Marie-Antoinette by Thierry Malandain Ballet Biarritz, Courtesy Teatro La Fenice Mensile di cultura e spettacolo - n° 258-259 - anno 25 - Dicembre 2021/Gennaio 2022 spedizione in A.P. 45% art.2 comma 20/B - legge 662/96 - DCI-VE
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258-259 DEC 2021-JAN 2022
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€ 3,00
Christmas Pass
DIARIO DELLE FESTE
Maurizio Galimberti, “Studio N°2 Piazza San Marco” Venezia 2012 © Maurizio Galimberti
VENEZIA, GIANNI BERENGO GARDIN E MAURIZIO GALIMBERTI Due sguardi a confronto Venezia/Fondazione di Venezia, Rio Novo 17.09.21 > 09.01.22
LA VENEZIA UMANA-LA VENEZIA DISUMANA Venezia/Tre Oci/Sale De Maria 16.09.21 > 01.11.21
LE SFIDE DI VENEZIA. L’ARCHITETTURA E LA CITTÀ NEL NOVECENTO Venezia Mestre/M9 - Museo del `900 03.09.21 > 09.01.22 Info: Tel. +39 041 2201233 - a.gini@fondazionedivenezia.org - www.fondazionedivenezia.org In collaborazione con in association with:
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december2021-january2022 CONTENTS
editoriale (pag. 7) Bagliori intermittenti incontri (pag. 8) Daniela Mapelli, Rettrice Università degli Studi di Padova incontri (pag. 10) Jacopo Veneziani, storico dell’arte incontri (pag. 14) Ottavia Piccolo, attrice arte (pag. 16) Intervista a Pascaline Vatin e Giandomenico Romanelli, Le tre stelle di Romano | Massimo Campigli | Palazzo Vendramin Grimani dell’Albero d’Oro | Strappi | Gillo Dorfles. Ghiribizzi | Fondazione Ligabue, Power & Prestige | Burne-Jones e Venezia | Bruce Nauman | Gestus II | Alice in Doomedland | Tapio Wirkkala e Toni Zuccheri alla Venini | in luce. Fotografie di Alessandra Chemollo | Gen Z Art Storiez | Marco Agostinelli, Birdman | Galleries | Biennale Arte 2022 preview | Domenico Gnoli | Jenny Saville | Monte Verità. Back to Nature | Qatra Qatra/Goccia a goccia. Visioni dall’Afghanistan | Levi e Ragghianti xmasdiary (pag. 41) Calendario dell’Avvento | Concerto di Natale | Concerto di Capodanno | Il Lago dei Cigni | Lo Schiaccianoci | La Piccola Bottega degli Orrori | Il Piccolo Re dei Fiori | Intervista a Iginio Massari | Sulle tracce dei magi a Venezia | Capodanno more veneto | exhibitions | books | screenings | shopping&more | Chi ha paura del lupo cattivo? musica (pag. 78) Carmen Consoli | Premio Tomorrow Jazz | Intervista a Red Canzian, Casanova Opera Pop | Massimo Ranieri | Tony Hadley | Marracash | Jay Jay Johanson | Canzoni x sempre | Preview: Leoni Biennale Musica 2022 | classical (pag. 86) Intervista a Cecilia Bartoli, cantante | Gloria Campaner | Myung-Whun Chung | La Traviata Special Edition | Auditorium Lo Squero | Diverse voci fanno dolci note theatro (pag. 90) Pupo di Zucchero | Misericordia | Io Sarah, Io Tosca | Marie Antoinette | due gemelli veneziani | Jackie | Mutaforma nelle mani di Ovidio | Mine vaganti | I soliti ignoti | Kids | Enrico IV | Comici cinema (pag. 100) West Side Story | House of Gucci | Spencer | Supervisioni | Donaggio – De Palma Movie | Immaginare Nuovi Mondi | Il cinema a Venezia | Diabolik etcc... (pag. 108) Giorno della Memoria | Domande sulla memoria | Luciana Boccardi, Dentro la vita | Mario Rigoni Stern menu (pag. 112) Ca’ di Dio | Venice Cocktail Week | al Todaro | Piovono Stelle | Pasta & Fagioli
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LE TRE STELLE DI ROMANO
Giandomenico Romanelli e Pascaline Vatin proseguono alla Fondaione Querini Stampalia l’indagine sul rapporto tra arte e luoghi della ristorazione: siamo a Burano, nella trattoria da Romano fresca di centenario, per scoprire dalle sue pareti una storia di tante storie arte p. 16
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TEATRO LA FENICE
Tra Fenice e Basilica, i concerti di Natale e Capodanno restituiscono a Venezia il potere rassicurante della tradizione, con le direzioni di Marco Gemmani e Fabio Luisi. Tra dicembre e gennaio, poi, spazio ai grandi concerti della Stagione Sinfonica, in un teatro che ha voglia di normalità classical p. 44/88
Photo Nico Zaramella - © worldwide reserved
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CASANOVA OPERA POP
Red Canzian e un veneziano illustre: la leggenda pop incontra Giacomo Casanova sul palco del Teatro Malibran, portandone in scena le sfumature più intime e potenti. Oltre gli stereotipi, un personaggio da scoprire e approfondire, in musica musica p. 80
XMAS DIARY
Abbiamo seguito le tracce del Lupo per immergerci nel candido e freddissimo Nord. Quelle atmosfere sospese e rarefatte ci hanno permesso di raccontare un Natale speciale, che noi tutti siamo chiamati a ritrovare, senza paura ma con rispetto, in famiglia o tra amici, per godere al meglio delle feste. Con una giusta dose di ottimismo abbiamo così deciso di dedicare la parte centrale del magazine a un coloratissimo Christmas Diary per raccontare la vivacità intensa di Venezia durante il periodo natalizio. Teatri, chiese, musei, gallerie, palazzi, cinema, librerie, hotel, campi, locali sono pronti ad accogliere il pubblico e a coccolarlo con un programma culturale di altissima qualità, degno di questa piccola grande capitale del mondo. Un carnet di appuntamenti da mettere in agenda, ma anche una serie di consigli e suggestioni per non smettere mai di guardare con occhi curiosi e attenti Venezia. Tante storie: di Magi, di usi antichi o meglio di “more veneto”, di favole da riscrivere. Dulcis in fundo un felicissimo incontro con l’imperatore dei pasticcieri, Iginio Massari, disponibile e asciutto, sincero e diretto, umile e geniale. Panettone o Pandoro? Buona lettura e buon Natale! xmasdiary p. 62
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EMMA DANTE
Doppio appuntamento con Emma Dante al Teatro Goldoni di Venezia con la nuova produzione Pupo di Zucchero a dicembre e a gennaio al Toniolo con Misericordia spettacolo cult del 2019, prossimamente anche al cinema. Due favole contemporanee, tra solitudine e speranza theatro p. 90
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DIABOLIK
Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastandrea sono Diabolik, Eva Kant e l’Ispettore Ginko nell’attesissimo lavoro firmato Manetti Bros.: gli occhi di ghiaccio del re del terrore tra inseguimenti mozzafiato e furti acrobatici, con colonna sonora curata da Pivio, De Scalzi e Manuel Agnelli cinema p. 106
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GIORNATA DELLA MEMORIA
Memoria, conoscenza, senso di responsabilità: perché queste parole non rimangano vuote, occorre l’impegno quotidiano di tutti, oltre le celebrazioni, oltre le ricorrenze. Educazione, informazione, cultura e linguaggio gli strumenti a disposizione di ognuno di noi. Per non dimenticare. Mai etcc... p. 108
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editoriale di Massimo Bran
BAGLIORI INTERMITTENTI
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tati di agitazione sottotraccia, eccitati, intermittenti,
oramai abituali eppure ancora laterali, mai introiettati pienamente, adultamente. Ci accompagnano come un’ombra verso cui talvolta sorridiamo serafici, talaltre vi ci disponiamo rassegnati, altre ancora smarriti la interroghiamo, in una confusione emotiva che progressivamente impariamo a domare con lucido approccio civico alle sue infide insidie da contenere che, lo abbiamo capito bene, non finiranno né domani né dopodomani. In questo anno secondo d.C.(ovid), ormai all’alba del terzo, sì, per dirla con i versi disturbanti cupamente declamati da Giovanni Lindo Ferretti quando ancora era fedele alle sue prime linee, «va meglio, peggio/qualcosa più di niente». Ho cercato qua e là nel baule della memoria un po’ scassato, ma ancora tutto sommato bello fondo, qualche lampo, qualche verso, qualche citazione che ci affiancasse nella presente pagina di apertura dell’ultimo numero del nostro magazine di questo 2021 di febbrile variabilità, connotato da tensioni opposte, contrastanti, come quei cieli di Irlanda che ogni due sospiri cambiano luce, sfondo, consistenza. Spingevo l’acceleratore della memoria verso direzioni aperte, frontiere libere, come in quei sogni in cui costretto da qualcuno o da qualcosa il tuo sguardo estende il suo orizzonte visivo verso vedute aperte, senza ostacoli. Insomma, cercavo qualcosa, in una parola, di positivo, connotato da una disposizione a un sano, per quanto contenuto, ottimismo. Ma niente, non era cosa. Quello che trovavo non suonava congruo al clima mentale dei nostri giorni. Poi per puro caso, smanettando su YouTube, ebbene sì…, ecco sbucare fuori come un’epifania oscura il profilo ieratico di un’icona della nostra cultura sonica radicale, sì, perché Lindo è proprio un’icona più che un volto di carne in movimento. Una sagoma nervosa e insieme immobile, seduta, a guidare in un incedere lividamente industrial-punk quei CCCP che meglio di quasi tutti gli altri hanno saputo insinuarsi e procedere credibili nel sistema nervoso e linfatico degli incroci irrisolti, probabilmente irrisolvibili, del nostro tempo. Stati di agitazione: ecco, sì! Nulla che ci possa rassicurare, consolare nelle nostre pulsioni salvifiche. Ma al contempo un’energia che parli alla nostra irriducibilità, alla nostra animale ed insieme intellettiva pulsione resistenziale, prepotente e talvolta inossidabile, anche quando ci si lascia soggiogare dalla rassegnazione. Anzi, proprio allora, a un passo dall’essere vinti può, può…, venire “qualcosa più di niente”, che talvolta è moltissimo, tutto. Lasciandomi dunque portare via da quella traccia di urbana urgenza oscura, distorta come un lamento orizzontale senza soluzione di continuità, con quelle chitarre come lame persistenti a lacerare lo
Stati di agitazione, in corpo e nella testa Occhi infossati e lucidi Noie con il respiro, mi si accelera il fiato Eppure sono vivo, eppure sono vivo Eppure sono vivo Stati di agitazione, stati di agitazione Stati di agitazione, tra le idee e sulla pelle Tra le idee e sulla pelle Devo tenermi su, devo essere presente Devo tenermi su, devo essere presente Va meglio, peggio Va meglio, peggio Va meglio, peggio Qualcosa più di niente Qualcosa più di niente Stati di agitazione CCCP - Fedeli alla linea
strato di resistenza emotiva verso la pressione del buio, quel “qualcosa più di niente” a suggerire un filo di luce fioca mi è sembrato oggi un lampo di straripante eventualità altra, di chiarore netto. Ma anche di adulta accettazione di quello che può venire in certi stati delle cose, che paiono immobili e retrocedenti e che invece, a ben scrutarli, offrono sempre una via di scampo, il che è davvero, ancora una volta, un qualcosa più di niente. Prossimo al quasi tutto, sì. Insomma, con quel suo incedere sinistramente definitivo eppure inciampante in improvvisi scarti affabulatori tangenti, con quello stato di agitazione restituito con angosciosa pienezza e però precaria anch’essa, oggetto di improvvise imboscate di pura reazione da sopravvivenza, mi è sembrata questa una traccia che potesse davvero fermare la nostra presente condizione irrisolta, sfiancante, eppure medicabile, curabile. È proprio in queste dimensioni costrittive, limitanti, in sé fattualmente inedite a voler volgere le spalle al nostro ieri, al già comunque visto e vissuto dai nostri avi, che il peso selettivo delle cose sa misurare ciò che ci è concesso, ciò che ci è permesso in più di giorno in giorno, di ora in ora. Di quanto prezioso sia sfrondare l’essenza del nostro vivere dal bla bla bla, quello sì, assordante dell’uno vale uno, il più catastrofico lascito che ci sia stato dato da questa rivoluzione liquida del nostro esistere sociale contemporaneo, del nostro comunicare nello spazio collettivo sempre più virtuale. Perdonatemi questa chiusura d’anno un po’ confusa, tesa, contrastante. Ma, credetemi, per me, per noi, parole così senza una netta direzione hanno comunque una valenza sanamente terapeutica, perché dicono della nostra tensione viva e reattiva, della nostra robusta consapevolezza che in quel “qualcosa più di niente” non vi è affatto una disposizione ad accontentarsi, ad accettare il poco che viene, bensì un mondo da riprendersi con gli interessi pieni ma con nuove grammatiche, nuove visioni, perché certo, nuovi ne usciremo di sicuro. Più forti chi lo sa. Buon anno a tutti e… state con occhi e menti belli aperti, perché siamo in pieno cantiere e l’anno che ci aspetta sarà per noi fertile progettualmente, con nuovi percorsi a ridefinire i nostri confini editoriali. Ne vivremo delle belle. Auguri!
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Intervista Daniela Mapelli Rettrice Università degli Studi di Padova
UN ALTRO PRESENTE La sfida principale: rimanere al passo con i tempi, formare professionisti che sappiano rispondere alle domande più attuali
incontri
di Elisabetta Gardin
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n attesa nei prossimi mesi di sperare in un
ulteriore passo avanti del nostro Paese verso parità di ruolo con la designazione di un Presidente della Repubblica donna, continuiamo il nostro percorso al femminile iniziato lo scorso numero con la rettrice di Ca’ Foscari, Tiziana Lippiello, incontrando ora un’altra rettrice eletta all’Università di Padova. Si tratta di Daniela Mapelli, la prima donna alla guida di questa prestigiosa Università nei suoi quasi ottocento anni di storia. L’Ateneo patavino è stato infatti fondato nel 1222 ed è il più antico al mondo dopo quello di Bologna. In Italia la prima rettrice è stata Maria Tedeschini Lalli nel 1992 all’Università di Roma Tre, oggi nel nostro Paese su 84 rettori solo 8 sono donne. Anche se le due recenti nomine in Veneto fanno ben sperare, è innegabile che in Italia il percorso delle donne verso posizioni apicali sia costantemente in salita. La componente femminile è sottodimensionata, le donne sono ancora poco presenti, poco rappresentate nei ruoli dirigenziali in qualunque campo. C’è ancora molto da fare, insomma. Nata a Lecco, sul Lago di Como, dopo la laurea in Psicologia Sperimentale a Padova e il dottorato nella stessa disciplina a Trieste diviene professoressa ordinaria di Neuropsicologia e Riabilitazione Neuropsicologica a Padova. Ha pubblicato più di un centinaio di articoli su riviste internazionali. È stata presidente del corso di laurea magistrale in Neuroscienze e Riabilitazione Neuropsicologica e direttrice del master in Neuropsicologica Clinica. Nel 2015 viene nominata prorettrice alla Didattica dell’Università di Padova; infine, nel 2021, viene qui eletta rettrice.
Lei è la prima donna rettrice dell’Università di Padova. Come leggere questo, di fatto, epocale cambiamento? Mi rendo conto che si tratta di una svolta a suo modo storica, arrivata proprio alla soglia dei nostri ottocento anni di vita. Come ho già avuto modo di rilevare, non solo qui a Padova è stata eletta una rettrice (così abbiamo scelto di chiamarci, d’accordo con le altre rettrici di università italiane), ma addirittura alle scorse elezioni di giugno tre candidate su quattro erano donne. Per la prima volta delle professoresse hanno corso per la massima carica d’Ateneo, per la prima volta una di queste è stata eletta. Se non lo abbiamo rotto, abbiamo quantomeno scalfito quel soffitto di cristallo che ancora esiste nelle università così come più estesamente nella società. E anche qui ho una grande speranza: che presto la presenza di donne ai vertici delle istituzioni non sia più un’eccezionale novità, ma una consolidata normalità. Quali sono i punti fondamentali su cui si fonda il programma del suo rettorato? La definizione di “Università delle opportunità” è nata durante i vari incontri preparatori alla mia candidatura con colleghe e colleghi di Ateneo. Gruppi di lavoro nei quali emergeva proprio questo termine ricorrente: “opportunità”. Opportunità per le studentesse e gli studenti di costruire in un ambiente stimolante e aperto al loro futuro non solo solide competenze professionali, ma più circolarmente di vivere arricchenti esperienze di vita che contribuiscano a farne cittadine e cittadini migliori. Opportunità per le ricercatrici e i ricercatori di riscoprire
l’essenza del lavoro di ricerca, sperimentando liberamente e riaffermando il legame inscindibile tra ricerca e didattica universitaria. Opportunità per tutte e tutti coloro che in Università lavorano di sentirsi orgogliose/i e partecipi di un progetto condiviso, di alto valore sociale, portando avanti la loro attività in un contesto attento al benessere e alle esigenze di ognuna e di ognuno. Opportunità per tutte e per tutti di poter mettere in gioco le proprie aspirazioni di crescita individuale e professionale. Opportunità per la società civile di poter riconoscere nell’Università un punto di riferimento in grado di tracciare la via di fronte alle sfide globali, fornendo non solo competenze, ma anche testimoniando con coraggio e coerenza i valori della scienza e del libero pensiero. Ci siamo chiesti anche come arrivare a creare realmente le condizioni per offrire queste importanti opportunità. Il nostro modo di agire, mio e della squadra di governo che mi aiuta, si basa su tre pilastri: ascolto, dialogo, condivisione. Azioni che nel loro insieme compiuto costituiscono la migliore disposizione utile a creare un’Università inclusiva e internazionale, multidisciplinare e moderna, capace di sfruttare al meglio la ‘spinta’ di tante e tanti giovani che negli ultimi anni ne sono entrati a far parte, garanzia per tutte e tutti noi della capacità di saper anticipare, non solo attendere, il futuro. Un’Università che ricordi a tutte e a tutti, ogni giorno, il fascino senza età dell’Universa Universis Patavina Libertas. Nel nostro Paese abbiamo prestigiosi atenei con punte di eccellenza, eppure molti giovani per far carriera universitaria, nel mondo della ricerca, si trasferiscono all’estero. Perché le nostre università sono ancora ben poco appetibili internazionalmente? Ci sono delle differenze strutturali che rendono oggettivamente non del tutto sensato il confronto fra atenei di paesi diversi. Ci sono realtà private, ad esempio, con rette molto elevate, o paesi che finanziano il sistema universitario in maniera esponenzialmente più alta rispetto al nostro. Ma abbiamo lavorato duramente per recuperare anche a
livello internazionale, tanto che siamo saliti di più di 100 posizioni nei ranking QS e Times Higher Education. Ma più che le mere classifiche, la crescita progressiva del nostro appeal ce lo mostrano altri numeri, a partire in primis dagli oltre 2.300 studenti stranieri, provenienti da ogni parte del mondo, che hanno scelto il nostro Ateneo per l’intero loro percorso di studi. Solo qualche anno fa si contavano al massimo in qualche centinaio. Così come abbiamo reclutato oltre 60 professori provenienti dall’estero, fra i quali alcuni vincitori di progetti ERC. Mi collego al fenomeno che viene spesso chiamato dei “cervelli in fuga”: non ci spaventa che nostri ricercatori e ricercatrici vadano all’estero, anche perché sempre più riusciamo ad attirarne dall’estero. L’aspetto fondamentale è che chiunque si muova lo faccia per scelta, non per costrizione o mancanza di sbocchi accademici. Sempre più spesso molti studenti interrompono il loro percorso scolastico abbandonando gli studi. Cosa va ripensato nella didattica italiana, cosa modificare? La mia esperienza come prorettrice alla Didattica mi ha permesso di analizzare a fondo tutto quanto ruota attorno al nostro modo di insegnare. E devo dire che il nostro ateneo non ha un tasso di dispersione elevato, anzi. Non c’è una ricetta magica su questo terreno, mai, ma un’indicazione ben precisa gliela posso comunque dare per quanto attiene il nostro lavoro: negli ultimi anni abbiamo creato decine e decine di nuovi corsi, spesso in lingua veicolare, per cogliere al meglio le esigenze di un mercato del lavoro in veloce mutamento. Questa penso sia la sfida principale: rimanere al passo con i tempi, formare professionisti che sappiano rispondere alle domande più attuali. È un lavoro che ovviamente richiede attenzione e tempo, ma che abbiamo già cominciato a mettere in atto e con buoni risultati. Non a caso da anni aumentiamo le nostre immatricolazioni: quest’anno accademico supereremo quota 23mila nuovi studenti. Numeri che non potremmo raggiungere senza un’adeguata ed articolata offerta didattica. 9
incontri JACOPO VENEZIANI STORICO DELL’ARTE
VISIONI POTENZIATE Quando si lascia la città lagunare si ha sempre la sensazione di aver perso un passaggio, di non aver colto del tutto la grandezza di ciò che si è visto di Fabio Marzari
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el panorama desolante della televisione generalista
ci sono remote isole popolate di rarissimi panda albini, che sanno affrontare i temi dell’attualità e dell’approfondimento culturale in maniera piacevole e non banale, attraverso interventi misurati, senza urla e strepiti dall’accento forzatamente trash. Da qualche anno Jacopo Veneziani, un giovane storico dell’arte piacentino, nato nel 1994, formatosi alla Sorbona di Parigi, è ospite fisso della trasmissione di Rai Tre del sabato sera Le parole della settimana di Massimo Gramellini, in cui racconta di capolavori più o meno famosi, in maniera brillante e originale, discettando di essi con dotta e coinvolgente semplicità, senza tralasciare mai l’ambito storico e culturale in cui poter contestualizzare l’opera, privo di ogni saccenza e con la forza della padronanza anche del mezzo televisivo. Jacopo Veneziani si racconta nella lunga intervista che segue, frutto di un incontro a casa di un comune amico. Le sue parole ci restituiscono un ragazzo perfettamente a suo agio con il presente, capace di mettere insieme grandi passioni e tanta solida concretezza, tipica della sua terra natale, senza nascondere qualche influsso pop. La prima domanda è inevitabile: quando è nata in lei la folgorazione per l’arte? Credo ci siano state essenzialmente due scintille che hanno acceso in me il fuoco di questa passione. La prima riguardava più la divulgazione che l’arte in sé: nei primi anni 2000 guardavo i documentari di Piero e Alberto Angela e pensavo tra me e me quanto sarebbe stato bello fare della propria passione un lavoro, molto semplicisticamente «essere pagato per andare in vacanza», senza percepire del tutto l’ovvio studio che stava dietro a ogni inquadratura, a ogni momento di quelle trasmissioni televisive così affascinanti. La BBC lo faceva già da anni, ma gli Angela sono stati i primi in Italia a fare un uso tanto massiccio della realtà aumentata, permettendo ad esempio passeggiate tra i Fori Imperiali come i romani li avrebbero potuti vedere all’epoca, con queste architetture meravigliose che dal loro stato di rovine ritrovavano il proprio antico splendore. Guardando que-
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ste immagini a 6-7 anni mi chiedevo come sarebbe stato bello poter scoprire tutte queste meraviglie con un sistema integrato negli occhi, essere in un luogo e percepire distintamente tutte le stratificazioni temporali che lo hanno portato a essere come noi lo vediamo adesso. La seconda scintilla è scattata durante gli anni del Liceo Europeo che ho frequentato a Piacenza. Ad accenderla è stata una professoressa di Storia dell’arte che ci ha fatto concentrare sul patrimonio artistico proprio della città in cui vivevamo e l’evoluzione di quello architettonico. Ecco che allora, uscendo dall’aula e rientrando a casa dopo la lezione, potevo osservare dal vivo quello che avevamo studiato, immergermi in una realtà che in classe era stata descritta e che ora potevo vedere con i miei occhi. Davanti a Palazzo Farnese a Piacenza potevo quindi fare esperienza diretta di quegli effetti speciali di realtà aumentata che vedevo in televisione: avevamo parlato di questo Palazzo collocandolo nel Cinquecento e adesso potevo capire come mai mezza facciata fosse rimasta incompiuta, come mai ci fossero finestre dagli stili diversi affiancate tra loro, e così via. Insomma, è al Liceo che ho deciso di dedicarmi allo studio della storia dell’arte per cercare di ottenere questa capacità di “visione potenziata”. Ho avuto poi la fortuna di essere assecondato in questa predilezione dai miei genitori, per una scelta che si poteva considerare piuttosto idealista e non proprio caratterizzata dalle grandi prospettive di carriera: mi sono iscritto all’Università in Francia perché, avendo frequentato il Liceo Europeo, avevo dato l’esame di maturità sia in italiano che in francese. Arrivato a Parigi mi sono reso conto che il mercato dell’arte poteva essere un modo per coniugare gli studi che mi interessavano alla possibilità di avere una remunerazione che mi permettesse di affrontare la vita di tutti i giorni. Si stava facendo strada nella mia mente l’idea di diventare battitore d’asta, ma dopo essermi reso conto di come questo mestiere non fosse romanzato come me lo ero immaginato ho rivolto la mia attenzione verso il mondo accademico. Avevo da sempre questo sogno, ma non lo avevo sbandierato eccessivamente, quasi a volerlo proteggere dalle ‘intemperie’: quando mi chiedevano cosa avrei voluto fare rispondevo sempre che mi sarebbe
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incontri JACOPO VENEZIANI STORICO DELL’ARTE
piaciuto insegnare all’Università. Mi sembrava una risposta decorosa e ambiziosa insieme, che tuttavia mi permetteva di non dovermi sbilanciare troppo. Credo che il non essere stato vincolato a strette necessità di guadagno immediato abbia rappresentato la mia vera fortuna, in assenza della quale non avrei certo potuto permettermi di scegliere lo studio della Storia dell’arte! Al contempo però spero anche di poter sfuggire il più a lungo possibile al giogo dell’eccessiva ambizione: a volte addentrarsi troppo nei meandri del passato rischia di far dimenticare il presente, le questioni più legate alle impellenze del quotidiano, sul piano professionale e non solo. Quando ho ricevuto la telefonata dalla Rizzoli in cui mi proponevano di pubblicare un libro mi trovavo in biblioteca e ho subito riferito agli altri dottorandi della proposta appena ricevuta. Quasi tutti mi consigliarono di accettare solo dopo aver terminato il percorso di studi, ricontattandoli così dopo due anni. Avrei secondo loro dovuto rispondere alla Rizzoli: «Grazie, vi farò sapere!». Io ero naturalmente dell’idea di accettare subito, anche se per gli altri colleghi quel libro appariva come un potenziale ostacolo al completamento della tesi. Penso che il rischio di aderire troppo rigorosamente alle nostre passioni ci possa portare a vivere in una bolla in cui la percezione del reale rischia seriamente di venire meno. È stato un pioniere di notevole successo nell’utilizzo dei canali della comunicazione social per diffondere la conoscenza dell’arte, replicando il gradimento da parte del pubblico anche in trasmissioni televisive. Ritiene che attraverso i nuovi linguaggi si possano avvicinare alla cultura e alla bellezza un sempre maggior numero di persone, che poi in fondo non è altro che un modo potenzialmente incisivo per aumentare la percezione e il rispetto diffusi per la nostra storia passata? Credo che in realtà quando si parla di social non ci si riferisca per forza a dei pubblici tanto difformi, ma piuttosto a un gruppo più o meno vasto di persone che bazzicano diversi ambienti, consumatori di arte, sotto certi aspetti i social sono utili per concentrarci sul linguaggio, rappresentano per certi aspetti l’habitat più strutturalmente adatto al concetto di divulgazione per come la intendeva Beniamino Placido, capace cioè di “affamare, non saziare”. Il fruitore dei social è spesso distratto da altre cose e viene catturato da frammenti di notizie che considera interessanti e che lo spingeranno poi ad approfondire un argomento o che viceversa lo indurranno a farsele scivolare via unendosi in questo alle tantissime altre con cui entra in contatto curiosando nelle varie piattaforme. Niente come il linguaggio social permette infatti di stimolare la curiosità, o almeno di provare a farlo, dicendo un tot senza giocarsi in poche righe di testo tutte le carte che si hanno in mano. Lo stesso Angela è maestro in questo: non propina al pubblico un interminabile elenco di nozioni, lascia dei margini di silenzio, di non detto, innescando nello spettatore la molla della curiosità che lo spingerà ad approfondire l’argomento in autonomia. Questa narrazione “per frammenti” rappresenta secondo me la vera radice di una divulgazione che al giorno d’oggi ci costringe spesso a veri e propri esercizi di stile, vedi i 280 caratteri che Twitter concede, peraltro raddoppiati rispetto ai 140 con cui la piattaforma si fece conoscere al mondo. Credo che per dare il giusto peso a quello che si afferma si debba fare attenzione a non diventare eccessivamente “personaggi”, proprio per non correre il rischio di levare spazio e potenza ai concetti di cui si 12
vuole parlare al pubblico. È necessario fuggire dall’autoreferenzialità il più possibile, cercare di non creare delle interferenze tra il ruolo di divulgatore e i concetti che si vogliono comunicare. L’utilizzo di un linguaggio semplice e accessibile fa il resto, come insegna lo stesso Piero Angela: «dalla parte della scienza per i contenuti, dalla parte delle persone comuni per il linguaggio». Passatemi il paragone poco elegante, ma credo che il linguaggio complesso sia come il profumo utilizzato da chi si lava poco, spesso nasconde una mancanza che prima o poi viene fuori… Lei ha una formazione accademica d’Oltralpe con studi alla prestigiosa Scuola della Sorbona. Come a tutti è ben noto la Francia in termini di rispetto e valorizzazione dei beni culturali non è seconda a nessuno. Come giudica il modo di affrontare la cultura nel nostro Paese? In Francia percepisco una maggiore malleabilità sul tema del patrimonio artistico e culturale del passato. Questo può costituire un vantaggio e uno svantaggio allo stesso tempo, perché ha permesso degli scempi che molto volentieri si potevano evitare, guidati lì da questa tendenza di portare sempre e comunque il passato verso il presente, rendendo la cultura un prodotto da consumare subito, in fretta. In Italia esiste di base il movimento inverso: tendiamo a fermare nel passato un’opera anche quando dobbiamo restaurarla, restando ancorati religiosamente al modo in cui quest’opera è arrivata a noi. Rispetto ai francesi abbiamo forse una maggiore consapevolezza della fragilità del patrimonio artistico e culturale arrivato fino ai nostri giorni, al quale guardiamo non tanto in termini di tutela, quanto innanzitutto di salvaguardia. Da noi il rapporto con il patrimonio culturale è per certi aspetti più ansiogeno, si ha la percezione costante che possa sfuggirci di mano. Sappiamo di avere alle nostre spalle un’eredità che volenti o nolenti dovremo trasmettere alle generazioni successive e cerchiamo di farlo al meglio. Nel nostro Paese la narrazione di questo patrimonio non può essere troppo dissacrante, sentiamo di non poterci prendere troppe confidenze, cosa che in Francia si sente meno. La malleabilità transalpina a cui facevo riferimento prima si esprime in questo senso, in un rapporto più leggero con le proprie radici artistiche e culturali. Il versante italiano è più monolitico da questo punto di vista. Venezia è un capitolo fondamentale nella Storia dell’arte. Se lei dovesse tracciare un breve percorso di conoscenza della Serenissima attraverso sei capolavori a quali penserebbe di primo acchito? Per tracciare un ritratto di Venezia partirei da un ritratto assai sintomatico, precisamente dal Ritratto del sultano Mehmet II di Gentile Bellini (foto 1), attualmente conservato alla National Gallery di Londra, piuttosto significativo di come Venezia possa rappresentare l’ambasciata lussuo-
Credo che un artista sia essenzialmente un essere umano che cerca di dire qualcosa ad altri esseri umani sa di un’entità che sta altrove. Gentile arrivò in contatto con il sultano su espressa richiesta del sovrano stesso, un po’ come quando Pinault ai giorni nostri invita a Punta della Dogana un grosso nome dell’arte contemporanea. Ciò che è a Venezia non riguarda mai solo Venezia; quando si lascia la città lagunare si ha sempre la sensazione di aver perso un passaggio, di non aver colto del tutto la grandezza di ciò che si è visto. Forse i veneziani che vivono in città hanno una diversa consapevolezza da questo punto di vista. Penso poi all’affresco San Cristoforo di Tiziano (foto 2) a Palazzo Ducale, questo gigante dal tratto michelangiolesco, abbastanza body builder. Un’opera in cui risulta molto importante l’orizzonte, che seppur in basso, all’altezza delle caviglie di questo titano, mostra un campanile di San Marco assolutamente inconfondibile: potrebbe sembrare un esercizio di umiltà ed invece è proprio il simbolo dell’avanzare di Venezia verso la propria gloria. Altro capolavoro cruciale Le nozze di Cana del Veronese (foto 3) al Louvre di Parigi (fac-simile in scala 1:1 nella sua sede originaria alla Fondazione Cini), per il loro esser “parco giochi dello sguardo”, straripanti di particolari come per esempio la raffigurazione del primo stuzzicadenti e di tanti altri oggetti che mi piace definire “curiosità da grigliata”. Inoltre, ancora una volta approfittando di un tema religioso, viene celebrata l’indipendenza di Venezia da Roma e dal Papa. Riusciamo a capire quanto sia pretestuoso l’avvenimento in sé anche in ragione del fatto che gli sposi vengano collocati nell’angolo estremo di sinistra, quasi confusi tra la folla se non fosse per gli abiti sfarzosi. Altra opera che mi ha sempre molto colpito e che funziona molto anche sui social è Prospettiva con portico del Canaletto (foto 4), conservato alle Gallerie dell’Accademia: non fa parte delle classiche grandi vedute del pittore veneziano, che aveva 68 anni quando la dipinse ed è infatti simbolo della perdita di splendore della città lagunare stessa. Un ritratto cittadino che non è cartolina, ma bilancio esistenziale di un pittore e di una città che in parte inizia a richiudersi su sé stessa. Mi ha sempre colpito poi, per la caratteristica di avere i propri protagonisti ritratti di spalle, Mondo novo di Giandomenico Tiepolo (foto 5), affresco che impreziosisce Ca’ Rezzonico in cui noi non possiamo vedere ciò che attira l’attenzione dei protagonisti dell’opera, vale a dire uno scatolone di legno che potrebbe essere una sorta di antenato del cinema. Di questo affresco ho anche parlato nel mio primo libro in quanto opera capace di rappresentare una Venezia impaurita di essere spazzata via dal vento rivoluzionario che in quegli anni, il dipinto è del 1791, soffiava forte dalla Francia. Beffardo se pensiamo che, in una città sempre rivolta al mare, Napoleone arrivò dalla terraferma quando Venezia era simbolicamente girata di spalle, quindi un po’ come se i protagonisti del dipinto fossero i veneziani stessi impegnati a guardare dal lato sbagliato della Storia. Per non tralasciare il Novecento, infine, potremmo pensare al lavoro di Peggy Guggenheim al Padiglione greco della Biennale Arte del 1948 (foto 6), un evento davvero epocale: la prima esposizione di un’esauriente collezione di Arte Moderna europea e americana in Italia dopo due decenni di regime dittatoriale. Peggy aveva chiuso la galleria Art of This Century (1942-47) a New York decidendo di trasferirsi a Venezia.
fronti inediti si possono aprire per favorire nuovi punti di vista sull’arte di ieri e di oggi? Non credo sia un caso che Venezia sia una città assolutamente propizia per l’arte contemporanea: per fare in modo che l’arte contemporanea si avvicini al grande pubblico è necessario accostarla ai propri antenati ideologici perché più immediati dal punto di vista visivo, essendo l’arte contemporanea per definizione non necessariamente figurativa o riconoscibile. Parlando per esempio di Pollock, contestualizzarlo a Venezia lo colloca a contatto con tutti i suoi antenati cromatici, artisti che prima di lui hanno affrontato il tema del colore e del gesto pittorico. Ecco che in un solo soggiorno a Venezia è possibile avere quindi un excursus storico sull’aspetto cromatico dell’arte. Creare simmetrie tra opere che apparentemente non hanno niente in comune, ma che in realtà ci stanno dicendo la stessa cosa con un linguaggio diverso, è secondo me un modo per rendere digeribile anche l’arte più complicata, meglio assimilabile, per sbloccare anche punti di vista spiazzanti capaci di arricchire il confronto, il dialogo. Ecco allora che la Trinità di Masaccio che troviamo a Santa Maria Novella non è poi tanto diversa da I tagli di Lucio Fontana, opere accomunate dall’intento di portare lo spettatore fuori dalla bidimensionalità del supporto pittorico, dalla parete della Basilica con Masaccio e dalla tela con Fontana. Ovviamente, una volta superato questo confine, quello che viene raccontato nello spazio cambia radicalmente! Collocare poi il lavoro di Fontana in un contesto tematico a lungo termine può inoltre evitare l’odioso gioco del “lo potevo fare anche io”, come tappa cruciale di una lunga riflessione che ha investito l’arte da tempo immemore. Esiste tra tutti un artista preferito da Jacopo Veneziani? L’artista che mi ha fatto avvicinare allo studio della Storia dell’arte è di sicuro Michelangelo Buonarroti, che mi ha fatto capire come gli artisti non fossero creature catapultate sulla terra da un’altra dimensione, ma persone in carne e ossa, portatori di emozioni altissime e molto terrene, capaci di realizzare gli affreschi della Cappella Sistina e avere poi a casa la lista della spesa per il domestico o dei poemi per amanti e innamoramenti vari. Grazie a Michelangelo ho capito come un artista sia essenzialmente un essere umano che cerca di dire qualcosa ad altri esseri umani. In tema di simmetrie e parallelismi che potrebbero sembrare dissacranti, mi sento di sottoscrivere le parole di Marco Mengoni: «Credo negli esseri umani che hanno coraggio, il coraggio di essere umani».
Venezia è la capitale mondiale dell’arte contemporanea. Come studioso che rivolge la sua attenzione verso le ‘simmetrie’, come il titolo del suo recente libro per i tipi di Rizzoli, quali con13
incontri OTTAVIA PICCOLO ATTRICE
UNO SGUARDO DAL PONTE
Sono e siamo tutti consapevoli che un documentario, un film, uno spettacolo teatrale non cambiano il corso degli eventi, però possono fornire dei piccoli segnali su come si potrebbe guardare Venezia con altri occhi di Elisabetta Gardin
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orse non tutti sanno che è sua la voce della Principessa Leila di Guerre Stellari, fu lei infatti a doppiare Carrie Fisher. Stiamo parlando di Ottavia Piccolo, una delle attrici italiane più note e amate. Esordisce sulle scene giovanissima. A soli undici anni è già a teatro con Anna dei miracoli di Luigi Squarzina e subito dopo al cinema con il Gattopardo di Luchino Visconti. Nella sua lunga e variegata carriera tra cinema, teatro e televisione, partecipando a sceneggiati che hanno fatto la storia della tv, vedi Il mulino del Po, ha lavorato con i più grandi registi italiani e non, tra cui Giorgio Strehler, Luca Ronconi, Mauro Bolognini, Pietro Germi, Ettore Scola. In Francia è una star acclamata. È stata insignita di tanti importanti riconoscimenti: a Cannes nel 1970 ha vinto il premio come migliore interpretazione femminile per Metello, ha ricevuto un Nastro d’argento, un David di Donatello, un Globo d’oro. Da anni ha scelto il Lido di Venezia come luogo dove vivere. L’abbiamo incontrata nel pieno della preparazione per la tournée italiana, che partirà a gennaio, di Cosa nostra spiegata ai bambini di Stefano Massini, che con l’attrice vanta una lunghissima collaborazione legata a un teatro d’“impegno” dove protagonista è l’attualità, passata e presente, storie eclatanti o invisibili ma significative e significanti: da Processo a Dio a Donna non rieducabile memorandum teatrale su Anna Politkovskaja e poi ancora L’Arte del dubbio, Sette minuti, Enigma, Eichmann, Occident Express. In primavera invece sarà di nuovo a Venezia, al Teatro Goldoni, per portare in scena Eichmann dove inizia la notte. Sempre a gennaio, il 18, il Teatro La Fenice di Venezia ospiterà la prima del documentario Lo sguardo su Venezia in cui viene analizzata la rappresentazione della città lagunare dai vedutisti fino a giorni nostri, passando dall’invadenza del turismo di massa fino alla pandemia, che ne ha fatto una città irreale, deserta, quasi un non-luogo. Il documentario, per la regia di Simone Marcelli, è prodotto dall’Associazione Culturale senza scopo di lucro La 14
Catrina, con il marchio Catrina Producciones, e con il sostegno di Gritti Palace e Associazione Piazza San Marco. In Lo sguardo su Venezia l’attrice si trasforma in una sorta di cicerone per raccontare come è nata l’immagine di Venezia nel mondo dal 1700 fino ai giorni nostri, percorrendone i luoghi emblematici e alcuni più segreti. Fondamentale nel racconto è il contributo degli studi e del patrimonio archivistico dello storico del cinema Carlo Montanaro; ci sono poi varie altre prestigiose testimonianze, tra cui quella dello storico dell’architettura Cesare De Seta e degli storici dell’arte Tomaso Montanari e Pierre Rosemberg. Il messaggio del documentario non può non colpirci, non farci riflettere: la città ha conservato intatta la sua bellezza, ma ha mutato profondamente la propria essenza, fino al rischio di perderla, condizionata dalla sua progressiva, per ora ineluttabile spettacolarizzazione. Al cospetto di questo processo apparentemente irreversibile, a questo punto Venezia è ancora in tempo per ripensare sé stessa? Partiamo dalla fine e dal domani, ossia dai suoi impegni sulle scene e sui set. A gennaio sarò in tournée con una decina di repliche di Cosa nostra spiegata ai bambini di Stefano Massini, la cui regia è di Sandra Mangini, le musiche di Enrico Fink, le immagini di Raffaella Rivi. Raccontiamo la storia di Elda Pucci, la Dottoressa, eletta nell’aprile del 1983 sindaco di Palermo. Raccontiamo di come, sempre nel mese di aprile dell’anno successivo, viene sfiduciata. Raccontiamo infine come a distanza ancora di un anno, il 20 aprile del 1985, la casa di Piana degli Albanesi di Elda Pucci salta in aria per la deflagrazione di due cariche di esplosivo. In scena con me sei straordinari musicisti. Lo spettacolo sarà ripreso nella stagione 2022-2023. Nel mese di marzo al Teatro Goldoni sarò in scena assieme a Paolo
Pierobon con Eichmann dove inizia la notte sempre di Stefano Massini, regia di Mauro Avogadro, prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano e dal Teatro Stabile del Veneto. Atto unico di squassante semplicità, un’intervista della filosofa, scrittrice e politologa Hannah Arendt a colui che più di tutti incarna la traduzione della violenza in calcolo, in disegno, in schema effettivo: Adolf Eichmann, il gerarca nazista responsabile di aver logisticamente pianificato, strutturato e dunque reso possibile lo sterminio di milioni di ebrei. Un dialogo teatrale di feroce, inaudita potenza. Fin da giovanissima ha spaziato tra tv, cinema e teatro: in quale ambito artistico, interpretativo, si sente più a suo agio? Ho sempre alternato teatro, cinema e televisione, però, anche se ho avuto soddisfazioni in tutti e tre i campi, il teatro è il mezzo che mi ha dato e mi dà tuttora sicuramente maggiore libertà di scelta. Da un po’ di anni a questa parte sono io che scelgo cosa fare; in teatro mi è permesso, nel cinema e nella televisione le cose sono più complicate. Ha qualche rimpianto nella sua lunga, fortunata carriera? Quale ruolo le manca? Non ho rimpianti. La cosa più importante è quella che farò… Mi piace pensare di avere molto tempo davanti a me. Qual è il pubblico più difficile? Il pubblico è sempre in generale difficile e sentire che ti segue è la soddisfazione più grande. Che rapporto ha con il tempo e con gli anni che passano? Gli anni che passano non mi rendono felice, ma credo di avere un buon rapporto con il mio corpo e con la mia testa e cerco di prendere il meglio che la vita mi offre. Qual è stata la sfida più grande come donna nel suo ambiente? È mai stata vittima di discriminazione? Essere una donna nel mio ambiente non è stato un problema, ma
come in tutti gli ambienti alle donne si chiede sempre un po’ di più. Se un attore è molto esigente si dice che è un grande professionista, se lo è una donna si dice che è una gran rompiscatole. C’è qualcosa di diverso, di nuovo che vorrebbe sperimentare? Ad esempio scrivere... Le cose che faccio sono anche troppe, scrivere non è proprio nei miei pensieri. Ho tanto da leggere! Quando non è impegnata con il lavoro come occupa il tempo libero? Il mio tempo libero è passeggiare in spiaggia con la mia cagnolina Bianca, aperitivi poco alcolici ma con tante amiche e stare sprofondata sul divano a leggere. Ho pile di libri da cominciare. Il Teatro La Fenice a gennaio ospiterà la prima del documentario Lo sguardo su Venezia del regista Simone Marcelli dove lei è una sorta di guida che attraversa la città durante il difficile periodo del lockdown. Com’è stata questa esperienza? È stata un’esperienza bellissima. L’incontro con Simone Marcelli e con Carlo Montanaro mi ha fatto scoprire quante cose non sapevo su questa meraviglia di città e quante cose potremmo fare noi “veneziani” (mi considero anch’io ormai tale) per invertire una tendenza che rischia di ucciderla. Lei ha scelto di vivere a Venezia, precisamente al Lido, che è un’altra Venezia ancora. Cosa l’ha affascinata di questa lunga, sottile striscia sospesa tra laguna e mare al punto di trasferirvisi in pianta stabile? Mi sono trasferita al Lido per amore: amore per i tramonti, per la laguna, per il verde, per Venezia e per la gente. La qualità della vita è alta, forse perché qui ci si può incontrare con più facilità: tutti prendono i mezzi pubblici, tutti si muovono a piedi e qui al Lido in bicicletta, le occasioni per scambiare due chiacchiere non mancano mai. Cosa volere di più? 15
Intervista Pascaline Vatin e Giandomenico Romanelli
QUESTA NON È UNA TRATTORIA, È UN TRE STELLE!
arte
Da Romano c’era un tavolo sempre riservato agli artisti, l’unico tavolo che aveva un cassetto con pastelli colorati
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© Cameraphoto
di Mariachiara Marzari e Massimo Bran
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ndagare l’arte a trecentosessanta gradi, uscendo dai trac-
ciati ‘mainstream’ – grandi artisti, celebrati movimenti, importanti collezioni –, per dedicarsi con rinnovata passione a scoprire il dietro le quinte dell’immagine e delle opere, ponendo l’attenzione su quelle persone e quei luoghi non canonici e non accademici che una certa parte di Novecento scelse di eleggere come “dimore delle arti”. Luoghi in cui la cultura veniva vissuta, o meglio, consumata, in una dimensione sociale costruita sulla capacità, diremmo oggi “fluida”, di accogliere in un dialogo allargato intellettuali di diversa estrazione, artisti, scrittori, personalità di spicco della politica e della società, attori, mercanti, viaggiatori, persino Reali e, naturalmente, ristoratori. Pascaline Vatin e Giandomenico Romanelli sono pronti il 16 dicembre a regalarci una nuova storia veneziana, un nuovo capitolo espositivo della serie di mostre sul tema Tavoli e tavolozze dedicata alla riscoperta del particolare rapporto tra l’arte e i luoghi della ristorazione, che trovarono nella realtà veneziana e lagunare l’humus ideale per diventare veri e propri cenacoli alternativi e frequentatissimi, preziosi giacimenti di memoria e di espressioni creative. In questo vitale panorama uno dei passaggi obbligati del Novecento è certamente la trattoria da Romano a Burano, che ha compiuto cent’anni di vita nel 2020. La Fondazione Querini Stampalia, dopo la mostra dello scorso anno dedicata allo storico ristorante veneziano L’Angelo, L’Angelo degli Artisti. L’arte del Novecento e il ristorante All’Angelo a Venezia, presenta ora Le tre stelle di Romano. Burano: arte e storia di un ristorante entrato nel mito. Lasciamoci guidare dai due curatori tra i tavoli di questo mitico cenacolo delle arti. Quale la storia di Romano a Burano e come nasce la sua ‘leggenda’? La prima cosa da sottolineare è come questo ristorante sia stato ininterrottamente gestito, e continui ad esserlo, dalla stessa famiglia, i Barbaro. Il vero protagonista fu Romano, da cui il nome del ristorante. Il figlio Orazio ha proseguito la strada del padre con la moglie Linda (negli anni diventata la storica titolare, scomparsa a febbraio di quest’anno); le figlie di Orazio, Rossella e Anna, e i due mariti hanno continuano il percorso famigliare e ora si è affacciata la quinta generazione. Il fondatore a monte fu Angelo Barbaro, il quale aveva un piccolo negozio, una specie di emporio dove vendeva di tutto: ami da pesca, reti, alimentari. Poi il figlio, Romano, lo trasformò progressivamente in vero e proprio ristorante, la cui sede cambiò per ben tre volte, pur rimanendo sempre in via Galuppi, arrivando infine proprio alla porta accanto dell’attuale sito del locale, un edificio del Settecento che ospitava l’antica scuola del merletto di Olga Asta. Da quel momento in poi Romano è sempre rimasto nello stesso luogo, occupando uno spazio arioso e luminoso a tre navate con colonne nel mezzo, come una cattedrale. È stato il pittore lombardo Mario Vellani Marchi a scegliere i colori, il verde e il rosso, e anche a dare il nome “Tre stelle”, che deriva da una sua assertiva affermazione: «Questa non è una trattoria, è un tre stelle!». La storia della famiglia e del locale è dunque nota, essendo uno dei ristoranti storici della tradizione lagunare veneziana. La nostra indagine si è concentrata sui passaggi più significativi di questa vicenda secolare, intrecciandola con la grande quantità di testimonianze visive e scritte che contengono i Diurnali del ristorante, oltre naturalmente alla collezione di dipinti accumulatasi sulle pareti e ancora interamente esposta e visibile, che consta di più di 450 opere di vario genere, natura, epoca e provenienza, in prevalenza soggetti a tema paesaggistico, sulla laguna e su Burano.
