformarsi in un attimo in una bara! Dobbiamo renderci conto che non possiamo più accontentarci solo delle nostre piccole sicurezze». Le nuove generazioni sono abbastanza sensibili verso il gesto teatrale? C’è una concreta speranza di coinvolgere e formare un nuovo, vitale pubblico? S.R. Dipende dal percorso degli artisti. Personalmente ho sempre lavorato cercando una visione trasversale e coinvolgendo pubblici trasversali, perché nel momento in cui capisci che ti stai rivolgendo ad un apparato familiare tutto perde di senso. È nel confronto continuo che vive il significato del fare teatro. Da questo punto di vista i giovani sembrano essere davvero sorprendenti: si sono presentati numerosissimi con ottimi progetti e tantissima voglia di fare. È una cosa molto bella, perché infonde tantissima energia in noi che siamo di una generazione precedente, il che ci fa ben sperare nel futuro. Si dice che il teatro è morto, ma in realtà non è il teatro a morire; ciò che muore è la consapevolezza delle persone nel dare un valore autentico a questa espressione artistica. La risposta dei giovani, questa voglia di costruire sulla sabbia – perché questo è il nostro mestiere – è veramente la chiave di volta, dobbiamo continuare ad alimentare fantasmi di fantasia. Per due non veneziani come voi, che ruolo gioca nel vostro lavoro questa città, con il suo straordinario tessuto urbano? G.F. Pur non vivendo qui da molto tempo sono follemente innamorato della città. Magari è una ‘cotta’ iniziale, perché adesso non noto le difficoltà; l’entusiasmo è così vivo che non sento la fatica, né le criticità che potrebbero esserci. Siamo in una posizione privilegiata e abbiamo la possibilità di godere di questo luogo unico appieno. Vorremmo inoltre in futuro creare co-produzioni, quindi speriamo che, come hanno promesso, direttori di teatri e artisti internazionali vengano a trovarci perché proprio a Venezia, che non è una città morta ma più viva che mai, si possano creare dei poli di congiunzione per poi partire e propagarci per il mondo.
Binding it all together. G.F. Certainly, there is a common thread to our work. The thirteen shows we chose to stage shocked us with their modernity, while we feel not particularly bound or caged in the present time. We shall see different works, some repertoire too, by artists who haven’t been on stage for a year and a half. Consequently, there won’t be much space for the pandemic in their art, but the urgency and the awareness that disaster, destruction, is something that belongs in our lives always. These shows warp our vision and take us by the hand, like Vergil did Dante, to enter a savage garden that is the metaphor of unease, hostility, and danger as well as of change, renewal, and growth. We cannot ignore, whatever crisis is currently taking place, the urgency of giving back to each of us the essential tools for our emancipation, for a real chance to determine and develop our future with dignity. Culture is a necessity, not an accessory, and certainly not a luxury! Culture as a tool and a stimulus. S.R. We all wished that the lockdown, this ‘ice age’, would allow us to rebuild, though what happened is, we belaboured on issues we though long dead and there was not much listening. Our goal, our goal for theatre, is exactly that: trying to shock consciences in an empathetic way. We want to say: “We’re here, we all stand under the same sky, and this is a good thing. We cannot turn this sky into a coffin! We must realize that we cannot be satisfied with our little safety notions.” The younger generations. S.R. I have always tried to work across the board, with the largest audiences possible, because the moment you realize you are always speaking to the same people, that’s when you know that it all has no meaning anymore. It is continual confrontation that begets real theatre. From this point of view, I marvel at young people: so many participated, with so many great projects, and so much ambition. This is wonderful because it gives us, an older generation, energy and it makes us believe in the future. They say theatre is dead, but it didn’t, really. What actually died is the awareness of the actual value we can get from this form of art. The response of the young, their willingness to build upon quicksand – because that’s what theatre is about – is key. Venice. G.F. I have only recently moved to Venice, and I fell madly in love with it. Maybe it’s just a crush, a honeymoon phase where I see no downsides. I am so enthusiast that I cannot see any! We are privileged in being able to enjoy this unique place so fully. We would love to establish co-production ventures in the future and hope that, as many promised, international performers and directors will come visit here in Venice, a city that is far from dead. It is actually more alive than ever and the perfect hub to meet and reach out to the world together.
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KRZYSZTOF WARLIKOWSKI LEONE D’ORO ALLA CARRIERA
Scandalosa è la vita Intervista a Krzysztof Warlikowski Il regista polacco Krzysztof Warlikowski, Leone d’Oro alla carriera 2021, è atteso a Venezia come una superstar. La provocazione a teatro sembra diventata tema vincente per il pubblico e i suoi spettacoli sono andati sold-out in pochi attimi. Già venti anni or sono veniva definito “agent provocateur” e le sue messe in scena delle opere di Shakespeare suscitavano scalpore. La Tempesta, ad esempio, venne riscritta alla luce della scoperta del massacro di Jedwabne, pogrom antiebraico nella Polonia del 1941. Personaggio irrequieto, nato a Stettino in Polonia nel 1962, si trasferisce molto presto a Parigi per seguire studi di storia, filosofia e infine teatro. Frequenta e collabora con i massimi protagonisti della regia teatrale del Novecento: Krystian Lupa a Cracovia, già allievo di Kantor, Andrzej Wajda, Peter Brook, Ingmar Bergman, Giorgio Strehler. Il successo internazionale gli viene dalla direzione di regia di opere liriche, che connota con un suo tratto inconfondibile attraverso un gusto barocco per il colore, i costumi e le luci. A Venezia presenta in prima nazionale We Are Leaving, adattamento del romanzo Suitcase Packers di Hanoch Levin, poeta e drammaturgo israeliano scomparso nel 1999, noto per i suoi cabaret satirici, commedie di ripresa di antichi miti o episodi del Vecchio Testamento, talvolta in chiave domestica. Il palcoscenico è arredato come una sala d’attesa. Personaggi di varia umanità si presentano e raccontano al pubblico e ad altri avventori in scena la dolorosa vicenda che li ha portati in quel luogo, forse in attesa di un funerale. Ognuno racconta del suo sogno di andare altrove, per amore, per lavoro, per semplice desiderio di scappare. Il palco si riempie di valigie e borse, trasformandosi in una (im)probabile sala di imbarco per viaggiatori. Sappiamo tutti che in realtà il nostro unico spazio di vita è qui e ora: ogni fuga è inutile, sembra volerci dire il regista. Paradossi, contrasti, ironia e forse un messaggio nella scena finale, ove tutti gli attori si ritrovano solidali come una grande famiglia, una comunità che ha saputo nello spettacolo divertirsi. Convenzioni, ipocrisia, superficialità del mondo contemporaneo sono spesso al 16
Krzysztof Warlikowski / ©Maurycy Stankiewicz
centro delle sue rappresentazioni. Durante gli anni al TR Warszawa è stato anche definito “provocatore teatrale”. Quanto di questo resta oggi nelle sue messe in scena? Considerando che la vita di per sé è trasgressione, il teatro deve prenderne atto. Non possiamo fingere di vivere nel migliore dei mondi possibili. Lo scandalo è onnipresente: in politica, nelle nostre relazioni umane, nel nostro corpo, nel nostro modo di vivere e di morire. In questo momento stiamo vivendo anche lo scandalo della pandemia. Non andiamo a teatro per dimenticarci della realtà, ma al contrario per riflettere su di essa. Ci tengo sottolineare che non è il teatro ad essere trasgressivo, scandaloso, bensì la vita. Ha avuto il coraggio di mettere in scena alcuni grandi scrittori, spesso di non agevolissima lettura, tra cui Proust, ad esempio. Come avviene la genesi di questi spettacoli? Mentre legge si formano immediatamente le immagini nella sua mente o vi è un’elaborazione successiva, una sorta di riscrittura di copione? Sono essenzialmente interessato ai testi che creano mondi, universi che vedono l’uomo coinvolto in scandali storici. Non sono interessato a quei testi imperniati su uno specifico argomento, che restituiscono solo un’immagine parziale della realtà. I miei lavori spesso nascono da una combinazione di vari testi; creo delle sceneggiature originali che sono ben radicate nei testi di partenza ma vanno molto al di là di questi. Le immagini prendono forma durante tutto il processo creativo e provengono da fonti e luoghi diversi. Molte di esse traggono ispirazione da Małgorzata Szczęśniak, scenografa che ha lavorato a tutti i miei spettacoli. Durante la messa in scena dei suoi spettacoli è presente e attento alla reazione del pubblico? È mai successo che la reazione
degli spettatori rendesse necessaria una correzione del testo? Cerco di essere presente a tutti i miei spettacoli. Il mio lavoro non termina mai il giorno della prima; spesso apporto delle modifiche sostanziali ai miei spettacoli in progress, ma queste non dipendono dalla reazione del pubblico, bensì esclusivamente da me stesso: sono io che sento la necessità di cambiare e che decido che qualcosa va migliorato in un dato modo o trattato diversamente. Negli ultimi anni ha goduto di una notorietà universale, fuori anche dai ristretti ambiti teatrali, dedicandosi molto all’opera. Ha commentato questo suo impegno con la necessità di dare nuova vita a una struttura ossificata quale è la classica opera all’italiana. Ma il piacere intimo che prova nell’occuparsi della regia di un’opera è lo stesso che vive realizzando un’opera teatrale? Di fronte ad un’opera lirica mi comporto sostanzialmente come di fronte ad un’opera teatrale e apprezzo moltissimo l’impulso teatrale che il compianto riformatore d’opera Gerard Mortier ha saputo imprimere all’opera prendendo delle decisioni molto coraggiose. Non si può paragonare il lavoro nell’opera lirica con quello nel teatro di prosa, poiché rappresentano due percorsi di lavoro molto diversi tra loro; sono organizzati in maniera differente e aprono la via a sfide diverse. Talvolta mi sento sollevato dal fatto che quando lavoro con un’opera lirica non devo creare nessuna sceneggiatura, perché tutto già pronto. Altre volte invece vivo questo aspetto come un ostacolo, un limite. Loris Casadei
Cerimonia di consegna del Leone d’Oro 3 luglio ore 12, Ca’ Giustinian We Are Leaving 2 luglio ore 19; 3 luglio ore 17, Teatro alle Tese (III) www.labiennale.org
A free artist who opens poetic breaches to cast a ray of raw light on the other side of the coin, who breaks through the crust of things to touch consciences, who descends into the viscera of pain and ironically questions the ambiguities of History ricci/forte
Scandalous is life itself
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Interview with Krzysztof Warlikowski Venice looks forward to meeting Polish director Krzysztof Warlikowski, much like we would any superstar. Provocation in theatre seems to be a hot topic for audiences and Warlikowski’s shows sell out in minutes. In Venice, the director will present in national premiere We Are Leaving, an adaptation of novel Suitcase Packers by Hanoch Levin, the Israeli playwright and poet (1943-1999). On stage is what looks like a waiting room. People of different extractions introduce themselves and tell the painful story that caused them to be there. Each speaks of their dream to go elsewhere, whether for love, work, or escape. The stage fills up with bags and suitcases as it turns into an unlikely boarding area. We all know, though, that the only space life takes place in is the here and now – any escape attempt is useless. Conventions, hypocrisy, superficiality of the modern world are often at the centre of your representations. In the times of Teatr Rozmaitości in Warsaw you were also called a “theatrical provoker”. How much of this remains today in your stagings, and in particular in We Are Leaving that you propose at the Biennale? Since life itself is a scandal, theatre must refer to this fact. We cannot pretend that we live in the best of worlds. Scandal is everywhere: in politics, in manipulation, in our relationships, in our bodies, in the way we live and die. Now we also have the scandal of the pandemic. We don’t go to the theatre to forget about it, but to reflect on it. But let me stress it: it’s not the theatre that is scandalous – it’s life itself. You had the courage to stage some great authors, often ones that are hard to read, including Proust, for example. What is the genesis of these performances? I mean, do images immediately take shape in your mind as you read the different works or are they the result of a subsequent mental processing, a kind of rewriting the script?
I look for the texts that create worlds, universes of human activity involved in historical scandals. I am not interested in texts that are written on a specific subject, that create a partial image of reality. I often combine different texts, creating original scripts that are rooted in the source texts, but go beyond them. Images keep coming during the whole creative process. From different places, different sources. A lot of them come from Małgorzata Szcze˛śniak, the set designer of all my shows. How do you evaluate audience reaction? Has it ever happened that you had to edit a text because of a particular audience reaction? What litmus test do you employ to test your work? I try to attend each of my shows. My work does not end on the day of the premiere, I often introduce significant changes to the show – it is the effect of revelations if they appear. The audience does not dictate them – I feel and decide myself that something can be done better or wiser. You have earned universal fame in recent years, even outside theatre, dedicating yourself in particular to opera. You said your commitment in this field is a response to the need to give new life to an ossified structure such as classic Italianstyle opera. Is the pleasure you feel in directing an opera the same you feel in staging a play? Or are there any differences and if so, what are they? I treat opera as theatre mainly, and I am happy with its theatrical bloom, mostly thanks to the courageous decisions of the late opera reformer, Gerard Mortier. It is not possible to compare the work in the opera and drama theatre, as they are very different, differently organized and opening different challenges. Sometimes I feel relieved that in the opera I don’t need to create a script, that everything is given. At other times I perceive it as an obstacle.
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Bruce Nauman, Walk with Contrapposto, 1968. Courtesy of the artist and Electronic Arts Intermix. © Bruce Nauman by IAE 2021
Bruce Nauman, Walk with Bruce Contrapposto, Nauman, Walk 1968.with Courtesy Contrapposto, of the artist 1968. Courtesy of the artist and Electronic Arts Intermix. and © Electronic Bruce Nauman Arts Intermix. by IAE© 2021 Bruce Nauman by IAE 2021
BRUCE BRUCENAUMAN NAUMAN CONTRAPPOSTO STUDIES CONTRAPPOSTO STUDIES BRUCE NAUMAN PUNTA DELLA DOGANA PUNTA DELLA DOGANA CONTRAPPOSTO STUDIES VENEZIA VENEZIA PUNTA DELLA DOGANA 23.05.21 – 09.01.22 23.05.21 – 09.01.22 VENEZIA 23.05.21 – 09.01.22 CURATED BY CARLOS BASUALDO
AND CAROLINE BOURGEOIS CURATED BY CARLOS BASUALDO AND CAROLINE BOURGEOIS
CURATED BY CARLOS BASUALDO AND CAROLINE BOURGEOIS 18
PALAZZOGRASSI.IT
#BRUCENAUMAN PALAZZOGRASSI.IT #BRUCENAUMAN PALAZZOGRASSI.IT #BRUCENAUMAN
zoom KAE TEMPEST LEONE D’ARGENTO
Effetto farfalla Le rime ruggenti di Kae Tempest conquista la Biennale Teatro
Photo Julian Broad
Ci sono artisti che, oltre ad essere per l’appunto artisti, riescono anche ad essere “icone” del proprio tempo: non solo creatori di linguaggi estetici innovativi e di sommo livello, ma anche soggetti in cui convergono i flussi e le dinamiche sociali, insieme alla capacità di interpretare un periodo della storia, un universo di segni e di rappresentazioni. Così, alla rinfusa: Warhol, Toulouse-Lautrec, Caravaggio, Kerouac, tanti eroi della musica rock, ecc. Per questi artisti essere “iconici” significa semplicemente “essere sé stessi”. Tuttavia in essi il mondo riconosce la persistenza di un surplus di soggettività che va a toccare le dinamiche della storia. Kae Tempest, nata Kate Ester Calvert 35 anni fa a Westminster, Londra, Leone d’Argento della Biennale Teatro 2021 (dedicato alle promesse del teatro o a quelle istituzioni che si sono distinte nel far crescere nuovi talenti), è quasi sicuramente un* di quest* artist* iconic* (Tempest, lo scorso anno, ha dichiarato pubblicamente la propria identità non binaria, chiedendo l’utilizzo del singular they in riferimento alla propria persona). Kae Tempest è il luogo in cui poesia, performance teatrale, musica si mescolano, si confondono, si ridefiniscono: rapper, poet*, composit*, scritt*, drammaturg* e spoken word performer, ha vinto numerosi premi per le sue opere poetiche, narrative e musicali. Finalista del Costa Book Award e del BRIT Award, due volte in finale per il Mercury Prize e altrettante per l’Ivor Novello Award, nel 2013 ha vinto il Ted Hughes Award. Nel 2014 la Poetry Book Society ha inserito il suo nominativo nella
lista Next Generation Poet, che ogni dieci anni individua le voci poetiche più promettenti del panorama britannico. Ha pubblicato le raccolte di poesia Antichi nuovi di zecca, Resta te stessa, Che mangino caos e Un arpeggio sulle corde, oltre al romanzo The Bricks that Built the Houses. Insomma, ci troviamo davanti a una delle più pure voci poetiche del terzo millennio, che mette in scena le proprie visioni secondo liturgie legate alla performance fisica tra rap e spoken poetry, alternando rabbia e passione, violenza e dolcezza, gestualità e scrittura vorticosa. Il suo libro di maggior successo, Let Them Eat Chaos, è un ritratto di sette persone che alle 4.48 di mattina – l’ora in cui sembra esserci il più alto tasso di suicidi – sono sveglie nei loro appartamenti nel sud di Londra, immersi nel caos delle loro esistenze. Il che non può essere che dovuto a un caos più generale che è là fuori, nel mondo della politica e della società. Ascoltare la poesia letta dal suo autore è una delle più affascinanti esperienze di ascolto dell’uomo. Da Omero a Ginsberg, l’oralità della poesia è stata da sempre fonte di conoscenza primaria, mediata dall’insopprimibile fisicità del poeta. Da questo punto di vista l’esperienza artistica di Kae Tempest come un’erma bifronte guarda al passato e al futuro della poesia: del tutto consapevole della lezione che viene dalla Storia e al contempo desiderosa di affrancarsene attraverso l’affermazione di una fisicità corporea dirompente, in cui disperazione sul futuro del mondo e dolcezza di un attimo sospeso meravigliosamente convivono. F.D.S.
The butterfly effect
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Kae Tempest’s roaring poetry on stage Some artists are just that, and others grow to be icons of their times. Not only creators of innovative aesthetics, but protagonists of social dynamics and interpreters of history. Let’s name a few in no particular order: Warhol, Toulouse-Lautrec, Caravaggio, Kerouac, many rockers, etc. For these, to be an icon means to be themselves. And yet, everyone easily recognizes that there’s more than personality to them: there is something that touches history. Kae Tempest, born Kate Ester Calvert in Westminster 35 years ago and awarded the Silver Lion at the 2021 Venice Theatre Biennale, is certainly one of those iconic artists. Kae Tempest is the place where poetry, theatre, and music mix and blend. A rapper, poet, composer, author, playwright, and spoken word performer, their art has been recognized at Costa Book Award, BRIT Award, Mercury Prize, Ivor Novello Award, Ted Hughes Award, among others. In 2014, they made it into the Next Generation Poet list. In short, they are one of the purest voices of third-millennium poetry. To listen to poetry in the live voice of its author is just fascinating. From Homer to Ginsberg, orality is the primary source of poetry, mediated by the insuppressibly physicality of the poet. From this point of view, Kae Tempest’s art is the two-faced herm looking at past and future of poetry at once.
Consegna del Leone d’Argento 9 luglio ore 14, Ca’ Giustian The Book of Traps & Lessons 10 luglio ore 21, Teatro Goldoni www.labiennale.org
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ROBERTO LATINI
Photo Angelo Maggio
Il mondo degli ultimi è al centro dello spettacolo di Roberto Latini, artista che ha fatto del rapporto voce-parola-suono uno dei cardini della propria ricerca, ora in dialogo con l’impasto unico di un romanzo estremo di Giovanni Testori, In exitu. Alla teoria di personaggi randagi dell’hinterland milanese del poeta lombardo In exitu aggiunge il giovane tossico Riboldi Gino, colto negli ultimi, strazianti momenti vissuti nei bagni della Stazione Centrale di Milano. «In exitu è come una Pietà. La parabola parabolica vissuta da Riboldi Gino è quella di un povero Cristo tenuto in braccio da Madonne immaginate, respirate, disarticolate, nella fonetica di una dizione sollecitata fino all’imbarazzo tra suoni e senso, come fossero le parole a essere infine deposte dalla croce sulla quale Testori le ha inchiodate» (R. Latini). The world of the last is at the center of the show by Roberto Latini, an artist who has made the voice-word-sound relationship one of the cornerstones of his research, now in dialogue with an extreme novel by Giovanni Testori, In exitu. This novel adds to the Lombard poet’s stray characters from the Milanese hinterland the young addict Riboldi Gino, caught in his last, harrowing moments of life in Milan’s Central Station toilets. 7 luglioJuly h. 21 Teatro Piccolo Arsenale
PAOLO COSTANTINI Vincitore della quarta edizione del College Registi nel 2020, il venticinquenne romano presenta, prodotto dalla stessa Biennale, Uno sguardo estraneo (ovvero come la felicità è diventata una pretesa assurda), lavoro che trova impulso nelle suggestioni di uno dei più famosi testi della scrittrice Premio Nobel Herta Müller, Oggi avrei preferito non incontrarmi, dove una donna senza nome, convocata da un regime dittatoriale, attraversa la città seduta su un tram e riflette. «Crediamo che l’atmosfera soffocante del testo – scrive Costantini – riesca a evocare il mondo in cui viviamo oggi. La frenesia della società e la pressione che esercita hanno trasformato le modalità in cui si percepisce la propria vita. La dittatura politica è sostituita da una dittatura della frenesia del fare, in cui il tempo è sempre più contratto. Ci si ritrova intrappolati all’interno di gabbie nevrotiche auto generate, che si manifestano in mille forme diverse, ma che hanno come denominatore comune il rapporto con il tempo».
Winner of the fourth edition of the Biennale College Directors in 2020, the twenty-five-year-old Roman director presents Uno sguardo estraneo, work that draws a fresh impetus from the suggestions of one of the most famous texts of the Nobel Prize-winning writer Herta Müller, The Appointment, where an unnamed woman, convened by a dictatorial regime, is sitting on a tram and looks at the city passing by thinking her own thoughts. 3 luglioJuly h. 21; 4 luglioJuly h. 18 Tese dei Soppalchi, Arsenale
OHT (OFFICE FOR A HUMAN THEATRE) Audace sperimentatore Filippo Andreatta con il suo Office for Human Theatre (OHT) debutta a Venezia con un nuovo progetto in prima assoluta – musica di Davide Tomat – che, parafrasando Gertrude Stein, si intitola Un teatro è un teatro è un teatro è un teatro. Riprendendo la forma musicale del solfeggio, OHT torna ai fondamentali della scena riscoprendo gli elementi della macchina teatrale: quinte, cieli, fondali, luci, americane, contrappesi si mostrano diventando una linea melodica. Voci solitamente inudibili e invisibili si materializzano come un’efflorescenza del palcoscenico che si fa sempre più barocco. Una trasformazione incessante in cui la scena si articola in rapporti d’insistenza anziché di consistenza. Il palcoscenico appare come un ecosistema complesso con forme di vita umane e non umane. Un super teatro: un luogo vitale in sé, in cui il dramma ritorna alla sua etimologia più pura, quella di essere azione e mutamento.
Photo MoniQue
Filippo Andreatta with his OHT debuts in Venice with a new world premiere project – music by Davide Tomat – which, to paraphrase Gertrude Stein, is entitled A theater is a theater is a theater is a theater. Taking up the musical form of the solfeggio, OHT returns to the fundamentals of the scene by rediscovering the elements of the scenic machine: backstage, skies, backdrops, lights, counterweights become a melodic line. 5 luglioJuly h. 19 Teatro Goldoni
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DANIO MANFREDINI
Photo Andrea Macchia
Figura rara e discreta della scena contemporanea che pure ha influito su generazioni di attori, a Venezia Manfredini è autore e interprete, accanto al musicista e polistrumentista Francesco Pini, di Nel lago del cor, titolo mutuato dal primo canto dell’Inferno di Dante, in cui il poeta descrive la paura e l’angoscia provate nella “selva oscura”. Un luogo dell’anima per il Sommo Poeta, luoghi fin troppo reali quelli descritti nello spettacolo di Manfredini: i lager che rappresentano la ferocia dell’uomo, simboli di terrore e sofferenza, di quello smarrimento esistenziale e spirituale mai provato altrove. In una babele di lingue, immagini, canti Manfredini intreccia le parole di Primo Levi, Hanna Arendt, Zalmen Gradowski per dire l’indicibile. «Dedico questo lavoro ai sopravvissuti perché le loro parole sono state una guida e lo dedico come un requiem, a tutti coloro che sono morti in quei lager senza lasciare traccia». A rare and discreet figure of the contemporary scene Manfredini is author and interpreter, alongside the musician Francesco Pini, of Nel lago del cor, a title borrowed from the first canto of Dante’s Inferno, in which the poet describes the fear and anguish he felt in the “dark forest”. A place of the soul for the Supreme Poet becomes an all too real place in Manfredini’s show: concentration camps that represent man’s fierceness, symbols of terror and suffering. In a Babel of languages, images, songs, Manfredini interweaves the words of Primo Levi, Hanna Arendt, Zalmen Gradowski to utter the unutterable. 4 luglioJuly h. 21 Teatro Piccolo Arsenale
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LENZ FONDAZIONE Tratto da La vita è sogno di Calderón de la Barca, Altro Stato di Francesco Pititto e Maria Federica Maestri è una domanda intorno alla propria vita, alla propria condizione. Costretti nell’unico corpo psichico della straordinaria “attrice sensibile” Barbara Voghera, il principe Sigismondo e il servo Clarino si inseguono alla ricerca di una sola identità: «In Barbara convivono – sempre in lotta – le due anime de La vita è sogno: la consapevolezza della tragedia senza scampo a cui è destinato l’Uomo e il desiderio di sottrarsi al dominio del reale dando forma a un mondo rovesciato, liberato da leggi e regole, da convenzioni e imposizioni divine e statuali». Questa oscillazione tra le due polarità etico-drammaturgiche è il campo interpretativo in cui l’attrice è immersa, in un bruciante rispecchiamento esistenziale: la condizione reale dell’alterazione cromosomica destina a una oggettiva subalternità, a una sottrazione di potere, a una minore possibilità di realizzazione. A questa sorte Voghera contrappone una furia artistica sovversiva, una volontà di rivolta che non si assoggetta all’evidenza psico-fisica, bellezza e forza irriducibili versus l’arrogante violenza delle norme e delle convenzioni sociali.
Photo Maria Federica Maestri
Based on Calderón de la Barca’s Life is a Dream, Altro Stato by Francesco Pititto and Maria Federica Maestri is a question about one’s life. Forced into the one psychic body of the extraordinary “sensitive actress” Barbara Voghera, Prince Sigismondo and the servant Clarino pursue each other in search of a single identity: “In Barbara the two souls of Life is a dream coexist in an everlasting struggle: the awareness of the inevitable tragedy Man is doomed to and the desire to escape the rule of the real world giving shape to an overthrown world, free from any laws and rules, from divine and state conventions and orders”. 6 luglioJuly h. 21; 7 luglioJuly h. 18 Tese dei Soppalchi, Arsenale
THOMAS OSTERMEIER-ÉDOUARD LOUIS Indomito nelle proprie denunce sociali, ritorna a Venezia anche il Dramaturg per antonomasia: Thomas Ostermeier, già Leone d’Oro nel 2015, anno in cui presentò il variegato e sarcastico Il matrimonio di Maria Braun, spettacolo di grande efficacia drammatica. Quest’anno porta in prima nazionale Qui a tué mon pere, dal romanzo breve e fortemente autobiografico di Édouard Louis. Interprete lo stesso autore, portatore di accuse con tanto di nomi e cognomi nei confronti dei politici francesi che «stanno distruggendo il welfare, piegando corpo e volontà dei più fragili», così come accaduto a suo padre. Louis racconta in scena quello che ha vissuto da bambino, il suo rapporto con un padre annientato dalla vita. Un ritratto pieno di indignazione e rabbia, ma anche di tenerezza, in cui regista e autore approfondiscono le intime contraddizioni di un uomo distrutto dalla violenza del sistema sociale.
© Jean Louis Fernandez
Thomas Ostermeier (Golden Lion in 2015) is back in Venice too. This year he presents his national debut Qui a tué mon pere, from the short and strongly autobiographical novel by Édouard Louis. On stage the author himself who points the finger at French politicians indicating their names as they are responsible for “destroying welfare and undermining the most fragile”, as happened to his father. 8 luglioJuly h. 21 Teatro Goldoni
PROTON THEATRE / KORNÉL MUNDRUCZÓ
AGRUPACIÓN SEÑOR SERRANO Atteso ritorno anche per la compagnia catalana Agrupación Señor Serrano, già Leone d’argento nel 2015, che debutta a Venezia con The Mountain, interrogandosi sulla verità: è una cima da coronare e basta, o © Jordi Soler piuttosto un sentiero freddo e inospitale che deve essere percorso continuamente? In The Mountain convergono tre linee di racconto sul mito della verità: la prima spedizione sull’Everest, il cui esito è ancora oggi incerto; Orson Welles che semina il panico con il suo programma radiofonico La Guerra dei Mondi e Vladimir Putin che parla soddisfatto di fiducia e verità.
Colpisce duro Kornél Mundruczó che con il suo Hard to Be a God, sbatte in faccia la violenza allo spettatore senza troppi veli, portando in scena un mondo di brutalità e prevaricazione che apre sugli abissi dell’uomo per interrogarsi su libertà e destino, bene e male. Lo spettacolo, in prima italiana alla Biennale con la compagnia indipendente Proton Theatre fondata nel 2009 dallo stesso Mundruczó, è un lavoro multimediale, arricchito da proiezioni che amplificano ciò che avviene sul palco, narrando particolari temporalmente sfasati rispetto alla vicenda in scena; e poi musica e canto, e soprattutto tanta danza. Un crossover di linguaggi che è la firma del regista ungherese, conosciutissimo anche per la sua attività cinematografica. Due camion sono parcheggiati a lato della strada. La merce è stata scambiata. Tre giovani donne. Un grande piano sta prendendo corpo e se si realizzasse potrebbe cambiare tutto in un batter d’occhio. La chiave per smascherare il piano è un ragazzo che è stato nascosto al mondo. Non c’è spazio per gli errori. All’interno del camion si applicano regole diverse e chi non obbedisce non può fare ritorno alla propria casa. Tra loro c’è uno sconosciuto che potrebbe intervenire, ma non lo fa: anch’egli esegue gli ordini. La sua presenza è come quella di un Dio che osserva in silenzio, da lontano, le sue creature. Per un po’. Ma per quanto tempo possiamo essere spettatori? Kornél Mundruczó hits hard with his Hard to be a God, throwing raw and naked violence at our face, staging a world of roughness and prevarication that opens a way into the depths of man and questions about freedom and destiny, good and evil. Two trucks are parked at the side of the road. The goods have just been exchanged. Three young women. A big plan is about to being put in place which could change everything in the blink of an eye. The key to unmasking the plan is a guy who’s been hidden from the world. There is no place for error. Different rules apply inside the truck and those who do not respect them cannot go back home. Among them there is a stranger who could do something, but he does not: he executes orders too. His presence is like that of a God who observes his creatures in silence, from afar. For a while. But how long can we only be spectators?
6, 7 luglioJuly h. 20.30 Teatro del Parco Albanese, Bissuola-Mestre
Awaited return for the Catalan company Agrupación Señor Serrano too. In The Mountain three different stories converge upon the myth of truth: the first expedition to Everest, whose outcome is still uncertain today, Orson Welles spreading panic through his radio broadcast War of the Worlds and Vladimir Putin talking of trust and truth. 5 luglioJuly h. 21; 6 luglioJuly h. 18 Teatro alle Tese (III), Arsenale
HODWORKS / ADRIENN HÓD «Sull’altare dell’arte puoi fare cose proibite nella vita reale. L’arte è dunque un gioco, un alibi che ci rende liberi». Parte da questa filosofia l’ungherese Adrienn Hód, performer, danzatrice e coreografa che con la sua compagnia Hodworks si Photo Daniel Domolky muove tra tabù provocatori e lo studio radicale e privo di pregiudizi del corpo umano. Non fa eccezione Sunday spettacolo che si interroga sulle norme culturali, i sistemi di valori, su cosa è immorale, su cosa è permesso, e sul senso stesso della danza. Tutti gli elementi dello spettacolo, coreografici e/o teatrali, immersi nell’aggressivo pulsare di una musica gabber, vengono riplasmati dai cinque interpreti in una sorta di straordinario, terrificante, rituale sciamanico contemporaneo. The performer, dancer and choreographer Adrienn Hód and her company Hodworks present Sunday, moving between provocative taboos and prejudice-free study of the human body. All the elements of the show, immersed in the aggressive pulsation of gabber music, are reshaped in a sort of terrifying, contemporary shamanic ritual. 11 luglioJuly h. 20 Tese dei Soppalchi
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IL TOCCO ESSENZIALE
The Essential Touch
Desideriamo riconnetterci con il mondo attraverso il corpo, impazienti di fare ritorno alla nostra piena esistenza in carne e ossa Wayne McGregor di Chiara Sciascia
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arte dal tatto il direttore del settore Danza della Biennale, Wayne McGregor che sceglie per il suo primo festival il titolo First Sense, prendendolo in prestito dal libro del filosofo americano Matthew Fulkerson, che definisce appunto il tatto come «il senso più immediato e potente – il “primo senso” – per il ruolo centrale che svolge nell’esperienza». Il tatto come rappresentazione dell’urgente necessità di riconnetterci con il mondo e con l’altro, spazzando via le sedimentazioni di un anno in ‘sospensione’. Propagandosi dall’Arsenale nei teatri e nei campi della città, dal 23 luglio all’1 agosto, il 15. Festival di Danza si articola in sette passi/ tempi: gli spettacoli dal vivo con coreografi e compagnie da tutto il mondo, le installazioni all’insegna della commistione dei linguaggi artistici in collaborazione con la 17. Biennale Architettura, le nuove energie di Biennale College, le proiezioni a ciclo continuo di opere filmate sulla danza al Teatro Piccolo Arsenale (24, 25 luglio), le conversazioni con i coreografi ospiti, e le commissioni di nuova danza. Dieci giorni di festival con oltre 100 artisti, tutte prime per l’Italia, due prime mondiali e tre prime europee. «Presenteremo opere viscerali, senza filtri, danze e danzatori che ci parlino direttamente, nel momento – ci aveva anticipato McGregor – Una danza che sia connessa al mondo reale, non che viva in un mondo tutto suo, autoreferenzialmente: una danza accessibile e radiosa, grezza e piacevole, che faccia ruggire l’anima». Una promessa mantenuta, quella di McGregor, che oltre ad aver messo a punto un programma straordinariamente ricco e coinvolgente, per la prima volta apre il Festival alla città con una serie di workshop rivolti a studenti e appassionati che potranno seguire quotidianamente le lezioni con gli artisti partecipanti, tra cui il Leone d’Oro Germain Acogny e il Leone d’Argento Oona Doherty.
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he Biennale Danza director, Wayne McGregor, starts from touch and chooses the title First Sense for his first festival. Touch as a representation of the urgent need to reconnect with the world and with people, wiping out the sedimentation of a year lived in ‘suspension’. The 15th Dance Festival will take place at the Arsenale, in theaters and campi (squares) of the city from the 23rd July to 1st August. It will include live shows with choreographers and companies from all over the world, installations dedicated to the mixing of artistic languages in collaboration with the 17th Biennale Architettura, the young artists of Biennale College, non-stop screenings of dance works filmed at the Teatro Piccolo Arsenale (24, 25 July), conversations with the guest choreographers, and the new dance commissions. A ten-day festival with over 100 artists, all premieres for Italy and including as well two world premieres and three European premieres. “We will present visceral works, without filters, dances and dancers who speak straight to us” McGregor announced. “A dance which doesn’t live in a world of its own but which is connected to the real world: an accessible and radiating dance, raw and pleasant, that makes the soul roar”.
15. FESTIVAL INTERNAZIONALE DI DANZA Programma a p. 109
EMBODIED ACTION Il 15. Festival Internazionale di Danza Contemporanea incrocia i luoghi e tempi della Biennale Architettura con Embodied Action, tre installazioni sperimentali ospitate all’interno dell’Arsenale.
Random International Wayne McGregor
Frutto delle ricerche dei fondatori di Random International, Hannes Koch e Florian Ortkrass, Future Self è una “scultura luminosa vivente” animata dal movimento di ballerini e visitatori ripresi da tre videocamere in 3D che catturano le forme e le rispecchiano su un reticolo di alluminio composto da 10.000 led. L’opera installativa e performativa viene esplorata in tutte le sue possibilità dall’intervento coreografico di Wayne McGregor sulle musiche originali di Max Richter. A living, luminous sculpture, Future Self is a production of the founders of Random International Hannes Koch and Florian Ortkrass. The “sculpture” is animated by the motion of dancers and visitors thanks to three 3-D cameras that capture their shapes and mirror them on an aluminum lattice supporting 10,000 LEDs. Upon debut, Random will involve Wayne McGregor with his company and composer Max Richter.
Mikhail Baryshnikov & Jan Fabre
Concepito come “un’installazione d’arte con film”, Not Once vede riuniti per la prima volta Mikhail Baryshnikov e Jan Fabre, i quali hanno lavorato quattro anni insieme all’opera. Basato su un monologo scritto da Fabre e interpretato da Baryshnikov, Not Once svela, attraverso undici stanze immaginarie di una mostra, il rapporto platonico tra un soggetto e una fotografa. Il lavoro, concepito per il cinema, esplora le relazioni tra un artista, il suo lavoro e la sua vita, il suo pubblico e, in definitiva, l’equilibrio tra dare e ricevere. An “art installation with film”, Not Once is a piece by Mikhail Baryshnikov and Jan Fabre, who worked together on it for four years. Based on a monologue by Fabre and starring Baryshnikov, Not Once reveals, through eleven fictional rooms of an exhibition, the platonic relationship between subject and photographer.
Wilkie Branson
Il pluripremiato Tom di Wilkie Branson fonde il linguaggio del b-boying con tecnologie all’avanguardia, riuscendo a veicolare una storia emotivamente potente attraverso immagini sbalorditive. Impregnato di tristezza, solitudine, isolamento, Tom è il racconto del viaggio di un uomo, interiore e reale al tempo stesso, che presta il suo volto illeggibile a una fila di individui chiusi nella stessa carrozza di un treno. Un viaggio alla ricerca di sé, tra angoscia, desiderio, nostalgia, illusione.
Award-winning Tom by Wilkie Branson is a mix of b-boying and cuttingedge technology to convey an emotionally powerful story using stunning images. Tom is the story of a man’s journey, both physical and spiritual, who lends his unreadable face to a row of individuals who are in the same train carriage. A journey in search of oneself amid angst, desire, nostalgia, illusion.
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GERMAINE ACOGNY LEONE D’ORO ALLA CARRIERA
Il sale della terra Intervista a Germaine Acogny Leone d’Oro alla carriera 2021, Germaine Acogny, franco-senegalese, classe 1944, è considerata la “madre della danza contemporanea africana”. È un’artista che colpisce soprattutto per la sua visione: «crede fortemente nel potere della danza di trasformare la vita delle persone e si è sempre impegnata a condividere la sua passione come un vero e proprio atto di rigenerazione», recita la Motivazione del Premio. Ha diretto dal 1977 al 1982 il Mudra Afrique di Dakar, la scuola di danza fondata da Maurice Béjart e dal Presidente-poeta del Senegal Léopold Sédar Senghor. Oggi dirige la sua scuola in Senegal fondata insieme al marito, l’École des Sables, istituto di formazione e compagnia (Jant-bi) divenuto uno dei maggiori centri propulsivi della danza contemporanea, che attira danzatori e coreografi da tutto il mondo. Il suo assolo Somewhere at the Beginning, a Venezia in prima nazionale, è un’autobiografia d’autore e una testimonianza vissuta dei rapporti tra Africa e Occidente, che contrappone ragioni e culture diverse. In dialogo con il padre, Acogny intesse il suo personale viaggio tra passato e presente alla ricerca della propria identità, un viaggio scevro da ogni ideologia e semplificazione, per svelare al pubblico qualcosa di intimo e personale, le sue radici ma anche i conflitti che queste stesse implicano. Abbiamo incontrato Germaine via Zoom e ci ha subito incantati con il suo carisma e la sua prorompente energia.
rientrata in Senegal mi è capitato tra le mani la poesia Femmes noires. Non sapevo chi l’avesse scritta, ma ne sono rimasta conquistata, sembrava parlasse di me. Ho scoperto poi che l’autore era Senghor, il presidente del Senegal. Ho trovato questa cosa incredibile: conoscevo tutti i poeti europei e non i poeti africani! In quell’istante mi è venuta l’idea di traslare in danza la poesia, facendomi aiutare da un tecnico della radio. Ancora oggi mi chiedo come sia riuscita a realizzare una composizione così complessa. Ho riunito tutti gli strumenti musicali necessari per creare una sinfonia straordinaria che coinvolgesse tutto il corpo. Inoltre ho ideato un nuovo spettacolo. Era davvero il primo “solo” africano in occasione dei 70 anni del Presidente. È stata una rivelazione anche per me. E poi, leggendo i giornali, ho scoperto che proprio in quegli anni si stavano sviluppando in Europa gli assoli. Questa stessa ispirazione era arrivata anche a me. Sono profondamente convinta che in qualche modo tutte le menti degli artisti siano in connessione tra loro ovunque esse si trovino.
Lei è nota soprattutto per i suoi assoli. Da dove ha avuto origine questa sua personale tecnica che oggi l’ha portata ad essere riconosciuta in tutto il mondo come ambasciatrice della danza e della cultura africane? Dopo aver svolto i miei studi di educazione fisica e di danza all’École Simon Siegel a Parigi negli anni ‘70 sono rientrata in Senegal. Qui la danza non si insegnava come in Europa e mi sono chiesta come poter riuscire a trasmettere tutto quello che avevo imparato a Parigi e se fossi davvero in grado di farlo. Soprattutto perché in Senegal, e più in generale in Africa, non esiste la danza di un solo ballerino. Si balla sempre in gruppo e in comunità, in costante dialogo con il prossimo. Quando sono
Ci racconta del suo primissimo incontro con Béjart? Quali suoi insegnamenti sono stati per lei fondamentali? Il presidente Senghor voleva trasformare il Senegal in una sorta di “Grecia dell’Africa”. Amava molto la letteratura, le arti plastiche e la danza tradizionale, ma al contempo voleva anche sviluppare delle innovazioni, in particolare un nuovo stile di danza in grado di diffondere in una chiave contemporanea la cultura senegalese. Mi conosceva e ha chiesto di incontrarmi perché aveva individuato in me una “nuova danza”. Così come gli artisti europei si sono ispirati al continente africano, anch’io ho fatto la stessa cosa ispirandomi all’Occidente. Dopo avermi visto danzare Senghor ha voluto portarmi da Maurice
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Germaine Acogny / ©Hyun Kim
Béjart. Siamo stati nella sua scuola Mudra a Bruxelles. Da allora ho iniziato a lavorare come docente con estrema disciplina. Ricordo una volta di aver dovuto mandar via uno studente perché masticava un chewing gum! Béjart ha apprezzato molto il mio lavoro e ha così deciso di venire a trovarmi in Senegal. Con lui avevo costruito un rapporto particolare, non riuscivo proprio a dargli del Lei… Avevo come la sensazione di conoscerlo da sempre, possedeva un non so che di familiare, pareva che io gli somigliassi molto, tanto che Maurice stesso mi disse che sicuramente in una vita precedente ero stata sua figlia. Qualcuno ha davvero pensato che fossimo padre e figlia. Il nostro fu un incontro che andò oltre le nostre vite, sono infatti convinta di aver riscoperto le mie radici attraverso gli specchi di Béjart e Sangor e sarò loro sempre riconoscente perché mi hanno incoraggiato a spingermi oltre. La sua terra di origine ha fama di essere terra di magia. Si sussurra che sua nonna fosse una sacerdotessa fra gli Yoruba. Vi sono nella sua danza elementi ripresi da questi rituali sacri della tradizione? Certamente. Io ho conosciuto la storia della mia terra anche tramite un libro scritto da mio padre che non è però mai stato pubblicato. Era un testo straordinario che parlava di religione, di incontri e di conflitti, di colonizzazione. Soprattutto parlava della storia delle donne senegalesi che in qualche modo evoca la tragedia di Medea. Nel nostro Paese esiste ancora la poligamia. Nella nostra tradizione prima del secondo matrimonio si incontrano i due clan (quello della prima moglie e quello della seconda moglie) e in questa circostanza iniziano discussioni molto animate e accese. La prima moglie scarica tutto il rancore che ha dentro il suo cuore. Anche a me è successa una cosa del genere: il mio primo marito
She continues to inspire and guide with her restless vision Wayne McGregor
The salt of the Earth
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Interview with Germaine Acogny
© Antoine Tempé
ha voluto un’altra donna. Io non riuscivo ad accettarlo, dunque me ne sono andata. Tutti questi eventi, queste tradizioni e contraddizioni si riflettono nel mio modo particolare di danzare. Tra poco sarà a Venezia. Cosa si ripromette di visitare? Ho fatto un patto con Stravinsky, l’autore di Le Sacre du printemps. Quando ho ballato la sua opera con Olivier Dubois ho avuto molte difficoltà a rapportarmi con questa musica. Sentivo che dovevo dominarla, essere al di sopra della musica stessa. Quando arriverò a Venezia mi recherò al cimitero di San Michele, dove è sepolto il compositore: qui fumerò un sigaro e offrirò al mio caro Stravinsky della vodka e del latte, versandoli sull’erba intorno alla sua tomba. E gli dirò: «Io ti offro la vodka, il sigaro e il latte perché tu mi lasci continuare a dominare». La mia prima visita a Venezia sarà dunque un omaggio a Stravinsky perché permetta che Le Sacre du printemps continui a essere interpretata dagli africani e diffusa nel mondo. Katia Amoroso e Loris Casadei Consegna del Leone d’Oro 24 luglio ore 11, Teatro Piccolo Arsenale Somewhere at the Beginning 23 luglio ore 20, Teatro alle Tese, Arsenale www.labiennale.org
Golden Lion for Lifetime Achievemnt at the 2021 Venice Dance Biennale, FrenchSenegalese Germaine Acogny (b. 1944) is considered the godmother of contemporary African dance. Her art vision is striking: “she strongly believes in the power of dance to change the lives of people and has always committed to sharing her passion as a true act of regeneration”, reads the motivation. From 1977 to 1982, Acogny directed the Mudra Afrique in Dakar. Today, she heads her own school, which she founded with her husband. The school, École des Sables, is one of the major centres for contemporary dance and attracts dancers and choreographers from all over the world. Her solo piece Somewhere at the Beginning, in national premiere in Venice, is an auteur autobiography. You are known for your outstanding solo pieces. How did you develop this technique? I studied physical education and dance in Paris in the 1970s, and after that I came back to Senegal. Here, we had been teaching dance differently than in Europe and I wondered how could I adapt what I learned in Paris to be taught here, if at all possible. In Senegal, and in Africa more generally, solo dancing is non-existent. You dance in a group. What inspired me was a poem, Femmes noires, by Léopold Sédar Senghor. The moment I read it, I set out to translate poetry into dance. I gathered all the instruments that were needed to play a symphony that involved the whole body. By the way, solo dance was being developed in Europe in those years, too. I believe that somehow, artists’ minds are connected, wherever they are. Tell us something about your first meeting with Béjart. President Senghor wanted to turn Senegal into some kind of ‘African Greece’. He loved literature, sculpture, and traditional dance, though at the same time, he
wanted to develop innovation, in particular a new style of dance that could popularize Senegalese culture in a modern key. Senghor and I knew each other and asked me to meet him. He saw in what I did a kind of new dance. Much like European artists found inspiration in African culture, so did I by taking inspiration in Western culture. It was Senghor who took me to Maurice Béjart and it was like I had been knowing him forever. He was so familiar to me. He and Senghor pushed me beyond my limits. Is there anything, in your art, of the sacred rituals of African tradition? Certainly. I studied the history of my country in an unpublished book written by my father, a beautiful treaty on religion, encounters, conflict, and colonization. He wrote about Senegalese women in a way that reminds of Medea’s tragedy. In Senegal, polygamy still exists. In our tradition, the two clans (the first wife’s and the second wife’s) meet and discuss, often heatedly. The first wife takes it all out. It happened to me, too: my husband wanted to take a second wife. I could not accept it and that’s why I left. These events, these traditions, these contradictions – they all show up in the way I dance. You will visit Venice soon. What are going to see first? I made a pact with Stravinsky, the author of The Rite of Spring. When I danced on that music with Olivier Dubois, I found it difficult to relate to it. I felt like I needed to dominate the music, to be on top of it. As soon as I get to Venice, I will go to San Michele, where Stravinsky is buried. I will smoke a cigar and offer Stravinsky milk and vodka. “Take this cigar, this milk, and this vodka, and let me be in charge”, I shall say. Yes, my first visit in Venice will be a homage to Stravinsky, so that he will allow The Rite of Spring to be interpreted by Africans and performed all over the world.
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zoom OONA DOHERTY LEONE D’ARGENTO
Liturgia urbana Intervista a Oona Doherty È un piacere parlare con Oona Doherty. Schietta, diretta, senza asettici filtri da uffici stampa. Nata a Londra ma cresciuta a Belfast, dove la madre nord-irlandese si trasferì quando aveva 10 anni, la piccola Oona era un maschiaccio dichiarato. Ha iniziato a ballare nel doposcuola, prendendo parte ai musical dell’istituto cattolico che frequentava. «Il mio lavoro gioca sul confine tra la carne e l’anima, il pubblico e il palcoscenico, per condividere un’esperienza cinetica. Sono persuasa a esplorare stati di pura onestà metafisica. Per rappresentare il sesso, il punk, il romanticismo […] la scatola nera, il cubo bianco, l’Irlanda». Oona, cui va il Leone d’Argento per la Danza, è un’artista trasparente, “cruda”: crea incessantemente, ascoltando, assorbendo ciò che la circonda. Il suo lavoro è complesso, sofisticato, ma al tempo stesso appartiene visceralmente alla strada, trasudando un realismo gutturale. «Gli interessi e le passioni della Doherty – scrive McGregor nella Motivazione – e il suo istintivo essere controcorrente non si sono mai incontrati con il mondo della danza istituzionale. Ispirata dalla cultura club e da una danza fuori dalle regole, Doherty ha affinato la sua arte per tentativi, con un approccio creativo poco ortodosso, senza filtri e coraggioso. La sua danza […] va dritta al cuore come una freccia…». Oona presenta in prima nazionale Hard to Be Soft – A Belfast Prayer, pensato e coreografato nel 2017. Le tematiche gender, la violenza, la non accettazione degli altri giocano un ruolo rilevante nei lavori di Oona, almeno quanto i suoi ricordi di stretta educazione cattolica. Una danza di strada la sua, che vedremo in un teatro, ma che dovremmo immaginare in un contesto urbano degradato come un urlo alla vita. Le sue coreografie seguono spesso una storia. In Hard to Be Soft, ad esempio, la traccia è leggibile anche grazie ai suoi spunti. Il corpo investito che si rialza, la rabbia o il sorriso interpretati dai muscoli della schiena, la rottura delle membra… È fondamentale che il pubblico riesca a leggere la trama di uno spettacolo di danza o ritiene sufficiente che ne colga l’architettura generale? Al fine di garantire una rappresentazione sincera devo necessariamente dar corpo a una narrazione interna. Per quanto mi riguarda non c’è problema se il pubblico legge una storia leggermente diversa; penso sia del tutto normale, in quanto ogni persona interpreta i simboli visivi e le emozioni attraverso la propria pelle, o meglio attraverso il proprio sistema fisico e nervoso, ovvero attraverso i propri sentimenti e il proprio bagaglio culturale. Per cui anche se non percorriamo esattamente la stessa storia nel corso dello spettacolo, leggiamo e interpretiamo gli stessi temi, intenzioni ed emozioni, ovvero l’universale, la lotta e la speranza. Nei suoi lavori sono evidenti più tracce riprese da motivi biblici che lei spesso traspone in una dimensione urbana, contemporanea, avvalendosi di tecnologiche moderne. È corretto leggervi una affermazione d’identità, del suo essere irlandese? Il fatto di aver vissuto a Londra e a Belfast e di aver frequentato una scuola cattolica femminile ha sicuramente segnato profondamente il mio inconscio. Statue della Vergine Maria circondate di immondizie e pacchetti di patatine vuoti, bambini che si baciano e fumano dietro la chiesa, le suore a scuola. Sicuramente venendo da un posto così 28
so che cosa sia una società intaccata dalla religione, segnata da una politica malata, dove la gerarchia sociale è ancora molto forte. Ma in tutto ciò vi è anche un nuovo spiritualismo che ho trovato nella danza: un misto di Chi e anima. Danzare è una sorta di preghiera per me, che coinvolge anima e corpo. E quando sono sul palcoscenico mi sento in preda ad un’energia che non so dire esattamente da dove provenga, forse dall’atto stesso del pubblico che guarda una persona che danza. È come se il teatro fosse una parte infinitesimale del rituale liturgico. Quando ballo è come se venissero fuori tutti i miei fantasmi in una sorta di processo catartico; forse però non sono solo i miei fantasmi, ma anche quelli del mio lignaggio, dei miei antenati. Anche se non sono un sacerdote e tantomeno uno sciamano, talvolta la danza mi fa sentire come se fossi portatrice di un messaggio proveniente da un mondo ignoto. Per i suoi spettacoli ritiene più adatta la classica sala teatrale o preferirebbe poterli allestire in altri luoghi? Mi piacerebbe portare Hope Hunt nelle prigioni o nelle carceri minorili. O ancora mi piacerebbe portare Hard to be Soft nei complessi residenziali, disponendo le sedie per il pubblico in strada o nei giardini prospicienti. Sarebbe lo spettacolo ad andare letteralmente incontro alle persone, in particolare a quelle che solitamente non vanno a teatro. Rappresenterei Lady Magma in una radura in mezzo alla foresta con il pubblico seduto in cerchio vicinissimo ai ballerini, bevendo tutti assieme vino e fumando erba per continuare con musica dal vivo subito dopo lo spettacolo fino a notte inoltrata. Immagino quasi un rito dionisiaco, una vera e propria festa pagana. So di aver detto che il teatro segue un rituale quasi liturgico e ci tengo a ribadirlo. Sono tremendamente fortunata a fare un simile il lavoro, è un onore potersi esibire nei teatri. Ma francamente penso che un semplice edificio nero squadrato metta il pubblico un po’ in soggezione, così come una galleria bianca con tutte le sue etichette, e le persone di un certo ceto che frequentano questi spazi vuoti. Per una danza veramente autentica il massimo è poter contare su uno scenario naturale che ne elevi l’intento. Sarà a Venezia tra pochi giorni. Ha già piani per visitare la città? Cosa si è ripromessa di fare? Sarò impegnatissima a preparare le mie ragazze italiane per lo spettacolo. Quindi sarà la nostra collaborazione a farmi conoscere la città, saranno loro ad insegnarmi tutto quello che devo sapere. In occasione della consegna del Leone d’Argento verranno proiettati alcuni film dei nostri spettacoli, per cui sarà una bellissima occasione per me per fare un brindisi con uno spritz assieme a Luca Truffarelli (cineasta) e a Gabriele Veyssire (agente/coregista), continuando a sognare grandi progetti assieme. Mia mamma e la mia bimba Rosaria saranno con noi. La mia bambina è mezza sarda. Quando arriveremo avrà sei mesi e spero che potrà assaggiare la sua prima “pappa” italiana. Loris Casadei Cerimonia di consegna del Leone d’Argento 24 luglio h. 11, Teatro Piccolo Arsenale Hard to Be Soft – A Belfast Prayer 30 luglio h. 20, Teatro Piccolo Arsenale www.labiennale.org
This award will remind the world that there is no one way to become a great artist. Art sits within you and will always come out Wayne McGregor
Urban liturgy
ENG
Interview with Oona Doherty Frank, direct, free from aseptic press office filters. It’s a pleasure to talk to Oona Doherty who has been awarded the Silver Lion for Dance. Doherty is a transparent, “raw” artist: she creates incessantly, listening to everything surrounding her. Her work is complex, sophisticated, but at the same time it viscerally belongs to the street, exuding a rough realism. Gender issues, violence, non-acceptance of others play a major role in Oona’s works, at least as much as her memories of a strict Catholic education. We will assist to a street dance performed in a theater, that’s why we should imagine it in a degraded urban context like a scream to life. Your choreographies often follow a story. In Hard to be Soft, which we will see here in Venice, for example, the plot is readable also thanks to some clues you give the audience. Do you expect the audience to be able to read the plot of a dance performance or just to grasp its general structure? I have to make an internal narrative to ensure a sincere performance. For me it is ok if the audience reads a slightly different narrative, I think it is natural as they are reading the visual symbols and emotions through their own meat. Their own physical and nervous system history. Full of their own love, regret and culture. It may not be the exact same story we walk away with, but the main themes, intention and emotions are read and understood. The universal, the struggle and the hope. In your works there are often elements hinting at biblical themes that you often move into an urban, contemporary dimension by means of modern technology. Is it correct to interpret this aspect as a statement of identity, of your being Irish? Being a mixture of London, Belfast, and growing in a girl catholic school for sure has laid deep into my unconcise. Holy Mary statues in the street with rubbish and crisps packets at her feet, kids kissing and smoking around the back of the church. Nuns in school. For sure being where I’m from has religion stinking up the place. All around the people infecting politics, class and hierarchy. But also, a new spiritualism that dance has given me. An idea of chi, and spirit. Dancing feels like a prayer to me, it takes all of you to do it, and other energy comes to you on stage and you don’t
know where from. The act of people watch a person move. The theatre can be a bit of a church. The ritual of it. I feel my ghosts come out when I’m dancing, but maybe even not just my lived ghosts, maybe the ghost of my blood line, people before me. I’m not a priest, I’m not a shaman, but sometimes dancing makes you feel like a vessel for something else, greater than you could be. Do you think your performances are more suitable to a classic theatre space or would you prefer to set them up in some different places? Hope Hunt would be played in prisons and youth detention centers for the inmates. Hard to Be Soft would be played in housing estates. People could sit in chairs in the street or in their front gardens to watch. The show would come to them. The show would go to the people who don’t go to the theatre. Lady Magma would be played in a clearing in forest, the audience would all sit around, super close to the dancers, we would all drink wine and smoke weed. A live band to take us into the night after the show. It would be a pagan Dionysian ritual, a celebration. I know I said the theatre is churchlike in its ritual. And I hold it very dear to me. I’m very bloody lucky to have the job I have. It’s an honor to be inside theatres. But to be honest, the plain black box can make people very quiet, the same as the white gallery, its etiquette, and a class of people who attend these blank voids. If you’re trying to make your dancing have sincerity it would be a dream to have a natural backdrop which heightens the intent. You will be in Venice in a few days. Have you already some plans concerning your visit of the city? I will be super busy training up my Italian army for the show. So, I will get to know the city through my relationship with those girls, they’ll teach me all I need to know. For the Silver Lion they will play our films, so it will be a big moment for myself, Luca Truffarelli (film artist) and Gabriele Veyssire (agent/co-director) to be together, to cheers an Aperol spritz, and keep dreaming big together. My mum and my baby Rosaria will come with us. My baby is half Sardinian and she will be 6 months when we come, so I hope she can try her first taste of food in Italy.
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15. FESTIVAL INTERNAZIONALE DI DANZA CHOREOGRAPHERS & COMPANIES
MARCO D’AGOSTIN
© Roberta Segata, courtesy Centrale Fies
Tra i nomi più interessanti della scena italiana, Marco D’Agostin, danzatore e coreografo presente in tutta Europa con i suoi lavori, premio Ubu nel 2018 come miglior performer under 35, torna alla Biennale dopo l’esperienza dello scorso anno con i danzatori del College. Best Regards è un assolo nello spirito graffiante di Nigel Charnock, coreografo e performer dei DV8, collettivo inglese di artisti della danza e del teatro-danza che ha firmato alcuni degli spettacoli più provocatori, intensi e forti degli ultimi anni. «Cosa scriveresti a qualcuno che non leggerà mai le tue parole?», sembra chiedere al pubblico D’Agostin con il suo one-man-show ispirato a quelli che tanto resero celebre l’artista britannico venuto a mancare prematuramente nel 2012. Best Regards è un invito a onorare il ricordo di Charnock, una danza all’ombra “del tempo scaduto” e alla luce di quanto il coreografo scomparso “continua a proiettare sulla scena”.
PAM TANOWITZ Caratterizzata da un rigore formale maturato in una lunga e costante riflessione sulla danza, Pam Tanowitz, tra le massime coreografe del nuovo millennio, debutta per la prima nel nostro Paese con New Work for Goldberg Variations, presentato in coppia con la pianista Simone Dinnerstein. Un nuovo lavoro su un pezzo che è stato terreno di sfida per musicisti e coreografi e dove ora le limpide architetture dei danzatori sembrano illuminare di nuova luce quel distillato di emozioni che sono le Variazioni Goldberg. Dinnerstein suona a piedi nudi l’immortale opera di Bach, come a captare tutte le vibrazioni, al centro della scena, mentre i sette danzatori guidati dalla coreografa statunitense, ugualmente a piedi nudi, orbitano attorno a lei. Non c’è una corrispondenza fissa tra partitura e coreografia: «Nota per nota e sezione per sezione, la Tanowitz va per la sua strada, cosicché sia il movimento che le sue corrispondenze con la musica sono imprevedibili» (The New York Times). 24 luglioJuly h. 20 Teatro Malibran
METAMORPHOSIS DANCE
One of the most interesting name on the Italian scene, Marco D’Agostin is a dancer and choreographer who worked all over Europe and was awarded the Ubu Prize in 2018 as best performer under 35. D’Agostin is back at Biennale after his work with Biennale College in 2020. Best Regards is a solo piece inspired by Nigel Charnock’s art, who worked extensively on the themes of sexuality, love, friendship, and life. An implicit question appears in this performance, which is also a tribute to the late Charnock: what would we write someone who is never going to read our words?”
Fondata a Madrid nel 2019, Metamorphosis Dance è la compagnia in cui confluiscono le esperienze professionali e gli sforzi creativi della basca Iratxe Ansa – artista indipendente dopo la scuola di Cranko e l’attività con Forsythe, Kylián, Duato, Ek, Naharin, McGregor, Pite – e dell’italiano Igor Bacovich, formato all’Accademia di Danza di Roma e poi al Codarts di Rotterdam. Laboratorio dinamico di danza contemporanea allo stato puro, Al desnudo prende le mosse da un classico duetto che Ansa e Bacovich, intrecciando i loro movimenti sulle note di Philip Glass e Johan Wieslander, sviluppano gradatamente in un processo di decostruzione che mette a nudo trama e meccanismi della coreografia nel suo stesso farsi. Insieme alle musiche e ai corpi dei due interpreti, si fonde come ulteriore elemento compositivo della narrazione la video arte di Danilo Moroni, che attraverso le immagini ricerca una nuova forma di vedere la danza, offrendo nuovi punti di vista al pubblico.
27 luglioJuly h. 18 Tese dei Soppalchi, Arsenale
26 luglioJuly h. 20 Teatro alle Tese (III), Arsenale
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Formal propriety and a lifelong reflection on the meaning of dance. Pam Tanowitz, a highly regarded modern choreographer, is in Venice for her first time to present New Work for Goldberg Variations together with pianist Simone Dinnerstein. The Variations have long been a challenging terrain for musicians and choreographers. Today, the pristine motion architecture of modern dancers seem to shed new light on these emotional pieces. Dinnerstein will play Bach barefoot, almost an effort to feel every last vibration, while seven dancers orbit around her. Musical score and dance will then unpredictably depart from one another.
© Danilo Moroni, Juan Carlos Toledo
Founded in Madrid in 2018, Metamorphosis Dance is where the professional experience and creative effort of Basque artist Iratxe Ansa and Italian Igor Bacovich meet. Their piece Al desnudo is a dynamic workshop of contemporary dance in its purest form. It generated upon a classic duo piece that Ansa and Bacovich, dancing on music by Philip Glass and Johan Wieslander, developed using a deconstructive process that touches the barebones of the plot and inner workings of the choreography. Together with the music and the motion of the two performers is a third compositional element: video art by Danilo Moroni.
OLIVIER DE SAGAZAN
La danza come oggetto scenico è l’originale approccio del pittore, scultore, artista della performance Olivier de Sagazan. Del 2001 è Transfiguration opera estrema in continua espansione che incrocia danza teatro e arti plastiche, rappresentata oltre 300 volte in 20 Paesi diversi e con oltre 6 milioni di visualizzazioni su YouTube. L’evoluzione dell’opera nell’ultima decennio vede accentuarsi l’aspetto performativo: de Sagazan cambia prospettiva distribuendo la performance del funzionario in giacca e cravatta che si sfigura in una creatura mostruosa a sei danzatori. Nasce così un nuovo spettacolo, dove «l’effetto di gruppo, insieme al loro modo istintivo di muoversi conferisce a questi corpi mascherati una stranezza e una forza che non avrei mai immaginato. Vi ho visto l’embrione di dipinti impressionanti e nel tempo mi è diventato ovvio che avevo qualcosa da fare, come un pittore con i suoi colori e i suoi pennelli…» (O. de Sagazan). La Messe de l’Âne è dunque l’approdo finale del lungo processo evolutivo iniziato da Transfiguration, in cui un uomo si ricopre di argilla fino a rendere la sua immagine irriconoscibile: una creatura stratificata, a metà tra l’umano e il ferino, alla ricerca del proprio sé più autentico. Manifestanti, preti, politici, scienziati, prigionieri, pazienti sono la processione di figure che dà vita a una sorta di medievale “festa dei folli”, con il ribaltamento dei ruoli che tradizionalmente comporta. Attraverso la manipolazione dell’argilla si trasformano in altre creature, anch’esse mostruose, allontanandosi dal proprio ruolo sociale per mettere in luce il conflitto tra essere marionette o burattinai, tra quella che viene considerata normalità e la maschera imposta dalla società.
HERVÉ KOUBI
Dance as a stage prop is the original point of view of painter, sculptor, and performance artist Olivier de Sagazan. His 2001 piece Transfiguration is a radical, continuously expanding work that mixes theatre, dance, and plastic arts, and has been staged over 300 times in 20 countries. On YouTube, it accrued over six million views. The evolution of the piece over the last decade aims at a distinctively performative aspect. De Sagazan changes perspectives as his performance as a suit-and-tie officer morphs into a six-dancer monster. That is how a new show is born, where “the group effort, together with their motion instincts bestows on these masked bodies a kind of strangeness and strength that I would have never imagined. In them, I saw the embryo of impressive pictures and over time, it became clear how I was there to do something, much like a painter with his brushes and colours…” (O. de Sagazan). La Messe de l’Âne is the final destination of a long, evolutional creative process that began with Transfiguration, where a man smears clay on his body to the point he comes unrecognizable: a half-man, half-beast creature looking for his authentic self. Protesters, priests, politicians, scientists, prisoners, patients participate in a fools’ carnival, each playing their role’s reversal. By manipulating clay, new creatures – monsters – are born and walk away from their expected social role to highlight the contrast between puppets and puppet masters. 27 luglioJuly h. 21 Teatro Piccolo Arsenale
Attinge al mosaico delle antiche culture mediterranee delle sue radici algerine il coreografo francese Hervé Koubi; un ritorno alle origini coniugato con i nuovi saperi del corpo in un misto di appartenenza e sradicamento, che ispira anche il nuovo lavoro, Odyssey. In scena quattordici danzatori, due musicisti e la vocalist ebreo-egiziana Natacha Atlas. Odyssey è una coreografia intensa e sensuale che non rivolge l’attenzione alle imprese di Ulisse, ma che vuole mettere in luce le connessioni culturali, le migrazioni e il tumulto di un mare che unisce e trasporta vite umane. Lo spettacolo è un omaggio alla femminilità, incarnata e interpretata da Atlas, come se la sua voce racchiudesse la voce di tutte le donne che Ulisse incontra durante il suo ritorno a Itaca. Riti, melodie, storie e tradizioni si mescolano nelle coreografie di Koubi in maniera singolare al linguaggio della breakdance, dell’hip hop e della danza contemporanea. Il risultato è una narrazione innovativa e potente. Inspired by the mosaic of ancient Mediterranean cultures and his own Algerian roots, French choreographer Hervé Koubi goes back to his origins in what is at once a sense of belonging and uprooting that his new piece, Odyssey, grows upon. On stage, fourteen dancers, two musicians, and vocalist Natacha Atlas. Odyssey is an intense, sensual dance that is not, in fact, about Ulysses, but about the cultural connections, the migrations, and the upheaval of a sea that unites and moves about human lives. The performance is a homage to femininity as interpreted by Atlas – her voice is the voice of all women Ulysses met on his way back to Ithaca. 28 luglioJuly h. 20 Teatro Malibran
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15. FESTIVAL INTERNAZIONALE DI DANZA CHOREOGRAPHERS & COMPANIES
(LA)HORDE & RONE
JOSEF NADJ
© Sophie Carles
© Cyril Moreau
È un grido di battaglia estremo quello di Room with a View, lavoro firmato in coppia dall’acclamato dj e producer francese Rone e dal collettivo (La)Horde, fondato nel 2013 da Marine Brutti, Jonathan Debrouwer, e Arthur Harel, ora alla direzione del Ballet National de Marseille dal 2019. Come una scarica elettrica la tensione dal palco si propaga alla platea. È l’orda di ravers sopravvissuta al tracollo della civiltà di Room with a View, i corpi volanti, scossi dal pulsare dei suoni scolpiti di dj Rone, al centro di una scena post-apocalittica. Tra rabbia e violenza, energia e vitalità, lotte e conflitti, esplode il desiderio di rivolta che a tratti disgrega a tratti ricompatta in forza solidaristica il gruppo, costretto a confrontarsi con il disastro annunciato: la catastrofe ecologica. «La coreografia incontra la musica per raccontare la sofferenza e la rabbia legittima delle nuove generazioni che cercano un senso nell’unione, nella creazione di comunità che fanno festa ma si combattono anche, travolte dall’infinita violenza del mondo» (laHorde). Al centro una visione politica della danza che mette in primo piano forme coreografiche della rivolta popolare – dai rave al ballo tradizionale, ai jumpstyle di internet – nutrita del pensiero di Alain Damasio, scrittore di fantascienza, e dalla sua guerra dell’immaginario.
A battle cry sounds off in Room with a View, a production of French DJ Rone and collective (La)Horde. (La) Horde was founded in 2013 by Marine Brutti, Jonathan Debrouwer, and Arthur Harel, who is now a director at the Ballet National de Marseille. Like an electric discharge, tension flows from stage to audience. The horde is that of those ravers who survived the collapse of civilization: flying bodies, shocked by the beating sound by DJ Rone, find themselves at the centre of a post-apocalyptic scenery. Rage, violence, energy, life, fight, conflict: uprising is the only way out as the team try to keep together as they face the imminent doom of ecological catastrophe. “Choreography meets music to show the suffering and rage of the younger generations who look for meaning in communities that both celebrate and fight one another, crushed by the violence that exists in the world” (LaHorde). The focus is on a political sense for dance that show the possible choreography of the people’s uprising – from rave to traditional dance to jumpstyle. 1 agostoAugust h. 20 Teatro Malibran
Un gruppo di performer, in giacca e pantaloni neri: un accenno alla silhouette senza tempo del coreografo ungherese Josef Nadj, che prestando loro il proprio ‘costume’, richiede ad ogni ballerino di non seguire le sue orme, ma di rivelare la propria singolarità. Nadj ha riunito otto danzatori provenienti da Mali, Senegal, Costa d’Avorio, Burkina Faso e Congo, attingendo per OMMA da altrettante influenze, movimenti, culture e storie. Insieme i danzatori formano un unico corpo – nero, o “fekete”, come proclamano in ungherese. Un corpo plurale in cui ciascuno afferma la propria lingua, identità, la propria danza. Facendo eco al cerchio della vita, Nadj stimola la nostra capacità di guardare ciò che abbiamo di fronte per scorgere ciò che c’è nel profondo di ognuno di noi, in un destino comune. L’antico significato greco di “OMMA” risplende di nuova luce: non solo “occhio” ma anche “ciò che si vede o si guarda”. Un invito risvegliare i nostri sensi per poter catturare meglio questa danza dedicata alla genesi dell’umanità. A collective of performers in black pants and blazers: a reference to the timeless silhouette of Hungarian choreographer Josef Nadj, who by lending his ‘costume’, asks each dancer not to follow his footsteps, but to show their own peculiarity. Nadj called eight dancers from Mali, Senegal, Ivory Coast, Burkina Faso, and Congo, and studied influences, motions, cultures, and stories to create OMMA. The dancers form, all together, a single black body, or fekete, as they shout out in Hungarian. A plural body where each component affirms their own language, identity, and their own dance. 29 luglioJuly h. 20; 30 luglioJuly h. 18 Teatro alle Tese (III), Arsenale
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UNO SGUARDO DAL PONTE
Looking out from the Bridge Il Redentore mantiene in pieno le caratteristiche di una festa colma di suggestione
tracce
di Fabio Marzari
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l momento di andare in stampa il Redentore
2021 (con o senza spettacolo pirotecnico) rappresenta un dilemma che solo la Pizia del tempio di Delfi potrebbe sciogliere. Fuochi si fuochi no, saranno. In base alla virgola tutto potrebbe cambiare. La situazione è in divenire, è ovvio che il clou della famosa Notte è rappresentato dai foghi, ma è altrettanto chiaro che, malgrado la zona bianca e l’uso non più obbligatorio della mascherina all’aperto, il rischio di favorire inevitabili assembramenti e la difficoltà di controllare un’intera città impongono un atteggiamento estremamente prudente da parte delle Autorità. Considerato il valore simbolico della Festa, che trova la sua ragion d’essere nella liberazione definitiva dalla terribile pestilenza del 1575-1577, forse risulterebbe quasi azzardato far esplodere il cielo con mille colori. Del doman non v’è certezza e le nuove varianti non inducono a piena serenità, tuttavia anche senza spettacolo pirotecnico, il Redentore mantiene in pieno le caratteristiche di una festa colma di suggestione, in cui la tradizione e la capacità di resistenza della città contro le avversità si estrinsecano con l’esito serenissimo, in cui religione e devozione popolare erano molto stemperate da usanze terrene, che di spirituale avevano ben poco. Percorrere a piedi il lungo ponte che collega le Zattere con il Redentore è un’esperienza indimenticabile, si prova una vertigine da sopra, mentre si è a metà del guado, novelli Mosè, capaci di dividere le acque di un canale solitamente molto trafficato di imbarcazioni e mostri marini fumanti e rendere così, una volta all’anno la Giudecca un’isola raggiungibile con le proprie gambe da cui entrare e uscire a piacimento, senza la necessità dei vaporetti.
A
t the time of writing, the Re-
dentore Feast of 2021 (whether with or without the fireworks display) is a question worthy of the high priestess at the Oracle of Delphi. We shall see, though it’s obvious that the high point of the night is the foghi, the fireworks, as is obvious that, while Covid cases are at a minimum, it’s still in the best interest of authorities to minimize risk even further and avoid the formation of uncontrollable crowds. Considering the high symbolic value of the Feast, which traces its roots in the celebration of the end of the 1575-1577 plague, it would seem almost a gamble to flash a myriad colours into the sky. Nothing’s sure about tomorrow and Covid variants are nothing to laugh about. Whatever the case, even if no fireworks show will be held, the Redentore will still be a celebration of how Venice’s traditions of resilience against adversity always have an outcome most serene. If you will be in town, do have a walk on the temporary bridge that, for a short time, will be placed between Venice and the Giudecca Island. An unforgettable experience. Festa del Redentore 17-18 luglio Chiesa del Redentore, Canale della Giudecca, Bacino San Marco events.veneziaunica.it
CHIESA Commissionata ad Andrea Palladio dal Senato veneziano, la Chiesa del Redentore rappresenta uno dei massimi capolavori architettonici del Rinascimento e fu terminata dopo la morte del celebre architetto (1580) da Antonio da Ponte, che ne rispettò fedelmente il progetto. La facciata, che a distanza emana il fascino di un bassorilievo, ha il tipico impianto palladiano con i timpani spezzati dalle semicolonne e l’elemento orizzontale che la contiene e la geometrizza. L’interno, intonacato di bianco, ha la grandiosa semplicità del tempio classico. La chiesa e la sagrestia sono ricche di opere d’arte di grande importanza fra cui spiccano i lavori di Tintoretto, Francesco Bassano, Paolo Piazza, Palma il Giovane e Alvise Vivarini. Commissioned to Andrea Palladio by the Government of Venice, the Redentore Church is a masterpiece of Renais- sance architecture and was completed after the death of Palladio himself (1580) by Antonio da Ponte, who kept true to the original design.The façade is as fascinating as a bas-relief and shows the typical Palladian style of split tympanum, half-columns, and a horizontal elements encircling the two.The whitewashed interior is as majestic as a classical temple. The church and the sacristy are decorated with beautiful masterpieces by Tintoretto, Francesco Bassano, Paolo Piazza, Palma il Giovane, and Alvise Vivarini.
PONTE VOTIVO Costruito temporaneamente solo per la Festa, quest’opera ingegneristica lunga 330 metri, in legno e acciaio, è composta da 16 moduli galleggianti ancorati da pali e sorretti da 34 barche. Collega la Fondamenta delle Zattere alla Giudecca a ricordo di quello costruito, in soli quattro giorni, su ottanta galee e ricoperto da un ricco drappo, che collegava San Marco all’opposta riva della Giudecca nel primo solenne corteo del 1577. The votive bridge is a 330 meters long work of engineering in wood and steel, composed of 16 floating modules anchored by poles and sustained by 34 boats. It links Fondamenta delle Zattere with Giudecca, in memory of the one built in only 4 days on eighty galleys and covered by rich drapery for the solemn procession of 1577.
REGATA La domenica, il canale della Giudecca viene restituito per poche ore a sua maestà il Remo. La prima sfida è quella dei giovanissimi su pupparini a 2 remi, tipica imbarcazione dal profilo sottile e slanciato, si prosegue con la gara tra uomini sempre su pupparini a 2 remi, per poi completare con la sfida su gondole a 2 remi, una vera prova di forza fisica e intelligenza per governare al meglio l’imbarcazione, prendendo la giusta corrente lungo il percorso che dal Redentore segue il canale della Giudecca, il canale di Fusina e ritorno con arrivo nei pressi della Chiesa del Redentore. The first challenge is for youths on two-oared pupparini, typical boats with a slender profile.Then there will be a men’s competition, once again for two-oared pupparini, followed by the two-oared gondola challenge, a true test of physical strength and intelligence: it is necessary to control the boat with great care, finding just the right current along the route from the Redentore church along the Giudecca Canal, the Fusina Canal and back to the Redentore Church.
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Intervista Walter Veltroni
incontro
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IL RIFLESSO DELLE PAROLE
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Ogni teatro pieno, ogni cinema affollato, ogni concerto sold-out, ogni libro esaurito, ogni mostra con la fila ai botteghini è ossigeno per la libertà e la qualità della vita di Fabio Marzari
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alter Veltroni, presidente della Giuria dei Letterati del Premio Campiello 2021, edizione numero 59, è un personaggio pubblico molto noto e apprezzato trasversalmente per la sua capacità di dialogare anche con chi gli è ideologicamente e culturalmente distante, mantenendo e difendendo le sue posizioni senza per forza dover alimentare la macchina delle polemiche che diventano sovente un terreno melmoso in cui provare a far affondare gli avversari di giornata. Nato a Roma nel 1955, Veltroni è stato direttore de L’Unità, Vicepresidente del Consiglio nel governo Prodi e Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, Sindaco di Roma, primo Segretario del Partito Democratico. Ha scritto numerosi saggi e romanzi ed è autore di documentari e film di finzione. Collabora da tempo con la «Gazzetta dello Sport» e con il «Corriere della Sera». Abbiamo rispettato il confine dell’intervista nell’ambito del Premio Campiello, e non si può non notare che l’arguzia e l’esperienza di Veltroni emergono dalle sue risposte, sempre “culturally sensitive”. Quanto alla Giuria dei Letterati, due sono stati i nuovi ingressi, quello di Edoardo Camurri, scrittore, autore e conduttore in radio e televisione, che ha sostituito lo scomparso Philippe Daverio, e Daria Galateria, scrittrice, accademica e traduttrice. Gli altri componenti della Giuria sono: Federico Bertoni, docente di Critica letteraria e Letterature comparate all’Università di Bologna, Daniela Brogi, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università per Stranieri di Siena, Silvia Calandrelli, direttore di Rai
Cultura, Chiara Fenoglio, docente di Letteratura italiana all’Università di Torino, Luigi Matt, docente di Storia della lingua italiana all’Università di Sassari, Ermanno Paccagnini, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea alla “Cattolica” di Milano, Lorenzo Tomasin, docente di Filologia romanza all’Università di Losanna, Roberto Vecchioni, cantautore, scrittore, docente universitario ed Emanuele Zinato, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Padova. Naturalmente, come da regolamento del concorso, l’ultima parola sarà della Giuria dei trecento lettori. Appuntamento a Venezia sabato 4 settembre per la proclamazione del vincitore del 59. Premio Campiello. Presidente Veltroni, è stato molto complesso scegliere la cinquina finalista del Campiello tra le molte novità letterarie su cui poter spaziare? L’annus horribilis 2020 ha favorito buone lettere secondo lei? No, è stato bellissimo. Mesi di lavoro e di discussione con la Giuria: persone competenti e aperte, la lettura di centinaia di opere, il confronto dei gusti e delle sensibilità. E, alla fine, una prestigiosa cinquina che ben esprime un anno in cui il Paese ha sofferto enormemente ma, forse anche per questo, in cui il lavoro creativo si è fatto più intenso e ha espresso una qualità elevata. Aggiungo che la Fondazione Campiello, presieduta da Enrico Carraro, è una struttura di perfetto funzionamento, composta da persone qualificate e innamorate del proprio lavoro. Spero che sia quest’anno che nel futuro si possa rinsaldare il rapporto tra il Campiel-
Bisogna sperimentare, non smettere mai di cercare innovando, ma, al tempo stesso, avere sempre lo sguardo rivolto al pubblico. Ogni teatro pieno, ogni cinema affollato, ogni concerto sold-out, ogni libro esaurito, ogni mostra con la fila ai botteghini è ossigeno per la libertà e la qualità della vita. Le dittature bruciano i libri e internano gli intellettuali. Le democrazie si propongono di favorire la diffusione del sapere e della bellezza.
lo e le altre istituzioni prestigiose della cultura veneziana: La Biennale, il Teatro Stabile del Veneto, le istituzioni musicali ed espositive. I premi letterari, specie quelli importanti come il Campiello, favoriscono realmente la diffusione della lettura, o rappresentano ora uno strumento d’antan in cui poter dare voce, soprattutto tra le colonne dei giornali, a polemiche letterarie e rivalità mai sopite tra autori? Io credo nel valore dei premi e, non la stupisca, considero molto importante anche la discussione e le polemiche che ciascun premio solleva. In un tempo in cui si perde una quantità immensa di tempo in diatribe su frivolezze che durano lo spazio di un tweet e non lasciano nulla, il fermarsi a riflettere sulle parole, su un racconto, una storia o su una specifica frase è la testimonianza che la bellezza sopravvive a questa società vorace di velocità. Il Campiello da molti anni crede nell’indispensabilità degli scrittori più giovani e favorisce la loro azione con un premio loro dedicato. Da attento osservatore dei cambiamenti sociali e culturali in epoca di ipertrofia comunicativa di basso livello, come giudica il presente nel campo degli autori più giovani e, soprattutto, si può parlare di nuova generazione di autori millennials capaci di avere rilevanza sul mercato e sulla letteratura intergenerazionale?
Questo da tempo non è un paese per giovani. Si pensa sempre che ieri fosse meglio di oggi, per non parlare del domani. Invece nel selezionare le opere prime, quest’anno, la giuria si è trovata di fronte a scelte difficili. C’erano tanti libri molto belli, la maggior parte dei quali scritti da donne o ragazze. Quello che ha vinto, Dieci storie quasi vere di Daniela Gambaro, è davvero rilevante. Bisogna avere l’umiltà di accettare, da parte degli adulti, anche ciò che non si capisce. Keith Haring o John Salinger, altrimenti, non sarebbero mai esistiti… (vedi p. 118) Lei è stato uno dei più capaci e autorevoli ministri della Cultura, attribuendo importanza vitale e dignità a un dicastero ritenuto per lungo tempo, ahinoi, di fatto di serie B. Al di là della retorica da proclami sul Paese più bello al mondo, non crede davvero che sia sempre più netta la cesura tra una minoranza che si nutre di bellezza del sapere e una maggioranza sempre più in crescita che invece, almeno culturalmente, è povera di conoscenze? Penso che questo sia il desiderio di ogni conservatore. Lasciare il monopolio del sapere e della bellezza in mani di pochi e così controllare cittadini sprovvisti del necessario bagaglio di strumenti per capire e giudicare. Anche per questo non ho mai capito e amato certi aristocraticismi, certo fastidio snob per la ricerca del punto possibile di armonia tra la bellezza, la qualità e il gusto del pubblico.
Venezia, città dei campielli, in cui un tempo la vita era sempre in fermento. Ora vetrina in forte crisi, stretta tra monocultura turistica ed endemica emorragia di abitanti. Perché la politica nazionale ha secondo lei permesso tutto ciò? E come vede il futuro di Venezia e delle città d’arte? Venezia è il paradigma di quel punto di armonia del quale parlavo. Bisogna favorire la possibilità che venga fruita e conosciuta, nella sua devastante bellezza, da chiunque voglia. Al tempo stesso bisogna salvaguardarla come un bene prezioso dell’umanità, come un gioiello nazionale. Strategie di comunicazione possono indirizzare il turismo verso forme più qualitative di scelta, possono favorire una fruizione più profonda, vorrei dire più colta, della bellezza di una città che non è solo San Marco. Venezia strappa il cuore nei suoi aspetti meno conosciuti, nei suoi silenzi, nei suoi spazi urbani incontaminati ed eterni. Ha mai pensato di sparigliare ancora una volta le carte e… di rimettersi in gioco politicamente, alla luce della sua felice esperienza romana, in un’altra capitale delle arti italiana dove poter costruire un percorso vivo all’insegna del futuro? Insomma, perché non pensa di candidarsi a prossimo Sindaco di Venezia? No, la ringrazio per averlo pensato. Ma, al di là della scelta compiuta più di dieci anni fa di non rivestire più ruoli pubblici, per me, che l’ho fatto, il sindaco deve essere figlio della propria terra. Il sindaco non è un allenatore di calcio. Deve riconoscere il sentimento della propria gente, deve aver vissuto la geometria delle strade e delle piazze, deve parlare la lingua, dialetto è poco, che si usa nelle case. Ci vuole un veneziano, insomma. O qualcuno che abbia avuto la fortuna di vivere a lungo, di conoscere e amare la vostra meravigliosa città. 37
Intervista Federico Buffa
NARRAZIONI A CINQUE CERCHI
incontro
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Credo che dal punto di vista antropologico non esista kermesse al mondo in grado di eguagliare la potenza delle Olimpiadi
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di Massimo Bran
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’è un prima di Buffa e un dopo di Buffa. Senza troppi giri di parole, il narratore per eccellenza sul piccolo schermo di storie di sport Federico Buffa in questi ormai dieci anni almeno di lungo e approfondito lavoro per restituire in chiave narrativa persone, emozioni, gesti dentro campi in erba, parquet, piste di atletica ha prodotto uno scarto deciso, netto verso una più alta e riconosciuta identità di questa particolare forma di racconto per immagini, parole e suoni. Non che alle sue spalle non ci fosse una strutturata tradizione, anzi. Lo sport, le storie di sport sono state raccontate per decenni prima sulla carta stampata e poi in televisione, ma anche in radio, da giornalisti di grana finissima, spesso scrittori puri, vedi gli aurei tempi dei Soldati e Buzzati prima e degli Arpino poi, senza parlare, naturalmente, di Gianni Brera. Diciamo che sui giornali negli anni della rinascita dopo la devastante guerra al nazifascismo il Giro d’Italia fu il vero terreno in cui lo sport si fece luogo di incontro tra cronaca viva e letteratura. Ma fu anche la prima, straordinaria occasione in cui provare a raccontare in diretta tv, seguendo un sottile ma resistente filo a legare volti, parole, pensieri in tono alto, nel senso qualitativo non di decibel, unendo il dato emozionale live con la riflessione e l’analisi tecnica competente. Parlo naturalmente del Processo alla Tappa, programma a cura del più grande giornalista di inchieste televisive della nostra storia, Sergio Zavoli. Poi fu il tempo di Gianni Minà, ossia della sprovincializzazione, del racconto empatico e insieme documentato, della retorica sempre sul filo del collasso ripresa in qua da una straripante capacità di restituire emozionalmente i volti
veri dei grandi dello sport, sempre con un occhio vivo verso il terzomondismo politico, verso le storie di spavaldo riscatto, perdenti o vincenti che fossero. Ecco, Federico Buffa a mio modo di vedere è quello che è, ossia un finissimo narratore di gesta e gesti di uomini e donne prima che di meri sportivi e sportive, perché capace di assimilare, elaborare e risolvere a suo modo in una chiave presente e nuova queste profonde radici storiche in cui affonda e da cui prende vita il suo lavoro. In lui rivedo un mix, definito da uno spiccatissimo tratto personale, di queste matrici e radici declinate e restituite nella grammatica che il mezzo televisivo, o streaming che sia, oggi richiede per prodotti di questo tipo. Ossia costruzione del racconto a climax, montaggio serrato e liquido al tempo stesso, soundtrack mai costruita in qualità di mero elemento di contorno, partecipazione emotiva spinta anche sfidando i confini della sempre incombente retorica. Insomma, un progettare linee narrative insieme divulgative e filologicamente puntuali nel linguaggio e nell’età della serialità, dando decisamente del tu al ritmo. Siamo a un lampo da Tokio 2020/21, Olimpiadi quanto mai travagliate e per questo attesissime. Volevamo approcciarci alla regina delle kermesse sportive dialogando con qualcuno che andasse oltre il menù all inclusive classico, della serie prevedo questo, spero in quello, vedo quest’altro… Era da un po’ che volevamo incontralo il Buffa; se non ora quando ci siamo detti? Naturalmente le Olimpiadi sono “solo” uno spunto, perché qui siam tutti baskettari e quindi… Ma il tutto inizia da una scintilla brillata in pieno Far East, direzione cinema, hub Udine.
La parola Olimpiadi cosa ti accende dentro? Emotivamente, professionalmente, culturalmente. In questo periodo sono impegnato teatralmente con un progetto dedicato alle Olimpiadi, precisamente a quelle di Città del Messico del 1968. Quando all’inizio del mio percorso di narratore mi chiesero cosa avrei desiderato raccontare, risposi senza esitazione: «Le Olimpiadi di Berlino del 1936». Così mi costruirono uno spettacolo teatrale intorno a quello. Credo che dal punto di vista antropologico non esista kermesse al mondo in grado di eguagliare la potenza delle Olimpiadi, momento in cui il linguaggio universale dello sport raggiunge il proprio apice indiscusso e indiscutibile. Non esiste nulla che possa mettere in dubbio questa mia convinzione. I nostri cari amici del CEC – Centro Espressioni Cinematografiche di Udine, Sabrina e Thomas, organizzatori dell’ormai imprescindibile Far East Film Festival che ci hanno messo in contatto, ci dicono della tua grande passione per il cinema delle tigri asiatiche. L’occasione di questa nostra chiacchierata sono gli imminenti Giochi Olimpici di Tokyo, ma alla luce di questa tua frequentazione cinematografica non potevamo certo allora “circoscrivere” allo sport, relativizzandola, questa tua vocazione circolare verso l’Estremo Oriente. Come nasce questa attrazione? Partiamo dal fatto che in questo momento io non mi trovo a vivere in Oriente perché la vita alle volte ti fa improvvisamente svoltare verso un’altra strada rispetto a quella che avevi convintamente deciso di percorrere. Il mio sogno nel 2012 era quello di commentare la finale di basket delle Olimpiadi di Londra, poi vinta dagli americani sulla Spagna per 107100; una partita che, visti i giocatori in campo, ero convinto potesse entrare nella storia, storia che a posteriori credo mi abbia dato ragione, regalandoci praticamente una partita NBA scandita da regole internazionali. Non fui coinvolto nella telecronaca e a quel punto mi trovavo davvero in procinto di partire: avevo una fidanzata giapponese, di Fukuoka, e volevo andare a vivere da quelle parti. In Giappone sarebbe stato però un po’complicato, per via della lingua; Singapore sarebbe stata una via già più percorribile, migliore certamente come dimensione urbana e sociale per quanto mi riguardava rispetto a, che so, una Nuova Dehli, dove mi avevano fatto una proposta di lavoro interessante. Questo progetto di vita poi non si è più concretizzato, ma il mio amo-
re viscerale per l’Oriente è rimasto intatto. È immediato per me ragionare in chiave orientale, è proprio una cultura che ho introiettato facendola mia in svariate declinazioni. I nostri amici Sabrina e Thomas del CEC ci hanno regalato questa meravigliosa dieci giorni di immersione nella settima arte versante asiatico che per me è pura gioia per occhi e anima. Il Far East Film Festival è “Il Festival” per me, senza se e senza ma. Anche perché non è costruito come il classico viaggio un po’ a pioggia tra passato e presente di un cinema lontano, certo oggi assai più vicino, ma comunque da molti magari ancora letto e vissuto in una chiave meccanicamente esotica. No. È una grande immersione in tutti i generi attraversati da quelle cinematografie, il che ha permesso a chi per anni era rimasto all’idea di un cinema caratterizzato o da grandi autori alla Kurosawa e alla Ozu, o da pellicole mozzafiato di combattimenti di arti marziali, di avere la concreta possibilità di misurarsi con la complessità e la poliedricità di quest’arte, che come nessun’altra ha la capacità di coinvolgere praticamente tutti i target possibili e immaginabili, da quello ostinatamente d’essai a quello che se il cinema non è blockbuster non è. Qui a Udine si vede di tutto: commedie, horror, film d’azione, thriller politici, il che ci permette davvero di entrare nel Continente asiatico attraverso mille vie diverse, permettendoci quindi di assorbire la straordinaria complessità e varietà di linguaggi che connota questa parte di mondo. Tra l’altro parliamo di cinematografiche nettamente più vitali delle nostre, se solo pensiamo che Cina, Giappone e Corea sono rispettivamente oggi la seconda, la sesta e la settima cinematografia del mondo. Insomma, viva il FEFF!!
Il tuo Pantheon Olimpico. Sono nato nel 1959, quindi le prime Olimpiadi di cui conservo ricordi netti sono proprio quelle di Città del Messico, quando avevo 9 anni. Quelle Olimpiadi io le ho letteralmente divorate; ricordo distintamente tantissime gare che seguivo nonostante l’improbabile compatibilità di orario delle messe in onda rispetto a quelle che erano le mie abitudini di bambino. Penso che le due edizioni cruciali delle Olimpiadi siano state proprio quelle del 1936 e del 1968. Nel primo caso lo sport perde la propria “verginità”. Ricordo ancora quando, ospite a Sky, ho provato a fare un gioco, ossia prendere le prime cinque notizie date nel corso del loro telegiornale provando a collegarle con quello che era successo a Berlino in quel fatidico anno. Ebbene, gli esiti furono a dir poco impressionanti: tra quelle notizie di giornata e quell’appuntamento storico non intercorrevano mai più di due gradi di separazione. Le Olimpiadi del 1968 a Città del Messico cambiano invece per sempre la percezione che il pubblico e gli atleti avranno della manifestazione. Basti pensare che la persona che all’epoca convinse Tommie Smith e John Carlos ad alzare il pugno guantato di nero sul podio dei 200 metri piani, il sociologo e attivista Harry Edwards, è la stessa che cinquant’anni dopo ha suggerito a Colin Kaepernick, ex quarterback della squadra di football dei San Francisco 49ers, di inginocchiarsi durante l’esecuzione dell’inno nazionale americano, cosa che abbiamo visto fare in questi giorni regolarmente dai giocatori di calcio ai Campionati Europei. Credo che solamente nello sport sia possibile cucire assieme avvenimenti tanto lontani con un filo rosso di tale straripante potenza. 39
incontro INTERVIEW FEDERICO BUFFA
Beh, sul fronte dei Sixties lato lotta per l’emancipazione degli afroamericani hai di fronte qualcuno che fondando 25 anni fa una rivista, questa, ha deciso alla fine del suo colophon alla voce Guida Spirituale di inserire il Più Grande, Muhammad Alì, tra l’altro anch’egli protagonista assoluto di un’edizione olimpica a sua volta storica quale fu Roma 1960. Lui è un capitolo a parte, qualcosa di impossibile da spiegare a parole, anche se recentemente ci ho provato, cercando di cavare il meglio che potevo dal mio bagaglio di memorie e suggestioni per non perdermi in una simile, impervia sfida. Sono tutti figli di Muhammad Alì, tutti: neri, bianchi, gialli... Ogni volta che, che so, un Cristiano Ronaldo segna e fa riecheggiare il suo «Yo estoy aquí!», credo dovrebbe dare come minimo un centesimo ad Alì, alla sua memoria, vero inventore di gestualità sovrasportive che hanno segnato la storia della comunicazione, del costume, della politica ben oltre il mero recinto agonistico. Tutti, davvero tutti i grandi e i meno grandi dello sport gli devono qualcosa, perché è lui che inventa il gesto che complementa l’azione sportiva. Ogni arciere di Bolt, ogni celebrazione di gol, schiacciate e touchdown derivano dal suo modo di spettacolarizzare il gesto atletico ponendone un altro immediatamente prima o dopo. Quale chiave narrativa useresti per restituire al meglio un viaggio nella storia profonda dei Giochi Olimpici? Mi considero affezionato a tutte le edizioni delle Olimpiadi, a partire proprio dalla prima della storia, quella di Olimpia. E questo ancora una volta mi collega ad altro, precisamente alla gara che vide protagonisti proprio Smith e Carlos, quei 200 metri piani che rappresentano la più antica competizione di corsa di cui si ha conoscenza, perché ci furono appunto già nella prima edizione. Il mito racconta che la distanza originaria in realtà fosse leggermente inferiore e che corrispondesse ai passi che Eracle Ideo mise consecutivamente uno dietro l’altro, da cui possiamo dedurre che calzasse circa il 42 di scarpa. Se c’è una cosa che adoro fare nelle mie narrazioni è legare la storia dello sport a dei particolari gesti. I gesti non hanno età: se i 200 metri si corrono oggi come all’epoca dei primi Giochi in terra greca, ecco allora che l’uomo mette in mostra tutta la propria continuità attraverso un percorso capace di superare i confini del tempo. 40
Raccontare divulgativamente lo sport in immagini in Italia, pur alla presenza di straordinarie figure della storia del giornalismo non solo sportivo che si sono cimentate in questo, non ha mai trovato un suo adeguato spazio. O meglio, non ha mai potuto godere di un contenitore dedicato che assicurasse a questo genere, perché lo è a tutti gli effetti, una necessaria e vitale continuità. Il tuo stile narrativo, che ha trovato una felice rispondenza in un broadcast come Sky e in un pubblico attento e curioso alle storie innanzitutto umane che l’universo sportivo ha saputo e sa copiosamente regalare, ha prodotto un evidente scarto in questa lunga ma frammentata tradizione, con quel felice mix di approfondimento, di seria ricerca filologica delle fonti e di sana, contemporanea disposizione pop, cool, nel raccontare storie che si fondano innanzitutto sul dato preminente della passione. Che altro ancora può spiegare il successo di questo tuo percorso? Parto sempre dal presupposto e dalla ferma convinzione che ci saranno sempre storie da raccontare. Potranno cambiare tante professioni, tanti scenari politici e sociali, ma esisterà sempre qualcuno o qualcosa che parlerà di quello che succede, in modi che magari in questo momento non possiamo nemmeno immaginare. La figura del reporter, nel senso più genuino del termine, secondo me non potrà tramontare mai; ci sarà sempre qualcuno capace di catturare una storia ed esporla. E credo che i motivi di questa convinzione si possano radicare nella vittoria dell’Homo Sapiens sull’Uomo di Neanderthal, vittoria raggiunta grazie alla migliore capacità di immaginazione del primo rispetto al secondo e alla conseguente sua bravura nel creare un linguaggio efficace per meglio comunicare, trasmettere le sue conoscenze e le sue memorie.
Siamo sempre stati affiancati dalle storie nella nostra storia di esseri umani; poi nelle diverse fasi è cambiato ciò che la gente voleva sentirsi raccontare e il modo in cui raccontarlo. Personalmente ho l’enorme privilegio di poter raccontare storie che ascolterei io per primo molto volentieri. L’entusiasmo mi contagia nel momento stesso in cui queste storie cerco di impararle per trasmetterle poi al pubblico. Alla mia maniera. Altro aspetto per me fondamentale nelle dinamiche del mio racconto è non scordare mai come dietro allo sportivo ci sia sempre l’essere umano. E come ad ogni essere umano, anche ai grandi atleti della storia, si può spegnere la luce, decidendo di cambiare completamente mondo dopo aver concluso la carriera, oppure invece cadendo in depressione per l’incapacità di elaborare il ‘lutto’dell’inevitabilmente giovane fine della propria ribalta agonistica, il tutto anche a dispetto di introiti ultramilionari e di una fama globale. I più credono che il denaro di per sé sollevi dal dolore di dover smettere, ma si dimenticano che il denaro, per quanto potente, non spiega e non spiegherà mai l’impasto emotivo, il portato esistenziale di queste esperienze decisamente extra-ordinarie, i cui esiti esaltano la primazia del dato umano individuale su tutto il resto. Credo, quindi, che guardare a questi atleti dal punto di vista umano possa aiutare lo spettatore ad entrare meglio nelle pieghe della storia. C’è un modello, una figura in particolare, o anche più d’una, a cui ti sei ispirato in questa tua ormai lunga avventura? Sì, certo. Su tutti, chi mi ha in primis ispirato è una persona eccezionale che purtroppo non c’è più e che non aveva nulla a che vedere con lo sport: Philippe Daverio. Non ho perso una puntata una della sua splendida trasmissione Passepartout, durata fortunatamente per anni e anni. Inutile qui soffermarsi sul suo stratosferico bagaglio culturale, quello è noto a chiunque abbia avuto un minimo di prossimità al suo lavoro. Di lui era inarrivabile il sincretismo, autentico fuoriclasse nel passare da un argomento all’altro attraverso collegamenti geniali nella loro mai banale immediatezza, che lui padroneggiava con impareggiabile maestria. Passava con disinvoltura dalla storia principale alle mille che la affiancavano, attraverso uno o due gradi di separazione al massimo, in un contesto di grandissima fluidità narrativa, tenendo sempre saldissimo il filo del contenuto narrato. Le infinite lateralizzazioni che produceva erano miracolosamente sempre funzionali ad arricchenti il tema portante del racconto, facendolo accrescere scongiurando qualsiasi rischio dispersivo. Un vero maestro in questo.
Costruire e montare un racconto per immagini e raccontare delle storie live, sul palcoscenico. Differenze e predilezioni. Si tratta di due situazioni imparagonabili: la televisione è un medium assolutamente freddo, il teatro viceversa è rovente. Nel primo posso ripetere una scena infinite volte, cambiando la luce, il suono; sul palcoscenico posso rapportare il mio respiro a quello del pubblico, in un confronto aperto e pulsante, in una parola, totalizzante. A teatro può esserci una ‘reazione’ che la televisione non rende possibile: puoi rischiare e puoi divertirti molto di più. La “ditta” Buffa-Tranquillo per il basket NBA ha rappresentato un po’ quello che la straordinaria coppia Clerici-Tommasi ha rappresentato per il tennis. Uno a tenere il ritmo richiesto dal media televisivo, snocciolando dati, statistiche, aggiornamenti, l’altro a ricamare “letterariamente” le gesta e i gesti consumatisi sui campi da gioco. Avevate la percezione di stare vivendo l’età aurea del basket televisivo? Hai ancora nostalgia di quegli anni? Magari ci potessimo paragonare a loro! Fatte le debitissime proporzioni, era quello che speravamo, che sognavamo di fare. Esisteva in realtà il proposito, sì, che la seconda voce, ossia la mia, avesse molta libertà, lasciando alla prima, ossia a Flavio, quella di scandire a ritmo pulsante lo svolgersi del match. Lo schema era proprio quello dei magnifici due che hai indicato tu, non io eh!!, quali nostri inarrivabili predecessori. Personalmente seguo molto di più l’NBA della Serie A. La proporzione è schiacciante in favore del basket, che spesso mi sorprendo a commentare nella mia testa quando guardo una partita. Quello che è cambiato rispetto ad allora è che all’epoca seguire le partite era un lavoro e dovevo fare attenzione a tutti i dettagli del caso, ora è diventato un primal
enjoyment, vale a dire che me la godo e stragodo alla grande. O per dirla ancora meglio e sanguigna in spagnolo: me la godo… de puta madre! Come la trovi cambiata l’NBA oggi rispetto ai leggendari anni ‘80 e ‘90, con la vetta astrale e irripetibile rappresentata da Michael Jeffrey Jordan? Quali gli elementi tecnico-tattici che hanno prodotto un eventuale scarto radicale nel gioco rispetto a quel clamoroso ventennio? Se pensiamo che in un secolo il calcio è stato capace di introdurre appena due cambiamenti, come quello relativo al fuorigioco e al retropassaggio che il portiere non può più raccogliere con le mani, allora ci rendiamo conto di quanto il basket in termini di innovazione stia davvero su un altro pianeta, dimostrando una straordinaria capacità di metabolizzazione e “normalizzazione” di queste stesse innovazioni, qualità essenziale per non stravolgere le fondamenta di questo meraviglioso gioco, o meglio, come lo chiamiamo noi, il Gioco. La creatività e la visionarietà razionale, mi si passi l’apparente ossimoro, del basket non esistono in nessun altro sport; si tratta di un gioco che apre davvero la mente di chi lo pratica e di chi lo osserva. Poi tatticamente, fisicamente, come soluzioni ricorrenti di gioco molto è cambiato, sicuramente. Come in tutti gli sport anche qui l’intensità fisica è spaventosamente cresciuta, le difese si sono fatte più asfissianti, in particolare nei play off, quando la posta conta davvero. Il pick and roll è diventato quasi un dogma, il tiro da tre pure, forse sin troppo. E poi i ruoli, su tutti l’evoluzione dei centri, dei pivot, un tempo i più statuari e fermi a governare le plance, ora bestioni di 2.15-2.20 con mani educatissime a sfornare assist a gogo e triple pure, vedi l’MVP 2021 Nikola Jokić. Insomma, i cambiamenti sono stati fortissimi,
sia nel gioco che nelle regole: tra i grandi sport di squadra, ripeto, questo è il più vocato a ridefinirsi e a dare del tu al futuro. Ormai i giocatori europei dominano anche in NBA. Come vedi questa nuova, anche se a ben vedere così nuova ormai proprio non lo è più, ondata che non può non avere anch’essa contribuito a rinnovare questa straordinaria Lega? L’NBA è unica al mondo per diversi motivi, ma anche e soprattutto per essere riuscita più di ogni altro sport a farsi “Lega del mondo”, nel senso che tutti i più forti giocano immancabilmente lì. È un assioma da cui non si scappa. Cosa che non è riuscita al calcio, per esempio, con i più forti giocatori disseminati in cinque campionati diversi tra Italia, Germania, Inghilterra, Francia e Spagna. E quando iniziano le Final Four di Eurolega, momento di spettacolo più alto del basket europeo, sembra quasi che l’NBA vada al supermercato, per decidere quali giocatori siano pronti per il grande salto oltreoceano. La specificità del basket è che è l’unico dei grandi sport di squadra americani giocato in tutto il mondo e a livelli top. Baseball, football, hockey sono roba per loro e per pochi altri. Questo spiega perché il basket è la più grande macchina di sport e spettacolo del mondo: una lega globale come l’NBA il calcio se la sogna, perché gli Usa, nonostante un ennesimo, rinnovato tentativo di aprirsi allo sport più popolare del mondo, di fatto lo coprono come una pratica di serie B. Parliamo quindi della lega globale per antonomasia. È significativo che per la prima volta nel miglior quintetto dell’NBA figurino uno sloveno (Dončić), un greco-nigeriano (Antetokounmpo) e un serbo (Jokić), tutti accomunati dal fatto di aver cominciato e di essere cresciuti cestisticamente in Europa. Questo dimostra la straordinaria capacità da parte 41
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di questo paese-continente di assorbire altre esperienze nate e formatesi in altri continenti. Questo è un dato che va ben oltre l’universo sportivo del resto. Le due grandi vittorie americane che hanno scandito il secolo scorso, vale a dire la bomba atomica e lo sbarco sulla Luna, non sarebbero state possibili senza il fondamentale ruolo degli europei. Senza gli scienziati del Vecchio Continente che lavorarono al progetto la bomba atomica non la avrebbero mai realizzata da soli gli americani. E senza Wernher von Braun sulla Luna non ci sarebbero forse mai arrivati. Eppure resiste ancora granitico un embargo in Usa, quello che non permette di vedere seduto come capoallenatore sulla panchina di una franchigia NBA un coach europeo. A quando un Messina ai Celtics o un Obradović ai Lakers? Eh, qui la questione è assai più spinosa e richiederebbe una riflessione assai ampia ed articolata. Ne parlavo con Ettore Messina, il coach europeo che forse più di ogni altro è andato vicino a raggiungere l’obbiettivo, consulente prima ai Lakers e poi vice del grande Gregg Popovich ai San Antonio Spurs. Bisogna però mettersi l’anima in pace: l’NBA è una players league, un campionato in cui la gestione dei giocatori è tutto, dove tu coach vieni messo spalle al muro dai nomi che alleni. Giocatori che producono fatturati pari a medie e grandi industrie, la cui pressione è enorme in chi li deve guidare e governare. Certo, i Jackson, i Riley, i Popovich sono stati grandi strateghi e condottieri, sapientemente capaci di governare ego, individualità a dir poco ingombranti, ma quanti altri, ossia i più, hanno invece dovuto e devono ancora adeguarsi sostanzialmente alle specificità e alle esigenze dei singoli? Quindi, ecco, sono sicuramente convinto che un Messina o un Obradović potrebbero fare grandi cose in NBA, ma dovrebbero essere investiti di un potere che lì gli allenatori normalmente non hanno. Rimanendo alla recentissima cronaca, come si spiega il flop di Philadelphia, capace di perdere contro gli Hawks di Gallinari in maniera così disastrosa, quando avrebbe avuto i numeri per batterli nella serie con una media di venti punti di scarto a partita, o giù di lì? Evidentemente con il fatto che Doc Rivers, allenatore dei Sixers, non ha alcun tipo di presa sui propri giocatori. 42
Veniamo all’altro epicentro del basket mondiale, i Balcani. Il grande Sergio Tavčar nel suo imperdibile libro La Jugoslavia, il basket e un telecronista ha spiegato l’incredibile spirito vincente degli sportivi slavi, in particolare dei cestisti naturalmente, col fatto che per loro da sempre l’unica cosa da prendere maledettamente sul serio è il gioco. Cosa ne pensi di questi bizzarri, irresistibili personaggi? Come non essere affascinati da un universo del genere? Sono l’unico Paese dell’est a non aderire al Patto di Varsavia, capiscono di trovarsi in una posizione strategica straordinaria riuscendo ad ottenere vantaggi da entrambi gli schieramenti in gioco, forti della minaccia di passare all’una o all’altra parte. Una volta ne parlavo proprio con Sergio di questo, uno che attraverso il racconto della storia di quella straordinaria cultura cestistica ha saputo raccontare in maniera illuminante l’antropologia di rara complessità di quell’ex Paese che riuniva in uno mille anime e abiti mentali, raccontandone il drammatico dissolvimento. Grande, grandissimo basket il loro. Noi siamo tutti legati ai Ćosić, ai Dalipagić, ai Kićanović, ai Delibašić, e poi ai loro straordinari eredi degli anni ’80 e ‘90, i Kukoč, i Radja, i Divac, su tutti il Mozart della palla a spicchi Dražen Petrović. Ma oggi sono da meno? Non direi proprio, a partire dal clamoroso fuoriclasse che è Jokić, molto più vicino al grande Krešimir Ćosić di quanto non si creda, vedi il modo di passare la palla, che si avvicina davvero a quello della leggenda di Zagabria. Ćosić, l’uomo che più di ogni altro in Europa, ma non solo, ha reso straordinariamente moderno questo gioco, proprio a partire dai movimenti e dai gesti dei lunghi, che prima di lui mai si erano visti pensare il gioco e passare la palla in quel modo. Senti, non so come chiedertelo, perché è un po’ come chiedere per la trecentesima volta a, che so, Gianni Minà di raccontare cosa provò la prima volta che incontrò Muhammad Alì, tanto per rimanere nel nostro comune Pantheon. Insomma, che
cosa ti è rimasto dentro, al di là dell’irripetibilità di quel clamoroso pezzo di storia sportiva, di quella serata a bordo campo a Salt Lake City quando MJ letteralmente a terra, distrutto da un’intossicazione alimentare, non si sa come decide di essere della partita ed annichilisce da par suo, ma da malato vero, gli Utah Jazz di Karl Malone e John Stockton? Un grande senso di gratitudine. Avevamo la netta percezione che a venti metri da noi si stesse scrivendo la storia non solo del basket, ma dello sport tutto. La notte prima di gara 5 delle Finals 1997 tra Utah Jazz e Chicago Bulls Jordan rimane vittima di una terribile intossicazione alimentare dovuta ad una pizza avariata. Lo vedevo lì, di fianco a Phil Jackson, che faticava a muoversi ed ero sicuro che non sarebbe stato della partita. Morto, con l’asciugamano a coprire la testa, con tutti intorno a scuotere il capo con espressioni vuote. Poi Jackson dà i nomi dei quintetti e…ma come, c’è, c’è! Il resto è noto, dominio irreale di His Airness, con il leggendario “The last shot”, lo stratosferico tiro da 3 a cinque secondi dalla fine. Non esistono parole. Non mi abituerò mai a quel momento: una fortuna sfacciata mi è capitata di essere lì, a due metri dalla Storia. Il progetto utopico che davvero vorresti realizzare e i progetti futuri. Ho una grande passione per la Vienna tra le due guerre, contesto in cui sono convinto che sia successo un po’ tutto quello che in una società potrebbe accadere, non solo a livello sportivo. Ecco, lavorare su quel periodo, su quel contesto nodale del Continente europeo tra dissoluzione politica e creazione di sapere a livelli inarrivabili, è un mio sogno che spero prima o poi possa tradursi in qualche cosa di concreto. Per quanto riguarda invece i prossimi progetti, assieme al mio regista Marco Caronna stiamo scrivendo lo spettacolo che debutterà a breve e che porteremo in tour l’anno prossimo dedicato all’incontro avvenuto a Genova il 14 settembre 1969 tra Fabrizio De André e Gigi Riva.