Quali sorprese vi hanno riservato i libri delle firme? In molti ristoranti, sia italiani che non, anzi, in prevalenza in quelli stranieri, vi è l’abitudine di far firmare il libro agli ospiti illustri. Da Romano però questa usanza non si limita a una semplice valenza di restituzione di mere testimonianze di passaggio e presenza, bensì si concreta in veri e propri libri d’artista. Questi volumi, chiamati Diurnali come i calendari romani o della chiesa medievale, sono 26 con circa 6500 pagine di firme, disegni, dediche, elaborati, alcuni dei quali davvero straordinari, di autori tra i più incredibili e impensabili dal 1934 a oggi. Vellani Marchi ha dato inizio a questi volumi, li ha impostati e ha continuato a seguirli, facendo dei disegni di contorno a costituire un filo che potesse dare una certa organicità ad un’opera tanto singolare. Qui si innesta il primo spin-off della storia, vale a dire il legame che si stabilì tra le trattorie Da Romano e Bagutta di Milano, là dove venne istituito nel 1924 il primo premio letterario italiano, il Premio Bagutta per l’appunto, ancora oggi esistente. Vellani Marchi, spesso presente alla Biennale di Venezia, è il trait d’union tra Milano e Burano, ed è fondatore del cenacolo artistico di Via Bagutta assieme a un grande giornalista quale era Orio Vergani e a uno degli scrittori più autorevoli allora attivo in Italia, Riccardo Bacchelli. C’è chi chiamava Romano “la Bagutta lagunare”; quel che è certo è che una non trascurabile serie di artisti, “milanesi” ma non solo, si recavano regolarmente d’estate a Burano. Alcuni di essi vi si rifugiarono durante la Seconda Guerra mondiale, Vellani Marchi, ci rimarrà stabilmente per un paio d’anni. Attorno a Romano si andò formando una sorta di comunità di artisti, pittori, letterati, scrittori, poeti, da Diego Valeri a Giovanni Comisso a De Pisis… A Milano, da Bagutta i martedì sera erano dedicati alla cultura, un protagonista del momento veniva festeggiato: l’autore di un libro, un direttore d’orchestra, un grande attore o una celebre attrice, ecc. Vellani Marchi redigeva per ognuna di queste serate una Lista coloratissima, illustrata con la caricatura del personaggio e firmata da tutti i partecipanti. La trattoria purtroppo non esiste più, tuttavia fortunatamente gli arredi e le liste sono stati salvati da una collezionista milanese. Anche Romano organizzava degli appuntamenti fissi, regolarmente cadenzati? No. Gli appuntamenti di Romano erano di altro genere, legati a Venezia e alla laguna, in particolare, per esempio, le cene celebrative dei campioni vincitori di regata. Negli anni Trenta e Quaranta Burano produce grandissimi campioni che venivano attesi da Romano da una vera e propria tifoseria. Negli anni tanti mondi diversi sono passati per i tavoli di Romano: il cinema, con registi come Fellini e Monicelli, la letteratura, da Hemingway a Moravia, la musica con Nono, Maderna e Boulet, sportivi, gente di teatro, dello spettacolo, industriali, il mondo della finanza e quello della politica. Senza dimenticare le teste coronate, da Filippo di Edimburgo alla Regina d’Olanda. Una tradizione così peculiare e ricca di suggestioni ha qualche chance di arricchirsi anche in questo nostro mutatissimo presente? Il frontespizio dell’ultimo volume porta la data di settembre 2021. Quindi la tradizione continua anche se, come tutte le parabole, l’av Le tre stelle di Romano. Burano: arte e storia di un ristorante entrato nel mito 16 dicembre-6 marzo 2022 Fondazione Querini Stampalia www.querinistampalia.org
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arte IN THE CITY
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ventura non ha certo più l’aura mitica della prima metà del Novecento. Burano subisce purtroppo le stesse invasioni turistiche del centro storico, con le medesime conseguenze. Tuttavia gli ultimi volumi dimostrano che la tradizione continua, sì. Le pagine testimoniano il passaggio in trattoria di grandi artisti contemporanei portati in questi anni da uomini come Adriano Berengo, straordinario e solitario protagonista della grande arte muranese del vetro declinata nelle forme della contemporaneità. Proprio Adriano ha accolto con entusiasmo il progetto dedicato a Romano, sostenendolo, contribuendo così in modo determinante alla realizzazione della mostra. A tal proposito, vi sono anche artisti contemporanei nella collezione di Romano? Pochi, proprio perché sono mutate le condizioni stesse di vita e di produzione artistica. Il ruolo degli artisti presenta condizioni e caratteri che non sono più comparabili con quelle di decenni or sono. Non esistono più comunità artistiche, l’individuo prevale sul gruppo. Allora sia a Venezia all’Angelo che a Burano da Romano la fortuna ha voluto che s’incontrassero due uomini. Per L’Angelo l’aggregatore è il critico Giuseppe Marchiori, che fa del ristorante la sua ‘mensa’ e, di lì a poco, il suo circolo di artisti. A Burano l’alchimia si crea tra Romano, interessato alla musica, capace di scrivere lettere d’amore meravigliose sebbene fosse andato a scuola solo fino alla seconda elementare, perciò con un’evidente sensibilità a suo modo creativa, e Vellani Marchi. Egli arriva a Burano già a metà degli anni Venti. Ma l’Isola fin da inizio secolo aveva ospitato paesaggisti, fra tutti Gino Rossi e Umberto Moggioli, e acquisito una notevole fama per la sua luce, le sue atmosfere e i suoi colori. Qual è il tratto identitario distintivo di questi primi due percorsi paralleli da voi curatorialmente esplorati, L’Angelo nel cuore di Venezia e Romano a Burano? L’Angelo è sicuramente un luogo di elaborazione delle avanguardie artistiche veneziane, che qui nascono e si affermano. L’identità di Romano si innesta sulla notorietà della Secessione veneziana, quella di Ca’ Pesaro dei primissimi anni del Novecento. I primi pittori che arrivano in Isola sono il bielorusso Jehudo Epstein, Umberto Moggioli, Umberto Veruda, raggiunti dopo qualche anno da Arturo Martini, Gino Rossi, Ugo Valeri e Luigi Scopinich. Non esiste propriamente una scuola di Burano. Nino Barbantini con la “sua” Ca’ Pesaro, capace di prendere sotto la sua ala questi giovani facendoli diventare dei veri protagonisti del contemporaneo, crea un legame tra tutti loro senza per altro dar vita a una scuola. Affascinante l’incontro tra Barbantini e Gino Rossi che gli porta il suo quadro, Il Muto. Barbantini ne rimane a tal punto colpito da affermare: «Non vedo più l’arte nello stesso modo». Qualche anno dopo regalerà il dipinto, divenuto un’icona della modernità, al suo amico Romano. Il gesto sottolinea quanto il critico ritenesse fondamentale Romano e la sua collezione! La Prima guerra mondiale rappresenta una cesura drammatica ed epocale. Gino Rossi viene fatto prigioniero dopo la rotta di Caporetto e torna definitivamente segnato. Scopinich smette assai presto di dipingere e apre una galleria a Milano. Moggioli, l’altro dei grandi protagonisti della prima stagione buranella, muore di influenza spagnola alla fine della guerra, a soli 32 anni. La signora Anna, sua vedova, cambia casa, e passerà il resto della sua vita ad accogliere artisti e intellettuali. Anche Romano sistema delle stanze e accoglie gli artisti. Andare a Burano a quei tempi rappresentava un vero e proprio viaggio; c’erano due soli vaporetti al giorno e fino a poco prima ancora si raggiungeva l’Isola solo a remi. La stagione di Romano comincia a cavallo della Seconda guerra. Con Vellani Marchi arrivano a Burano artisti come Juti Ravenna, Carlo Dalla Zorza, Fioravante Seibezzi, Pio Semeghini, Felice Carena, Filippo De Pisis e Giovanni Comisso, la seconda generazione buranella. Vellani Marchi racconta che De Pisis girava per Burano in vestaglia con un pappagallo sulla spalla. Pose certo esibizionistiche ma al contem-
po autentiche, espressione di un vissuto senza troppi confini tra quotidiano e immersione nel vortice creativo. A stretto giro si forma un’altra generazione ancora, quella di Vedova, con Saetti, Birolli e Santomaso. È interessante comprendere la relazione creatasi in questo luogo così particolare tra artisti e abitanti di Burano, i quali, a differenza che in altri contesti egualmente popolari, convivono felicemente in simbiosi con figure, atteggiamenti, parole, abiti mentali sovente eccentrici. La trattoria di Romano si era presto trasformata nel vero centro catalizzatore della vita dell’Isola. Fianco a fianco bevevano, mangiavano e giocavano a carte semplici avventori, pescatori, ortolani occupando metà del ristorante; dall’altra parte l’unico tavolo fornito di un cassetto con pastelli colorati, era riservato agli artisti. Una vicinanza da sempre naturale, pur nell’ordine straordinario delle cose. Ritorniamo un attimo a Vedova... Il 4 settembre 1946, in una giornata – si racconta – di caldo soffocante, viene assegnato il primo Premio Burano di pittura. Tema del premio: l’Isola e il suo paesaggio lagunare. Si presentano Emilio Vedova, Renato Birolli, Armando Pizzinato con il loro linguaggio d’avanguardia nonché alcuni Spazialisti. Quando viene consegnato il premio a Dalla Zorza, un grande paesaggista della prima generazione buranella, succede un putiferio: sia Vedova che alcuni pittori tradizionalisti, si ribellano. Un artista getta i suoi quadri in acqua per protesta; Vedova sottrae clandestinamente la sua tela dall’esposizione e la consegna ad un ragazzino ordinandogli di portarla da Romano. Dopo qualche anno la donerà all’oste, rendendo esplicitamente omaggio al valore artistico della collezione. C’è qualche altro momento negli anni Cinquanta o Sessanta che presenta caratteri peculiari, distintivi nell’economia complessiva di questa avventura? Sono anni di passaggio, di profondo cambiamento quelli, che inaugurano una trasformazione radicale della concezione stessa della funzione dell’opera d’arte e della sua trasmissione in termini mercantili. L’artista non si muove più con semplicità, in piena, libera autonomia. Non lascia più il quadro in luoghi non canonici quali, per l’appunto, locande e ristoranti; finisce allora quell’epoca. Fulvio Bianconi o anche Massimo Vignelli più che quadri alle pareti lasciano pagine nei Diurnali. Sono al contempo anni in cui il cenacolo buranello resiste vitale, ma rinnovandosi. Come si traduce in mostra tutto questo materiale incredibile? Lo schema di base della mostra e del catalogo ricalca quello usato ne L’Angelo degli Artisti: grandi pannelli e fotografie raccontano la famiglia, il ristorante, Burano e la vita lagunare. Una parte fondamentale viene occupata dalla collezione proposta attraverso una selezione di circa ottanta opere. Ma la parte inedita è proprio quella dedicata ai Diurnali, che in mostra viene presentata in forma di videoproiezione: centinaia di pagine che girano senza soluzione di continuità per rendere visibili la ricchezza e la varietà offerta da questi volumi. Una ventina di Diurnali originali sono fisicamente esposti. Siamo felici di poter presentare per la prima volta anche una selezione delle geniali Liste di Vellani Marchi per Bagutta. Nella prospettiva del percorso espositivo della serie Tavole e Tavolozze quali altre tappe vi prefiggete? Non è detto che ci siano altri ristoranti con una storia così forte come questa, con un secolo ininterrotto che vede protagonista la stessa famiglia. Stiamo lavorando in varie direzioni, La Colomba potrebbe essere la prossima tappa. La sua collezione è stata un passaggio importante del Novecento veneziano, anche in ragione dei suoi rapporti privilegiati con un gallerista quale Carlo Cardazzo. Ma altre collezioni e altri ristoranti affollano il nostro orizzonte. 19
arte IN THE CITY PALACES
Il viaggiatore del tempo
A Palazzo Franchetti Massimo Campigli e gli Etruschi. Una pagana felicità è stata prorogata fino al 20 gennaio 2022. Decisione maturata grazie alla possibilità di operare un nuovo allestimento con un percorso ampliato che dal primo piano nobile del Palazzo porta al secondo e una nuova addizione alla mostra con l’inserimento di un reperto archeologico inedito: Il viaggiatore etrusco. Un prezioso frammento di lastra in terracotta della fine del VI - inizio V secolo a.C., appena rientrato in Italia, raffigurante di profilo la figura di un giovane viaggiatore etrusco, con capelli rossi raccolti in un’elaborata acconciatura, con bastone sinuoso e cappello a tesa da viaggiatore. L’opera è stata acquistata dalla Fondazione Luigi Rovati presso la casa d’aste Christie’s di New York con il fine di completare la selezione conosciuta di lastre parietali figurate provenienti da Cerveteri già in possesso dello Stato e ceduta al Ministero della Cultura. Questo nuovo pezzo racchiude perfettamente l’idea della mostra: un viaggio nella bellezza in cui la dimensione temporale si annulla. Da un lato una cinquantina di reperti archeologici della civiltà etrusca e dall’altro trentacinque opere di Massimo Campigli, forme che si fondono e colori che si confondono, creando un’atmosfera estetica unica e irripetibile. Un continuo scarto temporale tra l’arcaicità essenziale dell’arte etrusca e le visioni sospese e modernissime di Campigli, senza vincoli o canoni estetici, pura e libera espressione primitiva. Silvia Gobbo Massimo Campigli e gli Etruschi. Una pagana felicità Fino 16 gennaio 2022 ACP – Palazzo Franchetti, San Marco 2842 www.acp-palazzofranchetti.com
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Album di famiglia Invito a Palazzo Vendramin Grimani dell’Albero d’Oro Quando tutto sembra fermarsi, quando siamo “fuori stagione”, ma soprattutto quando iniziano le vere giornate invernali e la luce nordica assale Venezia, la sua bellezza emerge nitida e immortale. Questo periodo, tra dicembre e gennaio, è il momento ideale per far scoprire ai veneziani e agli amanti di Venezia i paradisi ritrovati della città, palazzi antichi, sorprendenti scrigni d’arte e di storie. La storia infatti che vogliamo raccontare – consigliando caldamente la visita – è quella di un palazzo collocato nella contrada di San Polo e affacciato sul Canal Grande, a mezza via fra il Ponte di Rialto e la volta de Canal, in cui si intrecciano le genealogie delle nobili famiglie veneziane dei Vendramin e dei Grimani. Un luogo rimasto per molto tempo segreto e inaccessibile, ma che la Fondazione dell’Albero d’Oro ha deciso di restituire a Venezia con l’obiettivo di ricostruire e presentare le opere disperse che hanno fatto parte della collezione degli illustri abitanti, che per più di cinque secoli hanno animato il palazzo, mettendole in dialogo con opere contemporanee. Nel 1449 Andrea e Luca Vendramin acquistarono una casa fondaco, di forme bizantine, già esistente nel 1365 e documentata nella Pianta prospettica di Jacopo dei Barbari del 1500. Nel 1452 i due fratelli si divisero le proprietà lasciando la casa ad Andrea, che diverrà doge nel 1476. Alla sua morte, avvenuta nel 1478, l’edificio passava in proprietà ai figli Alvise e Paolo, che nel 1484 spartirono l’eredità paterna e in quel caso l’immobile spettò al primo. Nel 1491, alla morte di Alvise, la casa andò al figlio di quest’ultimo, Giovanni, che nel 1497 sposava Cecilia Malipiero. Intorno
al 1500 iniziarono i lavori alla facciata e la fabbrica assume così la facies rinascimentale che possiamo ammirare ancora oggi. I lavori si conclusero nel 1513, allorché Giovanni moriva prematuramente. I Grimani entrarono nella storia dell’edificio nel 1517 con il matrimonio fra Antonio di Girolamo, del ramo di San Polo detto Brazza (poi dei Servi), ed Elisabetta Vendramin di Giovanni (da Santa Fosca, nipote del doge Andrea), la quale aveva recato in dote l’immobile. Con Girolamo, nato nel 1530 dal matrimonio di Antonio ed Elisabetta, prendeva avvio il ramo dei Grimani dall’Albero d’Oro, così chiamato in virtù della ‘purezza’ del casato che era giunto a Venezia nel XIII secolo con il capostipite Piero, il cui figlio Servidio fu nel 1297 fra i 300 compresi nella Serrata del Maggior Consiglio. I Grimani dall’Albero d’Oro daranno alla Repubblica un doge, Pietro (dal 1741 al 1752), già ambasciatore in Inghilterra nel 1710, che fece del Palazzo un salotto culturale vivacissimo. L’edificio rimase stabilmente nel patrimonio degli eredi della famiglia Grimani fino al 1969, quando venne acquistato dalla famiglia Sorlini di Brescia. Riaperto ufficialmente dalla Fondazione dell’Albero d’Oro a maggio 2021, Palazzo Vendramin Grimani nei mesi invernali offre un bellissimo percorso espositivo guidato – dal giovedì alla domenica alle ore 15.30 e 16.30, senza obbligo di prenotazione –, che comprende la parte storica-architettonicaartistica cinquecentesca e la parte contemporanea caratterizzata dalle fotografie di Patrick Tourneboeuf e di Ugo Carmeni, dagli acquerelli di Yvan Salomone e dalle sculture in vetro di Daniela Busarello.
IL BAMBINO NASCOSTO Appuntamento in cantiere
Family Pictures
ENG
At a time when all seems to come to a halt, when days shorten and the palest of lights shines on Venice, the city’s beauty emerges once again – clear and immortal. Early winter days are perfect to discover newly-found pieces of paradise, ancient buildings, and amazing treasure chests. The story I want to tell you is about a mansion not far from the Rialto Bridge: Palazzo Vendramin Grimani dell’Albero d’Oro (literally, golden tree), once home to the noble families of Vendramin and Grimani. For a long time closed to the public, it has just been opened thanks to Fondazione dell’Albero d’Oro. The palace’s history is a notable example of Venetian architecture: in 1449, Andrea and Luca Vendramin bought what was an inn at the time, extant by year 1365. In 1452, the two brothers split their estate and Andrea (who would be made Doge in 1476) kept the house. With Andrea dead in 1478, the house was left to his children, Alvise and Paolo. In 1484, Alvise kept it and later left it to his son Giovanni. In 1497, Giovanni married Cecilia Malipiero. In 1500, renovation works began and the Renaissance-style façade that we can still see today was made. In 1513, Giovanni found early death and four years later, the Grimanis entered the story of the Palazzo as Antonio married Elisabetta Vendramin, whose dowry included it. Their child Girolamo, born in 1530, was the first being referred to as a Grimani of the Golden Tree branch, due to the ‘pureness’ of his bloodline dating to the 1200s. Palazzo Vendramin Grimani Fondazione dell’Albero d’Oro Fino 10 marzo 2022, San Polo 2033 fondazionealberodoro.org
Photo Matteo De Fina - Courtesy Palazzo Grassi
In un Palazzo che ha assunto una vocazione espositiva trasformandola in eccellenza del mostrare e del fruire l’arte da parte del pubblico, anche il restauro diventa occasione per mostrare oltre l’opera e per costruire un dialogo diretto con il visitatore. Stiamo parlando di Palazzo Grassi e di Strappi, un cantiere aperto che svela al pubblico gli interventi conservativi operati su due dipinti murali realizzati per la Villa Colleoni Capigliata di Calusco d’Adda dall’artista italiano Carlo Innocenzo Carloni (Scaria d’Intelvi, 1687–1775) tra il 1740 e il 1745, oggi parte del patrimonio mobile di Palazzo Grassi – Pinault Collection. Mettere in scena le operazioni di restauro di un corpo di lavori settecenteschi che rinnova un’opera per scoprirla intimamente, offre l’occasione per interrogarsi sulla natura identitaria di Palazzo Grassi a partire proprio dalla sua storia, costruita in primis dalle opere d’arte, e più in generale per una riflessione sul tempo dell’immagine e la sua trasmissione. Viene offerto al pubblico un approccio diretto alla tecnica del restauro e alla sua ritualità performativa, messa in scena dall’intervento progettuale dello studio di comunicazione, grafica e design Zaven di Venezia che firma la regia dell’allestimento. Il cantiere di restauro è visitabile tutti i mercoledì alle ore 11, 12, 15 e 15.45 per un massimo di 20 persone per turno. Le visite sono gratuite e condotte dai mediatori di Palazzo Grassi. M.M. Strappi Fino 9 gennaio 2022 Palazzo Grassi, San Samuele, San Marco 3231 www.palazzograssi.it
Una curiosa e intima rarità, come quando da un cassetto dimenticato tiriamo fuori qualcosa di inaspettato: la mostra Ghiribizzi, curata da Aldo Colonetti e Luigi Sansone, alla Fondazione Cini sull’Isola di San Giorgio fino al 31 gennaio, rievoca lo spirito del grande Gillo Dorfles (1910–2017), pietra miliare nella critica d’arte del Novecento, nelle vesti inedite di artista. “Ghiribizzi” infatti era il modo in cui Dorfles chiamava i suoi disegni, fatti di linee veloci, dalla spontaneità infantile, che richiamano la dimensione dell’inconscio. Dorfles fa scorrere la sua mano oltre il foglio, i suoi tratti sembrano ricalcare il profilo di una realtà che non percepiamo a occhio nudo, ma che è la proiezione della sua mente, del suo pensiero. Parole e segmenti che creano un’arte orientata verso il misticismo. Formato in medicina, con una specializzazione in psichiatria e appassionato di alchimia, Dorfles riversa nei suoi disegni questo senso di continuità, tra mente e braccio. In mostra 21 disegni mai esposti prima, che trasportano il visitatore direttamente all’interno di atmosfere misteriose, di mondi che esistono nel profondo di ognuno di noi. Dorfles scompare a 107 anni e questi sono i suoi ultimi disegni, realizzati da un uomo che ha visto e vissuto innumerevoli cambiamenti e in particolare il passaggio da un’epoca a un’altra, rivolgendo sempre lo sguardo verso la contemporaneità, per questo motivo le sue opere risultano attuali e senza tempo. Silvia Gobbo Ghiribizzi. Disegni inediti di Gillo Dorfles Fino 31 gennaio 2022 Fondazione Cini, Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it
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Bruce Nauman, Walk with Contrapposto, 1968. Courtesy of the artist and Electronic Arts Intermix. © Bruce Nauman by IAE 2021
BRUCE NAUMAN CONTRAPPOSTO STUDIES PUNTA DELLA DOGANA VENEZIA 23.05.21 – 27.11.22 CURATED BY CARLOS BASUALDO AND CAROLINE BOURGEOIS 22
PALAZZOGRASSI.IT #BRUCENAUMAN
arte IN THE CITY CULTURE
Il potere della diversità Una straordinaria avventura nel Quinto continente Gli ingredienti per una mostra destinata a restare significativa nel tempo ci sono tutti: un eminente ricercatore, il professor Steven Hooper, che attraverso la sua curatela apporta un contributo inestimabile alla conoscenza dei mondi del Pacifico; l’audacia, l’energia, l’entusiasmo e il DNA di Inti Ligabue, presidente della Fondazione Giancarlo Ligabue, ideatore e promotore del progetto; la passione erudita del collezionista parigino Alexandre Bernand, curatore associato della mostra; la collaborazione fondamentale con il Musée du quai Branly-Jacques Chirac di Parigi, che accoglierà la mostra nel giugno 2022; significativi prestiti, in primis dal British Museum di Londra, con venticinque pezzi. E poi naturalmente la straordinaria bellezza, qualità e diversità dei pezzi presentati, i leggendari bastoni di comando, ciascuno dei quali con una specificità di utilizzo e una originalità formale, in cui il gesto dell’artigiano che lavora il legno, la pietra o le ossa di cetaceo si fa arte, resa ancor più eclatante dalla costruzione scenografica e dalla magia di Palazzo Franchetti. La mostra Power and Prestige. Simboli del comando in Oceania è assolutamente da non perdere perché offre un viaggio inedito attraverso l’Oceania seguendo ogni singolo pezzo, scoprendone il rapporto con il sacro, con il potere, con la dimensione rituale, con la bellezza, allargando lo sguardo su queste forme scultoree tra le più emblematiche e misconosciute delle culture oceaniche. Ma che cos’è un bastone di comando? Il bastone di comando è un’opera d’arte complessa, non semplicemente un’arma – secondo una visione europea che non rende loro giustizia e non corrisponde alle idee delle culture indigene che li hanno prodotti –, è una scultura, un accessorio da esibire, un simbolo di autorità, un bene di scambio, un souvenir, un trofeo, una parte del patrimonio culturale, e molto altro ancora. Se alcuni di questi bastoni furono forse ideati per uno scopo principale o esclusivo, molti svolgevano molteplici funzioni. La loro efficacia non era legata alla sola forza umana ma anche a una serie di pratiche culturali, oltre che alla capacità di veicolare la potenza divina. Per esplorare tutti questi aspetti, la mostra segue una serie di tematiche che mettono in evidenza le molteplici caratteristiche e identità dei manufatti. The ingredients for an exhibition that will be remembered for year to come are all there: an eminent researcher, art historian Professor Steven Hooper; the daring, energetic enthusiasm of Inti Ligabue, president of the Fondazione Giancarlo Ligabue and the sponsor of this project; the passion of Parisian collector Alexandre Bernard, associate curator of the exhibition; and the essential cooperation of Musée du Quai Branly—Jacques Chirac of Paris, where the exhibition is due on June 2022. Also, naturally, the exceptional beauty, quality, and diversity of the exhibits, the legendary maces of power made of wood, stone, or whalebone and themselves true pieces of art. Power and Prestige. Symbols of command in Oceania is an exhibition you won’t want to miss – it is an original journey around Oceania and its peoples’ relationship with sacredness, power, rituality, and beauty, encapsulated into a ritualistic tool. More than a weapon, a sculpture, a means of exchange, a trophy, and a staple of cultural heritage. Power & Prestige. Simboli del comando in Oceania Fino 13 marzo 2022 Palazzo Franchetti, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti Campo Santo Stefano www.fondazioneligabue.it
Power and Prestige © photos by Hughes Dubois - Courtesy Fondazione Giancarlo Ligabue
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arte IN THE CITY READING
Il peso dei sogni Edward Burne-Jones (1833–1898) giunse per la prima volta a Venezia appena ventiseienne e l’impatto emotivo con gli affascinanti monumenti gotico-rinascimentali affioranti dalle acque della laguna gli provocò un’entusiastica esaltazione, che lo fece restare letteralmente “contaminato” dalla bellezza. Con lo stesso entusiasmo per la sua città e per la sua bellezza, Michela Luce offre attraverso le pagine del suo libro Burne-Jones e Venezia: un viaggio nella Bellezza (Supernova editore, 2021) una rilettura dell’esperienza dell’artista inglese in laguna. In occasione della presentazione del libro, che avrà luogo nell’Aula Magna dell’Ateneo Veneto mercoledì 15 dicembre alle ore 17.30 e che vedrà partecipare l’autrice stessa in dialogo con Rosella Mamoli Zorzi, Franca Lugato e Camillo Tonini, pubblichiamo di seguito alcuni significativi passaggi dal Capitolo 4 dedicato a Burne-Jones alla Biennale: ritorno a Venezia, per offrire un primo assaggio della capacità di Michela Luce di condurre il lettore nelle affascinanti atmosfere del mondo di Burne-Jones.
Sponsa de Libano, 1891 Courtesy National Museums Liverpool, Walker Art Gallery
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Sull’onda del crescente successo e della fama raggiunta grazie alla presenza sempre più assidua alle mostre internazionali, era inevitabile che Burne-Jones venisse invitato all’evento culturale e mondano italiano più importante che si stava preparando in Laguna sullo scorcio del secolo XIX [...] Riporta L’Adriatico del 30 aprile 1895, “c’è poi Burne-Jones gentile illustratore della leggenda arturiana, delle mistiche storie, delle simboliche avventure. Una di queste squisite sue opere è la Sponsa de Libano, la mistica sposa del cantico di Salomone, al cui richiamo le figlie dei venti rispondono veloci”. Come risulta dagli inventari dell’ASAC, alla sezione inglese era riservata una posizione di grande visibilità. La Sala A si trovava infatti subito nel Padiglione Pro-Arte [...] “La prima visita si fa agli inglesi che occupano da soli la sala sinistra del vestibolo. Arte positiva e solida questa dei figlioli di Albione”. [...] Concisa ma puntuale e centrata risulta la presentazione dell’artista inglese in catalogo. [...] Nel suo formato verticale ed allungato La Sponsa de Libano avanza con passo titubante sorreggendo con l’esile mano destra il panneggio svolazzante di una veste botticelliana e con la sinistra i capelli mossi dalla brezza, con uno sguardo attonito ed immobile. Alle sue spalle i venti del Nord e del Sud personificati da una giovane modella ebrea che posò per il pittore in due giorni successivi. Lui stesso racconta come la ritrasse in studio dandole il volto di entrambi i venti. Nonostante i suoi dodici anni si rivelò capace di interpretare le sue richieste [...] Un’opera che non sfuggì a Pompeo Dini che la citò nel saggio su Natura e Arte dedicato alla pittura inglese presente alla prima esposizione [...] definisce Burne-Jones “dolce seguace di Dante Gabriele Rossetti che porta nella sua pittura tutte le tendenze mistiche, fra cui s’aggirò la sua giovinezza, espone un quadro Sponsa de Libano di straordinaria spiritualità. Passano per la mente le dolci fantasie botticelliane: la Primavera e la Nascita di Venere”. Si può vedere scorrendo l’ampia rassegna stampa già raccolta in quella prima edizione come però non tutti i critici risultassero ugualmente stregati o sedotti dalle malie del pittore di Birmingham.
IL LIBRO
Manifesto della Prima Esposizione Internazionale d’Arte della Città di Venezia, 1895
Natura e Arte tornò l’anno successivo sulla 1a Esposizione, offrendo una pesante stroncatura [...] “che razza di originalità ci sia in lui io veramente non ho mai capito. Perché rifa maestrevolmente i primitivi lo si dice originale? O che ci mette di suo? Intanto una falsità di colore evidentissima e poi un savio disegno, una dolcezza allungata di forme che possono far piacere la sua Sponsa de Libano, ma tutto si riduce qui. E neppure un sentimento mistico emana dalla tela”. Mario Pilo, critico letterario e docente di estetica, sulla Gazzetta letteraria impietosamente scrisse “E la Sponsa de Libano di sir Edward Burne-Jones? Una specie di arazzo verdastro e bluastro, freddo e smorto, con tre figure muliebri lunghe lunghe e secche secche, avvolte da grandi svolazzi turbinosi di panni inutili, delle quali una cammina coi propri piedi e ha un faccino discreto, e le altre due sfiorano appena il suolo, librate in aria in atteggiamenti impossibili e con facce storte e insignificanti. È questa la pittura mistica e ideale? Abrenuntio. Non vedo la necessità di rimbambire per esprimere il sovrasensibile! Anzi!”. Restano le parole miliari scritte invece da Vittorio Pica su L’illustrazione italiana in occasione della morte dell’artista nel 1898 [...] “Lungo un rigagnoletto, assai povero d’acqua, e tra due file di sottili fusti fioriti di gigli, avanzavasi, vestita di una molle tunica azzurrina, la poetica sposa del cantico dei cantici: Come descrivere la grazia squisita ed il dolce languore di quel giovine corpo di donna, di cui il pittore inglese, secondo una sua consuetudine alquanto manierata [...] aveva allungato ed alterato un po’ le forme per accrescerne l’elegante snellezza? Come descrivere l’ineffabile espressione degli occhi cerulei, profondi e con uno sguardo vagolante e pensoso, delle labbra aventi il colore delle rose appassite, del capo che inchinavasi lievemente sulle spalle sotto il peso dei sogni?” [...] Pur ammirandolo come uno dei più interessanti pittori della seconda metà del secolo, ne sconsiglia ai giovani pittori l’imitazione, troppo colto e raffinato per imitarne l’estetica, quanto invece per la coscienziosa elaborazione formale, utile occasione di studio e di meditazione di maniera [...]. Letture interpretative frutto di un gusto molto diversificato; del resto il fascino intramontabile della Biennale anche oggi è la piena libertà di analisi e di valutazione critica che consente di scrivere tutto ed il suo contrario, spesso senza timore di smentita. Mi piace inserire il baronetto inglese, con le sue straordinarie e silenti visioni di mondi immaginari, in quel contesto aperto e variegato che lasciava spazio, nel secolo scorso e altrettanto in questo, a contaminazioni e proficui scambi come fu del resto nella millenaria storia dell’arte veneziana. Burne-Jones e Venezia: un viaggio nella bellezza 15 dicembre, ore 17.30 Ateneo Veneto, Campo San Fantin, San Marco 1897 ateneoveneto.org
Sbarcato in laguna la prima volta per studiare e divertirsi, Edward Burne-Jones rimase stregato dalla città e dalle opere dei suoi pittori. Tornò a Venezia per perfezionare la sua arte, assimilandone gli insegnamenti, la esaltò pubblicamente per salvaguardarla, ne utilizzò le magie iridescenti, frutto di tecnica millenaria, vi prestò alcuni suoi lavori per promuoverla, la rilesse tra le righe di un sapere antico, trovandovi nuova linfa per sognare. Burne-Jones e Venezia di Michela Luce ci offre un viaggio nella Bellezza, un’avventura estetica elettrizzante, avvincente, totalmente coinvolgente, ci fa vivere un’esperienza che non si conclude di fronte ai quadri di questo grande pittore inglese dell’Ottocento, poiché sono proprio le sue opere che suggeriscono spazi “altri” dove perdersi: emozioni che si arricchiscono attraverso gli occhi, li saturano di colori opulenti, di linee eleganti, di forme perfette che si completano con la mente.
L’AUTRICE
Photo Maki Galimberti
Michela Luce, nata a Venezia e laureata in Lettere con indirizzo artistico all’Università Ca’ Foscari, è appassionata d’arte da sempre e giornalista dal 1992. Cresciuta in un ambiente legato al mondo del collezionismo e del mercato, ha collaborato in qualità di critica d’arte con le pagine culturali di varie testate giornalistiche. Ha operato negli uffici stampa di Palazzo Grassi e della Biennale di Venezia, nei settori di Cinema, Teatro, Architettura e Arti Visive, occupandosi di comunicazione e didattica. Dal 1996 gestisce la Galleria Luce Arte Moderna, inaugurata nel 1983 a fianco del Teatro La Fenice, curandone l’aspetto espositivo, di comunicazione e allestimento. 25
arte
IN THE CITY CONTEMPORARY
X Factory A Punta della Dogana, in cammino con Bruce Nauman
Reazioni a catena
Caterina Gobbi, Had there been anyone to listen, 2021 Photo Matteo De Fina © Palazzo Grassi
Il titolo della mostra Contrapposto Studies a Punta della Dogana dedicata a Bruce Nauman, uno tra i più importanti artisti viventi americani, fa riferimento al “contrapposto”, detto anche “chiasmo”, termine usato per descrivere la caratteristica posa delle sculture policletee prese poi ad esempio per la statuaria successiva. La particolare posizione chiastica, nata in Grecia nel V secolo a.C., consiste nel rappresentare una figura umana in piedi con un arto inferiore flesso e l’arto superiore del lato opposto teso, e viceversa. Tale tecnica compositiva ricorda una X e crea una torsione dinamica che contrasta con la rigidità delle opere arcaiche anteriori. Questa posa, lo studio del corpo e del suo linguaggio sono alcuni dei temi fondanti nell’opera di Bruce Nauman, protagonisti in particolare dell’indagine offerta a Punta della Dogana attraverso una serie di installazioni video realizzate a partire da Walk with Contrapposto del 1968, opera dove l’artista cerca di mantenere la posa chiastica mentre cammina lungo un corridoio di legno. I due curatori della mostra, Carlos Basualdo e Caroline Bourgeois, si sono concentrati su tre aspetti fondamentali del lavoro di Nauman: lo studio d’artista come spazio di creazione, l’uso performativo del corpo e la sperimentazione sonora. Il tutto viene illustrato attraverso opere realizzate nell’ultimo decennio, ma contestualizzate con una serie di lavori storici. Il visitatore viene così letteralmente catapultato nel mondo di Nauman, nella sua creatività, nel suo studio, attraverso l’utilizzo di suoni, video e dalla tecnologia 3D, partecipando all’atto performativo e finendo per perdere ogni riferimento spazio-temporale. Luigi Crea 26
The title of the exhibition at Punta della Dogana – Contrapposto Studies – refers to the memorable pose of ancient Greek sculptures after Polykleitos, later turned into canon. This peculiar pose, also called chiasm, was developed in Greece in the fifth century BC. The human figure is shown standing, with engaged (or active) and free (or relaxed) limbs opposing one another in an X-shape. The resulting effect is a kind of visual dynamism that contrasts greatly the rigidity of earlier art. The study of body mechanics and its language are essential themes in Bruce Nauman’s art, which we will see at Punta della Dogana thanks a to video installations that began in 1968 with Walk with Contrapposto, where the artist tries to keep counterpoise as he walks. The two curators of the exhibition, Carlos Basualdo and Caroline Bourgeois, focused on three aspects of Nauman’s work: the study of the artist as a space for creation, the performative use of the body, and experimentation with sound.
Lo spazio, l’iconico auditorium di Tadao Ando a fianco di Palazzo Grassi, rivisitato in chiave sperimentale e aperto all’azione artistica, ha dimostrato la sua perfetta aderenza al progetto GESTUS, diventandone di fatto protagonista assoluto. Il Teatrino di Palazzo Grassi infatti ha scardinato la tradizionale relazione tra dispositivo espositivo e pubblico, offrendo agli artisti uno spazio in continua evoluzione animato da opere video, installazioni, performance. Scommessa vinta da Video Sound Art, curatori del progetto di Palazzo Grassi – Punta della Dogana GESTUS, che dopo il I Atto inaugurale consumatosi con successo tra ottobre e novembre, sono ora pronti per il II Atto, dal 1 dicembre al 15 gennaio, dal titolo Il montaggio delle azioni. In scena le opere di Ludovica Carbotta e Driant Zeneli e le performance di Ludovica Carbotta con Benedetta Barzini sul processo creativo (1 dicembre), di Annamaria Ajmone sul tema della corporeità (4 dicembre) e di Driant Zeneli, insieme a un gruppo di bambini con musiche di Giorgio Distante, sul concetto di spazialità (15 gennaio). In questa seconda parte, gli artisti sondano nuove possibilità di stare al mondo e osservano, al di là delle apparenze, le strutture profonde che governano i comportamenti umani. Le opere riflettono sull’esplorazione fisica dello spazio urbano, propongono modelli di città utopiche. L’utopia diventa così uno strumento per ‘aprire’ il corpo verso nuovi mondi e concezioni possibili, recuperando il ruolo dell’immaginazione come valore di costruzione della conoscenza. M.M.