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17. MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA
architettura
SEMPLICEMENTE ARCHITETTO
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An Architect, Nothing More
If there is one architect who embodies most fittingly the theme of the Biennale Architettura 2021, it is Lina Bo Bardi Hashim Sarkis
Interview with SOL CAMACHO Cultural Director WALDICK JATOBÀ Executive Director GIUSEPPE D’ANNA Chairman of the Board of Directors INSTITUTO BARDI/CASA DE VIDRO SÃO PAULO, BRAZIL
Lina Bo Bardi sitting on a Bardi’s Bowl Photo Francisco Albuquerque, Courtesy Instituto Moreira Sales + Instituto Bardi / Casa de Vidro
di Paolo Lucchetta
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onna straordinaria, di grande fascino, fu un architetto geniale e di grandissimo talento, una delle pochissime donne veramente famose e acclamate nella storia dell’architettura del Ventesimo secolo. Il Leone d’Oro speciale alla memoria a Lina Bo Bardi rappresenta il riconoscimento, dovuto ormai da tempo, di una prestigiosa carriera sviluppatasi tra Italia e Brasile e di un contributo volto a riconsiderare il ruolo dell’architetto come facilitatore della socialità. Prima di questo, era stato attribuito soltanto un altro Leone d’Oro speciale alla memoria, undici anni fa, ed era andato all’architetto giapponese Kazuo Shinohara. La Biennale aveva già reso un tributo all’opera di Lina Bo Bardi nel 2010, riservandole una sala del Padiglione Centrale dei Giardini, e nel 2004 le era stata dedicata una mostra a Ca’ Pesaro, nella sezione Metaeventi della Biennale di quell’anno. Lina Bo Bardi ha lasciato un’immensa eredità all’architettura contemporanea e proprio da questa eredità, che si concretizza nell’Istituto Bardi/Casa De Vidro a São Paulo, Brasile, abbiamo voluto partire per approfondire la sua vita profondamente connessa alla professione. Ripercorrendo le tappe della vita di Lina Bo Bardi e dei diversi ruoli da lei interpretati, è evidente il ruolo fondamentale della sua formazione in Italia. Dopo Roma, sua città natale, si trasferì a Milano e nell’ambiente culturale del capoluogo lombardo entrò in contatto con artisti, intellettuali, architetti del calibro di Giorgio de Chirico, Elio Vittorini, Gio Ponti. Quanto incise la formazione milanese nella vita e nella produzione di Lina Bo Bardi? Lina è stata influenzata moltissimo sia dalla sua formazione universitaria a Roma che dai suoi lavori giornalistici/editoriali a Milano. Ma non dobbiamo dimenticare che anche il mondo in cui trascorse la sua infanzia svolse un ruolo determinante nella sua formazione di archi-
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n extraordinary woman of fascinating talent,
a genius of architecture and one of the very few women who made it into the who’s who of twentieth-century architecture. A Special Golden Lion in memoriam to Lina Bo Bardi is the acknowledgment, and a long-overdue one, of a prestigious career developed in Italy and Brazil. It is also a contribution to the cause of recognizing the role of architects as facilitators of socialization. Before this, only on one other occasion such award was given: to Japanese architect Kazuo Shinohara. Biennale had already paid homage to Bo Bardi in 2010 by dedicating her a hall at the Central Pavilion, and in 2004, an exhibition was dedicated to her at Ca’ Pesaro, in the Metaeventi section of the 2004 Biennale. Lina Bo Bardi’s bequest in the field of contemporary architecture is immense. Her legacy, materialized at Instituto Bardi/Casa de Vidro in Sao Paulo, Brazil, will be our starting point to learn about her life and work. Retracing the stages of Lina Bo Bardi’s life and the different roles she played, her training in Italy has apparently been central. She moved to Milan from Rome, her hometown. Attending the cultural environment of the Lombard capital, she came into contact with artists, intellectuals, established architects such as Giorgio de Chirico, Elio Vittorini, Gio Ponti. How much did Lina Bo Bardi’s training in Milan influence her life and production? Lina was very much influenced by her training both in her educational background in the University of Rome as in her journalistic/ editorial jobs in Milan. Not only her life as a student and as a young professional was an influence but also her childhood environment was a trigger for the construction of a lot of her ideals. Lina’s father, the engineer Enrico Bo, was a talented amateur artist and was a key figure for her artistic and intellectual shaping. When she
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17. MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA LEONE D’ORO SPECIALE ALLA MEMORIA tetto. Il padre di Lina, l’ingegnere Enrico Bo, era un artista amatoriale di talento ed esercitò un ruolo chiave nella sua formazione artistica ed intellettuale. Dopo il trasferimento a Milano, Lina e Carlo Pagani, suo compagno di studi, crearono lo Studio Bo e Pagani in via del Gesù, dove entrarono in contatto con molti altri intellettuali ed artisti, come ad esempio De Chirico, che viveva nella stessa via. Oltre a svolgere la loro attività professionale, Bo e Pagani collaboravano anche con l’architetto e designer Gio Ponti alla rivista «Domus» e successivamente alla rivista «Lo Stile», partecipando a molti progetti di design e di arredamento per interni. Entrambi divennero assieme anche vicedirettori di «Domus» in seguito alla fondazione della collana Quaderni di Domus dedicata all’arredamento moderno per la casa. Lina Bo (come era solita firmarsi all’epoca) collaborò come scrittrice e illustratrice con la popolare rivista femminile «Grazia», dove curava una rubrica, ma anche con riviste come «Bellezza», «Aria d’Italia», «Cordelia», «Tempo», «Milano Sera» e «Vetrina e negozio». La sua esperienza lavorativa a Milano e i suoi contatti soprattutto con Ponti hanno avuto un ruolo fondamentale nella sua formazione; anche se era già una solida professionista, possiamo dire che gli anni trascorsi a Milano hanno rappresentato un momento di formazione decisivo per lo sviluppo della sua successiva carriera in Brasile. La ricerca e gli interessi che Lina ha coltivato in quel tempo lavorando con pubblicazioni specializzate in arredamenti e mobilio per la casa hanno finito per concretizzarsi compiutamente poi nelle sue opere realizzate in Brasile. Il suo primo progetto architettonico, Casa de Vidro, ne è un chiaro esempio. Lina visse gli anni della guerra e della ricostruzione con molta intensità: «Sentivamo che bisognava far qualcosa per togliere l’architettura dal pantano». In quegli anni fu molto impegnata in attività editoriali dimostrando il suo grande interesse per la critica d’architettura e più in generale per il giornalismo, una passione che ha attraversato tutta la sua vita. Da dove deriva la sua vocazione per la scrittura e l’illustrazione? Gli anni trascorsi a Milano coincisero con la Seconda guerra mondiale ed ebbero un profondo impatto sul suo modo di concepire l’architettura. Questa esperienza la portò sulla strada dell’impegno civile, maturando presto la convinzione che il vero compito dell’architettura dovesse essere quello di risolvere i problemi di carattere sociale. Nel 1945 Bo Bardi, Pagani e il fotografo Federico Patellani furono incaricati da «Domus» di percorrere l’Italia per documentare e valutare il livello di distruzione provocato dalla guerra. L’anno successivo Bo e Pagani fondarono, con la collaborazione del critico d’arte Bruno Zevi, quella che sarebbe diventata una rivista innovativa e contemporanea: «A – Cultura della vita. Attualità, Architettura, Abitazione, Arte». Il resoconto di questo viaggio uscirà poi sulle pagine di questa rivista come un invito a riflettere sulla ricostruzione del Dopoguerra e sul ruolo degli architetti in tale contesto. Gli scritti di Lina affrontano il dramma storico e sociale rappresentato da tutta quella distruzione, riflettendo contestualmente sul fatto di come gli architetti sarebbero dovuti intervenire per ricostruire la struttura di base del paese. Sommando la sua personalità critica alla sua esperienza editoriale, Bo Bardi trovò nella scrittura uno strumento per esprimere in maniera insieme appassionata e razionale le proprie opinioni. In quanto architetto di formazione moderna e profonda conoscitrice del suo ambiente professionale, ha potuto 46
MASP building at the Paulista Avenue, São Paulo Photo ©Leonardo Finotti (particolare)
sperimentare da vicino la nuova visione del mondo che gli architetti andavano sviluppando attraverso la scrittura, redigendo manifesti e lettere. Silvana Rubino, che assieme a Marina Grinover ha curato il libro Lina por Escrito, ha sviluppato questa idea, che ha contraddistinto in maniera profonda quella seminale fase del percorso di Lina Bo Bardi, nel saggio introduttivo Potremmo immaginare il modernismo senza la scrittura?. La passione di Bo Bardi per la scrittura si manifesterà anche nel suo matrimonio con il giornalista Pietro Maria Bardi. Insieme hanno condiviso non solo riferimenti artistici ed intellettuali, ma anche dei sogni attraverso la realizzazione dei quali poter dare un contributo culturale attivo alla società. Insieme fondarono la rivista «HABITAT», condividendo per tutta la vita un profondo interesse per la scrittura e la produzione intellettuale. La visione critica del mondo da parte di Lina e il desiderio di condividerla e di insegnarla sono stati il motore dei suoi progetti di scrittura, curatoriale ed editoriale, profondamente legati alle sue progettualità architettoniche. Nel Dopoguerra Lina Bo Bardi si trasferì in Brasile che fu da lei definito «la mia nazione per scelta e quindi per me lo è due volte tanto». Lo considerava «un Paese inimmaginabile, dove tutto era possibile. Mi sono sentita felice, e a Rio non c’erano macerie». Ci può parlare del rapporto così speciale che aveva con il Brasile, sua terra elettiva? Il Brasile affascinerà Lina in quanto Paese pieno di prospettive in opposizione ad un’Italia dilaniata dalla guerra. Lo sguardo pieno di interesse che Lina volge al suo paese d’elezione potrebbe essere in parte attribuito alla sua condizione di immigrata, che le consente di guardare sotto una prospettiva davvero unica degli aspetti culturali e dei valori probabilmente ritenuti irrilevanti dai brasiliani. Bo Bardi nutriva
moved to Milan, Lina and Carlo Pagani, her university colleague, created the Studio Bo and Pagani at Via Gesù, where they had contact with many other intellectuals and artists (as an example De Chirico that lived on that same street). In addition to their professional practice, Bo and Pagani also collaborated with architect and designer Gio Ponti in the magazine Domus and later in Lo Stile, where they were involved in many interior design and furnishing projects. The duo also acted as vice presidents of Domus, when they created the Quaderni di Domus monographs, dedicated to modern home equipment. Lina Bo (as she used to sign at that moment) also made important contributions as a writer and illustrator to the popular women’s magazine Grazia, in which she had a column, but also in magazines as Bellezza, Aria d’Italia, Cordelia, Tempo, Milano Sera and Vetrina e negozio. The experiences in Milan and her contact mainly with Ponti were formative years, she was already a professional but it could be said that the milanese years were a shaping moment for the development of her career in Brazil. The research and interests that Lina cultivated in her time working with publications, related to domestic typologies, interiors and furniture, ended up materializing in her practice in Brazil - her first built project, Casa de Vidro is a good example of this. Lina lived the years of war and reconstruction very intensively. In these years she was very engaged in editorial activities showing her great interest in architecture criticism, journalism, a passion that she has gone through all her life. Where did her passion for writing come from? Lina Bo Bardi’s years in Milan happened during the Second World War and had a profound impact on the architect’s thinking, who
started to adopt a posture of greater civil commitment, arguing that the real importance of architecture would be to solve society’s problems. In 1945, Bo, Pagani and photographer Federico Patellani were commissioned by Domus to travel around Italy documenting and evaluating the situation of the destruction after the war and in the following year Bo and Pagani created, with the collaboration of art critic Bruno Zevi, what would be an innovative and contemporary magazine: A – Cultura della vita. Attualità, Architettura, Abitazione, Arte. The result of this post-war travel was published in the pages of “A” as an invitation to reflect on the post-war reconstruction and the role of architects on it. Lina’s writing was an urge to express her thinking about Italy’s situation at that historical moment and how architects should be acting on it. Adding up her critical personality and her editorial experience, Bo Bardi found writing as a vehicle to express her opinions. As an architect of modern formation, and very much aware of the professional environment she experienced closely how architects were developing a new vision of the world through writing, with manifestos and letters. Silvana Rubino – who edited with Marina Grinover the book Lina por Escrito [Lina on writing] – developed this idea in the introduction essay Could we imagine modernism without writing? Bo Bardi’s passion for writing is also evident with her marriage to journalist Pietro Maria Bardi. Together they shared not only artistic and intellectual references as well as dreams on how to contribute culturally to the society. Together they developed the magazine HABITAT, they shared profound interest in writing and intellectual production throughout their lives. Lina’s critical view of the world and the desire to share and educate were the engine of her writing, curatorial and editorial projects, deeply connected to her built work. In the post war period Lina Bo Bardi moved to Brazil which she called “my nation by choice and therefore for me it is twice as much.” “I felt in an unimaginable country, where everything was possible. I was happy. There was no rubble in Rio.” Can you tell us something about this special relationship Lina Bo Bardi had with Brasil, her elective country? Brazil captivated Lina as a country of possibilities in contrast to war-torn Italy. Lina’s interested gaze towards her country of choice might be partly credited to her condition of being an immigrant, therefore bearing a unique perspective on aspects of culture and values that might be deemed unimportant by nationals. Bo Bardi was deeply interested in getting to know Brazilian culture and its roots, and realized multiple travels through the Brazilian landscape with the aim of furthering her understanding of construction traditions in the countryside, popular art production, and the country’s biodiversity. Many aspects of Brazilian culture and material tradition, which she got to know through these travels, were later incorporated into her oeuvre. An important part of her work was guided by the intention of “presenting Brazil to the Brazilians.” As a result of Bo’s commitment to the investigation of Brazilian culture, in 1969 she organized A mão do povo brasileiro [The hand of the Brazilian people], the inaugural MASP exhibition on Avenida Paulista, which presented a vast panorama of Brazil’s rich material culture. Lina’s attitude of valuing this often marginalized production and placing it in the status of art, besides being a very renewed stance,
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17. MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA LEONE D’ORO SPECIALE ALLA MEMORIA paesaggio e il posto che esso occupa all’interno del design architettonico, nonché all’interno del progetto di modernità ai tropici. La casa è costruita volutamente attorno a un albero di fico racchiuso in un’apertura lasciata a livello del pavimento e del soffitto; è circondata da un giardino simile a una foresta che è stato quasi completamente realizzato dai Bardi per un totale di circa 6.700 metri quadri, con una vegetazione mista di specie autoctone e non, popolate da animali come uistitì (scimmiette indigene), tucani e una varietà di insetti che continuano ad essere attratti da questa zona verde diventata oramai una rarità nell’immenso conglomerato urbano di San Paolo. Ma ancor prima della costruzione di Casa de Vidro e della creazione del suo giardino nel 1951, Bo Bardi aveva espresso le proprie idee sul rapporto tra paesaggio e spazi residenziali nel suo articolo Architettura e natura: la casa nel paesaggio scritto a Milano per il numero 191 della rivista «Domus» (novembre 1943, pp. 464-71): «Montagne, boschi, mare, fiumi, rocce, prati e campi sono fattori determinanti per la forma della casa; il sole, il clima, i venti ne determinano la posizione, il terreno circostante offre il materiale per la sua costruzione; così, la casa appare profondamente legata alla terra, le sue proporzioni sono dettate da una costante: la misura dell’uomo; e ininterrottamente, con profonda armonia, lì scorre la loro vita».
Photo Pietro M Bardi, Courtesy Instituto Bardi / Casa de Vidro
un profondo interesse per la cultura brasiliana e per le sue radici. Visitò gran parte del paese con l’obiettivo di approfondire la sua conoscenza sulle abitazioni rurali tradizionali, sulla produzione artistica popolare e sulla biodiversità di questo stato-continente. Molti aspetti della cultura e della tradizione materiale brasiliana con cui venne a contatto durante questi viaggi sono stati successivamente incorporati nella sua opera. Una parte importante del suo lavoro è stata guidata dall’intenzione di «presentare il Brasile ai brasiliani». Sulla scia del suo forte impegno a promuovere uno studio approfondito della cultura brasiliana, nel 1969 organizzò A mão do povo brasileiro (La mano del popolo brasiliano), la mostra inaugurale del MASP in Avenida Paulista, che presentava un vasto panorama della ricca cultura materiale brasiliana. L’interesse di Lina, peraltro assolutamente nuovo nel suo genere, a valorizzare questa produzione spesso emarginata e ad elevarla allo status di arte è espressione del suo desiderio di voler nobilitare la cultura e la produzione del Brasile agli occhi degli stessi brasiliani. Tra le sue opere spiccano edifici che con il loro design coniugano architettura e natura, in primis la Casa de Vidro, ora sede dell’Instituto Bardi, una glass box sospesa a mezz’aria che dialoga con la natura selvaggia ai limiti della foresta amazzonica che la circonda. Quanto il ruolo della natura era davvero centrale nel suo pensiero e nella sua progettualità? C’è ancora molto da esplorare sul ruolo della natura all’interno delle opere architettoniche di Bo Bardi, un tema che è diventato solo di recente oggetto di ricerca. La sua prima opera architettonica, Casa de Vidro, è un ottimo punto di partenza per analizzare la sua visione del 48
Sebbene il suo approccio architettonico alla natura si sia evoluto nel corso della sua carriera, a partire dal momento in cui iniziò a incorporare nei suoi lavori la tradizione e la materialità brasiliane, l’idea fondamentale di interdipendenza tra ambiente architettonico e ambiente naturale già compiutamente elaborata in questo articolo su «Domus» non ha mai smesso di permeare le sue creazioni. Nel suo design il rapporto tra paesaggio ed edifici è documentato dai disegni dei vari progetti, dove il dialogo tra vegetazione e architettura diventa una costante. Ne sono un esempio i primi disegni di MASP, Casa Valéria Cirell, Casa Chame-Chame, il garage per la Casa de Vidro, per citarne solo alcuni. Nel progetto del Restaurante Coaty, presentato nel 1987 assieme a João Figuelras Lima (Lelé), Bo Bardi ripropone l’idea utilizzata per la prima volta in Casa de Vidro di sviluppare la struttura architettonica attorno ad un albero, ma questa volta senza la facciata a vetrata continua. In un concorso per il municipio di San Paolo cui partecipò nel 1981 arrivò a proporre la realizzazione di un giardino tropicale su tutto il pianterreno dell’Anhangabaù Valley, deviando il transito delle persone su un corridoio sospeso sopra gli alberi. Per la Casa de Vidro Lina Bo Bardi disegna la Bowl Chair, tuttora editata da Arper, una delle sedie più iconiche del design del XX secolo: una seduta dalla struttura e dalla forma essenziali e universali. Questo nuovo approccio al design, in cui l’elemento fondamentale è l’interazione dell’uomo con l’oggetto, fu rivoluzionario per gli anni ’50 perché capace di reinventare il modo di stare seduti, favorendo posture naturali e rilassate. Un progetto che testimoniava un profondo cambiamento culturale in atto, che si tradusse in un nuovo modo di vivere più informale e più orientato all’essere che all’apparire. Come riusciva ad essere sempre così innovativa, a tratti rivoluzionaria, in ogni azione della sua attività creativa?
Photo Francisco Albuquerque, Courtesy Instituto Moreira Sales + Instituto Bardi / Casa de Vidro
reveals her desire to elevate the country’s culture and production in the eyes of the Brazilians themselves. Among her works there are some outstanding buildings specially designed to combine architecture and nature, first of all the Casa de Vidro (now home to Instituto Bardi), a glass box, suspended in mid-air that dialogues with the nature at the limits of the tropical forest-like garden that surrounds it. How important was the dialogue with nature in her thinking? There’s much to be explored about the place of nature within Bo Bardi’s architecture works, a theme which has only recently been examined as a subject of research. As the first built work of Bo Bardi, Casa de Vidro is a great starting point to investigate the architect’s understanding of landscape and its place within architectural design, as well as within the project of modernity in the tropics. The house is constructed deliberately around a fig tree enclosed in an opening through the floor and ceiling slabs, and is surrounded by a forest-like garden, that was almost fully planted by the Bardis - amounting to approximately 6,700 square meters, which comprises a mixture of native and foreign species of vegetation, inhabited by some animals like marmosets (sagüi monkey) tucanos, and a variety of insects which during the years are still attracted to this now rare area of greenery in the urban built environment of São Paulo. But even before the construction of Casa de Vidro and the sowing of its garden in 1951, Bo Bardi had expressed her ideas on the relationship between landscape and residential spaces in her article Architettura e natura: la casa nel paesaggio, written in Milan for the issue n. 191 of Domus magazine (nov.1943, pp. 464-71): “Mountains, woods, sea, rivers, rocks, meadows and fields are determining factors for the shape of the house; the sun, the climate, the winds determine its position, the surrounding land offers the material for its construction; thus, the house appears deeply connected to the earth, its proportions are dictated by a constant: the measure of man; and uninterruptedly, with profound harmony, there their life flows.”
Although her approach to nature within architecture evolved throughout her career, as she started incorporating Brazilian tradition and materiality into her work, the fundamental idea of interdependence between the built and the natural environment elaborated in the Domus never ceased to permeate her creations. The relationship between landscape and the buildings of her design are documented in her project drawings, which would consistently feature sketches of vegetation in dialogue with the architecture. Some examples are the early drawings of MASP, Casa Valéria Cirell, Casa Chame-Chame, the garage for the Glass House, amongst many others. Restaurante Coaty, designed in 1987 with João Figuelras Lima (Lelé), is a project in which Bo Bardi would revisit the gesture first used in Casa de Vidro of embracing a tree and constructing the built environment around it, this time without the diving glass walls. In an entry for a contest for the São Paulo municipality in 1981, Bo Bardi went as far as proposing the implementation of a tropical garden in the entire ground level of Anhangabau Valley, reallocating the transit of people in an elevated pathway above the trees. She designed the Bowl Chair, still edited by Arper, for her Casa de Vidro, one of the most iconic chairs of 20th century design, a seat with an essential and universal structure and shape. This new approach to design focused on man’s interaction with the object was something revolutionary in the 1950s. It reinvented the way of sitting favouring natural and relaxed postures. It was at the same time a witness of an ongoing cultural change, which resulted in a new way of life, more informal and more oriented to being than to appearing. How did Lina succeed in being revolutionary in every action of her creative activity? Please, tell us something about her approach and revolutionary spirit. According to Lina, when she arrived in Brazil in 1946 the feeling that prevailed in the generation that had lived through the years of the war and in herself was of bitterness and sorrow.
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17. MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA LEONE D’ORO SPECIALE ALLA MEMORIA Quando giunse in Brasile nel 1946, secondo Lina il sentimento predominante nella generazione che come lei aveva vissuto gli anni della guerra era di amarezza e dolore. «Quando sono arrivata qui, ho visto dalla nave il bianco e il blu del Ministero dell’Istruzione e della Salute che sembrava navigare sopra il mare sotto un cielo azzurrissimo. Era il primo pomeriggio, e mi sentivo felice…perché avevo finalmente visto una cosa fatta. In Europa, la ricostruzione non era ancora iniziata, per prima cosa era necessario porre rimedio a una serie di problemi, in particolare alla situazione economica. [...] Ma in Brasile non era così. [...] Era un mondo completamente diverso da quello cui ero abituata». Lo spirito di indipendenza e libertà che Lina trovò in Brasile, secondo lei frutto del semplice fatto che si trattava di un paese che non era passato attraverso la distruzione della guerra, molto probabilmente dava all’architetto anche una maggiore libertà creativa. Ciò ci fa pensare che Bo Bardi non intendesse essere rivoluzionaria, per così dire, “a tavolino”; è stata l’aria nuova che si respirava in un paese pieno di opportunità che l’hanno spinta ad osare e a seguire idee innovative che qui hanno trovato un terreno fertile. La sua formazione modernista associata al suo interesse per la cultura brasiliana ha dato luogo ad un linguaggio architettonico coeso tra moderno e vernacolare, ricercato anche da architetti come Lúcio Costa. Lina è stata rivoluzionaria proprio nel voler combinare moderno e vernacolare e nel voler sempre sperimentare. Non aveva intenzione di creare uno stile o un linguaggio identificabile. Non dobbiamo dimenticare che all’epoca questo modo di pensare e lavorare spesso non era riconosciuto ed apprezzato come lo è oggi. L’opera di Lina è stata unanimemente riconosciuta post mortem, come dimostra questo peraltro importantissimo Leone d’Oro che le viene assegnato dalla Biennale di Venezia quest’anno, a quasi trent’anni dalla morte. Tra i progetti che più amiamo ci sono il SESC - Fàbrica Pompéia (1977-1986), sul quale Luciano Semerani scrisse un bellissimo testo “Il diritto al brutto”. E naturalmente il Teatro Oficina (19801994), dove non esistono confini tra gli attori, come una strada interna allungata e connessa alla città. Quanto l’architettura di Lina Bo Bardi può essere considerata essenzialmente e magnificamente una forma di arte sociale capace di favorire in ogni modo l’incontro e la relazione tra le persone? I progetti più grandi e importanti di Lina Bo Bardi sono luoghi di incontro e di socializzazione. La sua aspirazione a promuovere relazioni e incontri all’interno degli edifici è ben visibile nei suoi disegni: le persone che disegna non servono solo a dare proporzione agli edifici, ma anche ad animarli. Negli emblematici disegni concept-design di Lina gli edifici sembrano quasi fare da supporto alle attività umane. L’importanza di attivare lo spazio attraverso il suo uso è altrettanto importante del partito preso architettonico, essendo questo un principio guida che accompagna il progetto dall’ideazione fino alla sua realizzazione. Del resto le opere di Bo Bardi sono quasi sempre legate a un più ampio progetto di attivazione sociale e a un programma culturale. Come nel caso del Museo d’Arte di San Paolo - MASP, un edificio appositamente progettato per ospitare un museo a carattere civico-educativo, presentando a tal fine un ampio spazio pubblico al pianoterra, o come 50
in quello di SESC Pompéia, dove la missione del cliente è quella di promuovere azioni socio-educative per il benessere e per una migliore qualità di vita degli operatori nel settore dei beni e servizi, o ancora in quello del Teatro Oficina realizzato in collaborazione con l’architetto Edson Elito, che costituisce un manifesto/teatro per la compagnia teatrale Oficina Usyna Uzona fondato sull’idea di rivoluzionare la messa in scena di uno spettacolo in modo che il pubblico ne diventi parte integrante, attore anch’esso di una produzione collettiva. L’idea di incoraggiare l’incontro sociale si esprime anche in un lavoro meno conosciuto ma altrettanto forte che Lina ha realizzato a Salvador de Bahia e che oggi si trova in stato di abbandono. L’Espaço Coaty, questo il nome dell’edificio, è il risultato della combinazione di un ristorante, un bar e tre vecchie case che sono state trasformate in nove appartamenti e in uno spazio ad uso commerciale al piano terra. Vale qui la pena ricordare questo progetto meno noto se non altro per richiamare l’attenzione sul suo stato di abbandono, approfittando di un momento così importante qual è questo riconoscimento a Venezia affinché un pubblico più vasto a livello internazionale possa essere sensibilizzato al fine di contribuire a sostenere attivamente la sua conservazione. I progetti di Lina nascevano come luoghi di incontro, sì. Ha scelto di lavorare su progetti che avessero questa connotante natura e le sue proposte rappresentano oggi una risposta quanto mai premonitrice alla domanda del curatore Hashim Sarkis: How will we live together?
SESC Pompeia, São Paulo Photo ©Leonardo Finotti
Igreja Espírito Santo do Cerrado, uberlândia, minas gerais Photo ©Leonardo Finotti
Teatro Oficina, São Paulo Photo ©Leonardo Finotti
“When I arrived here, I saw from the ship the white and blue of the Ministry of Education and Health, sailing over the sea in a clear blue sky. It was early afternoon, and I felt happy... because I saw something accomplished. In Europe, the resumption of construction had not yet started, it was necessary to remedy many things, especially the economic conditions. [...] But in Brazil it was not like that. [...] It was a completely different world than the one I was used to.” It can be presumed that the spirit of independence and freedom that Lina found in Brazil, according to her due to the fact that it was a country that had not gone through the destruction of the war, also provided the architect with greater creative freedom. It is plausible to assume that Bo Bardi did not intend to be revolutionary, it was the fresh air of a country where she recognized so many possibilities that inspired her to dare and undertake transformative ideas that found space to flourish here. Her modernist education combined with her interest in Brazilian culture resulted in a cohesive architectural language between modern and vernacular, also sought by architects such as Lúcio Costa. Lina was revolutionary in combining modern and vernacular and always trying to experiment. She did not intend to build a style or an identifiable language. It is important to remember that during her lifetime, this way of thinking and working often did not receive the recognition and the prestige that it receives nowadays. Lina’s work became unanimously acknowledged post mortem, the Golden Lion awarded by La Biennale di Venezia is awarded this year, almost thirty years after Lina left this world in 1992.
Among the projects we love most there is the SESC - Fàbrica de Pompéia (1977-1986), of which Luciano Semerani wrote a very beautiful text. And, of course, the Teatro Oficina (19801994), where there are no boundaries between the actors, like a stretched internal road connected to the city. How much can Lina Bo Bardi’s architecture be considered an essential and wonderful form of social art capable of encouraging encounters and relationships between people? Lina Bo Bardi’s larger and most important projects are places of encounter and social gathering. Her aspiration to promote relations and meetings in the buildings can be attested by observing her drawings: the people in the drawings do not appear only to give scale to the buildings, but rather to give them life. In Lina’s emblematic concept-design drawings the buildings are almost drawn only as a support for human activities. The importance of activating space through use is just as important as the architectural parti-pris, being a guiding principle from the conception of the project to its construction. For that matter, Bo Bardi’s works are almost always linked to a broader social activation project and a cultural program. As is the case for the Museum of Art of São Paulo - MASP, a building specially designed to house a museum with an educational and civic character — with notably offers a generous public space in its ground level; of SESC Pompéia, in which the client’s mission is to promote socio-educational actions that contribute to the well-being and quality of life of workers in the trade in goods and services, or even the Teatro Oficina in collaboration with architect Edson Elito, that constitutes a manifesto/theater for the theatre company Oficina Usyna Uzona and was designed to revolutionize performances so that the audience takes part in a more integrated collective production. The idea of encouraging encounter is also expressed in a less known but equally potent work that Lina did in Salvador, Bahia, and today finds itself in neglect. The Espaço Coaty combines a restaurant, a bar and three old houses that would be transformed into nine apartments and commercial use on the ground floor. (It is worth mentioning this less known project to raise awareness of its neglected status and take advantage of this relevant moment of recognition in Venice so that a wider international audience can support its conservation). Lina’s projects were innately places of encounter, she chose to work in these projects and her proposals are a premonitory answer to curator Hashim Sarkis’ question: How will we live together?
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17. MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA REPORTAGE
ARSENALE La sottile linea gialla La visita della Biennale Architettura mi pone sempre la necessità di una scelta: soffermarmi a leggere le note, studiare i disegni e seguire i video in tutta la loro estensione, o andare rapido, per decidere quando rallentare in base all’effetto di attrazione delle sale, e solo allora approfondire? Forse questo dilemma tocca solo chi è architetto, chi pretende di capire perché sa che può capire. La maggioranza di coloro che visitano la mostra sono architetti, immagino sia quindi un problema diffuso questo. Sinceramente desidero una Biennale Architettura che non stanchi troppo, che, in un colpo veloce, mi racconti la ragione dei lavori esposti, la connessione con il titolo della mostra. Credo che sia anche un desiderio del curatore. Parto sempre dall’Arsenale, dalle Corderie, perché sono come il capitolo di introduzione e perché spero di trovarci, per l’appunto, l’estrema sintesi in un’unica passeggiata fatta di tanti esempi. Qualcosa si può capire: la natura ha pari diritto e forza di quanta ne abbia l’umanità nel determinare, stimolare, co-generare, anche se vorrei ancora poter usare il termine conformare o costruire, lo spazio della vita. Quel luogo, sintesi di condivisione, può e deve ispirarsi a ragioni che comprendano nella maniera migliore e più ampia ogni aspetto di quanto riusciamo a cogliere come l’universo in cui ci troviamo. Le Corderie lo raccontano con una vaga reminiscenza del francescano Cantico delle creature, mischiata alla perentoria certezza del tecnologico, in un risultato che a volte è magico, come i funghi che crescono in una sala buia. Questa risposta alla domanda How will we live together? è certo anche materia umana. Si capisce poi che lo stile della curatela è accademico, nel senso che molte sono ricerche connesse ad atenei di eccellenza, disinvolto e in qualche modo stemperato da progetti a forte partecipazione collettiva, dove la questione della prassi è trascurata a tal punto da sembrare che in questo processo i professionisti, in effetti, abbiano perso di ruolo, o che forse, tra tutti gli animali che girano per le Corderie, rappresentino una specie in via di estinzione. Ma rimane la poesia, cioè la fascinazione dello spazio e della materia costruita. Un modo lirico, sicuramente iconico, anche auto-compiacente, di vivere insieme, un po’ banale da chiamare solo architettura, che in questa Biennale Architettura trovo sintetizzato in un colore guida: il giallo.
IMMERSI IN UNA MAHALLA
Due allestimenti in giallo restituiscono, in grande stile, valore allo spazio costruito e ai suoi processi connessi, in un pensiero che comprende la storia, la tradizione, il mondo animale, minerale e i processi generativi, i dialoghi più o meno specialistici e le pratiche d’uso. Uno è l’ampiamente pubblicizzato padiglione Uzbekistan, che in maniera sottile, rarefatta e raffinata, permette un’immersione profonda negli elementi costituitivi della Mahalla, il quartiere compatto, caratterizzato dal suo sistema di vita comunitaria, della città capitale uzbeca. Si passa attraverso tubi che segnano immaginarie pareti, da una stanza e un cortile ad altri, ove la sapiente regia di Victoria Easton e Stefano Zeni, dello studio di Basilea Christ & Gastenbein, i titolari entrambi docenti dell’ETH, i quali chiamati dal governo uzbeko a curare la ricerca e l’allestimento dell’esposizione hanno assemblato il lavoro di un laboratorio sperimentale interdisciplinare del Center for Contemporary Arts di 52
Uzbekistan
Turchia
Tashkent, del musicista Carlos Casas e del fotografo Bas Prince. La visione bio-eco-sostenibile, di convergenze tra generazioni e, forse, o almeno in parte, anche tra culture, almeno per quel che concerne la diversa provenienza dei curatori, trova il suo modello ideale già pronto. È il prodotto stratificato nella storia che ha fulcro in oggetti semplici come il tapchan, il tradizionale sofà uzbeko ove si incontra la famiglia, che, per l’uso che offrono, valorizzano la rete dei cortili che troviamo, simili, anche nell’Africa Subsahariana, in Egitto, in Cina e nella maggior parte delle baraccopoli. Una elegia all’architettura vernacolare e della resilienza. Un ritratto da cui partire per ragionare su cosa fare ora. Trovo che questo Padiglione rimetta i piedi a terra di chi era entrato in stallo orbitale dopo il grande volo delle Corderie.
ARCHITETTURA COME MISURA
Diorami gialli, entro i quali passare, ma anche da osservare stando oltre la vetrina, sono invece il cuore del padiglione Turchia, Architecture as Measure, curato dal professore dell’Università della California-Berkeley Neyran Turan, il quale propone una ricerca in progress che vede oltre all’installazione, un sito web e un programma di conferenze ed eventi speciali. Specularmente all’introduzione delle Corderie, viene qui ribaltato sull’architettura il compito di catalizzare la complessità delle vicende, anche le più imprevedibili, come l’evento di un mondo popolato da soli animali. Architettura che si fa da sola nel momento in cui viene concepita, nel rimando tra osservatore ed osservato, tra materia e forma. Anche questa installazione, del tutto diversa dalla precedente, in quanto astratta, concettuale, esplosa nel tempo, ha una grande potenzialità lirica, nell’eleganza complessiva dell’assemblaggio di quattro scene di altrettanti teatrini metafisici. Devo confessare che mi avvalgo sempre di più dell’aiuto degli studenti che presidiano le sale, provenienti da Ca’ Foscari o dallo Iuav, ragazze e ragazzi veramente preparati e capaci di restituire le singole parti della Mostra. Ringrazio chi ha avuto qualche anno fa l’idea di istituire questo servizio. Figuriamoci la difficoltà di capire il padiglione turco senza la mia guida di sala! Il fatto potrebbe essere letto come il segno della mia impazienza di fronte a didascalie spesso insufficienti, ma anche della voglia di capire come una cosa sia capita. In fin dei conti non è questo un buon modo di vivere insieme? Giovanni Vio
Albania
GIARDINI Come vivremo insieme? Le risposte della Biennale di Hashim Sarkis sulle inquietudini di questo cruciale e doloroso momento di transizione sono improntate all’ottimismo di chi crede nel progetto come governo del destino, all’architetto come autore di una società equa e orizzontale dove aria e acqua si riprendono lo spazio a loro sottratto. Un passaggio verso esempi di praticabili convivenze sono le pratiche urbane e le minute forme di architettura tattica che ci danno la speranza che nel prossimo futuro avremo imparato un po’ di più a vivere meglio assieme. Attraversando i Giardini alcune risposte in questo senso sono emerse con maggiore efficacia dai padiglioni nazionali. Seguiamo le tracce.
CONTIGUITÀ E CONDIVISIONE
In Our Home, concept del padiglione dell’Albania: tre appartamenti contigui, oltre a condividere i muri, condividono segretamente uno spazio che può venire alla luce solo se i vicini sono disposti a scoprirlo.
ECOLOGIA ARCHITETTONICA
È invece il capriccio tridimensionale di Composite Presence del padiglione del Belgio, costituito da bellissimi modelli in legno che compongono un paesaggio urbano artefatto, a rivelare che sono le stratificazioni storiche, le peculiarità morfologiche e le collisioni impreviste a costituire una fonte di energia inesauribile per la produzione architettonica contemporanea. Tutto ciò esprime una fiducia nella fruttuosa convivenza di vivaci differenze che, usando la memoria attraverso la capacità progettuale e la diversità di approcci in una selezione di 50 progetti di studi professionali belgi, riesce a rappresentare e a restituire una sana ecologia architettonica.
LA RICCHEZZA DELL’ESSERE CONNESSI
Con-nect-ed-ness invita alla necessità di inventare nuovi modi di abitare la terra. L’allestimento è uno spazio condiviso: l’acqua viene accolta, percepita con i sensi e quindi lasciata fuoriuscire dal padiglione della Danimarca. Attraverso corpi viventi, evaporazioni, fotosintesi e percolazioni le persone e l’acqua si impegnano in un reciproco processo in
Belgio
divenire nel quale la natura è energia, ritmo ed equilibrio. Una nuova visione del mondo che vede ricchezza nelle variazioni, nella biodiversità e nell’essere connessi.
TRA SPAZIO PUBBLICO E PRIVATO
In The Garden of Privatised Delights del Padiglione britannico si mette in discussione la polarizzazione di pubblico e privato che porta a una divisione all’interno della società. Viene auspicato un futuro di città inclusive e accessibili inventando nuovi paradigmi di uso, accesso, proprietà degli spazi pubblici.
Danimarca
LE NOSTRE RELAZIONI RECIPROCHE
Una casa di legno in Giappone, in attesa di demolizione, è stata smantellata e i suoi elementi processati con nuove funzioni per l’allestimento di un’installazione che combina materiali vecchi e nuovi in forme composite. In Co-ownership of Action: Trajectories of Elements del Padiglione giapponese le azioni umane sono radicate nel passato e legate al futuro e le traiettorie degli elementi della casa testimoniano della qualità delle nostre azioni e relazioni reciproche.
Gran Bretagna
Giappone
IL COHOUSING POTENZIALE
La mostra What We Share del padiglione Paesi Nordici (Norvegia, Svezia, Finlandia) è una sezione naturale di un potenziale progetto di cohousing. Si basa su un modello di abitazione commerciale, ma fa affidamento su un processo di collaborazione e su uno stretto dialogo tra architetti, costruttori e residenti al fine di realizzare un sistema costruttivo in legno massiccio sostenibile, flessibile e open-source.
Paesi Nordici
UNA SUBLIME E PROFONDA POTENZA ESTETICA
E per finire le case statunitense con strutture di legno, che azzerano le distinzioni di tipologie e di classe, emblemi dell’ideologia americana. Il padiglione degli Stati Uniti propone l’idea che un futuro profondo e potente della progettazione possa sorgere da un anonimo passato: una sublime e profonda potenza estetica del metodo costruttivo sottostante la maggior parte degli edifici di quel PaeseContinente.
Stati Uniti
Queste sono solo alcune delle risposte di una Biennale autentica, credibile, originale nella visione di rappresentare una professione in grado di saper ridimensionare la ricerca della Grande Forma a vantaggio di altre poetiche, riportandoci a immaginare una società più equa e orizzontale dove vivere meglio, assieme.
Paolo Lucchetta
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architettura
17. MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA EVENTI COLLATERALI
Dentro una cupola Intervista a Thomas Coldefy Tropicalia sarà la serra a cupola singola trasparente più grande del mondo per preservare lo straordinario e fragile ecosistema tropicale. Verrà inaugurata nel 2023 sulla Côte d’Opale (Francia) e offrirà un’esperienza immersiva in una foresta tropicale lussureggiante abitata da uccelli, farfalle, pesci e rettili. Evento collaterale della 17. Biennale Architettura, curato da Alessandro Possati, direttore di Zuecca Projects, e ospitato negli spazi dello Squero di Castello, Tropicalia descrive attraverso modelli architettonici, disegni, schizzi e video le unicità architettoniche, ingegneristiche, ambientali e sostenibili di questo progetto già vincitore dei Jury and Public Choice Awards del premio Architizer A + Awards 2018. Abbiamo incontrato il progettista Thomas Coldefy che ci ha guidati dentro il suo ‘mondo’. Com’ è nato il progetto? Al fine di condividere la sua passione per gli habitat tropicali, nel 2011 il medico veterinario Cédric Guérin ebbe l’idea di costruire una serra tropicale sotto un’enorme cupola. Lo scopo del progetto era incoraggiare persone di ogni età a rispettare e proteggere la natura, di meravigliarsi innanzi ad essa e di imparare qualcosa nel farlo. Due anni dopo fui coinvolto nel progetto che nel giro di poche settimane cominciò a delinearsi più chiaramente. Nel 2014 incontrammo i dirigenti del Comitato Francese Regionale per il Turismo perché approvassero il progetto e nel 2016 visitammo Eden Project (giardino botanico in Cornovaglia che ospita una delle più grandi biosfere al mondo, n.d.r.) per capire come riscaldare la serra in modo sostenibile, escludendo l’utilizzo di combustibili fossili. Mentre eravamo in Cornovaglia abbiamo notato che anche quando il tempo era nuvoloso le serre rimanevano aperte per sfiatare aria calda. È lì che ci è venuto in mente di usare una doppia cupola a recupero di calore. Quali le caratteristiche esclusive di questa complessa e avveniristica struttura? La cupola è stata progettata in linea con la visione ecologica e la sensibilità di Tropicalia nel suo impegno divulgativo sulla natura e sul mondo in cui viviamo. Nella scelta del luogo abbiamo dovuto considerare le cavità nel terreno e la composizione della terra, che doveva essere perfetta per la crescita di piante tropicali. La serra si adatta al gradiente del terreno e i 60.000 metri cubi di terra rimossa saranno riutilizzati in loco. Non essendoci necessità di fertilizzanti particolari avevamo tutto a portata di mano, che è già in sé una cosa positiva per l’ambiente. Uno dei problemi principali per garantire che la serra abbia buone prestazioni è che il sistema di riscaldamento funzioni correttamente. La serra è molto grande e il riscaldamento deve essere sostenibile e basato su fonti rinnovabili in modo che sia tutto ecocompatibile. Abbiamo considerato molte soluzioni, incluso il geotermico, il fotovoltaico e il metano da biogas per la produzione di energia elettrica. Il fatto che la serra fosse parzialmente interrata offriva una soluzione, ancorché parziale: poteva immagazzinare il calore in eccesso. La temperatura esterna varia col clima, il che significa che il calore in eccesso può essere immagazzinato nel terreno sotto la serra e usato quando serve. Inoltre, l’emissione di calore dal terreno assicura che anche le parti inferiori della serra si mantengano alla corretta temperatura. Un fattore 54
questo molto importante per il ciclo vitale delle farfalle. La cupola in sé offre la soluzione al problema. È leggera ed esteticamente gradevole oltre ad essere isolante. Il suo doppio strato supportato da una struttura metallica crea un’intercapedine termica che regola la temperatura interna. Il guscio esterno è composto di cuscini di ETFE (Etilene tetrafluoroetilene) ad aria compressa affiancati. Questa membrana sintetica permette il passaggio di tutto lo spettro di luce, è ignifuga e non è un derivato del petrolio. È tenuta in posizione da una leggera griglia di alluminio. Uno strato interno a membrana, composto anch’esso di ETFE, sigilla la camera ad aria alla base delle travi e le grate ne permettono la manutenzione. L’aria è tenuta in pressione da una rete di tubi a circuito chiuso fatta di acciaio zincato e ETFE. La struttura della cupola è composta da travi primarie tridimensionali disposte trasversalmente e da travetti secondari che collegano le primarie tra loro. Il vantaggio di usare questo tipo di travi è che si stabilizzano da sé durante l’assemblaggio. Conservare la natura in uno spazio circoscritto e artificiale potrebbe farci pensare ad una sorta di memorabilia della stessa, un museo naturale o un parco scientifico. Quale il senso di una operazione così straordinaria? L’obiettivo di Tropicalia è rafforzare la consapevolezza della nostra connessione con la natura e allo stesso tempo di godere dell’armonia di un ambiente tropicale in cui essere immersi. Vuole anche facilitare la comprensione della fragilità di questo ecosistema e incoraggiare cambiamenti positivi a livello sociale, ambientale ed economico. L’intento è anche di mandare un messaggio educativo, di rispetto verso questo ambiente tropicale e sostenibile, assumendo al tempo stesso un ruolo nella promozione della conservazione della natura, della biodiversità e della sostenibilità dell’azione umana a tutti i livelli. Con Tropicalia immaginiamo un mondo in cui il progresso tecnologico e umano avviene in armonia con l’ambiente e in equilibrio con lo sviluppo e la sostenibilità dell’ecosistema.
Inside the dome
ENG
Interview with Thomas Coldefy The largest one-piece domed greenhouse in the world, Tropicalia has been designed to preserve the unique, fragile tropical ecosystem. It will be launched in 2023 in Côte d’Opale, France, and will offer an immersive experience in a lush tropical forest that is home to birds, butterflies, fish, and reptiles. A collateral event of the 17. Architecture Biennale curated by Alessandro Possati, director of Zuecca Projects, shows models, drawings, sketches, and videos that describe the uniqueness of this project in terms of architecture, engineering, environmental, and sustainability. We met Thomas Coldefy, the designer of the dome, who guided us into his “world”.
Come far convivere l’esigenza di un ritrovato bisogno di Natura con l’urbanistica delle città presenti? E quali i segnali per il futuro? Le città crescono e cambiano in fretta. La qualità dell’aria è influenzata sempre di più dal cambiamento climatico. L’equilibrio tra hardscape e softscape è ormai difficile da gestire; i dati disponibili sono fonte di preoccupazione, e tutto questo in un momento in cui la consapevolezza dei danni causati da un’urbanizzazione repentina è dimostrata anche dalla scelta del tema della Biennale di quest’anno: come vivremo insieme? Non può esserci una risposta sola ma molte diverse risposte, e in questo contesto dovremo trovare la capacità di cambiare. Una cosa è sicura: ciascuno di noi aspira ad un maggiore equilibrio. È una questione di salute e di coesistenza. L’architettura e l’ingegneria di Tropicalia possono essere intesi come un caso di studio. L’idea è lavorare meglio insieme e capire come un edificio può dare soluzioni per la riduzione dell’impatto ecologico, consumando meno e usando quanto è già disponibile in natura: sole, aria, acqua. Ma il punto non è solo la tecnologia, il punto è la conoscenza globale, la cultura, l’educazione. Alcuni edifici, come anche questo, sono strumenti per comprendere meglio il rapporto tra il naturale e l’artificiale. La costruzione delle infrastrutture necessarie può essere facilmente adattata alle sfide ambientali in futuro in cui ogni edificio dovrà essere sia funzionale che produttivo. È in corso anche un grande cambiamento nell’utilizzo di materiali riciclati: quello che vediamo ora è solo l’inizio. Tutto dipende dal modo in cui riusciremo a cambiare le nostre abitudini adottando nuovi modelli finanziari per le costruzioni. Alla fine, affrontare il problema se edificare a nuovo o adattare l’esistente per dargli nuova vita sarà una prassi normale. Penso che nel prossimo decennio vedremo una forte evoluzione verso un’urbanizzazione molto più equilibrata. Marisa Santin Tropicalia – Architecture, Materials, Innovative Systems Squero Castello, Castello 369 (salizada Streta) coldefy.fr
How did the project come to be? In 2011, Veterinarian Cédric Guérin thought of an original concept to share his passion for tropical wildlife, hoping to reach a wider audience. His idea took the form of a giant tropical greenhouse built under a single dome. The aim of the project was to inspire children and adults to respect and protect nature, to learn while being amazed. Two years later I was involved in the project which within a few weeks began to take shape more clearly. In 2014, many meetings took place with elected officials and the French Regional Committee for Tourism (CRT) to get general approval of the concept. In 2016, visiting the Eden Project (a botanical garden in Cornwall which houses one of the largest biospheres in the world, ed.) was instrumental in the installation of a sustainable heating system in the greenhouse. From the beginning of our project, using fossil fuels (gas, fuel) to heat the greenhouse was not an option. During our tour to Cornwall, we noticed that even when the weather was cloudy the English structure opened part of its dome to release warm air caused by greenhouse gases. We therefore thought of an ingenious solution: combining the double dome with a heat recovery system. How is this complex different from others? What about its futuristic structure? The project is designed in direct relation to Tropicalia’s ecological vision and sensibility in its commitment to educate the general public about nature and the world that it inhabits. The choice of the location had to take into account the presence of cavities in the ground and analyses of the soil revealed that it was perfectly adapted for the cultivation of tropical plants. Since the project adapts to its slightly sloping terrain, all of the 60 000m3 of excavated soil will be re-used as refill. With no specifically enriched soil needed to be brought in, all the needs of the greenhouse were met on site, which is in itself already an environmental asset. One of the main issues for the performance of the greenhouse was the heating system due to the large open space area. It needed to be sustainable and based on renewable energies to ensure the operation of an eco-friendly building. Several solutions were considered, including geothermal heating, photovoltaic energy and methanization for biogas and production of electrical energy. The partial burial of the greenhouse offered a partial solution,
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architettura
17. MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA EVENTI COLLATERALI creating storage space for excess heat. With fluctuating outdoor temperatures, any excess heat in the space can be stored directly under the greenhouse and then used when needed. In addition, the release of heat from the ground ensures the right temperature even in the lowest areas of the greenhouse, being a very important criteria for the conservation of butterflies. The dome itself was the key to solving the problem. While having the advantage of being lightweight and aesthetically pleasing, it is also thermally insulating. The double skin dome supported by a metallic structure creates a thermal chamber to regulate the internal temperature of the greenhouse. The outer layer is composed of ETFE pressurized air cushions, arranged in a shed like design. This synthetic membrane allows the full spectrum of light to pass through and has the advantage of being inflammable, and also not deriving from the petrochemical industry. It is being held in place by a lightweight aluminium grid frame. An internal closing layer of a simple ETFE membrane, stretched between the lower parts of the trusses seals the thermal chamber, while a network of gratings allows maintenance. The airbag inflation system consists of a network of air hoses (air ducts, inlet and outlet ducts) and inflation units (main and secondary blowers, air dryer). The inflation system is a closed circuit system, composed of galvanized metal or aluminum primary ducts, as well as flexible ETFE cushion supply ducts. The dome structure is composed of three-dimensional primary trusses in the transverse direction and secondary 2D bearing trusses between the primary axes. These types of trusses have the advantage of being self-stabilising during the pre-assembly and construction of the dome. Preserving Nature in a limited and artificial space could make us think of the preservation of memorabilia, a natural museum, or a science park. What is the meaning behind such an extraordinary operation? The purpose of Tropicalia is to inspire visitors and reenforce their awareness and connection to nature while enjoying the harmony of a unique immersive tropical environment. It is also to facilitate an understanding of ecosystem’s fragility will contribute to behavioural change with positive impact at a social, environmental and economic level. The mission of Tropicalia is to convey an educational message that raises awareness about respect for nature in a unique and sustainable tropical environment, and to play a leading role in promoting the preservation of the world’s nature and biodiversity as well as sustainable practices locally, regionally, nationally, and internationally. The vision of Tropicalia is to create a world where technological progress and human advancement is in harmony with the environment and redresses the balance between development and sustainable ecosystem. How can this newly found need for Nature coexist with the urban planning of contemporary cities? And what does the future look like? Cities are fast growing and changing, the quality of air is increasingly impacted as we experience the effects of climate change. The balance between hardscape and softscape becomes difficult to manage. Facts and figures are becoming a new source of anxiety, as data continually enters our lives unwillingly. Indeed, this
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Photo Andrea Ferro
© Octav Tirziu Atelier
comes at a turning point of awareness on the damages that recent fast urbanization have made, which is the specific topic of this year Architecture Biennale How will we live together. There cannot be one answer, but so many which in that sense should awaken our capacity for change. One thing for sure is that everyone is aspiring urgently for a better balance, it is a question of health and coexistence. Tropicalia’s architecture and engineering can be seen as a case study. The idea is to work better together and understand how a building can strongly address the reduction of its carbon footprint by consuming less and using what is already there for instance sun, air, water and nature. But it is not only about technologies, it is about global knowledge, culture and education. Some buildings like this one can be used as a media to better understand the link between the artificial and the natural; building infrastructure can be easily adapted to environmental challenges. In the future every building should be both functional and productive. There is also a huge change in the use of recycled materials and it is only the beginning. It is a matter of changing the habits and adapt the financial model of construction; finally the question of building new or re-adapting an existing building to give it a new life will become the new normal. In the next decade I think we will see a strong evolution in that matter which will bring a much more integrated urbanization of our cities within its original thinking and condition.
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Gli italiani si voltano, Milano, 1954 © Archivio Mario De Biasi / courtesy Admira, Milano
MARIO DE BIASI FOTOGRAFIE 1947-2003 VENEZIA / TRE OCI 13.05.21 > 09.01.22 Mostra organizzata da / Exhibition organized by
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Con / With
Promossa da / Promoted by
Media partner
Sponsor Tecnico / Technical Sponsor
In collaborazione con / In association with TRE OCI CLUB
architettura
LA QUIETE DELL’ARCHITETTURA
17. MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA NOT ONLY BIENNALE
Coesioni geometriche
Si chiama Striatus la nuova installazione che sta prendendo forma ai Giardini della Marinaressa nell’ambito di Time Space Existence, la collettiva sostenuta da European Cultural Centre che corre parallela alla Biennale Architettura e che quest’anno presenta più di 200 architetti, artisti, accademici e creativi provenienti da oltre 51 Paesi, invitati a indagare il nostro rapporto con lo spazio e il tempo. Striatus è il primo esempio di ponte ad arco in cemento stampato in 3D, una costruzione unica basata sull’elaborazione di nuove modalità di utilizzo di un materiale solitamente associato quasi per antonomasia ad attività edilizie ad alto impatto ambientale. Senza ricorrere all’utilizzo di leganti, la resistenza del ponte è ottenuta dall’assemblaggio a secco dei suoi componenti in calcestruzzo. Tutti gli elementi, realizzati con una stampante 3D, combaciano perfettamente fra loro in un ordine geometrico che conferisce alla struttura una forza data unicamente dalla compressione (Strength Through Geometry). Il posizionamento dei diversi elementi è inoltre pensato per far sì che venga impiegata solo la minima quantità utile di materiale (Circular by Design). Il progetto – realizzato da ETH ZurichBlock Research Group (BRG) e Zaha Hadid Architects-Computation and Design Group (ZHCODE) in collaborazione con incremental3D e Holcim – ha l’ambizioso obiettivo di formulare un nuovo linguaggio per la definizione delle costruzioni in cemento in un’ottica di sostenibilità e di sensibilità ecologica, tema che in modo sempre più pregnante interessa l’architettura, intesa come una delle attività umane i cui esiti maggiormente influiscono in modo permanente sull’ambiente e sulla qualità del nostro abitare. Marisa Santin
Geometric adherence
ENG
At Giardini della Marinaressa, a new installation is being put into place at the time of writing. It is called Striatus and it is part of the Time Space Existence cycle, a collective exhibition sponsored by European Cultural Centre on occasion of the Architecture Biennale. Over 200 architects, artists, scholars, and creatives from 51 countries will participate to investigate our relationship with space and time. Striatus is the first concrete arch bridge created with 3D printing technology. It is a unique piece of architecture and the result of an overhaul on the way we use concrete, whose usage ordinarily comes with high environmental impact. No bonding agent was needed to strengthen the bridge – its solidity comes from dry assembling its concrete blocks. All 3D-printed elements match perfectly one another in a geometrical order under the principle of strength through geometry. The project is a creation of ETH ZurichBlock Research Group (BRG) e Zaha Hadid Architects–Computation and Design Group (ZHCODE) in cooperation with incremental3D and Holcim. The project has the ambitious goal of formulating a new language for the definition of concrete constructions with a view to sustainability and ecological sensitivity, a theme that increasingly affects architecture, understood as one of the human activities whose outcomes most permanently affect the environment and the quality of our living.
La stagione della Biennale Architettura offre una Venezia ricca di stimoli visivi, idee e progetti che avvolgono i confini della disciplina di un’aurea laboratoriale, in cui gli architetti si interrogano sul loro futuro e ricercano un nuovo canone identitario, mentre il visitatore attento ma non specializzato gode ampiamente di questa energia creativa. Tuttavia questo senso di incertezza, già dei nostri tempi e in parte dei ‘meditabondi’ architetti, viene appagato totalmente davanti alle visioni ‘romantiche’ tratte dal dialogo tra l’opera incisoria di Giambattista Piranesi e la fotografia contemporanea di Gabriele Basilico. Sarà perché la Città eterna è veramente tale, ma l’antico e il contemporaneo si fondono in una perfetta simbiosi visiva che si rende manifesta nella mostra in corso a Palazzo Cini, che rispetto alla stessa del 2020 offre un cambio quasi radicale di stampe di Piranesi del Fondo Cini e di rispettive fotografie di Basilico. Immagini nitide di una architettura sicura anche se in rovina, che si trasforma flirtando con il passare del tempo. Basilico, ispirato dalle celebri pagine che la scrittrice Marguerite Yourcenar dedicò a Giambattista Piranesi agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, ha ripercorso con la macchina fotografica tutti i luoghi delle vedute piranesiane restituendone la straordinaria modernità. La mostra è un vero piccolo gioiello, un’oasi di pace e di armonia per gli occhi e la mente.