Bruce Nauman: Contrapposto Studies Fino 27 novembre 2022 Punta della Dogana, Dorsoduro 2 www.palazzograssi.it
GESTUS. II Atto 1 dicembre-15 gennaio 2022 Teatrino di Palazzo Grassi, San Marco 3260 www.palazzograssi.it
The Shape of X
ENG
Alice: Per quanto tempo è per sempre? Bianconiglio: A volte, solo un secondo
IDENTITÀ PARALLELE
Nel Paese delle Meraviglie Fondation Valmont, un’immersione tra fiaba e realtà Si narra che l’idea de Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie (Alice’s Adventures in Wonderland, 1865) venne a Lewis Carroll durante una gita in barca nei pressi di Oxford, in Gran Bretagna, insieme a tre bambine: Lorina, Edith e Alice, che avrebbe ispirato il racconto. Come intestazione della prima copia del libro, Carroll infatti scrisse: «Come regalo di Natale a una cara bambina in memoria di un giorno d’estate». Pronti per le imminenti festività natalizie, dove i tempi e i modi assumono la dimensione temporale delle favole, consigliamo caldamente di regalare e regalarsi la lettura del famoso libro e di lasciarsi “sprofondare” nel mondo fantastico e bizzarro di Alice solo in apparenza per bambini, in realtà una fiaba a specchio dalle infinite sfaccettature, il cui immaginario travalica le epoche, senza tempo o meglio, assolutamente contemporanea. Un viaggio iniziatico che fa proprie le tematiche della ricerca dell’io, dell’attraversamento dell’inconscio e della forza del sogno. Intuizione colta dai curatori Francesca Giubilei e Luca Berta che per Fondation Valmont hanno rivisitato la fiaba di Carroll attraverso il linguaggio dell’arte, dando origine a un nuovo racconto (o un racconto rinnovato): Alice in Doomedland. Il risultato è una mostra, visitabile fino al 27 febbraio 2022 a Palazzo Bonvicini, che offre uno sguardo senza compromessi sul mondo di oggi: Didier Guillon, la coppia di artisti Isao e Stephanie Blake e Silvano Rubino hanno creato ognuno un’installazione sitespecific di grande impatto, convergendo poi in un grande lavoro collettivo. Al termine di una lunga e fruttuosa maturazione, ogni processo artistico ha trovato il modo di esprimersi nella sua singolarità, rimandando al tempo stesso anche al lavoro degli altri. Le varie installazioni dal carattere effimero comunicano tra loro, il percorso è pensato come un’esperienza immersiva, ottenuta grazie a opere che stimolano esperienze plurime e uniche al tempo stesso, in grado di andare oltre le differenze generazionali o individuali. Gli artisti sono interpreti che ci permettono di capire e penetrare il modo in cui Alice parla a noi, così come ha parlato loro. Seguendo il Bianconiglio, siamo invitati dagli artisti a perderci e ritrovarci nel Paese delle Meraviglie. Il filo rosso di Alice in Doomedland è, quindi, quello dell’immersione totale nell’arte che illumina la contemporaneità anziché condannarla. «Ma allora – disse Alice – se il mondo non ha assolutamente alcun senso, chi ci impedisce di inventarne uno?». Alice in Doomedland Fino 27 febbraio 2022 Fondation Valmont, Palazzo Bonvicini, Santa Croce 2161/A fondationvalmont.com
Due bellissime mostre distinte e parallele, due grandi designer dalla forte personalità, diversissimi per formazione e esiti formali, ma accomunati dalla forte tensione verso la sperimentazione. Le Stanze del Vetro con Marino Barovier celebrano i 100 anni di Venini offrendo un originale confronto che racconta attraverso 200 opere le esperienze muranesi di Tapio Wirkkala e Toni Zuccheri presenti in fornace Venini nella seconda metà degli anni Sessanta. Forte di un’esperienza nel mondo del vetro nordico presso la manifattura Iittala, Tapio Wirkkala esordì alla Biennale di Venezia nel 1966 presentando la sintesi compiuta tra la sua cultura e le tipiche lavorazioni muranesi. Iconici i suoi manufatti policromi in vetro trasparente affiancando cromie diverse, in prevalenza dai toni freddi, ma anche con note vivaci. La sperimentazione sulla materia vitrea e sui processi di lavorazione sono le note distintive di Toni Zuccheri che, ancora studente di architettura, giunse alla Venini chiamato per dar forma a un bestiario in vetro policromo, presentato alla Biennale del 1964. La sua attenzione si concentra anche sulle possibilità della trasparenza e parallelamente su colorazioni intense, declinate su forme dalla linea organica. Percorrendo le due mostre appare evidente come le opere di Wirkkala e Zuccheri abbiano segnato, pur seguendo due strade distinte, la svolta definitiva della produzione del vetro di Murano, traghettandola nella contemporaneità. Tapio Wirkkala e Toni Zuccheri alla Venini Fino 13 marzo 2022 Le Stanze del Vetro, Isola di San Giorgio Maggiore www.lestanzedelvetro.org
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arte
IN THE CITY PHOTOGRAPHY
Bianco infinito Scarpa e Canova nelle fotografie di Alessandra Chemollo
© Alessandra Chemollo
Quattro sono i protagonisti di questa storia: Canova, Carlo Scarpa, la Gipsoteca di Possagno e la Fondazione Querini Stampalia a Venezia. A raccontarla attraverso cinquanta immagini assolute è la fotografa Alessandra Chemollo, la cui ricerca si è sempre sviluppata attraverso la rappresentazione dell’opera architettonica. Nell’estate del 2016 Alessandra realizza un reportage a Possagno per la pubblicazione del volume Carlo Scarpa. La Gypsotheca Canoviana di Possagno (testi di Gianluca Frediani e Susanna Pasquali, Mondadori Electa, 2016), che ora viene presentato in forma di mostra dal titolo emblematico in luce, a cura di Maddalena Scimemi, ospitata dal 4 dicembre nell’Area Carlo Scarpa della Fondazione Querini Stampalia. Tratto distintivo di Antonio Canova fu il suo imparare dai grandi maestri, i mitici scultori dell’antica Grecia, facendo rivivere le forme e la bellezza del mondo classico attraverso un nuovo linguaggio moderno, interpretando la lezione secondo il gusto dell’epoca, per arrivare agli esiti sublimi del candore neoclassico. Carlo Scarpa fu anch’esso interprete di differenti maestri e culture sapendo catturare la loro essenza, traducendola in spazio moderno attraversato dalla luce. Nel 1926 concluse i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove da due anni era stato avviato il primo biennio della Scuola Superiore di Architettura. Gli anni trascorsi all’Accademia lasciarono un’eco costante nella sua opera, percepibile, in particolare, nel lavoro da lui svolto dal 1940 per la sistemazione delle Gallerie dell’Accademia a Venezia e soprattutto nel progetto della Gypsotheca di Possagno, omaggio a Canova e alla sua bellezza immortale. «Tesa fra suolo e cielo, la Gypsotheca ci rivela in ogni sua parte la crescente tensione emozionale che spinge Scarpa a tessere, da un lato, le sottili fila di una rete di connessioni visive che raggiunge la linea d’orizzonte e, dall’altro, scandagliare la materia alla scala del dettaglio costruttivo al vero […]. Nella disposizione delle figure nelle sale, Scarpa distende un sistema ampio di relazioni che, propagandandosi dai morbidi movimenti dei corpi, si allarga allo spazio intero e si espande, 28
infine, verso il paesaggio lontano» (Gianluca Frediani). Il museo della Fondazione Querini Stampalia custodisce, tra gli altri, due incredibili tesori: un bozzetto in creta di Antonio Canova, realizzato per una statua di Letizia Ramolino Bonaparte, regalato da Giovanni Battista Sartori, fratellastro dell’artista, nel 1857 al fondatore, il conte Giovanni Querini; la magnifica Area Scarpa, un misurato accostamento di elementi nuovi e antichi che crea un paesaggio architettonico senza tempo reso perfetto dall’uso di materiali diversi e non consueti, giustapposti tra loro. in luce. Fotografie di Alessandra Chemollo nella Gypsotheca di Possagno è la sintesi visiva tra questi quattro protagonisti: le fotografie immortalano sospendendolo lo spazio fluido creato da Scarpa per le sculture di Canova, spiega la curatrice, Maddalena Scimemi: Alessandra «ha la sfrontatezza di appoggiarsi – così sembra – alle opere esposte. Le sue fotografie traducono in due dimensioni l’incantesimo di luce naturale creato da Scarpa, variando posizione e ampiezza dei lucernari, alla stregua di moderne meridiane: un gioco serissimo, che impone l’ombra ad alcune, mentre dispensa ad altre lunghi raggi di luce, quasi a segnare il tempo dell’arte. Ma non è solo questo. Alessandra, sapientemente, fa recitare a Canova il ruolo di protagonista. L’invito a ritagliare quelli che Scarpa chiamava i “pezzi del cielo”, ovvero le vetrate prismatiche nella sala alta, viene accolto includendovi il gioco delicato delle mani di Amore e Psiche, mentre il cubo azzurro cerca umanità nella gravitas del monumento a George Washington, spostando l’obbiettivo come se l’osservatore fosse in ginocchio ai suoi piedi [...]». Al contempo, nel passaggio dalle immagini esposte allo spazio che le ospita (Area Scarpa), si crea un doppio scarto visivo, una metafisica dimensione spazio-temporale. M.M. in luce. Fotografie di Alessandra Chemollo nella Gypsotheca di Possagno 4 dicembre-27 marzo 2022 Fondazione Querini Stampalia www.querinistampalia.org
LA SOSTANZA DEI GESTI
© Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York)
Megafono artistico Collezione Guggenheim in quattro episodi Aprite bene le orecchie perché un gruppo di giovani appassionati d’arte ha qualcosa da dire. Le loro voci risuonano nel progetto intitolato Gen Z Art Storiez: una miniserie composta da quattro episodi unici, caratterizzati da un’autentica spontaneità, ognuno dedicato a un’opera diversa appartenente alla Collezione Peggy Guggenheim. Paesaggio con macchie rosse n.2 di Vasily Kandinsky, L’impero della luce di René Magritte, La pastorella delle sfingi di Leonor Fini, e Dinamismo di un cavallo in corsa + case di Umberto Boccioni, sono raccontate dai ragazzi, tutti di età compresa tra i 17 e i 24 anni. Grazie alla collaborazione tra Collezione Peggy Guggenheim, ARTE.it e Lavazza, questo progetto è diventato realtà. Francesca Lavazza lo ha perfettamente definito un “megafono artistico” e in effetti il messaggio viene rivolto sia ai coetanei che a tutto il resto del pubblico. Un dialogo reale e diretto con la generazione Z, che intende diffondere interpretazioni artistiche del tutto nuove, letture di opere compiute attraverso sguardi contemporanei. Questa squadra di amici curiosi, affiancata da alcuni esperti, restituisce una visione dominata dall’interdisciplinarità tra le varie arti e da un’inevitabile influenza reciproca. Si ottiene così un tripudio di varie forme di espressione, una sorta di fluida continuità tra i loro personali interessi e il senso delle opere. Nel primo video realizzato da Lorenzo Senni, compositore e artista multidisciplinare, viene affiancata l’arte di Kandinsky alla musica elettronica, mentre nel secondo, il fotografo pugliese Piero Percoco davanti all’opera di Magritte mette in evidenza l’importanza della contemplazione dei particolari nascosti, tuttavia presenti in tutto ciò che vediamo. Fa scoprire dimensioni surreali dentro al reale, avvicinando tra loro alcuni elementi che non c’entrano concettualmente l’uno con l’altro. La scrittrice e attivista Carlotta Vagnoli, servendosi dell’opera di Leonor Fini, tratta temi attualissimi come, ad esempio, la parità di genere o l’emancipazione del ruolo della donna oltre gli stereotipi di genere. Infine, il fotografo Matteo Marchi relaziona il suo concetto di libertà con la dinamicità futuristica dell’opera di Boccioni. Silvia Gobbo Gen Z Art Storiez Peggy Guggenheim Collection #GenZArtStoriez #IcanChangeTheWorld www.guggenheim-venice.it
Trentasei stampe in bianco e nero, tutte dedicate al progetto ispirato al poeta cinquecentesco Pietro Aretino, sono state donate dal fotografo Gianni Berengo Gardin alla Fondazione di Venezia, andando così a costituire un nucleo tra i più significativi dell’importante collezione fotografica dell’istituzione, che include il Fondo De Maria e il Fondo Zannier. Il Fondo De Maria comprende 230 stampe all’albumina e 11 stampe fotografiche cianotipiche realizzate da Mario De Maria, 4.500 stampe ricomprese nella sezione contemporanea, 1.500 fogli provino a contatto, negativi fotografici e diapositive, insieme a migliaia di scatti della vita pubblica e privata di Adele, vedova del figlio di Mario De Maria, Astolfo, insieme al secondo marito, il regista Giulio Macchi. Il Fondo acquisito da Italo Zannier consta di 1.700 scatti realizzati fra l’Ottocento e i giorni nostri con tutte le tecniche fotografiche, oltre a una biblioteca specializzata con circa 12.000 opere, un vero e proprio archivio “di lavoro” costituito da Zannier durante cinquant’anni di attività come primo docente di Storia della fotografia in Italia. Le nuove opere donate alla Fondazione di Venezia dal fotoreporter italiano di Santa Margherita Ligure, classe 1930, sono parte delle fotografie realizzate da Berengo Gardin per la raccolta La più gioconda veduta del mondo. Venezia da una finestra, edita nel 2018 da Contrasto. Attraverso queste immagini Berengo Gardin racconta frammenti di vita quotidiana colti dalla stessa finestra, fra la Pescheria, il Ponte di Rialto e il Fontego dei Tedeschi, da cui Pietro Arentino negli anni Trenta del XVI secolo aveva osservato celebrazioni e attività della vita veneziana: istantanee di regate storiche e scorci di maestosi palazzi, di antiche professioni e ritrovi conviviali, scatti «rivestiti a nuovo, pur conservando i medesimi tratti nella sostanza dei gesti e delle relazioni». Daniela Paties Montagner www.fondazionedivenezia.org
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arte GALLERIES
Atto magico
Birdman, il segno di Venezia Venezia riesce sempre a stupire, anche con la sua socialità talvolta sapientemente informale e colta, capace di mettere insieme con naturalezza menti brillanti e persone comuni. Esistono occasioni a cui si prende parte inizialmente quasi solo per “educazione”, salvo poi rimanere fortemente colpiti da come la serata possa diventare un amalgama interessante di pensieri suscitati da persone illuminate. Invitato a San Isepo, vicino ai Giardini di Biennale, nella Galleria Castello 780, uno spazio d’arte che “respira tra l’acqua, la fondamenta e il cielo”, per vedere un lavoro di Marco Agostinelli – Birdman –, la prima cosa che mi ha colpito profondamente è stata la forza estetica della Galleria, un piccolo contenitore le cui vetrine si aprono al flusso dell’arte che promana soprattutto in quella parte della città. Le persone sono in grado di segnare i luoghi, rendendoli più o meno confortevoli e capaci di suggestionare. A questo proposito, va detto che l’ombra, all’apparenza un po’ inquietante, della creatura di Agostinelli, si staglia in modo elegante nell’aula in cui è posta, aperta a uno sguardo a tutto tondo, in cui poter interagire con questo soggetto misterioso, frutto di una ricerca attenta e di un’idea positiva su Venezia. Ascoltando il fluire delle parole di Annamaria Orsini, curatrice, donna raffinatissima e immaginifica, col potere raro di saper evocare percorsi leggendari tra memorie, conoscenze e suggestioni, si comprende meglio il significato del lavoro di Agostinelli: «Birdman, come una divinità antropomorfica in un antro sacro, è solo insieme ai quattro libri che sono codici sia del sapere esperienziale che sapienziale. Essi racchiudono “frattaliche” pagine di carta intonacata di bianco nelle quali frammenti di natura offesa e lacerata palpitano ancora di vita. Creati dall’artista, proprio per questa occasione, sono spartiti musicali del canto occulto che l’universo incessantemente compone per difendere le diversità del creato […]. In un momento storico come quello attuale, che vede la distruzione delle millenarie sculture dei Buddha di Bamiyan o delle statue dell’antica Ninive, oggi Mosul, un artista indomito come Marco Agostinelli, seguendo il proprio daimon, il proprio demone interiore, mette in cantiere già dal 2014 la fabbrica-artigiana di Birdman and The New Generation […]. Agostinelli il regista, l’artista video, il pittore, 30
© MaurizioPhotoRossi
l’artigiano, lo scultore, sorvola Venezia sulle ali di un grande uccello: Birdman. Alto più di tre metri, questo monumentale rapace ha ali spalancate protese verso il volo, una lunghissima coda e sguardo minaccioso. È nero come la pece, è nero come i resti di legni di gondola con i quali è creato. È terribile come tutto ciò che è divino; è divino come tutto ciò che è terribile. Da archeologo Agostinelli scava nel mito di un’isola lontana evocando la figura dell’Uomo Uccello (Tangata Manu), il leggendario guerriero dell’isola di Pasqua, il quale per ricevere dal Gran Sacerdote il potere assoluto e governare per un solo anno, doveva sottoporsi a una prova sovrumana. Ogni evocazione è un atto costruttivo e ri-scrittivo, così Agostinelli, patendo per le sorti future di Venezia, il cui fragile equilibrio è messo a rischio da insane politiche di sfruttamento, compie un atto magico che implica una ri-nascita. Nel suo “Magazen dell’Arte” di fronte allo squero di San Trovaso, raccoglie e accoglie tutti i legni, i fasciami, le vernici, i chiodi che i maestri d’ascia dello squero eliminano e abbandonano. Accumula rottami. E, assemblando scarti, ritrova nel passato della tradizione, nella difesa della natura, nella spiritualità, una via di scampo che ci indica come salvezza futura. Esegue, come uno sciamano, un rito salvifico: trasforma il relitto in reliquia e, nel ri-costruire, ri-sana... Ogni singolo legno di questa scultura è inciso da segni, onde, grafismi che sembrano popolarla, ma anche ferirla per renderla viva. Cicatrici o grafemi di un alfabeto dimenticato, ma non per questo perduto, conservano la memoria del canto delle acque della Laguna, il brivido del vento, l’aggressione del sale, la carezza delle onde, l’urlo del guerriero... le mille voci di quegli UOMINI NUOVI che l’artista invoca come portatori di un nuovo senso dell’umano e che costituiscono The New Generation di ogni tempo e di ogni civiltà». Fabio Marzari
A volo d’uccello Intervista a Marco Agostinelli Birdman, la sua scultura, sembra animarsi come la stessa Venezia, sapendo trarre energia anche da quello che all’apparenza può sembrare scarto. Chi è questo guerriero, come nasce e soprattutto come si relaziona nel percorso artistico del suo creatore? Credo di aver fatto sempre Birdman, mi spiego: tutto il mio lavoro da sempre si è mosso attorno alla denuncia e al tentativo di anticipare i tempi. Ho la pretesa che ogni mio progetto porti un messaggio importante, quanto meno per me. Ci sono alcuni miei video-arte dei primi anni duemila, dove l’eventuale “eroe” era rappresentato semplicemente da dei “passi” in primo piano, ripetuti e lenti, in un incendio, in uno scenario di guerra e di devastante massacro. Questo era Nato del 2001. Oppure ancora prima, nel 1995 con i Costruttori, dove gli eroi erano gli scalpellini, gli “ultimi bisonti”, come li chiamava il mio caro amico Giò Pomodoro. Birdman è anche figlio dei miei tanti amici artisti e scultori. Ho avuto tanti grandi maestri nella mia vita. Quindi quando nel 2015 ho iniziato a fare Birdman and the New Generation allo Squero di San Trovaso non mi sono sorpreso, era di nuovo nell’aria. L’approccio a un progetto mi è sempre chiaro, mai quanto durerà nel tempo e Birdman è stato un lavoro in fieri per sei anni. Molto belli. In compagnia dei cari maestri d’ascia dello Squero. L’ho raccontato mille volte ed è scritto molto meglio nelle varie pubblicazioni: l’ispirazione di tutto viene dal mito dell’Uomo Uccello dell’isola di Pasqua. Dal suo tuffo salvifico. Dal suo coraggio per cercare di salvare una società ormai al degrado. Allora mi sono detto: nascerà a Venezia il nuovo Uomo Uccello. Nascerà in primo luogo per Venezia, a sua difesa. Ma Birdman è anche denuncia. Quei legni di gondola, che prima di diventare Birdman erano stati maneggiati da mani di sapienti artigiani, rimasti ormai pochissimi a Venezia, non si potevano più buttare, sarebbero diventati Birdman. Perché un sapere millenario sta andando alla deriva con una velocità allarmante e rischiamo di perderlo una volta per sempre. Birdman è tutto questo. È l’accumulo di tantissimo “materiale”. Quando poi c’è tutta la famiglia, la New Generation intendo, allora diventa anche tanta memoria, oggetti/scultura, disegno, digitale e anche oltre. L’ho sperimentato tante volte, un mondo che invertendo i due sistemi delle grandi multinazionali, ad esempio, mi lasciasse addirittura creare un quadro di ricamo splendido in movimento, l’ho fatto sia in Metropolis, che in Cuore di Cane, che in TeleVisionCross. Quando il video ha saputo diventare anche tagliente lamiera o delicatissima seta. Quali vite attendono Birdman dopo Venezia? Per i propri figli ci si augura sempre il meglio. La sua storia: nel 2015, durante la Biennale, è stato esposto qualche mese proprio allo Squero, era in fondo allo scalo, dove arriva l’acqua del canale. Era ancora un passerotto. Nel 2017, lui con tutta la famiglia sono stati per tutta la Biennale alle ex lavanderie del Collegio degli Armeni, Palazzo Zenobio. Era già un po’ cresciuto. Nel 2019, sempre per la Biennale, era stato collocato invece all’aperto, in un suggestivo anfratto del giardino dello Spazio Thetis all’Arsenale Novissimo. Aveva quasi le dimensioni attuali. La pandemia l’ha passata tutta nello splendido androne di Palazzo Contarini Polignac, fino a prendersi la scena poco tempo fa della Galleria Castello 780 in un altro ricongiungimento/avvicinamento con la New Generation che si trova appunto alla Galleria Castello 925, pochi passi una dall’altra.
Venezia mi ha preso nel 2008 e non mi ha mai più lasciato. È successo così naturalmente che potrebbe sembrare qualcosa di predestinato Passages... in tutti questi passaggi mi sono stati molto vicino Roberta Semeraro e Annamaria Orsini, critiche d’arte, Emanuel Pimenta, il mio grande compagno di viaggio musicale, Luciana Moniz Freire, Ettore Cammarata, Orseola Barozzi e Luca Caldironi, che completano la squadra. Si aggiunge adesso ufficialmente anche Mariastella Margozzi, direttrice del Museo di Castel Sant’Angelo a Roma, prossimo volo di Birdman. Castel Sant’Angelo fu costruito dall’imperatore Adriano per essere il suo sepolcro e quello della di lui discendenza. Adriano era molto colto e appassionato ammiratore della cultura greca, viaggiò tantissimo per tutto l’impero valorizzando le province e cercando di creare una nuova civiltà. Birdman, quindi, renderà omaggio al grande imperatore e lo veglierà non lontano dalla sua tomba a partire dalla prossima primavera per un po’ di mesi. Vorrei che Birdman, infine, quando tornerà a Venezia, possa trovare un luogo espositivo permanente a difesa della laguna e delle tradizioni e come monito per le “nuove generazioni”. Quando e come è scoppiato in lei il “sacro fuoco per l’arte”? Ci racconti la sua vita artistica prima di Birdman. Questa è la risposta più difficile, almeno quella relativa al primo interrogativo. Ma aggiro spudoratamente la domanda e vado subito al sodo: credo d’avercelo nel sangue, da sempre! Prima di Birdman c’è una lunga carriera di più di trent’anni nell’arte; fatta di moltissimi film documentari: quasi 150. Un po’ di premi importanti in questo campo. La National Gallery di Washington dedicandomi una rassegna la intitolò: The Art of Filming Art. Tantissime soddisfazioni nei festival e nelle installazioni anche con la mia videoarte. Poi, tanta scultura a partire soprattutto dai primi anni Duemila. Molte mostre, principalmente in luoghi istituzionali. Poche gallerie. A Venezia prima di Birdman avevo fatto un’antologica al piano nobile di Palazzo Zenobio nel 2008, poi il Padiglione Italia della Biennale del 2011, una partecipazione alla bellissima mostra La Divina Marchesa a Palazzo Fortuny nel 2014. Dal 2015 in poi, ne abbiamo già ampiamente parlato. Venezia è la casa scelta dall’artista Marco Agostinelli per vivere. Come la città è entrata nel suo quotidiano e quali visioni ha potuto e può trarre da questo luogo unico? Questa risposta invece è facile! Venezia mi ha preso nel 2008 e non mi ha mai più lasciato. È successo così naturalmente che potrebbe sembrare qualcosa di predestinato. Vengo per una mostra e non parto più. “Questo luogo unico” purtroppo fatica ultimamente a riconoscersi, a mantenere una sua propria e vera identità. Forse sono rimasto anche per questo, per essere attivo con il mio lavoro per la città, per essere parte del meraviglioso scrigno che è Venezia, per partecipare insieme. I Bisonti Residenti? Marco Agostinelli. Birdman and the New Generation Fondamenta San Giuseppe, Castello 780 e Castello 925 www.castello925.com/castello-780
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The doors of a unique and successful edition of Time Space Existence exhibition are now closed The European Cultural Centre looks forward to welcoming you back to its venues in 2022 for its upcoming Personal Structures art biennial and many exciting events In the meantime: → Explore the virtual tours www.timespaceexistence.com → Watch our Youtube channel European Cultural Centre Italy → Stay tuned on orr socials fb @europeanculturalcentre & ig @ECC_italy
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www.timespaceexistence.com www.ecc-italy.eu
arte
VENICE TIME CASE
GALLERIES
MARIGNANA ARTE SERENA FINESCHI Sacro e Profano Fino 19 marzo 2022
A plus A GALLERY KATE DUNN Il Tabernacolo Benvenuti a Pharmakon Fino 22 gennaio 2022
GIUSEPPE ADAMO, LORENZA BOISI, ANNA CAPOLUPO, ADELAIDE CIONI, GIOVANNI COPELLI, LUISA ME’, GIULIO MALINVERNI, ALESSANDRO PESSOLI, ALESSANDRO SCARABELLO, CATERINA SILVA Pittura, pittura, pittura “Sacro” e “profano” sono due parole che caratterizzano, nell’esperienza di Serena Fineschi, il rapporto con la pittura: rispetto sacrale e rottura dei canoni tradizionali. La mostra si compone di due percorsi distinti ma connessi: Sacro e Profano, una personale di Fineschi nel main space della galleria, in cui l’artista conduce una riflessione sulla pittura dal Trecento a oggi, e Pittura, pittura, pittura, una collettiva nella Project room, con un invito rivolto dalla stessa artista ad alcuni colleghi che operano nel panorama pittorico italiano contemporaneo. L’intento di Fineschi, come lei stessa dichiara, è quello di «insultare e consacrare, profanare e benedire, turbare e rassicurare. Subire»; tentativi in un percorso volto a valicare la sua personale definizione di pittura. L’uso dello strumento tradizionale per questo mezzo espressivo tuttavia non viene negato, anzi. Nella Project room l’artista sceglie proprio la pittura viva, cruda, attraverso una sua selezione di artisti di generazioni diverse che cercano – con linguaggi eterogenei e con impegno costante – di innovare il linguaggio pittorico e alimentarne il dibattito. Questa scelta non comporta alcuna presunzione di curatela da parte dell’artista, ma semplicemente una riflessione e una visione aperta su questo linguaggio. Una sosta pittorica, una pausa dal gigantismo.
Prima personale in Italia dell’artista britannica Kate Dunn, realizzata grazie alla collaborazione con la galleria TJ Boulting di Londra. Il Tabernacolo (santuario e tenda trasportabile, luogo di comunità ma anche di conflitti) invita a un viaggio itinerante e senza meta tra installazioni pittoriche multisensoriali, esperite attraverso l’ottica del pharmakon della musica gabber, derivazione dalla techno hardcore, caratterizzata da un suono inesorabilmente veloce, forte, distorto che crea un ambiente in cui il pubblico diventa un unico corpo collettivo. Facendo riferimento alla pala d’altare, Kate Dunn usa l’arco gotico come struttura in cui sperimentare il gesto figurativo reso utilizzando dei pigmenti che reagiscono ai raggi UV, propri anche della cultura rave. I dipinti così esistono in tre diversi stadi durante l’installazione: con la luce abituale della galleria, con quella UV e infine nell’oscurità. «Mi intrigava l’idea di queste opere che ci conducono dal giorno alla notte, soprattutto perché sono essenzialmente costruite attorno a quel vuoto inaspettato e spalancato che il lockdown ha creato in me, un vuoto che prende la forma di un party. Ascoltando musica gabber nella mia stanza e durante le mie passeggiate, mi ritrovavo immediatamente in una stanza buia, con corpi sudati che mi circondavano. Mentre approfondivo ulteriormente la mia ricerca, ho scoperto il termine “effervescenza collettiva”, che descrive come spazi comuni quali chiese, manifestazioni e rave intensificano la nostra esperienza di unione al punto da elettrizzare questa situazione semi religiosa».
Galleria Marignana Arte Rio Terà dei Catecumeni, Dorsoduro 141 www.marignanaarte.it
A plus A Gallery Calle Malipiero, San Marco 3073 aplusa.it
Fino 15 gennaio 2022
«In un’intervista per un mensile d’arte mi chiesero cosa avrei desiderato si indagasse nel campo dell’arte contemporanea in Italia. Risposi che il desiderio più forte in un momento così complesso come quello appena trascorso era quello di sviluppare curiosità, guardare a luoghi nascosti dove l’arte stava nascendo e dove non vi era l’elettricità scontata dei riflettori. Per me quel luogo è Venezia, con Mestre e soprattutto Marghera incluse; gli artisti giovani che vi lavorano dipingono, resistono e, in modo anfibio tra laguna e terraferma, vivono». (Luca Massimo Barbero) Cinque valigie Fly Case in viaggio per l’Europa, cinquanta opere, cinquanta artisti contemporanei emergenti da Venezia e dalla sua terraferma: nasce così VENICE TIME CASE, un progetto artistico in viaggio, ideato e curato da Luca Massimo Barbero, che ha inaugurato la prima tappa a Milano a novembre e proseguirà attraverso l’Europa per culminare con l’acquisizione delle opere da parte di un museo d’arte contemporanea. Gli artisti selezionati, legati per la maggior parte all’Accademia di Belle Arti di Venezia, sono stati invitati a creare un dipinto ciascuno: una visione da rinchiudere come in gabbia, o da proteggere come un oggetto delicato, in una delle cinque valigie realizzate appositamente per l’occasione da Apice. Le opere, tutte dello stesso formato, realizzate sullo stesso supporto ed esposte per la prima volta in formato fisico, si relazionano in modo simbiotico con il formato Instagram, dove il progetto ha avuto origine. Libero da scelte commerciali e da fini di lucro poiché finalizzato a garantire visibilità itinerante e internazionale agli artisti partecipanti, VENICE TIME CASE è un ‘luogo’ contemporaneo in movimento. www.instagram.com/venicetimecase
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With the patronage of
Palazzo Franchetti Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti
Promoter
Campo Santo Stefano
Venice October 16, 2021 March 13, 2022 34
arte
BIENNALE ARTE 2022
PREVIEW
a cura di Marisa Santin
La mostra guarda ad artiste ed artisti non come coloro che ci rivelano chi siamo, ma piuttosto come coloro che sanno assorbire le inquietudini e le preoccupazioni di questi tempi per mostrarci chi e che cosa possiamo diventare Cecilia Alemani MARCO FUSINATO / PADIGLIONE AUSTRALIA Artista australiano fra i più influenti, Marco Fusinato (Melbourne, 1965) esplora il confine tra arte, composizione musicale e performance, indagando la dimensione della sperimentazione sonora connessa alla ricerca visiva. I suoi lavori sono incentrati sull’intensità estetica di un gesto o di un evento, con lo scopo di destabilizzare e mettere a nudo la forma intrinseca delle convenzioni. Nel 2013 ha partecipato a Soundings: A Contemporary Score, la prima mostra del MoMA interamente dedicata a opere sonore. Nel 2015 ha preso parte alla Biennale di Venezia All the Word’s Futures, curata da Okwui Enwezor.
KRISTINA NORMAN, BITA RAZAVI / PADIGLIONE ESTONIA Con il progetto olandese affidato all’artista Melanie Bonajo e insediato nella Chiesetta della Misericordia a Cannaregio, il Fondo Mondrian ha affidato all’Estonia gli spazi liberi del Padiglione Rietveld ai Giardini per l’edizione 2022. Traendo ispirazione dagli acquerelli di piante tropicali realizzati nel secolo scorso da Emily Rosaly Saal, durante i suoi viaggi nelle Indie Orientali, il progetto estone Orchidelirium: An Appetite for Abundance di Kristina Norman (1979) e Bita Razavi (1983) propone una visione multiforme della storia coloniale e delle sue problematiche.
SIMONE LEIGH / PADIGLIONE USA Simone Leigh (Chicago, 1967) rende omaggio a una lunga storia di collettività, comunanza e cura delle donne nere, mentre le sue grandi sculture espongono il corpo femminile a una rielaborazione attuata attraverso materiali e processi associati alle tradizioni artistiche della diaspora africana. La sua pratica scultorea fonde figurazione, astrazione e forme architettoniche, ponendo al centro della riflessione artistica la vita interiore delle donne di colore, cercando di colmare le lacune di quello che l’artista chiama un “archivio incompleto” del pensiero femminista nero.
ANISH KAPOOR / GALLERIE DELL’ACCADEMIA E PALAZZO MANFRIN Anish Kapoor (Mumbai, 1954; vive e lavora a Londra), uno degli artisti più influenti del panorama internazionale contemporaneo, presenterà un corpo inedito di dipinti e sculture fortemente innovative, create utilizzando la nanotecnologia del carbonio, accanto a una serie di opere che rappresentano i momenti chiave della carriera dell’artista. Parte del percorso espositivo sarà ospitato a Palazzo Manfrin. Attualmente in fase di ristrutturazione, l’edificio è stato scelto dall’artista quale futura sede della Anish Kapoor Foundation, che accoglierà una collezione permanente delle sue opere più importanti accanto a un programma di mostre temporanee.
DANH VŌ, ISAMU NOGUCHI, PARK SEO-BO / FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA Lo scultore statunitense Isamu Noguchi (1904–1988) introduce l’elemento naturale nei suoi progetti per spazi pubblici, ispirato dall’arte dell’ikebana e dai giardini giapponesi. Con la sua pittura prevalentemente monocromatica unita all’astrazione lineare Park Seo-bo (1931) ha contribuito a definire il movimento Dansaekhwa, essenziale all’interno del modernismo coreano. L’arte di Danh Vō (1975) esprime il legame tra gli oggetti e le strutture del potere globale. Tre diverse sensibilità artistiche unite in un unico grande progetto ideato dallo stesso Danh Võ insieme a Chiara Bertola, curatrice per l’arte contemporanea della Fondazione Querini Stampalia. 35
arte
NOT ONLY VENICE
Dialoghi aperti A cinquant’anni dalla scomparsa di Domenico Gnoli (Roma, 1933 – New York, 1970), Fondazione Prada offre uno sguardo d’insieme sul suo lavoro, un’ampia retrospettiva con più di 100 opere realizzate dall’artista dal 1949 al 1969. Pittore, scenografo e illustratore colto, profondo conoscitore della storia e delle tecniche della pittura, Gnoli è stato un artista di successo, apprezzato dalla critica in vita, e ancora di più negli anni successivi alla sua morte. Per anni il suo lavoro è stato interpretato in relazione alle diverse forme di realismo nate in contrapposizione alle pulsioni astrattiste e concettuali che hanno caratterizzato il Novecento. Il progetto, curatela concepita da Germano Celant, si basa su un’analisi scientifica e rigorosa delle fonti documentarie, realizzata grazie alla collaborazione con gli archivi dell’artista a Roma e Maiorca. Nella composizione dei dipinti l’artista, con tecnica pittorica precisa e materica, ricerca con rigore il dettaglio più appropriato perché il soggetto sia definito, anche se solo parzial-
Photo Roberto Marossi | Courtesy Fondazione Prada
mente rappresentato. Un approccio documentario e magico che mette sullo stesso piano tutte le cose, naturali e artificiali, e si realizza nella rappresentazione di elementi insignificanti e marginali nell’iconografia classica invertendone i valori: il basso e il secondario, l’accessorio e il trascurabile diventano protagonisti. Busti senza volto, ciocche di capelli, poltrone, scarpe e dettagli di vestiti e di oggetti appaiono sulle grandi tele in bilico tra realtà e rappresentazione. Nell’illustrazione, invece, l’artista allarga il suo sguardo:
Il mondo dentro di te Nella continua ricerca di rendere più intelligibile l’arte contemporanea attraverso percorsi molto articolati che richiedono una profonda conoscenza dell’artista, capita di imbattersi in quello che può essere considerato un tangibile esempio. Una mostra perfetta in cui contenuto e contenitore sembrano allineati e dove l’arte dal passato al futuro scorre fluida, senza cesure. Un progetto espositivo diffuso, ideato e curato da Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento di Firenze, in collaborazione con alcuni dei maggiori musei della città – Museo di Palazzo Vecchio, Museo dell’Opera del Duomo, Museo degli Innocenti e Museo di Casa Buonarroti – e sostenuta da Gagosian, che invita il pubblico a scoprire l’opera di Jenny Saville (7 maggio 1970, Cambridge), figura di primo piano nel panorama artistico internazionale. I dipinti e i disegni in mostra sono potenti e abbaglianti, travolgenti e impressionanti. La misura monumentale delle opere amplifica la ricerca incentrata sul corpo, sulla carne e su soggetti femminili nudi, mutilati o schiacciati 36
dal peso e dall’esistenza. L’artista trascende i limiti tra figurativo e astratto, tra informale e gestuale, riuscendo a trasfigurare la cronaca in un’immagine universale, un umanesimo contemporaneo che rimette al centro della storia dell’arte la figura, sia essa un corpo o un volto, per dare immagine alle forze che agiscono dentro e contro di noi. Jenny Saville si è lasciata alle spalle il postmoderno per ricostruire un serrato dialogo con la grande tradizione pittorica europea in costante confronto con il modernismo di Willem de Kooning e Cy Twombly e la ritrattistica di Pablo Picasso e Francis Bacon. Ci si trova così davanti a enormi dipinti che rappresentano e allo stesso tempo scavano sia l’immagine stessa che ogni singolo elemento che la compone. Materia e tecnica, immagine e contenuto, tutto vibra e trasmette il segreto intimo dell’arte, quello di essere dentro ognuno di noi. M.M. Jenny Saville Fino 20 febbraio 2022 Museo del Novecento, Firenze www.museonovecento.it
nella precisione del disegno le inquadrature si ampliano, gli spazi sono carichi di architetture, oggetti e figure. La mostra rivela la visione complessa di Domenico Gnoli, la sua realtà molteplice e il valore narrativo della sua opera, che nelle illustrazioni e nei disegni è loquace, fantastica e pubblica, mentre nella pittura è silenziosa, autentica e privata. Domenico Gnoli Fino 27 febbraio 2022 Fondazione Prada, Milano www.fondazioneprada.org
LA FABBRICA DEL RINASCIMENTO
Paradisi creativi L’utopia di Monte Verità in mostra a Firenze Se nel 1987 l’americana Belinda Carlisle cantava «we’ll make heaven a place on Earth», c’era già chi, a inizio Novecento, aveva creato un paradiso creativo in perfetta sintonia con la natura circostante sul monte Monescia, in Canton Ticino, ben presto ribattezzato “Monte Verità”. Sulle pendici asconesi affacciate sul Lago Maggiore la pianista Ida Hofmann, l’industriale Henri Oedenkoven e i fratelli Gräser fondarono una cooperativa vegetariana, poi sanatorio e casa di cura aperta ai visitatori, sull’onda della tedesca Lebensreform, una “riforma della vita” alla ricerca di un’alternativa rispetto alle pressanti derive capitaliste e comuniste del tempo. Un modello di vita comunitaria improntato sull’armonia con la madre Terra, un panismo totalizzante che attirò ben presto artisti, pensatori, filosofi e architetti da ogni dove. Monte Verità. Back to nature, a Firenze al Museo Novecento fino al 10 aprile 2022, a cura di Chiara Gatti, Nicoletta Mongini e Sergio Risaliti, è la prima retrospettiva italiana sulla celebre collina dell’utopia, ideata e prodotta in collaborazione con Fondazione Monte Verità. Due i momenti clou nella storia artistica di Monte Verità: l’arrivo nel 1913 del coreografo Rudolf von Laban, che vi fondò la sua Scuola, frequentata anche dalla ballerina Isadora Duncan, promotrice di una nuova danza libera che fece del muoversi nudi la sua cifra di riconoscimento (tanto da essere ironicamente ricordata dai contadini locali come balabiott, «danza nudo»); l’acquisto del Monte da parte dell’illuminato barone Eduard von der Heydt
nel 1926, che rese la colonia artistica una meta d’élite, commissionando a Emil Fahrenkamp la realizzazione di un hotel nello stile razionale del Bauhaus. Monte Verità divenne economicamente autosufficiente senza però perdere il fil rouge delle sue avanguardiste attività culturali, ancora oggi promosse dalla Fondazione omonima. A cavallo tra le due guerre mondiali soggiornarono ad Ascona: Hans Harp, Paul Klee, Carl Gustav Jung, Walter e Ise Gropius, che definì questo locus amoenus “il luogo dove la nostra fronte sfiora il cielo”, fino a Hermann Hesse, che decise poi di restare in Ticino, a Montagnola. In mostra testimonianze, oggetti, fotografie e opere d’arte celebrano la portata antesignana e sperimentale della celebre collina dell’utopia, focalizzandosi su un percorso tripartito: dalle origini filosofiche del Monte allo sviluppo della sua architettura, fino al clou con un focus dedicato all’arte della danza. Un omaggio alla ricerca di una vita alternativa, in cui uomo, arte e natura si potenziano a vicenda, che aveva affascinato pure Harald Szeemann, il quale nel 1978 dedicò a questo luogo rigoglioso la mostra itinerante Monte Verità. Le mammelle della verità. Una nicchia socioculturale assolutamente da riscoprire e da cui trarre ispirazione, che promuoveva all’unisono la sperimentazione artistica, la parità di genere e l’eco-firendly già più di un secolo fa. Federico Jonathan Cusin Monte Verità. Back to Nature Fino 10 aprile 2022 Museo Novecento, Piazza di Santa Maria Novella-Firenze www.museonovecento.it | www.monteverita.org/it
Alla metà del Cinquecento a Vicenza accade qualcosa di unico, per certi aspetti irripetibile. La città, forte di una ricchezza crescente, scommette sulla trasformazione della propria immagine di “luogo di provincia” attraverso l’arte e l’architettura d’avanguardia, diventando una vera capitale della cultura. È da queste premesse che prende avvio la Mostra, unica nel suo genere, che intrecciando capolavori assoluti di pittura, scultura e architettura, accostati a libri, tessuti, oggetti preziosi, arazzi, trasporta i visitatori indietro nel tempo, all’interno della sorprendente “fabbrica” del Rinascimento, raccontando trent’anni dell’eccezionale vita artistica di Vicenza, dal 1550 all’inaugurazione del teatro Olimpico nel 1585. 11 dicembre-18 aprile 2022 Basilica Palladiana-Vicenza www.mostreinbasilica.it
IL MITO DI VENEZIA
Il titolo è emblematico: un mito che da 1600 anni è l’essenza della bellezza. La Mostra raccoglie le opere e il talento straordinario di numerosi artisti operanti nella città lagunare nel corso dei primi decenni dell’Ottocento e capaci di influenzare con il loro insegnamento e i loro lavori, lo svolgersi della pittura veneziana. Settanta opere divise in otto sale, dal grande Francesco Hayez, attraverso una ricca selezione delle opere più importanti e spesso mai viste perché provenienti da prestigiose collezioni private, ai più noti artisti italiani della seconda metà dell’Ottocento, come Ippolito Caffi, Guglielmo Ciardi, Pietro Fragiacomo, Giacomo Favretto, Luigi Nono, Ettore Tito. Paesaggi, ambientazioni particolari, panorami di una Venezia inedita! Fino 13 marzo 2022 Castello Visconteo Sforzesco-Novara www.ilcastellodinovara.it
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An artistic spirit Setting the mood from evening until early morning with its avant-garde selection of art-inspired cocktails, Arts Bar celebrates the city’s artistic and cultural legacy with an outlook to the future. Discover its exquisite collection of serves from December 8th at the best address in Venice.
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arte
AMICI E COMPAGNI
NOT ONLY VENICE
quattro artiste, con opere site-specific, che hanno dovuto fare i conti in prima persona con la realtà di un Paese cui è stata rubata la storia e l’identità in nome di una folle politica di conquista che di fatto ha ottenuto il solo risultato di riportare, in una sorta di cinico monopoli della storia, tutto al punto di partenza. Il video di Mario Garcia Torres racconta il mito di Kabul negli anni ‘70 con quel che rimane dell’One Hotel, casa e studio di Alighiero Boetti, quando ancora la libertà non era una chimera.
Indagare piccoli ma fondamentali brani della cultura del Novecento è la missione culturale della Fondazione Centro Studi Ragghianti di Lucca, che proprio nell’autunno 2021 ha raggiunto i quarant’anni di attività. In particolare, la nuova mostra, a cura di Paolo Bolpagni, Daniela Fonti e Antonella Lavorgna, che apre il 17 dicembre, racconta la speciale amicizia che legava Carlo Ludovico Ragghianti (Lucca, 1910 – Firenze, 1987) al pittore, scrittore e uomo politico Carlo Levi (Torino, 1902 – Roma, 1975), amicizia che fu fondamentale per entrambi. A Firenze, durante l’occupazione nazista, i due condividono la comune militanza politica nella Resistenza. Non è però soltanto la politica – nelle file del Partito d’Azione – a unirli, ma anche l’intenso confronto sulle questioni dell’arte contemporanea e una condivisa sensibilità per il patrimonio artistico del Paese. L’interesse di Ragghianti nei riguardi di Levi pittore è da far risalire al 1936, quando lo inserisce nel suo articolo dedicato alla pittura italiana contemporanea; nel 1939 ne recensisce sulla rivista «La critica d’arte» la mostra a New York. Certamente il momento più forte della loro frequentazione avviene durante i giorni della formazione del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale e della direzione della «Nazione del Popolo», e quando Levi, subito dopo la liberazione di Firenze, diventa membro della Commissione per la ricostruzione del centro storico della città. Questo intensificarsi del loro rapporto si riflette anche nella condivisione del discorso artistico, tanto che la mostra personale di Levi alla Galleria dello Zodiaco di Roma nel 1946 è presentata proprio da Ragghianti; ed è sempre Ragghianti a proporre la prima storicizzazione della figura di Carlo Levi nel 1948, attraverso la pubblicazione di un “catalogo” dell’opera leviana, nel quale sono datati e repertoriati i dipinti realizzati dal 1923 al 1947. Negli anni successivi i due non mancano d’incontrarsi, a Roma o a Firenze, non appena le circostanze lo consentano. Si tratta quindi, per la Fondazione Ragghianti, di una mostra fortemente identitaria, ideale per suggellare l’importante anniversario dell’Istituzione.
Qatra Qatra/Goccia a goccia. Visioni dall’Afghanistan Fino 9 gennaio 2022 Gallerie delle Prigioni, Piazza del Duomo 20, Treviso fondazioneimagomundi.org
Levi e Ragghianti. Un’amicizia fra pittura, politica e letteratura 17 dicembre-20 marzo 2022 Fondazione Ragghianti-Lucca www.fondazioneragghianti.it
Libere Libere A Treviso un visionario Afghanistan
Le Gallerie delle Prigioni a Treviso, Fondazione Imago Mundi, sin dalla loro apertura hanno saputo offrire al pubblico un panorama allargato del contemporaneo, in cui l’arte e i temi del presente si intrecciano per offrire una visione franca e non retorica del mondo, sezionato per aree, attraverso le opere di artisti capaci di rappresentare la realtà nella oggettività del loro vissuto. Qatra Qatra/ Goccia a goccia. Visioni dall’Afghanistan, curata dall’artista concettuale e ricercatore afghano Amanullah Mojadidi, propone una riflessione attenta sulla complessa storia di questo Paese, da troppo tempo alla ribalta della cronaca per le sue martoriate vicende, in cui le donne rivestono una parte preponderante, vittime di violenze, soprusi e diritti sistematicamente negati, riuscendo tuttavia a mantenere una grande forza e coraggio nel loro complesso quotidiano. Qatra Qatra Darya Mehsha, “goccia a goccia si forma un fiume”, è un antico proverbio afgano che parla dell’importanza della pazienza, della speranza e della determinazione. I rapporti che gli afgani hanno con questi stati d’animo sono antichi quanto il detto stesso e Qatra Qatra presenta alcune fra le possibili rappresentazioni di queste relazioni. Oltre a Imago Mundi Collection Afghanistan realizzata nel 2013, la mostra presenta molteplici narrazioni, parallele e sotterranee, che caratterizzano la cultura visiva in Afghanistan. Protagoniste
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L’attesa è finita, le feste natalizie si avvicinano incerte ma per fortuna inesorabili: concerti, presentazioni, spettacoli, balletti, inaugurazioni, aperture straordinarie e tante, tante calorie... Seguiteci, vi portiamo in viaggio con noi!
xmasdiary
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Il meglio delle feste natalizie Concerti, spettacoli, balletti, aperture straordinarie
xmasmood
Presepe, albero o niente? A qualsiasi categoria apparteniate non si può prescindere dal Natale, una festa pervasiva, luminosa, coinvolgente. Per una volta eviteremo di cadere nel tranello facile delle lamentele, concentrandoci maggiormente sul significato antropologico assunto da questo periodo dell’anno in cui si rallentano le attività lavorative e si incrementa la frenesia da non si sa bene cosa, come se la scadenza del 24 dicembre rappresentasse il termine ultimo di una svolta epocale. La memoria corre al Natale 2020, una festa sostanzialmente negata nei suoi riti collettivi per ragioni di pandemia. Dopo un anno qualcosa di importante è accaduto, ci sono i vaccini, si sono accese luci di teatri, chiese, musei, gallerie, negozi... e tra una variante e l’altra del virus abbiamo imparato a trovare una via mediana, sapendo trarre opportunità dall’incertezza, con un fatalismo ineluttabile. Del doman non vi è certezza, chi vuol esser lieto sia, o almeno ci provi. Auguri in green... e buona lettura!
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VENERDÌ
VENERDÌ
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DICEMBRE
DICEMBRE
ALE PASCALI GOSPEL TRIO
Splendid Venice Hotel, San Marco h. 19 www.venetojazz.com
12
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30 www.comune.venezia.it
www.visitmuve.it
APERTURE STRAORDINARIE www.visitmuve.it
THE GOSPEL TREE
AVVENTO IN MUSICA Stefano Pellini organo Francesco Gibellini tromba
Chiesa di San Trovaso h. 16 associazionealessandromarcello.blogspot.com
LUNEDÌ
13
Elisabetta Sfriso voce, Lino Brotto chitarra Daniele Vianello contrabbasso, voce Splendid Venice Hotel, San Marco h. 19 www.venetojazz.com
DOMENICA
19 DICEMBRE
BABBO RUNNING
DICEMBRE
CONCERTO DI NATALE DEL CORO CA’ FOSCARI Chiesa di San Cassiano, San Polo h. 20.30
Partenza da San Giacometo, Rialto h. 9 www.runningclubveneziaasd.it
AVVENTO IN MUSICA Viviana Romoli organo Pourquoi-Pas Ensamble
Chiesa di San Trovaso h. 16 associazionealessandromarcello.blogspot.com
MERCOLEDÌ
15
LUNEDÌ
DICEMBRE
CONCERTO DI NATALE Mujeres de arena y otras historias Rafael Soto Rodriguez
Fondaco dei Tedeschi, Rialto h. 18.30
LAC da Il lago dei cigni
Ogni venerdì, sabato e domenica, Palazzo Ducale e Museo Correr sono aperti fino alle ore 23 (ultimo ingresso ore 22)
In occasione delle festività i Musei Civici veneziani sono aperti tutti i giorni
DICEMBRE
P. 45
Coreografia Jean-Christophe Maillot Les Ballets de Monte-Carlo
Teatro La Fenice h. 19 [16, 17 dicembre h. 19; 18, 19 dicembre h. 15.30] www.treatrolafenice.it
DICEMBRE
LO SCHIACCIANOCI
Fino 9 gennaio 2022
DOMENICA
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APERTURE SERALI Fino 9 gennaio 2022
Ale Pascali voce, percussioni Marco Zago pianoforte Daniele Vianello basso
GIOVEDÌ
20 DICEMBRE
CONCERTO DI NATALE P. 44
Marco Gemmani direttore Solisti della Cappella Marciana Composizioni di Baldassare Galuppi Basilica di San Marco h. 20 [21 dicembre h. 20] www.teatrolafenice.it
VENERDÌ
24
P. 45
Russian Classical Ballet
VENERDÌ
31 DICEMBRE
LA PICCOLA BOTTEGA DEGLI ORRORI P. 45
di Howard Ashman Musiche di Alana Menken Con Giampiero Ingrassia, Fabio Canino Teatro Toniolo, Mestre h. 21.30 [1 gennaio h. 18.30; 2 gennaio h. 16.30] www.comune.venezia.it
SABATO
01 GENNAIO
CONCERTO DI CAPODANNO
P. 44
Fabio Luisi direttore
Teatro La Fenice h. 11.15 [30 dicembre h. 17; 31 dicembre h. 16] www.teatrolafenice.it
GIOVEDÌ
06 GENNAIO
REGATA DELLE BEFANE Canal Grande partenza e arrivo Ponte di Rialto h. 12 events.veneziaunica.it
IL PICCOLO RE DEI FIORI P. 45
Balletto di Roma e Teatro Gioco Vita Teatro Toniolo, Mestre h. 16.30 www.comune.venezia.it
DICEMBRE
NILZA COSTA QUARTET
Nilza Costa voce, Daniele Santimone chitarre, Roberto “Red” Rossi batteria, percussioni, vocali, Mauricio Piancastelli tromba, effetti, tastiere
Laguna Libre, Fond.ta di Cannaregio h. 20.30 www.lagunalibre.it
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xmasmood
ICE SKATING
NATALE IN CITTÀ
Eppure, sentire
Rito di passaggio Poche cose fanno Natale come le lame dei pattini che sferzano il ghiaccio, un berretto di lana con il pon-pon e un paio di calde muffole tra cui stringere una tazza fumante. Anche quest’anno tornano le piste di pattinaggio sul ghiaccio in Campo San Polo e in Piazza Ferretto, aperte tutti i giorni, rispettivamente fino all’1 marzo la prima, e al 9 gennaio la seconda, con possibilità di noleggio pattini. events.veneziaunica.it
BABBO RUNNING
Se esiste un aspetto della vita sociale che è stato maggiormente stravolto in quasi due anni di emergenza sanitaria, questo è di sicuro il rapporto con le tradizioni e le abitudini. Come al solito, si percepisce l’importanza solo nel momento in cui se ne viene privati, si comprende il valore di un momento o di un gesto solo quando non è possibile vederlo, sentirlo. In una Basilica di San Marco sempre più da salvaguardare, il concerto diretto da Marco Gemmani a dicembre mantiene intatto il fascino rassicurante della tradizione, oltre a rappresentare la calzante occasione in cui il bello del contenitore replica la bellezza del contenuto, in questo caso la musica classica di eccellenza assoluta. Di Baldassare Galuppi il 20 e 21 dicembre ascoltiamo i Salmi Caudate – Primi Vespri di Natale, Concerto a 4 n. 4 in do, Concerto a 4 n. 1 in sol, i cinque Salmi Laudate a otto voci: 112, 116, 145, 146, 147, oltre Liturgia Patriarchina dei Primi Vespri di Natale, Antifonale di San Marco. La Cappella Marciana, una delle più antiche istituzioni musicali operanti al mondo con una tradizione segnata da grandi compositori, è a partire dalla sua prima formazione - i Cantores Sancti Marci, documentati fin dagli inizi del XIV secolo - quella grande officina musicale che, con la sua vastissima produzione di composizioni per liturgie con soluzioni sonore in simbiosi con l’edificio della Basilica di San Marco, rappresenta un unicum a livello mondiale.
Il Concerto di Capodanno della Fenice come da tradizione propone un programma musicale in due parti, una prima esclusivamente orchestrale e una seconda dedicata al melodramma, con una carrellata di arie, duetti e passi corali interpretati da solisti di assoluto prestigio e dal Coro del Teatro La Fenice. Quest’anno la parte orchestrale sarà incentrata su brani di Dvořák, Ponchielli e Offenbach, dando poi spazio a mostri sacri come Rossini e Puccini, Wagner e Verdi, con Fabio Luisi alla direzione. Nato a Genova 62 anni fa, come Direttore emerito Luisi nei prossimi anni sarà impegnato con la compagine RAI per 3-4 concerti l’anno. Ricopre attualmente incarichi prestigiosi presso l’Opera di Zurigo, l’Orchestra della Radio Danese, è Direttore musicale del Festival della Valle d’Itria di Martina Franca e della Dallas Symphony Orchestra e dal settembre 2022 sarà anche Direttore principale della NHK Symphony Orchestra di Tokyo. Negli ultimi anni è stato protagonista di diversi concerti di successo con l’Orchestra RAI: dal suo debutto 2017, con replica a Piacenza, l’ha diretta in altri cinque concerti, compreso quello del Natale 2018 nell’Aula del Senato della Repubblica. È stato Direttore Principale dei Wiener Symphoniker – ha ricevuto dall’orchestra la medaglia e l’anello d’oro intitolati a Bruckner –, Direttore Musicale Generale della Staatskapelle e della Sächsische Staatsoper di Dresda, Direttore Principale del Metropolitan di New York.
Concerto di Natale 20, 21 dicembre Basilica di San Marco www.teatrolafenice.it
Concerto di Capodanno 30, 31 dicembre, 1 gennaio 2022 Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it
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Nata nel 2011 a scopo benefico, la Babbo Running è diventata ormai una tradizione natalizia irrinunciabile in molte città d’Italia. Anche Venezia è pronta a farsi ‘invadere’ da un’orda festante di Babbi Natale in marcia. L’appuntamento è domenica 19 dicembre, percorso a scelta tra 10 e 5 km, partenza dalla chiesa di San Giacometo a Rialto alle ore 9. Dress code: Santa’s style! www.runningclubveneziaasd.it
REGATA DELLE BEFANE
Imbacuccate, bardate da scialli dai colori improbabili e non proprio avvenenti nell’aspetto, le protagoniste di questa regata in Canal Grande brillano per spirito agonistico. Braccia poderose a tradire un fisico non proprio femminile (in realtà si tratta di veri e propri veterani del remo over 55), le Befane si lasciano abbracciare dall’accoglienza della folla che ne celebra l’arrivo a Rialto tra cioccolata calda, vin brulè e caramelle, per salutare assieme il nuovo anno e la fine delle feste. events.veneziaunica.it
LAC / IL LAGO DEI CIGNI
IL PICCOLO RE DEI FIORI
Protagonista del tradizionale appuntamento natalizio con la grande danza al Teatro La Fenice è Jean-Christophe Maillot, direttore e coreografo dei Ballets de Monte-Carlo, che offre al pubblico veneziano la sua personale visione del Lago dei cigni di Tchaikowsky, profondamente ripensato, anche dal punto di vista drammaturgico insieme allo scrittore Jean Rouaud. Nell’ennesima contrapposizione del bene e del male, gli autori hanno trasformato la storia d’amore tra il principe Sigfried e la principessa Odette – vittima di un sortilegio che di giorno la costringe a vivere come cigno e solo di notte le fa ritrovare le sembianze umane – in uno scontro tra figure materne ambiziose e dominatrici. Le madri sono infatti le vere protagoniste di Lac, che fonde balletto classico e danza moderna, dando vita ad uno spettacolo drammatico ma al tempo stesso molto sensuale.