Striatus in TIME SPACE EXISTENCE ECC – Giardini della Marinaressa, Castello striatusbridge.com
Piranesi Roma Basilico Fino 31 ottobre Palazzo Cini, Campo San Vio, Dorsoduro 864 www.palazzocini.it
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Intervista Giandomenico Romanelli e Pascaline Vatin
PUNTI DI VISTA Un’esperienza immersiva ante litteram tra gondole, battelli a vapore con i loro pennacchi di fumo, omnibus d’acqua, divise militari, veneziani a passeggio e il grande suggestivo verde dei Giardini di Mariachiara Marzari
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arte
n un periodo in cui Venezia appare in bilico tra
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oblio e rinascita, Giandomenico Romanelli e Pascaline Vatin ci offrono un magnifico viaggio al centro esatto della città. Venezia panoramica. La scoperta dell’orizzonte infinito, costruita ad hoc per gli spazi della Fondazione Querini Stampalia, è infatti una mostra perfetta per contenuto e forma, capace di raccontare un tema originale, sorprendentemente non così trattato, in modo lineare ma mai piatto, ricco di sfumature, particolari, curiosità, a volte sorprendenti, come l’evidenza che le immagini in movimento e la realtà immersiva erano cose già d’altri tempi. Fulcro della mostra è un’incredibile tempera su tela di 22 metri di lunghezza per un metro e settanta di altezza, una veduta di Venezia realizzata da Giovanni Biasin nel 1887. Avete costruito un viaggio da fermi partendo da una veduta. Come è nata l’idea di questa mostra? È nata circa dieci anni fa, quando il Panorama di Giovanni Biasin, conservato nelle collezioni dell’antica e prestigiosa Accademia dei Concordi di Rovigo, fu esposto a Torino, nelle Scuderie della Reggia di Venaria, nella mostra La Bella Italia organizzata nel 2011 in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Allora abbiamo “ri-scoperto” quest’opera e c’è venuto, per così dire, ‘appetito’. Sapendo che l’opera concepita per Venezia non era mai ritornata in città, abbiamo iniziato a pensare all’idea di sviluppare il tema attraverso la costruzione di una mostra, mettendo progressivamente a fuoco il progetto. Anche l’individuazione del luogo più adatto dove poter esporre un manufatto
così particolare e dalle dimensioni così importanti è stato oggetto di ricerca. La disponibilità entusiastica della Fondazione Querini Stampalia nell’ospitare e supportare questo progetto espositivo ha permesso che in breve il tutto prendesse forma e sostanza, arrivando finalmente oggi, dopo qualche rinvio dovuto ai tempi che stiamo vivendo, alla sua apertura al pubblico. Pubblico che sta mostrando molto interesse, con una presenza settimana dopo settimana sempre più numerosa, e connotato da una forte componente di veneziani. Nel nostro costruire percorsi d’arte abbiamo sempre guardato alla città, ai suoi problemi e alle sue mille sfumature. Questa mostra restituisce un episodio artistico specifico, il Panorama Biasin e la sua unica esposizione a Venezia nel 1887, attorno al quale viene ricostruita una lunga storia, che parte dal 1400, e descritto un genere, che si è poi sviluppato nei secoli. L’opera di Biasin da scintilla iniziale diventa così il gran finale del percorso espositivo. La volontà di costruire un contesto, un passaggio introduttivo in mostra, ci ha spinto a procedere, come in un gioco, alla ricerca a tappeto di altri panorami, nel corso della quale siamo passati da un collezionista all’altro scoprendo, per esempio, il nodale passaggio dell’Ottocento, in cui il genere cambia punto di vista e modifica le rappresentazioni. La fortuna, anche alla luce del periodo fortemente condizionato dalle restrizioni anti-Covid, è di esserci imbattuti in due collezionisti, uno di Mestre e uno di Padova, non solo Venezia panoramica. La scoperta dell’orizzonte infinito Fino 12 settembre Fondazione Querini Stampalia, Castello 5252 www.querinistampalia.org
estremamente disponibili e generosi, ma con collezioni altissime per qualità e quantità di opere, con degli esemplari unici e inediti, che si sono rivelati poi fondamentali per la mostra. Per quanto riguarda invece segnatamente Biasin, le nostre ricerche si sono concentrate a Rovigo per indagare sul suo lavoro, di cui non rimane praticamente nessuna testimonianza, solo un libro a lui dedicato di Antonello Nave, Giovanni Biasin (1835-1912). Un artista veneziano a Rovigo fra eclettismo e liberty, in cui però il Panorama non è trattato. Ci siamo trovati di villa in villa a ‘inseguire’ la sua figura, proprio come in un’indagine alla Sherlock Holmes. Nella soffitta di una villa ci siamo fortuitamente imbattuti in alcuni papier peints di Biasin e figlio. Altro momento molto importante su cui le nostre ricerche si sono soffermate con attenzione, venendo poi ben restituite nel catalogo, è la sesta Esposizione Nazionale Artistica che si tiene a Venezia nel 1887, iniziativa della giovane Italia unita. Per la manifestazione, della durata di sei mesi, ‘madre’ della futura Biennale, che nasce di lì a poco nel 1895, il Comune mette a disposizione l’area dei Giardini Pubblici a condizione che il verde non venga toccato, impegnandosi contestualmente a costruire una grandiosa struttura temporanea per accogliere le centinaia di opere inviate da artisti e industrie artistiche da tutto il Paese. Ed è esattamente per questa occasione che Biasin realizza il grandioso Panorama di Venezia. Anche in questo caso le fonti che avevamo a disposizione erano ridotte a poche tracce mal conservate, vedi i progetti originali del padiglione dell’esposizione. Molto utile è stato ritrovare le fotografie di Giovanni Battista Brusa, che realizzò i servizi fotografici durante l’Esposizione Nazionale Artistica, documentando la fase di costruzione del padiglione stesso e tutte le opere che nel loro insieme componevano il percorso espositivo, anche se curiosamente del Panorama di Biasin non si trova alcuna traccia. Anche in questo caso abbiamo potuto elaborare e documentare materiale del tutto inedito. Tra le scoperte, certamente la più curiosa è stato il ritrovamento delle melodie che accompagnavano un’attrazione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1900, Mariorama.
Attraverso due rulli posti uno a poppa e uno a prua di un finto ponte di una nave lungo 200 metri, veniva offerto un viaggo “virtuale”, ovverosia una crociera della durata di un’ora e mezza nel Mediterraneo. Con tanto di rollio, il pubblico salpava dalla Costa Azzurra per poi giungere a Tunisi, a Napoli con il Vesuvio in subbuglio, a Venezia sotto un tremendo temporale, sbarcando infine a Costantinopoli. Ad ogni tappa un’orchestrina intonava delle musiche composte appositamente per ciascuna delle diverse mete. In un momento di totale chiusura quale è stato questo anno pandemico, insomma, noi ci siamo regalati un vero ed entusiasmante viaggio da fermi. Entriamo ora fisicamente in mostra. Quando nasce il genere della veduta panoramica e come si sviluppa nei secoli? È necessario specificare subito che la mostra indaga non la cartografia a volo d’uccello, quella alla De Barberi per intenderci, bensì il “panorama” – definizione che nasce tra fine Settecento e primi dell’Ottocento –, ossia una veduta presa a terra che restituisce una visione allungata e frontale molto ampia, che tende a superare i 180 gradi, offrendo quello che oggi definiremmo lo skyline della città. Queste vedute vengono riprese dall’unico punto possibile da cui poter ottenere un simile risultato: il bacino di San Marco, nello specifico l’Isola di San Giorgio. Il percorso parte dalla primissima raffigurazione di Venezia del 1486, la celeberrima xilografia di Erhard Reuwich, che precede di 14 anni la pianta del De Barberi. La prima veduta panoramica diventa di fatto un modello, un punto di riferimento per tutti coloro i quali da lì in poi si cimenteranno su questo genere di rappresentazione. La veduta di Venezia apre il libro Peregrinationes in Terram Sanctam di Bernard von Breydenbach, canonico tedesco, che qui descrive il suo pellegrinaggio da Magonza a Gerusalemme. Alla partenza da Venezia imbarca sulla nave un pittore a cui commissiona tutte le vedute dei porti e delle città attraversati da questo lungo viaggio, conclusosi per l’appunto a Gerusalemme, la cui veduta chiude il libro. Rarissimo il volto di Venezia tracciato dallo
stampatore Giovanni Merlo, di cui non si conosce l’autore, nella metà del Seicento: la veduta straordinaria per qualità e concezione va dalla punta di Santa Marta alla estrema punta di Castello. Di questa veduta si conosceva solo la versione conservata agli Uffizi, mentre quella in mostra, inedita, proviene da una collezione di Mestre. Il passaggio al Settecento porta inevitabilmente l’introduzione di elementi nuovi, primi fra tutti l’influenza evidentissima del vedutismo e della cartografia nordica, soprattutto olandese. Venezia, qui restituita attraverso un curioso volto nordico, assume le sembianze di una città anseatica, tutta spinta verso la verticalità di campanili e palazzi. La cosa incredibile è stato scoprire che queste vedute erano già allora dei primi strumenti a “finalità turistica”, come testimoniano le indicazioni che arricchiscono questa stessa veduta. Con l’Ottocento si entra nel secolo dei panorami in senso proprio. Il termine “panorama”, dal greco «pan = tutto» e «horama = visione», viene coniato nel 1792 dal pittore scozzese Robert Barker (1739–1806). Dalle colline di Edimburgo Barker si accorge che la visione sulla città si dilata, assumendo una sua nuova dimensione ad orizzonte allargato. Decide di farne una vera e propria attrazione popolare che chiama “panorama” e che consiste in un dipinto senza confini, montato su un grande cilindro circolare che riesce a riprodurre il punto di vista del pittore a 360 gradi. Il risultato è un’immagine che non può essere vista in un colpo solo, richiedendo un’osservazione scorrendo attorno al dipinto. Il “panorama” diventa di fatto una giostra, dove la gente entra attraverso una scala a chiocciola e si trova al centro della sala, avendo la sensazione di ‘affacciarsi’ su di un nuovo mondo, una nuova prospettiva, lontana. Un teatro tondo sulle cui pareti cilindriche Barker aveva dipinto un’immensa tela raffigurante Edimburgo. Il successo avuto con questa attrazione lo spinge ad andare a Londra a creare altri “panorami” con soggetti diversi: dai tetti di città leggendarie del mondo ai paesaggi alpini fino alle battaglie più famose commissionate da Napoleone, il quale col suo rapace intuito da subito capì le potenzialità di questo strumento di propaganda al 61
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fine di presentare al pubblico i suoi successi. Barker avrebbe dovuto fare 16 tamburi per Napoleone, ma riuscì a completarne solo 10. Vanno sottolineate le dimensioni di questi dipinti, che misuravano 30 metri di diametro e potevano arrivare fino a 200 metri di lunghezza e a 20 metri di altezza. Ebbero un successo enorme, con centinaia di migliaia di visitatori e una diffusione in tutte le grandi città d’Europa. A Venezia, prima di Biasin, non vi sono testimonianze di panorami di tali dimensioni. Le vedute sono più piccole anche se progressivamente si allargano fino a coprire gli interi 360 gradi, come la Veduta circolare di Venezia disegnata nel luglio 1826 da Hauptmann Christian von Martens. Si tratta di lavori in cui vengono inseriti elementi di invenzione, in particolare serie di capricci alla Canaletto, in bilico tra testimonianza visiva moderna e apprezzamento romantico dell’inimitabile volto veneziano. Un filone assolutamente veneziano è quello dei “panorami immaginari”, dove alla città reale vengono aggiunti lampi di modernismo o nuove ipotesi di progetti urbani, come la Veduta panoramica di Venezia con la grande strada a rotaie di ferro che dall’isola di S. Giorgio Maggiore mettesse a Milano, disegno e incisione di Giuseppe Bertoja del 1836-38 in cui si ipotizza l’edificazione della stazione ferroviaria a San Giorgio con binari che corrono nella parte retrostante della Giudecca. Accanto a questi, l’Ottocento dei panorami incisi e poi litografati vede autori famosi come Ippolito Caffi, Marco Moro, Giovanni Pividor raggiungere altissima qualità nella resa del dettaglio e al contempo nell’allargamento dell’orizzonte visivo. Giunti a questo punto del percorso in mostra incontriamo anche le “vedute particolari”: si alza il punto di vista, ascendendo campanili o salendo su palloni aerostatici, si fotografa la città dall’alto anche se in modo parziale e poi si restituiscono vedute dalle prospettive insolite, visioni singolari ma incredibilmente affascinanti. Un esempio su tutti la Veduta Panoramica dalla Dogana da Mare di Andrea Tosini e Antonio Lazzari del 1829. Il genere col passare degli anni diventa sempre più turistico. Da una matrice unica,
una veduta non colorata, i diversi commercianti veneziani riproducono le loro varianti personalizzate, colorate, con fondo diurno o notturno, da vendere ai viaggiatori. Inoltre iniziano a diffondersi piccole guide dedicate alla città in inglese o francese che accolgono diverse vedute. La sequenza di panorami si conclude con le tavole a china, poi stampate, di Guido Albanello, che dal campanile di San Giorgio raccoglie nel 2004 la sfida dei provetti panoramisti dell’Ottocento. La mostra termina, dopo il Panorama Biasin, con 45 incredibili secondi di carrellata cinematografica sul Canal Grande: i fratelli Lumière stavano sperimentando l’utilizzo, per la prima volta, della macchina da presa in movimento per la realizzazione di una rivoluzionaria pellicola. La chiameranno, guarda caso, Panorama de Venise. Una mostra incredibile, originale e inedita che raggiunge naturalmente il suo clou con il Panorama di Giovanni Biasin. Perché quest’opera è da considerarsi un unicum? Dopo la Rivoluzione francese e il progressivo evolversi della società, grazie alla sua repentina industrializzazione e modernizzazione, le città cambiano e con esse le case. La borghesia vuole case confortevoli e protettive, ma allo stesso tempo ricerca l’esotismo, la fantasia, i viaggi in terre lontane. I panorami entrano nelle case come decori delle pareti, prima come affresco e immediatamente dopo come papier peints. La borghesia non ha tradizioni famigliari e quindi non ha patrimoni di mobili o dipinti o altro arredo importante. Sono anni di frenetico aggiornamento degli ambienti domestici e di tecniche suggestive nel costruire paesaggi illusionistici e panoramiche. Le sale vengono decorate fino ad una certa altezza, con una balaustra in rilievo alla base dalla quale ci si affaccia su paesaggi, vedute, panorami dipinti. Giovanni Biasin, formatosi all’Accademia veneziana di Belle arti con Maestri quali Giuseppe Borsato e Giovanni Pividor, presto si trasferisce a Rovigo e diventa il decoratore principe di ville, palazzi, ritrovi pubblici, uffici. Realizza affreschi, stucchi, rilievi e assieme al figlio elabora e brevetta un
tipo particolare di papiers peints che usa soprattutto per decorare pareti e soffitti in stile moderno. Fuori Rovigo, Villa Conti conserva intatta la sala da pranzo decorata ad affresco da Biasin con un meraviglioso panorama. Altra testimonianza della sua maestria si ritrova in alcune stanze interamente affrescate di un palazzo veneziano a Cannaregio, ora divenuto hotel. Come già detto prima, nel 1887 Biasin realizza il suo Panorama di Venezia per il Padiglione dell’Esposizione Nazionale Artistica, presumibilmente decorando la sala 4 delle Arti Applicate e utilizzando un lungo rotolo di carta rinforzata con colori a tempera assai vivaci. Il padiglione di 300 metri aveva acceso forti polemiche perché impediva di fatto la passeggiata abituale dei veneziani nei Giardini Pubblici, corrispondenti a quelli attuali della Biennale, impedendo la visuale sul bacino San Marco. Biasin riproduce praticamente, quasi a 360 gradi, la veduta perduta. Il punto di ripresa, a livello dell’acqua, è approssimativamente il centro del bacino di San Marco, anche se l’artista introduce delle varianti e delle forzature prospettiche che gli consentono un più efficace ritratto della città. La veduta inizia dai Giardini di Castello e prosegue all’intorno, per poi tornare chiudendo il cerchio. Biasin anima la sua veduta inserendo piacevolissimi dettagli di monumenti, edifici, giardini, imbarcazioni e personaggi, dando all’insieme un tono leggero e narrativo. Ancora oggi è possibile ritrovare esattamente le sue impressioni: basta montare il panorama su un grande tamburo attorno all’osservatore ed ecco una visione più che suggestiva della Venezia di fine Ottocento. Ed è proprio quello che accade a chi visita la mostra. Un’esperienza immersiva ante litteram tra gondole, battelli a vapore con i loro pennacchi di fumo, omnibus d’acqua (i futuri vaporetti), divise militari, veneziani a passeggio e l’esteso, suggestivo verde dei Giardini Pubblici. La scena è vivacissima e punteggiata di figure e attimi di vita che restituiscono forse l’immagine pittorica più ricca e fedele della Venezia di fine Ottocento. Il Panorama di Biasin conserva racchiuso in sé tutto il fascino di un esperimento inedito, di un genere ibrido e a suo modo indefinibile. 63
arte IN THE CITY
IL PROFILO DEL PAESAGGIO
Nel settembre 2015 Roberto Lombardi, collezionista di arte contemporanea, affida alla Fondazione Querini Stampalia, in comodato d’uso, un nucleo di opere di Luigi Ghirri (1943–1992), sostenendo le attività culturali e scientifiche del Fondo, che è stato digitalizzato, catalogato e reso disponibile degli studiosi. Il Fondo Ghirri conta trentuno fotografie, gran parte delle quali appartenenti alla serie Il profilo delle nuvole e datate tra il 1985 e il 1990: un racconto della memoria nel paesaggio della Pianura Padana tra Veneto, Emilia e Lombardia. La Fondazione Querini Stampalia valorizza il Fondo Ghirri attraverso importanti progetti espositivi che permettono di approfondire l’opera del fotografo attraverso lo sguardo e la pratica di altri artisti: nel 2015 Paesaggi d’aria. Luigi Ghirri e Yona Friedman, nel 2017 Le pietre del cielo. Luigi Ghirri e Paolo Icaro, quest’anno Un’evidenza fantascientifica. Luigi Ghirri, Andrea Zanzotto, Giuseppe Caccavale. Sulla parete nel Portego antico della Biblioteca Caccavale ha creato un Murale di carta, un inedito paesaggio variegato e ultramondano in cui l’artista combina figure, disegni, colori e parole. Al centro della sala, su un grande tavolo-isola sono esposte le fotografie di Luigi Ghirri insieme ad alcuni autografi e ceramiche di Andrea Zanzotto e alcuni disegni di Caccavale. I curatori, Chiara Bertola e Andrea Cortellessa, hanno composto i linguaggi della fotografia, della poesia e della pittura per creare un paesaggio inedito tanto irriconoscibile e trasfigurato da sembrare il paesaggio di un altro mondo, fantascientifico, appunto. Un’evidenza fantascientifica. Luigi Ghirri, Andrea Zanzotto, Giuseppe Caccavale Fino 17 ottobre Fondazione Querini Stampalia www.querinistampalia.org
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Laboratorio di ricerca per nuovi futuri I finalisti del Campiello Giovani danno voce ai capolavori di Peggy Oltre alla passione per l’arte, Peggy Guggenheim ha amato profondamente anche la letteratura. Il suo esordio professionale fu nella libreria newyorkese del cugino, la Sunwise Turn, durante la sua vita poi, oltre agli artisti, sostenne anche diversi scrittori, tra cui Djuna Barnes, che proprio grazie all’aiuto finanziario della collezionista scrisse il capolavoro narrativo del modernismo Nightwood (1936), considerato dalla critica letteraria come uno dei romanzi più influenti del XX secolo. Peggy Guggenheim aiutò economicamente riviste letterarie d’avanguardia, come «The Little Review», che per prima pubblicò in America l’Ulisse di James Joyce, e fu autrice della sua biografia Out of This Century. The Informal Memoirs of Peggy Guggenheim, edita per la prima volta nel 1946. La sua eredità non si definì solo attraverso la straordinaria Collezione ma soprattutto nella sua costante capacità di guardare oltre, di dare attenzione anche voci apparentemente minori o secondarie, per garantire libertà di espressione a un’arte estesa e senza generi. La collaborazione tra Collezione Peggy Guggenheim e il Campiello Giovani, concorso letterario rivolto ai ragazzi tra i 15 e i 22 anni, organizzato dalla Fondazione Il Campiello – Confindustria Veneto, conferma come il Museo persegua le volontà della Fondatrice per la creazione di un «laboratorio di ricerca per nuove idee [...], servendo il futuro invece di registrare il passato». Saranno quindi Salvatore Lamberti, Shannon Magri, Martina Sangalli, Alice Scalas Bianco e Camilla Tibaldo, i cinque finalisti del Campiello Giovani 2021, i protagonisti di questo nuovo progetto che darà voce attraverso i loro racconti brevi (2500 battute) ai capolavori di Marc Chagall, Giorgio de Chirico, Vasily Kandinsky, Salvador Dalí, Jackson Pollock, Albert Gleizes, Germaine Richier, Clyfford Still e Grace Hartigan. Peggy Guggenheim Collection Dorsoduro 701 guggenheim-venice.it
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La versione di Alice Con l’abitudine a scavare nelle vite dei personaggi mitici e rendere le loro esistenze una serie infinta di episodi, prequel e sequel, ci siamo convinti che la versione di Alice 4.0, che come un novello Banksy scriverebbe sui muri «Your comfort zone is killing you», sarebbe felice di vedersi rappresentata come Alice in Doomedland. A Palazzo Bonvicini, sede della Fondation Valmont, curata da Francesca Giubilei e Luca Berta, la mostra è un affresco corale e al contempo intimissimo di tre artisti – Didier Guillon, la coppia Isao e Stephanie Blake e Silvano Rubino – protagonisti di un confronto diretto con altrettante memorabili pagine del libro di Lewis Carroll. Le tre diverse interpretazioni tuttavia non sono autoreferenziali, al contrario si sommano e si intrecciano coinvolgendo anzi avvolgendo il pubblico in un terreno di gioco comune che si trasforma in una riflessione collettiva e metaforica sui sogni di onnipotenza dell’uomo e sulla realtà distopica da essi generata. Wonderland è un ricordo sbiadito e il destino è quanto mai imprevedibile. Non rimane che rifugiarsi nell’arte e farsi guidare dai tre artisti. In The Garden Dreamers, la prima stanza, al tempo stesso accogliente e contemplativa, costruita insieme dai tre artisti, si è invitati a sedersi a piedi nudi. Il Giardino è la porta d’accesso ma anche di uscita, il passaggio da una dimensione all’altra. Con Silvano Rubino e la sua Crossing. Ad occhi chiusi si scivola letteralmente all’interno di una nuova dimensione, intima, nascosta, solo apparentemente sicura. Siamo nella seconda stanza, all’iniziale stupore corrisponde una successiva consapevolezza di vivere in mondi paralleli, dove la realtà non ha più senso e i valori conosciuti sono catapultati altrove e si perdono in un immaginario dove tutto è possibile. Il cambiamento diventa qui un nuovo consapevole passaggio verso un nuovo inizio. Un’Alice gigante, manifestamente troppo grande per la stanza in cui si trova, è la perfetta rappresentazione della sensazione suscitata dalla lettura del libro di Carroll. La coppia di artisti Isao & Stephanie Blake ci conduce con Drink Me nella terza stanza, dove l’aspetto visivo, la teatralità, il fuori scala ci portano direttamente nella storia di Alice. Ci si sente palesemente parte dei simbolici mutamenti di grandezza: la dimensione è qui intesa in senso fisico, produce il ribaltamento della
percezione, ma anche in senso temporale, con un salto diretto tra la fiaba e il nostro quotidiano. La convergenza del nostro percorso in mostra con quello di Alice trova il suo culmine in The Room of Tears, la quarta stanza ideata da Didier Guillon, che porta la fiaba e riporta noi nella realtà contemporanea. L’artista ci pone davanti a dieci vere sfide, personali e universali, invitandoci ad abbracciare la dimensione assurda della storia di Alice e a seguirne il percorso, per contemplare il mondo con occhi nuovi. Dieci gabbie blu, che richiamano le lacrime di Alice, sopraffatta dalle sfide cui deve far fronte, contengono all’interno altrettante scatole che esprimono a pieno la materializzazione delle sfide. Seguendo la prospettiva dell’artista, aprendo o non aprendo le scatole, si trovano le risposte, talvolta inattese, alle grandi questioni del nostro tempo. Il percorso in mostra finisce, ma di fatto continua nell’esperienza vissuta perché «a volte capita che i sogni (o gli incubi) prendano il posto della realtà». È proprio questo che capita ad Alice, qualcosa di molto simile accade anche a chi visita la mostra Alice in Doomedland. Alice in Doomedland Fino 27 febbraio 2022 Fondation Valmont, Palazzo Bonvicini Calle Agnello Santa Croce 2161A - fondationvalmont.com
CURIOUSER AND CURIOUSER La stampa l’ha definita una “blockbuster exhibition” per il soggetto estremamente accattivante Alice in Wonderland, personaggio fiabesco e magnetico, divenuto iconico, adorato dai lettori di tutte le età e soprattutto di tutte le epoche. Lewis Carroll ha creato 157 anni fa uno dei miti che incarna situazioni, sentimenti e azioni incredibilmente attuali, tanto da farne un fenomeno globale amatissimo. La mostra Alice: Curiouser and Curiouser, in corso al V&A di Londra, ha una costruzione narrativa e visiva di forte impatto spettacolare per colori, dimensioni, percorsi e percezioni che avvolgono completamente il visitatore immerso in un’atmosfera alla Tim Burton. Ma l’aspetto estetico assolutamente affascinante non deve sovrastare l’altrettanto importante ricostruzione operata dai curatori, capace di esplorare attraverso 300 oggetti le origini, i riadattamenti e le interpretazioni ispirate dal mito di Alice: dalle illustrazioni del primo racconto del tardo Ottocento ai videogiochi, dalle collezioni di moda e dagli shooting contemporanei ai balletti, dalle rappresentazione artistiche, dal surrealismo di Dalì alla psichedelia, dai cartoni animati, famosissimo quello di Walt Disney del 1951, alle versioni cinematografiche e teatrali con i loro meravigliosi costumi, dalla cucina d’avanguardia fino alla fisica quantistica, dalle scuole alle piazze come manifesto politico. Universi tematici diversi che si snodano e si intrecciano attraverso le diverse sale restituendo un mondo che cambia continuamente a seconda delle scelte e delle parole e che è sempre pronto a catapultare il visitatore in un’altra realtà. L’influenza di questo best-seller per bambini dell’età vittoriana è stata straordinaria e appare incredibile come abbia potuto condizionare in modo sostanziale il senso moderno di imprevedibilità delle nostre vite.
Alice: Curiouser and Curiouser Fino 31 Dicembre Victoria and Albert Museum, Londra www.vam.ac.uk
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arte PAINTING IS BACK
Dal titolo provocatorio, la splendida mostra pensata e allestita alle Gallerie d’Italia di Piazza Scala a Milano da Luca Massimo Barbero, da poco nominato Curatore Associato delle ricche collezioni di arte Moderna e Contemporanea di Intesa Sanpaolo, sprigiona un’energia contagiosa che ci risveglia dall’oramai troppo lungo e languido torpore. Una mostra che è «felicità espressiva, colore ed energia poetica» ed è in qualche modo dedicata alle nuove generazioni che non hanno potuto conoscere gli anni Ottanta ma che vi assicuriamo trascina in maniera vorticosa e coinvolgente anche il visitatore che quegli anni li ha vissuti. Cinquantasette opere, spesso di grande impatto visivo per le dimensioni, tracciano un percorso di quel complicato, contraddittorio ma affascinate e creativo decennio che ha fatto tendenza anche per le generazioni artistiche successive. Dalla Transavanguardia italiana della fine degli anni Settanta, con le opere difficilmente visibili dei suoi cinque protagonisti – Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria, Mimmo Paladino –, strepitosi e poetici paesaggi di Cucchi, che colpiscono per i gialli intensi e materici memori della sua terra natia, alle opere di altri protagonisti della cultura artistica postmoderna, già ben affermati nei circuiti internazionali, come Franco Angeli, Mario Schifano, presente con grandi e coloratissimi paesaggi dall’effetto pirotecnico, Salvo e Aldo Mondino fino alle singolari opere della torinese Carol Rama. Una chicca, una sorta di mostra nella mostra, è la sala conclusiva dedicata Enrico Baj con uno straordinario e moderno “graffito su tela” di 19 metri dipinto a spray, eseguito nel 1983 e intitolato Il mondo delle idee. Franca Lugato Painting is Back. Anni Ottanta, la pittura in Italia Fino 3 ottobre Piazza della Scala 6, Milano www.gallerieditalia.com
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IN THE CITY
I fantasmi della pittura Lo storico dell’arte tedesco Hans Belting nel 1983 dichiara con il suo libro La fine della storia dell’arte o la libertà dell’arte. Qui l’autore pur usando la parola “fine” non vuole essere apocalittico, ma cerca di formulare l’idea di una storia delle immagini svincolata dalla storia dell’arte come storia dello stile. In Stop Painting a Ca’ Corner della Regina, sede veneziana di Fondazione Prada, ritorna la parola “fine”, in questo caso riferita alla “fine della pittura”. Le domande che si pone l’artista-curatore Peter Fischli sono: «Lo spettro che riappare continuamente per narrare la storia della fine della pittura è un problema fantasma? E in caso affermativo, i fantasmi possono essere reali?». Se per Belting una storia dell’arte unitaria non è più possibile poiché sono cambiate le funzioni dell’arte e i suoi medium, Fischli nella mostra Stop Painting individua delle rotture che fanno “finire” e così reinventare in diversi modi la pittura. Quello a cui si assiste è un racconto basato sui cinque momenti di crisi della pittura degli ultimi centocinquant’anni causati sia dai cambiamenti interni della storia dell’arte – come l’avvento del readymade di Marcel Duchamp e quello della fotografia – sia dalle nuove tecnologie e dalla mercificazione dell’arte. Con opere come Mimetico di Alighiero Boetti, dove la stoffa camouflage viene usata come tela, o Plastica di Alberto Burri dove assistiamo a una combustione su telaio di alluminio, o ancora la Gabbia di Michelangelo Pistoletto che fa una serigrafia sull’acciaio inossidabile, capiamo che c’è qualcosa che va oltre la crisi della pittura e che la sua morte sancisce un’altra forma di vita. Con queste diverse opere capiamo che, come per Belting non è possibile una storia dell’arte unitaria, anche per Fischli la pittura non finisce, ma viene integrata e contaminata dalle sue stesse rotture. Luigi Crea Peter Fischli. Stop Painting Fino 21 novembre Fondazione Prada Ca’ Corner della Regina, Santa Croce 2215 www.fondazioneprada.org
© Ugo Mulas Heirs
The ghosts of art
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In 1983, German art historian Hans Belting declares, in his book, The End of the History of Art. Not an apocalyptic, capital-E ‘end’, but the basis for a history of images unhampered by the concept of style. Exhibition Stop Painting, at Fondazione Prada in Venice, a word for ‘end’ shows up, too. Curator and artist Peter Fischli wonders “Is the ghost that continually shows up to tell the story of painting a fantom problem? And if it is, can ghosts be real?” For Belting, a single history of art is not possible, because the role of art has changed as have the media. In Stop Painting, Fischli identifies rupture lines that made painting ‘end’ – and reinvent itself. What we see is a story based on five crisis moments for painting over the last 150 years, caused by either changes that were internal to the world of art – like the readymade revolution by Marcel Duchamp and the advent of photography – or caused by new technologies and the commodification of art. Pieces like Mimetico by Alighiero Boetti, Plastica by Alberto Burri, or Gabbia by Michelangelo Pistoletto show that there is something that goes beyond the crisis of painting and that its death marks the passage to a different form of life. While for Belting, a unitary history of art is not possible, for Fischli, painting does not end either, but is integrated and contaminated by its own rupture.
LINK Photo Irene Fanizza
Nauman in città Punta della Dogana oltre i confini dello spazio espositivo Un legame speciale lega Bruce Nauman a Venezia e in particolare alle sue Università Iuav e Ca’ Foscari: nel 2009, infatti, quest’ultime sono state protagoniste di due mostre correlate a Topological Gardens, progetto dell’artista americano per il Padiglione USA alla 58. Biennale Arte, poi vincitore del Leone d’Oro come migliore Partecipazione nazionale. Nello stesso anno, lo Iuav ha conferito a Nauman la laurea honoris causa in Progettazione e produzione delle Arti visive. Parte da qui il percorso che guida alla scoperta delle tracce del lavoro di Bruce Nauman a Venezia, dal chiostro dei Tolentini a Ca’ Foscari, fino alla mostra ora in corso a Punta della Dogana. I partecipanti seguiranno Daria Carmi, curatrice indipendente, attraverso un itinerario urbano segnato dalla presenza, visibile o invisibile, dell’artista (29 luglio, 26 agosto, 9 settembre, ore 16.30-18.30). Punta della Dogana inaugura così la sua Estate con Bruce Nauman, offrendo una serie di iniziative in and out: itinerari tematici appunto, ma anche Matinée sotto la guida della danzatrice e coreografa Silvia Salvagno (1 e 15 luglio, 2 settembre, ore 9-10/Teatrino di Palazzo Grassi), con lezioni di Pilates che si ispirano alle azioni quotidiane reiterate, elemento fondamentale della pratica di Nauman, e Soirée con la danzatrice Laura Colomban (5 e 19 agosto, 16 settembre, ore 18-20/Punta della Dogana), che attraverso un approccio esperienziale, renderà fluida la relazione e l’interazione tra la sfera fisica, emotiva e intuitiva, esplorando le dinamiche del tentativo e dell’errore. Tutte le attività sono su prenotazione. www.palazzograssi.it
ARCHAEOLOGY NOW L’ex enfant terrible dell’arte contemporanea inglese, Damien Hirst, è riuscito ad occupare gli spazi ‘intoccabili’ della Galleria Borghese di Roma con la sua Archaeology Now. L’incrocio tra classico e contemporaneo raggiunge risultati inediti: Hirst ci ha abituati ad animali in formaldeide, teschi di diamanti, opere che indagavano i vari aspetti della morte, ma qui, nella dimora del Cardinale Scipione Borghese, decide di portare creature fantastiche in marmi preziosi, bronzi, malachite e lapislazzuli. Nella Sala Egizia creata dall’architetto Antonio Asprucci (1723–1808), insieme alle statue delle divinità orientali trovano posto il Busto del Faraone e una serie di tre Teste di Tadukheba di Hirst. Nella Sala dell’Ermafrodito, che prende il nome dall’Ermafrodito Dormiente, copia del II sec d.C. da un originale di Policleto, è inserita la serie di Ermafroditi, e questo fitto dialogo continua in tutte le sale del museo sino ad arrivare alla monumentale scultura di Hydra and Kali, posta nel Giardino Segreto dell’Uccelliera. I curatori della mostra, Anna Coliva e Mario Codognato, creano così un incontro tra due collezioni leggendarie: una che non ha una concretezza storica, in quanto si ispira al racconto di Damien Hirst, e quella di Scipione Borghese che è storicamente e filologicamente precisa. Cosi come Borghese ha fatto incontrare opere diverse a mano a mano che faceva le sue acquisizioni, i due curatori giustappongono le opere della Collezione a quelle dell’artista contemporaneo in modo verosimile. Trovano posto i dipinti Colour Space e oltre 80 opere della serie Treasures from the Wreck of the Unbelievable, realizzati per la mostra omonima dell’artista a Palazzo Grassi e Punta della Dogana nel 2017. Resa possibile grazie al sostegno di Prada, la mostra regala un effetto di spaesamento tra antico e contemporaneo, vero e falso, offrendo un gioco eccitante e divertente che mette alla prova il visitatore libero di farsi burlare da un compiaciuto Hirst. Luigi Crea
Archaeology Now: Damien Hirst Fino 7 novembre Galleria Borghese-Roma galleriaborghese.beniculturali.it
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arte IN THE CITY
Epoca De Biasi Vivere la fotografia in un racconto in presa diretta «La gente si meraviglia perché io faccio tanti temi. È che io ho tanti temi in testa. Trovo interessante con il tempo mettere insieme delle cose, associare dei temi che scopro in tutti i continenti»: così Mario De Biasi (1923–2013), primo fotoreporter assunto a tempo pieno per la rivista «Epoca», ispirata alla statunitense «Life». Trent’anni di lavoro, dal 1953 al 1983, e quasi 130 tra copertine e servizi vissuti in prima persona, con audacia, tenacia e creatività, quel sapersi trovare al momento giusto nel luogo giusto, cogliendo similitudini di costumi e sentimenti pur nella diversità di situazioni e persone. Fotografo intraprendente e accattivante, dalla sensibilità e bravura che va ben oltre “l’italiano pazzo” giramondo, ovvero l’appellativo datogli a seguito del suo servizio sulla ribellione antisovietica di Budapest in Ungheria (1956), dove fotografa senza respiro, incurante del pericolo e ferito alla spalla, le atrocità della morte in guerra e il passaggio oltre la frontiera di famiglie in cerca di libertà. Vivere la fotografia è per lui un imperativo: una curiosità insaziabile lo muove insieme a determinazione di carattere e desiderio di conoscenza del mondo così come dell’animo umano, dentro e fuori dall’ordinario. È previdente, padroneggia i mezzi tecnici a disposizione e studia ambiente e personaggi per fotografarli al meglio, tra spontaneità e ricercatezza dell’immagine. L’Italia che rinasce, nel Dopoguerra a Milano, è simboleggiata dalla ragazza che ride in bicicletta a gambe aperte sull’acqua, o dalle lavandaie inginocchiate nei pressi di San Cristoforo, mentre la fatica di operai di schiena che sistemano i binari della ferrovia svanisce in certi sorrisi di speranza di pendolari che salgono i gradini alla stazione di Porta Romana. Gli italiani si voltano negli anni Cinquanta al passaggio di Moira Orfei vestita di bianco, catturati dal suo ancheggiare di luce più che dal suo divismo, dal suo sorriso caldo e ruggente come quello di un leone del Circo Orfei. Ombre nel sole come arabeschi impressi sulla terrazza del Grand Hotel di Rimini, teatro di un “Balletto” a due, e ancora, inattese geometrie come sentieri di arte visuale sul sagrato di Piazza del Duomo disegnato dalla neve. Coreografie di bambini in piedi sulla cancellata del portico del Duomo di Sassari, squadre di ricamatrici in
silenziosa concentrazione a Burano. New York in un lampo attraverso gli occhioni sgranati di una innocente guardarobiera che ci fissa tra i cappotti, skyline di grattacieli sognati da una solitaria ragazza del Metropolitan. Volti di gelo e gigantografie di potere, A 65° sotto zero in Russia, oppure la festosità della folla e la calma contenuta degli astronauti Armstrong e Aldrin alla NASA. Un mondo di baci rubati, sulle sponde di un lago, su di una panchina in un parco, in riva al mare, all’ombra di cupole e sotto croci andaluse, alla perenne ricerca dell’amore. Le serie Barbieri di strada e Pausa pranzo testimoniano l’entità della ricchezza nella povertà di un patrimonio comune che si ripete, di nazione in nazione, di città in città, da Teheran al Cairo, dalla Costa d’Avorio a Benares, fino in Sicilia. Le foto di viaggio lasciano il segno, tra bianco e nero e colore, si tratti di volti di giovani dell’Ecuador o di rituali indiani lungo il Gange, tramonti del Guatemala e fulmini messicani. Oppure l’inferno dell’Etna in eruzione. Fotografare ed essere fotografati, come “personaggi in maniche di camicia”, con un approccio al naturale, quello di De Biasi: ne Il Cinema a Venezia, indimenticabile l’istantanea di una Sophia Loren che sorride, girata verso di lui, eludendo la massa degli altri fotografi, come Brigitte Bardot fotografata di “gamba”. Linda Christian o Sylva Koscina strizzano l’occhio dietro la macchina da presa, Maria Callas si lascia andare ad una risata liberatoria, Fellini e una Giulietta Masina sbarazzina si concedono un giro in gondola, Romy Schneider si toglie un guanto per fumare una sigaretta ‘proibita’, Elsa Martinelli posa davanti all’Isola di San Giorgio, Heather Sears, attrice teatrale e cinematografica britannica, è in bilico sui tetti come i gatti. La mostra alla Casa dei Tre Oci, in collaborazione con l’Archivio Mario De Biasi, organizzata da Civita Tre Venezie con Admira e promossa dalla Fondazione di Venezia, è a cura di Enrica Viganò, autrice in catalogo insieme ad Angelo Ponta e Denis Curti, che ebbe il privilegio di incontrare il fotografo da studente e che lo ricorda con immutata stima nonostante «gli si leggesse negli occhi il desiderio di essere da un’altra parte». E dove, se non sempre in viaggio, onirico o vero che fosse?
Per De Biasi tuttavia, si può fare buone foto anche intorno a casa, poiché «basta avere l’idea, basta avere occhio e desiderio e volontà». Ecco allora, preannunciata forse dalla sua passione del fare coloratissimi disegni di soli, piante e figure, la serie Madre Natura: particolari ravvicinati di cortecce, girasoli e piante grasse, nervature di foglie, fili di ragnatele bagnate di rugiada, onde di sabbia come rughe. Dal grande al piccolo, ma sempre in grande. Luisa Turchi Mario De Biasi Fotografie 1947-2003 Fino 9 gennaio 2022 Casa dei Tre Oci, Giudecca 43 www.treoci.org
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arte IN THE CITY
LA REPUBBLICA DEGLI ANIMALI Pierre Rosenberg, Presidente-Direttore onorario del Museo del Louvre di Parigi ha raccolto un’importante collezione di animali in vetro di Murano, a testimonianza di un’assidua frequentazione dell’ambiente lagunare. La mostra, in corso a Le Stanze del Vetro, racconta di questa innocente e buffa passione per il bestiario muranese, che rappresenta un percorso nelle produzioni artistiche minori, ma non per questo meno importanti, dei principali maestri vetrai. Il percorso si snoda attraverso vetrine che sembrano delle piccole oasi in cui gli animali, da quelli domestici, come cani e gatti, a quelli più feroci, tutti resi con aria molto rassicurante, come leoni, ippopotami, tigri e serpenti, affollano gli spazi de Le Stanze in un rincorrersi di zoomorfismo allegro e simpatico. Sembra divenire realtà la canzoncina che pressappoco recita: «ci son due coccodrilli e un orangotango...». Le teche sono delle micro aree geografiche in cui le giraffe e le zebre sgambettano felici, tra il tronfio e il divertito, mentre il leone, pacioso, ma pur sempre un re, non si cura di loro e si bea felice di essere ammirato dai visitatori, così come il gufo, anzi i molti gufi, che per una volta non temono la socializzazione diurna, ma quasi la favoriscono. Un’arca dove le regole della Natura volutamente vengono stravolte ed in cui – come nell’assemblea degli animali raccontata da Filelfo – prede e predatori per una volta convivono serenamente. Chissà se anche di notte, quando Le Stanze sono lasciate soltanto agli animali, questa armonia persiste o scatta la vanità tra i contendenti? F.M.
L’Arca di vetro. La collezione di animali di Pierre Rosenberg Le Stanze del Vetro, Isola di San Giorgio Maggiore lestanzedelvetro.org
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La storia infinita La Principessa, il Santo e il Drago, ospiti a Palazzo Cini
Tra le storie di San Giorgio, il cavaliere errante veneratissimo in epoca medievale, l’episodio della lotta contro il drago è sicuramente quello che esemplifica al meglio il senso della sua esistenza. Nativo della Cappadocia, Giorgio giunse nella città libica di Selene assillata da un terribile flagello: l’insaziabile voracità di un drago al quale gli abitanti dovevano offrire quotidianamente una vittima umana estratta a sorte. Il turno toccò anche alla figlia del re che venne abbandonata alla sua sorte nei pressi di un lago vicino alla città. Alla principessa verrà miracolosamente in soccorso Giorgio che riuscì a ferire il drago e farlo prigioniero. L’apice di questa celebre e popolare leggenda medievale è sicuramente il duello tra il cavaliere cristiano e la bestia diabolica, tra la ragione e la bestialità, tra la fede e il male: è il confronto tra due potenze incompatibili e inconciliabili. Paolo Uccello, uno dei maggiori protagonisti della scena artistica fiorentina della metà del XV secolo, ama questo soggetto e lo rappresenta in più versioni. Quello conservato alla National Gallery di Londra è sicuramente il più noto, ma oggi possiamo ammirarne a Venezia presso Palazzo Cini una versione altrettanto preziosa, proveniente dal Musee JacquemartAndré di Parigi. Opera di transizione tra la cultura tardogotica e quella rinascimentale questa tavola presenta ancora dei raffinatissimi elementi fiabeschi
specie nell’allungata e fragile figura della principessa. Nel San Giorgio si respira un forte senso di nostalgia per l’epoca della cavalleria. Ma colpiscono i due animali che si oppongono: il drago verde e il cavallo bianco, il primo ancora raffinato e goticheggiante, mentre il secondo ci ricollega subito ai famosi cavalli uccelleschi delle celebri battaglie del pittore. Antro del drago la grotta metafisica che si staglia centrale su un sereno paesaggio toscano, collinare e coltivato, reso con la prospettiva di cui Paolo Uccello fu magistrale interprete. L’artista fiorentino fu a Venezia negli anni Venti del Quattrocento, partecipando alla decorazione della Basilica, oggi ‘ritorna’ con il San Giorgio e il drago come L’Ospite a Palazzo, appuntamento curato da Luca Massimo Barbero che segna la riapertura al pubblico di Casa Cini. Il dipinto, che fino al 31 ottobre arricchisce il nucleo di dipinti del Quattrocento fiorentino già presenti nella collezione permanente della Fondazione Cini, è stato concesso dall’Istituzione francese in cambio del Giudizio di Paride di Botticelli e bottega, che sarà esposto a Parigi il prossimo settembre in occasione della mostra Botticelli: un laboratoire de la Renaissance. Franca Lugato L’Ospite a Palazzo San Giorgio e il drago di Paolo Uccello Fino 31 ottobre Palazzo Cini, San Vio, Dorsoduro 864 www.palazzocini.it
TEOREMA ETRUSCO Microplastiche e macrocosmi Il per sempre di Mara Fabro e Alberto Pasqual
Nel volto agghiacciante degli artisti Mara Fabro e Alberto Pasqual, imprigionati in borse di plastica chiuse lungo la Scala del Bovolo, c’è ognuno di noi: La fine del pesce racchiude, infatti, l’idea di ‘soffocamento’ dell’umanità come sensazione di impotenza, precarietà, libertà mancata di corpo, mente e anima, esulando dai suoi artefici o protagonisti, fotografati in quella condizione di voluta prigionia, aperta denuncia all’inquinamento e al mancato smaltimento dei rifiuti plastici che ci rende tutti più vulnerabili, vittime e colpevoli al tempo stesso. Insita è, ad esempio, la necessità di scongiurare la tragica morte per asfissia alla quale sono condannate alcune specie marine. La mostra, curata da Alessandra Santin ed accolta nel piano nobile di Palazzo Contarini del Bovolo, si basa sul progetto È per sempre, nato dall’incontro di due artisti friulani accomunati dal desiderio di stupire e far riflettere sulla fragilità del legame uomo-natura in connessione al permanere della plastica nel mondo. Dalle discariche a cielo aperto alle microplastiche degli oceani, la Rigenerazione può avvenire solo lentamente, modificando le nostre abitudini, in un futuro sostenibile dove si possano conservare veri tesori, un mare non di plastica ma solo di Luce, trasparente e cristallino, inclusivo, individuale e collettivo. Solo così il finto anello al dito, icona in negativo del progetto, da patto di assenza di vita può trasformarsi in positivo legame indissolubile di attesa viva. Un oltre, dopo la memoria e il Tempo. La plastica è un materiale di scarto in grado di affascinare, ontologicamente, solo se concepita nel suo essere Presenza-assenza spirituale, o come Membrana metropolitana. Così le Trasparenze di Pasqual, non più Tracce solidificate di
volumi in ferro e cemento, diventano sculture in policarbonato lavorato, incarnano edifici fantasmi, anime eteree scolpite dalla loro interiorità, svettano nella loro verticalità consumata dal fuoco che le ha delicatamente forgiate, mentre le Membrane metropolitane di Fabro sono dei pannelli in PVC trasparenti con mappe di città, costruite con l’inserimento di pixel di materia, minuscoli parallelepipedi di base quadrata (impasto di sabbia, resina e collanti). In quanto «luoghi estetici e di estasi, in cui tutto diventa comune, in cui tutto sparisce e si colma di vuoto (la trasparenza irreale della materia)», sono altresì tessuti di “relazioni tra simili ma mai identici”: non a caso le loro scie o ondulazioni ritmiche dialogano con il bozzetto del Paradiso del Tintoretto, riprendendo la linea delle moltitudini delle anime come colline. Vi è poi l’installazione Piano Sequenza, scatti d’inatteso che documentano strade e solitudini durante la pandemia, una memoria digitale di emozioni reali metabolizzate ma da non dimenticare, facenti parte di un discorso ecologico più vasto. Leggerezza, impalpabilità, bagliori di un minimalismo essenziale e concettuale artisticamente compiuto e allo stesso tempo legato al sogno. Le mappe di città di Fabro sono anche “carte geografiche”, crocevia dell’immaginazione basate su visioni satellitari edificate su compensati, esplosioni dal macrocosmo al microcosmo, pianeti di polveri e colore, dal cielo alla terra e laguna. Sono «tracce dell’umanità, percorsi della speranza, partenze, luoghi testimoni di storie, assenze, interpretazioni dei nostri tempi». Luisa Turchi È per sempre/It’s forever Fino 31 agosto Scala del Bovolo, Palazzo Contarini del Bovolo San Marco 4303 - www.gioiellinascostidivenezia.it
La passione per gli Etruschi, civiltà che appare ad ogni occasione di incontro sempre in procinto di rivelare segreti e misteri, è impossibile da contenere. Gli effetti dell’impatto della loro arte è come un richiamo ancestrale alle origini, remote ma già lucidamente definite, per cui spesso alcune opere posso sembrare nella forma e nell’eleganza altre, diverse, ma famigliari. Lontana dal canone classico greco-romano, altrettanto perfetta ma più vera, vicina, pulsante. Lo stesso sentire, che ha spinto letterati e artisti a innamorarsi perdutamente del linguaggio etrusco, entrando diretti nell’essenza di questa civiltà, anzi rivendicandone un’autentica discendenza. Moto dell’animo e della mente che avvolge anche il visitatore della mostra Massimo Campigli e gli Etruschi. Una pagana felicità a Palazzo Franchetti a Venezia. «A Villa Giulia incontrai qualche cosa che era già in me [...]» dichiara Campigli nel 1928. Una condivisione tacita che trova nella mostra il suo apice o meglio il suo manifesto nella sala dove si incontrano gli Zingari (1928), dove una figura sdraiata in primo piano è assorta a giocare con le carte un solitario, tenendo lo sguardo basso e il volto inespressivo, mentre un personaggio in primo piano dalla lunga gonna scura e dalle chiome divise da due lunghe trecce, è di spalle, vita strettissima e schiena nuda come una specie di delicata clessidra, e il coperchio fittile di un sarcofago etrusco di provenienza viterbese (fine III – inizio II secolo a.C.), una figura maschile distesa con lunga veste e a piedi nudi, con la testa appena appoggiata su un alto cuscino, mentre solleva la mano sinistra a sostenere il capo. Le tre figure sono come magneticamente connesse: l’ordinata sequenza di linee verticali e orizzontali del dipinto e le linee del sarcofago tracciano una trama che coinvolge lo sguardo del visitatore che viene attratto all’interno di questo teorema, totalmente avvolto dall’atmosfera di arcaico chiarore e di metafisico mistero. M.M.