Una classica fiaba con l’immancabile “C’era una volta”, il suo “Re” e un giardino incantato. Il piccolo Re dei Fiori è il testo di Květa Pacovská intorno al quale si sono ritrovate due storiche compagnie del teatro e della danza come Balletto di Roma, che ha celebrato nel 2020 i 60 anni dalla fondazione, e Teatro Gioco Vita, che nel 2021 ne celebra 50. Una sinergia da cui è scaturito uno spettacolo in cui il tema della ricerca della felicità è reso con leggerezza e poesia. Con il contrappunto di poche ma importanti parole, il racconto prende forma scenica grazie a un ricco tessuto musicale che accompagna e sostiene le spettacolari immagini d’ombra di Teatro Gioco Vita, tratte dalle splendide illustrazioni di Pacovská, e gli espressivi gesti dei due danzatoriinterpreti del Balletto di Roma, frutto delle originali coreografie di Valerio Longo.
LO SCHIACCIANOCI
LA PICCOLA BOTTEGA DEGLI ORRORI
15-19 dicembre Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it
Amore, sogno e fantasia per uno dei balletti più affascinanti della storia della danza classica portato in scena dal celebre Russian Classical Ballet, diretto da Evgeniya Bespalova con un cast proveniente dalle più prestigiose scuole coreografiche e dalle principali Compagni russe. L’avvolgente atmosfera natalizia è la grande protagonista di questo spettacolo adatto a tutte le età, che ha reso immortale la fiaba di E.T.A. Hoffmann e le musiche di Pëtr Il’ic Cajkovskij. La notte di Natale, i bambini, in frenetica attesa dei regali, danzano gioiosamente intorno all’albero addobbato di luci, quando fa il suo ingresso in scena il signor Drosselmeyer, un amico di famiglia che porta doni per tutti e a Clara, la sua prediletta, regala uno schiaccianoci a forma di soldatino. I festeggiamenti continuano per tutta la notte, la piccola Clara si addormenta e sogna un bellissimo principe... 30 dicembre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
6 gennaio 2022 Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
Ingorda, bugiarda, furba, violenta, prepotente e dispettosa, Audrey II è la magica pianta nata da un’eclissi di sole che realizza tutti i desideri del povero Seymour, garzone di un piccolo negozio di fiori di New York. Ma per farlo l’ingordo vegetale deve nutrirsi di qualcosa di molto ‘particolare’ che lo fa crescere a dismisura… Iconica, dirompente, elettrizzante come solo il grande musical sa essere, La piccola bottega degli orrori è nata nel 1982 dalla creatività di Howard Ashman e Alan Menken. Il grande successo dello show ha generato 15 versioni in diverse lingue in tutto il mondo, Italia compresa. Dopo 30 anni, Giampiero Ingrassia torna a interpretare il ruolo del malcapitato Seymur in questa autentica fucina di risate e sorprese. In scena con lui Fabio Canino, Belia Martin e una compagnia affiatatissima di attori e cantanti… per un Capodanno brivido! 31 dicembre; 1-2 gennaio 2022 Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
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Intervista a Iginio Massari, Maître pâtissier Panettone, pandoro e altre delizie
a cura di Fabio Marzari
DOLCE STIL NOVO Sono un artigiano, non un artista, ho lavorato sempre seguendo due stelle comete: il piacere e la serietà Durante la riunione di redazione per decidere i contenuti del numero natalizio del nostro magazine ho buttato là un: «proviamo a intervistare Iginio Massari». Va detto che la cosa è stata più semplice del previsto, la gentilezza e disponibilità del Maestro e dei suoi collaboratori è stata proverbiale. Felice come un bambino portato in vacanza a Disney World, mi sono trovato a dialogare con il Re indiscusso dei pasticcieri italiani, un volto noto al pubblico televisivo per le sue partecipazioni a varie edizioni di Masterchef, divenuto celebre al punto da essere scherzosamente imitato da Fabio De Luigi per la fermezza e irremovibilità dei suoi giudizi spesso tranchant, che all’inizio spiazzavano pubblico e concorrenti perché giungevano da un signore amabile con occhi celesti e capelli bianco candido. Iginio Massari ha da poco festeggiato i 50 anni della sua pasticceria Veneto di Brescia, da dove tutto ha avuto inizio. Talmente premiato da finire “fuori categoria” per eccesso di riconoscimenti, molto più che un re, un imperatore della pasticceria mondiale. I suoi dolci rappresentano il sublime per il palato, sono lo spartiacque tra il buono e l’emozione pura. È vero, sono di parte, adoro i dolci, va detto però che «Après Iginio, le déluge»... e basta recarsi al pop-up store presente nella Stazione ferroviaria di Mestre per poter entrare nel magico mondo di questo sommo Maestro. Può creare dipendenza, ma è tutt’altro che perniciosa. Maestro Massari, nel ringraziarla per aver accettato l’invito a essere presente nel nostro magazine, devo confessare che mi sento particolarmente felice di poterla intervistare. Detto senza alcuna piaggeria, lei è un fuoriclasse e la prima domanda che le pongo è inevitabile: da dove nasce la sua passione per i dolci, arte
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assai complessa, che richiede una perizia da alchimista nel dosare perfettamente gli ingredienti? Non posso dire che sia nata, forse mi ci sono trovato dentro, inciampando, letteralmente, fin da piccolo nelle farine e nello zucchero. Mia madre aveva una trattoria con gelateria a Brescia nel 1945 e quindi era naturale trovarsi da bambino sporco di farina. A quei tempi non c’erano ancora le attrezzature e mia madre aveva preparato la crema e l’aveva riposta in una bacinella di terracotta per portarla a maturazione. Io giocavo lì intorno, sono scivolato e ci sono finito dentro. Era un preparato di cannella e caffè, quindi dolce e aromatico. Ecco da dove arrivo, è tutto vero. Poi ho lavorato per molti anni alla Star di Agrate Brianza come consulente nel settore industriale, esperienza formativa che considero davvero importante. Nel 1971 con mia moglie Marì abbiamo aperto la pasticceria Veneto, dal nome della strada in cui si trovava, ora via Salvo d’Acquisto. Cinquant’anni di attività sempre nello stesso posto non è una cosa facile; abbiamo festeggiato questo traguardo e siamo ora pronti anche per i prossimi cinquanta. Dalle paste della domenica a una realtà aziendale complessa. Siete molto cresciuti nel corso degli anni. Ovviamente nel tempo è cambiata un po’ la storia. I miei figli Debora e Nicola hanno voluto ampliare il raggio d’azione, perciò abbiamo fondato con due soci la Iginio Massari Alta Pasticceria, in cui attualmente sono occupate circa duecento persone. Rispetto all’attività di partenza c’è “solo” una differenza in termini di numeri. L’azienda si è infatti sviluppata mantenendo sempre le caratteristiche dell’artigianalità a livello qualitativo: noi non adattiamo i prodotti alle macchine, ma le macchine ai prodotti; se un dato dolce non lo può fare la macchina, si fa manualmente. La pasticceria è precisione, è fatta di regole certosine, di numeri che non si possono sbagliare. Tutto si evolve, è chiaro, ma ciò che rimane invariato è che non si possono sbagliare le percentuali. Non vale il quanto basta, ma il quanto serve. Non siamo più nell’Ottocento o ai tempi di mia nonna, quando le misure erano il cucchiaio, la scodella, quando non c’era nemmeno la bilancia. Oggi abbiamo quattro pasticcerie a Brescia, Milano, Torino e Verona, alle quali si sta per aggiungere una quinta a Firenze dalla metà di questo dicembre, oltre ai pop-up store in alcune importanti stazioni ferroviarie italiane. Siamo nel periodo giusto dell’anno per parlare di pandoro e panettone. Su quale dei due cade la sua preferenza? Pur amando anche il pandoro, da lombardo non posso che apprezzare e prediligere il panettone. Il pandoro è un dolce tipicamente veneto. Il padre o la madre del pandoro è veronese, e in Veneto sono nate le grandi aziende che lo producono. Ho lavorato nel 1968 per Bauli e ho conosciuto il capostipite, nato nel 1895 e già allora in là con gli anni. Io ora ho 79 anni, ne sono passate di generazioni… Il pandoro ha una lievitazione mista un po’ diversa dalle solite e il suo nome si deve al fatto che all’interno si presentava di un colore giallo simile all’oro. Il panettone invece ha una storia diversa, molto più antica. La tradizione vuole che in esso si trovino uvetta passa, scorze d’arancia candita e di cedro. Quando si regala un panettone si augura a chi lo riceve ricchezza, tanto amore ed eternità, perché l’uvetta passa rappresenta la moneta sonante, le scorze d’arancia candita rappresentano l’amore e quelle di cedro l’eternità. Pratica-
mente la chimera che l’uomo ha sempre inseguito e che continuerà ad inseguire. Intanto ci si può consolare nell’immediato con i suoi panettoni! Se posso aggiungere ancora una cosa sui panettoni, voglio dire che al di là di tutte le pubblicità legate a quelli prodotti a Natale da chef blasonati, da parte dei consumatori più giovani per mantenere il senso della festa in famiglia la scelta cade sul prodotto tradizionale. Le ricette con liquirizia, zafferano, eccetera rimandano più al mondo dei cuochi che a quello dei pasticcieri, così come tra quelli industriali viene spinto il consumo di prodotti a base di creme, ma i risultati finali di vendite e gradimento quando si avvicinano le feste vedono trionfare sempre quello classico, che avvicina l’innovazione al gusto della tradizione. Poi comunque al mondo ci sono sempre quelli che vanno in autostrada in senso contrario convinti di essere nel giusto! Il dolce preferito del Maestro Massari? Se io avessi un dolce preferito significherebbe che non so fare bene gli altri, quindi non posso dire di averne uno che preferisco ad un altro… Lei è conosciuto dal grande pubblico televisivo, ha pubblicato un gran numero di libri, ma è sempre rimasto Iginio Massari, senza cadere nella tentazione di fare il personaggio. Che rapporto ha con il mondo della comunicazione, dell’esposizione mediatica? Ho sempre creduto nell’importanza della comunicazione, quella corretta ovviamente, che da sempre è stata il mezzo vincente su ogni altro. È necessario utilizzare il mezzo al momento giusto, un tempo i giornali, oggi più la televisione. Sorrido se penso che ho partecipato a centinaia di trasmissioni televisive, anche se solo con Masterchef ho conquistato la notorietà. La comunicazione è oggi più di sempre un’attività centrale, direi nodale per ogni attività, per ogni produzione. Se una cosa è positiva ma non la racconti a nessuno non serve a nulla. Una curiosità che riguarda il tiramisù, dolce divenuto talmente global da aver quasi stufato, lo dico volutamente in modo provocatorio. Lei che ne pensa? Si ricordi bene che il tiramisù nella sua essenza di base è nato in qualsiasi famiglia italiana, perché non c’è stata mamma o nonna che non sbattesse il tuorlo d’uovo con un po’ di zucchero. Al Nord mettevano il caffè, al Sud il marsala, unito a savoiardi o altri biscotti, li mescolavano e li davano al bambino o all’ammalato uscito dall’ospedale dicendo: «mangia questo che ti tira su!». Perciò non hanno inventato nulla, neppure il nome. L’unica roba che hanno fatto le cinque città che si contendono la paternità è quella di aver aggiunto il mascarpone, che alla fine rende il dolce abbastanza leggero. In sintesi come si definirebbe? Sono un artigiano, non un artista. Ho lavorato sempre seguendo due stelle comete: il piacere e la serietà. Sono contento così. www.iginiomassari.it © Nicolò Brunelli
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Un favoloso piccolo viaggio sulle tracce dei Magi a Venezia
a cura di Franca Lugato
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«L’Epifania tutte le feste porta via» ricorda un celebre proverbio popolare, perché è proprio il 6 gennaio a segnare la fine del periodo più lungo delle feste dell’anno con la simpatica Befana a consolarci con i suoi dolcetti. Ma assieme all’amabile vecchietta vengono aggiunti nei Presepi di tutte le case le statuine dei tre Re Magi, perché l’Epifania è un’importante solennità cristiana che celebra la “manifestazione” di Gesù Cristo al mondo intero tredici giorni dopo la sua nascita La visita dei Re Magi al Bambin Gesù, detta anche Adorazione dei Magi, simboleggia per la tradizione cristiana occidentale l’omaggio di tutti i popoli della Terra. La fonte principale è il Vangelo di Matteo che narra di alcuni Magi, senza specificare il numero, che giunsero a Gerusalemme guidati da una stella per portare dei doni al Re dei Giudei. Giunti a Betlemme aprirono i loro scrigni per offrire al Bambino oro, incenso e mirra e i tre preziosi doni suggerirono il numero dei personaggi che diventeranno nel Medioevo: Melchiorre re dei Persiani, Baldassarre re dell’Arabia e Gaspare re dell’India. Raffigurati di età e razze diverse, con un abbigliamento regale e un seguito di animali esotici che denotano la loro origine orientale,
i Re Magi e i loro doni divennero esercizi di stile per molti artisti del Rinascimento. Oro simbolo di regalità di Cristo, incenso omaggio alla sua divinità, mirra impiegata nell’imbalsamazione e quindi anticipazione della sua morte sono solo alcuni dei significati che vengono attribuiti ai preziosi doni offerti al Bambino, ma gli scrigni che contengono quei doni, come le corone che portano in testa, spesso sono rappresentati come esempi di raffinatissima oreficeria. Nell’iconografia dell’Adorazione spesso è Melchiorre con l’oro, il più anziano, a inginocchiarsi per primo davanti a Gesù, mentre in piedi dietro di lui stanno Baldassarre con la mirra, il moro, e Gaspare con l’incenso il più giovane dei tre.
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xmastrekking MAGI A VENEZIA
1. TORRE DELL’OROLOGIO In Piazza San Marco, ogni anno, allo scoccare di Mezzogiorno del 6 gennaio, la Torre dell’Orologio è protagonista della più celebre e spettacolare processione dei Re Magi, che preceduti da un Angelo che li annuncia a suon di tromba, rendono omaggio alla Vergine con il Bambin Gesù. Questi originalissimi automi escono da una porticina, che si apre automaticamente al posto del tamburo delle ore, per rientrare dalla porticina del tamburo dei minuti, dopo essersi devotamente inchinati. Le attuali statue lignee policrome risalgono al 1755 e vennero realizzate da Giobatta Alviero in sostituzione di quelle precedenti che in origine erano state concepite per sfilare allo scoccare di ogni ora. Ridotta e smessa la frequenza a causa dell’usura del meccanismo, quando venne rifatto a metà del Settecento il nuovo orologio l’uscita dei Magi venne limitata a due volte l’anno: l’Epifania e l’Ascensione. 2. BASILICA DI SAN MARCO Nella Basilica l’iconografia del Natale è assente nel ricchissimo apparato musivo, in quanto nelle chiese orientali questa festa tarda ad essere accolta. Tuttavia, l’Epifania è rappresentata in ben due mosaici realizzati in periodi diversi ma che rispettano i canoni iconografici del vangelo di Matteo. Il più antico è quello medievale, del XIV secolo, che si trova nel Battistero, mentre quello più moderno è visibile nell’Arcone orientale di sinistra della navata centrale, ed è di derivazione tintorettesca. Nel primo Maria accoglie i Magi assisa in trono con il Bambino benedicente sulle ginocchia, la sua maestosa figura occupa quasi interamente la facciata dell’edificio che ricorda la capanna, ma che in questo caso simboleggia soprattutto la Chiesa. Il Bambino benedice il bellissimo corteo dei Magi giunti ad adorarlo guidati dalla stella cometa, quasi psichedelica, le loro vesti sono preziose ma le corone sono spettacolari! Il mosaico tintorettiano mette in evidenza il lato più umano del rapporto tra madre e figlio con la presenza di Giuseppe che assiste ammirato all’evento. I Magi si inchinano con positure plastiche, non mancano per completare la scena gli Angeli della Natività, un accenno alla capanna e l’immancabile stella di Betlemme irradiante di luce. 3. CHIESA DEI SANTI GIOVANNI E PAOLO Tra i più regali pittori di “Adorazioni dei Magi” a Paolo Veronese spetta sicuramente il primato. Solo lui saprà realizzare suggestive e grandiose impaginazioni architettoniche abbinate a ricchezza e sfarzo cromatico, variando lo stesso soggetto innumerevoli volte. Il grande dipinto nella Cappella del Rosario ai Santi Giovanni e Paolo è uno degli esempi più conosciuti. L’opera (1582 circa) costituiva il comparto centrale di un ciclo di tele che decoravano il soffitto della demolita chiesa di San Nicolò della Lattuga, un tempo esistente accanto a quella dei Frari. Il Veronese in questa ardita composizione accentua l’effetto prospettico di sotto in su attraverso la resa delle imponenti architetture fortemente scorciate. Fanno da quinta le due splendide figure bilicate nello spazio colte di spalle con Giuseppe precariamente aggrappato alla base della colonna. Apre il corteo regale il Mago più vecchio, inginocchiato a rendere omaggio al Bambin Gesù, è ammantato da una preziosa veste finemente decorata, specchio del linguaggio pittorico fastosamente sontuoso del Veronese.
4. SCUOLA GRANDE DI SAN ROCCO Negli stessi anni, Jacopo Tintoretto eseguiva l’Adorazione dei Magi (1582) della Sala Terrena della Scuola Grande di San Rocco, le botteghe dei due pittori erano a quei tempi le più famose a Venezia e acclamate in tutta Europa. Nella composizione tintorettiana è un rustico ambiente a essere descritto, con Maria e il Bambino collocati sopra una sorta di podio. Il crepuscolo avanzato accentua l’intensità dei valori luministici e mette in evidenza la dinamica dei gesti dei personaggi, con lo splendido Baldassarre che si sporge in avanti per consegnare il suo dono con quel turbante-corona che sembra un raffinato gioiello. Altre figure, come comparse a teatro, arricchiscono la scena, ma colpisce quel corteo di cavalieri che si scorge in lontananza che sembra quasi uscito da una fiaba, guidato dalla stella che ormai è arrivata in corrispondenza del Bambin Gesù. La resa fosforescente delle figure, svuotate di ogni consistenza plastica, è tra le cifre stilistiche più visionarie del linguaggio tintorettiano, dove luce e colore si contaminano in una stesura pittorica quasi stenografica. 5. BASILICA DEI FRARI Dalle “Adorazioni dei magi” dei più grandi pittori del Manierismo veneto alla magia dei presepi che vengono allestiti in molte parrocchie nel periodo delle feste di Natale il passo non è così lungo: infatti un fantastico e antico Presepe si può visitare nella Basilica dei Frari, poco distante dal Tintoretto di San Rocco. I frati francescani lo preparano con grande amore per aiutare a dare un senso al Natale, piace a grandi e piccoli e si rimane per ore a guardare questa suggestiva meraviglia. La grotta con la Sacra Famiglia è sicuramente il fulcro, ma lo sguardo viene catturato anche dalla ricchezza di statuine raffiguranti personaggi alle prese con svariati lavori quotidiani: il vasaio che lavora la creta, la donna che fila la lana alla conocchia, c’è chi beve, chi accudisce le greggi, chi porta dei cesti, molti di loro sono in movimento. Vi è poi una cura meticolosa per i dettagli delle case e dell’erba vera sul prato della Natività. Anche la luce che continua a variare dal giorno alla notte crea un caleidoscopio di riflessi. I Magi, i nostri tre protagonisti, entrano in scena solamente il 6 gennaio, liberati dalle scatole che li conservano per tutto l’anno e posti davanti alla capanna dove Gesù è nato da tredici giorni. Le feste non sono finite perché il presepio dei Frari rimane visitabile fino alla fine di gennaio.
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newyearstory Il calendario nell’antica Repubblica Serenissima
a cura di Camillo Tonini
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CAPODANNO MORE VENETO
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ra consuetudine nei territori
dello Stato Veneto ai tempi della Serenissima che l’anno nuovo cominciasse il primo giorno di marzo. Nei documenti ufficiali prodotti dalle diverse magistrature, negli avvisi pubblici, negli atti notarili, ma anche nella corrispondenza privata, si aggiungeva accanto alla data del giorno m.v., abbreviazione dell’espressione latina more veneto: alla maniera dei veneti. Ad esempio il Trattato di Carlowitz, che decretò la pace tra l’Impero Ottomano e gli alleati della Sacra Lega (Austria, Polonia, Russia e Venezia), fu annotato dagli storici ufficiali della Repubblica come avvenuto il 26 gennaio 1698 m.v., ma è da intendersi, fatti salvi il giorno e il mese, accaduto l’anno successivo, il 1699. Così pure, la nascita di Carlo Goldoni, fu registrata nella parrocchia di San Tomà alla data del 25 febbraio 1706 m.v. (il 1707). Questa cronologia particolare usata a Venezia restava difforme per i primi due mesi dell’anno. More veneto accompagnava, comunque, le date anche nei mesi successivi. Un’ulteriore ostentazione dello Stato veneziano che voleva dimostrare in tutte le sedi e in tutte le occasioni – fin tanto che ne ha avuto la forza – la propria autonomia: «a Venezia si fa così, che gli altri accettino e si adeguino». L’antica tradizione del more veneto aveva radici molto lontane, riconoscibili anche nei nomi dei mesi a partire da settembre il settimo dopo marzo, quindi ottobre l’ottavo mese, novembre il nono e, infine, dicembre il decimo mese. Lo slittamento di due mesi dell’anno vecchio non impediva che il calendario ufficiale di Roma, riformato nel 1582 da papa Gregorio XIII, e quello civile di Venezia, convivessero senza problemi e gravi interferenze. Infatti, il 31 dicembre, la notte di san Silvestro, nella Basilica di San Marco, come nel resto dell’ecumene cattolica, si alzava solenne il Te Deum laudamus, l’inno di ringraziamento al Signore per l’anno che stava finendo musicato in più versioni dai maestri della Cappella Marciana.
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Ancora prima, alla metà del XIII secolo, la consolidata iconografia religiosa aveva posto la rappresentazione del mese di gennaio in prima posizione nella successione dei mesi scolpita nell’arcone centrale della Basilica di San Marco (foto 1): un vigoroso uomo con un fascio di legna sulle spalle (foto 2). Segue febbraio: un vecchio a piedi nudi che si riscalda davanti al fuoco; quindi marzo, personificato da un guerriero armato – Marte che dà il nome al mese – con una folta chioma al vento sollevata dal soffio di un corno. (foto 3) Al pari, un secolo dopo, il dodicesimo capitello del loggiato inferiore di Palazzo Ducale, il simbolo della vita politica e giuridica dello Stato veneziano, offre la rappresentazione scolpita dei mesi con inizio dal ventoso marzo, lo stesso mese con il quale inizia l’anno zodiacale e quello veneziano. Marzo è raffigurato come un giovanetto – Marcior Cornator nominato nell’iscrizione incisa nella pietra – con alla bocca un corno doppio (buccina), come appare ben visibile nella copia ottocentesca del capitello che affaccia sulla Piazzetta (foto 4), ma mutilo in quella originale esposta all’interno del Museo dell’Opera. Non risulta, peraltro, che a Venezia per il passaggio all’anno nuovo sia romano che more veneto, vi fossero smodati festeggiamenti mondani a cercare alba, che invece erano tollerati nelle ultime sere di Carnevale. Si arriva al fatidico 1797. Dal 16 maggio di quell’anno, caduta della Repubblica, i Francesi durante il breve periodo del Governo democratico provvisorio, imposero di usare nei documenti ufficiali il loro “calendario rivoluzionario” con i nuovi nomi dei mesi, come disposto da decreto della Convenzione Nazionale del 5 ottobre 1793. Il primo giorno dell’anno doveva coincidere con la data del solstizio di autunno, che nel 1797 cadeva il 22 del mese settembre, ovvero il Primo Vendemmiaio. Questo rimase per Venezia l’unico Capodanno rivoluzionario perché i Francesi, abbandonarono Venezia qualche giorno dopo, il 17 ottobre o se si preferisce il 26 Vendemmiaio. Quando ritornarono nel 1806, dopo il periodo del primo dominio austriaco e fino al 1815, il calendario rivoluzionario era già stato abolito da Napoleone, che nel meritevole tentativo di unificare le diverse consuetudini locali, aveva voluto ritornare al calendario romano e introdurre per tutta Europa, non senza difficoltà e resistenze, anche l’uso del metro come comune unità di misura. Venezia diventa italiana nel 1866 e da allora ne subisce le sorti. L’avvento dell’Era Fascista pone una nuova modifica del calendario. Dal 1922 l’inizio dell’anno veniva fissato al 28 ottobre, data della Marcia su Roma. Da allora la successione degli anni doveva essere seguita da un progressivo numero romano con l’abbreviazione E.F. a celebrazione del regime per quanti lo sostenevano e a monito per quelli che non ne erano tanto convinti. A Venezia e in tutti i territori compresi nella Repubblica di Salò ci si sbarazzò di questo inquietante segno dei tempi solo dopo il 25 aprile del 1945, data della Liberazione. Oggi, more veneto rimane una dotta citazione conosciuta da pochi. Se scritto tutto attaccato – moreveneto – corrisponde, però, al nome del sito dell’Archivio di Stato di Venezia dove, in progress, si stanno riversando digitalizzati gli antichi documenti storici lì conservati, perché possano essere letti on line dagli studiosi. Per tutti vale l’avviso di sapere interpretare m.v. 53
Gli italiani si voltano, Milano, 1954 © Archivio Mario De Biasi / courtesy Admira, Milano
MARIO DE BIASI FOTOGRAFIE 1947-2003 VENEZIA / TRE OCI 13.05.21 > 09.01.22 Mostra organizzata da / Exhibition organized by
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Claudio Gobbi An Atlas of Persistence 3 dicembreDecember 27 febbraioFebruary, 2022 Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Santa Croce 2076 capesaro.visitmuve.it
CASA DEI TRE OCI
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Le tre stelle di Romano. Burano: arte e storia di un ristorante entrato nel mito 16 dicembreDecember 6 marzoMarch, 2022 Campo Santa Maria Formosa Castello 5252 www.querinistampalia.org
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Omaggio a Virgilio Guidi Con uno sguardo alla Collezione Sonino
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Giuseppe Abate Here Comes the Rooster
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Gianni Berengo Gardin e Maurizio Galimberti. Due sguardi a confronto
M9 – MUSEO DEL ‘900/2
Le sfide di Venezia. L’architettura e la città nel Novecento
Andrea Aquilanti Proiezioni, degli spazi e dal tempo di Jacopo Tintoretto
FinoUntil 22 febbraioFebruary, 2022 San Marco 4303 www.gioiellinascostidivenezia.it
PALAZZO DUCALE
Venetia 1600. Nascite e Rinascite
FinoUntil 25 marzoMarch, 2022 Appartamento del Doge, Piazza San Marco palazzoducale.visitmuve.it
Gestus II atto Il montaggio delle azioni 1 dicembreDecember 15 gennaioJanuary, 2022 San Marco 3260 www.palazzograssi.it
V-A-C ZATTERE
Non-Extractive Architecture: Progettare senza estinguere
FinoUntil 31 gennaioJanuary, 2022 Dorsoduro 1401 www.v-a-c.ru
FinoUntil 9 gennaioJanuary, 2022 Via Giovanni Pascoli 11, Mestre www.m9museum.it
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BLESSING IN
DISGUISE by Valentine and Didier Guillon 23.04.22 26.02.23 Belonging to the Contemporary Art Exhibition
PETER PAN La nécessité du rêve Palazzo Bonvicini Calle Agnello, 2161/A, Venice
www.fondationvalmont.com 56
books READINGS & REVIEW
a cura di Fabio Marzari
Dal Premio Nobel alle favole senza tempo, passando per due icone del nostro presente
ABDULRAZAK GURNAH
BARACK OBAMA/BRUCE SPRINGSTEEN
Sulla riva del mare
Renegades - Born in the USA
La Nave di Teseo Dogana dell’aeroporto di Gatwick, Londra, Inghilterra, Europa. Da Zanzibar arriva Saleh Omar con una valigia piena di niente perché «è difficile sapere con precisione in che modo le cose sono arrivate a essere come sono, dire con una certa sicurezza che prima c’era questo, che poi ha provocato quest’altro e adesso eccoci qui». Il suo destino si incrocia con quello di un altro esule, un altro rifugiato politico, Latif Mahmud con il quale, in un paese ospite e straniero scopre che «ciò che sappiamo ci riporta continuamente alla nostra ignoranza, ci fa vedere il mondo come se fossimo ancora nella pozza tiepida che conoscevamo dai terrori infantili». Sinuoso, complesso, splendidamente scritto dal Premio Nobel per la Letteratura 2021, Abdulrazak Gurnah, Sulla riva del mare è un libro di straordinaria e toccante attualità che pone l’accento sul senso di disorientamento, sulla disperazione e sullo sconforto di chi, per un motivo o per l’altro, vive la condizione dell’esule. Stranieri, di passaggio, ospiti, proprio sulla riva del mare.
Garzanti Due vecchi amici si rivelano in una conversazione intima con racconti esclusivi e riflessioni sulla vita, la musica, l’infinito amore per un’America ricca di opportunità e contraddizioni. Un libro con oltre 350 foto, contenuti unici e materiali d’archivio inediti con fotografie rare ed esclusive dalle raccolte private degli autori. Un coinvolgente ritratto di due outsider – un bianco e un nero – alla ricerca di un legame tra il loro bisogno di senso, di verità, di comunità, con la più profonda storia degli States. Si discute di paternità e matrimonio, di razza e virilità; del fascino di avere una strada davanti ancora da esplorare, ma anche del desiderio di far ritorno a casa; degli eroi del presente e del passato a cui si ispirano; e di tanta musica.
J.K. ROWLING
SARA GAY FORDEN
AA.VV.
Il maialino di Natale
House of Gucci Una storia vera di moda, avidità, crimine
Le più belle fiabe del mondo
Salani Mimalino, detto Lino è il pupazzomaialino amato da Jack, il suo amico di pezza per i giorni belli e meno belli. Purtroppo alla Vigilia di Natale Lino sparisce. È noto però come la Vigilia sia tra tutti il giorno più magico: se non accade un miracolo a Natale, quando dovrebbe accadere? Scatta dunque un viaggio avventuroso costellato di grandi ideali, percorsi ardui, difficoltà, elementi magici e tanto, tanto coraggio. A intraprendere il viaggio nella Terra dei Perduti è Jack insieme a un nuovo maialino di Natale, aiutati da una bussola coraggiosa, un porta pranzo parlante, un essere alato dal nome Speranza. Il male in questo caso si chiama Perdente e ha le fattezze di un mostro di rottami.
Garzanti Il 27 marzo 1995 Maurizio Gucci, erede della dinastia dell’alta moda, mentre sta per raggiungere il suo ufficio di Milano viene assassinato a colpi di pistola da uno sconosciuto. Nel 1998, l’ex moglie Patrizia Reggiani Martinelli – soprannominata la “Vedova nera” dalla stampa – viene condannata a 29 anni di prigione come mandante dell’omicidio. Perché Patrizia Reggiani lo avrebbe fatto? Perché le spese del suo ex marito erano fuori controllo, o perché il suo affascinante ex consorte stava per sposare l’amante, Paola Franchi? Oppure esiste ancora la possibilità che Patrizia Reggiani sia innocente? Quella dei Gucci è una storia di sfarzo, glamour, intrighi; è la storia dell’ascesa, del quasi fallimento e della rinascita di una dinastia nel mondo della moda.
Mondadori C’erano una volta tante storie diverse. C’erano una volta un’orfana che diventa principessa, una sirenetta che dà in cambio le sue gambe per il vero amore, una bambina con il cappuccio rosso che affronta lupi e cacciatori, la più bella del reame e una mela avvelenata... C’erano una volta tante avventure e mille mondi da esplorare. 57
NATALE CON UNO SCONOSCIUTO (Netflix, s. 1-2)
xmasscreenings
I film da non perdere al cinema e una selezione speciale di serie tv
a cura di Davide Carbone
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Quando guardo un film Marvel penso sempre a cosa farebbe una persona normale con i poteri. Questa idea mi ha aiutato per esplorare questi elementi con gli occhi di un 15enne che si trova proiettato in quella situazione Jon Watts
Ironica, dolce, irriverente, Johanne – quasi una Fleabag norvegese – è una infermiera single 30enne disposta a tutto pur di non sedersi di nuovo davanti alla tavola imbandita per Natale, confinata nel “settore bambini” e tormentata dalle domande della famiglia sulla sua situazione sentimentale. Un fardello che diventata ogni anno più pesante, e che alla fine la costringe a mentire, annunciando la presenza di un fidanzato che in realtà non esiste. La giovane avrà solo 24 ore di tempo per trovare un ragazzo da presentare ad amici e parenti… missione impossibile?
DASH & LILY (Netflix, s. 1) Romantica e piacevolissima, Dash & Lili è perfetta per risvegliare un assopito spirito natalizio. Tratta dall’apprezzato romanzo young adult di David Levithan e Rachel Cohn Come si scrive ti amo, questa comedy romantica è ambientata a New York durante il periodo delle feste. Al centro del racconto ci sono il cinico Dash e l’ottimista Lily. Lui è intelligente, maturo e indifferente all’atmosfera natalizia, lei è brillante, piena di speranza, frizzante e amante del Natale. Grazie a un taccuino preso e lasciato avanti e indietro per tutta la città, scoprono di avere in comune molte più cose di quante si sarebbero aspettati. TORNO PER NATALE
SPIDERMAN – NO WAY HOME di Jon Watts (USA, 2021)
Ammettetelo, candidamente: togliere gli occhi dallo schermo è semplicemente impossibile. Tra tutte le figure dell’universo Marvel, quella di Spiderman è di sicuro tra le più complesse, con pieghe della sua personalità e della sua storia che lo hanno trasformato negli anni in molto più di un semplice personaggio da spremere fino all’ultimo dollaro. Per la prima volta nella storia cinematografica di Spiderman, viene rivelata l’identità del nostro amichevole ‘eroe di quartiere’, ancora una volta interpretato da Tom Holland, ponendo le sue responsabilità da supereroe in conflitto con la sua vita quotidiana e mettendo a rischio coloro a cui tiene di più. Quando Peter Parker chiede l’aiuto del Dottor Strange per ripristinare il proprio segreto, l’incantesimo apre uno squarcio nel loro mondo, liberando i più potenti nemici mai affrontati da uno Spiderman in qualsiasi universo. Ora Peter dovrà superare la sua più grande sfida, che non solo cambierà per sempre il suo futuro, ma anche quello del Multiverso. Dal 15 dicembre
(Netflix, miniserie) Bastian Kollinger è un aspirante musicista che si guadagna da vivere lavorando in un call center di Berlino. Dopo la rottura con la fidanzata Fine, avvenuta un anno e mezzo prima, Bastian è ancora sconvolto e decide di passare il Natale con la sua famiglia in un piccolo paesino dell’Eifel. Quando arriva a casa il giovane viene accolto dai genitori e da un’inaspettata sorpresa da parte del fratello Nikla e la ex fidanzata: i due si frequentano da molto tempo a sua insaputa. Questa notizia sconvolgente per Bastian basterà a rovinare la magia del Natale?
HOW TO RUIN CHRISTMAS
(Netflix, s. 1-2) Ambientata in Sudafrica e scritta dai fratelli Katleho, la serie mette ironicamente alla berlina le numerose contraddizioni di un Paese modernissimo da un lato, ma ancora estremamente ancorato a tradizioni antichissime come quelle relative alla stagione dei matrimoni. Tumi è la “pecora nera” della famiglia Sello, che rivede dopo molto tempo in occasione delle nozze della sorella minore Beauty, con cui è sempre stata in competizione. Il matrimonio è fissato per il 25 dicembre, ma la dirompente Tumi scatena un’incredibile serie di incidenti che rischiano di mandare a monte il sogno d’amore della sorella.
DON’T LOOK UP
THE KINGSMAN – LE ORIGINI
Randall Mindy e Kate Dibiasky durante le loro ricerche fanno una scoperta terribile: una cometa, grande quanto l’Everest, è entrata nell’orbita del sistema solare ed è in rotta di collisione con il nostro pianeta. I due si affannano ad avvisare autorità competenti del possibile impatto, ma nessuno sembra essere interessato alla gravità di questa minaccia, che rischierebbe di distruggere la Terra e i suoi abitanti. Comunicare alla popolazione cosa potrebbe entrare nella nostra atmosfera sembra un avviso troppo scomodo e allarmistico da dare. Leonardo Di Caprio, Jennifer Lawrence, Meryl Streep, Cate Blanchett e Jonah Hill compongono il cast stellare di questa produzione Netflix, sospesa (ma non più di tanto) tra fantascienza e una realtà al momento inimmaginabile ma da non poter escludere a priori. Dall’8 dicembre
Terzo capitolo della saga cinematografica basata sul Comic Book The Secret Service di Mark Millar e Dave Gibbons. Il film racconta come è nata l’agenzia di intelligence indipendente che tutti conosciamo con il nome di Kingsman. Le radici della società segreta affondano nella Gran Bretagna della Prima guerra mondiale ed è in questo periodo che nella terra inglese nasce una generazione di guerrieri d’élite. Segue una raccolta dei peggiori tiranni e menti criminali della storia, riuniti tutti insieme per uno scopo comune: organizzare una guerra che spazzi via milioni di vite umane. Solo un uomo potrà tentare di fermarli in una corsa contro il tempo, prima che sia troppo tardi. Da qui nascerà un nobile codice d’onore, quello di Kingsman, impegnato nella silenziosa difesa dell’umanità intera, che prima di combattere cerca di capire chi è il suo avversario e come può sconfiggerlo. Dal 5 gennaio 2022
di Adam McKay (USA, 2021)
di Matthew Vaughn (USA, UK, Repubblica Ceca, 2021)
AMERICA LATINA
di Fabio D’Innocenzo, Damiano D’Innocenzo (Italia, Francia, 2021) «Abbiamo scelto di raccontare questa storia perché, semplicemente, era quella che ci metteva più in crisi. In crisi come esseri umani, come narratori, come spettatori». Latina: paludi, bonifiche, centrali nucleari dismesse, umidità. Massimo Sisti è il titolare di uno studio dentistico che porta il suo nome. Professionale, gentile, pacato, ha conquistato tutto ciò che poteva desiderare: una villa immersa nella quiete e una famiglia che ama e che lo accompagna nello scorrere dei giorni, dei mesi, degli anni. La moglie Alessandra e le figlie Laura e Ilenia (la prima adolescente, la seconda non ancora) sono la sua ragione di vita, la sua felicità, la ricompensa a un’esistenza improntata all’abnegazione e alla correttezza. È in questa primavera imperturbabile e calma che irrompe l’imprevedibile: un giorno come un altro Massimo scende in cantina e l’assurdo si impossessa della sua vita. Dal 13 gennaio 2022
LA FIERA DELLE ILLUSIONI di Guillermo Del Toro (USA, 2021)
Diretto dal Premio Oscar Guillermo Del Toro, il film racconta la storia di un giovane giostraio (Bradley Cooper), ambizioso e grande manipolatore, che frequenta una psichiatra (Cate Blanchett) che si scoprirà essere ancora più pericolosa di lui. Al luna park lavorano anche Molly (Rooney Mara), il capo imbonitore Clem (Willem Dafoe) e Ron Perlman nei panni di Bruno the Strongman. Richard Jenkins fa parte del pubblico dell’alta società nel ruolo del ricco industriale Ezra Grindle. Basato sul romanzo di William Lindsay Gresham, il film è scritto dallo stesso Del Toro insieme a Kim Morgan e prodotto dal regista stesso e dal Premio Oscar J. Miles Dale. Di sicuro tra i film più attesi dell’anno, con il regista messicano che fino all’ultimo ha cercato di farlo approdare a Venezia, rinunciando solo per motivi tecnici. Dal 27 gennaio 2022 59
Artigiani, designer, creativi, piccole botteghe e atelier, concept-store, gallerie, bookshop e mercatini
a cura di Mariachiara Marzari
È scattato il countdown agli acquisti natalizi. È arrivato il momento di correre da un negozio all’altro alla ricerca del regalo perfetto: personale, sorprendente e inatteso. Niente computer, Amazon e corrieri, ma sneakers e un mini carnet di indirizzi veneziani che offrono eccellenza e originalità. Una passeggiata tra contemporaneità e tradizione Rialto
shopping&more
FONDACO DEI TEDESCHI
In un allestimento creativo di luci assolutamente da non perdere, il Fondaco, sempre alla ricerca di nuove idee per uno shopping creativo, presenta per Natale 2021 Home Decor Room, uno spazio interamente dedicato a oggetti iconici del design glocal. Esordisce un artigiano locale con una vocazione internazionale come Fauna & Flo con Fauandflo, un progetto alla scoperta del regno animale dove le grandi specie dei deserti infuocati e degli abissi marini si materializzano in oggetti di arredo. Piccole creazioni, realizzate interamente a mano nel distretto della ceramica di Nove (Vicenza). Accanto i classici d’arredamento di Vitra, come Eames House Bird ed Eames Elephant, Wooden Doll e Rotary & Toolbox. Un assortimento di accessori per la tavola by Seletti e i Frutteti di Opinion Ciatti di Firenze, per passare poi a Mingardo con Satin Tray, Elettra e Folio e preziosi calici di Mun e con gli elementi di illuminazione di DCWédition. E poi ancora Marokka con i suoi Franke (h30) e EB con il suo Nani. Ai piedi del Ponte di Rialto | www.dfs.com/it/venice
ATTOMBRI
I fratelli Stefano e Daniele Attombri hanno iniziato alla fine degli anni ‘80 a rileggere in chiave contemporanea la storia, le tecniche e le potenzialità del vetro di Murano, divenendo in poco tempo un brand e quasi un classico delle arti applicate a Venezia. I loro gioielli sono come abiti, si indossano e diventano un capo vero e proprio. San Polo 65 | www.attombri.com
IL GIARDINO DI PIPPO
Un multistore dove trovare oggettistica esclusiva e originalissima per la casa, capi d’abbigliamento e accessori, tutto interamente disegnato da LCM Marin Design Studio e prodotto da artigiani italiani, vetri soffiati da Maestri muranesi, ceramiche lavorate a mano di Deruta, oggetti in legno massello di essenze pregiate, foulard delle seterie di Como. San Polo 64 | ilgiardinodipippo.com
PIEDATERRE
Hanno la bellezza della povertà le furlane veneziane, una bellezza senza trucco, naturale e perciò intramontabile. Interamente realizzate a mano, in modo ecologico, riutilizzando materiali di pregio e con metodi che appartengono alla tradizione con l’introduzione di qualche sostenibile innovazione, sono il must have dell’anno. San Polo 60 | piedaterrevenezia.com
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MERCATINO DELL’ANTIQUARIATO CAMPO SAN MAURIZIO
3, 4, 5 dicembre Visitare il mercatino con i banchi in legno e di forma antica, che riprendono la tradizione invariati dal 1970, anno di fondazione del mercato, è certamente un’esperienza da non perdere. A Venezia arrivano per questo evento piccoli antiquari da tutta l’Italia e le loro preziose merci – oggetti e curiosità del passato, ma soprattutto pezzi pregiati dal ‘600 al ‘900 – possono soddisfare i collezionisti più esigenti. Campo San Maurizio h. 9-19 www.mercatinocamposanmaurizio.it
MERCATINO DI NATALE NASONMORETTI
Fino 19 dicembre Elegante contaminazione di modernità e tradizione, la fornace si trasforma in un incredibile mercatino dove poter letteralmente scovare pezzi dalle collezioni classiche ispirate a fogge tradizionali che utilizzano il vetro trasparente e dalle collezioni più contemporanee, modelli di design, con forme semplici e una incredibile palette di colori. Tutto realizzato a mano dai Maestri vetrai della Manifattura. Calle dietro gli Orti, Murano h. 10-17 www.nasonmoretti.com
MERCATINO CAMPO SAN GIOVANNI E PAOLO
8-11 dicembre Ospitato nella Sala laterale della Chiesa di San Giovanni e Paolo, questo mercatino di vecchie cose è più focalizzato sull’antiquariato e sui bric-à-brac. Si trovano oggetti affascinanti e curiosi come i frullini per le uova degli anni ‘50, incisioni su Venezia dell’inizio del secolo e strani pezzi di gioielli in vetro di Murano. Da non perdere la gemma nascosta: sciarpe di seta stampate a mano con gli stessi processi della carta marmorizzata. Campo San Giovanni e Paolo h. 10-18
MERCATINI DI NATALE
Fino 26 dicembre Le bancarelle invadono le strade del centro di Mestre con una ricca e colorata varietà di proposte. Fino al 26 dicembre Piazza Ferretto, via Rosa e via Poerio accolgono suggestive bancarelle di artigianato e stand gastronomici: dagli addobbi di Natale alla bigiotteria, dall’abbigliamento a svariate idee regalo e prodotti tipici. In via Allegri i mercatini rimangono aperti fino al 9 gennaio 2022, mentre dal 3 dicembre via Palazzo si trasforma nell’elegante Mercato dei Portici. Mestre centro h. 10-20 events.veneziaunica.it
TABINOTABI
Capi base dalle linee minimal realizzati attraverso un processo produttivo all’avanguardia, brevettato ed esclusivo. Il tessuto Tabinotabi è ricavato da un’alga incorporata in una fibra di cellulosa naturale, che ne preserva le virtù anche dopo molti lavaggi. San Polo 63 | tabinotabi.com
Santa Croce BOTTEGA 2137
Inconfondibili creazioni natalizie: Paola e Manuela creano, scompongono e riassemblano com- posizioni floreali, piante e fiori rari accostandoli a oggetti d’arredo, vasi, candele, fragranze per la casa, provenienti da tutta Europa e dal mondo, scelti con raffinato gusto, ricercatezza e stile. «Amiamo concentrarci su tutto ciò che fa nascere in noi un’emozione o un ricordo. E condividerlo». Calle Longa, Santa Croce 2137 www.bottega2137.it
PAPEROOWL
La carta è un materiale prezioso che viene trasformato in gioielli, scatole, decorazioni per la casa, taccuini e altri oggetti unici e su misura, con tecniche di lavorazione veneziane, europee ed orientali, e carte da tutto il mondo che lasciano senza fiato. Entrate nella bottega laboratorio e prendetevi tempo, ne sarete rapiti completamente. Calle Longa, Santa Croce 2155/A it.paperoowl.com
SLA-SH
Un concept store dinamico e contemporaneo dalle molteplici sfaccettature: abiti, completi, scarpe, borse e accessori dallo stile inconfondibile. Il punto forte è l’attitudine e la vibrante energia delle due sorelle/titolari Patrizia e Marisa che selezionano e abbinano capi eleganti molto contemporanei. Calle Longa, Santa Croce 2156 www.slashtreviso.com
LUNARDELLI VENEZIA
Tra il duttile e il vivo, specialmente se de paina, il legno è il compagno ideale per il viaggio nel design di Lunardelli, azienda storica specializzata nella lavorazione del legno, che produce oggetti che esprimono l’anima di Venezia e l’alta qualità dell’artigianato italiano. Una falegnameria speciale: mai vista una simile prima. Calle Seconda del Cristo 2210/A, Santa Croce
DOPPIO FONDO
Un laboratorio d’arte e una casa editrice indipendente che attraverso la stampa tradizionale crea libri interamente fatti a mano, veri e propri oggetti di design: la struttura, l’impianto grafico e la rilegatura vengono progettati in stretta relazione al contenuto tematico del volume. Il risultato più stupefacente sono i libri d’artista in copia unica. Lista vecchia dei Bari, Santa Croce 1256 doppiofondo.org
San Marco GIULIANA LONGO
Giuliana Longo è l’artigiana veneziana per eccellenza che modella, confeziona o rimoderna cappelli. Il suo atelier è uno straordinario scrigno dedicato al cappello di ogni foggia e colore. Ce ne sono tanti e di diverse tipologie, e solo qui puoi trovare il copricapo originale da gondoliere. Calle del Lovo, San Marco 4813
Dorsoduro KANZ ARCHITETTI
Gli oggetti marchio KANZ hanno il carattere di pezzi unici, combinando le potenzialità del materiale e della tecnica, con l’idea del bello e del funzionale. KANZ Architetti esplora tecniche tradizionali per creare forme adatte al vivere contemporaneo. Calle Lunga San Barnaba, Dorsoduro 2858 www.kanzarchitetti.com
EDMOND À VENISE
Concept store all’ingresso di Palazzo Contarini Polignac mette in mostra il meglio delle arti e dei mestieri dell’artigianato veneziano contemporaneo, tra cui gioielli, tessuti, scarpe, indumenti e vetro lavorato a mano da importanti designer, insieme a dipinti e sculture creati da importanti artisti contemporanei in relazione a Venezia. Dorsoduro 871 www.palazzocontarinipolignac.com
PEGGY GUGGENHEIM COLLECTION MUSEUM SHOP
Un’interessante selezione di oggetti ispirati direttamente o indirettamente a Peggy Guggenheim, alla sua vita, come i suoi iconici occhiali, o agli artisti della sua Collezione, i grandi Maestri del Novecento, che sono i protagonisti di libri, riproduzioni, cartoleria, bigiotteria e accessori vari. Ogni oggetto acquistato sostiene la Collezione Peggy Guggenheim. Dorsoduro 710 | www.guggenheim-venice.it
ADL
Nata in Brasile, si trasferisce in Italia a 19 anni per conseguire studi di Design industriale allo Iuav di Venezia. Si specializza nella ceramica a Faenza prima di aprire a Venezia il suo ADL-Atelier Daniela Levera che produce oggetti funzionali e decorativi, in ceramica e porcellana, con diverse tecniche di produzione manuale.