Massimo Campigli e gli Etruschi. Una pagana felicità Fino 30 settembre Palazzo Franchetti, San Marco 2842 www.acp-palazzofranchetti.com
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arte GALLERIES
PUNTA CONTERIE Luigi Bussolati, Massimo Gardone, Roberta Orio MURANO IN FOCUS
GALLERIE DELLE PRIGIONI ITALIAN TWIST Fino 26 settembre
Fino 13 agosto
Spazio fluido nel cuore di Murano, il progetto di Punta Conterie è stato concepito come un hub dal fascino poliedrico dedicato a design, arte vetraria, arti visive ed enogastronomia. Il risultato è evidente e in qualche modo anche sorprendente. Ogni sua diversa declinazione restituisce lo stesso dinamismo, cioè la volontà di far uscire una tradizione millenaria come quella del vetro dagli steccati troppo stretti in cui è stata per molto tempo relegata. Non uno strappo, ma un legame fortissimo con le radici, che però vengono ora sapientemente e dinamicamente rielaborate. Un’indagine e un laboratorio di idee che non ha raggiunto un obiettivo con l’apertura degli spazi delle “ex conterie”, ma che trova nella forza del cambiamento e della riflessione il motore costante della sua attività. Ne è un esempio il progetto espositivo Murano in focus, curato da Roberta Orio, che documenta attraverso un fermo immagine fotografico – un tempo chiamato reportage, fotografia industriale, still-life – l’identità di Murano oggi attraverso le immagini che “l’Isola del vetro” è capace di provocare. La scelta della fotografia, dunque, come rappresentazione estetica ma anche e soprattutto come documento. Nello spazio espositivo InGalleria Art Gallery, che si snoda su 200 metri quadri, pensato per accogliere progetti legati all’arte vetraria, alle arti visive e a installazioni site-specific, tre fotografi, tre sguardi complementari, tre soggetti diversi, compongono un progetto espositivo molto interessante che volutamente scarta l’uniformità stilistica per navigare in territori di ricerca molto diversi per contenuto, per supporto, per messaggio. Occasione inedita di confronto tra Luigi Bussolati, Massimo Gardone, Roberta Orio, impegnati in autonomi percorsi creativi, che qui compongono tre mostre in una, restituendo al pubblico uno sguardo corale che è un grande omaggio a Murano. L’obiettivo è far nascere delle riflessioni da una Murano ritrovata, che dovrebbe generare dei cambi di rotta possibili, a tutela di un sapere come patrimonio e non come merce di scambio. InGalleria Art Gallery Punta Conterie Fondamenta Giustinian 1, Murano puntaconterie.com
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Fondazione Imago Mundi sin dall’apertura delle Gallerie delle Prigioni a Treviso ha ideato e offerto al pubblico mostre avvincenti e assai convincenti, che si pongono all’avanguardia nel panorama del contemporaneo. Anche Italian Twist, curata da Elisa Carollo e Mattia Solari, non delude le attese e offre uno spaccato della scena del contemporaneo con una selezione di opere tra le più recenti di 19 artisti italiani, nati principalmente negli anni ’80 e ‘90: Paola Angelini, Ruth Beraha e Allison Grimaldi Donahue, Gianluca Concialdi, The Cool Couple, Giuseppe Di Liberto, Irene Fenara, Christian Fogarolli, Riccardo Giacconi, Diego Gualandris, Iva Lulashi, Ruben Montini, Ludovico Orombelli, Fabio Roncato, Alice Ronchi, Alessandro Simonini, Marta Spagnoli, Luca Trevisani, Serena Vestrucci. L’insieme del percorso diviene una raccolta eterogenea, una libera campionatura con l’obiettivo di far emergere la molteplicità e la diversità dei linguaggi: scultura, arti performative, pittura, installazione. Nel complesso riescono nell’intento di dare forma ad un corpus che si pone come cartina di tornasole delle energie culturali della Penisola. Italian Twist rappresenta un riconoscimento alla ricchezza della cultura visiva contemporanea made in Italy, e un richiamo al desiderio comune di un nuovo corso. Le opere raccolte raccontano di un cortocircuito, uno scatto creativo, un ribaltamento di prospettiva, incalzante e impellente, sia rispetto alle tecniche e agli stili artistici, sia rispetto ai temi attuali e urgenti: il riconoscimento dei diritti civili e di genere, la sorveglianza digitale, la relazione fra natura e uomo, la percezione dello scorrere del tempo. F.M. Gallerie delle Prigioni Piazza del Duomo 20, Treviso www.imagomundiprojects.com
A PLUS A Beth Collar | Jesse Darling DOPPEL Fino 25 agosto
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA Arthur Duff, Ludovico Bomben, Francesco Candeloro alle Belle Arti di Venezia BETWEEN SPACE AND SURFACE Fino 11 settembre
rapporto fra spazio e superficie, oltre che di luce, se consideriamo alcune opere al neon esposte in mostra. Il percorso espositivo riproduce una sequenza non usualmente alfabetica dei tre artisti: Arthur Duff propone una selezione di opere che privilegiano una relazione spazio-cosmica, Ludovico Bomben, fa addentrare il visitatore in un ambiente rarefatto, che va poi a concludersi nel caleidoscopio spazio urbano proposto da Francesco Candeloro. D.P.M. Accademia Di Belle Arti Di Venezia Magazzino del Sale 3, Dorsoduro 423 www.accademiavenezia.it
SPAZIO THETIS Nello Petrucci TRAME
Beth Collar lavora principalmente con la performance, scultura, video e disegni, spesso anche interagendo con diverse discipline. Ha vinto il premio Mark Tanner Sculpture Award 2016/17. Tra le varie mostre ha esposto all’ICA di Londra, alla The Serpentine Gallery, Cell Project Space. Il linguaggio creativo di Jesse Darling copre gli ambiti della scultura, installazione, video, disegni, testi, suono e performance. Ha ricevuto prestigiose commissioni dal MoMA Warsaw, The Serpentine Gallery e Volksbühne Berlin, solo per citarne alcune. Entrambe vivono e lavorano a Berlino. La mostra è il risultato di un processo di collaborazione tra Beth Collar e Jesse Darling, durato alcuni mesi, con l’intento di creare dei lavori nuovi specifici per la galleria, una serie di nuovi disegni. La loro indagine si concentra sulla finitezza della realtà biologica e sulla fragilità del corpo umano, al contempo sollevando delle questioni da sempre legate alle relazioni e al linguaggio. Sessualità e mortalità, sensibilità e dolore, religione, mito e mistero, che nella loro intrinseca incomunicabilità, si affacciano nell’attuale economia dei dati e dell’immagine come qualcosa che dobbiamo affrontare collettivamente, ma che dobbiamo incontrare ciascuno con il proprio corpo e la propria mente. AplusA Gallery Calle Malipiero, San Marco 3073 www.aplusa.it
Dedicata ad Arthur Duff, Ludovico Bomben, Francesco Candeloro, tre artisti che hanno studiato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, la mostra come spiega Riccardo Caldura, direttore dell’Accademia e qui anche curatore, «tocca tematiche complesse, riguardanti questioni di fondo della composizione artistica: il rapporto fra bidimensionalità e tridimensionalità, fra vuoto e pieno, includendo la luce come medium fra realtà e percezione. La stessa collocazione delle opere, verrebbe da dire la loro presa di posizione nell’ambiente espositivo, crea uno spazio intermedio (in-between), una sorta di dialogo visivo che produce “infraspazi” ulteriori, percettivi, quanto interpretativi. Anche nel senso etimologico della parola (dal latino spatium) vi è qualcosa di indefinito che viene riconfigurandosi in rapporto a quel che l’osservatore di volta in volta ha “di fronte” e a quel che ha “intorno”, soprattutto se si pensa a quel particolare modo di fare-spazio che è proprio dell’opera». Lo spazio del Magazzino del Sale ha particolarmente favorito l’allestimento delle opere a nuclei ben distinti, permettendo ad ogni singolo artista di proporre un proprio insieme di lavori. La tematica espositiva diviene così una forma di riflessione ad ampio spettro sul
Una scultura open-air dell’artista Nello Petrucci è divenuta parte della prestigiosa collezione permanente formatasi negli anni e sempre in divenire dello Spazio Thetis. Un omaggio ispirato a Venezia, con il quale l’artista vuole invitare lo spettatore ad un nuovo rapporto con la Città d’acqua. Petrucci (Castellammare di Stabia, 1981) è eclettico, la sua produzione spazia con libertà nell’ambito delle arti visive, che vanno dalla pittura passando per la scultura e la cinematografia. La sua opera Trame si unisce ai lavori presenti nello splendido parco di Spazio Thetis, opere di grandissimi artisti come L’uomo che misura le nuvole di Jean Fabre, Il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, Le Sentinelle di Beverly Pepper; solo per citarne alcune. Ed è proprio al centro del parco di Thetis in linea alla Quercia di Beuys, piantata nel 2007 da Lucrezia De Domizio Durini e che richiama le 7.000 querce piantate a Kassel dal grande maestro Tedesco, che è stata collocata Trame. La Quercia, così importante nella storia dell’arte contemporanea, sembra indicare una strada da seguire con naturalezza, impegno e creatività. Spazio Thetis Arsenale Novissimo www.nellopetrucci.com
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arte GALLERIES
Venezia Atlantide Intervista a Paolo della Corte Un racconto fotografico inedito e per certi versi provocatorio, o meglio, scioccante. Visitando la mostra (R)esistere a Venezia. 2050 d.C. … e venne l’acqua grandissima di Paolo della Corte veniamo accolti da immagini spiazzanti, che raccontano la straordinaria cronaca di un disastro annunciato, ovvero i ritratti di una ventina di veneziani che continuano a vivere nel centro storico anche se questo è completamente sommerso dall’acqua. Così ci ritroviamo di fronte a un gondoliere, ad alcuni “bottegai”, a un avvocato, un architetto, un oste, insomma tutti personaggi con attività significative per la realtà veneziana immersi nell’acqua verdastra e fredda della laguna. Questi veneziani “a mollo” non ci sembrano però troppo disturbati o spaventati, anzi, nell’acqua sorridono, danzano, fluttuano quasi si trovassero nel loro elemento naturale, in una sorta di avvolgente liquido amniotico in cui, ancora una volta, con grande flessibilità sanno reinventarsi, reagire con naturalezza a una nuova catastrofica realtà, in stile Waterworld. L’autore degli scatti è Paolo della Corte, nato a Venezia dove tuttora vive. Dopo una laurea in Storia dell’Arte a Ca’ Foscari inizia a lavorare come fotografo, concentrandosi sui ritratti di personaggi del mondo della cultura, soprattutto letteratura e arti; collabora con importanti testate nazionali ed estere dove pubblica le sue fotografie. La mostra merita una visita non solo per le immagini, ma anche per il luogo che la ospita, cornice perfetta per il tema trattato. Si trova infatti nell’elegante Hotel Aquarius, all’interno dell’antico Palazzo Pemma-Zambelli, in Campo San Giacomo dell’Orio. Nella hall dell’hotel sono stati allestiti in modo permanente due grandi acquari di acqua di mare, mentre lungo tutto il soffitto un’installazione luminosa in vetro di Murano riproduce una spettacolare danza di decine di meduse ondeggianti. Il suo progetto parte dall’alluvione di Venezia del novembre 2019, un fatto eccezionale e al contempo un problema cronico della città che viene trattato con ironia. Ci racconti la genesi e lo sviluppo di questa mostra. In realtà l’acqua alta del 12 novembre 2019 mi ha sorpreso quando avevo finito di scattare 74
da pochi giorni. È un lavoro che ha avuto una lunghissima gestazione, pensato quando ero ancora agli inizi come fotografo e lasciato fermo per moltissimi anni. L’idea è nata quando Federico Fellini venne a Venezia con l’intenzione di fare un film sulla città. Mio padre era stato incaricato di scrivere una sceneggiatura e così, forse per gioco, il regista mi aveva chiesto di provare a immaginare una Venezia sommersa, i veneziani come anfibi, proponendomi un eventuale ruolo di fotografo di scena nel film. Poi lui è morto. Anche se non credevo veramente alla sua proposta, ho sempre pensato a questa idea di una “Venezia Atlantide”. Trovo molto difficile fotografare la città, troppo bella, troppo fotografata. Facilissimo cadere nel déjà vu. Quello che racconto è una Venezia contemporanea, con i suoi problemi quotidiani e mi piace farlo attraverso i suoi abitanti. Mi considero soprattutto un ritrattista. La serie (R)esistere a Venezia, con i veneziani immersi in una folla di turisti in movimento, un muro impenetrabile, rispecchia molto il mio stato d’animo quando (ora il problema è minore) camminavo per la città massacrata da un’alluvione di turisti impenetrabile. L’over tourism è un grandissimo problema ambientale, sociale, economico. Venezia 2050 DC parla invece di un problema ambientale mondiale, e lo tratta localmente. Ben sapendo che tutto ciò che avviene a Venezia ha un’eco internazionale. I veneziani hanno sempre vissuto in simbiosi con la Laguna, la quale nel mio immaginario diventa quasi un liquido amniotico, avvolgente e protettivo in cui potranno sopravvivere. È una visione pessimistica, sì, ma restituita con ironia, «un carnevale acquatico tanto più allegro e spensierato quanto più grottesco e drammatico, al quale chi non è veneziano non può prendere parte ma solo assistere» come ben scrive Serena Guidobaldi nell’introduzione alla mostra.
Vede davvero nei veneziani questa forza e determinazione nel superare ostacoli enormi sorridendo e adattandosi? Non è facile vivere a Venezia e chi ha scelto di non fuggire deve superare dei problemi che in altre città non ci sono. Lo fa adattandosi, sopportando acque alte, turisti, grandi navi, scomodità nel muoversi. Nelle persone che frequento, che conosco, quando parliamo di questi argomenti spesso l’ironia prevale. D’altronde quanto è ironico il detto veneziano «co l’acqua riva al da drìo se impara a nuar»? Cosa l’ha spinto a diventare un fotografo? Era questa la sua aspirazione fin da ragazzo? Ho sempre vissuto in un contesto molto particolare che ha certamente indirizzato questa mia scelta fin da ragazzo. Mio padre era giornalista e scrittore, vivevamo tra Milano e Venezia e grazie a lui ho avuto modo di conoscere e frequentare splendide persone capaci di affascinarmi con i loro racconti, che mi facevano letteralmente sognare. La fotografia è venuta da sé, per vivere quel mondo, raccontando i personaggi che incontravo, da Zanzotto o Fellini, da Pizzinato a Fernanda Pivano. Ha avuto un maestro in particolare a cui si è ispirato? Sicuramente Annie Leibovitz, Nadav Kander, ma soprattutto Ugo Mulas. I suoi ritratti di artisti, che non smetto mai di guardare, e gli studi di Storia dell’Arte con Giuseppe Mazzariol mi hanno spinto a cercare di conoscere chi aveva realizzato molte delle opere che ho studiato in quegli anni. Louise Bourgeois, Jim Dine, Roy Lichtenstein, Emilio Vedova, Andrea Zanzotto, Doris Lessing… Sono solo alcuni dei tantissimi artisti e scrittori che lei ha fotografato. Ha sempre trovato nei loro volti quello che cercava? Per essere un bravo ritrattista devi conoscere chi hai davanti. Volevo incontrare quei Maestri
Trovo molto difficile fotografare la città, troppo bella, troppo fotografata. Facilissimo cadere nel déjà vu. Quello che racconto è una Venezia contemporanea, con i suoi problemi, e mi piace farlo attraverso i suoi abitanti per raccontarli, e il volto, in particolare gli occhi di una persona, il suo sguardo, mi affascinano, mi emozionano più di ogni altra cosa. Usa molto la tecnologia nelle sue foto? Cosa pensa di Photoshop? Utilizzo ogni tipo di macchina, dall’Hasselblad a pellicola al telefonino. Oltre ovviamente alla reflex digitale o alle ultime Mirrorless. Dipende solo dal progetto che ho in mente e lo stesso vale per Photoshop. Se è necessario al fine del messaggio, sì, sono favorevole al suo utilizzo. Il fotoritocco è sempre esistito, ma trovo sia corretto dichiararlo. Soprattutto se intervieni più pesantemente, come ho fatto io in Venezia 2050... Per raggiungere quelle tonalità di verde e correggere certi riflessi mi sono affidato a Giovanni Patalano, un professionista che mi ha aiutato e consigliato. Lei è veneziano, vive e lavora qui. Cosa la lega di più a questa città e cosa invece la infastidisce maggiormente? Prima di stabilirmi definitivamente qui ho viaggiato molto e pur tornando sempre in città –mia figlia, i miei affetti sono qui – non mi consideravo neanche troppo un veneziano. Alla fine però Venezia ha vinto, non riesco ad abbandonarla e convivo con questo amore/odio, comune a molti, per una città che ti offre comunque tantissimo: musei e fondazioni con mostre di livello altissimo, con-
vegni, spettacoli di livello internazionale, ma anche la Laguna con le isole e il mare vicino. Mi infastidisce il fatto che alla fine la città sia allo sbando per colpa nostra, di noi veneziani, che non riusciamo ad andare oltre ai discorsi, al chiacchiericcio continuo attorno a progetti velleitari. Tutto ineluttabilmente si blocca e a prevalere è solo il proprio tornaconto. Per concludere, crede davvero che in un lontanissimo futuro questa sua ironica ‘profezia’ possa avverarsi? Come vede il futuro di Venezia? Speriamo sia davvero lontanissimo. Lasciamo da parte la mia visione forse un po’ troppo pessimistica, ma le condizioni perché Venezia sia invasa da acque sempre più alte sono reali. Spero, mi illudo in un’inversione di tendenza che comunque temo avverrà molto lentamente e intanto per continuare a vivere qui ci dovremo sempre più adattare alle continue difficoltà che si proporranno, magari con un sorriso, ecco. Elisabetta Gardin
Paolo della Corte. (R)esistere a Venezia. 2050 d.C. … e venne l’acqua grandissima Fino 10 luglio Hotel Aquarius, Palazzo Pemma-Zambelli paolodellacorte.photoshelter.com
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A MODO SUO
The Way He Liked It For me, music and life are all about style Miles Davis di Giuseppe Mormile
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musica
ra il 25 maggio del 1926 e ad Alton, Illinois, nasce-
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va da una famiglia medio borghese Miles Davis. Era il 28 settembre del 1991 e a 65 anni moriva a Santa Monica, California, una leggenda del jazz. Il 2021 ricorda due anniversari: il trentesimo dalla scomparsa del grande trombettista che ha rivoluzionato più volte la storia del jazz e un altro grandioso avvenimento per il Veneto e l’Italia: il 24 luglio del 1991 Miles Davis teneva in Piazza Giorgione a Castelfranco Veneto l’ultimo concerto europeo della sua vita, organizzato appunto da Veneto Jazz. Un evento che è stato un faro per la storia dell’associazione e oggi si vuole celebrare con uno dei concerti clou della XIII edizione di Venezia Jazz Festival. Il 10 luglio, nella sede di Combo (ex Convento dei Crociferi), Adam Holzman, mitico tastierista di Miles Davis che partecipò alla straordinaria incisione di Tutu, in trio con Davide Regazzoni (batteria) e Stefano Olivato (basso elettrico), propone un tributo al leggendario trombettista. Si tratta di un’occasione imperdibile per ascoltare dal vivo colui che nel 1988 diventò adirittura direttore artistico della band di Davis, dopo quattro anni di una lunga tournèe insieme. Il concerto chiude inoltre con uno dei tastieristi più innovativi del panorama internazionale il Moog Summer Camp, il seminario, unico nel suo genere in Italia, dedicato alle apparecchiature Moog ed ai sintetizzatori elettronici, diretto da Enrico Cosimi. Fra i talenti di questa edizione del festival, spicca poi il concerto del pianista Livio Minafra. Vincitore del TOP JAZZ come leader del miglior gruppo dell’anno, Minafra si presenta al pubblico come il nuovo talento del panorama musicale italiano. Giovanissimo e già diplomato in pianoforte, entra nel mondo del jazz grazie ad un pianismo impetuoso e delicato che ci avvolge attraverso la matrice classica ma allo stesso tempo ci spiazza tramite armonie dissonanti. Lo troviamo alle Sale Apollinee del Teatro La Fenice il 4 luglio, nel cartellone che vede anche il pianista austriaco David Helbock in un omaggio a John Williams (2 luglio) e il progetto Meraki Expanded del contrabbassista Marco Trabucco (7 luglio).
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lton, Illinois, May 25th, 1926, Miles Davis was born. He would die in Santa Monica in 1991 as a jazz legend. This year, we shall commemorate two anniversaries: the thirtieth year of his passing and his concert of July 24, 1991, which Davis held in Castelfranco Veneto. It was to be his last concert ever and the light guiding the story of Veneto Jazz, the producer of the concert. To celebrate Miles Davies, Veneto Jazz will produce a special concert for the 13th edition of Venezia Jazz Festival. On July 10, Adam Holzman, Miles Davies’ keyboard player will join Davide Regazzoni and Stefano Olivato (drums and bass, respectively) for the tribute. It will be an unmissable occasion to enjoy music by Holzman, who in 1988 was made art director of the Miles Davis band, after four years together touring the world. Other participants to the Venice Jazz Festival will be pianist Livio Minafra, the winner of TOP JAZZ as leader of the best jazz band of the year. Minafra entered the world of jazz thanks to his wild yet delicate piano sound, which embraces its classical matrix and yet surprises us with dissonant harmonies. We shall find Livio Minafra at Fenice Theatre on July 4th. Also at Fenice, David Helbock will stage a homage to John Williams on July 2nd, while Marco Trabucco and Meraki Expanded project will play on July 7th. Venezia Jazz Festival Fino 7 agosto www.venetojazz.com
AMIR GWIRTZMAN
Programma a p. 110
Nel cortile di Palazzo Grimani il 17 luglio la straordinaria performance dell’artista israeliano di stanza a Zagabria, conosciuto come uno dei più grandi virtuosi di strumenti a fiato al mondo. In concerto ne suona ben venticinque, provenienti da tutti i continenti. La sua poetica è attraversata da un ampio spettro di influenze e combina composizioni originali con musiche tradizionali, articolate in una carriera che lo ha portato da Israele negli Stati Uniti, in Sudamerica, in Europa, in Africa e Asia. Un’ispirazione che attraversa i ritmi del jazz cubano, le melodie di R&B, il jazz, le energiche melodie ebree klezmer e quelle malinconiche della musica celtica irlandese. At Palazzo Grimani on July 17th, an extraordinary performance by the Israeli artist, known as one of the greatest winds virtuoso in the world. Gwirtzman will play no less than 25 instruments from all corners of the world. His art is inspired by a range of influences. He combines original compositions with traditional music he studied in his travels. Inspiration shows up in the form of Cuban jazz, R&B, jazz, Klezmer, and Irish Celtic.
DEBORA PETRINA TIZIANO SCARPA Il 31 luglio negli spazi Combo Debora Petrina, cantautrice e compositrice, incontra le storie dello scrittore Tiziano Scarpa, in Le cose che succedono di notte, alternando canzoni e racconti in rima. Alle tastiere, chitarra e voce, Debora si mette in contatto con mondi sconosciuti, come una specie di veggente elettronica. Canta con una presenza scenica ammaliante le sue canzoni innovative, bellissime, che emanano calda sensualità e ritmi vivaci. Fra un brano e l’altro accompagna le parole di Tiziano, che racconta di uomini, alberi, animali che cercano l’amore e la verità, storie tratte dal suo libro Una libellula di città.
Adam Holzman
At Combo on July 31st, singersongwriter Debora Petrina meets stories by author Tiziano Scarpa in Le cose che succedono di notte (What happens at night). The recital, with songs and poetry, will see Petrina contact unknown worlds, like some kind of electronic clairvoyant. She sings her beautiful, innovative songs with captivating presence and sensuality. Between one piece and the next, Scarpa’s word tell stories of men, trees, and animals.
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musica CONCERTS
FIGLI DELL’ETNA
Venticinque anni ‘mediamente isterici’ e del tutto luminosi, una lunga carriera costellata di album, concerti, collaborazioni, riconoscimenti. Mentre ci chiediamo un po’ confusi e poco felici cosa sia successo al talento negli ultimi anni, Carmen Consoli rimane una confortante certezza. Dopo la prima partecipazione al Festival di Sanremo con Amore di plastica nel 1996, si ripresenta l’anno successivo ancora fra gli esordienti «con tanto di chitarra» (cit. Mike Bongiorno) e una canzone che annunciava definitivamente il suo stile inconfondibile: «Sai benissimo che una goccia inonda il cielo, è così piccolo il mondo che ci osserva». Con una grinta rock che l’ha contraddistinta in un ambiente perlopiù maschile e che le ha valso la prima – e finora unica – Targa Tenco per il miglior album (Elettra) mai assegnata a una donna, nel 2003 è stata anche la prima artista a calcare il palco dello Stadio Olimpico di Roma. Cantante, autrice e compositrice, per lei si è voluto ricorrere ad un termine un po’ desueto, “cantantessa”, molti anni prima che iniziassero le battaglie sul linguaggio di genere. Da Sanremo in poi ha spiccato il volo con un’apertura alare che ci viene da pensare sia un dono di quella “sfavillante Catania” così limpidamente descritta nei suoi testi. Il 25 agosto Carmen Consoli si esibisce all’Arena di Verona accompagnata da un’orchestra di 50 elementi e con la partecipazione straordinaria di alcuni artisti e colleghi, fra cui Samuele Bersani e Max Gazzè. Le collaborazioni musicali sono una splendida costante della sua carriera e, fra tutte, ricordiamo il duetto con Franco Battiato sulle note di Tutto l’universo obbedisce all’amore. Due anime raffinate, figlie della stessa terra. Marisa Santin Carmen Consoli 25 agosto Arena di Verona www.eventiverona.it
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Forte e chiara Patti Smith, l’amore per la parola Napoli, 24 luglio 2003, ex area Italsider. Di quella giornata ricordo distintamente ogni minuto, ogni odore, ogni colore, un interminabile countdown partito dalla sveglia all’alba e destinato a concludersi a sera inoltrata, quasi alle 23, per divorare ogni nota del concerto dei R.E.M., di sicuro il nome di punta di quell’edizione del Neapolis Festival. Ed è proprio in questo concerto memorabile che incontro per la prima volta Patti Smith, che prima di allora avevo sentito solo nominare come entità astratta, impegnata sul palcoscenico in più di un duetto con Michael Stipe e soci, tra cui una memorabile People Have the Power, prolungata in loop con annesso ballo scatenato a braccetto con Stipe. Quello stesso potere lo aveva e ce l’ha ancora lei, forte e limpido, artista per cui le definizioni si sprecano e che io considero essenzialmente un’impareggiabile ‘comunicatrice’, che non a caso ha superato i confini della canzone per parlare con la propria gente attraverso la letteratura e le poesie, la pittura e la scultura. Patricia Lee Smith, in arte Patti, è nata il 30 dicembre 1946 a Chicago, Illinois. Maggiore di quattro figli, è sempre stata una bambina alta, allampanata, malaticcia, con un occhio sinistro pigro. «Quando ero una ragazzina, ho sempre saputo che avevo qualcosa di speciale dentro di me. Non ero attraente, non ero molto comunicativa, non ero molto intelligente, almeno a scuola. Non ero nulla di tutto ciò, e non ho mai dimostrato al mondo che ero qualcosa di speciale. Ma ho avuto questa enorme speranza per tutto il tempo ed è questo lo spirito che mi ha mantenuto forte». Accompagnata da Jackson Smith alla chitarra, Seb Rochford alla batteria e Tony Shanahan al basso Patti Smith arriva a Lignano Sabbiadoro il prossimo 13 luglio per Nottinarena, ritorno alla tanto auspicata normalità (musicale) estiva che l’Arena Alpe Adria si trova ad ospitare fino alla fine di agosto. Davide Carbone
Sogni in bianco e nero C’è qualche vantaggio ad avere una certa età. Per esempio uno sa perfettamente chi e perché, anche se non lo avessi amato, ha punteggiato la tua vita di emozioni particolarissime, uniche, agrodolci. Ha attraversato in punta di piedi 50 anni di storia italiana della canzone e del costume, con quel “naso triste da italiano allegro”, come recitava una sua canzone, e raccontando piccole grandi storie della provincia italiana ha conquistato i più grandi palcoscenici europei. Uno per tutti l’Olympia di Parigi, dove ancora adesso è considerato un mito assoluto. Proprio presso i francesi, quelli “che si incazzano” sempre in quel suo famoso pezzo. Se c’è un musicista a cui in qualche modo Paolo Conte si potrebbe paragonare, direi forse che è Leonard Cohen, che però aveva più ‘drama’ interiore ma anche un pizzico di ironia in meno. Sì, perchè il nostro tra i tanti acquarelli con cui ci ha allietato le serate, i piccoli grandi quadretti come Via con me, La topolino
amaranto, Sotto le stelle del jazz, Genova per noi e tante altre che abbiamo cantato e amato, è stato capace anche di comporre, in pieno ‘68, una canzone come Azzurro, che parlava della solitudine di un bambino che restava tutta l’estate in oratorio a parlare con un prete. Inimmaginabile una simile visione in un tempo fatto di barricate e iconoclastia allo stato puro. Per poi passare alla storia della canzone (perchè di questo stiamo parlando) con pezzi affidati ad altri, spesso strappalacrime, come la stupenda Insieme a te non ci sto più, che è
stata utilizzata, e lo è ancora adesso, in pubblicità e come colonna sonora di film di autori famosi come Luchino Visconti. Si potrebbe parlare per ore della meravigliosa carriera dell’Avvocato, se lo amate e se già non l’avete visto vi consiglio quando vi capita la visione di un bellissimo docu-film di Verdelli, Via con me, presentato all’ ultima Mostra del Cinema di Venezia. Massimo Macaluso Paolo Conte 24 luglio Parco delle Rose-Grado www.euritmica.it
Ebbro di versi A pensarci bene, strano davvero che un concerto del genere non sia nato prima nella testa di Vinicio. Ma a pensarci ancora meglio probabilmente è proprio così, con Alighieri presente da tanto nell’ispirazione di quel musicista universale che è sempre stato Capossela, da sempre intrecciato attraverso la sua poetica alle tematiche del viaggio, dell’incontro, della meraviglia, del terrore a volte. Il suo incontro con Dante dà vita a Bestiale Comedia - concerto Dantesco, nell’anno in cui in Italia e nel mondo si celebra il settecentesimo anniversario della morte del grande fiorentino, nella città che il sommo poeta ha ospitato e amato, Verona, precisamente al Teatro Romano per il Festival della Bellezza. «Ho iniziato ad appassionarmi a Dante per mito interposto. L’eroe della mia giovinezza – spiega Capossela – è stato il dannato, il bohémien, il distillatore di bellezza Amedeo Modigliani, che sgranava come un rosario ebbro i versi di Dante a memoria, mentre dipingeva i suoi volti dagli occhi vuoti. E così provai a mandarli a memoria anche io scoprendo la più sublime
forma di preghiera umanistica. L’attrazione per l’umano, per i suoi miti, per il sublime, per l’inferno, per il peccato e per la virtù, per tutto ciò che desta meraviglia è quello che da quindici anni conduce il mio cammino in musica e parole. Non c’è cosa che Dante non comprenda già. Santi, eroi e viziosi, una certa attrazione per il misticismo, una visione del mondo non specialistica, enciclopedica, il cui soggetto è la natura tutta a partire dalla natura umana, sono tra le cose dantesche che più mi attraggono.
Galeotti per me sono stati molti libri, ma Dante soltanto li comprende tutti». Un incontro, quindi, che di sicuro non si materializza grazie a questa ricorrenza, ma che ispira da sempre la ricerca espressiva del collezionista di Targhe Tenco (ben quattro, più una alla carriera), da sempre e per sempre voce fuori dal coro della scena musicale italiana. Vinicio Capossela 22 luglio Anfiteatro Romano-Verona www.festivalbellezza.it
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musica SUMMER FESTIVAL
LO SPAZIO BIANCO
Tante, decisamente troppe sono state le manifestazioni musicali spazzate via dall’emergenza sanitaria globale. Per tante che non sono riuscite a ripartire, aspettando giorni migliori guardando all’orizzonte del 2022, ce ne sono per fortuna diverse che hanno deciso di riprendere il discorso da dove era stato brutalmente interrotto. Una di queste è di sicuro New Echoes, progetto musical-culturale di Pro Helvetia curato da Enrico Bettinello, che si ripresenta al pubblico nella rinnovata veste New Echo System, per attivare pratiche di incontro e ricerca nell’ambito della musica e delle performing arts. Oltre alla collaborazione tra Therminal C e Matilde Sambo, andata in scena il 18 giugno scorso, nel programma 2021 che recupera con piacere alcuni appuntamenti che erano saltati l’anno prima troviamo il jazz degli Ikarus (1 agosto a Dolo), l’electro-pop di LIUN + The Science Fiction Band (24 settembre al Teatrino di Palazzo Grassi), Andrina Bollinger (già apprezzata a Venezia con le Eclecta) e Alessandra Bossa delle O-Janà (15 ottobre a Palazzo Trevisan), il pianoforte di Yves Theiler (29 ottobre a Palazzo Trevisan), nonché la prima fase di una progettualità che fa incontrare la mitica etichetta svizzera OUS con il network veneziano VER-V (3 dicembre a Palazzo Trevisan). L’1 agosto a Dolo gli Ikarus si confermano un mosaico sempre in trasformazione, caratterizzato da poliritmi in perenne mutamento, groove fluttuanti e avvincente improvvisazione, in sospeso tra l’oscurità dei Paesi del Nord e un’eccitazione tropicale. Ikarus 1 agosto-Dolo Fb: Palazzo Trevisan degli Ulivi
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Lasciatemi qui Se devo sforzarmi di pensare al Paradiso, il contesto potrebbe assomigliare parecchio alla possibilità di starsene seduto sull’erba, circondato da altre persone, ad ascoltare musica, ad ogni ora del giorno. Villa Manin a Passariano di Codroipo è un gioiello che già dalle fotografie fa venire voglia di vederla di persona…ieri e negli anni ha accresciuto il proprio fascino regalando alla storia dei concerti memorabili, tra cui Velvet Underground, Bruce Springsteen, Radiohead e Foo Fighters. L’estate musicale del 2021 per fortuna passa anche e di nuovo da qui, dal 26 giugno all’11 agosto, mettendo insieme un calendario ben equilibrato e di assoluto livello. Dopo Bombino e Motta alla fine di giugno, Lo Stato Sociale apre il mese di luglio: dopo il successo del brano sanremese Combat Pop e dopo l’uscita del nuovo album Attentato alla Musica Italiana – un quintuplo disco composto da 5 capitoli, uno per ogni componente della band – eccoli tornare dal vivo il 3, la dimensione in cui indubbiamente rendono di più. Iosonouncane, pseudonimo del sardo Jacopo Incani, arriva il giorno dopo con il suo rock alternativo misto a musica d’autore che lo
ha reso una delle figure più interessanti della scena indie-autoriale italiana. Come hanno saputo dimostrare con la performance sanremese, il concerto degli Extraliscio il 10 luglio sarà un live fuori dagli schemi, che contaminerà il liscio romagnolo che ha fatto ballare intere generazioni con innesti di chitarre noise, elettronica, rock e pop. Tra l’11 e il 18 luglio sarà la volta di Ariete, La Rappresentante di Lista e Coma Cose, che portano in dote al pubblico di Villa Manin un cantautorato fresco e originale, giovane ma allo stesso tempo già ricco di esperienze e di cose da dire, messaggi da recapitare. La chiusura doverosa spetta l’11 agosto ai (quasi) padroni di casa, i terribili Tre Allegri Ragazzi Morti capitanati da Davide Toffolo. Della serie “da Pordenone con furore”! D.C. Villa Manin Estate Fino 11 agosto Villa Manin-Codroipo www.villamanin.it
In cielo e in terra Nell’estate in cui tutto vuole ricominciare, Ludovico Einaudi riporta la sua musica in cammino nella natura e invita il pubblico a camminare insieme a lui. Undici concerti immersi nello scenario emozionante di parchi nazionali, riserve naturali, calette, valli, laghi e altipiani incontaminati, raggiungibili solo a piedi, all’alba, al tramonto, sotto cieli stellati, di cui il concerto del 24 luglio al Lago Superiore di Fusine, per No Border Music Festival, è tappa irrinunciabile. Il 25 Colapescedimartino offrono all’uditorio le loro canzoni in versione acustica, proprio replicando il modo in cui sono state concepite e scritte, per un tour estivo che li vedrà impegnati in contesti a pieno contatto con la natura. In versione acustica anche il terzo ospite della rassegna, Nannini Gianna da Siena, decisa a presentare al pubblico il suo più fidato amico, il pianoforte, luogo dell’anima in cui tutte le sue canzoni sono nate prima
di prendere forma e sfumature differenti, delicate o potenti a seconda dei momenti. L’1 agosto, infine, un concerto da stropicciarsi gli occhi: un trio davvero stellare quello che vede in scena Stefano Bollani, Trilok Gurtu ed Enrico Rava, per la prima volta assieme tutti e tre sullo stesso palco per questa produzione esclusiva ideata dal No Borders Music Festival. Un concerto che si preannuncia ben più che unico. No Borders Music Festival 24 luglio-1 agosto Lago Superiore di Fusine www.nobordersmusicfestival.com
EDIZIONI ILLIMITATE So many people Non è un caso, che nella grafica di promozione del festival musicale Parklife di Padova campeggi in bella mostra un cuore. Il muscolo che tutto regola ha guidato anche la programmazione di questa manifestazione che proprio nel cuore di Padova si svolge e nel cuore della musica si addentra, toccando tutti i generi musicali possibili nell’arco di un mese circa, con nomi di primissimo piano. Il 4 luglio si parte con Dente, autore di lungo corso che nel febbraio 2020, giusto un attimo prima dell’imponderabile, con l’album omonimo aveva segnato una svolta radicale nel proprio percorso musicale, non più affidato puramente alla chitarra acustica ma evolutosi seguendo nuove articolazioni soniche. Il 9 in scena il di nuovo “presente” Giovanni Lindo Ferretti, da qualche anno tornato sui palchi di club e festival musicali. Il concerto di quest’anno ricalca quello pensato per i tour precedenti, anche se a ben vedere vi è più di qualche variazione di temi. Ferretti torna a raccontarsi esclusivamente con le canzoni del suo repertorio solista e con quelle dei CCCP
Fedeli alla Linea e C.S.I. con una nuova scaletta che comprende anche qualche brano tratto da Saga, il Canto dei Canti, ultimo album pubblicato da Sony Music. Al suo fianco, così come nei tour di questi ultimi anni, due fedeli compagni di viaggio: Ezio Bonicelli e Luca A. Rossi, entrambi componenti degli Ustmamò, ad assicurare alle canzoni una tesa veste elettrica. Il 13 sarà la volta di una delle grandi lady in jazz internazionali, la raffinata e graffiante Dee Dee Bridgewater, con un quintetto su misura per lei che annovera tra gli altri Rosa Brunello al basso e Michele Polga al sax. Fast Animals And Slow Kids, Zen Circus, Negrita e Iosonouncane alcuni degli altri momenti importanti di un cartellone che regala alla città del Santo un festival di livello finissimo. Parklife Festival Fino 8 agosto Parco della Musica-Padova www.parcodellamusicapadova.it
Maestri di stile Vicenza Jazz Festival vive nel 2021 un venticinquesimo anniversario ‘recuperato’ che si festeggia nel segno di numerose novità. Per la prima volta il festival si terrà in estate, dall’1 al 10 luglio, in luoghi quasi sempre all’aperto e per la maggior parte inediti nella geografia della manifestazione: da Parco Querini al Giardino di Santa Corona, dall’Hangar del Parco della Pace al Giardino del Teatro Olimpico. All’interno di una straordinaria varietà di stili, gusti e proposte, immaginate dalla direzione artistica di Riccardo Brazzale, nel programma di Vicenza Jazz 2021 emergono alcuni temi conduttori ben definiti: dal gemellaggio artistico con la Norvegia (con Nils Petter Molvær e Rebekka Bakken tra gli altri), allo spazio particolarmente ampio dedicato ai giovani musicisti e agli artisti italiani (tra i quali spicca Paolo Fresu con Petra Magoni). Le presenze di Brad Mehldau, Gonzalo Rubalcaba e Fred Hersch assecondano invece la costitutiva vocazione di questo festival per il jazz internazionale di primissima cifra, lanciando un nuovo percorso
Photo Roberto Chiovitti
di ascolti, segnatamente quello dedicato ad alcuni tra i più importanti pianisti in attività. La coda del festival sarà ad alta tensione. Letteralmente, viste le sonorità elettriche che domineranno i concerti della band di Mark Lettieri, chitarrista di riferimento alla corte degli Snarky Puppy, e dell’intrigante omaggio alla musica di David Bowie ideato dal trombettista Paolo Fresu, che per l’occasione si presenterà alla guida di una formazione dal cast sorprendente, con, tra gli altri, Petra Magoni, Filippo Vignato e Christian Meyer. Vicenza Jazz Festival 1-10 luglio vari luoghi a Vicenza www.vicenzajazz.org
Fin dalla sua nascita, nel 2006, Sexto ‘Nplugged si è definito tra la infinita teoria di festival e rassegne estive per uno spiccato tratto identitario proprio, direi inconfondibile, quello della tensione curiosa e aperta verso la ricerca, verso suoni davvero ai confini tra i generi, in presa diretta con il tempo che scorre. E poi il contesto, in nessun modo irrilevante nel definire i tratti di un festival che chiede agli artisti coinvolti una disposizione attiva, dialogante con un milieu unico quale è Sesto al Reghena, uno dei più bei borghi medievali d’Italia, capace di regalare suggestioni profonde in un clima di vitale intimità. Aprono l’edizione 2021 il 5 agosto i Balthazar, gruppo indie rock belga nato nel 2004 che con Fever del 2019 ha potentemente virato su sonorità disco, collocandosi poi con Sand del 2021 in un contesto più indie pop. Il 6 sarà la volta di The House of Love, progetto che nasce nel 1986 dall’incontro tra Guy Chadwick e Terry Bickers, alfieri anch’essi dell’indie pop, che dopo un immancabile periodo di maretta con connesse separazioni sono tornati con regolarità, per nostra fortuna, a costruire musica insieme dal 2005. La sera del 7 la data clou dell’edizione, con l’elettronica tedesca contaminatissima dei The Notwist, gruppo iconico e seminale dalla carriera ormai più che trentennale, con alle spalle 8 album in studio, collaborazioni cinematografiche di primissimo livello (Sorrentino) e un ultimo lavoro pubblicato a fine gennaio 2021, Vertigo Days, che conferma e consolida la loro cifra estetica di prim’ordine, fondata su un calibrato e palpitante equilibrio tra la le trame elettroniche e la parti strumentali che caratterizzano le loro tracce più riuscite. A chiudere i sonici giochi l’8 agosto Ásgeir, islandese classe ’92, che con il suo folk melodico si inserisce a forte titolo nel solco di una scena musicale solidissima ed eclettica quale negli ultimi trent’anni ha dimostrato di essere quella della terra dei ghiacci e del fuoco, forte di totem globali quali Björk e Sigur Rós.
Sexto ‘Nplugged 5-8 agosto Sesto al Reghena Sextonplugged.it
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UN DOMANI CI SARÀ
The Days to Come
La musica è inspiegabile, incomprensibile. Ma è possibile insegnare come aprire le porte al ‘rapimento’
classical
Riccardo Muti
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di Andrea Oddone Martin
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ev’essere un destino, quello di Riccardo Muti, ad imporgli di presiedere alle rinascite. Circa diciott’anni or sono, fu proprio lui a inaugurare La Fenice di Venezia appena risorta, nel pieno rispetto letterale del mito, dalle proprie ceneri. E ci risiamo, anche se questa volta il fuoco non c’entra. La nostra attualità ci ha proposto il “diversivo” di un’epidemia e conseguente sospensione totale delle attività collettive, in primis culturali. Ora, e incrociamo le dita mentre lo diciamo, sembra si possa ritenere superata la pandemia per cui, con infinito sollievo, le attività culturali riprendono. Il 12 luglio sul palcoscenico di Campo San Fantin Riccardo Muti dirige l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini in un concerto per cui sono state selezionate due composizioni di Franz Schubert. Una scelta precisa e adatta alla situazione, si tratta infatti dell’Ouverture op. 170 “nello stile italiano” D 591 e della Sinfonia D 944 “La Grande”. All’epoca ventenne, Schubert compone l’Ouverture D591 (assieme alla sua “gemella” D590) riferendosi esplicitamente al magistero del compositore italiano Gioacchino Rossini: sono diversi i caratteri rossiniani che vengono messi in opera senza mai appoggiarsi a citazioni letterali, a partire dal tipico crescendo in fortissimo, e poi la vivacità della concezione ritmica, la vitalità complessiva e la spigliatezza della competenza musicale. Una dichiarazione di stima e di ammirazione per Rossini e per l’Italia che gli diede i natali e ne informò lo spirito. Crediamo che Muti abbia scelto questa partitura come intitolazione del concerto all’Italia, come crediamo fermamente che la scelta de La Grande sia molto più di un’osservanza didascalica, quanto invece un appassionato e intenso augurio dal profondo del cuore, espresso mediante i termini musicali del genio schubertiano che da questa sinfonia illumina il futuro.
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iccardo Muti’s destiny must
have something to do with overseeing rebirths. Some eighteen years ago, it was him to inaugurate the newly-reborn Fenice Theatre – as it goes, from its own ashes. And here we go again, even if this time, there was no fire involved. What a distraction the pandemic was. A total moratorium on nearly all collective activity, especially cultural ones. Now, and let’s keep our fingers crossed, it seems the pandemic is behind us and, with infinite relief, cultural activities are free to start again. On July 12, Riccardo Muti will conduct the Luigi Cherubini Orchestra in a concert with music by Schubert. When he composed the Ouverture D591, Schubert was merely twenty years old and referenced explicitly the work of Italian composer Gioachino Rossini. There’s much of Rossini in it, starting with the famous crescendo in fortissimo, then the vivacity of rhythm, overall liveliness, the quickness of musical competence. A declaration of respect and admiration for Rossini and for Italy on part of Muti, and we believe this choice means more than it looks like: Symphony D944 was dubbed La Grande not only as a description, but as a heartfelt auspice expressed in musical form. A light shining on the future. Riccardo Muti & Orchestra Giovanile Luigi Cherubini 12 luglio Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it
PALAZZETTO BRU ZANE 8 luglio h. 19.30
Clarinetto da concorso
FRANÇOIS LEMOINE clarinetto ELOÏSE BELLA KOHN pianoforte In epoca romantica i fiati dovettero lottare per essere accettati nei salotti e avere diritto a un repertorio di musica da camera scritto apposta per loro. È attraverso la didattica musicale che vedono la luce i primi pezzi, in particolare i brani da concorso composti specificamente per la valutazione degli allievi del Conservatorio parigino. Fu così che, durante la Belle Époque, a diversi vincitori del Prix de Rome furono commissionati pezzi in cui le sfide tecniche si accompagnano all’espressività che ci si aspetta da un futuro concertista. Wind instruments had to struggle during the Romantic era to be admitted into the salons and benefit from a chamber music repertoire of their own. It was therefore through musical education that these works came into being. Several Prix de Rome winners of the Belle Époque were thus commissioned to write pieces for clarinet and piano in which the technical challenges were in keeping with the expressiveness expected of a future concert performer. 13 luglio h. 19.30
Trii con pianoforte
TRIO AMATIS Nell’Ottocento il trio con pianoforte è uno dei generi musicali più in voga, con un repertorio che si avvicina per qualità e quantità a quello del quartetto per archi. Se Max d’Ollone compose tardivamente il suo unico trio, Debussy approfittò di un soggiorno a Fiesole da lui effettuato intorno al 1880, quando si stava preparando a partecipare al concorso. Anche Pierné e Lili Boulanger si cimentarono in questo genere e perfezionarono la loro conoscenza della scrittura per archi e pianoforte nel corso dei rispettivi soggiorni romani, nel 1882 e nel 1913. The piano trio was one of the of the nineteenth century’s most popular genres, and its repertoire was second in quantity and quality only to that of the string quartet. While d’Ollone composed his only trio late in his career, Debussy took advantage of his Italian visit in Fiesole around 1880 to write his own trio while preparing to compete for the Prix de Rome. Pierné and Lili Boulanger perfected their skills in writing for strings and piano during their stays in Rome. bru-zane.com
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classical
JONAS KAUFMANN
OPERA, FESTIVAL
Inni sacri Verdi omaggia Manzoni con un grandioso capolavoro
Nell’ambito della rassegna Arena Opera Festival 2021, il 18 luglio arriva nello storico anfiteatro veronese il Requiem di Giuseppe Verdi, considerato il capolavoro sinfonicocorale del compositore. La direzione è affidata a Speranza Scappucci, artista che calca i maggiori palcoscenici internazionali, attuale direttrice musicale dell’Opéra Royal de Wallonie di Liegi, prima direttrice italiana a condurre l’Orchestra dell’Opera di Vienna. Il cast è internazionale con protagonisti il soprano Hibla Gerzmava, il mezzosoprano Clèmentine Margaine, il tenore Piero Pretti e il basso Michele Pertusi. Verdi compose nel 1874 il Requiem e lo dedicò ad Alessandro Manzoni, morto un anno prima. Il compositore ammirava molto Manzoni, che si era impegnato per l’Unità d’Italia e condivideva con Verdi stesso i valori del Risorgimento, di giustizia e libertà. La sua morte gli fornì, dunque, l’occasione per realizzare il progetto di un’intera messa a lui dedicata. Il Requiem fu eseguito per la prima volta in occasione del primo anniversario della morte di Manzoni, il 22 maggio 1874, nella Chiesa di San Marco a Milano con la direzione dello stesso Verdi: ebbe un esito trionfale. Nonostante non abbia mai fatto mistero della sua visione atea e anticlericale, Verdi con il Requiem ha composto un grandioso capolavoro di musica sacra, ricco di sentimenti religiosi e carico di grande spiritualità, che confrontandosi col mistero della morte evoca riflessioni filosofiche sul senso della vita. Katia Amoroso
Giuseppe Verdi’s Requiem, considered the composer’s symphonic-choral masterpiece, will be represented at the historic Verona amphitheater on July 18 as part of the Arena Opera Festival 2021. The direction is entrusted to Speranza Scappucci, an artist who runs the major international stages, current music director of the Opéra Royal de Wallonie in Liège, the first Italian conductor to conduct the Vienna Opera Orchestra. The international cast stars soprano Hibla Gerzmava, mezzo-soprano Clémentine Margaine, tenor Piero Pretti and bass Michele Pertusi. Verdi composed the Requiem in 1874 dedicating it to Alessandro Manzoni, who had died a year earlier. The composer greatly admired Manzoni, who had committed himself to the Unity of Italy and shared with Verdi himself the values of the Risorgimento, justice and freedom. His death provided him with an opportunity to carry out the project of a whole mass dedicated to him. The Requiem was first performed on the occasion of the first anniversary of Manzoni’s death on May 22, 1874, with a triumphal success. Although Verdi has never hidden his atheist and anticlerical vision, by composing the Requiem he actually created a grandiose masterpiece of sacred music, rich in religious feelings and full of intense spirituality. By facing the mystery of death this opera recalls philosophical reflections on the meaning of life. Requiem di Giuseppe Verdi 18 luglio Arena di Verona www.arena.it
«Ascoltare musica è godere dell’armonia cosmica». Parole del tenore tedesco Jonas Kaufmann, classe 1969 ed un curriculum strabiliante, tra gli artisti più celebri al mondo nel suo campo e protagonista della serata di Gala del 17 agosto all’Arena di Verona. Un repertorio di arie liriche irrinunciabili, in cui il nostro sarà accompagnato dalla soprano Martina Serafin e dal direttore d’orchestra Jochen Rieder, suo connazionale, in uno degli appuntamenti di punta del cartellone del 98esimo festival estivo areniano. Un colpo da maestro quello dell’anfiteatro veronese, capace di includere nel proprio programma uno dei nomi più contesi del panorama lirico, impaziente di incontrare il pubblico di una delle ribalte più celebri al mondo. “Listening to music is enjoying cosmic harmony”. Words by Jonas Kaufmann, one of the most famous tenors in the world and protagonist of the Gala night on August 17 at the Arena di Verona. He will present a repertoire of famous opera arias together with the soprano Martina Serafin and the German conductor Jochen Rieder, his compatriot, in one of the top events of the 98th Arena Summer festival. 17 agosto Arena di Verona
ROBERTO BOLLE AND FRIENDS Dopo lo straordinario successo di vendite di martedì 3 agosto, già sold out, la Fondazione Arena di Verona ha comunicato con gioia il raddoppio della data del Gala di danza, la sera precedente. L’Étoile e i suoi Friends, i migliori danzatori della scena internazionale, incanteranno l’Arena con un gala tutto nuovo che ogni anno mescola sapientemente balletto classico, moderno e contemporaneo, tra effetti speciali e nuove tecnologie. Un evento speciale che con tutta la sua energia ed emozione saprà regalare una serata davvero indimenticabile per stupire, appassionare, commuovere e divertire un pubblico trasversale in un palcoscenico unico al mondo. As the show scheduled on Tuesday 3 August is already sold out, the Fondazione Arena di Verona has announced a new date for the 2nd August. L’Étoile and his Friends will enchant the Arena with a gala that expertly mixes classical, modern and contemporary ballet through special effects and new technologies. A special event that will offer the audience of a stage unique in the world an unforgettable evening. 2, 3 agosto Arena di Verona
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VACANZE A TEATRO
Theatre Holidays
I teatri riaprono, le città tornano ad essere vive!
theatro
Gianpiero Beltotto
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Arlecchino Furioso
A CIELO APERTO
di Chiara Sciascia
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anto attesa, e mai così sospirata come dopo quest’anno di sale chiuse, la stagione Estiva del Teatro Stabile del Veneto è finalmente partita con l’inebriante energia di un nuovo inizio. Il Teatro Goldoni ha infatti risollevato il sipario a giugno con il ritorno dal vivo della coppia Ugo Pagliai e Paola Gassman in Romeo e Giulietta di Babilonia Teatri, accolto con grande entusiasmo dal pubblico veneziano e seguito dall’originale rilettura de La bisbetica domata di Andrea Pennacchi. A luglio l’Estiva veneziana prosegue con Tutta la vita (22 e 23) della compagnia Amor Vacui, una co-produzione del Teatro Stabile del Veneto con La Piccionaia e Fondazione Teatro Metastasio, e il ritorno dell’Arlecchino Furioso (28, 29 luglio), prodotto sempre dallo Stabile Veneto con la compagnia Stivalaccio Teatro. Se la compagnia padovana Amor Vacui, diretta da Lorenzo Maragoni, invita il pubblico ad un momento di intima riflessione con Tutta la vita, primo capitolo di una trilogia che si interroga su dilemmi esistenziali sempre più trascurati in un’era liquida e vorace, il furioso Arlecchino di Giorgio Sangati ci riporta tra lazzi e sollazzi con uno spettacolo ideato per un pubblico internazionale, che si rifà alla Commedia dell’Arte, recitato con varietà di lingue e dialetti, arricchito dall’uso delle maschere, dei travestimenti, dei duelli, dei canti, delle musiche e delle pantomime. Ma anche il Teatro Verdi di Padova si dà all’Estiva, che porta sul palcoscenico i giovani talenti con una rassegna di sei titoli prodotti e co-prodotti dal Teatro Stabile del Veneto in collaborazione con registi e compagnie emergenti del territorio e la partecipazione degli attori della Compagnia Giovani e del terzo anno dell’Accademia Carlo Goldoni. In cartellone: la trilogia di Tommaso Fermariello Abitare lo specchio (1-10 luglio), che segue il viaggio di una donna attraverso l’infanzia, fino al ritorno a casa e alla violenza per sciogliere i nodi della propria esistenza; la commedia shakespeariana Misura per Misura diretta da Andrea Chiodi (12-17 luglio); No Look della compagnia Matricola Zero, una storia di calcio al femminile ambientata in un paesino della Riviera del Brenta (19-21 luglio); la commedia goldoniana I pettegolezzi delle donne, vivace concerto di voci, dialetti, linguaggi portato in scena da Giuseppe Emiliani; il sopracitato Tutta la vita di Amor Vacui (26-28 luglio); e, infine, Le operette morali di Leopardi che Giorgio Sangati restituisce in delirante varietà alla Monty Python (29-31 luglio).
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o long we had been waiting for it, especially after the longest theatre shutdown ever, the summer season by Teatro Stabile del Veneto is ready to set off with exhilarating energy. Goldoni Theatre had been open since June with Ugo Pagliai and Paola Gassman in Romeo e Giulietta, a production of Babilonia Teatri, followed by a curious rewriting of the Taming of the Shrew by Andrea Pennacchi. In July, the programme goes on with Tutta la vita (July 22 and 23) by company Amor Vacui, and the Arlecchino Furioso (July 28, 29). Tutta la vita is an intimate reflection, the first chapter of a trilogy on existential drama. The Arlecchino is a merry, jocular show that caters to an international audience – a popularization of the Commedia dell’arte tradition, written in different languages and dialects, it contains masks, disguise, duels, songs, music, and pantomime. The Verdi Theatre, in Padova, opens its summer season with six shows (co-)produced by Teatro Stabile del Veneto, starting off with a trilogy by Tommaso Fermariello, Abitare lo Specchio (July 1-10), the journey of a woman from her childhood to her coming back to family home, followed by a production of Measure for Measure directed by Andrea Chiodi (July 12-17); No Look, a local story on female soccer (July 19-21); I pettegolezzi delle donne by Goldoni; the aforementioned Tutta la vita (July 26-28); and, lastly, Leopardi’s Operette morali (Small Moral Works), a set of essays and fictional conversations that Giacomo Leopardi authored between 1824 and 1832, here rendered by director Giorgio Sangati in nonsense style à la Monty Python (July 29-31). Estiva 2021 Teatro Goldoni e Teatro Verdi www.teatrostabilveneto.it
L’uomo dal fiore in bocca
È un’estate di spettacolo e divertimento per tutti quella offerta dal Settore Cultura del Comune di Venezia che, in collaborazione con Arteven, Dal Vivo e mpg.cultura, ha messo a punto un palinsesto ricco di appuntamenti fino al 16 settembre. È sempre una bella stagione è la rassegna che tra luglio e agosto coinvolge tre palcoscenici a cielo aperto: il giardino del Teatrino Groggia a Sant’Alvise e Campo San Polo a Venezia, insieme a Parco Bissuola a Mestre, dove dal 26 al 29 agosto sarà allestito ad hoc un vero e proprio tendone da circo che ospiterà spettacoli per tutta la famiglia. La rassegna veneziana si apre il 9 luglio al giardino del Teatrino Groggia con Odisseo. Racconto di un’ePOPea, spettacolo avvincente e ricco di colpi di scena di Mario Gonzalez e Carlo Decio; mentre il 10 luglio, a pochi giorni dal 25esimo anniversario della strage di via D’Amelio, Teatro Boxer presenta Borsellino, l’intenso ritratto di Paolo, l’uomo dietro il magistrato. Chiude la programmazione a Sant’Alvise T.O.M, tales of me, reading-spettacolo di teatro danza di Stefano Pettenella, ispirato alla figura leggendaria di Tom Waits e alla sua musica “bastarda”. A fine agosto le luci della ribalta si accendono sui masegni di Campo San Polo con il musical Una bionda in carriera (29) portato in scena dall’Accademia musicale G. Verdi di Venezia in collaborazione con Theama Teatro e CMT Musical Theatre Company. Il 30 agosto, Lucrezia Lante della Rovere è la Donna Vestita in Nero, la moglie silenziosa e dolente dell’Uomo dal fiore in bocca che trova finalmente voce in uno spettacolo toccante e delicato; infine, il 31, Massimo Cotto presenta il suo nuovo Decamerock, un piccolo omaggio a L’ultimo giorno di sole dell’amico Giorgio Faletti con musiche dal vivo di Francesco Santalucia. Tutti gli spettacoli sono ad ingresso gratuito previa prenotazione a partire da cinque giorni prima dell’evento sul sito www.culturavenezia.it. 87
theatro RASSEGNE
Esplorazioni e scoperte Del ricco programma di Operaestate Festival numero 41, dedicato al tema delle Ecologie del Presente – cioè le esplorazioni delle relazioni uomo/natura, uomo/scienza, uomo/uomo attraverso la forza dei linguaggi artistici – diamo qualche suggerimento, tra danza e teatro, nel tentativo di restituire la varietà delle proposte – molte prime nazionali – senza scadere nel mero “elenco di cose”. Segnatevi, quindi, il 17 luglio, ché va in scena il trittico di Aterballetto: Alpha Grace, duetto costruito intorno al gesto impossibile dell’ultimo anno, l’abbraccio; Another Story, una riflessione sull’empatia e Secus, creazione di Ohad Naharin che unisce suoni elettronici e melodie indiane alle armonie dei Beach Boys. Il 22 tocca a Swans: nel centenario della morte di Camille Saint Saens, artisti diversi lavorano all’assolo La morte del cigno come a un campo di sperimentazione, tra reinvenzione e citazione, tra storia e memoria. Spazio poi a Love Poems, il 29 luglio, trittico di coreografie ispirate all’amore, interpretate dai danzatori della compagnia MM Company e a Teenmotion, il 31 luglio, creazione inedita
di Adriana Borriello per il gruppo di giovani danzatrici del progetto LIFT, programma di formazione e accompagnamento alla professione attivato da Operaestate festival e dal CSC Centro per la Scena Contemporanea. Il 30 luglio ci sono i Babilonia Teatri con Mulinobianco, testo che riflette sull’impossibilità di trovare un sano equilibrio tra naturale e artificiale, dicotomia impossibile da gestire: da una parte la modernità, dall’altra le tradizioni, l’orto dietro casa, il biologico, la marmellata fatta in casa... E noi nel mezzo. Il 3 agosto la Compagnia Sud Costa Occidentale di Emma Dante porta in scena Misericordia, un potente inno alla vita in una favola contemporanea sulla fragilità delle donne e la loro sconfinata
solitudine: Anna, Nuzza e Bettina, crescono, come se fosse loro, Arturo, figlio dell’amica Lucia, nato dalla relazione violenta con il falegname “Geppetto”, fino all’inevitabile distacco finale. Earthbound ovvero la storia delle Camille è un monologo di fantascienza per attrice e pupazzi di Marta Cuscunà, che racconta di una colonia di umani a cui sono stati impiantati i geni di creature in via d’estinzione con il duplice scopo di conservarne la specie e favorire l’adattamento dell’uomo con l’ambiente naturale, il 24 agosto. Livia Sartori di Borgoricco 41. Operaestate Festival Bassano e Comuni della Pedemontana Veneta www.operaestate.it
Vette mozzafiato Il grande spettacolo e l’immensa bellezza delle Dolomiti sono gli ingredienti della seconda edizione di CortinAteatro, stagione concertistica e teatrale co-organizzata dal Comune di Cortina d’Ampezzo e dall’associazione Musincantus con la collaborazione del Teatro Stabile del Veneto, che torna ad animare l’estate della Regina delle Dolomiti dal 17 luglio al 10 settembre con sedici appuntamenti che incrociano musica classica, lirica, jazz, teatro musicale e teatro di prosa, impreziosita da spettacolari adattamenti site-specific. Dall’inaugurazione della rassegna, il 17 luglio, con il concerto Tandem del “duo delle meraviglie” formato da Fabrizio Bosso e dal vulcanico pianista Julian Olivier Mazzariello, sono diversi i momenti dedicati alla musica: si celebra Giuseppe Verdi nel 120simo anniversario della morte con un concerto-omaggio (25 luglio) che vede protagonisti il tenore Fabio Sartori, il basso Riccardo Zanellato e l’attrice Lella Costa, accompagnati dall’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta, che stupirà il pubblico anche con un altro speciale concerto in quota 88
Photo Antonella Aresta
sulla parete Ovest delle Cinque Torri al Rifugio Scoiattolo, in una sinfonia di musica e fuochi d’artificio (3 agosto). Tra i boschi delle Tofane vanno invece in scena due favole musicali dedicate alle famiglie, Pierino e il lupo e Il Carnevale degli animali, rispettivamente il 27 luglio e il 24 agosto. Novità di quest’anno le masterclass di Canto lirico e di Corno si concluderanno con la restituzione pubblica degli allievi in Piazza Angelo di Bona (25, 27 agosto). Il Teatro Stabile del Veneto torna a Cortina
con due co-produzioni: La bisbetica domata, adattamento in chiave pop della commedia shakespeariana firmata da Andrea Pennacchi con Teatro Bresci (31 luglio), e a chiudere la rassegna il 10 settembre, Romeo e Giulietta. L’amore è Saltimbanco, scrittura originale di Marco Zoppello che ne è anche regista, coprodotta con Stivalaccio Teatro. CortinAteatro 17 luglio-10 settembre Cortina d’Ampezzo www.cortina2021.com
TRA ACQUE E CASONI Classici ma modernissimi Il Teatro illustre protagonista dell’Estate veronese
Spetta a L’Amleto à la Paolo Rossi inaugurare la 73. edizione dell’Estate Teatrale Veronese, che porta al Teatro Romano (ma anche al Chiostro di Santa Eufemia e, per la prima volta, al Museo Maffeiano e alla Tomba di Giulietta) un programma il più possibile simile alla normalità, che supera alcuni vincoli della scorsa edizione: più posti a sedere, più repliche, più attori in scena. Ad inaugurare la rassegna (2 e 3 luglio) è, appunto, Paolo Rossi in scena in prima nazionale con una sua riscrittura del dramma shakespeariano che lo trasforma in manifesto di un teatro popolare di rinascita e ricerca, in un mix di comicità e dramma. Altra prima nazionale, 8 e 9 luglio, quella di Sogno di una Notte di Mezza Estate: Giorgio Sangati dirige gli attori della Compagnia Giovani del Teatro Stabile del Veneto, perfetti interpreti di un testo corale in cui proprio la giovinezza (e i suoi labili confini) è la protagonista indiscussa. Il 12 luglio si torna ad Amleto con The Mistery of Hamlet: non un film, non un concerto né un recital, ma una piccola opera complessa, esperimento scenico di Fabrizio Arcuri. Elemento centrale è la proiezione del film muto danese Hamlet del 1921 con l’attrice Asta Nielsen, sonorizzata da un quartetto di musicisti provenienti da Afterhours, Verdena e
Teatro degli Orrori e accompagnata dalla voce di Filippo Nigro. Spazio alle Allegre comari di Windsor il 20 luglio, la scrittura di Edoardo Erba e la regia di Serena Sinigaglia riadattano, tagliano e montano con ironia la commedia, innestando brani suonati e cantati dal vivo dal Falstaff di Verdi. Il 27 Alessandro Preziosi guarda a un altro grande classico del Bardo, Otello, scegliendo il punto di vista inedito di Cassio, catturato nel mezzo di un triangolo amoroso di cui non è minimamente consapevole. È Otello. Dalla parte di Cassio. Due gli appuntamenti nel mese di agosto: il 24 va in scena Il teatro comico da Goldoni, un testo meta teatrale estremamente moderno nella sua concezione, una riflessione sul mestiere dell’attore e sulle sue difficoltà, sul teatro e sulle sue poetiche, con Giulio Scarpati e la regia di Eugenio Allegri; il 27 spazio a Gli Uccelli – Un’utopia, rilettura in chiave “pandemica” del classico di Aristofane per la regia di Stefano Scherini: una commedia che assomiglia a una favola, per mantenere la giusta leggerezza senza perdere la possibilità di una riflessione sulla società e su cosa stia diventando. Livia Sartori di Borgoricco
Un viaggio attraverso mondi lontani, storie coinvolgenti, con protagonisti noti e amati come Marco Paolini, Andrea Pennacchi, César Brie. Dall’1 all’11 luglio, la dodicesima edizione di Scene di paglia – Festival dei casoni e delle acque, progetto che nasce dall’intesa di sei Comuni della provincia di Padova – Piove di Sacco, Arzergrande, Brugine, Codevigo, Legnaro, Sant’Angelo –, con la collaborazione del Consorzio di Bonifica del Bacchiglione, sotto la direzione artistica di Fernando Marchiori, si conferma di respiro nazionale, esempio concreto del fare rete attraverso la cultura e oltre i confini fisici. Il Festival porta in scena quindici spettacoli nei luoghi più significativi della Saccisica, terra ricca di fascino e di storia, tra la campagna padovana e la laguna di Venezia, valorizzando e facendo conoscere questo territorio attraverso palcoscenici davvero unici e atipici. L’edizione 2021, dal titolo Corpi Anticorpi si sviluppa attorno tematiche di estrema attualità come il dialogo tra diversità, inclusività, diritti, lavoro, alla ricerca degli “anticorpi” della società contro le discriminazioni, le chiusure, le paure. Il programma restituisce un’indagine interessante sui diversi linguaggi delle arti sceniche: musica, prosa, teatro, danza e un laboratorio aperto al pubblico. Ad aprire il Festival, I figli della frettolosa di Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari, in scena al Casone Ramei il primo luglio, uno spettacolo che integra il lavoro del teatro alla vita della comunità, che mette insieme attori professionisti e cittadini comuni; seguono prime assolute come Una Ballata del Mare Salato del regista argentino César Brie o monologhi teatrali come R.R., dove narratore e personaggi evocati interagiscono con riprese video e proiezioni, nel tipico approccio multimediale alla scena che caratterizza Farmacia Zoo:È. Elisabetta Gardin
73. Estate Teatrale Veronese Teatro Romano-Verona www.estateteatraleveronese.it
Scene di Paglia – Corpi Anticorpi 1-11 luglio www.scenedipaglia.net
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IL CONFINE CONDIVISO Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone. Mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d’accordo con una minoranza Nanni Moretti
cinema
di F.D.S.
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anni Moretti presto potrebbe diventare l’unico ‘fuoriuscito’ italiano ancora accolto in Francia. Non è uno scherzo: ai tempi di Habemus Papam, l’ambasciatore francese in Italia motivò la concessione – fino a lì sempre negata – di Palazzo Farnese, sede dell’ambasciata, per le riprese del film con il conferimento a Moretti di una specie di ‘asilo’ da parte del governo francese. La Francia ha sempre adorato Moretti: che fosse il primo Moretti allucinato cantore dei riti vuoti e parolai della sinistra, o il Moretti nevrotico megalomane di Bianca e Sogni d’oro, oppure il Moretti sobrio narratore dei drammi di una borghesia che ancora non ha perso la fiducia nel logos (vent’anni fa La stanza del figlio vinse la Palma d’Oro), le elites culturali francesi hanno fatto di Moretti il regista italiano più affine ai loro gusti e, soprattutto, hanno fatto in modo di identificare Moretti con il cinema italiano in assoluto. Il regista romano li ha ripagati con eguale affetto, e ben sette dei suoi tredici lungometraggi hanno partecipato al Festival di Cannes, di contro ad una sola partecipazione al Festival di Venezia (Sogni d’oro nel 1981, che vinse sì il Leone d’Argento, ma che fu al contempo anche oggetto di una delle più feroci critiche da parte del sommo Sergio Leone: «Fellini 8 ½ m’interessa, Moretti 1 ¼ no»). Non stupisce allora (e tutte le fiere rimostranze apparse sui giornali patrii per la scelta anti-italiana appaiono solo latrati di cani rabbiosi…) che anche Tre piani, l’ultimo film di Moretti, sia stato da Cannes selezionato per la prossima edizione nell’inedita finestra temporale dal 6 al 17 luglio. Edizione che arriva dopo il blocco dell’anno scorso e che si presenta,
almeno sulla carta, davvero glam ed invincibile: oltre il 20% in più dei titoli rispetto al 2019, un vero parterre des rois per i 24 film in Concorso (oltre a Moretti, ci saranno Leos Carax, Wes Anderson, Apichatpong Weerasethakul, già vincitore a Cannes nel 2010, Sean Penn, Jacques Audiard, Asghar Farhadi, Mia Hansen-Love, Paul Verhoeven, senza dimenticare la Palma d’Oro alla carriera a Marco Bellocchio), Fuori Concorso come l’attesissimo film di Todd Haynes sui Velvet Underground e Oliver Stone che rivisita il suo JFK, proiezioni sulla spiaggia, nuove sale, eventi mondani, una attenzione massima all’ambiente e al risparmio di emissioni nocive (ma i divi arriveranno lo stesso con i loro jet privati?). «Everyone wants to show their films at Cannes»: così ha detto Thierry Fremaux, il direttore del Festival, intervistato da «Variety». E in effetti la grandeur, l’arrogance (la condizione capestro per i film di Netflix: partecipare solo fuori competizione, regola che ovviamente Netflix rifiuta e quindi continua ad essere assente), la force de frappe (il diktat dell’anno scorso di mettere il bollino “Selezione ufficiale di Cannes” a 56 film selezionati per un Festival che non si è mai tenuto), sono tutti fondamentali aspetti di una rassegna che più e meglio di tutte le altre è espressione di un punto di vista forte, di una visione condivisa da un’intera nazione sul cinema e sul suo futuro. Il cinema è un’industria verticale di cui le sale sono una parte decisiva e rompere questa catena potrebbe avere effetti devastanti… 74. Festival de Cannes 6-17 luglio, Cannes-France festival-cannes.com
FLAG DAY
Nanni Moretti e Margherita Buy
Sean Penn Tratto dal libro biografico di Jennifer Vogel Flim-Flam Man: The True Story of My Father’s Countrefeit Life e ispirato ad una storia vera, vede al centro del racconto una figlia che deve affrontare i problemi causati da un padre che la ama, ma che vive una doppia vita come rapinatore di banche, truffatore e falsario, sfuggito al carcere per mesi. Oltre a dirigere il film, Sean Penn figura anche tra i protagonisti insieme ai suoi due figli Hopper e Dylan Frances Penn. Del cast del film fanno parte anche Josh Brolin, Miles Teller, Katheryn Winnick, Norbert Leo Butz, Dale Dickey, Eddie Marsan e Bailey Noble.
THE FRENCH DISPATCH
TRE PIANI, Nanni Moretti
Sean Penn e Dylan Frances Penn, FLAG DAY
Wes Anderson Frances McDormand, Tilda Swinton, Benicio Del Toro e Adrien Brody. Aggiungiamo poi personaggi che hanno già collaborato con Anderson in passato tra cui Bill Murray, Owen Wilson, Léa Seydoux e Mathieu Amalric ma anche nuove ‘leve’ come Timothée Chalamet, Jeffrey Wright, Lyna Khoudri e Stephen Park. Il film è la trasposizione cinematografica di alcuni racconti contenuti all’interno di una nota rivista americana, pubblicata in una città immaginaria della Francia del ventesimo secolo: in seguito alla morte del direttore, il team editoriale decide di pubblicare un’edizione finale, mettendo in evidenza le tre storie più interessanti del decennale della rivista.
TOUT S’EST BIEN PASSÉ
TOUT S’EST BIEN PASSÉ, François Ozon
THE FRENCH DISPATCH, Wes Anderson
François Ozon Il film diretto da Ozon racconta la storia di André (André Dussollier), un uomo di 85 anni che, dopo aver avuto un ictus, viene ricoverato. Sua figlia Emmanuelle (Sophie Marceau), saputa la notizia, piomba in ospedale, dove trova suo padre malato e quasi paralizzato, immobile sul letto della clinica. L’uomo chiede a sua figlia di dargli una mano; è deciso, infatti, a mettere fine alla sua vita per sempre. La donna si ritrova così in una situazione difficile: accettare la richiesta del genitore e non vederlo mai più, non assecondare il suo desiderio. Riuscirà a mantenere fede alla promessa fatta al padre? 91
cinema PREVIEWS & VIEWS
Voci dal Lido Qualche anticipazione e molti rumors aspettando Venezia 78
DUNE, Denis Villeneuve
Il programma della Mostra del Cinema sarà svelato a fine luglio. Non possiamo farci niente, il numero estivo di questo magazine (luglio-agosto) esce sempre un mese prima della conferenza stampa di presentazione, quando ancora si sa poco dei film e delle star che sbarcheranno al Lido. Sappiamo però già da un po’ che a presiedere la giuria internazionale del concorso sarà Bong Joonho, il regista coreano che nella notte degli Oscar del 2020 (era il 24 febbraio) ci aveva fatto assistere ad uno degli ultimi assembramenti cinematografici pre-pandemia, con la nutrita delegazione di Parasite riunita sul palco del Dolby Theatre a ritirare il premio al miglior film. «In virtù della sua esuberanza e irruenza» (Barbera), e non solo, sappiamo che sarà Roberto Benigni a ritirare uno dei premi alla carriera di questa 78. edizione. Non proprio un habitué del Lido, l’ultima apparizione dell’attore e regista toscano alla Mostra risale al 2016, quando si esibì in un appassionato 92
monologo in omaggio a Paolo Villaggio in occasione della presentazione del docufilm di Mario Sesti La voce di Fantozzi. . La Mostra celebra anche la carriera di Jamie Lee Curtis (Una poltrona per due, Un pesce di nome Wanda, True Lies). L’attrice statunitense riceverà il premio l’8 settembre prima della proiezione di Halloween Kills, secondo capitolo dell’horror diretto da David Gordon Green con John Carpenter fra i produttori. Dopo Alessandra Mastronardi e Anna Foglietta, sappiamo anche che la conduzione delle serate di apertura e chiusura sarà nelle mani di Serena Rossi. Già a Venezia nel 2017 nel cast di Ammore e malavita (Manetti Bros.), l’attrice napoletana è forse più conosciuta al grande pubblico per la sua interpretazione di Mia Martini per la Rai: un talento canoro (è sua la voce di Anna in Frozen), oltre che attoriale. Sappiamo poi che sarà a Venezia fuori concorso Dune, diretto dal regista canadese Denis Villeneuve. Prodotto dalla Warner Bros., il film trasferisce sullo schermo una parte dell’o-
monimo romanzo di Frank Herbert del 1965, primo capitolo di uno dei cicli di maggior successo della letteratura fantascientifica. Un vero regalo della Mostra agli appassionati del genere. In concorso invece potrebbero esserci The Power of the Dog della regista neozelandese Jane Campion, con Benedict Cumberbatch e Kirsten Dunst, e The Hand of God di Paolo Sorrentino, con protagonista Toni Servillo. Nonostante il titolo sia un chiaro riferimento a Maradona, non si tratterebbe di un biopic sul calciatore argentino recentemente scomparso, ma di un film che ripercorre gli anni giovanili del regista napoletano. Sembra molto probabile anche la presenza di Gabriele Mainetti che consacrerebbe così la sua vocazione al superhero movie all’italiana portando al Lido Freaks Out, ambientato nella Roma di epoca fascista. Le notizie, passate da «Variety», non sono state però ancora confermate dalla Biennale. E poi c’è tutto quello che non sappiamo. Non sappiamo… ma ci piacerebbe molto che al Lido arrivasse Steven Spielberg con il remake di West Side Story. Pare che, rispetto alla prima trasposizione diretta da Robert Wise nel 1961, Spielberg sia rimasto più fedele all’originale di Leonard Bernstein e Stephen Sondheim. Il trailer del film (che uscirà nelle sale americane il prossimo 10 dicembre e il 16 in quelle italiane) è stato lanciato durante gli Oscar 2021 ed è ora disponibile online. Un piccolo consiglio: guardatelo! E a proposito di musical, la serie dedicata alla vita di Lady D, Diana: A True Musical Story, sarà disponibile su Netflix dal 1° ottobre, anticipando di qualche mese la première teatrale a Broadway. Non ci dispiacerebbe vederne il primo episodio in anteprima in Sala Grande. Non sappiamo poi se sul tappeto rosso saliranno Pierfrancesco Favino, Kasia Smutniak e Nanni Moretti, protagonisti de Il colibrì, il film tratto dall’omonimo romanzo di Sandro Veronese e prodotto da Fandango e Rai Cinema che Francesca Archibugi sta girando proprio in queste settimane tra Roma, Parigi e Firenze. E non sarebbe poi magnificamente diaboliko se al Lido tornassero i rutilanti Manetti Bros. insieme a Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastandrea? Marisa Santin
CINEFACTS a cura di Marisa Santin
Give Peace a Chance 4 film sul conflitto israelo-palestinese
Dopo dodici anni consecutivi e quindici complessivi alla guida del Paese, si è chiusa Il 13 giugno scorso l’era di Benjamin Netanyahu. Dal 2016 il Primo Ministro israeliano era indagato per corruzione e abuso di ufficio e il processo a suo carico è tuttora in corso. A nulla è valso il suo tentativo di ottenere l’immunità parlamentare prima delle votazioni del 23 marzo, le quarte per gli israeliani in meno di due anni. Naftali Bennet, leader del partito della Nuova Destra, siede ora al suo posto, alla guida di una coalizione debole che oscilla dall’estrema destra alla sinistra pacifista. Il cambio al vertice avviene a un mese dalla ripresa delle ostilità fra israeliani e palestinesi. Dal 10 maggio scorso il conflitto ha raggiunto in pochi giorni un’intensità che non si vedeva dalla guerra del 2014, con raid aerei e lanci di razzi fra Israele e i gruppi armati palestinesi. Prima del cessate il fuoco sostenuto dalla diplomazia internazionale, i bombardamenti hanno colpito centinaia di civili, uccidendo più di sessanta bambini, soprattutto nella Striscia di Gaza. L’Unicef parla anche di più di 100mila sfollati e di decine di abitazioni ed edifici scolastici devastati.
Ana Arabia
di Amos Gitai (2013) La telecamera segue, in un unico piano sequenza di 84’, i passi di una giornalista che si aggira in un piccolo quartiere alle porte di Jaffa. La storia che sta cercando di raccontare riguarda una donna ebrea che, dopo essere sopravvissuta ad Auschwitz, aveva sposato un uomo arabo trasferendosi in questa enclave di convivenza tra ebrei e palestinesi. Attraverso le parole delle persone intervistate, il regista israeliano offre una particolare angolazione dalla quale osservare i segni tangibili e quotidiani del protrarsi di rivalità e odio fra i due popoli.
Miral
di Julian Schnabel (2010) Presentato a Venezia nel 2010, il film dell’artista newyorkese è tratto dal libro La strada dei fiori di Miral di Rula Jebreal, in cui la giornalista e scrittrice italo-palestinese, nata a Haifa e cresciuta in Israele, racconta di un’intera generazione divisa tra lotte e aspirazioni di pace. La trama, in parte autobiografica, si svolge in una Gerusalemme dilaniata dai contrasti ma ancora capace di generare storie di amicizia e amore. Come la scuola fondata da Hind Husseini nel 1948 per dare istruzione alle bambine vittime dell’occupazione, nella quale la stessa Jebreal, orfana di madre, afferma di aver trovato una seconda famiglia.
Valzer con Bashir di Ari Folman (2008)
Ispirato a fatti reali, il film d’animazione di Ari Folman racconta la discesa di un uomo nell’inferno della guerra attraverso il riaffiorare di ricordi rimossi. Veterano egli stesso dell’esercito israeliano, Folman cerca di ricostruire nella sua memoria i pezzi mancanti del periodo trascorso in Libano nel 1982, durante le operazioni di pattugliamento notturno nei campi profughi palestinesi. La drammaticità delle scene, resa attraverso un’animazione cupa e rarefatta, si affianca alla potenza delle immagini reali che il regista sceglie di utilizzare alla fine del film.
Paradise Now
di Hany Abu-Assad (2005) La trama si sviluppa attorno alla storia di Khaled e Said, amici fin dall’infanzia, inviati a compiere un attentato suicida a Tel Aviv. Menzione d’onore al Festival di Berlino 2005 e vincitore di un Golden Globe per il miglior film straniero nel 2006, Paradise Now mantiene una linea di lucido equilibrio fra le parti interrogandosi su quali siano davvero i carnefici e quali le vittime di questo interminabile e sanguinoso conflitto che da decenni dilania i territori israelo-palestinesi. 93
I SENTIERI DELL’ANIMA Un labirinto è un edificio costruito per confondere gli uomini; la sua architettura, ricca di simmetrie, è subordinata a tale fine
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Jorge Louis Borges
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Photo Matteo De Fina, Courtesy of Fondazione Cini
di Fabio Marzari
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rattando di un labirinto
dedicato ad un grande scrittore, Jorge Luis Borges, non si possono trascurare le fonti letterarie che riconducono ad esso. Il giardino dei sentieri che si biforcano è il racconto cui è ispirato il senso stesso del labirinto sull’isola di San Giorgio Maggiore. Si narra la vicenda del professore cinese Yu Tsun, una spia al servizio della Germania, che vive in Inghilterra durante la Prima Guerra mondiale. Yu Tsun, scoperto e braccato dal capitano Richard Madden, non ha modo di comunicare la posizione dell’artiglieria britannica ai suoi superiori tedeschi. Escogita un piano, trova sulla guida telefonica il nome della sola persona che possa permettergli di trasmettere l’informazione: si tratta di Stephen Albert, uno studioso di lingua e letteratura cinese. Nel frattempo Yu Tsun riflette sul suo passato e sul suo antenato Ts’ui Pen, noto per due opere: un romanzo, apparentemente insensato, e la costruzione di un labirinto, che nessuno è mai riuscito a ritrovare. Si scopre che Albert, raggiunto da Yu Tsun, ha studiato proprio l’opera di Ts’ui Pen, e ne ha decifrato l’enigma: libro e labirinto da lui realizzati sono la stessa opera, Il giardino dei sentieri che si biforcano. Yu Tsun, a sorpresa, spara ad Albert e lo uccide. Solo alla fine si scopre il motivo dell’omicidio: la notizia dell’assassinio esce sui giornali e in Germania decifrano il messaggio, la località dove si trova l’artiglieria britannica è proprio la città chiamata Albert. La complessità dell’intreccio botanico del percorso – composto da oltre 3200 piante di bosso, piantate nel 2011 su progetto dell’architetto inglese Randoll Coate e per volere della vedova Borges, María Kodama, che desiderava ricordare l’amore del marito per Venezia – si sviluppa alle spalle dei due chiostri della Fondazione Cini e si snoda per circa un chilometro. A dieci anni dalla sua creazione, dopo trentacinque anni dalla scomparsa di Borges e nel 70esimo anniversario della Fondazione Giorgio Cini, il labirinto diventa interamente percorribile dall’interno, diversamente da quanto finora accaduto, in cui era data l’opportunità di ammirarne da una terrazza del Centro Branca le forme e i simboli di cui è ricco. Dall’alto esso si presenta come un libro aperto, costellato di rimandi alle opere del grande letterato argentino: un bastone, gli specchi, due clessidre, un enorme
punto di domanda, la tigre, il nome Jorge Luis e le iniziali di María Kodama. Inoltre le siepi sono disposte in modo da formare il nome Borges, come se fosse idealmente scritto sulle pagine di questo libro. Più che un labirinto tradizionale, in cui vagare tra alte mura di verde in cui viene stimolata la paura dello smarrimento e gli sforzi sono finalizzati al ritrovare l’uscita, si tratta di un percorso onirico colmo di suggestioni in cui, accarezzando gli arbusti, si entra in contatto con forme di spaesamento letterario, in cui i pensieri si dilatano e si mescolano come in un mixer dall’effetto positivamente lisergico, innocente e naturale. Non ci si può perdere, l’altezza degli arbusti di 90 cm delimita lo spazio fisico da quello mentale, per definizione non circoscritto, la via d’uscita è a portata di sguardo, ma si indugia volentieri tra curve e stretti passaggi. Il musicista Antonio Fresa ha composto una colonna sonora per accompagnare la visita del labirinto: Walking the Labyrinth è una suite in quattro movimenti, eseguita dall’orchestra del Teatro La Fenice, che come racconta l’Autore rappresenta «la metafora dell’esistenza che scorre al contrario, vissuta attraverso l’evaporazione, la solidità, il caos e l’origine della vita. L’evaporazione, la fine del respiro, è un brano costruito in sei quarti, come sei sono le pareti delle sale della biblioteca ideale immaginata da Borges. La solidità è la consapevolezza dell’età matura, la relazione con le proprie radici e con le radici di Borges, con l’Argentina e con il suo strumento: il bandoneon. Il caos è il labirinto, il centro della vita e il turbinio della ricerca di sé nell’età più acerba e irrequieta. Trae ispirazione da uno dei movimenti di Le tombeau de Couperin di Ravel e ha una suddivisione ternaria che invita a percepire il senso della ciclicità. La principale cellula melodica assume ogni volta risoluzioni diverse, proprio a significare la biforcazione inconsueta che i sentieri del tempo possono prendere. Il quarto movimento è l’origine della vita, un suono digitale non organico che viene da lontano, una scintilla primordiale che arriva con un incedere ritmico e riporta alla condizione dell’innesco dell’esistenza, chiudendo il cerchio simbolico di tutta la composizione». Labirinto di Borges Isola di San Giorgio Maggiore www.visitcini.com
LA STANZA DI BORGES C’è una piccola storia nella storia e riguarda Borges, vecchio e ormai cieco, a Venezia d’inverno, invitato a un’importante conferenza alla Fondazione Cini con la sua segretaria, María Kodama, divenuta poche settimane prima dalla morte la sua seconda moglie. La segretaria aveva scelto il Londra Palace per l’alloggio. Una volta rientrato a casa, Borges aveva un sacchetto della biancheria con il nome dell’Hotel e la sorella riconobbe il nome dell’albergo dove erano andati in vacanza da giovani con i genitori. Il Londra Palace ha dedicato a Borges una suite, seguendo i consigli per l’arredo della segretaria-moglie Kodama, ancora adesso ospite dell’Hotel durante i suoi soggiorni in città. 95
etcc... REVIEW a cura di Davide Carbone
MARE, APERTO L
e similitudini tra “viaggio” e “vita” costituiscono fin dall’alba dei tempi un filone fertile per lo sviluppo della narrativa, ad ogni latitudine e in ogni ambito letterario. Se poi si tratta di un viaggio in barca, ecco che allora le affinità possono addirittura aumentare di numero e di significato, sia che lo si affronti in solitaria sia, ancor di più, che lo si viva con dei compagni di navigazione. E’ fondamentale in questo secondo caso trovare ciascuno il proprio ruolo, come nella vita appunto, per fare in modo che la convivenza sia possibile, fruttuosa, sostenibile. Naviganti di Frodo di Maurizio Crema, giornalista di professione e scrittore per passione, in questo filone narrativo ci si inserisce a pieno titolo, in quanto storia di una profonda amicizia e della ricerca di sé attraverso la fuga e l’avventura, con ampio spazio a riflessioni su temi tragicamente attuali e sull’analisi di una società in cui consumismo e torpore delle coscienze regnano (apparentemente) incontrastati. I protagonisti della storia sono tre adolescenti veneziani. Alvise e Silvia vivono con il padre, un giornalista sempre immerso nella lettura e ancora legato al passato, alla vitalità e al senso di sicurezza degli elettrici anni ’80, rimpiazzati dalla precarietà e dalla disillusione degli anni 2000. La madre dei ragazzi ha lasciato quasi totalmente all’ex marito le cure dei figli, preferendo dedicarsi a sé stessa, alle sue avventure, al suo lavoro e ai suoi acquisti. Daniele è amico di Alvise, appassionato di vela e amante del mare, ma impossibilitato ad acquistare una barca tutta sua e a partire in solitudine a causa delle ristrettezze economiche della famiglia. I tre ragazzi, desiderosi di imbarcarsi per esplorare il mare e vivere nuove avventure, decidono di organizzarsi per prendere in prestito Per Elisa, la barca del padre di Alvise e Silvia. Dopo essersi inventati una serie di bugie e scuse per aggirare i sospetti delle rispettive famiglie, i tre ragazzi riescono finalmente a imbarcarsi per andare ad esplorare l’Adriatico. Durante la prima tappa i tre amici affrontano la loro prima impresa: salvano una ragazza finita in mare per sfuggire da qualcuno che la stava inseguendo, acquisendo così una nuova compagna di viaggio ed entrando in contatto con la sua ‘complicata’ vicenda personale. Amicizia, analisi dell’attualità, avventura e una certa speranza per il futuro si riverberano tra loro nel racconto proprio come il costante flusso delle onde e della marea, in un rapporto quasi simbiotico tra uomo e mare. Maurizio Crema è responsabile delle pagine di economia de «Il Gazzettino» e collabora anche con «La Repubblica», «Diario» e «D – la Repubblica delle Donne». Per la casa editrice Ediciclo ha pubblicato Viaggio ai confini dell’Occidente. In moto sulle strade dell’Albania (2005), Sulle ali del leone. A vela da Venezia a Corfù lungo le rotte della Serenissima (2007) e A Est del Nordest. In spider alla conquista della Romania e altri racconti (2011). Per nuovadimensione ha scritto poi il saggio Banche rotte. I giorni bui di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza (2016). Naviganti di Frodo di Maurizio Crema Armando Curcio Editore, 2021 www.curciostore.com
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PAROLE a cura di Renato Jona
È
inutile negarlo: stiamo vivendo un momento singolare, caratterizzato da frequenti notizie contrastanti che rendono assai incerti i nostri passi quotidiani, le nostre decisioni. E, di conseguenza, dobbiamo onestamente confessare: spesso ci sentiamo impreparati a valutare quale deve essere il nostro corretto comportamento. Sulla base delle nostre esperienze passate e conoscenze consolidate, la nostra vita attuale è cosparsa di luci e ombre, di permessi e divieti nuovi, mutevoli, non di rado improvvisi, spesso addirittura difficili da conoscere; abbiamo imparato nuove terminologie e significati traslati, come le “colorazioni” (regionali) che hanno ben poco a che fare anche con il tradizionale uso artistico, finora utilizzato dai pittori per alludere all’atmosfera più o meno calda rappresentata nelle loro opere. Luci e ombre, dicevamo. Ma siamo certi di conoscere i molteplici significati effettivi o allegorici delle parole? Quando diciamo “ombra”, ad esempio, immediatamente colleghiamo il termine a qualcosa di negativo, scomodo, di secondo piano, da evitare, sgradevole o per lo meno da ridurre al minimo indispensabile. Ma non è tutto vero ciò che, a tutta prima, ci sembra palese. Merita perciò approfondire questa affascinante parola, per lasciarci stupire dai significati e dagli usi più noti a quelli più reconditi, talvolta inaspettati. Il primo pensiero, forse anche doveroso, che si collega alla parola “ombra”, quest’anno, nel 700simo anniversario della morte del Sommo Poeta, si collega alla Divina Commedia. Il famoso viaggio figurato di Dante Alighieri era proprio nel Regno delle Ombre; gli incontri effettuati dal Grande Fiorentino e descritti nelle sue famose, affascinanti terzine trattano di visioni, considerazioni, descrizioni, giudizi relativi a personaggi che, avendo oltrepassato il confine della loro vita terrena, ormai ridotti a ombre, rispondono dei loro comportamenti secondo criteri di una Giustizia Divina. Tuttavia, volendo essere meno poetici e più concreti, possiamo indicare un significato di “ombra” nella parziale assenza di luce dovuta alla presenza di un corpo che interrompe la traiettoria di una fonte luminosa. Ma “ombra”, per rincorrere altri suoi significati, può alludere ad una quantità infinitesimale. E come? Senza… ombra di dubbio! Si tratta in questo caso di una indicata piccolissima quantità di dubbio, che viene esclusa per rafforzare in modo inequivocabile il pensiero di certezza assoluta. Ma la lingua italiana è ricca di espressioni e sembra giocare, divertirsi con una incredibile quantità di sfumature dal significato raffinatamente differente. Si pensi, ad esempio, al riferimento a macchie su tessuti o carta, asportate in modo incompleto: lasciano sul materiale un’ombra, a… ricordo della macchia stessa! E che dire di chi lavora nell’ombra? Si tratta di una specie (…non rara?) di persone poco raccomandabili, poco limpide, di cui non fidarsi. Se invece scegliamo di entrare nel mondo della fantasia, la parola ombra trova anche qui la sua collocazione interessante. Per fare un esempio: ricordate l’espressione “ombre cinesi”? Si tratta di un gioco di proiezione bidimensionale nel quale la curiosità e il divertimento consistono nell’indovinare o forse meglio nell’interpretare la forma delle ombre, accostando mentalmente alle stesse le sagome di oggetti, persone o animali in movimento o statici oppure addirittura nuvole, o mare e ancora altri oggetti.
OMBRA Ma anche il suo uso figurativo ci consente di arricchire la nostra “caccia al tesoro” sull’utilizzo della parola “ombra”. Pensate quando talvolta diciamo che una persona è nata all’ombra del Colosseo o del Campanile di San Marco. Non vi sono dubbi che intendiamo riferirci a una persona nata a Roma o Venezia. Ma il nostro itinerario tra le curiosità, merita la citazione di quanto espresso da un maestro di tennis torinese (Nicola Bolaffi), persona poliedrica, in particolare anche pittore. Il Maestro, un giorno, ha confessato a un giornalista: «la luce invade il campo visivo, mentre le ombre definiscono la percezione della profondità e delle distanze», funzione indispensabile in questo tipo di attività sportiva. Ma analizzando viceversa il campo artistico da lui coltivato, le ombre e la luce entrano nel piano della superficie pittorica, definendone forme e movimento. In effetti, nel campo dell’arte figurativa le ombre si rivelano indispensabili in quanto silenziosamente sono preposte a definire non solo i confini delle figure, ma a dare rilievo alle immagini, ai drappeggi o ai personaggi rappresentati. In effetti, con la semplicità dei proverbi non si può dimenticare a questo proposito quello cinese che recita: «Scrivete più scuro, leggerete più chiaro!» (che indica, in poche efficaci parole, proprio quanto segnalato da Bolaffi). Se poi volgiamo lo sguardo anche al campo fotografico, il discorso viene confermato. Spesso sono proprio le ombre che creano l’atmosfera corretta che si desidera abbia l’immagine riprodotta. E adesso una domanda difficile: Quanti lettori conoscono la “terra d’ombra”? Nessuna preoccupazione! Si tratta di un colore giallo ocra di cui è dotato un pigmento inorganico. Le Signore, esperte nel lavoro a maglia con i ferri, a questo punto mi suggerirebbero di non dimenticare il Punto Ombra, sapientemente utilizzato per la buona riuscita di un manufatto, ormai considerato prezioso. Ma l’uso e i significati della parola prescelta sono ben lungi dall’essere esauriti. Se di una persona si dice che ha un carattere ombroso, certamente non intendiamo farle un complimento. Semmai siamo intenzionati a mettere in guardia un interlocutore da possibili, inaspettate reazioni un po’ sopra le righe, da parte del soggetto di cui si parla. Nell’analisi finora condotta temevate che mi fossi dimenticato il significato più comune in Veneto? Assolutamente no. Anzi. Ma era giusto parlarne per ultimo. Ho constatato infatti l’origine incerta, controversa e misteriosa dell’espressione traslata: «bere un’ombra di vino». Merita riferire che alcuni raccontano che in Piazza San Marco i venditori di vino fresco, bianco, veneto si spostassero, con le loro attrezzature, seguendo l’ombra del Campanile, per dare la maggior soddisfazione agli avventori che desideravano proprio assumere l’antica bevanda a temperatura gradevolmente dissetante. Altri viceversa attribuiscono l’origine al fatto che gli avventori, proprio perché trovavano gradevole sorseggiare in abbondanza la bevanda (che aveva già creato difficoltà anche in età molto antiche), al momento di allontanarsi avessero la mente non del tutto chiara, ma un po’... ombreggiata. Molti altri sono i significati e l’utilizzo della parola “ombra”. Ma ci fermiamo a questi ultimi esempi, dall’origine incerta, per lasciare... un’ombra di mistero! 99
DI LÀ DEL FIUME, TRA GLI ALBERI
Across the River, into the Trees
Ho voluto aprire lo sguardo alla terra, alla semplicità e alla riscoperta del senso
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Massimiliano Alajmo
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GAZPACHO di Fabio Marzari
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a scoperta di un territorio ancora
in parte incontaminato, enormi distese di campi coltivati, una strada stretta semi-deserta che costeggia il corso del fiume Sile, il tutto a ragionevole distanza dalle città di Treviso e Mestre e con Venezia raggiungibile con una facile navigazione attraverso la Laguna Nord e un breve passaggio fluviale. Questa la mia declinazione geografica, in realtà suggerita dal navigatore, per raggiungere il ristorante Le Cementine, immerso nella Tenuta Ca’ Tron di H-Farm. Era da febbraio che cercavo di poter andare nel nuovo locale della Famiglia Alajmo, le chiusure causate dalla pandemia avevano fatto ritardare fino ad ora l’appuntamento con questo nuovo e aggiungo imperdibile ristorante, molto diverso all’apparenza dai blasonati locali targati Alajmo. Ciò che colpisce da subito è il rigore delle forme semplici dell’edificio, in vetro e cemento, semi nascosto nel verde. Basta entrare nel locale per trovare subito l’allure che contraddistingue il marchio di fabbrica Alajmo. La vera abilità è trasformare la semplicità in raffinatezza, senza cadere nella tentazione di voler creare il “solito” locale di design, freddo e senz’anima. Le piastrelle multicolori a terra, che danno il nome al locale, rimandano al pavimento di abitazioni pugliesi e siciliane, unite in un guazzabuglio divertente e multicolore, riportano al calore dell’accoglienza senza rigide etichette, in cui la profonda conoscenza del mestiere emerge in ogni particolare del servizio, senza farsi notare. Colpisce l’atmosfera smart, con le eccellenze gastronomiche del territorio rese al meglio dal giovane chef Mattia Ercolino, che arriva dalle Calandre seguendo la scuola di Massimiliano e, come ogni bravo allievo che ha appreso il meglio dal Maestro, non ne è un clone ma esprime la sua personalità. Ercolino sa esaltare le materie prime, che spesso arrivano dall’orto del ristorante, senza bisogno di baroccheggiare con effetti dirompenti in termini di resa finale, con leggerezza, profondità di sapori e rispetto degli ingredienti. Raramente si trova una capacità di preparare sic et simpliciter vari tipi di pomodoro in un piatto sublime come l’Orto extra vergine di oliva, da ordinare tassativamente. L’apporto delle verdure a chilometro zero oltre alla vicinissima Laguna con la sua ricca biodiversità rappresentano dei componenti essenziali di molti piatti. Dice Massimiliano Alajmo: «Ho voluto aprire lo sguardo alla terra, alla semplicità e alla riscoperta del senso. Una distillazione di genuinità che coniuga l’ospitalità con il piacere rassicurante della naturalezza».
A
ll to takes to find out
about a mostly pristine piece of land amid bucolic countryside, along a seldom travelled road on the left bank of the Sile River, is a short drive from Mestre or Treviso or, if you feel particularly romantic, about an hour of boat travel from Venice by way of the northern stretch of the Venetian lagoon and a short fluvial passage. That’s where you find a restaurant, Le Cementine, that I had been meaning to visit since February. Very different from the other venues run by the Alajmo family, what strikes the most upon arrival is the simplicity of the glass-and-cement building hiding behind the greenery. The Alajmo allure is all there as you step in: the floor tiles (also the restaurant’s namesake) remind of traditional country houses of southern Italy and of a welcoming spirit with no rigid formality attached. Gastronomical excellence from the local territory is rendered at its best by Mattia Ercolino, who worked with Massimiliano Alajmo at the Calandre restaurant and was encouraged to shine in his own right as the Cementine chef. Ercolino knows how to make bring out the best of local produce, some of it coming straight from the local orchard. Rarely can one find such amazing ability to combine different types of tomatoes in a plate: the Orto extra vergine di oliva is something you just have to have. Homegrown vegetables and the local supply of diverse produce from the Venetian Lagoon are essential ingredients in many of the plates on the menu. A final word from our host, Massimiliano Alajmo: “I wanted to open up to the land, to simplicity, and to the rediscovery of sense. A concentration of genuineness that pairs hospitality with the reassuring pleasure of naturality.” Le Cementine – Alajmo H-Farm, via Sile 6, Roncade (Tv) alajmo.it | www.h-farm.com
Tra i piatti estivi più buoni e freschi, un posto d’onore spetta al gazpacho, una ricetta nata in Andalusia. In una famosa scena del film di Almodóvar Donne sull’orlo di una crisi di nervi Carmen Maura, nel ruolo di Pepa, spiega la sua speciale ricetta del gazpacho andaluso: «Pomodori, un po’ di cetriolo, peperoncino, cipolla, una puntina d’aglio, e poi olio, sale e aceto. Pane secco e acqua. Il segreto è tutto nelle dosi». Omettendo volutamente il macabro ingrediente segreto che aveva, un attimo prima, messo ko tutti i presenti... L’origine del gazpacho può essere ricondotta a quella delle zuppe a base di aglio di epoca romana, poiché condividono gli stessi ingredienti di base: pane, acqua, aceto e aglio. Solamente nel VIII secolo con la dominazione araba furono aggiunti olio di oliva e sale, mentre pomodori e peperoni arrivarono dall’America intorno al XVII secolo. La storia del gazpacho è frutto della mescolanza di varie dominazioni cui fu sottoposta l’Andalusia, a testimonianza che il mix di culture porta i suoi benefici anche a tavola!
L’ORA DEL GELATO La stagionalità del gelato è superata da tempo, tuttavia l’estate rimane senza dubbio la stagione in cui se ne consuma la maggiore quantità. Ma chi inventò il gelato? A parte i cinesi che forse furono i primi già 2000 anni prima di Cristo ad unire neve e ghiaccio per mescolarle a riso e spezie, in epoca più recente, intorno alla seconda metà del Cinquecento a Firenze fu creato una sorta di gelato a base di latte, zucchero e uova. Questa tradizione ebbe inizio presso la corte di Caterina de’ Medici che sposò Enrico II, re di Francia: la sovrana divulgò alla sua corte questo dessert innovativo formato dai caratteristici e numerosi cristalli di ghiaccio. Nel 1686 a Parigi Francesco Procopio de’ Coltelli, un siciliano di Acitrezza stabilitosi in Francia, fondò Le Café Procope, uno dei locali più popolari della Parigi dell’epoca. Nel suo caffè, Procopio proponeva al pubblico molteplici varietà di gelato composte da una miscela di latte e uova e combinate ai sapori tipici della sua terra: pistacchio e agrumi, oltre a caffè e cioccolato. Il successo fu tale che lo stesso re Luigi XIV e personaggi come Robespierre, Voltaire, Balzac e Hugo, si recavano a Le Café Procope per gustare questo favoloso dessert. 101
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IL GUSTO DEGLI ALTRI
En plain air A cena tra plateatici diffusi e giardini insoliti
Sembra che tutti coloro i quali possono permettersi di consumare dei pasti al ristorante siano affetti dalla frenesia di recuperare il tempo trascorso tra le pareti domestiche, quando questa operazione era impossibile, causa chiusure per Covid. Complici le amministrazioni locali che per venire incontro alle legittime esigenze dei ristoratori di poter servire il maggior numero di clienti, in sicurezza e distanziati, hanno concesso dei generosi aumenti di superficie pubblica destinata al plateatico, camminare la sera per le calli di Venezia è spesso un percorso a ostacoli tra tavole imbandite e piatti che girano in mano a bravi camerieri, che in taluni casi si destreggiano come prestigiatori per evitare di scontrarsi con i passanti. Se ci fosse in azione una compagnia di giro come in Amici miei, le cene sarebbero a rischio, infatti la tentazione di vagare con una forchetta in tasca per spiluccare dai vari piatti, solo per il gusto dello scherzo e di vedere le facce attonite dei commensali, è ben presente, ma nessuna istigazione a commettere scelleratezze, sia chiaro. Quello che segue è un giro a caso tra alcuni locali in città, muniti di giardino o di un plateatico significativo. Non si può non partire da piazza San Marco e dal Florian, con i suoi tavoli esterni ben ordinati e spaziosi, dove concedersi il piacere di un aperitivo servito in vassoi d’argento con uno stile impeccabile. Sempre vicino a San Marco si trova un locale storico in attività sin dagli inizi del ‘900, nel quattrocentesco Palazzo Zorzi, Al Giardinetto da Severino (www.algiardinetto.it), con un ampio giardino interno, in cui assaporare ricette tipiche della cucina veneziana all’ombra di un vigneto che produce un vino dolce
totalmente site specific. Passando alle Zattere si trova un giardino segreto molto seducente: Sudest 1401 (www.sudest1401.it) nel palazzo che ospita V-A-C Foundation – dove è in corso una bellissima mostra-laboratorio sui temi della Biennale Architettura 2021 –, perfetto per un aperitivo o per dei piatti che uniscono differenti punti cardinali, con la costante del gusto legato alle emozioni. Uno dei giardini più intriganti di Venezia lo si trova in fondo a Cannaregio, all’Hotel Heureka (www.hotel-heureka.com), una piccola oasi di verde, in cui il tempo sospeso di una città da sogno si unisce con il design all’avanguardia e dove l’aperitivo è solo un pretesto per vivere la felicità in un luogo speciale. Dalle parti di piazzale Roma, a Santa Croce, Zanze XVI (zanze.it) è il ristorante in cui si «racconta la Venezia di ieri alla gente di oggi». Un’osteria elegante, dove la convivialità genuina di una trattoria veneziana incontra la cucina di alto livello, con un menù che si adatta al pescato del giorno, seduti lungo una fondamenta tranquilla che concilia il ritmo lento di Venezia con le vibrazioni contemporanee. Come non ricordare un locale che è un’istituzione? Al Nono risorto (alnonorisortovenezia. com), in campo San Cassiano con un ampio giardino, la cucina è semplice e di tradizione, con ottime pizze. Frequentato da generazioni di veneziani ha mantenuto negli anni la sua aria alternativa e autentica. Dulcis in fundo il giardino-terrazza del St. Regis che finisce col lambire il Canal Grande, elegante, chic, scenografico e in grado di stupire anche per i suoi fantasmagorici cocktail, serviti in maniera indimenticabile con lo sciabordio dell’acqua a fare da colonna sonora... Fabio Marzari
Da poco è arrivato in libreria il Dizionario irresistibile di storie in cucina scritto da Paola Trifirò Siniramed, giornalista e avvocato, con prefazione di Ferruccio de Bortoli, Cairo editore. Perfetta lettura estiva! L’autrice offre una scorribanda ghiotta e divertente fra storia, curiosità e ricette. Scorrendo le pagine si ritrova il significato dei cibi afrodisiaci, come anche Louis de Béchamel, marchese de Nointel e inventore dell’arcinota salsa. La storia della Bottarga, cibo amato dai Faraoni e, in età moderna, anche dal grande chef Ferran Adrià. Parlando di pesce al forno, l’autrice racconta che Virginia Woolf, nel suo libro Una stanza tutta per sé, fornisce una sua versione della sogliola: «Il pesce si cuoce intero, ben nettato e privato della pelle e quindi servito con una “salsa bianca”», presumibilmente a base di burro e fumetto di pesce. E ancora le coquilles Saint-Jacques del commissario Maigret, creato dalla penna di Georges Simenon. Le polpette offerte dall’oste a Renzo ne I Promessi sposi. Per continuare con l’hamburger di cui era ghiottissimo Elvis Presley: «La sua mitica cuoca Mary, a Graceland, gli preparava sandwich di pane e burro, polpettone... E naturalmente hamburger o cheeseburger, per finire con dolci al caramello». Infine, Luigi XIV nutriva una vera passione per le pere. Si racconta che il re Sole amasse soprattutto quelle chiamate Bon Chretien, al punto di farne spesso dono anche ai regnanti d’Europa. Paola Trifirò Siniramed Dizionario irresistibile di storie in cucina Cairo Editore, 2021
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Disruptively Exquisite Proposing modern Venetian and Italian dishes crafted with integrity, Gio’s Restaurant & Terrace is an unexpected haven in the midst of Venice’s contemporary art scene. A destination in itself featuring a selection of contemporary serves and unrivalled views, Gio’s welcomes visitors 7 days from morning until late.
©2021 Marriott International, Inc. All Rights Reserved. All names, marks and logos are the trademarks of Marriott International, Inc., or its affiliates.