LAM CERAMICA
Nel suo piccolo atelier Michele Hickey Gemin, combinando tecniche miste al tornio, crea e modella a mano i suoi pezzi di ceramica funzionali ma di particolare gusto, in cui abbina design minimale all’arte scultorea. Principalmente oggetti del vivere quotidiano ‘reinventati’ secondo uno stile unico: tazze, piatti, cucchiai, caraffe, teiere e orci. Salizada del Spezier, Cannaregio 4785 lamvenezia.com
IL FORCOLAIO MATTO
Piero, il Forcolaio Matto, nel suo laboratorio, oltre alla costruzione di remi e forcole, realizza oggetti e accessori in legno: originalissimi orecchini e collane, realizzati con preziosi e rari legni colorati, ma anche taglieri per la cucina, sottopentola, mestoli e tanto altro! Ramo dell’oca, Cannaregio 4231 www.ilforcolaiomatto.it
EAT AND RUN
Michela Bortolozzi è una giovane artista veneziana, impegnata nell’arte sostenibile. Il suo progetto Eat and Run riguarda Venezia e il turismo, parte dal concetto di souvenir, il cui scopo è il ricordo di un luogo, di un’emozione, di un’esperienza vissuta, di un aneddoto trovato. Lecca-lecca, candele e orecchini a forma di trifore diventano vere e proprio architetture commestibili per un turismo più responsabile. Campo dei Mori, Cannaregio 3384b eat-and-run.com
Castello QSHOP
Bookshop della Fondazione Querini Stampalia che offre un’accurata selezione di volumi sull’arte contemporanea, il design e la fotografia, oltre a un’originale scelta di argenti, vetri e tessuti firmati da nomi di prestigio: Carlo Scarpa, Mario Botta, Alvar Aalto, Charles Renne Mackintosh, Afra e Tobia Scarpa, Lella e Massimo Vignelli, Ettore Sottsass. E poi gioielli, oggetti per la tavola e la casa progettati da giovani designer, sciarpe e stole in seta e rame, segnalibri, articoli in carta e in metallo. Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.querinistampalia.org
TONOLO SELEZIONI
Cannaregio
Un collage di entità culturali e commerciali dalla moda al design, dal lifestyle ai libri, con particolare attenzione a marchi di designer europei. Impossibile non trovare quello che cercate. Un must.
STUDIO SAÒR
Campo Santa Maria Formosa, Castello 5248A www.tonoloselezioni.com
Dorsoduro 3464 | atelierdanielalevera.com
Souvenir contemporanei, oggetti che possono stimolare un ricordo e allo stesso tempo incoraggiare chi visita Venezia ad osservare la città con occhi nuovi. Si tratta di “architettura illustrata”, nata dalla curiosità di una coppia di architetti spinta dalla volontà di sperimentare un metodo di osservazione e rappresentazione dei luoghi diverso. Salizada San Canzian, Cannaregio 5576/A studiosaor.com
SUNSET YOGURT
Stile elegante, audace e scultoreo. Le creazioni sono interamente fatte a mano con piccole imperfezioni che racchiudono l’energia dell’artista e rendono ogni pezzo unico. Senso e assurdità, tragicità e humour, caos e calma trovano nei gioielli di Cosima Montavoci una comune dimensione dove coesistere. Fondamenta San Gioacchin, Castello 494/A sunsetyogurt.com
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xmastale Incontro ravvicinato nel bel mezzo del gelido inverno
Testo e foto di Nico Zaramella
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CHI HA PAURA DEL LUPO CATTIVO? Il lupo ha la sua famiglia, alleva i suoi cuccioli e li coccola, si muove in gruppo e ha una sua socialità e una sua precisa gerarchia sociale. È un cacciatore. Insomma, ci assomiglia e nella sua pelle possiamo nascondere le nostre infelici nefandezze
S
e è vero che la vita di un fotografo naturalista “wild” è molto difficile credo sia altrettanto vero che quella del narratore o giornalista non lo siano da meno. Entrambe sono coinvolte, nella necessità di comunicare, dal farlo in modo autentico, di provare a rispondere alle usuali cinque fatidiche domande: chi, cosa, dove, quando, perché (le famose 5 W degli anglosassoni: Who, What, Where, When, Why). C’è chi lo fa con le parole, chi con le immagini e chi, come il sottoscritto, non lesina né le une né le altre e si prende magari il lusso di esprimere opinioni. Ma oggi è difficile scrivere, parlare, scattare immagini e poi lo è ancor più se il tutto deve assumere le sembianze di un Christmas Carol, di un canto natalizio, gioioso, spensierato. Probabilmente immagini gioiose quanto poco probabili o rutilanti di luci, doni, slitte e lucine producono sostanzialmente un solo effetto: anestetizzare ogni forma di consapevolezza. Ma questo sarebbe il momento della consapevolezza e non solo dei buoni pensieri. Ma allora perché mai questo canto di Natale non
potrebbe semplicemente essere consapevolezza del reale e di tutto quanto si potrebbe, o meglio, si deve fare per essere migliori, perché Natale sia Natale e non solo un momento di “insana” o “ansiosa” spensieratezza? Perché non proviamo a smetterla di raccontare fandonie ai bambini o minare seriamente il loro incerto futuro con storielle che ne condizioneranno la capacità di socializzare e la consapevolezza di avere un ruolo e una responsabilità in questo mondo? Già, perché poi, crescendo, graverà su di loro la responsabilità di un serio “imprinting” sul futuro, con tutto ciò che ne consegue, nel bene o nel male, in termini prospettici plurisecolari. È proprio impossibile uscire dal mondo delle favole ed entrare in quello della morale, che spesso è poi nient’altro che l’epilogo canonico delle stesse? È veramente una saggia idea crescere i nostri figli, consapevoli come tutti dovremmo essere della potenziale imminente catastrofe che incombe sul nostro malandato pianeta, nel convincimento che viviamo nel paese dei balocchi trasmettendo, quindi, un messaggio altamente
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xmastale
CHI HA PAURA DEL LUPO CATTIVO?
diseducativo? Non so se dobbiamo crescere dei piccoli “spartani”, ma credo che presto capiremo che forse questo è ciò che sarà necessario fare, per loro e pure per noi. Perché, a ben vedere, nell’ultimo secolo potremo riflettere a lungo sull’eccesso di insana spensieratezza. E allora? Allora sono qui in questo autunno-inverno dell’anno 2021 a.C. (after Covid) nell’artico canadese, che francamente mi sento addosso come una seconda pelle, a cercare di ripulire anche le mie ultime sinapsi dell’idea di essere l’Animale Superiore, dell’eccessiva voracità del mio spirito e della mia anima che non è ancora sufficientemente corretta dall’idea che un Indefinito Superiore mi abbia/ ci abbia autorizzati ad usurpare, uccidere, consumare, sprecare. Voglio metabolizzare fino in fondo l’idea di essere stato vittima di fandonie in buona fede, di falsi miti e false idee. Voglio passeggiare – se così si può dire – da animale libero verso un lupo libero e un orso libero. Voglio che mi si ricordi qui seduto tra un lupo e un orso in un mondo sconosciuto e in cui entro con gentilezza e gentilmente ospitato dai miei simili, che finalmente potrò osservare negli occhi perché straordinariamente e decisamente uguali. È vero, non voglio che se vi sarà una memoria di me sia una memoria indegna e non voglio nemmeno che sia fatta di figli, case, monumenti e pire funerarie. Preferisco vivere nel ricordo, finché ce ne sarà uno, come quel tizio che se ne stava in mezzo al ghiaccio o su una collina dove pochi potevano in realtà vederlo, così come sta un uomo solo, o un solo uomo, seduto tra un lupo e un orso. Così stabilirò una volta per tutte che non voglio essere confuso con un uomo omologato e di cui è facile leggere il libretto di istruzioni. Il mio pensiero vaga tra Hemingway e Calvino. Io e le mie idee siamo sempre stati così: abbiamo convissuto
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intensamente da decenni e a mano a mano che qualche pelo ingrigisce più la mia filosofia – e cioè «l’attività spirituale autonoma che interpreta e definisce i modi del pensare, del conoscere e dell’agire umano nell’ambito assoluto ed esclusivo del divenire storico…» – si fa astuta, gioca a nascondino con la mia razionalità, si diverte con piccoli duelli. Ma lo scopo è forse il vero duende finale della mia esistenza. Il piccolo compound in cui mi trovo in mezzo all’artico è un avamposto di semplice curiosità o di autentica civiltà e rispetto? Non saprò mai rispondere. Ma una cosa è certa, mentre gli amici ancora dormono aspettando la prima luce, in piena notte me ne sto seduto di fronte alla finestra che dà sulla linea di difesa. Sono le tre di notte ora locale: da dove vengo sono già le dieci del mattino e la gente sta indaffarata e ‘mascherata’ in ufficio, per strada o a bere caffè inseguita da un virus che altro non è che la catarsi di ciò che siamo e siamo stati (e ne siamo pienamente consapevoli). Ma è sull’immagine del caffè che mi concentro. Devo fare due passi verso la cucina per prendere la brocca e versarmene una tazza abbondante. I problemi sono due, anzi tre. Qui il caffè non è lungo, ma lunghissimo e mi rimane dunque difficile raggiungere il mio scopo di avere abbastanza caffeina da rimanere ben sveglio. Il secondo problema è più semplice: per raggiungere il caffè devo uscire dal piccolissimo dormitorio, all’aperto, fare una quindicina di metri a 20 gradi sotto zero con i pantaloncini corti del pigiama e una maglietta di cotone… Ad ogni modo si può fare (lo farò da allora ogni notte). Il terzo è ben più serio. Infatti non me ne sto alla finestra ad osservare il buio, bensì tre lupi accucciati a qualche metro dal compound che dormono sfiorati da un bagliore tenue che proviene da chissà quale lampadina
accesa. Se esco da qui non godrò più della loro compagnia. In questi giorni ho capito che il lupo non dorme mai. Il lupo non è un cane. Il lupo sonnecchia: chiude gli occhi in attesa del giorno, ma le sue orecchie se ne stanno ritte, attente ad ogni minimo scricchiolio. Se un ago di pino cade nella foresta il lupo lo sente e i suoi padiglioni sembrano seguire anche una semplice foglia mossa dal vento. All’improvviso uno scatto e la testa si solleva dalla neve. Lo sguardo acuto sonda il buio per poi abbandonarsi ancora al riposo. Sono qui per vedere le interazioni tra orsi polari e lupi ma non ne vedrò nessuna. Più volte gli uni si sono avvicinati agli altri, ma pur studiandoli a debita distanza con i binocoli, per non interferire sul corso della loro vita, ho registrato tra queste due specie sempre un forte rispetto reciproco e una attenta valutazione da parte di entrambe delle forze in campo. Il grande orso polare addormentato in attesa che la baia di Hudson si converta in un enorme lago marino ghiacciato, così da fornirgli libero accesso alle foche e ai loro cuccioli, si solleva appena al passaggio del più grande branco di lupi che mi sia mai capitato di vedere: 14 grossi esemplari sfilano ordinati, non tentano nemmeno di avvicinarsi al più mastodontico e forte carnivoro terrestre. Forse il branco potrebbe anche uccidere quella immensa macchina della sopravvivenza ma il costo sarebbe altissimo e così non noto alcuna interazione ma solo sguardi, aria annusata fatta di contenuti molecolari che solo loro sanno interpretare: percepiscono paura, fame, forza. Non sembra il caso di battersi e mettere a repentaglio la vita o subire irreparabili ferite, meglio cercare prede adeguate. Alla fine, tra una riflessione e l’altra, nel silenzio mi appisolo. La mano di Frank mi sfiora la spalla verso le cinque. Scatto in piedi mentre nel mio cuore e nella mia testa sento il profumo della neve percorrendo vie oniriche tra odori di natura a inondare i miei polmoni della fredda aria del giorno. Ma loro… niente,
scomparsi. Tuttavia ho netta la sensazione di aver percepito l’howling del branco, l’ululato, pochi secondi prima di assopirmi. Sarà perché in questi giorni il branco ha ululato molte volte e questo corale gregoriano di tonalità alterne e mai dissonanti continua a farmi rivivere il duende della mia vita e della loro esistenza. Proprio come Federico Garcia Lorca abbiamo tutti un’arte inspiegabile dentro che viene dalla terra, dal pianeta. Una forza misteriosa, malinconica, nostalgica: morte, vita, amore, movimento. Così io vivo il mio duende guardando negli occhi quel lupo che più tardi incontrerò così da vicino come mai mi è accaduto prima e forse mai mi accadrà ancora. Non c’è trucco, non c’è inganno; nessuna luce artificiale, nessuna falsa attrazione alimentare, nessun nascondiglio. Ho bisogno, è necessario per me stesso e per loro, di sedermi sulla neve con la mia macchina fotografica imbracciata come il calumet della pace. Devo vedere cosa farà, se ci guarderemo con rispetto e con dignità. Ma passa ancora qualche tempo, ore rubate al sonno per continuare a spiare e forse essere spiato da questo splendido compagno di vita. Durante il giorno i nostri passi sulla neve ben guidati da Andy ci hanno portato veramente a pochissimi metri dal grande orso polare. Siamo di fronte al più inimmaginabile carnivoro terrestre senza alcuna difesa, senza armi, senza riparo. Gli orsi polari della baia di Hudson sono dei ‘pendolari’ di un cosmo per cui sono stati perfettamente modellati dall’evoluzione. Si muovono dalla terraferma verso il ghiaccio marino della seconda baia più grande della terra, consapevoli da millenni che proprio in queste settimane il mare diventerà solido ghiaccio. Così si spingeranno verso le foche e i loro cuccioli sperando che il ghiaccio, quell’acqua solida che diventa sempre più il ricordo del pianeta originale, duri fino a primavera. Nel frattempo paiono “bighellonare” o dormicchiare sulle rive, ma in realtà la caccia continua, dormono e si stiracchiano, ben nutriti ma in vigile attesa di prede e di ghiaccio.
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xmastale
CHI HA PAURA DEL LUPO CATTIVO?
Non perdono mai l’occasione di essere curiosamente attratti da tutto ciò che si muove sulla loro terra. Voglia di conoscere o di assaggiare? In realtà abbiamo immagazzinato comportamenti e qualche buona norma per riuscire a sentire il loro alito ma non i loro denti. Il gigante bianco avanza verso il nostro piccolo manipolo, lentamente, in modo guardingo. Non di rado si ferma e si accuccia. Sono convinto che stia pensando. È intelligente e sufficientemente consapevole che, curiosità o fame che sia, lo spreco di energie e i rischi inutili rappresentino i principali pericoli dell’Artico per chi non ha veri nemici. Indietreggiare e studiare questo strano nuovo animale o avvicinarsi per un supplemento di colazione? Ogni scelta ha un peso sulla sua sopravvivenza e io preferisco pensarlo come ingegnoso essere del freddo che poco resiste alla spinta di conoscere. Allora si avvicina, si avvicina terribilmente per noi piccoli e inadeguati bipedi disadattati, e francamente nessuno si rende conto delle sue dimensioni, della sua enorme mole, fino a che non è a dieci-quindici metri da noi, quando effettivamente non si può non vivere il nudo disagio che deriva dalla consapevolezza di una siffatta disparità. La consapevolezza che a questo punto basterebbero un paio di allunghi, due balzi e probabilmente non rimarrebbe molto di noi. Ci illudiamo che sia il nostro agire a dissuaderlo, ma la convinzione che mi sono fatto è che la sua diffidenza è al tempo stesso piena consapevolezza e la sua decisione di agire, osservare, imparare è il frutto di un bilancio tra ciò che non conosce e il convincimento che, comunque, non vale la pena di correre alcun rischio. Già, consapevolezza: sto usando sempre più spesso questa parola. Awareness. Wikipedia ci aiuta: «…la capacità di essere a conoscenza di ciò che viene percepito e delle proprie risposte comportamentali. Si tratta di un processo cognitivo distinto da sensazione e percezione. Un’altra definizione la descrive come
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uno stato in cui un soggetto è a conoscenza di alcune informazioni quando tali informazioni sono direttamente disponibili per essere trasferite nella direzione di un’ampia gamma di processi comportamentali. Il concetto è spesso sinonimo di coscienza ed è anche inteso come coscienza stessa». Ebbene Lui è cosciente, è consapevole ed elabora le informazioni secondo un procedimento cognitivo accorto, logico. Ma quanto noi siamo altrettanto consapevoli? Quanto siamo in grado di profondamente conoscere informazioni di cui abbiamo piena e ampia disponibilità e conseguentemente di informare con l’assimilazione piena delle stesse il nostro modo di agire, le nostre scelte, il nostro essere uomini oggi? Oramai ogni giorno mi chiedo quando scoccherà l’ora del non ritorno. Inutile ribadire che ci siamo circondati di trabocchetti e sabbie mobili più o meno consapevolmente costruiti con le nostre stesse mani: consumo di energie non rinnovabili, inquinamento, incremento della temperatura, produzione di scorie non riciclabili, distruzione dell’ambiente e degli ecosistemi. Il tutto amplificato a dismisura da una incontrollata crescita della popolazione umana del pianeta, il comune denominatore di ogni guaio. Un piccolo essere pressoché indifeso, l’ominide, che non ha seguito la regola numero uno dell’evoluzione: colui che si adatta all’ambiente è selezionato a sopravvivere. Noi, animali non apicali, ci siamo resi tali semplicemente invertendo la prima regola: non ci siamo adattati all’ambiente, ma abbiamo adattato l’ambiente alle nostre necessità, che il più delle volte obbediscono alla regola della moltiplicazione o dell’invasione incontrollata. E non è proprio un caso se la nostra fantascienza rappresenti a tutt’oggi ancora una forma di catarsi: esseri alieni che si espandono nell’universo, divorando e distruggendo, voraci essi stessi della nostra umanità. Una modalità espressiva, creativa a suo modo certamente, di rimuovere dal nostro subconscio ciò che in realtà
noi siamo: esseri voraci e distruttivi. Allo stesso modo perciò tutte le favole e l’odio più o meno manifesto nei confronti del lupo altro non sono che il tentativo di proiettare esternamente, in altre specie e fenomeni della natura, il nostro modo di essere, le nostre caratteristiche e le nostre inconfessabili ambizioni e peculiari paure. Il lupo ha la sua famiglia, alleva i suoi cuccioli e li coccola, si muove in gruppo e ha una sua socialità e una sua precisa gerarchia sociale. È un cacciatore. Insomma, ci assomiglia e nella sua pelle possiamo nascondere le nostre infelici nefandezze perché, per usare le pregnanti parole di Giuseppe Festa, «il lupo non è il cattivo delle favole, fa solo quello per cui è nato e il suo istinto è necessario e prezioso per mantenere l’equilibrio dell’ambiente in cui vive». Il lupo si riproduce in misura adeguata a mantenere l’equilibrio della sua specie e dell’ambiente in cui vive. Non prende più di ciò che è strettamente necessario e da secoli in Italia, pare almeno due, non aggredisce l’uomo: è quindi più facile subire l’aggressione di un animale domestico piuttosto che essere assaliti da un lupo, solo o in branco che sia. L’assoluta prevalenza di banali ferimenti ci fa semplicemente e agevolmente capire che il lupo aggredisce per semplice timore dell’uomo, per mera e fonda paura di essere la vittima del piccolo-grande, insaziabile predatore. Quel piccolo-grande insaziabile predatore ben restituito dall’eterna favola di Cappuccetto Rosso, in cui comodamente si rappresenta in quanto tale nelle sembianze del lupo, scaricando su di esso tutte le sue infelici crudeltà. Non dovremo più dire “in bocca al lupo”, ma “in bocca all’uomo”. Niente di meglio, per dare sostanza teorica all’assunto, che le parole qui di Bruna Marzi: «come tutte le zoofobie, anche quella del lupo implica la paura di essere mangiati, divorati: si tratta della proiezione su un oggetto esterno (l’animale) del desiderio di aggredire, divorare, incorporare, che
trova fondamento nella vita pulsionale del bambino… Il bambino attribuisce al lupo i propri desideri che vive narcisisticamente come rivolti contro sé stesso». Ancora con assoluta limpidezza l’autrice ben spiega quanto «il lupo è dentro di noi e la possibilità di proiettarlo all’esterno è un’operazione difensiva che talvolta può salvaguardare l’integrità psicobiologia da pericolose spinte autodistruttive». E allora… stop. Cammino guardingo, respiro piano, lentamente, per non far rumore, per dirla alla Vasco. Ogni cespuglio, ogni angolo cieco del sentiero nasconde sorprese e, talvolta, avventure. Mi sento un po’ così, come loro. Potrei imparare ad annusare quelle molecole disperse nell’aria. Immaginare presenze, storie, situazioni, possibili circostanze. Quante volte nella mia vita avrei dovuto annusare l’aria, prevedere, essere guardingo, o viceversa farmi più determinato e aggressivo. Vivo un’inedita sintonia ora con i piccoli suoni che prima non sentivo, non riconoscevo, con piccoli cambiamenti della “scena”, ma il lupo ha lunghe e dinoccolate zampe e le loro impronte di cuscinetti larghi e distanziati sembrano fatte apposta per passi impercettibili, di cui si colgono solo segni di una presenza che “è stata” e “non è più”. Tracce. Ma su questa neve caduta durante la notte e che ancora fiocca non ci sono queste tracce, no. Un centinaio di metri prima la grande falcata impressa da un grosso orso polare, probabilmente passato da pochi minuti, così, a maggior ragione, la mia attenzione risuona con le stesse vibrazioni della taiga invernale: suoni impercettibili, scricchiolii, odori tenui. È uno stato di grazia: un adattamento, o un tentativo di adattamento, a questo ambiente che percepisco progressivamente ospitale, certo rischioso, ma “adeguato”. Ed è precisamente in questo stato di grazia, dove i segni si amplificano a dismisura, che entra il lupo nel mio campo visivo da un angolo impensato, da una distorsione della realtà e degli
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xmastale
CHI HA PAURA DEL LUPO CATTIVO?
arbusti. I suoi tratti per lo più invisibili diventano occhi e pelo. Siamo infine l’uno di fronte all’altro. È accaduto così, come se l’immaginazione o il sogno diventassero incombente realtà: il Mio Lupo si è materializzato a pochi metri da me. Forse sino a pochi secondi prima nessuno dei due aveva percezione dell’altro, o forse lui, invece, era ben consapevole della mia presenza giocando la carta del mimetismo con le sfumature infinite di quella bassa vegetazione invernale, attendendo curioso l’ipotetica, prossima preda o qualcosa di nuovo da conoscere. Essere a pochi metri da un grande lupo nel pieno della sua bellezza invernale, in quella luce artica da far invidia a ogni fotografo, solo, senza trabocchetti né inganni è un’emozione inspiegabile, non restituibile nella sua pienezza epifanica. Ma lo straordinario accadrà dopo pochi attimi. So quanto il lupo teme l’uomo e quanto l’uomo non sia un alieno, bensì oramai una paura geneticamente trasmessa; ma il Mio Lupo non fugge, continua ad osservarmi attento ad ogni movimento troppo brusco, pronto a scomparire così come è apparso. Devo essere lupo anch’io. Mi accoscio sulla neve e automaticamente cambio le impostazioni della mia macchina fotografica per avere lo scatto più silenzioso e meno metallico possibile. Da quel momento porterò lentamente quella grossa fotocamera al mio occhio e inizierò a scattare immagini ed immagini mentre lui attento mi fissa e inizia ad avvicinarsi annusando l’aria. Compie
lentamente un semicerchio attorno a me, obbedendo rigorosamente alla sua sapienza che gli ha insegnato che l’avvicinamento non è mai inseguire una linea retta, ma una curva. Si sofferma, abbassa la testa e fissa con occhi grandi e splendidi: durerà pochi secondi o minuti, non lo so più…, ma quanto basta prima di allontanarsi tra i cespugli annusando qualcosa che solo lui conosce. Più tardi quello sarà il nostro racconto di fronte al fuoco, bevendo caffè lungo, aspettando che la notte forse ci riporti i verdi bagliori delle luci del nord. Nei giorni successivi incontrerò molte volte quel grosso branco di lupi, ogni volta felice di vedere roteare code folte alzate in alto in segno di spensieratezza, ma non avrò più un incontro con il Mio Lupo, che rimarrà per sempre qualcosa di prezioso nello scrigno della mia memoria e del ricordo altrui, se varrà la pena che qualcuno si ricordi di me. Questo Christmas carol finisce quindi permeato di questo mio stato definitivo di felicità. Ma attenzione alla reverie. Non instilliamo più nella mente dei nostri bambini l’idea che sia il lupo cattivo a voler mangiare Cappuccetto Rosso: dentro la pelle di quel lupo si nasconde sempre un uomo di cui aver paura. Ricordiamoci Plauto: «homo homini lupus», l’uomo è lupo per l’uomo. Iniziamo a regalarci e a regalare sotto l’albero alta educazione ambientale. Auguri a tutti, ne abbiamo bisogno.
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agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
04
sabatoSaturday
LEO DI ANGILLA CAJON JAZZ TRIO
Jazz
Al Vapore-Marghera h. 19
05
:musica
DicDec
domenicaSunday
KYLE EASTWOOD
Colonne sonore “Candiani Groove”
Centro Candiani-Mestre h. 18
07
WRONGONYOU
Pop
New Age Club-Roncade h. 19
CARMEN CONSOLI
P. 78
Musica d’autore
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
12
domenicaSunday
Pop
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
VAZ TÈ & DISME
Rap
New Age Club-Roncade h. 19
08
MOVIECHORUS
Pop
Teatro Verdi-Padova h. 18.30
09
15
mercoledìWednesday P. 82
Rafael Soto Rodriguez
Fondaco dei Tedeschi, Rialto h. 18.30
venerdìFriday
ALE PASCALI GOSPEL TRIO
Jazz
Splendid Venice Hotel h. 19
16
giovedìThursday
MILES DAVIS SCHOOL
Jazz
Al Vapore-Marghera h. 19
17
BOZZATO-VIO DUO
Jazz
Al Vapore-Marghera h. 19
venerdìFriday
Jazz
Splendid Venice Hotel h. 19
ZAMPA DI COCKER
MOMBAO THE HUNTING DOGS
Joe Cocker tribute
Al Vapore-Marghera h. 19
DIEGO BOROTTI NU4TET
Teatro La Fenice h. 19.30
Indie P. 79
domenicaSunday
Al Vapore-Marghera h. 19
22
mercoledìWednesday
Teatro Toniolo-Mestre h. 21
HARLEM GOSPEL CHOIR
JOE BASTIANICH & LA TERZA CLASSE
Rock
Capitol-Pordenone h. 21
venerdìFriday
NILZA COSTA 4TET
Jazz
Laguna Libre h. 20
26
Astro Club-Fontanafredda h. 21
domenicaSunday
MAGICAL MYSTERY ORCHESTRA
Beatles tribute
SUMMERTIME CHOIR
Gospel
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
SAMUEL
Elettronica
Capitol-Pordenone h. 21
29
mercoledìWednesday
MUSIC 4 ROSE
Pop
Al Vapore-Marghera h. 19
70
JAY JAY JOHANSON
P. 83
Cinema Visionario-Udine h. 21
venerdìFriday
CASANOVA OPERA POP
P. 80
Teatro Malibran h. 20
22
sabatoSaturday
CASANOVA OPERA POP
Pop
ACQUA E SALE
24
venerdìFriday
Pop
Al Vapore-Marghera h. 19
THE GOSPEL TREE
sabatoSaturday
Pala Bruel-Bassano del Grappa h. 21
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
CONCERTO DI NATALE MUJERES DE ARENA Y OTRAS HISTORIAS
Al Vapore-Marghera h. 19
21
RAF-TOZZI
Pop
Gospel
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
Jazz
Astro Club-Fontanafredda h. 21
Dj-set
Teatro Verdi-Padova h. 21
Musica leggera
giovedìThursday
Indie elettronico “Sexto Nplugged”
Mina & Celentano tribute
MASSIMO RANIERI
CENTAZZO OTTAVIANO
PORDENONE CHRISTMAS PARTY
ROBY FACCHINETTI YOUNG ORCHESTRA
Pooh tribute
mercoledìWednesday
07
GEKOKUJO
P. 82
GenJan
Al Vapore-Marghera h. 19
EXTRAVAGANZA NATALIZIA
Indie
martedìTuesday
TONY HADLEY
sabatoSaturday
Pop tribute
19
KORALLE BEAT SET FOX
14
martedìTuesday
Al Vapore-Marghera h. 19
Jazz
Astro Club-Fontanafredda h. 21
Argo 16-Marghera h. 19
DALYRIUM BAY
11
Indie
Synth jazz
Ska
10
18
THE DEVILS CYBORG ZERO
Teatro Malibran h. 20
GIÒ DI TONNO P. 83 VITTORIO MATTEUCCI GRAZIANO GALATONE
Pop
Teatro Corso-Mestre h. 21.15
23
domenicaSunday
CASANOVA OPERA POP
Pop
Teatro Malibran h. 20
27
giovedìThursday
CECILIA VENDRASCO PIETRO TONOLO GIANCARLO BIANCHETTI
Jazz “Spaesamenti musicali”
Fondazione Querini Stampalia h. 18
29
sabatoSaturday
MARRACASH
Rap
P. 82
PalaInvent-Jesolo h. 21
AL VAPORE
Via Fratelli Bandiera 8-Marghera www.alvapore.it
ARGO 16
Viale dell’Industria 27/5-Marghera Fb: Argo 16
ASTRO CLUB
Via Puccini 141-Fontanafredda Fb: Astro-Club
CAPITOL
Via Mazzini 60-Pordenone Fb: Capitol Pordenone
CENTRO CANDIANI
Piazzale Candiani 7-Mestre www.culturavenezia.it/candiani
CINEMA VISIONARIO
Via Asquini 33-Udine www.visionario.movie
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA
Campo Santa Maria Formosa www.querinstampalia.org
GRAN TEATRO GEOX
Via Tassinari 1-Padova www.zedlive.com
LAGUNA LIBRE
Fondamenta Cannaregio Fb: Laguna Libre
NEW AGE CLUB
Via Tintoretto 14-Roncade www.newageclub.it
PALA BRUEL
Via Ca’ Dolfina 60-Bassano d. G. www.duepuntieventi.com
PALAINVENT
Piazza Brescia 11-Jesolo www.azalea.it
SPLENDID VENICE HOTEL
DicDec
04
:classical
INDIRIZZI
sabatoSaturday
MYUNG-WHUN CHUNG direttore
Maida Hundeling soprano P. 88 Anke Vondung mezzosoprano Vincent Wolfsteiner tenore Thoms Johannes Mayer basso Musiche di Beethoven Orchestra e Coro del Teatro La Fenice “Stagione Sinfonica 2021-2022“
Ingresso/Ticket € 110 Teatro La Fenice h. 20
05
domenicaSunday
GUSTAV AUZINGER organo
MYUNG-WHUN CHUNG direttore
Maida Hundeling soprano Anke Vondung mezzosoprano Vincent Wolfsteiner tenore Thoms Johannes Mayer basso Musiche di Beethoven Orchestra e Coro del Teatro La Fenice “Stagione Sinfonica 2021-2022“
Ingresso/Ticket € 110 Teatro La Fenice h. 17
VALENTINA COLADONATO
soprano
CLAUDIO PROIETTI pianoforte
Musiche di Ravel, Fedele, Poulenc “Musikàmera“
Ingresso/Ticket € 25 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
TEATRO MALIBRAN TEATRO TONIOLO
Piazzetta Malipiero 1-Mestre www.venetojazz.com
TEATRO VERDI
Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it
Letture versi danteschi “Diverse voci fanno dolci note“
Ingresso/Ticket € 66/30 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
10
venerdìFriday
BACHARO TOUR
Musiche di Bach “Bach Friday“
Ingresso libero/Free entry Spazio Berlendis h. 19.30
MARIA PIA PISCITELLI soprano MAURIZIO COLACICCHI
pianoforte
Musiche di Ponchielli, Mascagni, Catalani “Musikàmera“ Ingresso/Ticket € 25 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
ORCHESTRA DI PADOVA E DEL VENETO FILIPPO M. BRESSAN direttore GIULIA BOLCATO soprano
GAIA TRIONFERA violino ALESSANDRO TAVERNA
Ingresso su invito/Admission upon invitation Basilica del Santo-Padova h. 20.45
Musiche di Mozart, Schubert, Brahms “Musica con le Ali“
LA TRAVIATA SPECIAL EDITION
Ingresso/Ticket € 20 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 18
Campiello del Teatro 5873 www.teatrolafenice.it
ALDO CAZZULLO voce narrante PIERO PELÙ
Musiche di Bach “Concerto di Natale“
lunedìMonday
TEATRO CORSO
TEATRO LA FENICE
giovedìThursday
Ingresso/Ticket €35/20 Teatro Malibran h. 19
pianoforte
Campo San Fantin 1965 www.venetojazz.com
09
Contest di canto lirico
Ingresso libero/Free entry Chiesa di San Trovaso h. 16
San Marco 760 www.venetojazz.com
Corso del Popolo 30-Mestre www.dalvivoeventi.it
Ingresso/Ticket € 25/15 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
MASCARADE EMERGING ARTISTS
Musiche del repertorio sacro “Avvento in Musica“
06
FILIPPO GORINI pianoforte
Musiche di Schubert, Brahms “Stagione concerti 2021-2022“
07
martedìTuesday
ENSEMBLE LE PARNASSE FRANÇAIS LOUIS CASTELAIN direttore SANDRO CAPPELLETTO
P. 89
voce narrante
Madrigali cinquecenteschi su testi danteschi “Diverse voci fanno dolci note“
Ingresso/Ticket € 45/30 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
Ivan Stefanutti regia P. 89 Francesco Rosa direttore Musiche di Verdi “Stagione 2020-2021“
Ingresso/Ticket € 50/12 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20
11
sabatoSaturday
MARIO BRUNELLO violoncello
piccolo
Musiche di Bach “Stagione 2021“
P. 89
Ingresso/Ticket € 33/11 Auditorium Lo Squero-Isola di San Giorgio h. 17
71
agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
:classical
12
domenicaSunday
STEFANO PELLINI organo FRANCESCO GIBELLINI tromba
Musiche del repertorio sacro “Avvento in Musica“ Ingresso libero/Free entry Chiesa di San Trovaso h. 16
EX NOVO ENSEMBLE
Daniele Ruggieri flauto Carlo Teodoro violoncello Aldo Orvieto pianoforte Musiche di Firsova, Carter “Ex Novo Musica 2021“
Ingresso/Ticket € 20 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
LA TRAVIATA SPECIAL EDITION
Ivan Stefanutti regia Francesco Rosa direttore Musiche di Verdi “Stagione 2020-2021“
Ingresso/Ticket € 50/12 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16
18
sabatoSaturday
20
lunedìMonday
QUARTETTO DAFNE MANUELA CUSTER soprano RAFFAELE CORTESI pianoforte
Musiche di Rossini, Puccini “Diverse voci fanno dolci note“
Ingresso/Ticket € 45/25 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
MARCO GEMMANI direttore P. 44 MARIA CLARA MAIZTEGUI
soprano
ANDREA GAVAGNIN controtenore ENRICO IMBALZANO tenore MARCIN WYSZKOWSKI basso
Musiche di Galuppi “Concerto di Natale”
Ingresso su invito/Admission upon invitation Basilica di S. Marco h. 20
21
martedìTuesday
MARCO GEMMANI direttore MARIA CLARA MAIZTEGUI
QUARTETTO DI VENEZIA MAURIZIO BAGLINI pianoforte
soprano
Ingresso/Ticket € 33/11 Auditorium Lo Squero-Isola di San Giorgio h. 17
Musiche di Galuppi “Concerto di Natale”
Musiche di Brahms “Stagione 2021“
19
domenicaSunday
VIVIANA ROMOLI organo POURQUOI-PAS ENSEMBLE
Musiche del repertorio sacro “Avvento in Musica“ Ingresso libero/Free entry Chiesa di San Trovaso h. 16
ANONIMA FROTTOLISTI
Musiche del repertorio medievale e rinascimentale “Concerto di Natale“
Ingresso libero/Free entry Chiesa di San Teonisto-Treviso h. 18.30
31
venerdìFriday
FABIO LUISI direttore PRETTY YENDE soprano BRIAN JAGDE tenore
Musiche di Mascagni, Verdi, Rossini Orchestra e Coro del Teatro La Fenice “Concerto di Capodanno” Ingresso/Ticket € 220 Teatro La Fenice h. 16
LA TRAVIATA SPECIAL EDITION
Ivan Stefanutti regia Francesco Rosa direttore Musiche di Verdi “Stagione 2020-2021“
Ingresso/Ticket € 50/12 Teatro Verdi-Padova h. 21
GenJan
01
sabatoSaturday
FABIO LUISI direttore PRETTY YENDE soprano BRIAN JAGDE tenore
ANDREA GAVAGNIN controtenore ENRICO IMBALZANO tenore MARCIN WYSZKOWSKI basso
Musiche di Mascagni, Verdi, Rossini Orchestra e Coro del Teatro La Fenice “Concerto di Capodanno”
Ingresso su invito/Admission upon invitation Basilica di S. Marco h. 20
08
29
mercoledìWednesday
LA TRAVIATA SPECIAL EDITION
Ivan Stefanutti regia Francesco Rosa direttore Musiche di Verdi “Stagione 2020-2021“
Ingresso/Ticket € 50/12 Teatro Verdi-Padova h. 20.45
30
giovedìThursday
FABIO LUISI direttore P. 44 PRETTY YENDE soprano BRIAN JAGDE tenore
Musiche di Mascagni, Verdi, Rossini Orchestra e Coro del Teatro La Fenice “Concerto di Capodanno” Ingresso/Ticket € 220 Teatro La Fenice h. 17
Ingresso/Ticket € 410 Teatro La Fenice h. 11.15
sabatoSaturday
JOHN AXELROD direttore FRANCESCA DEGO violino
Musiche di Bernstein, Tchaikovsky Orchestra del Teatro La Fenice “Stagione Sinfonica 2021-2022“
Ingresso/Ticket € 99/45 Teatro La Fenice h. 20
martedìTuesday
QUARTETTO DI VENEZIA SARA MINGARDO pianoforte
Musiche di Malipero, Mahler “Stagione concerti 2021-2022“ Ingresso/Ticket € 25/15 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
13
giovedìThursday
GLORIA CAMPANER pianoforte P. 88
Musiche di Saint-Saëns, Dubois, Ravel “Stagione 2021-2022“
Ingresso/Ticket € 17/5 Palazzetto Bru Zane h. 19.30
14
venerdìFriday
BACHARO TOUR
Musiche di Bach “Bach Friday“
Ingresso libero/Free entry Spazio Berlendis h. 19.30
15
sabatoSaturday
CHARLES DUTOIT direttore
Musiche di Ravel, Debussy, Mozart Orchestra del Teatro La Fenice “Stagione Sinfonica 2021-2022“
Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h. 20
16
domenicaSunday
CHARLES DUTOIT direttore
Musiche di Ravel, Debussy, Mozart Orchestra del Teatro La Fenice “Stagione Sinfonica 2021-2022“
ORCHESTRA DI PADOVA E DEL VENETO ROBERTO ABBADO direttore FILIPPO COLLI pianoforte
Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h. 17
Ingresso/Ticket € 45 Teatro Verdi-Padova h. 20.45
IL VOLTO BRIOSO DI CAMILLE SAINT-SAËNS: PHRYNÉ
Musiche di Debussy, Bartòk “Stagione 2021-2022“
09
domenicaSunday
JOHN AXELROD direttore FRANCESCA DEGO violino
Musiche di Bernstein, Tchaikovsky Orchestra del Teatro La Fenice “Stagione Sinfonica 2021-2022“
Ingresso/Ticket € 99/45 Teatro La Fenice h. 17
72
11
25
martedìTuesday
La seconda opera più popolare di Camille Saint-Saëns, dopo Samson et Dalila, Phryné viene rappresentata per la prima volta all’Opéra-Comique nel 1893 e ottiene un successo immediato. L’editore Durand investe allora in traduzioni per conquistare i teatri internazionali: nel giugno 1896 appaiono spartiti in francese e in italiano, seguiti da una versione in tedesco. Poiché la specificità dei dialoghi parlati rischia però di scoraggiare i direttori di alcuni teatri, André Messager compone dei recitativi che si intrecciano abilmente con la musica di Saint-Saëns. È proprio questa rarissima versione che il Palazzetto Bru Zane
Palazzetto Bru Zane h. 18 bru-zane.com
28
venerdìFriday
ORCHESTRA DI PADOVA E DEL VENETO YANIV DINUR direttore NATALIE CLEIN violoncello
Musiche di Saint-Saëns, Schubert “Stagione 2021-2022“
Ingresso/Ticket € 45 Teatro Verdi-Padova h. 20.45
INDIRIZZI AUDITORIUM LO SQUERO
Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it
BASILICA DEL SANTO
Piazza del Santo 11-Padova www.opvorchestra.it
BASILICA SAN MARCO
DicDec
02
:theatro
propone di riscoprire attraverso il CD con libro, presentati durante la conferenza da Carla Moreni.