For reservations, visit giosrestaurantvenice.com or call +39 041 240 0001 San Marco 2159, 30124, Venice, Italy
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july-august2021 pag. 106 pag. 109 pag. 110 pag. 122 pag. 125 pag. 126 pag. 128 pag. 131 pag. 132
Un estate fuori! Cultura, musica, teatro, danza, libri, moda ridisegnano la geografia della città, occupando spazi tradizionali e scoprendone di nuovi, rigorosamente all’aperto
citydiary
agenda biennaleteatro biennaledanza musica, classical theatro, cinema urbantrekking exhibitions books screenings reservation design&more
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biennaleteatro 49. FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL TEATRO BLUE
LuglioJuly
02
venerdìFriday
h. 19 | Arsenale – Teatro alle Tese (II)
KRZYSZTOF WARLIKOWSKI P. 16
Leone d’Oro WE ARE LEAVING (2018, 210’) *
03
sabatoSaturday
h. 12 | Ca’ Giustinian – Sala delle Colonne
Cerimonia di consegna Leone d’Oro alla carriera
KRZYSZTOF WARLIKOWSKI
a seguire/following conversazione con/conversation with Krzysztof Warlikowski h. 17 | Arsenale, Teatro alle Tese (II)
KRZYSZTOF WARLIKOWSKI Leone d’Oro WE ARE LEAVING (2018, 210’) h. 21 | Arsenale, Tese dei Soppalchi Biennale College – Registi Under 30 (2020-2021)
PAOLO COSTANTINI UNO SGUARDO ESTRANEO OVVERO COME LA FELICITÀ È DIVENTATA UNA PRETESA ASSURDA (2020, 90’) ***
a seguire/following conversazione con/conversation with Paolo Costantini
04
domenicaSunday
h. 18 | Arsenale, Tese dei Soppalchi Biennale College – Registi Under 30 (2020-2021)
PAOLO COSTANTINI UNO SGUARDO ESTRANEO OVVERO COME LA FELICITÀ È DIVENTATA UNA PRETESA ASSURDA (2020, 90’)
h. 21 | Teatro Piccolo Arsenale
DANIO MANFREDINI NEL LAGO DEL COR (2020, 60’)
05
lunedìMonday
h. 15 | Ca’ Giustinian, Sala delle Colonne
TEATRO DI REGIA NELLA LIRICA, VOCE E INTERPRETAZIONE
Tavola rotonda/Round-table Ospiti/Guests: Fortunato Ortombina, Riccardo Frizza, Carla Moreni, Alberto Mattioli, Leo Muscato Moderatore: Andrea Porcheddu
h. 19.00 | Teatro Goldoni
OHT (OFFICE FOR A HUMAN THEATRE) UN TEATRO È UN TEATRO È UN TEATRO È UN TEATRO
(2021, 50’) ***
h. 21 | Arsenale, Teatro alle Tese (III)
AGRUPACIÓN SEÑOR SERRANO THE MOUNTAIN (2020, 70’) *
a seguire/following conversazione con/conversation with Àlex Serrano e Pau Palacios
06
martedìTuesday
h. 18 | Campo Santo Stefano Biennale College – Performance Site Specific 2021
STELLARIO DI BLASI AB IMIS | IOLAGEMMAINNESTAI (45’) ***
h. 18 | Riva di Corinto, Lido Biennale College – Performance Site Specific 2021
COLLETTIVO -NESS (Rooy Charlie Lana, Giulia Zulian) ON A SOLITARY BEACH (45’) ***
h. 18 | Arsenale, Teatro alle Tese (III)
AGRUPACIÓN SEÑOR SERRANO THE MOUNTAIN (2020, 70’)
h. 20.30 | Teatro del Parco Albanese, Bissuola (Mestre)
PROTON THEATRE / KORNÉL MUNDRUCZÓ HARD TO BE A GOD (2010, 110’) *
h. 21.00 | Arsenale, Tese dei Soppalchi
LENZ FONDAZIONE ALTRO STATO (2020, 40’)
07
mercoledìWednesday
h. 10 | 17. Mostra di Architettura, Giardini Biennale College – Performance Site Specific 2021
COLLETTIVO -NESS (Rooy Charlie Lana, Giulia Zulian) ON A SOLITARY BEACH (45’)
h. 12 | 17. Mostra di Architettura, Arsenale Biennale College – Performance Site Specific 2021
COLLETTIVO -NESS (Rooy Charlie Lana, Giulia Zulian) ON A SOLITARY BEACH (45’)
h. 15 | Ca’ Giustinian, Sala delle Colonne
TEATRO E PSICOTERAPIA, ASSENZA E RITORNO AL RITO
09
venerdìFriday
Tavola rotonda/Round-table Ospiti/Guests: Claudio Longhi, Vittorio Lingiardi, Danio Manfredini, Chiara Guidi, Galatea Ranzi, Maria Federica Maestri e Francesco Pititto Moderatore: Andrea Porcheddu
h. 12 | Ca’ Giustinian, Sala delle Colonne
h. 18 | Campo Santo Stefano Biennale College – Performance Site Specific 2021
h. 18 | Campo Santo Stefano Biennale College – Performance Site Specific 2021
h. 18 | Riva di Corinto, Lido Biennale College – Performance Site Specific 2021
h. 18 | Riva di Corinto, Lido Biennale College – Performance Site Specific 2021
STELLARIO DI BLASI AB IMIS | IOLAGEMMAINNESTAI (45’)
COLLETTIVO -NESS (Rooy Charlie Lana, Giulia Zulian) ON A SOLITARY BEACH (45’) h. 18 | Arsenale, Tese dei Soppalchi
LENZ FONDAZIONE ALTRO STATO (2020, 40’)
h. 20.30 | Teatro del Parco Albanese, Bissuola (Mestre)
PROTON THEATRE / KORNÉL MUNDRUCZÓ HARD TO BE A GOD (2010, 110’)
h. 21 | Arsenale, Teatro Piccolo Arsenale
ROBERTO LATINI IN EXITU (2019, 70’)
a seguire/following conversazione con/conversation with Roberto Latini
08
giovedìThursday
h. 18 | Campo Santo Stefano Biennale College – Performance Site Specific 2021
STELLARIO DI BLASI AB IMIS | IOLAGEMMAINNESTAI (45’)
h. 18 | Riva di Corinto, Lido Biennale College – Performance Site Specific 2021
COLLETTIVO -NESS (Rooy Charlie Lana, Giulia Zulian) ON A SOLITARY BEACH (45’)
h. 21 | Teatro Goldoni
THOMAS OSTERMEIER ÉDOUARD LOUIS QUI A TUÉ MON PÈRE (2018,
80’) *
a seguire/following conversazione con/conversation with Thomas Ostermeier e Édouard Louis
Cerimonia di consegna Leone d’Argento
KAE TEMPEST
P. 19
a seguire/following conversazione con/conversation with Kae Tempest
STELLARIO DI BLASI AB IMIS | IOLAGEMMAINNESTAI (45’)
COLLETTIVO -NESS (Rooy Charlie Lana, Giulia Zulian) ON A SOLITARY BEACH (45’)
10
sabatoSaturday
h. 18 | Campo Santo Stefano Biennale College – Performance Site Specific 2021
STELLARIO DI BLASI AB IMIS | IOLAGEMMAINNESTAI (45’)
h. 18 | Riva di Corinto, Lido Biennale College – Performance Site Specific 2021
COLLETTIVO -NESS (Rooy Charlie Lana, Giulia Zulian) ON A SOLITARY BEACH (45’) h. 21 | Teatro Goldoni
KAE TEMPEST (Leone d’Argento) THE BOOK OF TRAPS & LESSONS (2018, 45’) *
spoken word version
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domenicaSunday
h. 18 | Campo Santo Stefano Biennale College – Performance Site Specific 2021
STELLARIO DI BLASI AB IMIS | IOLAGEMMAINNESTAI (45’)
h. 18 | Riva di Corinto, Lido Biennale College – Performance Site Specific 2021
COLLETTIVO -NESS (Rooy Charlie Lana, Giulia Zulian) ON A SOLITARY BEACH (45’)
h. 20 | Arsenale, Tese dei Soppalchi
HODWORKS / ADRIENN HÓD SUNDAY (2018, 80’)
*** prima assoluta/World premiere ** prima europea/European premiere * prima italiana/Italian premiere Biglietti/Tickets
www.labiennale.org
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With the patronage of
Palazzo Franchetti Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti
Promoter
Campo Santo Stefano
Venice October 16, 2021 March 13, 2022
biennaledanza
15. FESTIVAL INTERNAZIONALE DI DANZA CONTEMPORANEA FIRST SENSE
LuglioJuly
23
GERMAINE ACOGNY Leone d’Oro SOMEWHERE AT THE BEGINNING (2015, 65’) *
P. 26
a seguire/following conversazione con/conversation with Germaine Acogny
sabatoSaturday
h. 12 | Arsenale, Sala d’Armi A
Cerimonia di consegna Leone d’Oro alla carriera
GERMAINE ACOGNY
Leone d’Argento
OONA DOHERTY
h. 16 | Arsenale, Tese dei Soppalchi
BIENNALE COLLEGE DANZATORI SOLO ECHO
Coreografia/coreography Crystal Pite
FAR
Coreografia/coreography Wayne McGregor a seguire/following conversazione con/conversation with Wayne McGregor h. 20 | Teatro Malibran
PAM TANOWITZ / SIMONE DINNERSTEIN NEW WORK FOR GOLDBERG VARIATIONS (2017-2019, 75’) **
a seguire/following conversazione con/conversation with Pam Tanowitz
25
lunedìMonday
h. 20 | Arsenale – Teatro alle Tese (III)
venerdìFriday
h. 20 | Arsenale, Teatro alle Tese (III)
24
26
domenicaSunday
h. 12 > 18 | Arsenale
BIENNALE COLLEGE DANZATORI-COREOGRAFI AMONG DIVERSE BEINGS SOLOS
In collaborazione con/in collaboration with 17. Mostra Internazionale di Architettura h. 20 | Arsenale, Tese dei Soppalchi
BIENNALE COLLEGE DANZATORI SOLO ECHO
METAMORPHOSIS DANCE AL DESNUDO (2020, 55’) *
a seguire/following conversazione con/conversation with Iratxe Ansa, Igor Bacovich
27
martedìTuesday
h.18 | Arsenale – Tese dei Soppalchi
MARCO D’AGOSTIN BEST REGARDS (2020,60’) *
a seguire/following conversazione con/conversation with Marco D’Agostin
31
sabatoSaturday
h. 16 | Arsenale – Tese dei Soppalchi
BIENNALE COLLEGE DANZATORI-COREOGRAFI NUOVE CREAZIONI (Versione
1) ***
Ispirate all’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale a seguire/following conversazione con i coreografi/ conversation with the choreographers h. 18 | Teatro Piccolo Arsenale OONA DOHERTY (Leone d’Argento)
HARD TO BE SOFT –A BELFAST PRAYER (2017, 45’)
h. 21 | Teatro Piccolo Arsenale
OLIVIER DE SAGAZAN LA MESSE DE L’ÂNE (2021, 60’) ***
a seguire/following conversazione con/conversation with Olivier de Sagazan
28
AgostoAugust
01
domenicaSunday
h. 16 | Arsenale – Tese dei Soppalchi
mercoledìWednesday
h. 20 | Teatro Malibran
BIENNALE COLLEGE DANZATORI-COREOGRAFI NUOVE CREAZIONI (Versione
HERVÉ KOUBI ODYSSEY (2020, 60’) *
1) ***
29
h. 20 | Teatro Malibran
a seguire/following conversazione con/conversation with Hervé Koubi
giovedìThursday
h. 20 | Arsenale, Teatro alle Tese (III)
JOSEF NADJ OMMA (2020, 60’)
30
venerdìFriday
h. 18 | Arsenale, Teatro alle Tese (III)
JOSEF NADJ OMMA (2020, 60’)
Ispirate all’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale a seguire/following conversazione con i coreografi/ conversation with the choreographers
(LA)HORDE & RONE ROOM WITH A VIEW (2020, 80’) *
a seguire/following conversazione con/conversation with the Rone e/and (La)Horde / Ballet National de Marseille
INSTALLAZIONI: 23.07 > 01.08.2021 Arsenale – Sala d’Armi E
JAN FABRE | MIKHAIL BARYSHNIKOV NOT ONCE (2019, 70’) ***
art installation film In collaborazione con/in collaboration with 17. Mostra Internazionale di Architettura opening: 23 luglioJuly h. 12
h. 12-18 tutti i giorni/every day Ca’ Giustinian – Sala delle Colonne
RANDOM INTERNATIONAL /COMPANY WAYNE MCGREGOR FUTURE SELF (2021, 10’) *
performative live installation In collaborazione con/in collaboration with 17. Mostra Internazionale di Architettura 23 luglioJuly h. 14 conversazione con/conversation with Random International Arsenale – Teatro alle Tese (II)
WILKIE BRANSON TOM (2020, 60’) **
film installation In collaborazione con/in collaboration with 17. Mostra Internazionale di Architettura 23 luglioJuly conversazione con/ conversation with Wilkie Branson 24.07 > 25.07.2021 Teatro Piccolo Arsenale
RASSEGNA FILM DANZA
*** prima assoluta/World premiere ** prima europea/European premiere * prima italiana/Italian premiere Biglietti/Tickets
www.labiennale.org
h. 20 | Teatro Piccolo Arsenale OONA DOHERTY (Leone d’Argento)
HARD TO BE SOFT – A BELFAST PRAYER (2017, 45’) * P. 28
a seguire/following conversazione con/conversation with Oona Doherty
Coreografia/coreography Crystal Pite
FAR
Coreografia/coreography Wayne McGregor
109
agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
01
:musica
LuglioJuly giovedìThursday
Sherwood Festival
GIAN MARIA ACCUSANI
Funk pop
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
Vicenza Jazz Festival
NILS PETTER MOLVAEND BAND
Jazz
Teatro Comunale-Vicenza h. 20.30
Ferrara Sotto Le Stelle
SHAME MASSIMO VOLUME
Rock
Parco Massari-Ferrara h. 21
02
venerdìFriday
Venezia Jazz Festival
03 Sile Jazz
THOMAS SIFFLING
Jazz
Piazzetta del Teatro-Mogliano V.to h. 21
Sherwood Festival
Vicenza Jazz Festival
ANAIS DRAGO
Jazz
Palazzo Chiericati-Vicenza h. 16
Vicenza Jazz Festival
FRANCESCO ZAMPINI
Jazz
Gallerie Palazzo Leoni MontanariVicenza h. 18
Vicenza Jazz Festival
GREEN ORCHESTRA
Beatles tribute
Giardini di S. Corona-Vicenza h. 19
REBEKKA BAKKEN GROUP
Teatro Comunale-Vicenza h. 20.30
MA L’AMORE NO
Villa Manin Estate
Laguna Libre h. 20.30
Pop
CORNEA
Progressive rock
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
Vicenza Jazz Festival
ALEX SIPIAGIN MICHELE CALGARO
Jazz
Giardini di S. Corona-Vicenza h. 18
Nottinarena
MAX PEZZALI
Pop
Arena Alpe Adria-Lignano Sabbiadoro h. 20.30
Ferrara Sotto Le Stelle
LA RAPPRESENTANTE DI LISTA
Indie
Parco Massari-Ferrara h. 21
Festival del Vittoriale
ROBBEN FORD BILL EVANS
Jazz
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
IOSONOUNCANE
P. 80
Indie
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
Beatles tribute
Sherwood Festival
Villa Manin Estate
Ferrara Sotto Le Stelle
Flamenco rap
Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 19.30
Jazz
Teatro Comunale-Vicenza h. 20.30
GARRAPATEROS
Vicenza Jazz Festival
Venezia Jazz Festival
RED KITE
Jazz
Villa Manin-Passariano di Codroipo h. 18.30
DAVID HELBOCK
John Williams tribute
08
Vicenza Jazz Festival
sabatoSaturday
LO STATO SOCIALE
Villa Manin-Passariano di Codroipo h. 18.30
Ferrara Sotto Le Stelle
MECNA
Parco Massari-Ferrara h. 21
04
Venezia Jazz Festival
LIVIO MINAFRA
Piano & loop station
Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 19.30
Sile Jazz
NAVIGANTI E SOGNATORI
Jazz
Parco del Municipio-Jesolo h. 21
Parklife Festival
DENTE
Jazz
Arena di Piazza Mercato-Marghera h. 21
Parklife Festival
NICOLÒ FABI
Musica d’autore
Parco Massari-Ferrara h. 21
Arena della Marca
Pop
05
Parco della Musica-Padova h. 21
SUBSONICA
lunedìMonday
Elettronica
Ippodromo S. Artemio-Villorba h. 21
Sherwood Festival
Villafranca Festival
Indie
Musica d’autore
Vicenza Jazz Festival
Marostica Summer Festival
IVCA
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
WEST DI PACE GALLO
ANTONELLO VENDITTI
Castello Scaligero-Villafranca h. 21
FRANCESCA MICHIELIN
Pop
Piazza Castello-Marostica h. 21
Jazz
Vicenza Jazz Festival
Vicenza Jazz Festival
Jazz
Palazzo Chiericati-Vicenza h. 18
GONZALO RUBALCABA AYMÉE NUVIOLA
Jazz
Parco Querini-Vicenza h. 20.30
06
martedìTuesday
SIZ & THE UNDERDOGS BAND
Reggae
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
domenicaSunday
DUDU KOUATE ALVISE SEGGI
VENERUS
Sherwood Festival
Rap
giovedìThursday
Marghera Estate
MARK LETTIERI BAND
Parco Querini-Vicenza h. 20.30
Festival del Vittoriale
FRAH QUINTALE
Rap
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
09
NICOLA CRISTANTE TRIO
Vicenza Jazz Festival
Jazz
Jazz
Sile Jazz
07
Jazz
BRAD MEHLDAU
Parco Querini-Vicenza h. 20.30
mercoledìWednesday
Venezia Jazz Festival
MERAKI
Piano & loop station
Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 19.30
venerdìFriday
Venezia Jazz Festival
Laguna Libre h. 20.30
EMAB CONNECTION
Villa Lattes-Istrana h. 21
Sherwood Festival
YOTA ANTARTICA MOTHER
Punk rock
Musica d’autore
Sherwood Festival
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
Vicenza Jazz Festival
Hip hop
Rock
Vicenza Jazz Festival
Vicenza Jazz Festival
P. 81
Parco della Musica-Padova h. 21
HAMID DRAKE PASQUALE MIRRA
Jazz
Giardini del Teatro Olimpico-Vicenza h. 16
Vicenza Jazz Festival
FLAVIO BOLTRO & FRIENDS
Jazz
Giardino di Santa Corona-Vicenza h. 18
METRO QUADRO FLEXIONAL
Marostica Summer Festival
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
Piazza Castello-Marostica h. 21
FRED HERSCH TRIO
Jazz
Teatro Olimpico-Vicenza h. 20.30
PIERO PELÙ
QUAI DES BRUMES AMF QUARTET
Jazz
Palazzo Chiericati-Vicenza h. 18
Vicenza Jazz Festival
PAOLO FRESU
Bowie tribute
Palazzo Chiericati-Vicenza h. 20.30
110
Vicenza Jazz Festival
Festival del Vittoriale
LA RAPPRESENTANTE DI LISTA
Indie
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
10
sabatoSaturday
Jazz
Parco Querini-Vicenza h. 20.30
Folkest
Musica d’autore
Parklife Festival
11
MINISTRI
Parco della Musica-Padova h. 21
Sherwood Festival
INOKI
Hip hop
Rock
Arena Alpe Adria-Lignano Sabbiadoro h. 20.30
Rock
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
Indie
Parklife Festival P. 78
Monte Lussari, Tarvisio h. 14
Folk
Jazz
Combo Venezia h. 21.30
PATTI SMITH
Festival del Vittoriale
FRANCESCO DE GREGORI
P. 76
Nottinarena
HANA & SARIA CONVERTINO
Festival del Vittoriale
Venezia Jazz Festival
ADAM HOLZMAN TRIO
ANTONIO SANCHEZ 4TET
domenicaSunday
Villa Manin Estate
ARIETE
Pop
Villa Manin-Passariano di Codroipo h. 18.30
GIANNA NANNINI
FAST ANIMALS & SLOW KIDS
Indie
Parco della Musica-Padova h. 21
Castello Festival
JOHN PATITUCCI CHRIS POTTER BRIAN BLADE
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
Jazz
14
Arena della Marca
mercoledìWednesday
Sherwood Festival
POST NEBBIA
Arena Live-Padova h. 21.30
UMBERTO TOZZI
Musica d’autore
Ippodromo S. Artemio-Villorba h. 21
Indie
Sile Jazz
15
Jazz
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
MARIS BRIEZKALNS QUINTET
Piazza Roma-Quinto h. 21
giovedìThursday
Venezia Jazz Festival
Marostica Summer Festival
GIANNA NANNINI
MEDITERRANEA
Rock
ANTONELLO VENDITTI
Rap
Altana Hotel Splendid Venice h. 19.30
Jamrock Festival
Ippodromo S. Artemio-Villorba h. 21
Festival del Vittoriale
IL FULCRO
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
Arena della Marca Musica d’autore Sile Jazz
FORQ
Jazz
Piazza delle Istituzioni-Treviso h. 21
Villafranca Festival
NICOLÒ FABI
Musica d’autore
Castello Scaligero-Villafranca h. 21
Villa Manin Estate
EXTRALISCIO DAVIDE TOFFOLO
Indie
Villa Manin-Passariano di Codroipo h. 18.30
Marostica Summer Festival
Villafranca Festival
WILLIE PEYOTE
Jazz
Piazza Castello-Marostica h. 21
Castello Scaligero-Villafranca h. 21
Sherwood Festival
GODBLESSCOMPUTERS MAW
PATTI SMITH
Musica sperimentale
Indie
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
Parco Fornaci-Vicenza h. 21
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
Jamrock Festival
Folkest
Rock
12
lunedìMonday
Sherwood Festival
DEGRETTICA CP
Tempio di S. Lorenzo-Vicenza h. 17
Vicenza Jazz Festival
BARGA JAZZ ENSEMBLE
Jazz
Giardino del Teatro Olimpico-Vicenza h. 18.30
SUBSONICA
DARDUST
Elettronica
Folkest
Pop
Folk
17
COLAPESCEDIMARTINO
Piazza Castello-Marostica h. 21
ANGELA MILANESE 4TET
Jazz
Festival del Vittoriale
Villafranca Festival
Capodistria h. 20
Marostica Summer Festival
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
Piazza Castello-Marostica h. 21
GAVINO MURGIA FABIO GIACHINO
Parco Fornaci-Vicenza h. 21
Indie
Elettronica
Indie
13
Vicenza Jazz Festival
New wave
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
GIÒ DI TONNO VITTORIO MATTEUCCI GRAZIANO GALATONE
Colonne sonore
AVTOMOBILI
GENERIC ANIMAL THE SLEEPING TREE
martedìTuesday
Marghera Estate Jazz
Arena di Piazza Mercato-Marghera h. 21
Sherwood Festival
MOVIE STAR JUNKIES ELLIDEMOON
Punk blues
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
Castello Festival
ANTONELLA RUGGIERO MAURIZIO CAMARDI ROBERTO COLOMBO
Jazz
Arena Live-Padova h. 21.30
Castello Scaligero-Villafranca h. 21
ROBERT VATOVEC BIG BAND
sabatoSaturday
Capodistria h. 20
Venezia Jazz Festival
Festival del Vittoriale
Jazz
THE ZEN CIRCUS
Indie
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
16
venerdìFriday
Venezia Jazz Festival
LE GALERE
Jazz
Laguna Libre h. 20.30
Sherwood Festival
MESSA HORROR VACUI
Metal
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
AMIR GWIRTZMAN
P. 76
Cortile di Palazzo Grimani h. 19.30
Marghera Estate
SARAH JANE MORRIS SOLIS STRING 4TET PAOLO CRESTA
Beatles tribute
Arena di Piazza Mercato-Marghera h. 21
Sherwood Festival
DOLA COLLA ZIO
Indie
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
Parklife Festival
COMA COSE
Indie
Parco della Musica-Padova h. 21
111
agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
Castello Festival
TARANTOLATI DI TRICARICO LEO DI ANGILLA
Festival del Vittoriale
NICOLÒ FABI
Musica d’autore
Grado Jazz
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
Jazz
Jazz
19
Loggia dei Cavalieri-Treviso h. 21
Sherwood Festival
22
Jamrock Festival
Garage rock
Taranta
Arena Live-Padova h. 21.30
Sile Jazz
PINHEIRO / INEKE / CAVALLI
GIANCANE LUCIO LEONI
Indie
Parco Fornaci-Vicenza h. 21
Villa Manin Estate
LA RAPPRESENTANTE DI LISTA
Indie
Villa Manin-Passariano di Codroipo h. 18.30
Folkest
LE ORME
Prog rock
Capodistria h. 20
CortinaTeatro
FABRIZIO BOSSO JULIAN OLIVER MAZZARIELLO
Jazz
Alexander Girardi Hall-Cortina h. 20.45
18
lunedìMonday
THE MILLS
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
Grado Jazz
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
20
Arena della Marca
ANDREA GRIMINELLI DIEGO BASSO
Indie
Parco delle Rose-Grado h. 21
Sile Jazz
Sherwood Festival
JAZZABILLY LOVERS
venerdìFriday
Laguna Libre h. 20.30
No Borders Music Festival
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
Arena di Piazza Mercato-Marghera h. 21
Pop
Castello Festival
BOMBINO
NICK THE NIGHTFLY 5TET
Sherwood Festival
Arena Live-Padova h. 21.30
Elettropunk
Lounge
FALAFEL FAZZ FAMILIA
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
MASSIMO RANIERI
Grado Jazz
Ippodromo S. Artemio-Villorba h. 21
Jazz
TIGRAN HAMASYAN
Parco delle Rose-Grado h. 21
Festival del Vittoriale
STEFANO BOLLANI
Jazz
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
26
NOA & GIL DOR RUSLAN SIROTA
Pop
Jazz
21
Festival del Vittoriale
28
mercoledìWednesday
ROBERTO FONSECA
Castello Scaligero-Villafranca h. 21
MAX GAZZÈ
Pop
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
Acoustic punk
FURIO E GLI SKA-J
Col Moschin-Solagna h. 10.30
Castello Festival
Arena di Piazza Mercato-Marghera h. 21
sabatoSaturday
PUNKREAS
Sherwood Festival
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
Ska jazz
Park Nord Stadio Euganeo-Padova h. 21
SERGIO CAMMARIERE
Sile Jazz
Arena Live-Padova h. 21.30
Jazz
Jazz
ZZ QUARTET
Biblioteca Comunale-Preganziol h. 21
lunedìMonday
Castello Festival
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
NEGRITA
24
112
Lago Superiore-Fusine h. 14
Villafranca Festival
Sherwood Festival
Parco Fornaci-Vicenza h. 21
COLAPESCEDIMARTINO
ANTONELLO VENDITTI
ELIAS NARDI DANIELE DI BONAVENTURA ARES TAVOLAZZI
Indie
ALMA SWING
Borso del Grappa h. 10.30
Desert rock
Jazz
MARCO CASTELLI CANARIE
Villa Pola-Vedelago h. 21
Marghera Estate
Parco delle Rose-Grado h. 21
Jamrock Festival
Jazz
DIPLOMATICO COLLETTIVO NINCO NANCO
DEE DEE BRIDGEWATER
Jazz
Parco della Musica-Padova h. 21
Jazz
Marghera Estate
Operaestate
THE ZEN CIRCUS
PAOLO FRESU
Bowie tribute
domenicaSunday
Parklife Festival
Jazz
Musica d’autore
Jazz
Grado Jazz
25
Arena di Piazza Mercato-Marghera h. 21
Villa Manin Estate
Grado Jazz
Teatro Romano-Verona h. 21
Operaestate
Festival del Vittoriale
Villa Manin-Passariano di Codroipo h. 18.30
P. 79
DANIELE VIANELLO TRIO
Musica d’autore
COMA COSE
VINICIO CAPOSSELA
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
LICAONES
Musica d’autore
Indie
SAMUELE BERSANI
Funky pop
Villafranca Festival
Castello Scaligero-Villafranca h. 21
Musica d’autore
Arena di Piazza Mercato-Marghera h. 21
Venezia Jazz Festival
Arena della Marca
VASCO BRONDI
Lago Superiore-Fusine h. 14
Musica d’autore
23
Morricone tribute
Ippodromo S. Artemio-Villorba h. 21
Musica d’autore
Festival del Vittoriale
GIULIO CASALE
Marghera Estate
martedìTuesday
Folk
domenicaSunday
No Borders Music Festival
giovedìThursday
Musica d’autore
ANTONELLO VENDITTI
Parco delle Rose-Grado h. 21
Marghera Estate
Festival della Bellezza
Musica d’autore
P. 79
LUDOVICO EINAUDI
Parco delle Rose-Grado h. 21
Festival del Vittoriale
PAOLO CONTE
Jazz
Parco delle Rose-Grado h. 21
BRAD MEHLDAU TRIO
Jazz
Grado Jazz
ENRICO RAVA DANILO REA
Arena Live-Padova h. 21.30
mercoledìWednesday
Castello Festival
MAURIZIO CAMARDI ERNESTTICO ROY PACI
Funk
Arena Live-Padova h. 21.30
29
giovedìThursday
Parklife Festival
NEGRITA
Parco della Musica-Padova h. 21
Villafranca Festival Rock
Castello Scaligero-Villafranca h. 21
Folkest
NUOVA COMPAGNIA DI CANTO POPOLARE
Folk
Folk
Marsure di Aviano h. 20
Sexto Nplugged
Villafranca Festival Battiato tribute
06
Folk melodico
No Borders Music Festival
RADIO FIERA
VINCENZO ZITELLO
ALICE
Festival del Vittoriale
FIORELLA MANNOIA
Musica d’autore
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
venerdìFriday
Venezia Jazz Festival
ULA LOOP
Jazz
GIANNA NANNINI
Rock
Folk
Lago Superiore-Fusine h. 14
Sexto Nplugged
Area Concerti-Treviso h. 21
Rock
Festival del Vittoriale
Indie
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
Folkest
AgostoAugust
01
domenicaSunday P. 80
Arena Live-Padova h. 21.30
SILVIO TROTTA
NEK
Branduardi tribute
No Borders Music Festival
Pop
Ippodromo S. Artemio-Villorba h. 21
Festival del Vittoriale
VASCO BRONDI
STEFANO BOLLANI TRILOK GURTU ENRICO RAVA
P. 80
Jazz
Musica d’autore
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
Lago Superiore-Fusine h. 14
Festival del Vittoriale
DANIELE SILVESTRI
Musica d’autore
sabatoSaturday
Venezia Jazz Festival
TIZIANO SCARPA DEBORA PETRINA
P. 76
Musica d’autore
Combo Venezia h. 21.30
NOMADI
Beat
Parco Pegaso-Jesolo h. 21
Suoni di Marca
FAST ANIMALS AND SLOW KIDS
Alternative rock
Area Concerti-Treviso h. 21
Anfiteatro del Vittoriale-Gardone Riviera h. 21
04
mercoledìWednesday
Suoni di Marca
LO STATO SOCIALE
Pop
Area Concerti-Treviso h. 21
05
Folk
Stevenà h. 20.30
Folkest
CONTRADA LORÌ
Folk
giovedìThursday
Suoni di Marca
IL MURO DEL CANTO
Folk
Indie
sabatoSaturday
LANZONI MORGAN MC PHERSON
Jazz
Laguna Libre h. 21
Suoni di Marca
I MINISTRI BASTARD SONS OF DIONISO
Indie
Area Concerti-Treviso h. 21
Nottinarena
MODENA CITY RAMBLERS
Kombat folk
Arena Alpe Adria-Lignano Sabbiadoro h. 20.30
Sexto Nplugged
THE NOTWIST
Post rock
Piazza Castello-Sesto al Reghena h. 21
Folkest
CRISTIANO GODANO
Rock
Auronzo di Cadore h. 20.30
Rock
P. 81
Piazza Castello-Sesto al Reghena h. 21
martedìTuesday
Folkest
ALVISE NODALE FT. ANA PILAT
Folk
Pinzano al Tagliamento h. 20.30
11
mercoledìWednesday
Indie
Area Concerti-Treviso h. 21
BALTHAZAR
10
Folkest
Folkest
Sexto Nplugged
Toppo h. 20.30
Villa Manin Estate
FULMINACCI
Pop acustico
MOTUS LEAVUS
Lusevera h. 20.30
Venezia Jazz Festival
Auronzo di Cadore h. 20
Arena della Marca
MICHELE ASCOLESE
07
Folkest
Musica d’autore
Piazza Castello-Sesto al Reghena h. 21
Cassacco h. 20.30
Cinema Italia-Dolo h. 21
FABIO CONCATO
THE HOUSE OF LOVE
FRANCESCO DE GREGORI
Jazz
Castello Festival
Piazza Castello-Sesto al Reghena h. 21
Folkest
IKARUS
Laguna Libre h. 21
venerdìFriday
domenicaSunday
ÀSGEIR
Suoni di Marca
Musica d’autore
Udine h. 20
31
Indie
Castello Scaligero-Villafranca h. 21
GIANNA NANNINI
30
Folkest
IOSONOUNCANE
Parco della Musica-Padova h. 21
Pop
08
Parklife Festival
ENSEMBLE SANGINETO
Cercivento h. 20.30
TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI
Villa Manin-Passariano di Codroipo h. 5.30
Folkest
MICHELE PIRONA STEFANO ANDREUTTI
Folk
Romans d’Isonzo h. 20.30
Folkest
BIRKIN TREE
Irish folk
Romans d’Isonzo h. 20.30
12
giovedìThursday
Folkest
NEMA PROBLEMA
Folk
Artegna h. 20.30
Festa di Radio Onda d’Urto
SUPERDOWNHOME NINE BELOW ZERO
Blues
Area Concerti-Brescia h. 21
13
venerdìFriday
Festa di Radio Onda d’Urto
STRANA OFFICINA SABOTAGE TRICK OR TREAT GAME OVER
Metal
Area Concerti-Brescia h. 21
Folkest
PAOLO BONFANTI MARTINO COPPO
Folk
Polcenigo h. 20.30
113
agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
14
sabatoSaturday
Folkest
ROBERTO LUCANERO TRIO
21
sabatoSaturday
Festa di Radio Onda d’Urto
MOTTA
INDIRIZZI ALTANA HOTEL SPLENDID VENICE
PARCO DELLA MUSICA
Via Venezia-Padova Fb: Parco della Musica
Folk
Indie
San Marco 760 www.venetojazz.com
Folkest
22
ANFITEATRO DEL VITTORIALE
Via Parini 33-Grado www.euritmica.it
AREA CONCERTI
Via Farini-Vicenza www.jamrockfestival.it
AREA CONCERTI
Ferrara www.ferrarasottolestelle.it
ARENA ALPE ADRIA
Jesolo www.duepuntieventi.com
Tramonti di Sopra h. 17.30
GREEN CLOUDS
Folk
Reana del Rojale h. 17.30
18
mercoledìWednesday
Area Concerti-Brescia h. 21
domenicaSunday
Festa di Radio Onda d’Urto
Gardone Riviera www.anfiteatrodelvittoriale.it
Rap
Mura di Treviso www.suonidimarca.it
23
Via Serenissima-Brescia festaradio.it
MURUBUTU & CLAVER GOLD INOKI NESS & BAND
Area Concerti-Brescia h. 21
Folkest
WOODEN LEGS
Folk
Prato Carnico h. 20.30
lunedìMonday
Folkest
Festa di Radio Onda d’Urto
Folk
Rap
SUREALISTAS
Flaibano h. 20.30
Folkest
CORO FVG ALEKSANDAR SASHA KARLIC
Folk
MARGHERITA VICARIO
Area Concerti-Brescia h. 21
25
mercoledìWednesday
CARMEN CONSOLI
Gorizia h. 20.30
Rock
19
Festa di Radio Onda d’Urto
giovedìThursday
Folkest
GIUDITTA SCORCELLETTI MAURIZIO GERI
Folk
Aurisina h. 20.30
Festa di Radio Onda d’Urto
Arena di Verona h. 21
MINISTRI BACHI DA PIETRA
Rock
Area Concerti-Brescia h. 21
26
giovedìThursday
LO STATO SOCIALE
Festa di Radio Onda d’Urto
Area Concerti-Brescia h. 21
Indie
Pop
20
venerdìFriday
Nottinarena
TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI
Area Concerti-Brescia h. 21
27
venerdìFriday
Lignano Sabbiadoro www.lignanosabbiadoro.com
ARENA LIVE
Marostica marosticasummerfestival.it
ARENA DI VERONA
Vari luoghi in provincia di Venezia e Treviso www.silejazz.com
Marghera www.comune.venezia.it Via Tassinari 1-Padova www.castellofestival.it Piazza Bra, Verona www.eventiverona.it
CASTELLO SCALIGERO
Villafranca www.eventiverona.it
CINEMA ITALIA
Via Comunetto 12-Dolo Fb: Palazzo Trevisan degli Ulivi
COMBO VENEZIA
Cannaregio 4878 www.venetojazz.com
Arena Alpe Adria-Lignano Sabbiadoro h. 20.30
Vari luoghi a Cortina www.cortinateatro.it
Festa di Radio Onda d’Urto
28
Vari luoghi in Friuli www.folkest.com
Area Concerti-Brescia h. 21
sabatoSaturday
Nottinarena
MARGHERITA VICARIO
FOLKEST
LAGO SUPERIORE
Fusine nobordersmusicfestival.com
Folkest
Fondamenta Cannaregio 969 www.venetojazz.com
FDA ENSEMBLE
Irish folk
Auronzo di Cadore h. 20.30
114
CORTINATEATRO
Rap
Arena Alpe Adria-Lignano Sabbiadoro h. 20.30
PARK NORD STADIO EUGANEO
Sesto al Reghena sextonplugged.it
Elettronica
Reggae
PARCO PEGASO
ARENA DI PIAZZA MERCATO
Arena Alpe Adria-Lignano Sabbiadoro h. 20.30
AFRICA UNITE
PARCO MASSARI
Viale Rocco 60-Padova www.sherwoodfestival.it
FRANCO 126
SUBSONICA
PARCO FORNACI
ARENA DELLA MARCA
Ippodromo S. Artemio-Villorba www.arenadellamarca.it
Nottinarena
Rap
PARCO DELLE ROSE
LAGUNA LIBRE OPERAESTATE
Vari luoghi in Veneto www.operaestate.it
PIAZZA CASTELLO PIAZZA CASTELLO SILE JAZZ
TEATRO LA FENICE
Campo San Fantin 1965 www.venetojazz.com
TEATRO ROMANO
Rigaste Redentore 2-Verona festivalbellezza.it
VICENZA JAZZ FESTIVAL
Vari luoghi a Vicenza www.vicenzajazz.org
VILLA MANIN
Passariano di Codroipo www.villamanin.it
01
:classical
LuglioJuly giovedìThursday
FAUST
Dramma lirico in cinque atti Frédéric Chaslin direttore Joan Anton Rechi regia Musiche di Gounod “Stagione Lirica 2020-2021“ Ingresso/entry € 181/126 Teatro La Fenice h. 18
AIDA
Opera lirica in quattro atti Diego Matheuz direttore Michele Olcese regia Musiche di Verdi “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 240/27 Arena di Verona h. 21
02
venerdìFriday
FARNACE
Dramma per musica in tre atti Diego Fasolis direttore Christophe Gayral regia Musiche di Vivaldi “Stagione Lirica 2020-2021“ Ingresso/entry € 110/45 Teatro Malibran h. 19
CAVALLERIA RUSTICANA PAGLIACCI
Marco Armiliato direttore Michele Olcese regia Musiche di Mascagni, Leoncavallo “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 260/28 Arena di Verona h. 21
03
sabatoSaturday
FAUST
(vedi giovedì 1 luglio) “Stagione Lirica 2020-2021“ Ingresso/entry € 181/126 Teatro La Fenice h. 18
NABUCCO
Opera lirica in quattro parti Daniel Oren direttore Michele Olcese regia Musiche di Verdi “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 216/28 Arena di Verona h. 21
04
domenicaSunday
FARNACE
(vedi venerdì 2 luglio) “Stagione Lirica 2020-2021“ Ingresso/entry € 110/45 Teatro Malibran h. 17
06
martedìTuesday
FARNACE
(vedi venerdì 2 luglio) “Stagione Lirica 2020-2021“ Ingresso/entry € 110/45 Teatro Malibran h. 19
GIOVANE ORCHESTRA METROPOLITANA
Musiche del repertorio classico “Marghera Estate 2021“
Ingresso gratuito/Free entry Arena di Piazza Mercato-Marghera h. 21
08
giovedìThursday
FARNACE
(vedi venerdì 2 luglio) “Stagione Lirica 2020-2021“ Ingresso/entry € 110/45 Teatro Malibran h. 19
FRANÇOIS LEMOINE clarinetto ELOÏSE BELLA KOHN pianoforte
Musiche di D’Ollone, Marty, Bonis P. 83
“Tanti baci da Roma“
Ingresso/entry € 17/5 Palazzetto Bru Zane h. 19.30
SERGEJ KRILOV violino solista
Musiche di Beethoven Orchestra di Padova e del Veneto “Stagione 2020-2021“ Auditorium C. Pollini-Padova h. 21
09
venerdìFriday
12
lunedìMonday
RICCARDO MUTI direttore P. 82 ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI
Musiche di Schubert “Concerto straordinario“ Ingresso/entry € 220/165 Teatro La Fenice h. 20
13
martedìTuesday
TRIO AMATIS LEA HAUSMANN violino SAMUEL SHEPHERD violoncello MENGJIE HAN pianoforte
Musiche di D’Ollone, Piernè, Boulanger “Tanti baci da Roma“ Ingresso/entry € 17/5 Palazzetto Bru Zane h. 19.30
15
giovedìThursday
AIDA
Ingresso/entry € 240/27 Arena di Verona h. 21
venerdìFriday
LA TRAVIATA
(vedi sabato 10 luglio) “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 216/28 Arena di Verona h. 21
Musiche del repertorio classico “Marghera Estate 2021“
17
AIDA
(vedi sabato 3 luglio) “98. Arena Opera Festival“
ARTISTI DELLA FENICE
Ingresso gratuito/Free entry Arena di Piazza Mercato-Marghera h. 21
(vedi giovedì 1 luglio) “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 240/27 Arena di Verona h. 21
10
sabatoSaturday
FARNACE
(vedi venerdì 2 luglio) “Stagione Lirica 2020-2021“ Ingresso/entry € 110/45 Teatro Malibran h. 19
LA TRAVIATA
Opera in tre atti Francesco Ivan Ciampa direttore Michele Olcese regia Musiche di Verdi “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 216/28 Arena di Verona h. 21
sabatoSaturday
Musiche di Chopin, Offenbach “Operaestate“
Ingresso/entry € 7 Teatro Accademico-Castelfranco h. 21. 20
21
mercoledìWednesday
AIDA
(vedi giovedì 1 luglio) “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 240/27 Arena di Verona h. 21
22
giovedìThursday
LAVARD SKOU-LARSEN diret-
Ingresso/entry € 216/28 Arena di Verona h. 21
QUANTUM CLARINET TRIO
Elena Veronesi clarinetto Johannes Przygodda violoncello Bokyung Kim pianoforte Musiche di Brahms, Rota “Operaestate“ Ingresso/entry € 10 Seren del Grappa h. 10.30
domenicaSunday
REQUIEM
Musiche di Mozart, Ravel Orchestra di Padova e del Veneto “Stagione 2020-2021“ Auditorium C. Pollini-Padova h. 21
CAVALLERIA RUSTICANA PAGLIACCI
(vedi venerdì 2 luglio) “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 260/28 Arena di Verona h. 21
23
venerdìFriday
LA TRAVIATA
(vedi sabato 10 luglio) “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 216/28 Arena di Verona h. 21
GIOVANNI ANDREA ZANON
NABUCCO
18
martedìTuesday
ALBERTO MESIRCA chitarra
tore
(vedi giovedì 1 luglio) “98. Arena Opera Festival“
16
20
P. 85
Speranza Scappucci direttore Vito Lombardi maestro del coro Musiche di Verdi “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 150/18,50 Arena di Verona h. 21.30
violino
Musiche di Beethoven, Ravel “Operaestate“ Ingresso/entry € 15 Villa Boldù-Rosà h. 21. 20
24
sabatoSaturday
NABUCCO
(vedi sabato 3 luglio) “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 216/28 Arena di Verona h. 21
GLORIA CAMPANER pianoforte
Musiche di Chopin, Rachmaninov “Festival della Bellezza“ Ingresso/entry € 14 Teatro Romano-Verona h. 21.30
TERRE GRAFFIATE
Musiche di Rachmaninov “Operaestate“ Ingresso/entry € 10 Col Campeggia h. 10.30
115
agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
25
domenicaSunday
LELLA COSTA voce recitante P. 88 FABIO SARTORI tenore GERARDO FELISATTI direttore RICCARDO ZANELLATO basso
Musiche di Verdi Orchestra Regionale Filarmonia Veneta “CortinaTeatro“
Ingresso/entry € 17/5 Alexander Girardi Hall-Cortina h. 20.45
27
martedìTuesday
PIERINO E IL LUPO
Musiche di Prokoviev Orchestra Regionale Filarmonia Veneta “CortinaTeatro“ Ingresso/entry € 10/8 Boschi di Fiames h. 9
29
giovedìThursday
MARCO ANGIUS direttore SARA MINGARDO contralto
Musiche di Beethoven, Wagner Orchestra di Padova e del Veneto “Stagione 2020-2021“ Auditorium C. Pollini-Padova h. 21
TURANDOT
Opera in tre atti e cinque quadri Jader Bignamini direttore Michele Olcese regia Musiche di Puccini “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 240/29,50 Arena di Verona h. 21
30
venerdìFriday
DOMINGO OPERA NIGHT
Placido Domingo baritono Maria Josè Siri soprano Eugene Kohn direttore Vito Lombardi maestro del coro Musiche del repertorio lirico “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 300/29,50 Arena di Verona h. 21.30
31
sabatoSaturday
CAVALLERIA RUSTICANA PAGLIACCI
(vedi venerdì 2 luglio) “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 260/28 Arena di Verona h. 21
116
AgostoAugust
01
domenicaSunday
TURANDOT
Opera in tre atti e cinque quadri Jader Bignamini direttore Michele Olcese regia Musiche di Puccini “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 240/29,50 Arena di Verona h. 20.45
03
martedìTuesday
ROBERTO BOLLE & FRIENDS P. 85
Musiche del repertorio classico “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 250/52 Arena di Verona h. 21.15
BEATRICE VENEZI direttore ORCHESTRA FILARMONIA ITALIANA
Musiche del repertorio classico “CortinaTeatro“
Ingresso/entry € 17/5 Rifugio Scoiattoli-Cortina h. 20.45
04
mercoledìWednesday
AIDA
Opera lirica in quattro atti Daniel Oren direttore Michele Olcese regia Musiche di Verdi “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 240/27 Arena di Verona h. 20.45
05
giovedìThursday
TURANDOT
(vedi domenica 1 agosto) “98. Arena Opera Festival“
Ingresso/entry € 240/29,50 Arena di Verona h. 20.45
ALEXANDER GADJIEV piano-
forte
Musiche di Chopin “Operaestate“
Ingresso/entry € 7 Chiostro del Museo Civico-Bassano del Grappa h. 21
06
venerdìFriday
NABUCCO
14
sabatoSaturday
CAVALLERIA RUSTICANA PAGLIACCI
Opera lirica in quattro parti Daniel Oren direttore Michele Olcese regia Musiche di Verdi “98. Arena Opera Festival“
Marco Armiliato direttore Michele Olcese regia Musiche di Mascagni, Leoncavallo “98. Arena Opera Festival“
07
17
Ingresso/entry € 216/28 Arena di Verona h. 20.45
sabatoSaturday
LA TRAVIATA
Opera in tre atti Francesco Ivan Ciampa direttore Michele Olcese regia Musiche di Verdi “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 216/28 Arena di Verona h. 20.45
08
domenicaSunday
AIDA
(vedi mercoledì 4 agosto) “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 240/27 Arena di Verona h. 20.45
12
giovedìThursday
AIDA
(vedi mercoledì 4 agosto) “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 240/27 Arena di Verona h. 20.45
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Opera buffa in due atti Jacopo Cacco direttore Tommaso Franchin regia Musiche di Rossini Orchestra Regionale Filarmonia Veneta “CortinaTeatro“
Ingresso/entry € 17/5 Alexander Girardi Hall-Cortina h. 20.45
13
venerdìFriday
NABUCCO
(vedi venerdì 6 agosto) “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 216/28 Arena di Verona h. 20.45
Ingresso/entry € 260/28 Arena di Verona h. 20.45
martedìTuesday
JONAS KAUFMANN tenore P. 85 MARTINA SERAFIN soprano
Jochen Rieder direttore Musiche del repertorio classico “98. Arena Opera Festival“
Ingresso/entry € 29,50 Arena di Verona h. 21.30
19
giovedìThursday
LA TRAVIATA
Opera in tre atti Francesco Ivan Ciampa direttore Michele Olcese regia Musiche di Verdi “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 216/28 Arena di Verona h. 20.45
20
venerdìFriday
NABUCCO
(vedi venerdì 6 agosto) “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 216/28 Arena di Verona h. 20.45
21
sabatoSaturday
AIDA
(vedi mercoledì 4 agosto) “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 240/27 Arena di Verona h. 20.45
22
domenicaSunday
GALA IX SINFONIA DI BEETHOVEN
Ruth Iniesta soprano Daniela Barcellona contralto Saimir Pirgu tenore Michele Pertusi basso Musiche di Beethoven “98. Arena Opera Festival“
Ingresso/entry € 150/18,50 Arena di Verona h. 21.30
martedìTuesday
IL CARNEVALE DEGLI ANIMALI
Favola musicale Marco Angius direttore Musiche di Saint-Saëns Orchestra di Padova e del Veneto “CortinaTeatro“
Ingresso/entry € 17/5 Alexander Girardi Hall-Cortina h. 14
26
giovedìThursday
NABUCCO
(vedi venerdì 6 agosto) “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 216/28 Arena di Verona h. 20.45
27
venerdìFriday
AIDA
(vedi mercoledì 4 agosto) “98. Arena Opera Festival“
INDIRIZZI ARENA DI PIAZZA MERCATO
Marghera www.comune.venezia.it
ARENA DI VERONA
Piazza Bra-Verona www.arena.it
AUDITORIUM C. POLLINI
Via C. Cassan 17-Padova www.opvorchestra.it
CORTINATEATRO
Vari luoghi a Cortina www.cortinateatro.it
OPERAESTATE
Vari luoghi in Veneto www.operaestate.it
PALAZZETTO BRU ZANE
San Polo 2368 www.bru-zane.com
TURANDOT
Francesco Ivan Ciampa direttore (vedi domenica 1 agosto) “98. Arena Opera Festival“ Ingresso/entry € 240/29,50 Arena di Verona h. 20.45
DAVIDE DE ASCANIIS violino LOUISE ANTONELLO violino ORCHESTRA MACHIAVELLI
Musiche del repertorio classico Orchestra Regionale Filarmonia Veneta “CortinaTeatro“
Ingresso/entry € 17/5 Alexander Girardi Hall-Cortina h. 20.45
31
martedìTuesday
RINALDO
Opera in tre atti Federico Maria Sardelli direttore Pier Luigi Pizzi regia Musiche di Händel “Stagione Lirica 2020-2021“ Ingresso/entry € 181/77 Teatro La Fenice h. 19
di Tommaso Fermariello Con Lorenzo Frediani e con gli attori della Compagnia Giovani del Teatro Stabile del Veneto Regia di Alessandro Businaro “Estiva 2021” Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro Verdi-Padova h. 19
I FIGLI DELLA FRETTOLOSA
Testo e regia Gabriella Casolari e Gianfranco Berardi Con Gianfranco Berardi, Gabriella Casolari, Francesco Rina, Flavia Neri, Silvia Zaru e con il coro di attori non vedenti e ipovedenti nato dal laboratorio per Scene di paglia “Scene di Paglia”
02
28
Ingresso/entry € 66/25 Teatro Malibran h. 19
ABITARE LO SPECCHIO I SCIUPAFIABE
TEATRO MALIBRAN
Campiello del Teatro 5873 www.teatrolafenice.it
Musiche di Mozart, Beethoven “Stagione Sinfonica 2020-2021“
giovedìThursday
Ingresso/Ticket € 5 Casone Ramei-Piove di Sacco h. 21.15
Campo San Fantin 1965 www.teatrolafenice.it
UMBERTO BENEDETTI MICHELANGELI direttore GABRIELE STRATA pianoforte
01
TEATRO LA FENICE
Ingresso/entry € 240/27 Arena di Verona h. 20.45
sabatoSaturday
LuglioJuly
:theatro
24
TEATRO ROMANO
Rigaste Redentore 2-Verona www.festivalbellezza.it
ABITARE LO SPECCHIO II HOME RUN
di Tommaso Fermariello Con Lorenzo Frediani, Ivan Olivieri e con gli attori della Compagnia Giovani del Teatro Stabile del Veneto Regia di Alessandro Businaro “Estiva 2021” Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro Verdi-Padova h. 19
TEATRO FRA PARENTESI
P. 89
di e con Marco Paolini Musiche originali composte ed eseguite da Saba Anglana e Lorenzo Monguzzi “Scene di Paglia”
Ingresso/Ticket € 15 Palazzo Jappelli-Piove di Sacco h. 21.15
L’AMLETO
P. 89
dall’opera di William Shakespeare di e con Paolo Rossi Assistente alla regia Leonardo Tosini “73. Estate Teatrale Veronese” Ingresso/Ticket € 20/8 Teatro Romano-Verona h. 21
03
sabatoSaturday
ABITARE LO SPECCHIO III ISTRUTTORIA
di Tommaso Fermariello Con Lorenzo Frediani e con gli attori della Compagnia Giovani del Teatro Stabile del Veneto Regia di Alessandro Businaro “Estiva 2021” Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro Verdi-Padova h. 19
P. 89
di Hugo Pratt Adattamento Marco Gnaccolini Con César Brie Alla fisarmonica Giulia Bertasi “Scene di Paglia”
Ingresso/Ticket € 5 Palazzo Jappelli-Piove di Sacco h. 18
MAD
Museo Antropologico del Danzatore
Ideazione Michela Lucenti Collaborazione creativa Maurizio Camilli, Emanuela Serra, Alessandro Pallecchi Balletto Civile “Scene di Paglia”
Ingresso/Ticket € 5 Casone Ramei-Piove di Sacco h. 21.15
L’AMLETO
(vedi venerdì 2 luglio)
Teatro Romano-Verona h. 21
04
domenicaSunday
BOCCASCENA
Ovvero sulle conseguenze dell’amor teatrale
venerdìFriday
Le mie storie per questo tempo
UNA BALLATA DEL MARE SALATO
Con César Brie Testo Antonio Attisani Alla fisarmonica Giulia Bertasi “Scene di Paglia”
Ingresso gratuito/Free entry Palazzo Jappelli-Piove di Sacco h. 11
SPAESAGGI
Storie dall’anno zero
di Filippo Tognazzo e Francesca Gallo Con Filippo Tognazzo Musica e canto Francesca Gallo Zelda Teatro “Scene di Paglia” Ingresso/Ticket € 5 Scuderie la Gardesana-Sant’Angelo di Piove di Sacco h. 21.15
05
lunedìMonday
FILI - LIS - SIAMO
Con Susi Danesin e Isabella Moro Drammaturgia di Marco Gnaccolini “Sottocasa. Il Teatro nelle Città” Ingresso gratuito/Free entry Parco della Bissuola-Mestre h. 18
ABITARE LO SPECCHIO I SCIUPAFIABE
(vedi giovedì 1 luglio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
R. R.
da Processo a Rolandina di Marco Salvador di e con Marco Duse Drammaturgia e regia di Gianmarco Busetto “Scene di Paglia”
Ingresso/Ticket € 5 Palazzo Jappelli-Piove di Sacco h. 21.15
117
agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
06
martedìTuesday
BURATTINI AL PARCO
di e con Lucia Schierano “Sottocasa. Il Teatro nelle Città”
Ingresso gratuito/Free entry Circus, via F.lli Cavanis-Chirignago h. 18
ABITARE LO SPECCHIO II HOME RUN
(vedi venerdì 2 luglio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
LA SCIMMIA
da Una relazione per un’accademia di Franz Kafka di e con Giuliana Musso “Scene di Paglia” Ingresso/Ticket € 5 Posa degli Agri-Polverara h. 21.45
07
Con Serena Balivo Regia di Mariano Dammacco Piccola Compagnia Dammacco “Scene di Paglia”
Ingresso/Ticket € 5 Casone Azzurro-Arzergrande h. 21.15
SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE P. 89
dall’opera di William Shakespeare Con con Sandra Toffolatti, Luciano Roman, Valerio Mazzucato Regia di Giorgio Sangati Teatro Stabile del Veneto “73. Estate Teatrale Veronese” Ingresso/Ticket € 20/8 Teatro Romano-Verona h. 21
09
venerdìFriday
ODISSEO
mercoledìWednesday
ABITARE LO SPECCHIO III ISTRUTTORIA
Racconto di un ePOPea
Con Carlo Decio Regia di Mario Gonzales “È sempre una bella stagione”
(vedi sabato 3 luglio)
Ingresso gratuito/Free entry Parco del Teatrino Groggia h. 21
FAGIOLINO E LA GRU
ABITARE LO SPECCHIO II HOME RUN
Teatro Verdi-Padova h. 19
dalla novella di di Giovanni Boccaccio Burattinai Patrizio Dall’Argine, Veronica Ambrosini Teatro Medico Ipnotico “Scene di Paglia” Ingresso gratuito/Free entry Casone Ramei-Piove di Sacco h. 18
MARIO E SALEH
Scritto e diretto da Saverio La Ruina Con Saverio La Ruina e Chadli Aloui Scena Verticale “Scene di Paglia”
Ingresso gratuito/Free entry Idrovora di Santa Margherita-Codevigo h. 21.15
11
domenicaSunday
T.O.M - TALES OF ME
(vedi lunedì 12 luglio)
ARLE-CHINO
ALPHA GRACE / ANOTHER STORY / SECUS P. 88
Ingresso gratuito/Free entry Parco del Teatrino Groggia h. 21 Traduttore-traditore di due padroni
di Cristina Pezzoli e Shi Yang Shi Con Shi Yang Shi Regia di Cristina Pezzoli “Scene di Paglia”
Ingresso/Ticket € 5 Casoni della Fogolana-Codevigo h. 21.15
12
lunedìMonday
MISURA PER MISURA
dall’opera di William Shakespeare Adattamento di Angela Dematté Con gli attori dell’Accademia Teatrale Carlo Goldoni Regia di Andrea Chiodi “Estiva 2021” Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro Verdi-Padova h. 19
PANE E PETROLIO
THE MISTERY OF HAMLET
di e con Paola Berselli, Luigi Dadina e Stefano Pasquini Regia di Stefano Pasquini Teatro delle Ariette, Teatro delle Albe “Scene di Paglia”
dal film Hamlet di S. Gade, H. Schall Voce recitante Filippo Nigro Regia Fabrizio Arcuri Direzione musicale Giulio Ragno Favero “73. Estate Teatrale Veronese”
Dedicato a Pier Paolo Pasolini
Ingresso/Ticket € 10 Villa Roberti-Brugine h. 20
SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE
P. 89
Ingresso/Ticket € 20/8 Teatro Romano-Verona h. 21
(vedi giovedì 8 luglio)
13
RACCONTI ANIMATI
10
(vedi giovedì 8 luglio)
Ingresso gratuito/Free entry Corte dei Cordami, Giudecca h. 18
di e con Giacomo Rossetto Teatro Bresci “È sempre una bella stagione”
(vedi lunedì 12 luglio)
ABITARE LO SPECCHIO III ISTRUTTORIA
MISURA PER MISURA
08
Teatro Romano-Verona h. 21
giovedìThursday
di e con Susi Danesin “Sottocasa. Il Teatro nelle Città”
ABITARE LO SPECCHIO I SCIUPAFIABE
(vedi giovedì 1 luglio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
EL PESSECAN
Racconto musicale
di e con Alvise Camozzi Violino e arrangiamenti musicali di Sokol Prekalori “Scene di Paglia”
Ingresso gratuito/Free entry Casone Ramei-Piove di Sacco h. 18
L’INFERNO E LA FANCIULLA
Ideazione e drammaturgia Mariano Dammacco, Serena Balivo
118
sabatoSaturday
BORSELLINO
P. 87
Ingresso gratuito/Free entry Parco del Teatrino Groggia h. 21
(vedi sabato 3 luglio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
MIO PADRE
Appunti sulla guerra civile
di e con Andrea Pennacchi Musiche di Giorgio Gobbo, Gianluca Segato e Graziano Colella Teatro Boxer “Scene di Paglia” Ingresso/Ticket € 5 Corte Benedettina-Legnaro h. 21.15
venerdìFriday
MISURA PER MISURA
Ideazione e interpretazione di Stefano Pettenella Collettivo L’Amalgama “È sempre una bella stagione”
Teatro Verdi-Padova h. 19
(vedi venerdì 2 luglio)
16
martedìTuesday
RACCONTI ANIMATI
CepVillaggio Laguna-Campalto h. 18
MISURA PER MISURA
Teatro Verdi-Padova h. 19
14
mercoledìWednesday
(vedi lunedì 12 luglio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
15
giovedìThursday
MISURA PER MISURA
(vedi lunedì 12 luglio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
Teatro Verdi-Padova h. 19
17
sabatoSaturday
Alpha Grace coreografia di Philippe Kratz Another Story coreografia di Diego Tortelli Secus, coreografia di Ohad Naharin Aterballetto “41. Operaestate Festival” Ingresso/Ticket € 20/16 Teatro al Castello “Tito Gobbi”, Bassano del Grappa h. 21.20
MISURA PER MISURA
(vedi lunedì 12 luglio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
19
lunedìMonday
NO LOOK
di Marco Mattiazzo Con Eleonora Marchiori Regia di Michele Tonicello “Estiva 2021” Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro Verdi-Padova h. 19
20
martedìTuesday
NO LOOK
(vedi lunedì 19 luglio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
LE ALLEGRE COMARI DI WINDSOR P. 89
di William Shakespeare Adattamento di Edoardo Erba Con Mila Boeri, Annagaia Marchioro, Chiara Stoppa, Virginia Zini Regia di Serena Sinigaglia “73. Estate Teatrale Veronese” Ingresso/Ticket € 20/8 Teatro Romano-Verona h. 21
21
mercoledìWednesday
NO LOOK
(vedi lunedì 19 luglio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
22
giovedìThursday
TUTTA LA VITA
P. 87
Ideazione e regia di Lorenzo Maragoni Andrea Bellacicco, Eleonora Panizzo Amor Vacui “Estiva 2021” Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro Goldoni h. 19
I PETTEGOLEZZI DELLE DONNE
di Carlo Goldoni Con gli attori dell’Accademia Teatrale Carlo Goldoni Regia di Giuseppe Emiliani Aiuto regia Alessandra Mangini “Estiva 2021” Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro Verdi-Padova h. 19
SWANS
P. 88
Coreografie e danza di Virna Toppi, Chiara Bersani, Collettivo MINE, Silvia Gribaudi, Philippe Kratz, Camilla Monga “41. Operaestate Festival” Ingresso/Ticket € 20/16 Teatro al Castello “Tito Gobbi”, Bassano del Grappa h. 21.20
23
venerdìFriday
TUTTA LA VITA
Teatro Goldoni h. 19
I PETTEGOLEZZI DELLE DONNE
(vedi giovedì 22 luglio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
sabatoSaturday
I PETTEGOLEZZI DELLE DONNE
(vedi giovedì 22 luglio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
26
lunedìMonday
TUTTA LA VITA
Ideazione e regia di Lorenzo Maragoni Andrea Bellacicco, Eleonora Panizzo Amor Vacui “Estiva 2021” Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro Verdi-Padova h. 19
27
da William Shakespeare Con Alessandro Preziosi Ideazione e direzione artistica a cura di Elena Marazzita “73. Estate Teatrale Veronese” Ingresso/Ticket € 20/8 Teatro Romano-Verona h. 21
28
mercoledìWednesday
ARLECCHINO FURIOSO
P. 87
Canovaccio a cura di: Giorgio Sangati, Sara Allevi, Anna De Franceschi, Michele Mori, Marco Zoppello Regia di Marco Zoppello Stivalaccio Teatro “Estiva 2021” Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro Goldoni h. 19
TUTTA LA VITA
29
giovedìThursday
ARLECCHINO FURIOSO
martedìTuesday
TUTTA LA VITA
(vedi lunedì 26 luglio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
Teatro Goldoni h. 19
OPERETTE MORALI
di Giacomo Leopardi A cura di Giorgio Sangati Con gli attori dell’Accademia Teatrale Carlo Goldoni “Estiva 2021” Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro Verdi-Padova h. 19
LOVE POEMS
Duo d’Eden di Maguy Marin Juliet Juliet Juliet di Ginevra Panzetti e Enrico Ticconi Brutal Love Poems di Thomas Noone “41. Operaestate Festival” Ingresso/Ticket € 20/16 Teatro al Castello “Tito Gobbi”, Bassano del Grappa h. 21.20
30
venerdìFriday
OPERETTE MORALI
(vedi giovedì 29 luglio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
MULINOBIANCO
31
sabatoSaturday
OPERETTE MORALI
(vedi giovedì 29 luglio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
TEENMOTION
Creazione originale di Adriana Borriello per il gruppo di giovani danzatrici del progetto LIFT “41. Operaestate Festival” Ingresso/Ticket € 5 Giardini Parolini, Bassano del Grappa h. 17
AgostoAugust
03
martedìTuesday
MISERICORDIA
(vedi lunedì 26 luglio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
(vedi mercoledì 28 luglio)
(vedi giovedì 22 luglio)
24
OTELLO
dalla parte di Cassio
P. 88
Babilonia Teatri “41. Operaestate Festival”
Ingresso/Ticket € 15/12 Teatro al Castello “Tito Gobbi”, Bassano del Grappa h. 21.20
SOIREE RUSSES
Spettacolo di danza omaggio ai leggendari Balletti Russi a cura di Daniele Cipriani “73. Estate Teatrale Veronese - Danza”
P. 88
Scritto e diretto da Emma Dante Compagnia Sud Costa Occidentale “41. Operaestate Festival” Ingresso/Ticket € 15/12 Teatro al Castello “Tito Gobbi”, Bassano del Grappa h. 21
05
giovedìThursday
BAYADÈRE
Il regno delle ombre
Balletto in un atto per 12 danzatori Musica Ludwing Minkus Coreografia Michele Di Stefano Nuovo BallettO di ToscanA “73. Estate Teatrale Veronese - Danza” Ingresso/Ticket € 20/8 Teatro Romano-Verona h. 21
07
sabatoSaturday
GRACES
Coreografia di Silvia Gribaudi Drammaturgia e regia di Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti Zebra Cultural Zoo “73. Estate Teatrale Veronese - Danza” Ingresso/Ticket € 20/8 Teatro Romano-Verona h. 21
10
12
giovedìThursday
BOOMERANG
Gli illusionisti della danza
Coreografie di Cristiano Fagioli, Cristina Ledri, Alessandra Odoardi Regia di Cristiano Fagioli Musiche Diego Todesco RBR Dance Company Illusionistheatre “73. Estate Teatrale Veronese - Danza” Ingresso/Ticket € 20/8 Teatro Romano-Verona h. 21
19
giovedìThursday
ARCHIPELAGO
Coreografia e danza di Fabio Novembrini e James Viveiros “41. Operaestate Festival”
Ingresso/Ticket € 5 Cortile Vittorelli, Bassano del Grappa h. 16
NEPTUNE
di e con Lois Alexander “41. Operaestate Festival” Ingresso/Ticket € 5 Teatro Remondini, Bassano del Grappa h. 21
24
martedìTuesday
EARTHBOUND
Ovvero la storia delle Camille
Liberamente tratto da Staying with the trouble di Donna Haraway di e con Marta Cuscunà “41. Operaestate Festival” Ingresso/Ticket € 15/12 Teatro Remondini Bassano del Grappa h. 21
IL TEATRO COMICO
P. 89
da Carlo Goldoni Con Giulio Scarpati Adattamento e regia Eugenio Allegri “73. Estate Teatrale Veronese” Ingresso/Ticket € 20/8 Teatro Romano-Verona h. 21
26
giovedìThursday
JOHANN SEBASTIAN CIRCUS
martedìTuesday
COPPELIA
Coreografia e regia di Laura Corradi Creato con Midori Watanabe, Carlotta Plebs, Alberto Munarin Ersiliadanza “73. Estate Teatrale Veronese - Danza”
Boleadoras, acrobatica aerea, giocoleria e mano a mano con musica dal vivo di Circo El Grito “È sempre una bella stagione” Ingresso gratuito/Free entry Parco Bissuola-Mestre h. 18/21
Ingresso/Ticket € 20/8 Teatro Romano-Verona h. 21
Ingresso/Ticket € 20/8 Teatro Romano-Verona h. 21
119
agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
venerdìFriday
TROPPE ARIE
Musica, circo e anime in volo di Trio Trioche “È sempre una bella stagione” Ingresso gratuito/Free entry Parco Bissuola-Mestre h. 18/21
PANDORA
Ideazione e regia di Riccardo Pippa Teatro dei Gordi “41. Operaestate Festival” Ingresso/Ticket € 5 Teatro Remondini, Bassano del Grappa h. 21
GLI UCCELLI
Un’utopia
da Aristofane Drammaturgia Giovanna Scardoni Con Francesca Botti, Nicola Ciaffoni Regia Stefano Scherini “73. Estate Teatrale Veronese” Ingresso/Ticket € 20/8 Teatro Romano-Verona h. 21
28
sabatoSaturday
30
lunedìMonday
L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA
P. 87
di Luigi Pirandello Con Lucrezia Lante della Rovere “È sempre una bella stagione” Ingresso gratuito/Free entry Campo San Polo h. 21
FIGHT OR FLIGHT
Coreografia e regia di Chiara Frigo Realizzato con Valentina Banci, Maria Eugenia Rivas, Chiara Frigo Drammaturgia Riccardo de Torrebruna “73. Estate Teatrale Veronese - Danza” Ingresso/Ticket € 20/8 Teatro Romano-Verona h. 21
31
martedìTuesday
Ingresso gratuito/Free entry Parco Bissuola-Mestre h. 18/21
29
domenicaSunday
UNA BIONDA IN CARRIERA
da Legally Blonde – il musical Accademia Musicale G. Verdi di Venezia in collaborazione con Theama Teatro e CMT Musical Theatre Company “È sempre una bella stagione” Ingresso gratuito/Free entry Campo San Polo h. 21
LOVE IS IN THE AIR
Confessioni di un giocoliere
Con Andrea Farnetani “È sempre una bella stagione” Ingresso gratuito/Free entry Parco Bissuola-Mestre h. 18/21
CINEMOVING 2021
Ritorna Cinemoving, il cinema su quattro ruote e in campo che arriva sotto casa per una serata all’insegna di bei film per l’estate 2021 si presenta con oltre 60 spettacoli tra Mestre e Venezia. Tutti gli eventi sono ad ingresso gratuito fino ad esaurimento dei posti disponibili e prenotabili a partire da cinque giorni prima dell’evento e fino a tre ore prima dell’inizio dello spettacolo sul sito www.culturavenezia.it.
DECAMEROCK
di Massimo Cotto, Mauro Ermanno Giovanardi, Chiar Buratti “È sempre una bella stagione” Ingresso gratuito/Free entry Campo San Polo h. 21
LIMINAL
Circo El Grito “È sempre una bella stagione”
LuglioJuly
:cinema
27
INDIRIZZI 41. OPERAESTATE FESTIVAL Teatro al Castello “Tito Gobbi” Teatro Remondini e altri luoghi a Bassano del Grappa www.operaestate.it
È SEMPRE UNA BELLA STAGIONE
Campo San Polo Giardino del Teatrino Groggia Parco Bissuola, Mestre www.culturavenezia.it
SCENE DI PAGLIA
Piove di Sacco e Comuni della Saccisica www.scenedipaglia.net
TEATRO GOLDONI
Rialto, San Marco www.teatrostabileveneto.it
TEATRO ROMANO
Via Regaste Redentore 2-Verona www.estateteatraleveronese.it
TEATRO VERDI
Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it
10
sabatoSaturday
IL PIANETA IN MARE
Parco San Giuliano-Mestre h. 21
domenicaSunday
ANTROPOCENE L’EPOCA UMANA
di Jennifer Baichwal, Edward Burtynsky, Nicholas de Pencier (Canada, 2018, 87’) Precede la proiezione l’intervento di Markus Reymann direttore di Ocean Space, centro globale per l’alfabetizzazione e la difesa degli oceani attraverso le arti Parco San Giuliano-Mestre h. 21
12
lunedìMonday
WALL-E
Parco San Giuliano-Mestre h. 21
Parco San Giuliano-Mestre h. 21
15
giovedìThursday
IL PICCOLO YETI
di Jill Culton, Todd Wilderman (animazione, Cina/USA, 2019, 97’)
PONYO SULLA SCOGLIERA
di Hayao Miyazaki (animazione, Giappone, 2008, 100’) Precede la proiezione l’intervento di Luca Mizzan, responsabile del Museo di Storia Naturale Giancarlo Ligabue “Cinemoving 2021” Parco San Giuliano-Mestre h. 21
16
venerdìFriday
I VILLANI
di Daniele De Michele (Italia, 2018, 76’) Precede la proiezione l’intervento di Alessandro Marzo Magno giornalista e scrittore, direttore responsabile di «Ligabue Magazine», la rivista della Fondazione Ligabue Parco San Giuliano-Mestre h. 21
21
mercoledìWednesday
LE INVISIBILI
di Louis-Julien Petit (Francia, 2019, 102’)
22
giovedìThursday
LA DONNA ELETTRICA
di Benedikt Erlingsson (Francia/Islanda/Ucraina, 2018, 100’) Serra dei Giardini, Castello h. 21.30
CATTIVISSIMO ME 3
martedìTuesday
CAPTAIN FANTASTIC
di Matt Ross (USA, 2016, 120’) Precede la proiezione l’intervento di Arianna Porcelli Safonov scrittrice, autrice, performer Parco San Giuliano-Mestre h. 21
120
di Faouzi Bensaïdi, Ása Helga Hjörleifsdóttir, Mahamat-Saleh Haroun, Salomé Lamas, Bettina Oberli, Nila Madhab Panda, Shahrbanoo Sadat, Silvio Soldini, Jiuliang Wang, Daniela Thomas, Karin Williams (2019, 99’) Precede la proiezione l’intervento di Arianna Traviglia, coordinatrice di IIT – Istituto Italiano di Tecnologia, Ca’ Foscari – VEGA Parco Scientifico Tecnologico
Parrocchia di Zelarino h. 21.30
di Andrew Stanton (USA, 2008, 97’) Precede la proiezione l’intervento di Roberto Ragazzoni, direttore dell’Osservatorio Astronomico di Padova
13
mercoledìWednesday
INTERDEPENDENCE
Serra dei Giardini, Castello h. 21.30
di Andrea Segre (Italia, 2019, 93’) Precede la proiezione l’intervento di Maria Chiara Tosi, docente di Urbanistica, Facoltà di Architettura Università IUAV, Venezia
11
14
di Kyle Balda, Pierre Coffin (animazione, USA, 2017, 86’)
Piazza Divisione Acqui, Parco Bissuola Mestre h. 21.30
23
venerdìFriday
JURASSIC WORLD IL REGNO DISTRUTTO
di Juan Antonio Bayona (USA, 2018, 128’) Piazza di Chirignago h. 21.30
24
sabatoSaturday
LA DONNA ELETTRICA
di Benedikt Erlingsson (Francia/Islanda/Ucraina, 2018, 100’)
06
venerdìFriday
JOHNNY ENGLISH COLPISCE ANCORA
di David Kerr (G.B., 2018, 88’)
Piazzetta Brendole-Gazzera h. 21.30
07
sabatoSaturday
LA DONNA ELETTRICA
di Benedikt Erlingsson (Francia/Islanda/Ucraina, 2018, 100’)
Dietro il Municipio-Favaro h. 21.30
Piazza Divisione Acqui, Parco Bissuola Mestre h. 21.30
25
12
domenicaSunday
JURASSIC WORLD IL REGNO DISTRUTTO
di Juan Antonio Bayona (USA, 2018, 128’) Via Tiburtina (accanto alla Chiesa) Campalto h. 21.30
28
mercoledìWednesday
LE INVISIBILI
di Louis-Julien Petit (Francia, 2019, 102’) Rione Pertini-Mestre h. 21
29
giovedìThursday
IL DRAGO INVISIBILE
di David Lowery (USA, 2016, 102’)
Serra dei Giardini, Castello h. 21.30
AgostoAugust
04
mercoledìWednesday
IL COMPLICATO MONDO DI NATHALIE
di David e Stéphane Foenkinos (Francia, 2017, 102’) Rione Pertini-Mestre h. 21
05
giovedìThursday
THE FIRST MAN IL PRIMO UOMO
di Damien Chazelle (USA, 2018, 141’) “Cinemoving 2021” Dietro il Municipio-Favaro h. 21.30
giovedìThursday
JURASSIC WORLD IL REGNO DISTRUTTO
di Juan Antonio Bayona (USA, 2018, 128’) Serra dei Giardini, Castello h. 21.30
13
venerdìFriday
BACK TO LIFE
Shorts On Tap, festival cinematografico internazionale di cortometraggi londinese, sbarca a Venezia per la prima volta con una rassegna di cortometraggi sul “ritorno alla vita”. Una vera e propria celebrazione della “joje de vivre” e dell’amore per il cinema, Back to Life vuole portare una ventata di positività e leggerezza dopo quasi due anni di pandemia e lockdown. Viene presentata una selezione di cortometraggi da tutto il mondo il cui filo conduttore è il superamento delle avversità, la capacità di adattamento a un momento difficile e il ritorno al sorriso. Segue la proiezione una sessione di domande e risposte fra i registi presenti ed il pubblico. Campo San Polo h. 21
14
sabatoSaturday
70 BINLADENS
di Koldo Serra (Spagna, 2019, 100’) v.o. sottotitoli in italiano In collaborazione del 14° Festival del Cinema Spagnolo e Latinoamericano Parco San Giuliano-Mestre h. 21
15
domenicaSunday
LA INOCÈNCIA
di Lucia Alemany (Spagna, 2019, 92’) v.o. sottotitoli in italiano Parco San Giuliano-Mestre h. 21
16
lunedìMonday
INTEMPERIE
di Benito Zambrano (Spagna/Portogallo, 2019, 103’) v.o. sottotitoli in italiano
Parco San Giuliano-Mestre h. 21
17
martedìTuesday
EDMOND
di Alexis Michalik (Francia, 2019, 109’) v.o. sottotitoli in italiano In collaborazione con l’Alliance Française di Venezia Parco San Giuliano-Mestre h. 21
18
mercoledìWednesday
AMANDA
di Mikhaël Hers (Francia, 2018, 106’) v.o. sottotitoli in italiano Parco San Giuliano-Mestre h. 21
19
giovedìThursday
LES CREVETTES PAILLETÉES
di Cédric Le Gallo, Maxime Govare (Francia, 2019, 100’) v.o. sottotitoli in italiano Parco San Giuliano-Mestre h. 21
20
venerdìFriday
STUCKY UNE FORTUNE À VENISE
di Emiland Guillerme, François Rabaté (Francia/Belgio/Italia, 2018, 54’) v.o. sottotitoli in italiano Con la collaborazione del Cinema Svizzero a Venezia e del Consolato generale di Svizzera a Milano Parco San Giuliano-Mestre h. 21
21
sabatoSaturday
STÜRM: BIS WIR TOT SIND ODER FREI
di Oliver Rihs (Svizzera/Germania, 2020, 117’) v.o. sottotitoli in italiano
23
lunedìMonday
ARVEN
di Per Fly (Danimarca, 2003, 107’) v.o. sottotitoli in italiano Parco San Giuliano-Mestre h. 21
24
martedìTuesday
EFTER BRYLLUPPET
di Susanne Bier (Danimarca/Svezia, 2006, 120’) v.o. sottotitoli in italiano
Parco San Giuliano-Mestre h. 21
25
mercoledìWednesday
DEN SKYLDIGE
di Gustav Möller (Danimarca, 2018, 85’) v.o. sottotitoli in italiano Parco San Giuliano-Mestre h. 21
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giovedìThursday
HAB
di Nóra Lakos (Ungheria, 2020, 89’) v.o. sottotitoli in italiano Con la collaborazione del National Film Institute Hungary, dell’Accademia d’Ungheria Roma, del Consolato Gen. On. di Ungheria – Venezia e dell’Associazione Culturale italo-ungherese del Triveneto Parco San Giuliano-Mestre
h. 21
27
venerdìFriday
BRAZILOK
di Csaba M. Kiss, Gábor Rohonyi (Ungheria, 2017, 95’) v.o. sottotitoli in italiano Parco San Giuliano-Mestre h. 21
28
sabatoSaturday
A VISZKIS
di Antal Nimrod (Ungheria, 2017, 126’’) v.o. sottotitoli in italiano Parco San Giuliano-Mestre h. 21
Parco San Giuliano-Mestre h. 21
22
domenicaSunday
TAMBOUR BATTANT
di François-Christophe Marzal (Svizzera, 2019, 90’) v.o. sottotitoli in italiano
Parco San Giuliano-Mestre h. 21
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urbantrekking FOOTPRINTS IN THE CITY
a cura di Franca Lugato
1. SCUOLA DI SAN GIORGIO DEGLI SCHIAVONI
VITTORE CARPACCIO San Giorgio e il drago 1502–1504 (Olio su tela, cm 141x360)
1
2
Il drago della Scuola Dalmata è tra i più conosciuti in città e ci riporta nello straordinario mondo pittorico di Carpaccio, maestro della pittura veneziana tra fine Quattrocento e primo Cinquecento, seducente narratore di favole letterarie e vite di santi nostalgicamente trattate come poemi cavallereschi. Reminiscenze tardo gotiche (basti osservare il ricciolo della coda del drago) si sposano a quella tensione verso il rigore e la razionalità tipiche del Rinascimento in questo episodio della vita di San Giorgio, che è sicuramente il più emblematico della sua esistenza. Potenza e insaziabile voracità trapelano dal fantastico rettile. Spostando lo sguardo alla scena successiva – Il trionfo di San Giorgio –, il drago ferito e quindi sconfitto viene portato a guinzaglio nella città libica di Selene, assumendo i toni di un animale inoffensivo prima della sua definitiva uccisione. The dragon depicted at the Scuola Dalmata is one of the best known and will introduce us to Carpaccio’s art world. Carpaccio was a prominent Venetian artist of the late 1400s and early 1500s, a narrator of literary fables and lives of saints, once treated as chivalric poems with a hint of nostalgia. Late Gothic elements (notice the tip of the dragon’s tail) pair with the tension, rigour, and rationality typical of the Renaissance era. The adjacent table, Saint George in Triumph, sees the wounded dragon on a leash in the Libyan city of Selene, now a harmless animal on its way to its demise.
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2. ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE Coro d’inverno o Sala del Conclave
VITTORE CARPACCIO San Giorgio e il drago
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1516 (Olio su tela, cm 180x226)
6
5 122
* vedi p. 68
Sconosciuto ai più ma a noi molto caro (vedi articolo di Augusto Gentili, Venezianews n. 250 Dicembre-Gennaio2021) è il drago, firmato e datato 1516, che Carpaccio dipinse per il monastero benedettino di San Giorgio nel defilato Coro d’inverno. In primo piano il dipinto raffigura il duello di Giorgio con il drago, il cavaliere cristiano contro la bestia diabolica dall’occhio infuocato; di grande interesse per la comprensione dell’opera risultano le altre storie di santità e martiri (Stefano, Gerolamo, Benedetto) che popolano la tela e che non hanno nulla a che vedere con Giorgio, ma diventano preziosissimi indizi per scoprire la committenza del dipinto. Nella finta predella, quattro riquadri raffigurano i terribili supplizi di Giorgio dopo l’uccisione del drago, fino al martirio per decapitazione. Magistrale in questo dipinto è l’utilizzo di colore e luce. Overlooked by most, but quite dear to us, is a dragon, signed and dated 1516, that Carpaccio painted for the Benedictine monastery of Saint George for the winter choir. In the foreground, we can see George fighting the dragon – the Christian knight against the devilish beast with flaming eyes. Of particular interest for a better understanding of the artwork are stories of other saints and martyrs (Stephen, Jerome, Benedict) populating the picture and, while their stories have nothing to do with George, act as clues to who sponsored the making of the painting.
Dalle suggestioni del capolavoro di Paolo Uccello San Giorgio e il drago, ospite a Palazzo Cini *, alle tracce di altri famosi draghi ‘nascosti’ a Venezia 3. PIAZZETTA DI SAN MARCO
5. COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM
Le colonne Marco e Todaro
MAX ERNST La vestizione della sposa
Un drago e una chimera svettano sulle colonne più famose di Venezia, quelle del Molo di San Marco. I due monoliti di granito orientale vennero eretti sotto il dogado di Sebastiano Ziani (1172 circa) e in seguito, in maniera abbastanza spregiudicata, i veneziani vi collocarono alla sommità delle “opere di recupero”, che nel loro riutilizzo finirono per simboleggiare i santi patroni della città. Teodoro (Todaro per i veneziani), santo bizantino e guerriero, primo protettore della città, è raffigurato mentre calpesta il drago sconfitto: il busto risale alla statua di un imperatore romano mentre il rimanente dell’opera è stato realizzato in periodo medievale (ricordiamo che si tratta di una copia, mentre l’originale si trova nel cortile di Palazzo Ducale). San Marco è simboleggiato dal Leone, in realtà una splendida chimera in bronzo di provenienza orientale alla quale sono state aggiunte le ali. A dragon and a chimera stand out on the most famous columns in Venice, the ones that overlook the central dock at St. Mark’s. The two monoliths of Oriental marble have been put in place under Doge Sebastiano Ziani (ca. 1172), though the sculptures on top have been ‘salvaged’ (read: looted) and placed there at a later date to end up being the symbols of the patron saints of Venice: Theodore (Todaro in Venetian), Byzantine saint and knight, first protector of the city, is depicted as he crushes a defeated dragon, while Saint Mark is depicted in form of lion, or rather a bronze chimera, again of Oriental origin, that later gained a pair of wings.
4. CAMPO SANTA MARGHERITA
Statua di Santa Margherita e altri draghi
Tra i draghi in pietra che si possono incontrare a Venezia sicuramente quelli di Campo Santa Margherita sono tra i più belli, collocati sul lato nord, dove sono ancora ben visibili le tracce dell’antica chiesa di Santa Margherita ora sconsacrata, che ospita l’Auditorium di Ca’ Foscari. Il drago ai piedi della Santa nella statua dentro la nicchia è incredibilmente mostruoso e visionario. Ricordiamo che nella leggenda di Margherita d’Antiochia, giovanissima martire cristiana vissuta ai tempi delle persecuzioni di Diocleziano, il demonio le si materializzò sotto forma di drago inghiottendola. Margherita sorretta dalla fede riuscì a riemergere squarciando con la croce che teneva in mano il ventre della bestia mostruosa e così dal Medioevo la figura di questa Santa viene affiancata ai più celebri santi draghicidi. Ci sono altre due creature mostruose che incorniciano il portale verso la calle, forse draghi o mostri marini, sta di fatto che danno il nome a uno dei localini più frequentati della zona. One of the many stone dragons to be found in Venice are those at Campo Santa Margherita, on its north side. One of these dragons stands by a statue of Saint Margaret and is incredibly monstrous and visionary. Margaret of Antioch was a young Christian martyr who lived at the times of the Diocletianic Persecution. The devil appeared before her in form of dragon and ate her. Margaret, staunch in her faith, used the cross she was holding in her hand to tear the dragon’s stomach. Another two monsters frame the portal looking at the outer alley, maybe dragons or sea monsters – whatever the case, that’s the namesake for the bar across the calle.
1940 (Olio su tela, cm 129 x 96)
Il pittore surrealista Max Ernst fu anche marito di Peggy Guggenheim e a lei regalò uno dei più straordinari dipinti della sua produzione artistica, dove utilizza la tecnica della decalcomania da lui sperimentata a partire dal 1935. Figure antropomorfe, animalesche e mostruose, da incubo, appartenenti a universi immaginari, abbigliate con piumaggi dai colori sgargianti, colpiscono il visitatore per la loro verosimiglianza. Il dipinto è ricco di rimandi simbolici, come quell’essere mostruoso di sinistra, dalle gambe umane e la testa d’uccello, ricoperto di piume verdi. Svariate sono le interpretazioni di questo enigmatico quadro e l’uomo-uccello viene spesso accostato all’artista stesso. Ernst per lungo tempo creò un suo alter ego, Loplop, un essere Superiore degli Uccelli. La lancia, simbolo fallico, che regge in mano puntata verso la sposa potrebbe essere interpretata con il rapporto amoroso con la giovane pittrice surrealista inglese Leonora Carrington. Rimandi biografici in una delle opere più iconiche del surrealismo. Surrealist painter Max Ernst was also Peggy Guggenheim’s husband. He gifted her one of the most incredible pieces of decal art, which he began experimenting with since 1935. The most diverse set of figures – humans, animals, monsters – create a tapestry of symbols. Take the monster on the left, with human legs and bird head, clad in green plumage. Some say the monster is Ernst himself. For a long time, the artist adopted an alter ego, Loplop, or the Superior Being of Birds. The spear, a phallic symbol, pointed at the bride may be interpreted as the love liaison with young English surrealist painter Leonora Carrington. Plenty of autobiography in this iconic piece of Surrealism.
6. CAMPO SAN SALVADOR
Insegna Marforio
Vogliamo chiudere questa breve carrellata tra draghi, mostri e figure antropomorfe con ciò che rimane di uno dei negozi più celebri della città. Si tratta del mostruoso ma elegantissimo drago-uccello dell’insegna di Marforio, lo storico negozio di ombrelli, borsette, portafogli e altro ancora che si trovava all’inizio delle Mercerie dal lato di San Salvador e che tutti i veneziani hanno frequentato o conosciuto attraverso i racconti. Il becco del fantastico animale, parte finale del lungo e flessuoso collo, diviene punto d’appoggio per la lampada costituita da tre ombrelli aperti e colorati. Un bellissimo esempio di manufatto in ferro battuto, tecnica largamente diffusa nei primi decenni del Novecento, con abilissimi maestri presenti in città, spesso impegnati nelle elegantissime e raffinate ville Liberty del Lido. We would like to sign off this roundup of dragons and monsters with one of the most iconic stores in Venice. There is a very monstrous, yet very elegant dragon/bird at the entrance of Marforio, a historic shop of umbrellas, bags, wallets, and the like that used to be in the San Salvador area. The beak of the fantastic animal, at the end of a long, sinuous neck, supports a lamp made of three colourful open umbrellas. A striking specimen of wrought iron art.
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STUDIOLANZA
RIPARTIAMO DALLA CULTURA COOPCULTURE È ARTE, DIDATTICA, VALORIZZAZIONE, TUTELA, COOPERAZIONE, LAVORO
Ripartiamo dalla Cultura
Non vediamo l’ora di riaccogliervi in luoghi di inusitata bellezza e di condividere assieme amore per l’arte, cura del patrimonio culturale e della memoria del passato. Coltivare l’anima ci aiuterà a ricominciare. Presto.
www.coopculture.it www.liveculture.it 124
Sedi
Venezia Mestre
Roma
Torino
Firenze
Napoli
Palermo
Corso del Popolo, 40
via Sommacampagna, 9
Via F. Ferrucci, 77/9
Via Guelfa, 9
Corso Umberto I, 58
Via A. Borrelli, 3
exhibitions IN VENICE
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA
Between space and surface Arthur Duff, Ludovico Bomben, Francesco Candeloro
FinoUntil 11 settembreSeptember Magazzino del Sale 3, Dorsoduro 423 www.accademiavenezia.it
ALMA ZEVI
Luisa Lambri / Bijoy Jain (Studio Mumbai) FinoUntil 31 luglioJuly Salizada San Samuele San Marco 3357, 3208 www.almazevi.com
CASA DEI TRE OCI
Mario De Biasi. Fotografie 1947-2003
FinoUntil 9 gennaioJanuary, 2022 Fondamenta delle Zitelle, Giudecca 43 www.treoci.org
COLLECTIVE GALLERY PROJECT
Maurizio Pellegrin
The Red, The Black and the Other Galleria Michela Rizzo FinoUntil 7 agostoAugust Gestures: Works on Paper Galleria Marignana Arte FinoUntil 24 luglioJuly Also, the Elephants Travel to Venice Nuova Icona FinoUntil 7 agostoAugust Galleria Michela Rizzo, Giudecca 800 Q www.galleriamichelarizzo.net Galleria Marignana Arte, Dorsoduro 141 www.marignanaarte.it Nuova Icona, Oratorio di San Ludovico Calle dei Vecchi, Dorsoduro 2552 www.nuovaicona.org
CONCILIO EUROPEO DELL’ARTE
BORGOALIVE!
FinoUntil 21 novembreNovember InParadiso Art Gallery Giardini della Biennale, Castello 1260 www.concilioeuropeodellarte.org
EUROPEAN CULTURAL CENTRE
TIME SPACE EXISTENCE FinoUntil 21 novembreNovember Palazzo Bembo Riva del Carbon, San Marco 4793 Palazzo Mora Strada Nova, Cannaregio 3659 Giardini della Marinaressa, Castello europeanculturalcentre.eu
FONDACO DEI TEDESCHI
Maarten Baas. Second Act FinoUntil 21 novembreNovember Calle del Fontego dei Tedeschi Ponte di Rialto www.dfs.com
FONDACO MARCELLO
Wallace Chan. TITANS: Un dialogo tra materiali, spazio e tempo
FinoUntil 31 ottobreOctober Calle del Traghetto, San Marco 3415
FONDATION VALMONT
Alice in Doomedland
FinoUntil 27 febbraioFebruary, 2022 Palazzo Bonvicini Calle Agnello, Santa Croce 2161A fondationvalmont.com
FONDAZIONE BERENGO
GLASS TO GLASS
17 luglioJuly-21 novembreNovember Fondazione Berengo Art Space Campiello della Pescheria 4, Murano Berengo Collection Calle Larga San Marco 412-413 www.fondazioneberengo.org
FONDAZIONE EMILIO E ANNABIANCA VEDOVA
Baselitz. Vedova accendi la luce
FONDAZIONE WILMOTTE
Re Make. Prix W 2020 Winning projects. The Château de la Tour d’Aigues FinoUntil 21 novembreNovember Galleria, Fondaco degli Angeli Cannaregio 3560 www.wilmotte.com
GALLERIA ALBERTA PANE
Gayle Chong Kwan. Waste Archipelago
FinoUntil 24 luglioJuly Calle dei Guardiani, Dorsoduro 2403H albertapane.com
GALLERIA MARIGNANA
Nancy Genn: Inner Landscapes
FinoUntil 31 ottobreOctober Magazzino del Sale Zattere, Dorsoduro 266 www.fondazionevedova.org
FinoUntil 24 luglioJuly Dorsoduro 141 www.marignanaarte.it
FONDAZIONE GIORGIO CINI/1
GALLERIA VAN DER KOELEN
FinoUntil 8 luglioJuly Sala Carnelutti Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it
FinoUntil settembreSeptember Calle dei Calegheri, San Marco 2566 galerie.vanderkoelen.de
FONDAZIONE GIORGIO CINI/2
Marco Agostinelli. QVA QuaranTime Video Art and New Generation
EST. Storie italiane di viaggi, città e architetture
Venezia è tutta d’oro. Tomaso Buzzi: disegni fantastici 1948-1976 FinoUntil 1 agostoAugust Biblioteca del Longhena Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it
FONDAZIONE GRIMANI DELL'ALBERO D'ORO
Palazzo Vendramin Grimani
FinoUntil 21 novemberNovember San Polo 2033 www.fondazionealberodoro.org
FONDAZIONE PRADA
Peter Fischli. Stop Painting
FinoUntil 17 ottobreOctober Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.querinistampalia.org
Piranesi Roma Basilico
FinoUntil 31 ottobreOctober Campo San Vio, Dorsoduro 864 www.palazzocini.it
PALAZZO CONTARINI DEL BOVOLO
Mara Fabbro e Alberto Pasqual. È per sempre
FinoUntil 31 agostoAugust San Marco 4303 www.gioiellinascostidivenezia.it
PALAZZO FRANCHETTI
PALAZZO GRIMANI
FinoUntil 21 novembreNovember Fondamenta San Giuseppe, Castello 925 www.castello925.com
IKONA GALLERY
Francesco Barasciutti Spazialità minima, an ongoing project
FinoUntil 11 luglioJuly Campo del Ghetto Novo Cannaregio 2909 www.ikonavenezia.com
LE STANZE DEL VETRO
L’Arca di vetro La collezione di animali di Pierre Rosenberg
Boris Contarin. Teen Dream
Un’evidenza fantascientifica. Luigi Ghirri, Andrea Zanzotto, Giuseppe Caccavale
PALAZZO CINI/2
GALLERY CASTELLO 925
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA/1
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA/2
FinoUntil 31 ottobreOctober San Vio, Dorsoduro 864 www.palazzocini.it
Massimo Campigli e gli Etruschi. Una pagana felicità
FinoUntil 1 novembreNovember Isola di San Giorgio Maggiore lestanzedelvetro.org
FinoUntil 12 settembreSeptember Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.querinistampalia.org
L’Ospite a Palazzo. San Giorgio e il drago di Paolo Uccello
»ERA – È – SARÀ« I 40 anni de La Galleria
FinoUntil 21 novembreNovember Ca’ Corner della Regina Santa Croce 2215 www.fondazioneprada.org
Venezia panoramica. La scoperta dell’orizzonte infinito
PALAZZO CINI/1
FinoUntil 30 settembreSeptember ACP, San Marco 2842 www.acp-palazzofranchetti.com
Georg Baselitz. Archinto
FinoUntil 27 novembreNovember Ramo Grimani, Castello 4858
PALAZZO MORA/1
When Art Meets Architecture in TIME SPACE EXISTENCE FinoUntil 21 novembreNovember ECC - Palazzo Mora Strada Nova, Cannaregio 3659 timespaceexistence.com
PALAZZO MORA/2
GHETTO: Sanctuary for Sale in TIME SPACE EXISTENCE FinoUntil 21 novembreNovember ECC - Palazzo Mora, Strada Nova, Cannaregio 3659 timespaceexistence.com
PUNTA DELLA DOGANA
MARINA BASTIANELLO GALLERY
Bruce Nauman: Contrapposto Studies
FinoUntil 28 agostoAugust Via Pascoli 9C, Venezia Mestre www.marinabastianellogallery.com
V-A-C ZATTERE
OCEAN SPACE/1
Territorial Agency: Oceans in Transformation FinoUntil 29 agostoAugust Chiesa di San Lorenzo, Castello 5069 www.ocean-space.org
FinoUntil 9 gennaioJanuary, 2022 Dorsoduro 2 www.palazzograssi.it
Non-Extractive Architecture: Progettare senza estinguere
FinoUntil 31 gennaioJanuary, 2022 Dorsoduro 1401 www.v-a-c.ru
OCEAN SPACE/2
The Soul Expanding Ocean #1: Taloi Havini
FinoUntil 17 ottobreOctober Chiesa di San Lorenzo, Castello 5069 www.ocean-space.org
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books
CINQUINA CAMPIELLO 2021 CAMPIELLO OPERA PRIMA
PAOLO NORI
Sanguina ancora L’incredibile vita di Fedor M. Dostojevskij Mondadori Tutto comincia con Delitto e castigo che l’Autore legge da ragazzo: è una iniziazione e al contempo un’avventura che apre una ferita che non smette di sanguinare. Il racconto di un uomo che non ha mai smesso di trovarsi tanto spaesato quanto spietatamente esposto al suo tempo. Dostoevskij si lascia raccontare bruciando la distanza fra la nostra e la sua esperienza di esistere. Ingegnere senza vocazione, genio precoce della letteratura, nuovo ‘Gogol’, aspirante rivoluzionario, condannato a morte, confinato in Siberia, cittadino perplesso della «città più astratta e premeditata del globo terracqueo», giocatore incapace e disperato, marito innamorato, padre incredulo, goffo, calvo, un po’ gobbo, vecchio fin da quando è giovane, uomo malato, confuso, contraddittorio, disperato, ridicolo, ma in fondo così simile a noi...
GIULIA CAMINITO
L’acqua del lago non è mai dolce Bompiani Odore di alghe limacciose e sabbia densa, odore di piume bagnate. È un antico cratere, ora pieno d’acqua: è il lago di Bracciano, dove approda, in fuga dall’indifferenza di Roma, la famiglia di Antonia, donna fiera fino alla testardaggine che da sola si occupa di un marito disabile e di quattro figli. Antonia è onestissima e vuole insegnare alla sua unica figlia femmina a contare solo sulla propria capacità di tenere alta la testa. E Gaia impara, sembra che questa ragazzina piena di lentiggini chini il capo, invece quando leva lo sguardo i suoi occhi hanno una luce nerissima. Sono gli anni Duemila, Gaia e i suoi amici crescono in un mondo dal quale le grandi battaglie politiche e civili sono lontane, vicino c’è solo il piccolo cabotaggio in un’esistenza priva di orizzonti. 126
PAOLO MALAGUTI
ANDREA BAJANI
Se l’acqua ride
Il libro delle case
Einaudi «Poche cose restavano chiare, nella sua mente: che Pellestrina è un’isola magnifica. Che il mare ti entra dentro più dei fiumi. Che, soprattutto, non avrebbe mai fatto altro nella vita: il barcaro era l’arte per la quale sentiva di essere nato». Al timone degli affusolati burchi dal fondo piatto, da sempre i barcari trasportano merci lungo la rete di acque che si snoda da Cremona a Trieste, da Ferrara a Treviso. Quando Ganbeto sale come mozzo sulla Teresina del nonno Caronte, l’estate si fa epica e avventurosa. Sono i ruggenti anni ‘60 e i trasporti viaggiano sempre più via terra, e i pochi burchi che ancora resistono preferiscono la sicurezza del motore ai ritmi lenti delle correnti e delle maree. A bordo della Teresina, Ganbeto si sente invincibile. Presto dovrà imparare la lezione più dolorosa di tutte: per crescere bisogna sempre lasciare indietro qualcosa...
Feltrinelli La storia di un uomo – “Io” –, le amicizie, il matrimonio nel suo riparo e nelle sue ferite, la scoperta del sesso e della poesia, il distacco da una famiglia esperta in autodistruzione, e la liberazione dal mobilio che per vent’anni si è trascinato dietro a ogni trasloco. Le case di Io sono tante, tessere ciascuna di un mosaico che si costruisce tra l’ultimo quarto del millennio e il primo degli anni Zero. È un viaggio attraverso i cambiamenti degli ultimi cinquant’anni, nelle sue architetture reali così come in quelle interiori, i luoghi da cui veniamo e quelli in cui stiamo vivendo, le palazzine di periferia degli anni Sessanta, lo sparo che cambia il corso della storia e il bacio rubato dietro una tenda...
CARMEN PELLEGRINO
La felicità degli altri La nave di Teseo «Sono nata in una casa infestata dai fantasmi. Allampanati, tignosi fantasmi da cui non si poteva fuggire. A quel tempo vivevamo nella parte ovest di un villaggio che aveva case tutte uguali, tutte al pianoterra, prima che si elevassero. Mio fratello e io speravamo che le case degli altri fossero infestate quanto la nostra. A dieci anni fui allontanata dal villaggio per pura crudeltà, ma i fantasmi non rimasero a casa.» Cloe è una donna che ha imparato a parlare con le ombre. Un’anima in ascolto, alla ricerca di una voce che la riporti al luogo accidentato della sua origine, al trauma antico di quando, bambina, cercava di farsi amare da chi l’aveva messa al mondo. Nel suo cammino costellato di fragorosi insuccessi e improvvisi passi avanti, Cloe attraversa città, cambia case, assume nuove identità, accompagnata da voci, ricordi, personaggi sfuggenti...
CAMPIELLO OPERA PRIMA
DANIELA GAMBARO
Dieci storie quasi vere Nutrimenti Un posto fresco e nascosto, dove vanno a finire tutti i palloni e i segreti d’infanzia. La ricerca di una tartaruga nel giardino di una famiglia pronta al trasloco. Un bambino che col primo sorriso sceglie a chi assomiglierà da grande. Un altro bambino nato così piccolo che sua mamma sogna che venga ricucito nella pancia fino a diventare maturo. Una donna che dimentica la figlia in automobile e va al lavoro. Una babysitter che mangia solo pollo fritto, vuole diventare suora e dimentica il gas acceso. Una stanza in più che nasconde qualcosa di pesante, destinato forse a far crollare la casa intera. Due genitori che usano un inglese d’invenzione per parlare tra grandi e non farsi capire dai bambini. Una madre che ha perso un figlio e non si accontenta della logica e del buon senso. E poi, una bambina luminosa, che attira le zanzare e non può mangiare i popcorn al cinema. Dieci storie possibili, dieci sguardi sul quotidiano di famiglie, coppie, madri, bambini. vedi incontro con Walter Veltroni a p. 34
Carole A.
Feuerman
From la Biennale di Venezia and Open to Rome. International Perspectives. A cura di Paolo De Grandis e Carlotta Scarpa
Galleria d'Arte Moderna | Via Francesco Crispi 24, Roma 14.07 - 10.10 2021 info 060608
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ART
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ARCHITECTURE SCALA CONTARINI DEL BOVOLO check gioiellinascostidivenezia.it for opening hours info: cultura@fondazioneveneziaservizi.it | +39 0413096605
ART ORATORIO DEI CROCIFERI plan your visit: booking@fondazioneveneziaservizi.it
DISCOVERY COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO plan your visit: booking@fondazioneveneziaservizi.it
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screenings FILM, SERIE, FESTIVAL
a cura di Davide Carbone
Get Back... to Cinema 3 film in uscita nelle sale OLD
Regia di Michael Night Shyamalan Con Eliza Scanlen, Thomasin McKenzie, Gael García Bernal, Aaron Pierre, Vicky Krieps Ambientato su una paradisiaca e isolata spiaggia tropicale, dove si raggruppa per motivi diversi un gruppo di 13 persone formato da una coppia, una famiglia, qualche turista e un rifugiato. Tutto sembra trascorrere al meglio fino a quando viene rinvenuto in mare il corpo di una donna senza vita. Il mistero si fa ancora più grande, quando il gruppo inizia a invecchiare velocemente senza una ragione, tanto che l’intera esistenza di ogni individuo rischia di ridursi spaventosamente ad un solo giorno. Dal 13 luglio
FALLING – STORIA DI UN PADRE Regia di Viggo Mortensen Con Viggo Mortensen, Lance Henriksen, Sverrir Gudnason, Laura Linney, David Cronenberg
Willis (Lance Henriksen), uomo di altri tempi, è costretto a lasciare la fattoria dove vive per trasferirsi a casa di suo figlio John (Viggo Mortensen) che vive con il suo compagno Eric (Terry Chen) e la loro figlia Mónica (Gabby Velis) in California, lontano dalla tradizionale vita rurale a cui Willis è abituato. Spesso l’irruento carattere di Willis si scontrerà con la vita di John, ma i momenti di confronto tra padre e figlio risolvono anni di incomprensioni e riaccendono il calore di un rapporto per troppo tempo intiepidito. Dal 26 agosto
THE BEATLES – GET BACK
Regia di Peter Jackson Con John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, Ringo Starr, Yoko Ono Dopo aver restaurato più di 150 ore di registrazioni audio e montato ben 60 ore di filmati inediti, Jackson è riuscito a realizzare un docufilm che mostra i Beatles pianificare la loro prima esibizione live fino al loro ultimo concerto come band, quello sul tetto di Savile Row, a Londra. L’intento del regista è quello di riportare lo spettatore indietro nel tempo, a quando i Beatles erano ancora un’affiatata band unita che in sala di registrazione si scatenava. Sono proprio le riprese private in studio che raccontano lo spirito brioso che univa i Fab Four, tra battute a ripetizione e un Lennon che scherza con la telecamera. Dal 26 agosto
ARENE ESTIVE Al parco, in piazza, in campo, in barca sull’acqua, l’estate 2021 è all’insegna del grande cinema in terraferma e in Laguna, dove nelle notti di luglio e agosto fioriscono arene estive, che portano lo spettacolo proprio sotto casa.
CAMPO SAN POLO
Dal 13 al 28 agosto sedici serate di cinema: lungometraggi, cortometraggi, documentari e film di finzione presentati nella prima edizione della rassegna San Polo, uno sguardo sull’Europa. La serata inaugurale è realizzata in collaborazione con Shorts on Tap, festival cinematografico londinese di cortometraggi. Nelle altre serate, introdotti da registi e attori, sono proposti film (in lingua originale con sottotitolo in italiano) provenienti da cinque diversi Paesi europei: Spagna, Francia, Svizzera, Danimarca e Ungheria. www.culturavenezia.it
PARCO SAN GIULIANO
Da sabato 10 a venerdì 16 luglio, prende il via la rassegna San Giuliano, uno sguardo sul futuro. Sette appuntamenti per ascoltare e raccontare l’ambiente e il futuro possibile attraverso il cinema: ogni sera un film e la riflessione di un ospite sui temi delle risorse ambientali e dell’equilibrio necessario tra uomo e Pianeta. Restando in tema green, niente sedie, ma solo teli sull’erba! www.culturavenezia.it
BARCH-IN ARSENALE
Nato lo scorso anno da un’idea di un gruppo di giovani veneziani, Barch-in è il primo vero drive-in in stile lagunare, dove la barca inevitabilmente sostituisce l’automobile. Tra fine luglio e inizio agosto, il megaschermo di Barch-in torna ad illuminare lo specchio d’acqua del bacino dell’Arsenale per la seconda, attesissima, edizione che sarà completamente dedicata a Venezia, nell’anno del 1600esimo compleanno. www.facebook.com/ cinemabarchin 129
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reservations VENUES, CLUBS, RESTAURANTS
a cura di Fabio Marzari
Granelli di sabbia dorata
Estate 2021, Venezia, capitolo secondo della pandemia, a differenza dello scorso anno almeno per molti c’è stato il vaccino, e non è una differenza da poco. Prima della kermesse festivaliera di settembre, il Lido assume per definizione il ruolo di spiaggia dei veneziani, con i riti ancestrali legati al pendolarismo su vaporetti affollati. Ma non è di questo che vorremmo occuparci, ci spostiamo in uno dei resort più famosi al mondo, che si trova proprio al Lido, in Lungomare Marconi 41: l’Hotel Excelsior. Una spiaggia super chic, elegante, iconica e senza eguali per vivere l’esperienza di un soggiorno davvero unico, sulla battigia che ha accolto quasi tutti i miti del nostro tempo e poeti come Lord Byron e Henry James. Le celebri Cabanas – capanne secondo il comune gergo veneziano – con veranda, tende da sole, lettini confortevoli con cuscini e materassi perfetti per un pigro e colto relax, rappresentano, da quando l’albergo è nato nel 1908, un vero status symbol e le famiglie maggiorenti veneziane, così come all’inizio le famiglie della nobiltà europea che soggiornavano a lungo in Hotel, non possono non avere la capanna all’Excelsior per i mesi estivi, sarebbe come ammettere un downgrade economico e sociale. I tempi sono cambiati e ora a fare la differenza è il pacchetto Wellness Ritual per soddisfare le richieste degli ospiti più attenti alla cura del corpo, che non rinunciano all’esercizio fisico con la possibilità di avere una sessione di allenamento personale di un’ora al giorno a scelta tra Yoga, Stretching o Pilates. In tema di cibo, oltre alla proposta gourmet del ristorante Elimar, sono in programma alcune serate speciali il 17 luglio e il 6 agosto, in cui spetta allo chef stellato Nino Di Costanzo accompagnare gli ospiti in un viaggio culinario che racconta il meglio della gastronomia locale veneziana e i sapori autentici della Campania, oppure le serate “Pizza Gourmet” per compensare l’allenamento sulla spiaggia... Non manca l’attenzione verso la tradizione dell’alto artigianato veneziano, favorendo la conoscenza delle produzioni d’eccellenza attraverso serate di presentazione ad hoc e vetrine di esposizione dedicate in spazi dell’Hotel, per suggellare l’inscindibile legame tra un mito vero dell’ospitalità e la città di Venezia. F.M.
Venice, summer 2021, second chapter of the pandemic. What is different from last year is that many are vaccinated, and that’s no small difference. While we wait for the Film Festival to take place in September, the Lido lives its life as the beach resort of Venetians with all that comes with it, namely, packed vaporettos carrying beach commuters to and from. That’s not what I set out to talk about, though. What I want to focus on is the building at 41, Lungomare Marconi: the Excelsior Hotel. A super chic, elegant, iconic stretch of sandy beach, where modern mythological creatures stepped foot not long ago, from Lord Byron to Henry James. The famous cabanas, complete with patio, umbrellas, sun beds, have been a status symbol for the Venetians that count since 1908, as have for European royalty. To cancel your cabana for the summer used to be akin to admitting your social and financial downgrade! Now the times have changed and there’s more to sign up for, like a Welness Ritual package and yoga, stretching, or Pilates classes. Restaurant Elimar and chef Nino Di Costanzo will take care of refined appetites with offers of local Venetian cuisine and southern Italian, too. Hotel Excelsior Lungomare Marconi 41, Lido di Venezia www.hotelexcelsiorvenezia.com
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design&more a cura di Fabio Marzari
Modalità Venezia Intervista a Maria Luisa Frisa
Venezia è la città scelta da Valentino e Saint Laurent per lanciare le loro prossime collezioni non attraverso campagne pubblicitarie, ma con vere e proprie sfilate evento, attesissime seppure per pochissimi invitati – le collezioni attualmente sono svelate soprattutto in diretta streaming –, ma la cui rilevanza non può essere certo trascurata. In entrambi i casi, ça va san dire, la città non sarà solo la magnifica scenografia, ma l’affascinante ispirazione. Per Valentino la data è quella del 15 luglio e come spiega il direttore creativo Pierpaolo Piccioli «La prossima collezione couture s’intitolerà Valentino Des Ateliers. Mi sono messo alla prova nell’orchestrare una sinfonia di anime, menti e input creativi diversi. Tutte queste energie hanno portato la mia visione a Venezia, una città che genera genuinamente e spontaneamente vibrazioni su arte, teatro, musica, architettura, cinema e tutto ciò che ha a che fare con la creatività. Venezia è la cornice perfetta per questa collezione». Il giorno prima, il 14 luglio, alla Certosa sarà la volta della sfilata uomo di Saint Laurent. Il direttore creativo Anthony Vaccarello ha commissionato all’artista Doug Aitken un’installazione come sfondo allo show. Un vero e proprio padiglione temporaneo in dialogo con il paesaggio della Certosa, che per l’occasione diventa soggetto e mezzo dell’installazione, che rimarrà fino al 30 luglio visitabile dal pubblico. Atkein ha vinto il Premio Internazionale alla Biennale di Venezia nel 1999 con la video installazione Electric Earth. 132
A fine agosto anche Dolce&Gabbana e Alberta Ferretti hanno inoltre programmato delle iniziative in città. Noi siamo di parte e non abbiamo problemi a dichiararlo. Ammiriamo da sempre il lavoro svolto nell’ambito del corso di laurea dello Iuav in Design della Moda e Arti multimediali e soprattutto conosciamo bene l’impegno costante dei docenti, capitanati da Maria Luisa Frisa, professore ordinario in Design della Moda, dominus del corso, capofila da moltissimi anni dell’idea di trasformare con giusta valenza accademica un ambito considerato perlopiù creativo, coniugando il binomio indissolubile tra la formazione e la creatività, per laureare studenti in grado di poter lavorare al meglio nel mondo produttivo, che per definizione viene chiamato “sistema moda”. Perciò Frisa è la persona più titolata, per competenza ed esperienza, per poterci parlare di questa estate di haute couture veneziana, che si inaugura il 2 luglio con la ‘tradizionale’, ma solo per il suo svolgersi annuale, essendo un vero atto creativo in divenire ad ogni sua edizione, sfilata di fine corso degli studenti IUAV. Come è andato il vostro lavoro all’Università durante questo lungo periodo di pandemia e cosa vi aspettate dal futuro, anche quello più prossimo? Abbiamo sempre continuato a fare lezione, nonostante tutte le difficoltà e nonostante l’obbligo della didattica a distanza, che ha creato inevitabilmente alcune problematicità per quanto riguarda soprattutto i laboratori.
I docenti sono stati bravissimi nel riuscire a far lavorare i ragazzi anche da lontano, ma appena è stato possibile abbiamo immediatamente ripreso a lavorare in presenza, abbiamo riattivato i laboratori, anche quelli sartoriali, di modellistica e di maglieria e adesso ci stiamo preparando per fare la nostra sfilata del 2 luglio. La sfilata quest’anno sarà inevitabilmente in versione più ridotta, perché permangono delle regole da seguire, per cui rispetto alle precedenti edizioni siamo passati da un pubblico di 1200 persone ad un pubblico di 60 persone circa, una notevole differenza! Abbiamo dovuto necessariamente diminuire le uscite della collezione ed il backstage nell’esperienza delle passate edizioni, luogo per definizione affollato di persone, modelle, modelli, addetti ai lavori, avrebbe potuto essere oggi un chiaro esempio di assembramento, secondo i termini che la pandemia ha reso familiari. La scelta è caduta verso una postazione più piccola e protetta, in modo da poter ridurre anche eventuali incursioni esterne; perciò la sfilata si terrà davanti all’entrata del Cotonificio di Santa Marta, con pochi ospiti ma, come tutti gli anni, l’evento sarà trasmesso in streaming su vogue.it. Importante come sempre è lanciare un segnale, far capire che si lavora in maniera diversa, ma si continua a farlo e tra l’altro va ricordato che anche le sfilate dei grandi nomi della moda sono cambiate. Nostra intenzione è quella di trasformarci rispetto a quello che è accaduto in questi mesi, il che rappresenta anche un’ottima occasione per riflettere in
Venezia è la città della rappresentazione. Non la definirei solo vetrina una città che sa offrire uno straordinario palcoscenico anche per la moda
maniera diversa intorno ad un sistema che in questo periodo è profondamente mutato. Importante era, è e sarà ancora tenere i ragazzi connessi col mondo e legati all’impegno, perché è stato molto grave soprattutto per loro doversi ritirare nelle camerette delle case, in altre città. Nostro compito principale era mantenere i ragazzi connessi alla comunità dell’università e far capire loro che noi c’eravamo sempre e comunque e che appena fosse stato possibile noi ci saremmo rimessi subito a lavorare in presenza. Dal suo punto di vista quali segnali giungono dal sistema moda? Il sistema della moda in Italia rappresenta un capitolo molto importante del nostro intero comparto produttivo, perché è composto da una serie di realtà manifatturiere che esportano in tutto il mondo, lavorando per tutti i più grandi brand. Tale sistema è espressione di un sistema economico che dà lavoro a moltissimi addetti ai più diversi livelli. Il complesso di aziende che stanno ora tornando a lavorare dopo le difficoltà del periodo Covid compongono una parte attiva del nostro Paese, in grado di favorire il rilancio, e questo aspetto secondo me non viene mai abbastanza ricordato. Poi si trova quel sistema costituito dai brand grandi e piccoli, formato dagli autori, dai direttori creativi, dagli stilisti che hanno affrontato il periodo della pandemia cercando di continuare a lavorare, di fare le collezioni comunque. La moda nonostante le difficoltà non si è mai fermata; anche se i negozi erano
chiusi, tutti si sono attrezzati per lavorare e vendere online. Per fortuna, quindi, il sistema – ricordiamoci che la moda è un universo molto attivo e molto reattivo – tende a risolvere sempre i problemi. Da subito la postura del sistema della moda è stata dinamica, le sfilate, le presentazioni si sono risolte in forma filmica, oppure con presentazioni sempre nuove, cercando di non arrendersi e fermarsi, anche se il mondo intero si era di fatto fermato, specie nella socialità, che è un fattore scatenante nel favorire le tendenze della moda. Quindi malgrado gli stili di vita forzatamente modificati, serve tenere presente che la moda non può essere…vestirsi in tuta e scarpe da ginnastica; al contrario la moda è vestirsi con abiti che diventano come accessori scenici per il corpo. La scarpa da ginnastica può essere un elemento di stile, come ci ha mostrato Maria Grazia Chiuri nella sfilata di Dior ad Atene, ma non deve mai mancare il pensiero della moda, che fa parte del nostro definirci nel mondo e di essere nel mondo. Credo che la grande forza della moda sia stata quella di essere reattiva e ora di voler ritornare sulla scena in grande spolvero. Veniamo a Venezia, luogo di moda e per la moda. Vetrina o palcoscenico? Venezia è la città della rappresentazione. Non la definirei solo vetrina una città che sa offrire uno straordinario palcoscenico anche per la moda, pensiamo al famoso ballo a palazzo Labia nel 1951 offerto da Charles de Beistegui, cui presero parte circa mille importanti invitati, fra gli altri Salvador Dalì, Orson Welles e un certo Christian Dior... Un evento che tuttora viene celebrato e ricordato! Tuttavia pensando anche a qualcosa di più concreto, che purtroppo non viene quasi mai ricordato, c’è stata l’attività di Palazzo Grassi durante la proprietà Snia Viscosa, nei cui spazi venivano organizzate delle mostre tessili di moda molto importanti che hanno segnato quel tempo. Addirittura il Museo delle Arti Decorative di Parigi nasce proprio dalla suggestione di una di queste mostre, giusto per sottolineare quel tanto che basta il valore internazionale che avevano queste iniziative.
Venezia è certo anche una straordinaria vetrina mondiale, pensiamo all’amore di Chanel per questa città; è un luogo in cui si intrecciano diverse idee e diverse culture. Le tradizionali città della moda hanno subito un inevitabile contraccolpo, hanno perso un po’ della loro centralità. Non si sfilava a Parigi, non si sfilava a Londra, non si sfilava a Milano, si decidevano altri luoghi al momento e molte case di moda, penso a Gucci e a Saint Laurent ad esempio, hanno dichiarato che non avrebbero più rispettato i tradizionali calendari delle sfilate, ma sarebbero scesi in passerella quando per loro fosse stato opportuno farlo. Dovendo quindi scegliere un luogo e potendo muoversi con questa libertà nei calendari, Venezia è certamente una di quelle città che rappresentano al meglio un’idea di cultura, dove il passato convive col presente, una città storica per eccellenza e unica al mondo, ma anche la città della Biennale, una delle manifestazioni d’arte più importanti al mondo, che raduna poi al suo interno tutte le arti. Una città dove hanno sede molte importanti fondazioni, come Prada e Pinault, che hanno sempre dei programmi sul contemporaneo di altissimo livello. Era un’idea quella di recuperare un palcoscenico che potesse avere diverse qualità e Venezia è tutto questo e molto altro ancora. Sarebbe molto bello se noi qui a Venezia, proprio partendo da queste incursioni della moda, recuperassimo e scrivessimo un libro sul rapporto che esiste tra Venezia e la moda stessa, facendo così conoscere ad un pubblico più vasto il ricco corredo di immagini che si trovano negli archivi. C’è a tal proposito una bellissima immagine di Bruna Moretti “Brunetta”, grande disegnatrice di moda, che abbiamo pubblicato nel catalogo di Bellissima, l’Italia dell’alta moda, dove sono raffigurate delle modelle che indossano le creazioni dei couturier trasportate su barche che sfilano lungo il Canal Grande. La moda è sempre di casa a Venezia, sì! www.iuav.it
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Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero Numero 253-254 - Anno XXV Venezia, 1 Luglio 2021 Con il Patrocinio del Comune di Venezia Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996 Direzione editoriale Massimo Bran Direzione organizzativa Paola Marchetti Relazioni esterne e coordinamento editoriale Mariachiara Marzari Redazione Chiara Sciascia, Davide Carbone, Marisa Santin Speciali Fabio Marzari Grafica Luca Zanatta Distribuzione Michele Negrisolo
Hanno collaborato a questo numero Katia Amoroso, Loris Casadei, Sergio Collavini, Luigi Crea, Fabio Di Spirito, Federico Jonathan Cusin, Pierangelo Federici, Nadia Frisina, Elisabetta Gardin, Renato Jona, Paolo Lucchetta, Franca Lugato, Andrea Oddone Martin, Daniela Paties Montagner, Giorgio Placereani, Livia Sartori di Borgoricco, Riccardo Triolo, Delphine Trouillard, Luisa Turchi, Giovanni Vio, Andrea Zennaro, Massimo Zuin Si ringraziano Walter Veltroni, Federico Buffa, Stefano Ricci, Gianni Forte, Krzysztof Warlikowski, Germaine Acogny, Oona Doherty, Sol Camacho, Waldick Jatobà, Giuseppe D’Anna, Thomas Coldefy, Giandomenico Romanelli, Pascaline Vatin, Paolo della Corte, Maria Luisa Frisa, Giuseppe Mormile, Emanuela Caldirola, Cristiana Costanzo, Claudia Gioia, Francesca Buccaro, Anna Bordignon Traduzioni Andrea Falco, Patrizia Bran Foto di copertina Odyssey Compagnie Hervé Koubi © Frédérique Calloch, Courtesy La Biennale di Venezia lo trovi qui: Bookshop Gallerie dell’Accademia; Qshop (c/o Querini Stampalia, Santa Maria Formosa); Alef (c/o Museo Ebraico, zona Ghetto); Mare di Carta (Fondamenta dei Tolentini); Studium (zona S. Marco); Toletta, Toletta Cube e Toletta Studio (zona Campo San Barnaba) e in tutte le edicole della città. Direttore responsabile Massimo Bran Guida spirituale “Il più grande”, Muhammad Alì Recapito redazionale Cannaregio 563/E - 30121Venezia tel. +39 041.2377739 redazione@venezianews.it www.venezianews.it venezianews.magazine
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