giovedìThursday
COME FOSSILI NEL PRESENTE
di e con Diego Dalla Via e Marta Dalla Via “A pesca di sogni – Avventure a teatro” Ingresso/Ticket € 10/7 Teatrino Groggia h. 21
04
sabatoSaturday
di e con Drusilla Foer con Loris di Leo, pianoforte Nico Gori, clarinetto, sax “Mira. Il teatro fa centro 2021/22” Ingresso/Ticket € 16/14 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21
domenicaSunday
DEBORA VILLA
P. 99
CHIESA DI SAN TEONISTO
Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30/19
Dorsoduro 1098 www.alessandromarcello.org
PALAZZETTO BRU ZANE
San Polo 2368 www.bru-zane.com
SPAZIO BERLENDIS
Cannaregio 6301 www.bacharotour.com
TEATRO LA FENICE
Campo San Fantin 1965 www.teatrolafenice.it
TEATRO MALIBRAN
Campiello del Teatro 5873 www.teatrolafenice.it
TEATRO MARIO DEL MONACO
Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it
TEATRO TONIOLO
Piazzetta Malipiero 1-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo
TEATRO VERDI
Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it
“Stagione Comici 2021/22”
DRUSILLA FOER
Eleganzissima
(vedi sabato 4 dicembre)
Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21
07
martedìTuesday
LA CONFESSIONE
di Marco Politi e Alfredo Traversa diretto e interpretato da Alfredo Traversa “I martedì dell’Avogaria 2021/22” Teatro a l’Avogaria h. 21
09
giovedìThursday
I DUE GEMELLI VENEZIANI P. 93
di Carlo Goldoni Adattamento di Angela Demattè e Valter Malosti Regia di Valter Malosti Con Marco Foschi, Danilo Nigrelli Progetto sonoro di G.U.P. Alcaro “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Goldoni h. 20.30
10
sabatoSaturday
I DUE GEMELLI VENEZIANI
(vedi giovedì 9 dicembre)
Teatro Goldoni h. 19
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
12
domenicaSunday
I DUE GEMELLI VENEZIANI
(vedi giovedì 9 dicembre)
IO SARAH, IO TOSCA
(vedi venerdì 10 dicembre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
IL PIÙ FURBO
P. 97
Disavventure di un incorreggibile lupo
Teatro Gioco Vita “Domenica a Teatro 2021/22”
Ingresso/Ticket € 7 Teatro Momo-Mestre h. 11/16.30
CON VIVA VOCE
di Bruno Cappagli e Guido Castiglia La Baracca Testoni Ragazzi “Famiglie a Teatro 2021/22”
Ingresso/Ticket € 6,5/5 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 16
14
martedìTuesday
GEMINGA
di Samuel Krapp Con Ilaria Weiss, Fabio Manniti Produzione Donkey flies when fly lies “I martedì dell’Avogaria 2021/22” Teatro a l’Avogaria h. 21
IO SARAH, IO TOSCA
(vedi venerdì 10 dicembre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
15
mercoledìWednesday
LAC | DA IL LAGO DEI CIGNI P. 45
venerdìFriday
I DUE GEMELLI VENEZIANI
(vedi giovedì 9 dicembre)
Teatro Goldoni h. 19
Les Ballets de Monte-Carlo Orchestra del Teatro La Fenice “Stagione di Lirica e Danza 2021/22” Ingresso/Ticket € 176/60,5 Teatro La Fenice h. 19
IO SARAH, IO TOSCA
(vedi venerdì 10 dicembre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
LA BISBETICA DOMATA
11
Teatro Goldoni h. 16
Venti di risate
CHIESA DI SAN TROVASO
Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 21
(vedi venerdì 10 dicembre)
Piazza San Marco 328 www.teatrolafenice.it
Via San Nicolò 31-Treviso www.fbsr.it
P. 92
IO SARAH, IO TOSCA
DRUSILLA FOER
Eleganzissima
05
IO SARAH, IO TOSCA
di e con Laura Morante e con Chiara Catalano voce e pianoforte Regia di Daniele Costantini Musiche originali di Mimosa Campironi “Stagione Teatrale 2021/22”
Coreografia Jean-Christophe Maillot Musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij Drammaturgia Jean-Christophe Maillot e Jean Rouaud Musica addizionale Bertrand Maillot
di William Shakespeare adattamento Andrea Pennacchi con Anna Tringali, Giacomo Rossetto, Massimiliano Mastroeni regia Silvia Paoli Teatro Bresci - Teatro Stabile del Veneto “Stagione teatrale 2021/22”
Ingresso/Ticket € 20/18 Teatro Dario Fo-Camponogara h. 21
16
giovedìThursday
LAC | DA IL LAGO DEI CIGNI
(vedi mercoledì 15 dicembre) Ingresso/Ticket € 132/50 Teatro La Fenice h. 19
PUPO DI ZUCCHERO
La festa dei morti
P. 91
Liberamente ispirato a: Lo cunto de li cunti” di Gianbattista Basile Testo, regia, costumi di Emma Dante Sculture di Cesare Inzerillo Compagnia Sud Costa Occidentale “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Goldoni h. 20.30
IO SARAH, IO TOSCA
(vedi venerdì 10 dicembre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
TRADIMENTI
di Harold Pinter Traduzione Alessandra Serra Regia Michele Sinisi Scene Federico Biancalani Con Stefano Braschi, Stefania Medri, Michele Sinisi Elsinor Centro di Produzione Teatrale “La Città a Teatro 2021/22” Ingresso/Ticket € 18/15 Teatro di Mirano h. 21
LA CLASSE
Un docupuppets per marionette e uomini
di Fabiana Iacozzilli | CrAnPi Collaborazione alla drammaturgia di Marta Meneghetti, Giada Parlanti, Emanuele Silvestri Collaborazione artistica di Lorenzo Letizia, Tiziana Tomasulo, Lafabbrica “Mira. Il teatro fa centro 2021/22” Ingresso/Ticket € 16/14 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21
73
agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
venerdìFriday
:theatro
17
LAC | DA IL LAGO DEI CIGNI
(vedi mercoledì 15 dicembre) Ingresso/Ticket € 176/82,5 Teatro La Fenice h. 19
PUPO DI ZUCCHERO
La festa dei morti
(vedi giovedì 16 dicembre)
Teatro Goldoni h. 19
IO SARAH, IO TOSCA
(vedi venerdì 10 dicembre) Teatro Toniolo-Mestre h. 21
LA CLASSE
Un docupuppets per marionette e uomini
(vedi giovedì 16 dicembre)
Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21
18
sabatoSaturday
LAC | DA IL LAGO DEI CIGNI
(vedi mercoledì 15 dicembre) Ingresso/Ticket € 176/82,5 Teatro La Fenice h. 15.30
PUPO DI ZUCCHERO
La festa dei morti
Liberamente ispirato a: Lo cunto de li cunti” di Gianbattista Basile Testo, regia, costumi di Emma Dante Sculture di Cesare Inzerillo Compagnia Sud Costa Occidentale “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Verdi-Padova h. 20.30
IO SARAH, IO TOSCA
(vedi venerdì 10 dicembre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
19
domenicaSunday
LAC | DA IL LAGO DEI CIGNI
21
STAND UP POETRY
Teatro a l’Avogaria h. 21
Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21
30
09
LO SCHIACCIANOCI
Ingresso/Ticket € 35/30 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
LA PICCOLA BOTTEGA DEGLI ORRORI
IO SARAH, IO TOSCA
(vedi venerdì 10 dicembre)
Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
OMEOPHONIE
Favole omeopatiche per adulti
Testi di Arianna Porcelli Safonov Musiche di Michele Staino, Renato Cantini
Ingresso/Ticket € 16/11 Centro Culturale Candiani-Mestre h. 18
GenJan sabatoSaturday
P. 97
Ingresso/Ticket € 7 Teatrino Groggia h. 16.30
12
mercoledìWednesday
ENRICO IV
P. 99
di Luigi Pirandello Regia di Yannis Kokkos Con Sebastiano Lo Monaco, Mariàngeles Torres, Claudio Mazzenga, Rosario Petix, Luca Iacono “Scenari senza confini 2021/22”
P. 99
dal’omonima fiaba di Květa Pacovská di Valerio Longo e Fabrizio Montecchi Con Marcello Giovani e Isabella Minosi Musiche di Paolo Codognola Balletto di Roma con Teatro Gioco Vita “Teatro per le Feste 2021.22”
di Eugène Labiche Regia di Andrée Ruth Shammah Con Massimo Dapporto, Antonello Fassari, Susanna Marcomeni “Scenari senza confini 2021/22”
Ingresso/Ticket € 35/8 Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 20.30
15
sabatoSaturday P. 96
Tratto dalla sceneggiatura di Mario Monicelli, Suso Cecchi D’Amico, Age & Scarpelli Adattamento teatrale di Antonio Grosso e Pier Paolo Piciarelli Con Giuseppe Zeno e Fabio Troiano Regia di Vinicio Marchioni Gli Ipocriti Melina Balsamo “Stagione Teatrale 2021/22”
NON SVEGLIATE LO SPETTATORE
Ingresso/Ticket € 34,5/25 Teatro Corso-Mestre h. 21.15
ENRICO IV
(vedi mercoledì 12 gennaio)
Teatro Verdi-Padova h. 20.30
ENRICO IV
IL DELITTO DI VIA DELL’ORSINA
Ingresso/Ticket € 18/15 Teatro di Mirano h. 21 P. 45
IL DELITTO DI VIA DELL’ORSINA
Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21
da Aristofane Con Amanda Sandrelli Regia di Ugo Chiti Arca Azzurra “La Città a Teatro 2021/22”
giovedìThursday
Teatro Verdi-Padova h. 20.30
(vedi sabato 14 gennaio)
giovedìThursday
LISISTRATA
Ingresso/Ticket € 30/25 Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
ENRICO IV
(vedi mercoledì 12 gennaio)
13
Teatro Verdi-Padova h. 19
(vedi venerdì 31 dicembre)
Ingresso/Ticket € 20/18 Teatro Dario Fo-Camponogara h. 21
Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
(vedi mercoledì 12 gennaio)
LA PICCOLA BOTTEGA DEGLI ORRORI
P. 95
Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Verdi-Padova h. 20.30
“Stagione Comici 2021/22”
domenicaSunday
JACKIE
di Elfriede Jelinek Traduzione/drammaturgia Luigi Reitani/Werner Waas Con Romina Mondello Regia Emilio Russo Tieffe Teatro Milano - Cmc/Nidodiragno “Stagione teatrale 2021/22”
I SOLITI IGNOTI
Vernia o non Vernia
Ingresso/Ticket € 35/30 Teatro Toniolo-Mestre h. 18.30
IL PICCOLO RE DEI FIORI
Ingresso/Ticket € 7 Teatro Momo-Mestre h. 16.30
GIOVANNI VERNIA
LA PICCOLA BOTTEGA DEGLI ORRORI
Ingresso/Ticket € 10/8 Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
74
P. 45
Ingresso/Ticket € 40/35 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
06
L’ARCA DI NOÈ
Testo, regia e figure Gianni Franceschini Con Gianni Franceschini Video, audio e luci Giancarlo Dalla Chiara “A pesca di sogni – Domeniche da favola”
Teatro due Mondi “Domenica a Teatro 2021/22”
Testi e libretto di Howard Ashman Musiche di Alana Menken Con Giampiero Ingrassia, Fabio Canino, Belia Martin, Emiliano Geppetti, Velma K Adattamento e regia di Piero Di Blasio “Teatro per le Feste 2021.22”
01
domenicaSunday
LE NUOVE AVVENTURE DEI MUSICANTI DI BREMA P. 97
venerdìFriday
02
Teatro Verdi-Padova h. 19
P. 45
dalla fiaba di E.T.A. Hoffmann Musiche di Pyotr Ilyich Tchaikovsky Coreografie di Marius Petipa e Lev Ivanov Russian Classical Ballet Direzione Artistica e costumi di Evgeniya Bespalova “Teatro per le Feste 2021.22”
31
P. 99
“Stagione Comici 2021/22”
giovedìThursday
PUPO DI ZUCCHERO
(vedi sabato 18 dicembre)
ENRICO BERTOLINO
In medio stat virtus
(vedi venerdì 31 dicembre)
La festa dei morti
sabatoSaturday
di e con Lorenzo Maragoni TrentoSpettacoli “I martedì dell’Avogaria 2021/22”
(vedi mercoledì 15 dicembre) Ingresso/Ticket € 176/82,5 Teatro La Fenice h. 15.30
08
martedìTuesday
14
venerdìFriday
NON SVEGLIATE LO SPETTATORE
di e con Lino Guanciale Musiche e Regia di Davide Cavuti Ingresso/Ticket € 34,5/25 Teatro Corso-Mestre h. 21.15
(vedi venerdì 14 gennaio)
Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 20.30
16
domenicaSunday
I SOLITI IGNOTI
(vedi sabato 15 gennaio)
Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
ESTERINA CENTOVESTITI
di e con Daria Paoletta Regia di Enrico Messina Burambò “Famiglie a Teatro 2021/22”
Ingresso/Ticket € 6,5/5 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 16
ENRICO IV
(vedi mercoledì 12 gennaio)
Teatro Verdi-Padova h. 19
IL DELITTO DI VIA DELL’ORSINA
(vedi venerdì 14 gennaio)
22
sabatoSaturday
MINE VAGANTI
(vedi martedì 18 gennaio)
18
(vedi mercoledì 19 gennaio)
martedìTuesday
MINE VAGANTI
P. 96
Uno spettacolo di Ferzan Ozpetek Con Francesco Pannofino, Iaia Forte, Erasmo Genzini, Carmine Recano e con Simona Marchini Nuovo Teatro - Fondazione Teatro Toscana “Stagione Teatrale 2021/22” Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
19
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
I DUE GEMELLI VENEZIANI
Teatro Verdi-Padova h. 20.30
ENRICO IV
(vedi venerdì 21 gennaio)
domenicaSunday
MINE VAGANTI
(vedi martedì 18 gennaio)
Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
mercoledìWednesday
MINE VAGANTI
(vedi martedì 18 gennaio)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
I DUE GEMELLI VENEZIANI
di Carlo Goldoni Adattamento di Angela Demattè e Valter Malosti Regia di Valter Malosti Con Marco Foschi, Danilo Nigrelli Progetto sonoro di G.U.P. Alcaro “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Verdi-Padova h. 20.30
20
giovedìThursday
MINE VAGANTI
(vedi martedì 18 gennaio)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
AMICI PER LA PELLE
P. 97
Teatro del Buratto/Atir “Domenica a Teatro 2021/22”
Fontemaggiore/Accademia Perduta Romagna Teatri “Domeniche a Teatro 2021/22” Ingresso/Ticket € 6/5 Teatro di Mirano h. 15.30
LE PAROLE NON SANNO QUELLO CHE DICONO
di e con Marta Dalla Via Direzione tecnica e musiche di Roberto Di Fresco Fratelli Dalla Via in collaborazione con Piccionaia Centro di Produzione Teatrale “Mira. Il teatro fa centro 2021/22”
(vedi mercoledì 19 gennaio) Teatro Verdi-Padova h. 16
ENRICO IV
(vedi venerdì 21 gennaio)
25
ENRICO IV
di Luigi Pirandello Regia di Yannis Kokkos Con Sebastiano Lo Monaco, Mariàngeles Torres, Claudio Mazzenga, Rosario Petix, Luca Iacono “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 20.30
MISERICORDIA
INDIRIZZI
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
CENTRO CULTURALE CANDIANI
(vedi martedì 25 gennaio)
27
giovedìThursday
MARIE ANTOINETTE
(vedi mercoledì 26 gennaio) Ingresso/Ticket € 132/30 Teatro La Fenice h. 19
Piazzale Candiani-Mestre www.comune.venezia.it
TEATRINO GROGGIA
Sant’Alvise, Cannaregio 3150 www.comune.venezia.it
TEATRO A L’AVOGARIA
MISERICORDIA
Corso del Popolo-Mestre www.dalvivoeventi.it
I DUE GEMELLI VENEZIANI
Teatro Verdi-Padova h. 20.30
Ingresso/Ticket € 176/35 Teatro La Fenice h. 15.30
28
Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 16
(vedi mercoledì 19 gennaio)
MARIE ANTOINETTE
(vedi mercoledì 26 gennaio)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
(vedi martedì 18 gennaio)
Teatro Toniolo-Mestre h. 21
(vedi sabato 29 gennaio)
Teatrino Groggia h. 11
LA NOSTRA MAESTRA È UN TROLL
I DUE GEMELLI VENEZIANI
MINE VAGANTI
domenicaSunday
DUETTO
Corte Zappa, Dorsoduro 1617 www.teatro-avogaria.it
Teatro Verdi-Padova h. 19
venerdìFriday
Coreografia di Thierry Malandain Scene e costumi di Jorge Gallardo Danza Claire Lonchampt, Mickaël Conte Malandain Ballet Biarritz “Stagione di Lirica e Danza 2021/22”
30
(vedi martedì 25 gennaio)
I DUE GEMELLI VENEZIANI
21
P. 92
Ingresso/Ticket € 7 Teatro Momo-Mestre h. 16.30
Ingresso/Ticket € 16/14 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21
(vedi mercoledì 19 gennaio)
mercoledìWednesday
Ingresso/Ticket € 176/35 Teatro La Fenice h. 19
Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 20.30
23
26
MARIE ANTOINETTE
Teatro Mario del Monaco-Treviso h. 16
martedìTuesday
MISERICORDIA
P. 91
Scritto e diretto da Emma Dante Con Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco, Leonarda Saffi, Simone Zambelli Luci di Cristian Zucaro Compagnia Sud Costa Occidentale “Stagione Teatrale 2021/22” Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
TEATRO CORSO
venerdìFriday
MARIE ANTOINETTE
(vedi mercoledì 26 gennaio) Ingresso/Ticket € 176/35 Teatro La Fenice h. 19
TEATRO DARIO FO
Piazza Castellaro-Camponogara www.myarteven.it
TEATRO DI MIRANO
PANPERS
10 anni di michiate Ingresso/Ticket € 25/18 Teatro Corso-Mestre h. 21.15
Via della Vittoria 75-Mirano teatrodimirano.wordpress.com
TEATRO GOLDONI
29
Rialto, San Marco 4659 www.teatrostabileveneto.it
(vedi mercoledì 26 gennaio)
Campo S. Fantin, San Marco 1965 www.teatrolafenice.it
DUETTO
TEATRO MARIO DEL MONACO
sabatoSaturday
MARIE ANTOINETTE
Ingresso/Ticket € 176/35 Teatro La Fenice h. 15.30 P. 97
Regia Valeria Frabetti e Andrea Buzzetti Con Chiara Carrara e Andrea Rodegher Teatro Prova “A pesca di sogni Prime esperienze teatrali” Ingresso/Ticket € 4 Teatrino Groggia h. 16.30
DRUSILLA FOER
P. 99
Eleganzissima
di e con Drusilla Foer con Loris di Leo, pianoforte Nico Gori, clarinetto, sax “Stagione Comici 2021/22” Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21
TEATRO LA FENICE
Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it
TEATRO MOMO
Via Dante 81-Mestre www.comune.venezia.it
TEATRO TONIOLO
Piazzetta Malipiero-Mestre www.comune.venezia.it
TEATRO VERDI
Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it
TEATRO VILLA DEI LEONI
Riviera S. Trentin 3-Mira www.piccionaia.org
75
agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
01
:cinema
DicDec
mercoledìWednesday
PROMISE LAND
Regia di Gus Van Sant (2012) Interviene Luciano Morbiato, esperto di cinema “Paesaggi che cambiano”
Auditorium Spazi Bomben-Treviso h. 21
02
giovedìThursday
ROBERTO PUGLIESE DIALOGA CON PINO DONAGGIO P. 105
Sulle colonne sonore realizzate dal compositore per i film di Brian De Palma “Il Donaggio-De Palma Movie” Videoteca Pasinetti h. 17
06
lunedìMonday
CARRIE LO SGUARDO DI SATANA
Regia di Brian De Palma (1976) “Il Donaggio-De Palma Movie”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
07
martedìTuesday
HOME MOVIES VIZIETTI FAMILIARI
Regia di Brian De Palma (1978) “Il Donaggio-De Palma Movie”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
08
mercoledìWednesday
HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE
Regia di Chris Columbus (2001) “IMG Cult – 4K” IMG Candiani-Mestre h. 15/17.10/20.10/21.50
09
giovedìThursday
HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE
Regia di Chris Columbus (2001) “IMG Cult – 4K”
IMG Candiani-Mestre h. 16.55/20.10/21.50
10
venerdìFriday
FUTURA
M9 - Museo del ’900 propone alle scuole superiori (h. 10) e al pubblico (h.19) in prima visione il film Futura scritto e diretto dai registi Pietro Marcello, Francesco Munzi e Alice Rohrwacher presentato al Festival di Cannes e ora in tour nelle città d’Italia. Futura è un’inchiesta collettiva svolta dai tre registi che ha lo scopo di esplorare l’idea di futuro di ragazze e ragazzi tra i 15 e i 20 anni incontrati nel corso di un lungo viaggio attraverso l’Italia. Un ritratto del Paese osservato attraverso gli occhi di adolescenti che raccontano i luoghi in cui abitano, i propri sogni e le proprie aspettative tra desideri e paure. Auditorium “Cesare De Michelis” Museo M9-Mestre h. 10/19
FESTIVAL DEL CINEMA DEI DIRITTI UMANI DI VENEZIA
In occasione della Giornata Mondiale dei Diritti Umani, torna il Festival organizzato puntualmente dagli studenti del Master Europeo in Diritti Umani e Democratizzazione del Global Campus of Human Rights. Un’ edizione che accoglierà una vasta gamma di esperti nel campo dei diritti umani, attivisti, accademici e registi. Il tema scelto per questa edizione, Film, Arte e Diritti Umani si focalizza sui diritti delle donne e sulla libertà di espressione. Durante il Festival verranno presentati, tra gli altri, Beijing Spring di Andy Cohen, Caught in the Net di Barbora Chalupová e Vít Klusáke, e Nasrin di Jeff Kausman, oltre a una significativa selezione di cortometraggi. Arricchiscon il programma incontri, letture ed eventi online. Global Campus of Human Rights Monastero di San Nicolò-Lido h. 17-23
HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE
Regia di Chris Columbus (2001) “IMG Cult – 4K”
IMG Candiani-Mestre h. 16.55/20.10/21.50
11
sabatoSaturday
Regia di Chris Columbus (2001) “IMG Cult – 4K”
IMG Candiani-Mestre h. 16.55/20.10/21.50
12
domenicaSunday
SING 2 - SEMPRE PIÙ FORTE
Regia di Garth Jennings (2021) “Anteprima – Dolby Atmos”
IMG Candiani-Mestre h. 15/17.30/20
HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE
Regia di Chris Columbus (2001) “IMG Cult – 4K”
IMG Candiani-Mestre h. 16.55/20.10/21.50
13
lunedìMonday
BLOW OUT
Regia di Brian De Palma (1981) “Il Donaggio-De Palma Movie”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
THE MATRIX (1999) - REISSUE
Regia di di Lana e Lilly Wachowski “IMG Cult – 4K” IMG Candiani-Mestre
I FRATELLI DE FILIPPO
Regia di Sergio Rubini (2021) “Film Evento” IMG Candiani-Mestre
14
martedìTuesday
VESTITO PER UCCIDERE
Regia di Brian De Palma (1980) “Il Donaggio-De Palma Movie”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
THE MATRIX (1999) - REISSUE
Regia di di Lana e Lilly Wachowski “IMG Cult – 4K” IMG Candiani-Mestre
I FRATELLI DE FILIPPO
Regia di Sergio Rubini (2021) “Film Evento” IMG Candiani-Mestre
15
mercoledìWednesday
OMICIDIO A LUCI ROSSE
Regia di Brian De Palma (1984) “Il Donaggio-De Palma Movie”
Global Campus of Human Rights Monastero di San Nicolò-Lido h. 1021.30
Regia di Ridley Scott (2021) “Anteprima”
SING 2 - SEMPRE PIÙ FORTE
Regia di Garth Jennings (2021) “Anteprima – Dolby Atmos”
IMG Candiani-Mestre h. 15/17.30/20
I FRATELLI DE FILIPPO
Regia di Sergio Rubini (2021) “Film Evento” IMG Candiani-Mestre
LE VOYAGE D’OR
Regia di Riccardo De Cal (2021) Presentazione e proiezione del docufilm che racconta il restauro della Tomba Brion. Intervengono: Chiara Busnardo, sindaco del Comune di Altivole Riccardo De Cal, regista Mauro Pierconti, storico dell’architettura Guido Pietropoli, architetto Auditorium Spazi Bomben-Treviso h. 20.30
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giovedìThursday
DOPPIA PERSONALITÀ
Regia di Brian De Palma (1992) “Il Donaggio-De Palma Movie”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
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domenicaSunday
LO SCHIACCIANOCI
Il classico natalizio russo ritorna sul grande schermo “Il Balletto del Bolshoi 21/22” IMG Candiani-Mestre h. 17
GenJan
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lunedìMonday
MANCIA COMPETENTE
Regia di Ernst Lubitsch (1932) “Il tocco inconfondibile di Ernst Lubitsch”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
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martedìTuesday
SPACE MEN
P. 105
Regia di Antonio Margheriti (1960) “Immaginare nuovi mondi” Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
FESTIVAL DEL CINEMA DEI DIRITTI UMANI DI VENEZIA
(vedi venerdì 10 dicembre)
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HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
HOUSE OF GUCCI P. 102
IMG Candiani-Mestre h. 20
THE MATRIX (1999) - REISSUE
Regia di di Lana e Lilly Wachowski “IMG Cult – 4K” IMG Candiani-Mestre
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mercoledìWednesday
VENEZIA, “UNA STORIA SENZA MEMORIA” P. 105
Incontro con Mario Isnenghi “Il cinema a Venezia” Videoteca Pasinetti h. 17
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giovedìThursday
OMICRON
Regia di Ugo Gregoretti (1964) “Immaginare nuovi mondi”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
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giovedìThursday
I VIAGGIATORI DELLA SERA
Regia di Ugo Tognazzi (1979) “Immaginare nuovi mondi”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
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SCRIVIMI FERMO POSTA
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Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
Regia di Ernst Lubitsch (1946) “Il tocco inconfondibile di Ernst Lubitsch”
lunedìMonday
Regia di Ernst Lubitsch (1940) “Il tocco inconfondibile di Ernst Lubitsch”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
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martedìTuesday
LA DECIMA VITTIMA
Regia di Elio Petri (1965) “Immaginare nuovi mondi”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
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lunedìMonday
FRA LE TUE BRACCIA
mercoledìWednesday
PRIMA DEI LUMIÈRE
Verso il cinema come spettacolo collettivo Incontro con Carlo Montanaro “Il cinema a Venezia” Videoteca Pasinetti h. 17
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giovedìThursday
IL SEME DELL’UOMO
Regia di Marco Ferreri (1969) “Immaginare nuovi mondi”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
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INDIRIZZI AUDITORIUM SPAZI BOMBEN
Via Cornarotta 7-Treviso www.fbsr.it
FESTIVAL DEL CINEMA DEI DIRITTI UMANI DI VENEZIA
Global Campus of Human Rights Monastero di San Nicolò-Lido humanrightsfilmfestival2021. wordpress.com
IMG CANDIANI
Piazzale Candiani-Mestre imgcinemas.it
VIDEOTECA PASINETTI CASA DEL CINEMA
San Stae 1990 www.comune.venezia.it
lunedìMonday
IL CIELO PUÒ ATTENDERE
Regia di Ernst Lubitsch (1943) “Il tocco inconfondibile di Ernst Lubitsch”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
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martedìTuesday
I CANNIBALI
Regia di Liliana Cavani (1970) “Immaginare nuovi mondi”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
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mercoledìWednesday
UNA STORIA DEL CINEMA A VENEZIA P. 105
Incontro con Michele Gottardi “Il cinema a Venezia” Videoteca Pasinetti h. 17
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DI TUTTO E DI PIÙ E io volevo fare la rockstar Difendere Caino ed affrontare l’uomo nero Volevo andare in America E fare bolle enormi con le gomme alla fragola Carmen Consoli di Marisa Santin
musica
I
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n una recente intervista per «Rolling Stone» Car-
men Consoli racconta come, ai tempi del suo primo gruppo, gli altri dessero per scontato che a lei toccasse solo cantare. La chitarra era cosa da maschi. Ho provato a pensare alle chitarriste famose della storia del rock. Non me n’è venuta in mente nemmeno una. Cercando su Google escono Joni Mitchell, Bonnie Raitt, Kaki King, Lita Ford e un altro grappoletto di nomi di cui, Joni Mitchell a parte, non ho mai sentito parlare. Si tratta sicuramente di una mia carenza culturale, ma con la stessa quota di ignoranza mi vengono invece in mente senza sforzo Mark Knopfler, David Gilmour, Jimi Hendrix, Pino Daniele, Carlos Santana, Neil Young, Keith Richards, Eric Clapton… la lista è lunghissima. Negli anni ’80 eravamo affascinate dalle chitarriste che Michael Jackson e Prince portavano sul palco o nei loro video. Che forza stare lì sul palco in mezzo ai maschi in barba (in barba?) a tutti gli stereotipi sulla femminilità! Ma rimaneva una specie di stravaganza, di stranezza. Di loro naturalmente non si conosceva il nome, erano “le chitarriste di Michael Jackson e di Prince”. Oggi ce ne sono un po’ di più: St. Vincent, P J Harvey, Anna Calvi, Laura Marling, Leslie Feist. Poche ma non pochissime. Non è un discorso femminista (anche se un po’ di pensieri li dà). Ma è solo per dire che ci vuole una buona dose di forza, di caparbietà e di visione a fuoco di sé per far sì che una ragazza nata a Catania (non a Londra o in America) nel 1974 (non nel 2005) si tenga stretta la sua chitarra e continui a sognare di diventare una rock star. E poi ci vuole una buona dose di talento perché questo sogno diventi realtà. Volevo fare la rock star è il titolo del nuovo album e del tour che Carmen Consoli sta portando nei teatri italiani in questi mesi. L’11 dicembre farà tappa anche al Geox di Padova. Sulla copertina c’è un primo piano di quando era bambina, occhioni scuri e grande fiocco rosa sul grembiule della scuola. Si vede che è lei, si assomigliano. Nelle canzoni si riconosco-
no tutti i tratti che hanno contraddistinto i suoi venticinque anni “mediamente isterici” e del tutto luminosi di attività, una lunga carriera musicale costellata di album, concerti, collaborazioni, riconoscimenti. Mentre ci chiediamo cosa sia successo al talento negli ultimi anni, Carmen Consoli rimane una confortante certezza. Dopo la prima partecipazione al Festival di Sanremo con Amore di plastica nel 1996, si ripresenta l’anno successivo ancora fra gli esordienti «con tanto di chitarra» (cit. Mike Bongiorno, appunto) e una canzone che annunciava definitivamente il suo stile inconfondibile: «Sai benissimo che una goccia inonda il cielo, è così piccolo il mondo che ci osserva». La grinta rock, che ha contraddistinto il suo animo di cantante, cantautrice e compositrice, le ha valso la prima – e finora unica – Targa Tenco per il miglior album (Elettra) mai assegnata a una donna, nel 2003 è stata anche la prima artista a calcare il palco dello Stadio Olimpico di Roma. Da Sanremo in poi ha spiccato il volo con un’apertura alare che ci viene da pensare sia un dono di quella “sfavillante Catania” così limpidamente descritta nei suoi testi e, probabilmente, di un ambiente famigliare – come ha dichiarato lei stessa parlando di suo padre – convinto che le donne potessero fare di tutto e di più. Piccolo appunto finale: la chitarrista che per molti anni ha collaborato con Michael Jackson si chiama Jennifer Batten. È nata a New York nel 1957; ha iniziato a suonare la chitarra a otto anni e pensava che la sua prima chitarra elettrica fosse la cosa più bella del mondo. È suo, fra gli altri, il famoso assolo di Beat It. La chitarrista che vediamo nel video di Purple Rain di Prince si chiama Wendy Melvoin. È nata a Los Angeles nel 1964. Dopo lo scioglimento dei The Revolution ha continuato la sua attività musicale insieme a Lisa Coleman nel duo Wendy & Lisa. Carmen Consoli 11 dicembre Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com
NE SENTIREMO
Sono i dieci i finalisti della terza edizione di Tomorrow’s Jazz, il premio per i giovani talenti del jazz italiano ideato da Veneto Jazz e finanziato dal Ministero della Cultura, le cui audizioni sono in programma l’11 dicembre nelle Sale Apollinee della Fenice. Si tratta dei solisti Emanuele Filippi (piano, Marche) in piano solo; Federico Calcagno (clarinetto, Milano) con Fade in Trio; Nicoletta Taricani (voce, Udine) con il suo quintetto; Filippo Ieraci (chitarra, Genova) con il suo quartetto; Jacopo Fagioli (tromba, Toscana) con Bilico Duo; Valentina Fin (voce, Vicenza) con il sestetto Kurt!; Gabriele De Leporini (chitarra, Trieste) con il suo trio; Andrea Glockner (trombone) con Agea Procject (Italia, Francia, Turchia); Francesco Taucci (tastiere, Marche) con l’ensemble Mixtape; Francesco Di Giovanni (chitarra, Trapani) con il suo quintetto. I musicisti, con diverse formazioni, accederanno all’audizione con un’esibizione dal vivo davanti alla giuria formata da Giuseppe Mormile, presidente e direttore artistico di Veneto Jazz, ideatore del premio; Diego Borotti, musicista, didatta, direttore artistico del Torino Jazz Festival; Ruben Bellavia, musicista e didatta; Gigi Sabelli, critico musicale. «Anche per questa edizione – dichiara Mormile – è stato arduo arrivare ad una selezione. Sono giunti molti progetti interessanti ed innovativi, interpretati da giovani musicisti sempre più preparati e con un repertorio che abbraccia tante influenze. Siamo curiosi ora di ascoltare dal vivo quelli che abbiamo ritenuto essere i migliori talenti italiani, che hanno le carte in regola per rappresentare il jazz di domani offrendo ai primi tre una rara occasione di partecipazione ad un festival internazionale». A coronamento del Premio, sempre alle Sale Apollinee è in programma il concerto per il pubblico di Nu 4tet con Diego Borotti (saxofoni, EWI, composizione, direzione), Fabio Gorlier (pianoforte, tastiere), Davide Liberti (contrabbasso, basso elettrico), Ruben Bellavia (batteria, elettronica). Premio Tomorrow’s Jazz 11 dicembre Teatro La Fenice www.venetojazz.com
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musica CASANOVA OPERA POP
Niente di vero tranne l’amore Intervista a Red Canzian In quasi mezzo secolo attraverso i loro popolari successi hanno saputo costruirsi un pubblico intergenerazionale, che va dagli odierni nonni ai nipoti: i Pooh sono una delle colonne sonore più resilienti del nostro Paese, un fiume in piena di ricordi e nostalgia. Dei quattro componenti del gruppo, Red Canzian - originario di Quinto di Treviso, vive tuttora in Veneto - è polistrumentista, compositore e produttore, con una lunghissima, sfolgorante carriera per l’appunto nelle file dei Pooh (attivo nella band dal 1973 fino allo scioglimento della band nel 2016), oltre cento milioni di dischi venduti, autore di alcuni album da solista, nonché di un libro autobiografico, Ho visto sessanta volte fiorire il calicanto. Svariati i premi e i riconoscimenti ricevuti, tra cui quello di Cavaliere della Repubblica Italiana. Amante della natura, ambasciatore del WWF, vegano convinto, ha una grande passione per i bonsai e per la pittura. Ora è in procinto di affrontare una nuova, intrigante avventura: il 21 gennaio 2022 debutterà infatti al Teatro Malibran di Venezia il suo nuovo spettacolo Casanova Opera Pop, che dopo le repliche del 22 e 23 dicembre partirà per un lungo tour nei maggiori teatri italiani. La sceneggiatura si rifà al romanzo del padovano Matteo Strukul Casanova. La sonata dei cuori infranti, best seller tradotto in dieci lingue. Una Venezia settecentesca farà da sfondo a un susseguirsi di intrighi, amori, vendette, duelli, fughe, in un appassionato intreccio di fatti storici e di realtà romanzata, il cui protagonista assoluto sarà naturalmente il celebre avventuriero veneziano, il più grande seduttore di tutti i tempi, Giacomo Casanova. Nelle celebrazioni dei 1600 anni dalla fondazione di Venezia Red Canzian ha ideato questo progetto compiendo un vero atto d’amore verso la città e verso uno dei suoi personaggi simbolo, componendo ben 35 brani, per circa due ore di musica del tutto inedita. Lo spettacolo presenta 21 performer selezionati fra 1700 candidati, 120 costumi, oltre 30 cambi scena. Protagonisti in scena Gian Marco Schiaretti, nel ruolo di Giacomo Casanova, e Angelica Cinquantini, nella parte di Francesca Erizzo. La regia è affidata a Emanuele Gamba, le coreografie a Martina Nadalini e Roberto Carrozzino, le scenografie sono frutto della 80
lunga esperienza e della creatività di Massimo Checchetto, direttore degli allestimenti scenici al Teatro La Fenice. I costumi, disegnati dalla stilista Desiree Costanzo, sono realizzati dall’Atelier di Stefano Nicolao; le scarpe dal Politecnico Calzaturiero del Brenta. Dopo tantissimi, incredibili successi, che cosa si aspetta da questa ennesima avventura? Innanzitutto spero di riportare la gente a teatro, a vivere le emozioni che ci sono state vietate per quasi due anni. Questa sarà la prima grande produzione tutta italiana ad andare in scena dopo un periodo di pandemia che ha limitato la nostra libertà e le nostre passioni. In questa opera pop ho messo tutta la passione e tutto l’amore che avevo dentro, quindi mi aspetto molto da questo progetto, sì. Matteo Strukul, autore del romanzo da cui prende spunto il suo spettacolo, parla di Casanova come di uno dei “più incredibili antieroi della storia”. Chi è il Casanova secondo Red Canzian? Un uomo molto più “alto” di quello stereotipato che ci hanno raccontato finora. Il romanzo di Strukul mi ha affascinato proprio perché rivaluta la figura di un uomo intelligente, non solo scaltro. Un uomo colto che frequentava le migliori corti europee e che tutti si contendevano. Il suo successo con le donne è innegabile, lo testimoniano due matrimoni e molte storie importanti. Quanto ritrova di sé stesso in questa figura di seduttore, di libertino? Ritrovo me stesso più in questo ‘mio’ inedito Casanova, amante dell’amore, che nell’immagine del Casanova libertino impenitente alla quale siamo stati abituati. Non ho mai cercato ‘l’avventura per l’avventura’ e ho sempre interpretato le mie storie nel rispetto di chi avevo accanto. Ecco perché mi è piaciuta questa trasformazione del personaggio Casanova raccontata da Matteo Strukul. Ha scritto ben 35 brani per questo spettacolo: che tipo di musica ha composto? Ogni forma di musica che ha attraversato la
La voglia di palco è sempre tanta e il mio bisogno di comunicare aumenta sempre più, ho una gran “fame” di gente intorno a me mia vita! A seconda della storia che dovevo raccontare mi sono mosso tra rock, pop, prog, senza tralasciare citazioni classiche e di musica popolare. Phil Mer, poi, con gli arrangiamenti ha lavorato per dare una continuità sonora ai vari colori della musica che avevo composto. Come ha scelto gli interpreti principali e tutto il cast? È stato un lavoro lungo e impegnativo. Si sono iscritti oltre 1780 artisti, di cui una buona metà professionisti molto preparati e bravi, quindi non è stato facile scegliere. Attraverso vari passaggi di selezione siamo arrivati a 280 performers da incontrare dal vivo, che abbiamo esaminato in una intensa quattro giorni di casting a Milano, presso il MoveOn, un’ottima e attrezzata scuola di danza, canto e recitazione. Siamo usciti da lì con il nostro cast o quasi: avevamo trovato tutti, tranne… Casanova! È partita quindi una ricerca mirata e intensa, poi finalmente a Vienna abbiamo trovato il nostro Giacomo, un italiano che lavora nel mondo del musical in tutta Europa, Gian Marco Schiaretti. Finalmente avevo trovato quello che volevo, quello che cercavo, quello che cantava i miei brani emozionandomi. Un professionista assoluto, attento e preparato.
tre anni di preparazione è un investimento economico importante (Red Canzian e la moglie Beatrice sono i produttori del musical, ndr); sarà quindi questo inevitabilmente il principale progetto dei prossimi mesi. Poi ovviamente riprenderò i concerti e sto pensando ad un disco di inediti. La voglia di palco è sempre tanta e il mio bisogno di comunicare aumenta sempre di più: ho una gran “fame” di gente intorno a me. Lei è nato in Veneto e qui è rimasto a vivere. Cosa la lega in modo così profondo a questa terra? Il profumo di foglie che si sente nell’aria in autunno nei giorni di nebbia, il suono dell’acqua che sembra il chiacchiericcio delle donne nelle calli di Venezia, la storia importante che si legge ovunque ti giri, il cibo della tradizione contadina e poi quel senso di appartenenza che non ho mai provato in nessun altro posto al mondo. Questa è casa mia ed è qui che voglio tornare, sempre. Lei è vegano convinto: cosa l’ha spinta verso questa scelta? La mia è una scelta etica: amo gli animali e non voglio usarli come alimentazione, tutto qua. Quando vado in un ristorante riesco sempre a trovare qualcosa per me. Del resto, un tempo, la cucina povera era fatta di piatti vegani in quanto la carne e il pesce erano riservati ai ricchi.
L’amore del pubblico per i Pooh è enorme e senza tempo. Qual è il segreto di questa infinita avventura durata quasi cinquant’anni? Non abbiamo mai mollato e non ci siamo mai ‘accontentati’ di quello che veniva al primo colpo, abbiamo sempre esaminato il peso delle emozioni di ogni nostra canzone. E questa disposizione ci ha premiato attraverso la passione, l’amore di un pubblico a cui non ci si abitua mai. Abbiamo un pubblico che tuttora ci segue e che ‘protegge’ la nostra musica, una musica frutto di tanti anni di lavoro costante e assolutamente serio.
Nel lungo arco della sua carriera ha lavorato con grandissimi musicisti di varia estrazione. Oggi con chi le piacerebbe lavorare? Non ho mai messo limiti alle sorprese che la vita ci può riservare e, quindi, mi piace pensare che il meglio debba ancora arrivare. E poi non ci sono regole per gli incontri musicali. Possono accadere in tanti modi; quello che è sicuro è che contano i rapporti sinceri tra gli artisti più delle strategie manageriali.
Casanova Opera Pop rientra nelle celebrazioni per i 1600 anni della fondazione di Venezia. Che cosa rappresenta per lei questa città? Venezia è amore e infatti il musical si conclude con la frase, gridata da tutto il cast, «Venezia… amore». Non esiste città più magica al mondo e sono orgoglioso di portare in teatro, e spero non solo in Italia, l’immagine di una Venezia unica e immaginifica, rappresentata dalle proiezioni di realtà modificata che ho realizzato personalmente in mesi e mesi di lavoro al computer. Questo è per me Venezia! Elisabetta Gardin
Quali sono i suoi progetti futuri? Portare in scena il musical Casanova dopo
Casanova Opera Pop 21, 22, 23 gennaio 2022 Teatro Malibran www.teatrolafenice.it
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musica LIVE
A cielo aperto
Potere al pop
Ci metto la faccia
Cantante, attore, narratore. Massimo Ranieri è artista di razza, nato in quella quinta naturale che è Napoli, precisamente nel Pallonetto di Santa Lucia, zona popolare dell’elegante quartiere cittadino di San Ferdinando che non a caso diede i natali ad un altro alfiere della napoletanità del mondo come Luciano De Crescenzo. Giovanni Calone, questo il suo nome all’anagrafe, inizia da qui, da una casa modestissima composta da un unico vano che lo vede affacciarsi al mondo fin da giovanissimo grazie ad una voce impossibile da non notare, unita alla capacità di raccontare e raccontarsi al pubblico senza filtri o preconcetti. Massimo Ranieri si prepara a tornare a stregare dal vivo migliaia di spettatori con Sogno e son desto, suo spettacolo teatrale da sempre tra i più acclamati ed apprezzati dal pubblico, anche nella trasposizione televisiva. Il 15 dicembre al Geox di Padova spazio a canzoni intramontabili, sketch divertenti e racconti inediti racchiusi in uno show unico, leggero e sofisticato, travolgente e commovente, costruito secondo la formula vincente concepita da un grande comunicatore che ha sempre messo al centro della propria carriera un rapporto viscerale con il pubblico. Lo spettacolo sarà proposto in chiave rinnovata, dalla scaletta alle scenografie e alle luci, per catturare e stupire ancora il pubblico, tra le grandi melodie senza tempo, l’incanto affabulatorio e i brani più celebri di uno dei maggiori protagonisti della recente storia musicale italiana. Daniele Pennacchi
Con gli Spandau Ballet ha scritto pagine di storia del pop, in un dualismo con i Duran Duran che come spesso accade ha coinvolto più le pagine dei giornali che non i diretti interessati, per fortuna occupati a fare musica e non ad alimentare presunte scaramucce sempre rimaste confinate nell’ambito del gustoso gossip musicale. Tony Hadley ha legato alla propria voce, assieme delicata e potente, hit immortali come Through the Barricades, True e Gold, diventate inni generazionali di un’epoca che si spinge fino a noi. Il 15 dicembre al Gran Teatro Geox di Padova l’ex frontman del gruppo ci accompagna in un meraviglioso viaggio nel tempo cantando tutti i successi degli Spandau Ballet fino ad arrivare alle canzoni dei suoi album solisti, passando per reinterpretazioni dei suoi artisti preferiti, molti dei quali condivisero con la formazione la memorabile partecipazione al leggendario Live Aid di Wembley. Premiato con una medaglia d’oro dalla British Academy of Composers and Songwriters e autentica icona musicale degli anni ’80, così Hadley ricorda quell’indimenticabile 13 luglio 1985: «Eravamo incredibilmente nervosi, volevamo che tutto andasse bene. Avevamo gli occhi di tutto il mondo puntati su di noi, c’erano anche il Principe Carlo e Lady Diana, David Bowie, Paul McCartney, Phil Collins, i Queen... tutti i nostri eroi, è stato incredibile. E oggi, dopo 35 anni, siamo ancora qui a parlarne: grazie al Live Aid le persone si sono accorte che la musica poteva davvero fare la differenza». Davide Carbone
Il 29 gennaio 2022 il PalaInvent di Jesolo ospita la data zero del tour di Marracash, dopo lo slittamento di un anno causa pandemia. Il concerto che apre il tour è riferito all’album Persona, disco più venduto/ascoltato nel 2020, nel frattempo è uscito da pochissimo un nuovo lavoro Noi, loro, gli altri. Il 42enne Fabio Bartolo Rizzo è cresciuto molto artisticamente e la sua musica non è più solo un genere per ragazzini. Il suo compito, assolto in modo efficace, è quello di traghettare il rap verso la maturità, oltre quel mondo di ostentazione tutto Gucci e Lamborghini, canne e soldi esibiti. Persona racconta una crisi esistenziale ed è stato il miglior disco italiano dell’anno 2019 secondo la rivista «Rolling Stone Italia», un vero concept album, citando Marracash: «Questo disco è il mio ‘avatar’, ogni brano rappresenta una parte del corpo, un organo vitale, reale come il cuore o intangibile come l’anima». Marracash, il “king del rap”, ritiene questo un genere per tutti, anche se aggiunge «A 42 anni sarei ridicolo a portare avanti un discorso teen. In questa congiuntura c’è spazio per dire delle cose. Se i podcast di Barbero sono i più ascoltati, significa che la gente non è così becera e superficiale. Nel rap si parla di strada senza allontanarsi dai cliché. Pochi fanno musica per avere un effetto sulla realtà, ma la mia scommessa è quella: voglio avere un approccio artistico e allo stesso tempo essere pop». F.M.
Massimo Ranieri 15 dicembre Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com
Tony Hadley 14 dicembre Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com
Marracash 29 gennaio 2022 PalaInvent-Jesolo www.azalea.it
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PASSIONE MAESTRA Scandinavo Visionario A Udine l’eleganza androgina di Jay Jay Johanson Metti a tavola due eccellenze culturali di affini e al contempo altre estrazioni e il pranzo stellato è servito. Più facile a dirsi che a farsi, poco ma sicuro. Spesso la mera somma di percorsi alti ci induce a pensare che vada da sé che le vette raggiungibili da una addizione esperienziale di intensiva qualità si elevino ineluttabilmente oltremodo, per meccanico divenire. Peccato che spesso i burroni, le voragini si aprano all’improvviso per fagocitare nel buio buoni propositi, progetti che sulla carta paiono necessariamente riusciti. Fare sistema, produrre virtuose sinergie non è la specialità della casa italiota, lo sappiamo bene. Eppur talvolta accade, sì, anche qui, forse, dai, più spesso di quanto oramai ci si aspetti con fare sin troppo disilluso. Qualche volta la somma di tali eccellenze si rivela addirittura superiore alla cifra stretta degli addendi, e allora sì che… Vabbeh, veniamo al sodo. Da una parte Sexto Unplugged, per quanto ci riguarda senza se e senza ma da dieci anni almeno la miglior rassegna estiva italiana del poliedrico, caleidoscopico universo dell’indie internazionale. Tutto il meglio del crossover, dell’elettronica, del rock, post e non, della scena indipendente globale ha calcato in questi anni le meravigliose scene di Sesto al Reghena, borgo medioevale di puro pregio artistico tra Portogruaro e Pordenone. Dall’altra parte il centro cinematografico più dinamico, vitale, internazionale del nordest almeno, ma oserei dire dell’Italia intera, quel Centro Espressioni Cinematografiche di Udine protagonista nelle meravigliose, rimodernate sale del multiplex Visionario di attività ed eventi che sarebbe riduttivo etichettare “solo” cinematografici, in quanto espressione di una trasversalità, di una disposizione alla contaminazione tra linguaggi artistici di pura, vissuta concretezza. Ma soprattutto capace da venti e più anni di costruire davvero il più internazionale, globale dei festival tricolori, quel Far East Film Festival che è in assoluto la più grande vetrina e la miglior espressione occidentali del rutilante mondo cinematografico dell’estremo oriente. Ebbene, che si inventano questi due soggetti shakerando a dovere i rispettivi intrugli? Il concerto top dell’inverno, protagonista un artista seminale, cool, di culto direi, dell’indie sospeso tra trip-hop, elettronica minimale, autorialità, capace di restituire peculiarmente, rinverdendola, tutta quella cultura sonica tra il dark più ricercato e un ambient aperto alle oscure elettricità del post punk che la mitica etichetta 4AD ha mirabilmente disegnato nei decenni, a partire dai suoi primi albori alla fine degli anni ‘70. Jay Jay Johanson, questo scandinavo (svedese) dalle sembianze androgine, di un’eleganza asettica capace di giocare con il ghiaccio e con il fuoco, guarda un po’ accompagnato da quel Robin Guthrie di quei Cocteau Twins massimi alfieri dell’età aurea della 4AD, ebbene sì battezzerà il 2022 indie proprio al Visionario di Udine, dove presenterà Rorschach Test, suo tredicesimo album che raccoglie una nuova collezione di brani che spaziano dall’electro-pop al folk al trip-hop e che confermano, se ancora ce ne fosse bisogno, la sua peculiare capacità di spaziare con naturalezza tra diversi generi musicali. Saranno stati 20 anni fa, Barcellona, nel mitico club Razzmatazz. Una performance di potente, apparente immobilità, dalle vibrazioni fonde, montanti, in un clima di pura sospensione in movimento, tra trame urbane di archeologie industriali rianimate e pulsanti. Io c’ero. E a Udine pure, ci sarò. Voi? Massimo Bran
Sono un’appassionata di canto, prendevo lezioni. Quel giorno, nella piccola scuola di musica che frequentavo, sarebbe arrivata una star, un pezzo grosso della scena teatrale e musicale italiana: Giò Di Tonno. Era venuto a Treviso per condurre un workshop per aspiranti cantanti. Giò è un personaggio di grande esperienza, ed ha decisamente contribuito ad alimentare la mia passione per la musica. Oggi posso raccontare del suo talento, delle sue doti sia canore che recitative, nonché del suo carisma e dell’amore per lo spettacolo che trasmette con grande energia creativa. Ha uno spirito giovane, ma soprattutto rivolto ai giovani, sempre attento a considerare importante lo scambio di idee con i non professionisti, ritenendo le loro domande come le più interessanti. Oltre ad alcuni segreti sulla tecnica canora moderna, mi ha lasciato saggi insegnamenti consigliando di mettere sempre entusiasmo in tutto quello che si fa, in particolare in quello che veramente piace, che sia nel canto o altro (sapevate che il suo sogno era di fare il calciatore?). Raccontava di quando al Festival di Sanremo si è sentito immaturo su un palco così grande, decidendo di mettersi a “studiare davvero” e intraprendere anche la strada della recitazione, per essere poi scelto da Riccardo Cocciante per interpretare il ruolo di Quasimodo nel pluripremiato musical Notre Dame de Paris. Anche Giò Di Tonno torna sul palco, questa volta in occasione del concerto intitolato Canzoni x sempre, al fianco dei suoi due più fedeli colleghi, ma più che altro amici, Vittorio Matteucci e Graziano Galatone, il 21 gennaio al Corso di Mestre: tutto il meglio del musical e delle colonne sonore più belle della storia del cinema, da La Dolce Vita a Moulin Rouge, da West Side Story a Nuovo Cinema Paradiso, da Romeo e Giulietta a Notre Dame de Paris. Silvia Gobbo
Jay Jay Johanson 7 gennaio 2022 Cinema Visionario-Udine www.visionario.movie
Canzoni x sempre 21 gennaio 2022 Teatro Corso- Mestre www.dalvivoeventi.it
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musica BIENNALE MUSICA 2022 LEONI
PREVIEW a cura di Andrea Oddone Martin
Il suono di un gesto
L’artigiano musicale
L’aveva detto, il neo-direttore della Biennale Musica Lucia Ronchetti: già era pronto ed articolato completamente il suo mandato quadriennale. Perciò non sorprende se, non ancora terminata l’annata della sua prima edizione, sono già note le attribuzioni dei Leoni della seconda. Il 66. Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale veneziana si intitola Out of Stage, si svolgerà dal 14 al 25 settembre 2022 ed è interamente dedicato alle nuove forme di teatro musicale sperimentale. Dunque, sorprende ancor meno l’attribuzione del Leone d’Oro alla carriera a Giorgio Battistelli, compositore la cui intera produzione fin dagli anni ‘70 è rivolta particolarmente alla dimensione teatrale, con gran successo internazionale. Un titolo su tutti: Experimentum Mundi del 1981, opera di musica immaginifica per un attore, otto voci naturali di donne, sedici artigiani e un percussionista, che ad oggi ha raggiunto le 400 rappresentazioni in Europa, Asia, Oceania e Nord America ed è considerato un caposaldo del teatro musicale strumentale (e sarà eseguito al 66. Festival de La Biennale, con la regia del compositore). Ricordiamo inoltre che, alla volta del 2005, il direttore del Festival veneziano, all’epoca proprio Giorgio Battistelli, dedicò interamente la 49esima edizione al teatro musicale, intitolandola significativamente La Musica e il suo Doppio. Un riconoscimento alla carriera conquistato con pieno titolo di merito, perciò. In una felice coincidenza, la nuova stagione dell’Opera di Roma apre proprio con la sua opera Julius Caesar, con la regia di Robert Carsen e la bacchetta di Daniele Gatti. Non è la prima volta che le riflessioni di Battistelli e Carsen si confrontano con il teatro di William Shakespeare, e pensiamo al Riccardo III che pure è stato premiato con il Franco Abbiati nel 2018. Sarà un’altra celebre opera di Battistelli, il Jules Verne del 1987 (fantasia da camera in forma di spettacolo per trio di percussioni, tre voci, tromba e pianoforte) ad aprire il 66. Festival de La Biennale in nuova versione e con la regia inedita dello stesso compositore.
Nell’edizione del 2021, il premio del Leone d’Argento nell’ambito della Biennale Musica ha mutato i termini della propria attribuzione. Il direttore del Festival, Lucia Ronchetti, ha proposto di interpretare il premio non come un favorevole auspicio verso le possibili carriere future dei giovani compositori ed esecutori, ma come un riconoscimento, un tributo all’opera e alle competenze indiscutibilmente necessarie e insostituibili delle persone che, nelle loro vesti di interpreti, di maestranze logistiche, tecniche, etc. compongono quello che viene definito “back stage” e rendono possibile di volta in volta le realizzazioni artistiche. Nella 65. edizione del Festival è stato premiato perciò il gruppo vocale Neue Vocalsolisten. Il Leone d’Argento della prossima edizione del Festival è stato attribuito ad Antonio Caggiano, Rodolfo Rossi e Gianluca Ruggeri, che nel 1987 fondano a Roma l’ensemble Ars Ludi, in quanto, recita la motivazione «ideali interpreti del nuovo repertorio di teatro strumentale, musicisti istrionici e carismatici che trasformano ogni trama percussiva in un evento carico di teatralità, contribuendo a creare una nuova visione della produzione musicale contemporanea dove le partiture più complesse sono presentate con una attitudine performativa trascinante e comunicativa». I musicisti di questo importante ensemble italiano attivo internazionalmente da trent’anni forniranno un supporto importante al 66. Festival de La Biennale di Venezia: sarà l’interpretazione di Ars Ludi a inaugurare il Festival con l’opera di Battistelli, Jules Verne. I musicisti di Ars Ludi parteciperanno inoltre al Biennale College Musica. 85
Intervista Cecilia Bartoli, cantante
AGITATA DA DUE VENTI
La musica era qualcosa di normale, naturale, quotidiano, quindi non c’è stata nessuna forzatura nello scegliere la carriera di cantante
classical
di Fabio Marzari
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Q
uando gli amici di Studio Systema ci hanno
chiesto se volessimo intervistare la grandissima mezzosoprano Cecilia Bartoli, una delle voci più importanti nel panorama musicale a livello planetario, stentavamo a crederci. Bartoli vanta una tecnica vocale e una musicalità uniche che assieme alla sua carismatica presenza sul palcoscenico l’hanno resa il prototipo della cantante lirica moderna, con una capacità di combinare arte e pensiero, ricerca scientifica e passione. Sin dagli esordi ha saputo convincere ed emozionare pubblici assai diversi tra loro e la sua voce è una delle poche immediatamente riconoscibili all’ascolto, privilegio che spetta a un minuscolo e leggendario drappello di interpreti del “bel canto”. Con la sua voce splendida, scegliendo di interpretare un repertorio legato principalmente alla musica barocca, ha saputo riportare ai giusti fasti pagine immortali di musica che attendevano di poter rivivere grazie alle sue interpretazioni particolarmente significative per luminosità timbrica, compattezza dell’emissione, controllo della linea, nitidezza della coloratura, mentre ancora più rilevante è il profilo interpretativo costruito attraverso un fraseggio privo di manierismi. È complesso riassumere la carriera di Cecilia Bartoli. Esordisce giovanissima in una trasmissione televisiva di Pippo Baudo nel 1985, anche se in realtà il primo impatto col palcoscenico avvenne per lei a nove anni per cantare dietro le quinte il ruolo del Pastorello nella Tosca di Puccini al Teatro dell’Opera di Roma. Ci sono alcuni passaggi epocali nella sua carriera che vanno su tutti fermati, come il ruolo di Despina in Così fan tutte di Mozart al Metropolitan di New York nel 1996, o come altrettanto la sua interpretazione nella Cenerentola di Rossini, in cui si evidenzia la sua vocali-
tà funambolica, così come le sue interpretazioni sublimi di Vivaldi, una tra tutte all’Olimpico di Vicenza, pagina tra le più alte nella musica universale. È stata riconfermata fino al 2026 alla guida artistica del prestigioso Festival di Pentecoste a Salisburgo, precedentemente diretto da Riccardo Muti, e dal 2023 sarà alla guida del Teatro dell’Opera di Monte Carlo. Bartoli ha venduto oltre dieci milioni di dischi e di video, numerosi dei quali dedicati a Rossini. La sua visita a Venezia, ospite d’onore del concerto finale della prima edizione del Vivaldi Festival per ricevere il Premio Vivaldi d’Oro, ci ha dato la preziosa opportunità di poterla incontrare all’Hotel Danieli. La conversazione, purtroppo costretta nei tempi contingentati di un’agenda fitta di impegni, ha riportato la carica umana e la simpatia di una gentile signora dalla risata travolgente, anch’essa musicale e perfetta nell’intonazione, lontana dagli stereotipi della cantante lirica irraggiungibile e capricciosa. L’essere figlia di artisti ha rappresentato per lei uno ‘scivolo’ naturale alla carriera di cantante? In effetti ho avuto in famiglia mamma e papà cantanti d’opera e mia madre (Silvana Bazzoni n.d.r.) come insegnante soprattutto di tecnica vocale, ma ho studiato al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma. Eravamo tre figli e i nostri genitori passarono dall’iniziale carriera solistica al coro del Teatro dell’Opera di Roma. Questo ci ha permesso di vivere una vita abbastanza allegra: non servivano baby-sitter, stavamo a teatro tutto il giorno, ovviamente giocavamo, ma allo stesso tempo potevamo assistere alle prove degli spettacoli, vederli crescere nella loro complessità. Se non eravamo in sala, stavamo dietro il palcoscenico a giocare.
In estate c’era la Stagione alle Terme di Caracalla e passavamo i mesi di vacanza scolastica ad ascoltare opere e guardare i balletti. All’inizio è stato come un gioco, la possibilità di apprendere le cose divertendosi e penso sia stato proprio quello il segreto: la musica per noi era qualcosa di normale, naturale, quotidiano, quindi per quanto mi riguarda non vi è stata alcuna forzatura nello scegliere poi la carriera di cantante. È stata la prosecuzione naturale di quei momenti felici dell’infanzia. Ogni sua interpretazione rappresenta un piccolo capolavoro, a partire dal suo debutto al Metropolitan. Che ricordi ha di quella Despina (Così fan tutte)? I giornali all’epoca non ebbero dubbi nel definirla “fantastica” nel ruolo. Ricordo molto bene il debutto al Met e ricordo quando mi chiesero cosa volessi interpretare. Effettivamente trovarsi in un teatro enorme provoca una reazione di spaesamento; volli conoscere ogni angolo di quel teatro, godere in pieno dell’opportunità che mi veniva offerta. Dissi di voler entrare interpretando Despina, un personaggio che come la Colombina della Commedia dell’Arte accetta di buon grado qualsiasi scherzo, pronta a tutti gli intrighi e molto sagace, diventando la naturale alleata di don Alfonso. La sua condizione sociale le consente di trascurare le convenzioni e di dirlo con franchezza alle sue padrone, con un tono di ribellione molto più marcato, più radicale perfino di Leporello. Quel ruolo mi ha portato una grandissima fortuna negli Stati Uniti e poi ovviamente mi ha permesso di poter iniziare le tournée nei teatri più importanti del mondo. Cecilia Bartoli non canta spesso in Italia. Perché? Fondamentalmente la ragione credo sia legata alla scelta del repertorio. Ho iniziato molto giovane con i ruoli mozartiani, per poi dedicarmi alla musica barocca. Esiste un repertorio che venne eseguito per la prima volta solo venti anni fa, quando incisi con Giardino Armonico un disco di arie di Vivaldi ancora inedite, e stiamo parlando del più grande compositore del Settecento insieme a Händel, conosciuto e famoso, ma il cui repertorio è ritenuto meno adatto alla tipica locandina del cartellone d’opera. Il melodramma ha preso il sopravvento nei teatri italiani, spesso si sono scordate le radici di un mondo musicale e artistico straordinario. Quando si pensa a Rossini o a Bellini, serve pensare a Vivaldi, a Porpora. Una città come Napoli aveva quattro Conservatori, Porpora era un grande maestro compositore, ma anche insegnante di canto, di musica. Noi italiani veniamo da una tradizione incredibile che abbiamo però messo purtroppo un po’ da parte, per svariate ragioni che sono incomprensibili. Però è così.
In un Paese dove la musica barocca e l’opera hanno visto la loro prima luce, dovremmo imparare tutti a essere più orgogliosi di tale primato: questa musica rappresenta un patrimonio italiano immenso, che necessita di essere riscoperto ed eseguito. E per riuscire in questo compito è necessario puntare, innanzitutto, al ricambio generazionale del pubblico. Già, serve un pubblico nuovo... Certamente, è indispensabile; bisogna partire dalle scuole, da un’educazione all’ascolto musicale. Ora come ora bisogna far tornare la gente a teatro, non aver paura, percepire i teatri effettivamente come luoghi sicuri e bisogna portarci anche i bambini. È un discorso pedagogico, tutto parte da lì. Io avevo quattro anni, o forse anche meno, quando ho visto Aida la prima volta: lo spettacolo visto attraverso lo sguardo di una bambina era bellissimo. L’unico segreto per costruire il pubblico del futuro è un impegno costante sui giovani. A Venezia mancava un festival dedicato a Vivaldi. A questo dovrebbe rispondere il signor Castiglione, ideatore del Vivaldi Festival. Io posso dire che serve avere coraggio, saper rischiare. Il pubblico, ascoltando la musica di Vivaldi, non può non amarla: contiene una forza e sprigiona un’energia che va dritta al cuore. Vivaldi merita di riconciliarsi nel modo migliore con la sua città, dopo aver fatto una fine tanto triste, morto a Vienna in povertà assoluta, come un mendicante. È una riconciliazione che gli spetta da tanti punti di vista, artistici e umani. Rossini, altro autore da lei molto amato, cosa rappresenta per la sua lunga e fortunata carriera? Leggendaria è stata la sua interpretazione in Cenerentola: lei sa entrare nella musica! Cenerentola-Angelina è stato un ruolo che mi ha portato tanta fortuna effettivamente. Rossini ha scritto un personaggio che necessita di vocalità straordinaria e presenta una grande difficoltà tecnica, specie nel rondò finale: lì non si scherza, o si è o non si è. Rossini la scrisse pensando al suo mondo, in cui c’erano i grandi virtuosi, soprani come Margherita Durastanti e i castrati, in grado di interpretare arie di grandissima difficoltà tecnica. Rossini, come Mozart, oltre a essere stato un altissimo genio, può essere considerato, e a giusto merito, anche un grande maestro della tecnica vocale. Cantare Rossini significa mantenere una voce sempre fresca, elastica, pari a uno strumento che deve dialogare con quelli che sono in orchestra, facendo musica insieme, condividendo. Questo è il segreto della longevità vocale. Io canto da 35 anni…con me ha funzionato! 87
classical CONCERTS
IN PUNTA DI DITA
Oltre a un’ampia produzione destinata a portare il valzer nei salotti e la quadriglia nei gran balli, i compositori romantici si sono spesso impadroniti di forme popolari o divertenti per evocare, nelle opere più intime, in particolare in quelle destinate al pianoforte, il ricordo dei secoli passati o l’esotismo di un altrove fantasticato. Valzer, bourrée, gighe o mazurke sono gli ultimi rifugi per sospendere il tempo di un mondo trasfigurato dalle rivoluzioni industriali. Saint-Saëns, Dubois, Lamothe, Ravel, Chaminade, Debussy vengono così affidati il 13 gennaio alle sapienti e talentuose mani di Gloria Campaner, pianista jesolana classe 1986 che già a 4 anni si accosta allo studio dello strumento guidata da Daniela Vidali. Allieva di Bruno Mezzena, si diploma con lode al Conservatorio di Udine e successivamente al corso triennale di alto perfezionamento presso l’Accademia Musicale Pescarese. Il suo percorso di studi l’ha portata poi ad incontrare maestri come Jeffrey Swann, Sergio Perticaroli, Pavel Gililov, seguendo masterclasses presso il Mozarteum di Salisburgo, l’Hertford College di Oxford, il Mannes College di New York. A Palazzetto Bru Zane la vediamo in un concerto il cui repertorio è ispirato a figure ormai di casa al Centre de musique romantique française, sempre più voce di prima grandezza della programmazione musicale cittadina e nazionale. Gloria Campaner 13 gennaio 2022 Palazzetto Bru Zane bru-zane.com
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Il posto dell’anima Myung-Whun Chung incontra Beethoven alla Fenice
© Riccardo Musacchio
Fin dalla più tenera età, il maestro sudcoreano Myung-Whun Chung era già immerso nella musica: infatti all’età di soli sette anni inizia la carriera da pianista, diventando poi uno dei direttori d’orchestra più talentuosi al mondo. Decisiva è stata l’esperienza come assistente di Carlo Maria Giulini alla Los Angeles Philharmonic diventando infatti nel 1981 direttore associato, trampolino di lancio che lo porta a dirigere da qui in poi le orchestre più prestigiose. Con pazienza e duro lavoro fa della sua missione a favore della pace, una professione. Grazie anche alla sua mentalità sempre giovane, unisce i popoli infatti quando alza la bacchetta non esiste più una nazionalità, ma solamente il linguaggio universale della musica. Il suo impegno di carattere umanitario gli è valso la nomina, nel 1995, di “Uomo dell’anno” dall’UNESCO, mentre è del 2008 l’incarico di “Goodwill Ambassador” dall’UNICEF come riconoscimento per l’impegno a favore dell’infanzia. Attualmente è Ambasciatore Onorario per la Cultura della Corea del Sud. Diventa negli anni un riferimento di musicisti e amanti della musica per la capacità di trovare il giusto equilibrio tra l’approccio professionale e uno stile di vita etico, insegnandoci al tempo stesso come vita e musica non si possano in realtà separare. Privilegiato il rapporto con il nostro Paese: ha soggiornato e studiato a lungo in Italia e ha diretto in tutti i più famosi teatri italiani, regalando ai musicisti il proprio straordinario talento e la sua innata carica umana ed emozionale. Si è impegnato in particolar modo nell’attività del Teatro La Fenice ricevendo nel 2015 il Premio Abbiati per l’opera Simon Boccanegra di Verdi e per l’attività sinfonica con la Filarmonica della Scala. Venezia è onorata di ospitarlo alla Fenice sabato 4 e domenica 5 dicembre quando alla guida dell’Orchestra e del Coro del Teatro lo vediamo impegnato nella Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven: la Sinfonia n. 9 in re minore per soli, coro e orchestra, conosciuta anche come Sinfonia corale, è luogo dell’anima in cui la perfezione della forma e delle strutture musicali si fonde con il profondo mondo interiore del compositore, risolvendosi nell’Inno alla Gioia, che da sempre, esprime per tutti, un messaggio di fratellanza. Silvia Gobbo
Where the soul belongs
ENG
South Korean conductor Myung-Whun Chung began his career as a pianist at a very early age. He worked with Carlo Maria Giulini at the Los Angeles Philharmonic and was made associate director in 1981. Thanks to patience and hard work, he turns his profession into a mission for peace and his humanitarian commitment earned him the UNESCO ‘Man of the Year’ prize in 1995. In 2008, he was nominated Goodwill Ambassador by UNICEF as an acknowledgement of his efforts to serve the cause of children. He is now an honorary ambassador of culture of South Korea. Over the years, Chung grew to be a beacon for musicians and music lovers due to his ability to find a perfect balance between professionalism and ethical lifestyle. The maestro also enjoys a privileged relationship with Italy, and will be at Fenice Theatre on December, Saturday 4 and Sunday 5 to conduct an execution of Beethoven’s Ninth. Myung-Whun Chung 4, 5 dicembre Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it
L’AMOROSO CANTO Amami, Alfredo!
Immersione totale
© Luca Picchio
Cosa rende “classico”, un classico? Di sicuro la propria replicabilità nel tempo, la capacità innata di farsi portatore di significati insensibili all’usura degli anni, che un pubblico non legato ad una specifica epoca possa fare propri. I temi de La Traviata sono eternamente presenti, dagli anni della sua composizione – e anche molto prima – fino ai giorni nostri. Sono i meccanismi dell’amore che spesso incrociano amaramente alcune regole sociali ottuse e miopi. La società si evolve, ma talvolta alcuni problematici retaggi rimangono invariati. Anche nelle pellicole sofisticate degli anni ‘30 e ‘40, Hollywood mette in scena malintesi e drammi che intralciano le vite sentimentali… e non sempre la conclusione è a lieto fine. Questa Traviata Special Edition tiene conto delle problematiche presenti in questo particolare periodo, delineandosi come versione agile dell’opera di Verdi per tornare in sala e “affrontare la musica e ballare” (Let’s face the music and dance). La regia di Ivan Stefanutti porta a Padova e Treviso una produzione che annovera l’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta diretta da Francesco Rosa, assieme al Coro Lirico Veneto e alla compagnia di danza Fabula Saltica impegnata in coreografie di Claudio Ronda per offrire al pubblico uno spettacolo capace di far provare tutta la gamma di emozioni di cui la chiusura dei teatri ci aveva privato. La Traviata Special Edition 10, 12 dicembre Teatro Mario Del Monaco-Treviso 29, 31 dicembre Teatro Verdi-Padova www.teatrostabileveneto.it
Lo Squero di San Giorgio, dall’ospitare l’officina per la costruzione delle gondole, è diventato oggi un luogo dedicato a spartiti, strumenti musicali e talentuosi artigiani della musica. Dopotutto non è cambiata del tutto la sua natura, rimane pur sempre un luogo di ‘creazione’. Concludono il ciclo delle dieci serate della Stagione 2021, organizzate in collaborazione con Asolo Musica, le ultime due date di dicembre, in quello che è diventato l’Auditorium “Lo Squero”, della Fondazione Giorgio Cini. In questa magica stanza, travolgente al tramonto, grazie alla ‘quinta’ di 13 metri, totalmente in vetro, i nostri sguardi vengono riversati direttamente in una laguna bagnata di colori caldi. Non solo l’acustica è formidabile, ma una spazialità moderna rende l’esperienza d’ascolto del tutto unica. Il primo concerto è un tributo a Bach, con Sonate e Partite eseguite l’11 dicembre dal grande musicista Mario Brunello, con uno strumento oggi dimenticato, il violoncello piccolo, via di mezzo tra viola e violoncello. Il suo timbro fa pensare alla voce sottile di un soprano, tuttavia, è più profonda e si avvicina alle tonalità di contro tenore. Davvero appropriata è la musica di Bach, in un luogo così a contatto con la Natura circostante. Il repertorio bachiano è asimmetrico, spigoloso, proprio come la Natura, perfetta nelle sue irregolarità. Il 18 dicembre il Quartetto di Venezia, dal 2017 “quartetto in residenza” della Fondazione Cini, si esibisce con il pianista Maurizio Baglini, attingendo al repertorio di Brahms. Silvia Gobbo
Per celebrare i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, il Teatro La Fenice presenta la rassegna Diverse voci fanno dolci note: quattro appuntamenti per celebrare in musica il poeta dal 7 al 20 dicembre a Venezia. Si comincia con una giornata di studi in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari dedicata al tema Dante e la musica che vede la partecipazione di professori e studiosi internazionali; il convegno è a ingresso libero e si tiene nell’Aula Magna Silvio Trentin a Ca’ Dolfin (7 dicembre). La giornata inaugurale si conclude con un concerto dell’ensemble Le Parnasse Français diretto da Louis Castelain con un programma di madrigali di compositori rinascimentali su testi danteschi alternati alla narrazione del critico musicale Sandro Cappelletto al Teatro La Fenice. A riveder le stelle è invece il titolo dello spettacolo tratto dall’omonimo libro di Aldo Cazzullo che sarà rappresentato giovedì 9 dicembre al Teatro La Fenice. Sulla scena un percorso che ricostruisce l’esperienza del poeta nell’Inferno della Divina Commedia: gli incontri e i personaggi più noti, le incursioni nella storia e nell’attualità e un viaggio in Italia da Nord a Sud. Un racconto che vede come narratore Aldo Cazzullo, accompagnato da musiche e immagini, e il cantante fiorentino Piero Pelù come interprete. Infine, la rassegna si conclude il 20 dicembre con il progetto Un itinerario dantesco, nato dalla collaborazione tra il mezzosoprano Manuela Custer e il pianista Raffaele Cortesi con il Quartetto Dafne, formazione costituita da musicisti dell’Orchestra del Teatro La Fenice: un excursus musicale che propone una ricercata selezione di brani ottonovecenteschi dedicati all’opera di Dante con autori come Morlacchi, Confidati, Marchetti, Gastaldon, Ponchielli e Boito. K.A.
Stagione 2021 11, 18 dicembre Auditorium Lo Squero-Isola di San Giorgio www.asolomusica.com
Diverse voci fanno dolci note 7, 9, 20 dicembre Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it
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COME NELLE FAVOLE Quando faccio teatro, regredisco, perché per raccontare le storie bisogna essere coraggiosi, e dunque bisogna tornare bambini
theatro
Emma Dante
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Pupo di Zucchero
Misericordia
di Katia Amoroso
I
l nuovo spettacolo di Emma Dante, Pupo di zucchero – La festa dei
morti, liberamente ispirato a Pinto Smauto (Lo smalto splendente), il terzo racconto de Lo Cunto de li cunti di Gianbattista Basile, è in scena al Teatro Goldoni il 16 e il 17 dicembre. Grazie alla favola, il mondo di Basile si presta alla drammaturgia della Dante, con uno spirito leggero e fiabesco ma nello stesso tempo realista e crudo. Per Emma Dante, Basile, con la sua affascinante lingua napoletana del Seicento, è un autore che parla al presente e si proietta in questa pièce in una realtà tipicamente siciliana: il momento della rimembranza dei morti. Tuttavia Pupo di zucchero trae solo ispirazione dal racconto di Basile: è infatti una storia scritta e diretta interamente dalla regista palermitana. Lo spettacolo mette in scena la vita di un vecchio che, per sconfiggere la solitudine, invita a cena i defunti della sua famiglia nella notte fra l’1 e il 2 novembre. Rimasto solo, il povero anziano lascia aperte le porte della sua casa in modo che i defunti possano liberamente accedere. Il 2 novembre, infatti, è la Festa dei morti e in diversi luoghi del Sud Italia si usa organizzare sontuosi banchetti di dolci tipici. Nel caso della Sicilia, si preparano i pupi di zucchero che i parenti deceduti, di ritorno dal regno dei morti, regalano ai bambini. In questo spettacolo, però, non ci sono bambini e il vecchio impasta il suo “pupo” per ricordare tutti i parenti deceduti. «Di questa storia, mi ha attratto la dimensione del cucinare, del preparare il pasto, che è una pratica molto vicina al mio modo di fare teatro – dichiara Emma Dante – quando creo uno spettacolo, in qualche maniera li ‘cucino’ e lo offro al pubblico nel banchetto dell’arte e della vita». Durante il rituale, la cena si trasforma in un momento di patrofagia simbolica, una sorta di cannibalismo magico: il valore originario dei dolci antropomorfi è infatti proprio quello di raffigurare le anime dei defunti. Cibandosi di essi è come se ci si cibasse dei propri cari. Il vecchio, protagonista dello spettacolo, prepara quindi con acqua, farina e zucchero «l’esca pe li pesci de lo cielo»: una statuetta dipinta con colori vivaci. In questo scenario, la morte non è più un tabù, non è scandalosa. Anzi, ciò che il vecchio vede e ci mostra è una parte fondamentale della sua vita. Per Emma è necessario «non dimenticare i temi della morte e della famiglia perché sono l’unico modo per non morire di solitudine». Così, la stanza del vecchio, arredata dai ricordi, diventa una sala da ballo dove i morti, ritrovando le loro abitudini, festeggiano la vita. Nello spettacolo sono presenti dieci sculture dell’artista palermitano Cesare Inzerillo: si tratta di opere molto particolari che richiamano le magiche mummie presenti in alcune chiese del Sud Italia. Inoltre, in tutto lo spettacolo è presente un riferimento costante al teatro d’avanguardia di Tadeusz Kantor, il regista e sceneggiatore polacco al quale Emma Dante si è ispirata. Accanto al napoletano Carmine Maringola, abile cantastorie, recitano Nancy Trabona, Maria Sgro e Federica Greco nel ruolo delle tre vivaci sorelle, Sandro Maria Campagna in quello dello spasimante spagnolo innamorato di una delle sorelle, mentre Stephanie Taillandier è la madre marsigliese, Giuseppe Lino il padre disperso in mare, Tiebeu Marc-Henry Brissy Ghadout il tuttofare Pasqualino, e Martina Caracappa e Valter Sarzi Sartori gli zii che danno vita a una danza passionale e violenta. Pupo di zucchero presentato lo scorso agosto al Festival di Avignone ha riscosso un notevole successo di critica e il quotidiano «Le Monde» si è sbilanciato dichiarando «La papessa siciliana eretica e creativa ha trionfato». Uno spettacolo sulla solitudine e sulla memoria in cui la terribile visione occidentale della morte viene sfatata. I lavori teatrali di Emma Dante contengono sempre forti sconvolgimenti emotivi. In questo spettacolo, sulla solitudine e sulla memoria, si crea un contrasto nella percezione della morte. Attenzione però: nonostante si parli di morti, Pupo di zucchero non è un’opera triste e cupa, ma trasporta lo spettatore in una vera e propria “festa di morti”.
Pupo di zucchero – La festa dei morti 16-17 dicembre Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it
I
l quadro di un mondo fatto di emarginazione e abbandono, in un Sud ancestrale, disadattato, eppure in grado di combattere giorno per giorno in nome di valori come la solidarietà e il sacrificio. «Misericordia racconta una realtà squallida, intrisa di povertà, analfabetismo e provincialismo, esplora l’inferno di un degrado terribile, sempre di più ignorato dalla società. Il centro del lavoro è l’universo femminile, martoriato e profanato dagli uomini, afflitto da una miseria insopportabile, con ferite che sono inferte su tre corpi tribolati di donne e sul corpicino d’un ragazzone figlio della violenza». Così Emma Dante descrive il suo spettacolo in scena il 25 e il 27 gennaio al Teatro Toniolo di Mestre. Il tema, caro alla Dante, è quello della fragilità delle donne e della loro grande solitudine: la regista palermitana riesce nei suoi lavori ad accostare violenza, degrado e miseria ai sentimenti più dolci e profondi come l’amore incondizionato delle donne. Tre prostitute e Arturo, un ragazzo menomato, vivono in un monovano lercio e povero. Durante il giorno, le tre donne lavorano a maglia; la sera, sulla soglia di casa, offrono ai passanti i loro corpi. Arturo non sta mai fermo, è un ragazzo ipercinetico. Ogni sera, alla stessa ora, va alla finestra per vedere passare la banda e sogna di suonare la grancassa. Il giovane disabile è nato da una mamma prostituta, Lucia, e da un papà falegname – da tutti chiamato Geppetto – il quale, non appena scoprì che la moglie era rimasta incinta, cominciò a picchiarla e prendere a calci la pancia. Forse proprio per quei colpi, il bimbo è nato prematuro e anormale. Immediatamente e con tanta dedizione, le tre amiche della mamma, Anna, Nuzza e Bettina si sono prese cura di lui come fosse figlio loro. Un richiamo questo a Pinocchio, che grazie alle cure amorevoli si trasforma in un bambino vero. Tuttavia diventa presto chiaro per tutti che il ragazzo ha bisogno di cure migliori e che deve almeno imparare a parlare. In un istituto, avrebbe garantiti tre pasti al giorno e d’inverno anche una stanza con il riscaldamento. Per Emma Dante, le mamme di Misericordia mostrano quindi che, a un certo punto, i figli devono andarsene, altrimenti la famiglia diventa claustrofobica. Infatti, queste particolari madri adottive lasciano che Arturo vada in istituto. «Il tema della maternità – dichiara la regista – da quando cinque anni fa ho adottato mio figlio, è diventato prioritario nella mia vita». Ma non si tratta solo di maternità in senso stretto, cioè legata ai figli, in quanto la maternità è anche quella che si prova per i propri spettacoli, come ha affermato la regista: «non posso lasciar andare definitivamente un mio spettacolo […] mi capita, dopo anni o mesi, di andare a rivedere i miei spettacoli, di ritrovare questi figli che stanno da qualche parte nel mondo, di incontrarli e di amarli».
Misericordia 25-27 gennaio 2022 Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
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theatro ON STAGE
Brividi immortali Laura Morante, Sarah Bernhardt e Tosca
L’ultima regina Thierry Malandain alla Fenice
Di solito la sinossi di uno spettacolo e le note di regia in locandina lasciano molto a desiderare. Nel nostro caso le annotazioni sono di per sé degne di lettura anche autonoma. Daniele Costantini, prima di essere affermato regista teatrale e cinematografico, è stato poeta e scrittore, l’attrice Laura Morante è figlia di scrittore ed ella stessa scrittrice (Brividi immortali, 2008). Descrizione migliore della pièce teatrale Io Sarah, io Tosca non potrebbe esserci. Laura Morante è poi attrice conosciutissima dal largo pubblico ed assai amata. Dai primi film di Bertolucci a Bianca di Nanni Moretti, da Salvatores alla splendida Marianna Ucria di Faenza, al recente Lacci di Lucchetti, presentato lo scorso anno alla Mostra del Cinema di Venezia. Impresa ardua e ambiziosa comunque raccontare Sarah Bernhardt, figura quanto mai eclettica, della quale ci rimangono resoconti innumerevoli, biografie e racconti, ritratti e fotografie, ma che non possono raccontare la sua bravura di recitazione. Mark Twain riassumeva «Ci sono cinque categorie di attrici: le attrici pessime, le attrici discrete, le attrici brave, le grandi attrici… e poi c’è Sarah Bernhardt». La madre Youle era negli alti ranghi delle mantenute parigine, i primi anni di Sarah trascorrono in un collegio femminile, poi il colpo di fulmine a teatro, per l’interpretazione del Sogno nell’Atalia di Racine. Dalla devozione in convento all’amore sfrenato per la finzione teatrale. Poi l’iscrizione al Conservatorio, classico trampolino di lancio verso lenzuola di seta e vita da mantenuta. Conosce e diventa amica di Alexandre Dumas, autore anche della Signora delle camelie, che sarebbe poi stata una delle sue più alte interpretazioni. Si interessa di pittura e scultura, posa per il celebre fotografo Nadar nuda dietro un ven-
La danza. Come per ogni arte, le riflessioni e i percorsi sono molteplici. Deve la danza attraversare un filo narrativo e deve questo essere percepibile dallo spettatore in modo simile al coreografo che lo ha rappresentato? Per Marie Chouinard, per quattro anni direttrice del settore Danza della Biennale, questo non è necessario. Lo spettatore viene toccato nel suo profondo e si crea la sua interpretazione. Deve la danza avere come terreno espressivo prevalentemente il corpo ed essere un luogo di lotta, di rivendicazione, come sostiene Maria Ribot? Il balletto classico dei primi del secolo scorso ha terminato la sua traiettoria ed è oggi un gradevole e prezioso reperto archeologico? Thierry Malandain ha le idee chiare e le porta avanti con successo da oltre vent’anni. Vent’anni di brillanti risultati con oltre ottanta coreografie create e apprezzate in tutto il mondo. Cerchiamo di comprenderne i motivi. Ballerino classico all’Opéra di Parigi, poi del Ballet du Rhin e del Ballet Théâtre Français de Nancy, coreografo dalla metà degli anni ‘80, ha sempre interpretato il balletto classico con una predominante dose di modernità, quasi come una cornice all’interno della quale domina il movimento libero. Ma sempre sfruttando motivi storici o fiabeschi molto conosciuti al pubblico,
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taglio. Si innamora di Charles Haas, elegante dongiovanni della vita parigina e in una lettera a lui scritta Sarah disegna un letto con le lenzuola disfatte e la scritta «vieni, vieni, vieni». Haas e Sarah saranno poi assurti a protagonisti della Ricerca del tempo perduto di Proust. Ma Sarah è anche quella che simpatizza per i comunardi del 1871, massacrati a migliaia dall’esercito francese, colei che affascina e scandalizza per la sua presunta relazione con un Victor Hugo settantatreenne, che si fa ammirare nel dipinto di Clairin al Salon del 1876, che scrive un delizioso racconto su uno dei primi voli in pallone aerostatico, rendendone protagonista... una sedia (In pallone sopra a Parigi, di Sarah Bernhardt e Guy de Maupassant, Ibis, 2020), a lei Victorien Sardou dedicò il celebre dramma La Tosca messo in musica da Puccini, ed è sempre Sarah che incita Émile Zola a scrivere il famoso J’accuse nel caso Dreyfus o che, anche dopo aver subito una amputazione, sostiene con spettacoli i soldati francesi al fronte nel 1915. Come anche accadde per la sua grande rivale Eleonora Duse, che ospitò per sfida in un suo teatro a Parigi, Sarah partecipò e accettò anche alcune interpretazioni cinematografiche. L’arma di convinzione era lasciare un ricordo, rendere immortale la propria arte drammatica. Il migliore è forse Jeanne Doré tratto da un dramma di Tristan Bernard del 1915. Laura Morante restituisce uno spaccato di questa vita caleidoscopica. Di Sarah, consapevole, come scrisse a Gabriele D’Annunzio, al quale seppe tenere testa, che «Ogni ora ha il suo valore nella vita». Loris Casadei Io Sarah, io Tosca 10-19 dicembre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
DOPPIO GIOCO
The Last Queen
che riesce a seguire le sequenze dei danzatori come se scorresse le pagine della storia. Di grande successo in Italia le sue rappresentazioni di Cenerentola nel 2016. Una fiaba, che, nello spazio bianco, pieno di riflessi argentei e tra decine di scarpe, assurte a simbolo del racconto, affascina ma non osa troppo e segue la musica di Prokofiev, con qualche omaggio ai grandi del passato, Carolyn Carlson o Maurice Béjart. Altro elemento la musica. Come ci ha fatto sapere in numerose interviste, la musica è l’elemento fondatore delle sue coreografie. Ascoltare un pezzo musicale è contestualmente creare un film visivo nella propria mente. E le musiche scelte sono le più amate dal largo pubblico. Questo anno in Italia ha presentato anche La Pastorale, in occasione delle celebrazioni dei 250 anni dalla nascita di Beethoven. Ancora, riprendere la tradizione e il passato più luminoso, ma anche più famoso della storia della danza. E così mette in scena i grandi balletti di Tchaikovsky o Igor Stravinsky con Le Sacre du Printemps e L’oiseau de feu. Operazioni coraggiose, ma riuscitissime. Critica e pubblico concordano. Dal 26 al 30 gennaio, al Teatro La Fenice ci aspetta Marie Antoinette, l’ultima infelice regina di Francia che non deluderà, grazie a Thierry Malandain, alle musiche di Haydn e Gluck e ai raffinati e ricchi costumi del fedele Jorge Gallardo. Loris Casadei
ENG
Dance – like any other form of art, there’s a thousand ways to approach it. Must dance follow a plot, and must this plot be perceivable by the public in the same way it has been to the choreographer? Marie Chouinard – for four years the director of the Dance section at Biennale – believes this is not necessary. The audience will be touched anyway, and find their own interpretation. Must dance find its expressive terrain in body, a place for fight and vindication, as asserted by Maria Ribot? Is early twentieth-century classical ballet now at the end of its arc, and merely a pleasant, precious item of archaeological interest? Thierry Malandain is confident in his vision and has been basing his work on it for over twenty years, creating over eighty pieces known and loved around the world. Let’s see why. Malandain has been a classical ballet dancer at the Opéra in Paris, then with Ballet du Rhin and Ballet Théâtre Français de Nancy, and a choreographer since the mid-1980s. He has always interpreted ballet with a heavy dose of modernity, much like a frame, with the dominant presence of his movement within. In Italy, he enjoyed great success with Cinderella in 2016, a fairy tale that fascinates, all the while never going too far, and follows Prokofiev’s music with the addition of a few homages to great maestros, like Carolyn Carlson or Maurice Béjart. Another element is music – in his own words, the founding element of his choreographies. To listen to a piece of music means to visualize a film in one’s mind. Malandain chooses music that is loved by the larger audience, and this year, he presented the Pastoral, on occasion of the 250 years since Beethoven’s birth. Tradition also shows up in some of the most famous pieces of dance history: Tchaikovsky, Stravinsky (Le Sacre du Printemps, L’oiseau de feu). Brave and very successful work – critics and audiences agree. Marie Antoinette waits for us at Fenice Theatre on January 26 to 30. Music by Haydn and Gluck and precious, lavish costumes by Jorge Gallardo.
Nato in piena pandemia, durante e nonostante la chiusura dei teatri al pubblico, dopo il debutto in pieno lockdown sulla piattaforma streaming Backstage del Teatro Stabile del Veneto, I due gemelli veneziani di Valter Malosti va finalmente in scena, dal vivo, al Teatro Goldoni dal 9 al 12 dicembre, al Verdi di Padova dal 19 al 23 gennaio, per spostarsi poi a febbraio, dal 3 al 6, al Teatro Toniolo di Mestre e dall’11 al 13 al Mario Del Monaco di Treviso. Composta da Carlo Goldoni nel 1747, I due gemelli veneziani è una macchina di divertimento fatta di equivoci, duelli, amori, fughe, ritrovamenti, in cui svetta l’espediente dei gemelli, Zanetto e Tonino, identici per aspetto e agli antipodi per indole. Al tempo stesso, però, il testo goldoniano è anche una farsa nera a cui Valter Malosti dona un’opprimente cupezza, amplificata dall’allestimento prodotto dallo Stabile del Veneto, insieme al Metastasio di Prato e al Tpe Teatro Piemonte Europa, che si risolve in una messinscena elegante, essenziale, dove il nero domina, squarciato solo dai colori brillanti dei costumi dei personaggi, che sembrano dissolversi in un’atmosfera perennemente notturna. Malosti non vuole distrazioni e nella sua scena infera cesella le parole, cerca il ritmo più cupo e aspro di una lingua goldoniana che si fa spigolosa, piena di minacce, violenta, dalle tinte fosche, in perenne tensione. Interpretati magistralmente da un camaleontico Marco Foschi, Zanetto e Tonino, sono alle prese con l’amore per Beatrice e Rosaura, ma a tramare nell’ombra c’è Pancrazio (Danilo Negrelli) «che prepara e compie la catastrofe», scrive Goldoni nei suoi Mémoires. Nei Due gemelli veneziani c’è più di un omaggio alla tradizione della commedia e del doppio: c’è qualcosa che non torna, di crudele, il lato oscuro di una doppiezza che si realizza in un gioco di intrecci, destinato a essere dipanato in maniera inattesa e inquietante.
Marie Antoinette 26-30 gennaio 2022 Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it
I due gemelli veneziani 9-12 dicembre Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it
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theatro ON STAGE
Le ossessioni di una First Lady Jackie O – Jacqueline Lee Kennedy Onassis, nata Bouvier – è uno di quei personaggi dei quali ci sembra di sapere più o meno tutto, da quanto sono stati sotto i riflettori e continuano a vivere come riferimenti culturali e simboli di un’epoca anche a distanza di decenni dalla morte. La pièce teatrale che va in scena il 14 gennaio al Teatro Dario Fo di Camponogara cerca di scardinare questa convinzione, mostrando il lato più intimo di un’icona mondiale. Che non si tratti dell’ennesimo prodotto sulla Jackie O «icona di stile e forse amante del fratello del marito» è chiaro fin dall’inizio, da prima ancora che si alzi il sipario: autrice del testo teatrale è la scrittrice austriaca Elfriede Jelinek, Premio Nobel nel 2004, attivista civile e sperimentatrice linguistica, spesso aspra e sarcastica. Lo spettacolo inizia e Jackie è lì, vestita con poco, scalza, libera finalmente dalla necessità di apparire impeccabile. È morta, immersa in una scenografia dai colori freddi e circondata da pupazzi stesi per terra o seduti, si muove in un’altrove che non è più la vita, dalla quale
si è già congedata, ma nemmeno un aldilà, così come lo immaginiamo. Abita un tempo orizzontale in cui tutto è al presente, forse l’indistinto immaginario collettivo in cui continua ad esistere. Voce e corpo di Jackie sono quelli di Romina Mondello, che conduce con maestria un’ora e venti di racconto articolato in undici capitoli in apparenza privo di morale e di giudizio, quasi leggero, ma in realtà gonfio del peso di una vita, dei morti, dei tradimenti, della stanchezza, dell’essere stata parte di un teatrino di sorrisi-vestiti-figli-biondi-e-felici
costruito per nascondere segreti – «Ah! Quella Marilyn!» –, malattie, sesso e alcol – «troppo di entrambi, ne voleva JFK» –, droga e morte. La regia dello spettacolo è affidata a Emilio Russo, che già aveva diretto Mondello all’Olimpico di Vicenza in un altro grande assolo femminile, Medea, in quel passato lontanissimo che sembra essere il tempo pre-pandemia. Livia Sartori di Borgoricco Jackie 14 gennaio Teatro Dario Fo-Camponogara www.arteven.it
Il giardino di Ovidio Da più di duemila anni le Metamorfosi, opera epica nella forma, affascina, seduce, ispira e rende manifesta la vittoria della fantasia, la capacità di creare favole, l’abilità d’introspezione nei labirinti dell’animo umano. Ovidio con potenza immaginifica narra di «forme mutate in corpi nuovi», trasformazioni fantastiche che hanno influenzato nei secoli la poesia, la letteratura, l’arte figurativa, il teatro, rendendo questi miti immortali. All’opera del poeta latino si è ispirato anche il regista veneziano Mattia Berto per Mutaforma nelle mani di Ovidio. La città diventa verde, il nuovo progetto di Teatro di Cittadinanza ideato per il Teatro Stabile del Veneto, che porta sotto i riflettori il tema caldissimo della sostenibilità. Dallo scorso ottobre, ogni mercoledì, quaranta partecipanti di tutte le età, dai 20 ai 70 anni, si ritrovano al Teatro Goldoni per condividere un luogo e un tempo in cui raccontarsi e raccontare la propria città, Venezia. Uno spazio per tutti, un teatro inclusivo dove si sperimenta e si gioca su tematiche attuali, come
© Giorgia Chinellato
accadeva nella polis greca, con l’obiettivo di ricreare e riscrivere un domani grazie al teatro. «L’idea che il Teatro di Cittadinanza abbia, tra le sue missioni, la volontà di abitare i luoghi di Venezia – scrive il regista –, ci porta a ricercare spazi verdi tra le pietre in città. Andremo a ricercare questi spazi verdi come idea di benessere e cambiamento necessario per la sostenibilità dei luoghi che viviamo e amiamo». Le dolorose vicende di Orfeo ed Euridice, le passioni deluse di Apollo per Dafne e di Eco
per Narciso, le Pieridi, mutate in gazze, per aver sfidato nel canto le Muse… seguendo il filo dei racconti di Ovidio anche la città muta la propria forma e diventa “verde”, facendosi teatro a cielo aperto per tre performance in programma il 19 dicembre, il 20 febbraio e il 10 aprile, prima della restituzione finale del laboratorio al Teatro Goldoni l’8 maggio. Mutaforma nelle mani di Ovidio 19 dicembre (1a performance) www.teatrostabileveneto.it
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Gli amori impossibili non finiscono mai
La prudenzia non è mai troppo…
Photo Romolo Eucalitto
Alla prima regia teatrale Ferzan Ozpetek si cimenta con l’adattamento di un suo grande successo cinematografico, Mine Vaganti, pluripremiata – 2 David di Donatello, 5 Nastri d’argento, 4 Globi d’oro – pellicola del 2010. Ciò che accadeva al cinema accade anche a teatro: Tommaso, secondogenito di una borghesissima famiglia del Sud, torna a casa da Roma, dove invece che studiare economia, come tutti credono, frequenta Lettere e vuole fare lo scrittore. Torna per rivelare finalmente di essere omosessuale. Sorpresa: il fratello maggiore Antonio lo batte sul tempo e fa coming out per primo, scappando in un colpo solo dalle aspettative paterne e dal lavoro nel pastificio di famiglia, lasciando Tommaso ‘incastrato’ con il suo segreto. Trasportare sul palco un film così amato, così “visivo”, non è cosa da poco. Ozpetek ha, per sua stessa ammissione, lavorato per sottrazioni, lasciando intatto lo spirito essenzialmente intrigante, attraente e al contempo umoristico della pellicola. «Ho tralasciato – racconta – circostanze che mi piacevano tanto, ma quello che il cinema mostra, il teatro nasconde, e così ho sacrificato scene e ne ho inventate altre, anche per dare nuova linfa all’allestimento». A cambiare è anche la location: troppo “avanti” adesso il Salento per pensare che l’omosessualità faccia scandalo, siamo a Gragnano o giù di lì. Tolta la quarta parete, la platea diventa la piazza del paese, gli spettatori sono parte integrante della messa in scena e interagiscono con gli attori: la piazza/pubblico è il cuore pulsante che scandisce i battiti di una pièce dal ritmo continuo, che non si ferma neanche durante il cambio delle scene, grazie anche a un ottimo cast corale. Le emozioni dei primi piani cedono il posto a punteggiatura e parole; i tre amici gay diventano due, la loro parte è integrata con uno spettacolino che marca in chiave caricaturale quelle caratteristiche che prima arrivavano alla gente secondo le modalità mediate dallo schermo. «Il teatro – spiega ancora il regista – può permettersi il lusso dei silenzi, ma devono essere esilaranti, altrimenti vanno riempiti con molte frasi e una modulazione forte, travolgente». Il risultato? Una favola dolce-amara, un racconto di persone, di scelte sessuali, di fatica a adeguarsi ad un cambiamento sociale. Livia Sartori di Borgoricco
In un’intervista rilasciata durante la tappa romana dello spettacolo, Giuseppe Zeno, riportando le parole del regista Vinicio Marchioni, mette sul piatto una riflessione interessante, scaturita evidentemente da alcune critiche, che potremmo sintetizzare così: ma ha davvero senso chiederci perché facciamo questo spettacolo, perché trasportiamo a teatro un grande successo cinematografico a più di sessant’anni di distanza? Ma perché non farlo, piuttosto! Perché non riportare in scena la vivacità di quegli anni, il bianco e nero – riproposto nella scenografia metallica –, il sapore di una tragicommedia scolpita nella memoria collettiva? C’è proprio questo, nelle intenzioni di Marchioni – nei primi mesi di tournée anche in scena nel ruolo che fu di Mastroianni, ora sostituito da Fabio Troiano –, mettere in piedi un’operazione teatrale semplice e onesta che faccia uscire la gente da teatro con addosso il sapore un po’ nostalgico di quell’Italia lì, del 1958. Niente adattamenti contemporanei quindi alle gesta maldestre ed esilaranti degli scalcagnati rapinatori del banco dei pegni, solo qualche trovata di scrittura e regia per avvicinare un po’ l’Italia povera ma vitale del secondo dopoguerra, senza snaturare né gli indimenticabili personaggi né la meravigliosa sceneggiatura originale di Age&Scarpelli e Suso Cecchi d’Amico, peraltro già strutturata in quadri che ben si adattano alla trasposizione teatrale. «Ci sono dei film che segnano la nostra vita – racconta – e I soliti Ignoti per me è uno di questi. Come uomo mi sono divertito e commosso di fronte alle peripezie di questo gruppo di scalcinati ladri. Come attore mi sono esaltato davanti alla naturalezza con cui recitano mostri sacri come Mastroianni e Gassman. Come regista ho amato il perfetto equilibrio con cui Monicelli rende un argomento drammatico in modo leggero». Quella che va in scena in due ore che filano via veloci con un cast brillante e affiatato, è una storia bella e necessaria, che ci parla del presente immergendoci nel passato. Livia Sartori di Borgoricco
Mine vaganti 18-23 gennaio 2022 Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
I soliti ignoti 15-16 gennaio 2022 Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
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Ho imparato a conoscere il mondo attraverso il teatro KIDS
Luca Ronconi
IL PIÙ FURBO
La compagnia piacentina Teatro Gioco Vita porta in scena uno spettacolo tratto dall’omonimo libro illustrato di Mario Ramos. Un piccolo gioiello, un concentrato di leggerezza e ironia, che fa ridere e riflettere piccoli e grandi. Ridere del lupo, in cui in fondo tutti ci possiamo riconoscere, è ridere di noi, e questo ci fa sentire tutti più umani. Dalle disavventure di questo lupo usciamo con la gioiosa convinzione che la vita, nonostante tutto quello che ci può accadere, possa essere comunque un’avventura meravigliosa. 12 dicembre h. 11/16.30, Teatro Momo-Mestre
L’ARCA DI NOÈ
Per la stagione A pesca di sogni del Teatrino Groggia, una Domenica da favola, dedicata ai bambini dai 3 anni in su, con lo spettacolo di Gianni Franceschini che invita a riflettere sul tema del rispetto per l’ambiente. Un Noè moderno, di fronte al disastro ecologico, alla guerra, all’inquinamento causato dall’uomo, costruisce un’immaginifica arca con cui viaggiare verso un mondo non inquinato, pacifico, sereno e sano. Porta con sé gli animali che vivono vicino a lui e anche i due giovani, Maria e Giovanni, a rappresentare il futuro dell’umanità e la continuità della vita. 9 gennaio 2022 h. 16.30, Teatrino Groggia
LE NUOVE AVVENTURE DEI MUSICANTI DI BREMA
Gli attori del Teatro Due Mondi incarnano i quattro personaggi dei Musicanti di Brema. Lo spettacolo si muove in uno spazio essenziale, dove un piccolo separé fa da sfondo e da quinta agli attori i quali, attraverso gag comiche e canzoni, narrano l’impresa di questa banda sempre in viaggio e di una cicogna, incontrata per caso. La missione di quest’ultima, consegnare un bambino a Madame Europe in Via dell’Ospitalità, diventa la missione di tutto il gruppo, il pretesto per parlarci del desiderio di un’Europa più ospitale e accogliente. 9 gennaio 2022 h. 16.30, Teatro Momo-Mestre
AMICI PER LA PELLE
Un racconto di amicizia e tradimento, di scoperta di sé e dell’altro che mette al centro il rispetto reciproco e dell’ambiente. Nella moderna fiaba portata in scena dal Teatro del Buratto e Atir vengono narrate le avventure del giovane Zeno e di Molly, un’asina vera e intelligentissima. Attraverso la metafora e il racconto fantastico, possiamo meglio comprendere che curare e rispettare il nostro mondo parte dal conoscere e rispettare sé stessi e gli altri nella loro diversità e bellezza. 23 gennaio 2022 h. 16.30, Teatro Momo-Mestre
DUETTO
La storia di un incontro che nasce come uno scontro: lui con i suoi suoni giocosi e colorati, lei con i suoi movimenti leggeri e ricchi di immagini. Una performance che racconta della diversità di due linguaggi: quello sonoro e visivo, creato in diretta grazie all’uso di un tablet, e quello evocativo del movimento danzato. A fare da specchio all’evolversi della relazione è il cambiamento dello spazio scenico: da luogo esclusivo di uno solo, a spazio condiviso di giochi e scontri. Un’esperienza teatrale dedicata ai più piccini da 1 a 5 anni. 29 gennaio h. 16.30; 30 gennaio 2022 h. 11, Teatrino Groggia
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theatro
COMICI
ON STAGE
La lucida follia della ragione
DEBORA VILLA Venti di risate
Mattatrice infaticabile, Debora Villa in 20 anni di carriera tra televisione, radio, cinema e teatro è riuscita sempre ad alternare ruoli comici o di conduttrice brillante, a ruoli drammatici in fiction tv. In tournée con Venti di risate, Debora festeggia questo traguardo con uno speciale recital che raccoglie il meglio del suo repertorio, dalle gag sull’universo femminile e alle favole raccontate con graffiante cinismo comico. Passando per Adamo ed Eva, Debora racconterà cosa succede ad una donna quando raggiunge i “nannaranannann’anni”... Uomini, donne, affanni, sogni, illusioni, frastuoni, emozioni co(s)miche, tra favole e cronache, uno spettacolo come un’onda travolgente, cinica e intelligente. 5 dicembre h. 16.30/19 Teatro Toniolo-Mestre
ENRICO BERTOLINO In medio stat virtus
Lo sguardo di Pirandello filtrato dalla cultura e dall’esperienza di uno dei più incisivi e stimati registi viventi. Enrico IV diretto da Yannis Kokkos accoglie lo spettatore, quasi a sua insaputa, all’interno di una seduta psicoanalitica dalla quale uscirà, a fine spettacolo, con molti e rilevanti quesiti sul suo vissuto. Come è noto, infatti, Luigi Pirandello ebbe a sviluppare nel suo Teatro i temi, allora nascenti, della psicologia del profondo, riferibili agli studi di Sigmund Freud e alla successiva Scuola di Francoforte. «La sfida rilevante per l’epoca contemporanea – si legge nelle note di regia – è costruire una società nella quale siano presenti osservatori critici, che sappiano da un lato promuovere una cultura del pensiero e della riflessione e dall’altro prendere decisioni ponderate. Sebastiano Lo Monaco, dopo il fertile incontro con Kokkos nell’Edipo a Colono di Sofocle nel 2018 al Teatro Greco di Siracusa, ha deciso di portarlo in scena, continuando così la sua ricerca intorno al mondo pirandelliano. Il tema della follia, presente in opere come Il berretto a sonagli e in Così è (se vi pare), già interpretate da Lo Monaco, si trasforma in rappresentazione della follia, fino a esibirla. In fondo, Enrico, per poterla mostrare attraverso una cosciente finzione, deve rinsavire, e mettere a nudo il rapporto tra maschera e smascheramento, recitando la follia ed evidenziando il carattere meta-teatrale che si può applicare al testo». Enrico IV 12-16 gennaio 2022 Teatro Verdi-Padova 21-23 gennaio 2022 Teatro Mario Del Monaco-Treviso www.teatrostabileveneto.it
Con il suo instant theatre – formula di teatro incentrato sull’attualità, diverso ogni sera, da lui stesso inventato – Enrico Bertolino, aficionados del Toniolo, torna in scena nella triplice veste di comico, narratore ed esperto di comunicazione. Racconta potenti e impotenti e li inquadra in un pretesto narrativo che spazia dalla cronaca alla Storia, maestra di vita che da sempre lavora in Dad: chi dovrebbe ascoltarla, quasi sempre sta su TikTok. Un uomo solo in scena per 75 minuti di “casino organizzato”, insieme a due musicisti tenuti a debita distanza, ché il capocomico è nelle categorie a rischio e, per parafrasare Woody Allen, sa bene che le parole più dolci non sono “Ti amo” ma “È negativo”. 8 gennaio 2022 h. 21 Teatro Toniolo-Mestre
GIOVANNI VERNIA Vernia o non Vernia
Da dove nasce l’irresistibile follia comica di Giovanni Vernia? È un demone interiore, che comincia ad apparire da bambino, stimolato dalla Genova in cui è cresciuto e dagli stravaganti parenti pugliesi e siciliani. Uno spiritello dispettoso, che lo costringe a lasciare la carriera da ingegnere per diventare comico di professione. Lo spettacolo è un esercizio di leggerezza intelligente, dove la storia personale dell’artista si sovrappone a un divertentissimo ma acuto viaggio attraverso i luoghi comuni di questi strani tempi moderni. Ne emerge uno showman completo, che spazia con disinvoltura dal racconto alla parodia, dal canto al ballo, creando un rapporto unico e coinvolgente con il pubblico. 13 gennaio 2022 h. 21 Teatro Toniolo-Mestre
DRUSILLA FOER Eleganzissima
Al cinema con Ferzan Özpetek, in televisione con Serena Dandini e poi in radio. Icona di stile e musa di grandi fotografi, Drusilla Foer presenta Eleganzissima. Il recital è un mish-mash emotivo e musicale, scritto e diretto da Madame Foer, che racconta, con humour tagliente e commovente malinconia, aneddoti e ricordi intensi della sua vita straordinaria, vissuta fra la Toscana, Cuba, l’America e l’Europa, e costellata di incontri e grandi amicizie con persone fuori dal comune e personaggi famosi, fra il reale e il verosimile. Essenziali al racconto biografico sono le canzoni, che Drusilla interpreta dal vivo accompagnata dai suoi musicisti. Il recital, ricco di musica, svela un po’ di lei: familiare, per i suoi racconti così confidenziali, e al tempo stesso unica, per quanto quei ricordi sono eccezionali e solo suoi. 29 gennaio 2022 h. 21 Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
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LIFE CAN BE BRIGHT IN AMERICA
cinema
Prendere un capolavoro e rivisitarlo era piuttosto spaventoso. Ma sono convinto che le grandi storie debbano essere raccontate all’infinito, anche per rispecchiare prospettive e periodi storici differenti Steven Spielberg
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ENDLESS STORY
di Marisa Santin
C
onsiderata l’enorme attesa attorno all’uscita del film e la star quality che sempre circonda il suo regista e tutte le cose che fa, la première internazionale di West Side Story si annunciava non meno che sfavillante. Invece una nota dolente ha attraversato il tappeto rosso di New York. Davanti alla colossale scritta del titolo, Steven Spielberg ha mosso un doveroso omaggio a Stephen Sondheim a pochi giorni dalla sua scomparsa all’età di 91 anni. Compositore, drammaturgo e paroliere (anche se in questo caso suona più appropriato il termine inglese lyricist), Sondheim è, senza paura di esagerare, una leggenda e uno dei compositori più influenti del teatro musicale del XX secolo. Il suo contributo è considerato fondamentale per lo sviluppo del musical moderno. In altre parole, senza Sondheim non avremmo alcune delle più grandi realizzazioni del genere, come A Little Night Music/Gigi, Into the Woods, Sweeney Todd, né le colonne sonore di film come Reds e Dick Tracy. E forse, indirettamente, non avremmo nemmeno La La Land. Ma la stampa in questi giorni lo ricorda soprattutto per aver composto le liriche originali di West Side Story su musiche dell’altro gigante di Broadway, Leonard Bernstein. Il contributo di Sondheim è continuato fino all’attuale remake per il cinema, al quale ha collaborato durante tutta la lavorazione: frequentando le sessioni di registrazione e le giornate di riprese, consigliando Spielberg e lavorando a stretto contatto con il drammaturgo Tony Kushner (già al fianco del regista sui set di Munich e Lincoln e Premio Pulitzer per l’opera teatrale Angels of America) per adattare il suo testo alla nuova sceneggiatura. Con la benedizione di Sondheim, Kushner si è impegnato in un’espansione significativa di West Side Story, sostenuta dal desiderio di Spielberg di onorare l’originale evitando un impulso modernista troppo invadente. Secondo quanto emerge dai primi commenti, il remake sviluppa la struttura del musical per ampliare il mondo degli Sharks (portoricani) e dei Jets (bianchi), le due bande rivali che si affrontano sulle strade dell’Upper West End, offrendo nuovi retroscena significativi ai personaggi e riorganizzando scene e canzoni per dare maggiore risalto allo scontro etnico e alla questione razziale della New York degli anni ’50. Una rielaborazione che sembra assecondare la necessità di presentare una storia più vera e onesta, o comunque più in linea con il comune sentire contemporaneo nei confronti di temi quali l’immigrazione e l’inclusione sociale. Lo sforzo verso una rappresentazione più realistica si riflette anche nella composizione del cast. Tutti i personaggi della fazione degli Sharks sono interpretati da attori di origine latina, una sensibilità che nella versione originale non aveva interessato nemmeno il personaggio di Maria. Il ruolo della protagonista, esponente della fazione portoricana, fu infatti affidato a Natalie Wood, il cui vero nome era Natal’ja Nikolaevna Zacharenko: brava ma tutt’altro che latina. A interpretare la ‘nuova’ Maria è invece Rachel Zegler, giovane attrice di origini colombiane. Un altro passo verso il realismo è rappresentato dall’overture. La grandiosa panoramica su Manhattan di Robert Wise lascia il posto ad un paesaggio di macerie, con la telecamera che piomba su quella che sembra una zona di guerra e che in seguito si rivela essere il cantiere di costruzione del Lincoln Center. Al centro di tutto, a sublimare la tensione fisica, sociale ed emotiva tra le due bande di ragazzi rimane la storia d’amore impossibile tra Tony e Maria. «West Side Story è Romeo e Giulietta, ma – come ha sottolineato Spielberg – è anche un’allegoria molto attuale di ciò che sta accadendo ai confini del nostro paese, dei sistemi americani che respingono chiunque non sia bianco. Parla delle esperienze che stiamo vivendo oggi nel nostro paese: un tragico periodo di divisione e sfiducia, e lo spreco della vita umana attraverso il razzismo, la violenza e la xenofobia». Questioni che, evidentemente, né l’America né il resto del mondo possono ritenere superate. Ed è proprio questa la vera attualità dell’opera. West Side Story Dal 23 dicembre
Liberamente tratta da Romeo e Giulietta di Shakespeare, nelle intenzioni degli autori la vicenda dei due amanti osteggiati dalle rispettive famiglie doveva inizialmente rappresentare una storia di antisemitismo, con una protagonista, Maria, appena emigrata in America dopo essere sopravvissuta alla Shoah. Ma East Side Story, questo il titolo del primo libretto, fu accantonato perché troppo simile ad altre opere teatrali in scena a Broadway. Apparve invece più convincente trasferire l’ambientazione nell’Upper West Side newyorkese, l’area sulla quale venne in seguito edificato il Lincoln Center, e sviluppare la rivalità fra le due bande di ragazzi di strada attorno ad una comunità di immigrati portoricani. Su libretto di Arthur Laurents, parole di Stephen Sondheim, musiche di Leonard Bernstein, West Side Story calcò per la prima volta le scene di Broadway il 26 settembre 1957 rimanendo in scena al Winter Garden Theatre per 732 repliche. Dopo un entusiasmante tour statunitense e due Tony Award (Miglior coreografia a Jerome Robbins e Migliori costumi a Irene Sharaff) l’opera si trasferì a Londra, segnando il cartellone del West End per ben 1039 repliche. L’enorme risonanza della trasposizione cinematografica diretta da Robert Wise e Jerome Robbins nel 1961 non farà che decretarne il definitivo successo. Il film esprime tutta la propria modernità fin dall’ouverture, con il profilo fisso di Manhattan colpito da flash di colori ad anticipare la violenza che avrà luogo. E poi le trascinanti coreografie urbane, la musica, il ritmo. Dieci Oscar ad un film che ha convinto generazioni di spettatori fino a essere oggi considerato uno dei migliori musical di tutti i tempi. Seguendo le orme dell’epoca d’oro di Broadway, dominata dalle opere di Rodgers e Hammerstein (Oklahoma!, Carousel, The King and I, The Sound of Music), West Side Story introduceva per la prima volta la potenza della denuncia sociale segnando un punto di svolta nella concezione dei musical. E, a distanza di più di 60 anni, ruggisce ancora con la forza di un manifesto contro il razzismo. Marisa Santin 101
cinema FILM DEL MESE
Essere, donna Lady Gaga padrona di House of Gucci
Abitiamo identità temporanee. In un lampo possiamo essere assimilati e digeriti da un complesso calcolo ubiquo e riaffiorare altrove sotto tutt’altre sembianze. Nello spazio-tempo simultaneo e pervasivo della rete, l’infosfera madre del metaverso prossimo venturo, le informazioni si generano autonomamente, traggono linfa dal nostro essere comportamentale, decidono la nostra identità. In una piattaforma siamo in un modo, in un’altra siamo altro. Per la rete, habitat privilegiato dell’individuo globale - nell’era pandemica che ha fatto di tutto ciò che è corporeo una minaccia - siamo identità da assemblare, ricomporre, scandagliare, profilare, attraversate da tensioni indecidibili. Schiavi di un’esperienza sensibile artificiale, scambiamo l’essenza con la parvenza, obliterando il nostro corpo, liquefacendo il nostro stesso essere. Basta fermarsi un attimo a considerare il complesso della nostra esperienza quotidiana per comprenderlo: le azioni modulate secondo i trend diffusi dai social, l’interazione inautentica a distanza, l’imporsi di nuovi confinamenti fisici, la guerra strumentale, nichilistica, al limite umano. Siamo noi. O forse, semplicemente, non siamo più. Mi piace pensare che se a chiudere l’anno 2021 è un film come House of Gucci di Ridley Scott, vero e proprio dramma della parvenza, un qualche significato ci sarà. Perché una storia che nasce nel seno della celebrazione dell’homo aestheticus non può che essere tragica, non può che aspirare al melodramma attraverso la parodia. Al melodramma perché ogni storia di corrispondenze mancate - amorose, d’intenti, di progetti - è in sé un melodramma. E la storia della famiglia Gucci, le cui polarità opposte e complementari sono il lusso - l’apparire oltre l’essere - e la morte, è melodrammatica per antonomasia. Un melò parodistico, inevitabilmente: perché ogni esasperazione linguistica anela alla 102
parodia. E come può non esserci esasperazione nella rappresentazione a posteriori di vicende umane eccessive, eccedenti i loro stessi ruoli e limiti? Come può questa storia non accendersi di barocchismi postmoderni, di giocosità linguistica iperbolica, quando è affidata al regista di Blade Runner, Alien e Il Gladiatore, tutte messe in scena estremizzate, portate a livello di saturazione? E chi, in questo melodramma degli eccessi, poteva interpretare il ruolo di femme fatale meglio del monstrum Lady Gaga? Un corpo - e una voce, che nel melodramma è tutto, sia esso cantato o meno - attraversato da tutte le tensioni della cultura pop di questo ventennio così decisivo per l’umanità. Dalla collaborazione con Jeff Koons, al richiamo - un po’ paraculo - a Marina Abramovic, Lady Gaga ha cercato di bucare lo schermo, l’info/meta-sfera di cui sopra, con ogni mezzo necessario. Una pulsione anti-iconica (l’icona è statica, Lady Gaga vorrebbe non esserlo) che sembra aver animato tutte le scelte di quest’ultimo prodotto del pop tardocapitalistico: i suoi travestimenti, così lontani dal vitalismo trasformista di Madonna, permeati invece di nichilismo, inteso come danza tragica di sembianti slegati, disarticolati, disorganici, sono tra le espressioni più significative della cultura mainstream contemporanea. Il suo canto, quello vero, straordinario, e il suo sembiante, voce/essere e parvenza, si rincorrono, si inseguono, si integrano e si disintegrano. E forse, grazie al cinema, vero monumento del secolo scorso, sapranno regalarci ancora un brivido di autenticità, colta nel compiersi della sua sconfitta. O del suo superamento. Riccardo Triolo House of Gucci Dal 16 dicembre
SUPERVISIONI
Regina per sempre Spencer di Pablo Larraín, il cinema oltre la storia Siamo tutti cresciuti sapendo cos’è una favola, ma Diana Spencer ne ha cambiato il paradigma e ha ridefinito per sempre le icone idealizzate della cultura pop. Una principessa che ha deciso di non diventare regina, scegliendo di costruirsi da sola la propria identità, ma divenendo di fatto e per tutti la “regina del popolo” per sempre. Passato in concorso alla 78. Mostra del Cinema di Venezia, Spencer diretto da Pablo Larraín e scritto dal creatore di Peaky Blinders Steven Knight, con una straordinaria Kristen Stewart, chiamata a costruire un personaggio che tutti pensano di conoscere, sarà finalmente a gennaio nelle sale. La storia è il rovesciamento dello schema di una favola: Diana durante il Natale del 1992 a Sandringham House, la residenza di campagna della casa reale inglese situata nella contea di Norfolk, decide di porre fine al proprio matrimonio. Miscelando realtà e finzione, il film ripercorre i giorni 24, 25 e 26 dicembre, in cui tradizionalmente la Famiglia Reale al completo mangia, beve, spara e va a caccia. Diana conosce le regole del gioco, ma decide di sottrarsene. «Sono sempre rimasto molto sorpreso dalla sua decisione – racconta Pablo Larraín – e ho sempre pensato a quanto debba essere stata molto dura da prendere. Questo è il cuore del film. Volevo approfondire il processo alla base delle scelte di Diana, mentre oscilla tra dubbio e determinazione, scegliendo, infine, la libertà». Pablo Larraín torna, come aveva già fatto con Jackie, a rappresentare una personalità femminile determinante del XX secolo e lo fa in soggettiva, attraverso lo sguardo esclusivo della protagonista. Ciò che Diana vede è il riflesso dei suoi ricordi, delle sue paure, delle sue illusioni. Kristen Stewart risulta assolutamente credibile: diverte ed emoziona quando dialoga con il fantasma di Anna Bolena, regina d’Inghilterra a cui Enrico VIII fece tagliare la testa, mostra equilibrio e partecipazione nel mettere in scena la bulimia e i disturbi alimentari di cui soffriva e in modo altrettanto convincente mostra i rarissimi momenti di felicità trascorsi con Harry e William. Ciò che ammanta di unicità Spencer, tuttavia, lontanissimo dall’attesissima The Crown 5 dove entrerà in scena Lady Diana, è l’idea di Larraín di trasfigurare la residenza di Sandringham in una prigione: orari da rispettare, abiti da indossare, rituali da seguire trasformano le giornate di festa in un inferno di campagna. Si muore di freddo in quella dimora, per nulla festosa. E si muore dentro. Non esiste futuro in questo mondo obnubilato dalle etichette, ma solo un presente identico al passato. «Nel costruire il personaggio di Diana, – continua il regista – non volevamo solo creare una sua replica, ma usare il cinema e i suoi strumenti per dar vita a un mondo interiore che trovasse il giusto equilibrio tra il mistero e la fragilità del suo personaggio. Tutto ciò che Diana vede riflette i suoi ricordi, le sue paure, i suoi desideri e forse anche le sue illusioni. Questi elementi attingono a qualcosa che sta accadendo dentro di lei e mostrano una vulnerabilità bellissima […] Non aspiravamo a realizzare un docudrama, bensì a creare una storia basata sia su elementi reali che sull’immaginazione, per raccontare la vita di una donna con gli strumenti che abbiamo a disposizione. Questo è il motivo per cui il cinema è così fantastico: c’è sempre spazio per l’immaginazione». M.M. Spencer Dal 20 gennaio 2022
Tra le tendenze che affiorano nel cinema di questi ultimi anni, e il fenomeno si è accentuato durante la pandemia, vi è quella del vistoso inserimento di elementi biografici nelle storie narrate. I casi più famosi sono quelli dell’autobiografia di Woody Allen e Les plages d’Agnès di Agnès Varda del 2008, con il famoso passo del gambero all’indietro in spiaggia ad evidenziare il ritorno al passato e la costante visione tramite vetri e specchi. Un crudo esempio fu invece Tarnation del 2003 di Jonathan Caouette, girato integralmente in casa propria nel riprendere per venti anni il rapporto con la madre schizofrenica. La mia riflessione nasce dopo aver visto uno dei film da non perdere di questi mesi, Annette di Leos Carax. Uno dei temi centrali del film è il rapporto padre e figlia e il regista, oltre ad apparire in prima persona nelle scene iniziali, introduce anche la vera figlia Nastja. A sottolineare un rapporto che diviene sempre più centrale nella reale vita del regista dopo la morte della moglie Ekaterina Golubeva, scomparsa suicida nel 2011. Potrebbe essere l’occasione per rivedere uno dei film di riferimento del regista francese, Holy Motors, del 2012. Annette per certi versi ne potrebbe essere considerato come un remake. Riflessione sulla ibridazione del corpo umano, metafora sul corpo dell’attore, ove l’attore è preso come simbolo delle trasformazioni che sta subendo il cinema. Ugualmente si pongono in rilievo le sequenze di motion capture, costante stilistica del regista. In Holy Motors vi era inserito un cameo celato: l’uomo che compare nella limousine che trasporta l’attore da un set all’altro, ha una vistosa macchia rossa sul viso. Era un omaggio a Michel Piccoli, da poco scomparso. Gli viene chiesto cosa lo spinga a fare questo lavoro ed egli risponde: «La bellezza del gesto», ad incoronare l’essenza dell’attore. Anche in Annette vi sono alcuni riferimenti precisi. Qualche spettatore attento ci può forse aiutare? Loris Casadei 103
Andrea Aquilanti
PROIEZIONI Degli spazi e dal tempo di Jacopo Tintoretto 22 ottobre 2021 – 22 febbraio 2022 Palazzo Contarini del Bovolo Venezia
Un progetto site specific tra sale espositive e città, tra l’iconico monumento della Scala Contarini del Bovolo e arti visive multidisciplinari a cura di Pier Paolo Scelsi e Francesca Mavaracchio promosso da Gioielli Nascosti di Venezia in collaborazione con One Contemporary Art e Nuova Pesa gioiellinascostidivenezia.it 104
cinema RASSEGNE
L’anti-divo
La Casa del Cinema di Venezia dal 2 al 16 dicembre dedica al grande compositore Pino Donaggio, in occasione dei suoi 80 anni, la rassegna Come sintonia: il Donaggio - De Palma Movie, curata dal critico Roberto Pugliese. Donaggio ha sempre vissuto lontano dai riflettori pur avendo scritto canzoni famosissime e colonne sonore di autentici cult movie, soprattutto del genere thriller-horror, come Carrie lo sguardo di Satana, Omicidio a luci rosse, Vestito per uccidere. Nato a Burano e cresciuto nel centro storico di Venezia in una famiglia di musicisti, Donaggio ha coltivato la sua passione per la musica fin da giovanissimo studiando al Conservatorio di Venezia. Violinista, cantautore e compositore, si è trasferito a Milano dove la sua carriera è presto decollata partecipando ben dieci volte al Festival di Sanremo. Tra le sue canzoni più note ci sono certamente Come sinfonia, Io per amore, Il cane di stoffa, Giovane giovane e l’indimenticabile Io che non vivo, successo planetario che viene inciso da Dusty Springfield e persino da Elvis Presley col titolo You Don’t Have to Say You Love Me, un disco che venderà 80 milioni copie. Nel 1973 Donaggio scrive la colonna sonora del film A Venezia… un dicembre rosso shocking, per la regia di Nicholas Roeg, da lì inizia un percorso che lo porterà a collaborare con grandissimi registi come Brian Da Palma, Dario Argento, Pupi Avati, Liliana Cavani, Massimo Troisi, Roberto Benigni. Elisabetta Gardin Come sintonia: il Donaggio - De Palma Movie 2-16 dicembre Casa del Cinema www.culturavenezia.it/cinema
Spaghetti sci-fi
Il rapporto tra cinema italiano e genere fantascientifico è sempre stato complicato: sia la critica che gli spettatori hanno spesso snobbato o preso con poca serietà i registi italiani che si sono approcciati a quel filone. Se già nel periodo del muto abbiamo alcuni esempi di opere fantascientifiche come Un matrimonio interplanetario di Enrico Novelli (Yambo) o L’uomo meccanico di André Deed (Cretinetti), è sul finire degli anni ‘50 che il genere acquista molto interesse da parte dei produttori e dei registi italiani: La morte viene dallo spazio di Paolo Heusch e Space Men di Antonio Margheriti con lo pseudonimo di Anthony Daisies, poi cambiato in Dawson, fanno da apripista per una nuova serie di opere originali e commerciali. Se le opere di Margheriti attraggono l’attenzione di Kubrick, che lo vorrebbe nel suo team degli effetti speciali di 2001 Odissea nello spazio (ma il regista italiano rinuncia per dedicarsi alla sua Quadrilogia Gamma Uno) grande è anche l’impatto all’estero del film di Mario Bava Terrore nello spazio tratto dal racconto del veneziano Renato Pestriniero Una notte di 21 ore, dal quale Ridley Scott prese più di uno spunto nel realizzare il suo Alien del 1979. A gennaio alla Casa del Cinema la rassegna Immaginare Nuovi Mondi. Cinema italiano di fantascienza negli anni ‘60 e ‘70’ darà la possibilità di riscoprire alcune opere autoriali come Il seme dell’uomo di Marco Ferreri e I viaggiatori della sera di Ugo Tognazzi, che hanno dato il loro contributo ad uno dei generi più carichi di creatività della fabbrica cinematografica. Andrea Zennaro Immaginare Nuovi Mondi. Cinema italiano di fantascienza negli anni ‘60 e ‘70’ 11-27 gennaio 2022 Casa del Cinema www.culturavenezia.it/cinema
Campi lunghi
Il rapporto tra Venezia e il cinema è lo stesso che potrebbe esserci tra lo sguardo e la fotografia: uno è necessario all’altro, non è nemmeno possibile capire esattamente dove l’uno inizia e l’altro finisce; Venezia “è” cinema, ogni scorcio della città potrebbe essere soggetto di un’inquadratura e quando questo non è avvenuto allora ecco che forse è stato lo sguardo di qualcuno dei ‘suoi’ straordinari pittori ad averlo fatto. Per le celebrazioni dei 1600 anni dalla fondazione della città dare spazio al rapporto tra Venezia e il cinema significa raccontare un pezzo della sua storia attraverso le immagini e sottolineare l’importanza della città come scenario aperto sul mondo. Dal 12 al 26 gennaio, con Il cinema a Venezia: una storia nella storia alla Casa del Cinema si parla della città da un punto di vista storico con Mario Isnenghi, raccontando il cinema di ambientazione veneziana con interventi di Carlo Montanaro, Michele Gottardi dalle origini alle produzioni più recenti, affrontando tematiche strettamente locali: una panoramica sulle tappe di avvicinamento allo spettacolo cinematografico con un’immersione nel mondo del pre-cinema, passando per Canaletto e le sue vedute; un approfondimento sulla Scalera Film, casa di produzione e distribuzione cinematografica molto attiva a Venezia fin dagli anni Quaranta; un viaggio nella Mostra del Cinema, enorme giacimento di immagini che ha solcato l’intero Novecento ed è un riferimento cinematografico consolidato nel mondo. Il cinema a Venezia: una storia nella storia 12-26 gennaio 2022 Casa del Cinema www.culturavenezia.it/cinema
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cinema FOCUS
Zora la vampira
(2000) Cosa succede se un Conte Dracula del terzo millennio decide di trasferirsi in Italia, affascinato dalle patinate immagini RAI che in Transilvania la fanno da padrone? Niente di buono, soprattutto se ci si mette di mezzo l’amore…
Piano 17
(2005) Un ascensore. Tre persone a bordo. Continui rimandi a come ognuno degli occupanti è arrivato lì ci investono mentre la cabina si blocca. Il tempo scorre inesorabile: uno dei tre passeggeri ha infatti con sé una bomba innescata pronta ad esplodere.
L’arrivo di Wang
(2011) Gaia è una traduttrice dal cinese che viene catapultata in fretta e furia a fare da interprete ad un misterioso personaggio, sottoposto ad interrogatorio. L’oscurità non le fa vedere la persona di cui sta traducendo le parole, fino a quando i riflettori si accendono…
Paura
(2012) Tre ragazzi romani rimediano le chiavi di una lussuosa villa disabitata, con il proposito di passarci un weekend da sogno. L’inaspettato ritorno a casa del padrone di casa trasforma il loro progetto in un incubo ad occhi aperti fatto di tortura e sadismo, in una lotta di pura sopravvivenza.
Song’e Napule
(2014) Tra raccomandazioni e retate, un raffinato pianista disoccupato si ritrova poliziotto invischiato in una caccia all’uomo che impegna l’anticrimine di Napoli da anni: il talento musicale torna utile per districare una matassa di sotterfugi e scambi di persona.
Ammore e malavita
(2017) Ciro e Fatima crescono assieme a Torre Annunziata, tra loro nasce l’amore. Quando il ragazzo vede uccidere il proprio padre il desiderio di vendetta lo porta su una cattiva strada, separandosi da Fatima. Anni dopo si ritrovano, nessuno dei due ha scordato l’altro… 106
Fratelli e coltelli I Manetti Bros. e Diabolik, una storia da raccontare Dei tanti, troppi film che hanno dovuto stravolgere la propria lavorazione e programmazione, di sicuro Diabolik è tra i più attesi. E lo è per tanti motivi, tutti diversi e altrettanto validi, che toccano il cuore di un pubblico assolutamente trasversale, che abbia o meno divorato avidamente le storie su pagina di uno dei più famosi personaggi letterari del secondo dopoguerra. Partiamo da un incontestabile dato di fatto: l’imprimatur per riportare sullo schermo il ladro più celebre al mondo, ad oltre mezzo secolo di distanza dall’esperimento precedente diretto nel 1968 da Mario Bava, protagonista John Philip Law, è arrivato direttamente dal direttore della casa editrice Astorina Mario Gomboli, che dopo aver parlato con i Manetti Bros. si è reso conto di poter affidare tranquillamente il suo figlioccio in calzamaglia nera nelle mani di due fedeli fan, prima ancora che di ottimi registi. E quando l’attesa era già febbrile, ecco che la scelta degli attori soffiava se possibile ancora di più sulla fiamma della curiosità, facendola divampare: Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastandrea sono rispettivamente un Diabolik, un’Eva Kant e un Ispettore Ginko più che credibili, con il primo in particolare atteso da una prova che sembra davvero pronto come pochi a sostenere, a partire dagli occhi, ingrediente imprescindibile. Resta fitto il mistero sulla trama, fino a questo momento tenuta al riparo da sguardi indiscreti: sappiamo però che la lente sarà puntata sul terzo albo della serie originale, più precisamente sull’incontro tra il ladro mascherato e la sua compagna/complice Eva Kant, mai descritta come fidanzata remissiva ma come versione speculare di Diabolik stesso (lei bionda e solare, lui moro e cupo), che Miriam Leone saprà di sicuro trasformare in irrinunciabile componente di una coppia specializzata in furti ormai diventati veri e propri marchi di fabbrica di un sodalizio amoroso e ‘professionale’. Alle loro calcagna ecco Ginko, l’unico poliziotto per cui Diabolik ammetta di portare rispetto considerandolo addirittura un “proprio pari”, in questa occasione legato alla fisionomia di Valerio Mastandrea: pipa in mano, sempre impegnato a cercare di indovinare quale potrebbe essere la prossima mossa del diavolo in calzamaglia nera, fino a questo momento sempre capace di far perdere le proprie tracce in inseguimenti a suon di sgommate per le strade di Clerville, in scene che poggiano sulla colonna sonora di Pivio e Aldo De Scalzi, impreziosita anche da due canzoni inedite scritte e interpretate da Manuel Agnelli, in versione solista. A dirigere il tutto ecco loro, Marco e Antonio Manetti, che con Song’ e Napule e Ammore e malavita tra 2014 e 2018 si sono rivelati al grande pubblico dopo una carriera poco mainstream ma non per questo motivo meno meritevole di essere celebrata, anzi: da autentici fan del fumetto ci si sono accostati con rispetto quasi religioso, aspettando il momento giusto per fare in modo che il film potesse uscire in sala, com’era giusto che fosse. Il momento giusto è arrivato. Davide Carbone Diabolik Dal 16 dicembre
CARNE, OSSA E INCHIOSTRO Il personaggio comparso nel 1962, capace da allora di vendere qualcosa come 150 milioni di copie, venne creato da Angela Giussani, autrice anche delle prime sceneggiature che, a partire dal n. 14, venne affiancata per la realizzazione delle storie dalla sorella minore Luciana. La serie viene edita dalla casa editrice Astorina che ne continua le pubblicazioni da oltre cinquanta anni; i primi quattro anni la pubblicazione venne divisa in due serie, la prima edita dal 1962 al 1964 e la seconda nel 1965 mentre dal 1966 la suddivisione viene fatta per annate. Alle sceneggiature, oltre alle sorelle Giussani, si sono alternati autori come Giancarlo Berardi, Pier Carpi, Alfredo Castelli, Nino Cannata, Giancarlo Malagutti e Mario Gomboli, direttore della casa editrice, o Patricia Martinelli, precedente direttore della testata, mentre alla realizzazione grafica del personaggio si sono alternati nel tempo diversi disegnatori come Angelo Zarcone (autore solo del primo numero), Sergio Zaniboni, Brenno Fiumali (autore anche della prima copertina), Enzo Facciolo, Elio Silvestri, Franco Paludetti, Remo Berselli (creatore anche della testata), “Kalissa” Giacobini e tanti altri. Il formato degli albi di Diabolik, di piccola dimensione per poter essere tascabili (11,5x16,9 cm), venne ideato per venire incontro alle esigenze dei pendolari che Angela Giussani osservava ogni mattina da casa sua, nelle vicinanze della stazione, e divenne lo standard anche per tutti i numeri successivi. Il primo numero ha una copertina realizzata da Brenno Fiumali, mentre la storia venne disegnata da un autore indicato solo per cognome: Zarcone (di cui, curiosamente, da allora si persero le tracce). La trama è congegnata in modo che il lettore non sapesse all’inizio chi fosse veramente Diabolik, da subito figura inquietante e imprevedibile. Tuttavia, l’iniziale riscontro delle vendite non fu soddisfacente e si decise di pubblicare il numero successivo solo dopo tre mesi, nel febbraio del 1963. Il terzo numero viene pubblicato nel mese di marzo; è il primo a essere disegnato in maniera professionale da Luigi Marchesi e vede l’esordio della sua spalla fissa, Eva Kant. La serie è stata pubblicata anche all’estero: Argentina, Brasile, Colombia, Finlandia, Belgio, Messico, Francia, Germania, Danimarca (con il nome di Satano), Grecia, Israele, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Spagna, Stati Uniti e Jugoslavia. Nel 2009 è stata pubblicata una storia (Il Re del Terrore) tradotta in esperanto. 107
RICORDATI DI RICORDARE Si produca uno sforzo per diffondere memoria, conoscenza, senso di responsabilità Liliana Segre PAROLE a cura di Renato Jona
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icordo, qualche anno fa, di aver pensato
che il Giorno della Memoria, istituito da una legge (l. 20.7.2000, n. 211), forse non avrebbe avuto bisogno di una legge. Chi avrebbe potuto dimenticare? Sei milioni di ebrei morti (e in quale modo uccisi!), dopo averli emarginati, perseguitati, deportati, umiliati, torturati, trattati e degradati come “esseri non umani”, addirittura come “stucke”, come pezzi da eliminare, soltanto numeri. E, analogamente, per quanto in forma talvolta un po’ meno sadica, i deportati politici, i militari non aderenti e collaboranti, gli oppositori al progetto di sterminio, i protettori dei perseguitati. Eppure devo ricredermi: la polvere del tempo, lenta, ma inesorabile, gli interessi politici nuovi e vecchi, il cambio generazionale, la carenza di approfonditi, costanti, corretti insegnamenti scolastici hanno dimostrato non solo l’utilità, ma addirittura la necessità di una legge che, ogni anno, dia un appuntamento a noi stessi, ci distolga dal quotidiano, ci ricordi di ricordare, ci costringa a fare una salutare pausa di riflessione, ci conduca a rinnovare la sensibilizzazione, ci imponga considerazioni serie, ogni anno differenti, perché adatte al momento della vita che stiamo vivendo. Più ci si allontana dall’epoca del tragico evento, la Shoah, più si perdono i particolari essenziali, incontrovertibili; vengono a mancare, progressivamente, per inesorabile legge di natura, anche i rari, preziosi testimoni. Il ricordo cocente di quei tremendi, tragici eventi muta aspetto, tende a diventare storia, perdendo quell’importante caratteristica di attualità che peraltro deve essere sempre presente nel nostro quotidiano modo di agire. Altre preoccupazioni più attuali, ma non più importanti,
tendono a distrarci. Altri interessi politici, giochi di parte, momentanee animosità impediscono alla nostra vita mentale di ritornare a valutazioni e ricordi che dovrebbero sempre tener conto di un’esperienza così grave da essere imprescindibile. Il futuro si costruisce con la memoria! Mi accorgo, trattando di un argomento così importante, che spesso si usa il condizionale. Ciò significa che la terribile lezione di storia che la Shoah ci ha costretto a subire, non da tutte le persone è adeguatamente ricordata, non da tutte è sentita, non a tutte è stata tramandata; da un certo numero di persone è addirittura negata, da altre infine è palesemente sbeffeggiata, in atto di sfida, di sfregio (atteggiamento che, oggi constatiamo, purtroppo si sta diffondendo). Si è arrivati persino, talvolta, all’uso di un frasario incosciente, delirante, inammissibile: non dimentico lo “Shoah party” (la sola verbalizzazione fa orrore), troppo in fretta derubricato a “gioco di ragazzi!”, sottovalutato, e caduto velocemente nell’oblio. È ancora fresca la notizia di quei cortei di Novara, nei quali i dimostranti contro il green pass hanno sfilato con l’ostentazione di pigiami a righe, esibendo un finto filo spinato, simboli della deportazione nei campi di sterminio nazisti, senza rendersi conto, nel loro agire, del grave oltraggio alla Memoria (o forse peggio, volendola ignorare impunemente, decidendo deliberatamente di non rispettare la Memoria della sofferenza). Si tratta di equivalenze allucinanti! Di un abuso intollerabile. Educazione, informazione, cultura, linguaggio, se non adeguatamente sensibilizzati e orientati, consentono mostruosità.
DI TUTTI I GENOCIDI
La Shoah non è soltanto un dolore passato: è ancora attuale. Merita conoscenza ed esige rispetto e studio approfondito. Abbiamo la fortuna ancora oggi di avere con noi ancora rari testimoni. In particolare una persona anziana di età, ma non di mente, serena e forte d’animo, equilibrata, obbiettiva nei suoi giudizi: Liliana Segre. Ascoltiamola! Il Presidente Mattarella, fortunatamente, persona di grande educazione, formazione e cultura, ha voluto pubblicamente apprezzare, rispettare i suoi valori, le sue qualità, le sue capacità, compresa quella di non avere neanche una piccola traccia di animosità (e pensare che ne avrebbe umanamente veramente grande motivo). Il Giorno della Memoria non è semplicemente un giorno: costituisce un’occasione importante per un forte richiamo alla riflessione, essenziale per la nostra vita. E ricordiamolo, non riguarda soltanto le vittime della Shoah e le loro famiglie. Coinvolge tutti gli esseri umani della nostra parte del globo (per i più geograficamente distanti è comprensibile che costituisca soltanto un triste evento storico passato). Ma per noi deve interessare tutte le generazioni successive a “quei” tragici eventi. È un giorno di conoscenza e riflessione, che deve richiamarci ai nostri doveri, se vogliamo aspirare a essere persone consapevoli. È un giorno che, con il suo carico di ricordi, deve influenzare sempre il nostro modo di pensare, di agire. Deve scuoterci dal torpore, sensibilizzarci, renderci riflessivi, impedirci di essere vigliaccamente indifferenti alle altrui sofferenze (anche quelle attuali), spingerci a partecipare, a reagire, a farci tralasciare ogni pregiudizio. Il neopresidente del Bundestag, Signora Baerbel Bas, assumendo la carica, nel discorso di accettazione del suo nuovo incarico, ha chiesto una cosa molto importante: RISPETTO. E ha precisato: «odio e diffamazione non sono opinioni!». La democrazia necessita di opposizioni, vive con le differenze di opinioni, ma queste devono essere rispettose, ragionate, non denigratorie per principio di quelle di origine avversaria. Il Sig. Gian Marco Capitani, no-vax della prima ora, ha di recente pubblicamente utilizzato l’insulto nei confronti della Senatrice Liliana Segre! E nessuno, vicino a lui, si è indignato, lo ha zittito, ha reagito, è neanche intervenuto! Lui con le sue grida scomposte e insensate dal palco si è qualificato (per la verità squalificato…). Ma le altre persone attorno a lui si sono rese conto di aver mancato al proprio dovere, di aver calpestato con il silenzio, anche la propria dignità? È ancora attuale, come si vede, la colpevole indifferenza! Non posso dimenticare e vorrei fare mio, un pensiero di David Bidussa: «Ogni tanto ho la sensazione, ma forse mi sbaglio, di essere sopravvissuto per caso a un diluvio e, ovunque io sia, di esser costretto, come Sisifo di Albert Camus, a spingere il macigno della Memoria o della comprensione, su per l’ingrata montagna dell’oblio pubblico, senza che ci sia una fine. O forse, più semplicemente, questo è il compito dello storico, nel tempo della presunta conservazione di tutto il passato in un cloud».
Il primo libro della collana CAMPO LIBERO, edito dalla Fondazione Gariwo insieme alla Libreria Editrice Cafoscarina di Venezia, raccoglie in un unico volume le voci di diverse personalità sull’importanza dello studio di tutti i genocidi. Domande sulla memoria è una riflessione corale che parte dall’esperienza estrema della Shoah per allargare il campo di attenzione a quanto è accaduto e sta tuttora accadendo ad altri popoli, interrogandosi sul significato odierno di Memoria e su come fino a oggi, in molti casi, sia mancata una lettura d’insieme dei genocidi. Il termine “genocidio” fu utilizzato per la prima volta nel 1944 dall’ebreo polacco Raphael Lemkin. Da giurista, Lemkin riteneva intollerabile l’assenza di una legislatura internazionale che potesse punire i governi per l’uccisione di milioni di persone. La sua riflessione partiva dallo sterminio del popolo armeno da parte del governo ottomano per arrivare a Hitler e alla Germania nazista, che di lì a poco avrebbe portato a compimento il suo disegno criminale contro gli ebrei. I suoi sforzi contro il reato internazionale di genocidio trovarono riconoscimento ufficiale il 9 dicembre 1948, data in cui la sua Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio fu adottata dall’ONU. Domande sulla memoria contiene il testo integrale della Convenzione di Lemkin e la proposta di Gariwo per una Carta della Memoria, sottoscritta da molte personalità della cultura. Il volume include, fra gli altri, gli interventi di Yehuda Bauer, Professore Emerito di Storia e Studi sull’Olocausto presso l’Università Ebraica di Gerusalemme; Marcello Flores, storico, già direttore del Master europeo in Human Rights and Genocide Studies; Anna Foa, storica, scrittrice, tra le maggiori studiose della condizione femminile nella Shoah; Gabriele Nissim, fondatore e presidente di Gariwo; Valentina Pisanty, studiosa del negazionismo dell’Olocausto. Marisa Santin
Giorno delle Memoria 27 gennaio 2022
Domande sulla memoria Aa. Vv. Cafoscarina, 2021 it.gariwo.net
Tiziano Vecellio, Sisifo, 1548 circa (part.) - Museo del Prado, Madrid
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curatorship
consultancy
management
making space for art Since 1984
www.artecommunications.com
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etcc... READING
L’ex signorina Crovato
Dopo il fortunato esordio con il primo capitolo della saga familiare, La signorina Crovato, Luciana Boccardi torna in libreria con Dentro la vita, secondo volume della sua personalissima storia di famiglia interamente ambientata a Venezia. Il racconto degli anni della maturità della Signorina Crovato riporta lo stesso piglio e la stessa immediatezza della precedente storia riferita agli anni dell’infanzia. «La signorina Crovato è diventata grande. Adesso lavora stabilmente per la Biennale organizzando le principali manifestazioni culturali della città. Negli uffici di Ca’ Giustinian, oltre a sbrigare il lavoro pratico, ha il privilegio di respirare l’atmosfera che la circonda e l’eleganza di chi le sta accanto. Grazie agli incontri con personaggi del teatro e della musica, Luciana impara a coltivare la spinta vitale e ad affinare il suo carattere bilanciandoli con un atteggiamento di sana umiltà e un’incessante voglia di migliorarsi». Con il suo stile autentico e pieno di vitalità, Luciana Boccardi coinvolge il lettore con la verità della sua narrazione. Si è proiettati in una Venezia molto diversa dalla città presente, una sorpresa per i lettori non veneziani che hanno della città un’immagine quasi sempre stereotipata. Un romanzo che attraversa la vita di una veneziana straordinaria, il cui impegno e amore per la propria città ha sempre rappresentato e rappresenta una costante, e anche una penna colta, arguta, che nel racconto di una vita non ordinaria sa mantenere il distacco tra una prosa naturalmente partecipata e la tentazione dell’autocelebrazione. Il risultato è un libro da leggere e consigliare. F.M. Luciana Boccardi. Dentro la vita Fazi Editore, 2021
Questa terra mi parla Un secolo fa nasceva Mario Rigoni Stern
Le parole di Mario Rigoni Stern somigliano ai soldati. Le pagine dei suoi libri, a vaste distese innevate. Proprio come i soldati, questi segni scuri su fondo bianco hanno una missione da compiere, ovviamente meno belligerante: raccontare. Raccontare quello che è stato, per esaltare il valore degli uomini e sottolinearne gli errori e le debolezze. Raccontare un paesaggio e un territorio, che porta subito alla mente l’Altopiano ma che potrebbe facilmente essere riconducibile alla Russia, magari proprio a quella ‘sacca’ sul fiume Don da cui, senza copertura aerea, da sergente si caricò sulle spalle la responsabilità di salvare gli alpini che con lui ritornarono a piedi verso casa, sotto i continui attacchi sovietici. «Il capolavoro della mia vita – sentiamo dalla sua viva voce nel documentario di Carlo Mazzacurati Ritratti: Mario Rigoni Stern – non è stato quando ho vinto premi letterari, o ho scritto libri, ma quando la notte dal 15 al 16 sono partito da qui sul Don con 70 alpini e ho camminato verso occidente per arrivare a casa, e sono riuscito a sganciarmi dal mio caposaldo senza perdere un uomo». Uno scrittore che dal particolare della pagina e del racconto, la cui vita era costellata, compiva il salto per parlare ad un lettore assolutamente universale e transgenerazionale, come spiega Eraldo Affinati, scrittore che di
Rigoni Stern ha curato l’edizione completa delle opere, Storie dall’Altipiano, de I Meridiani Mondadori: «Era molto legato al suo territorio, all’Altopiano dei Sette Comuni, ma allo stesso tempo non era localistico, ma universale. Era molto legato alla sua esperienza concreta, alla ‘baita’, sia terrestre che celeste, come uno stadio di serenità a cui tutti tendiamo. Però poi riusciva a parlare a tutti. Spesso parlavo con lui della mia esperienza didattica con i ragazzi immigrati e lui mi diceva sempre, “Eraldo, guarda che nella vita siamo tutti paesani, se noi andiamo indietro nel tempo, a vedere le nostre radici, ci ritroviamo assai più vicini di quanto crediamo di essere”. Era un’anima sola – prosegue Affinati –, che tuttavia legava fortemente il pensiero all’azione. Non esisteva nessuna contraddizione fra l’uomo e lo scrittore. Chiunque l’abbia conosciuto lo può testimoniare. Nelle sue opere ritrovavi tutta la sua vita, e nella sua vita sentivi il riverbero della sua scrittura. Quindi era uno scrittore proprio per natura, anche se all’inizio non sembrava, non è sembrato così, anche ai più autorevoli lettori. Però negli anni ci siamo resi conto come a Mario Rigoni Stern, sicuramente, tocchi un posto di assoluto rilievo nel panorama del Novecento italiano, letterario e sociale». Davide Carbone 111
ESSENZIALMENTE ORIGINALE
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Un grande lavoro di ricerca per esaltare la personalità di Ca’ di Dio senza stravolgerne il passato, reinterpretandolo in chiave contemporanea Patricia Urquiola
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A
di Fabio Marzari
U
n nuovo indirizzo dell’ospitalità veneziana di alto livello è Ca’ di Dio, a Castello, verso la Biennale, affacciato sul bacino di San Marco, quasi a cingerlo in un abbraccio colmo d’affetto. Il nome della struttura per chi non è veneziano potrebbe sembrare pretenzioso, c’è una spiegazione, che risale a un tempo remoto, quando i pellegrini qui sostavano in attesa di poter raggiungere il Santo Sepolcro in Terra Santa. Correva l’anno 1272 quando ebbe inizio la storia di questo edificio, la cui destinazione è sempre stata votata all’accoglienza. Dai pellegrini si passò alle donne in difficoltà rimaste sole e, nel 1544, i Procuratori di San Marco presero la decisione di avviare un completo rinnovo del complesso di edifici che formavano il corpus architettonico, conferendo a Jacopo Sansovino l’incarico di dare nuova forma all’antica casa dell’ospitalità, forma che ricalca in grande sostanza la versione giunta ai nostri giorni. Dopo un periodo recente di abbandono, quando venne dismessa la casa di riposo per anziani che aveva caratterizzato negli ultimi decenni il bellissimo spazio fronte laguna, il gruppo Alpitour all’inizio del 2019 ha acquisito il complesso per una durata iniziale di 27 anni, affidando il progetto di ideazione e allestimento degli spazi interni allo studio di architettura e design di Patricia Urquiola. Il complicato, certosino e meritorio lavoro svolto riporta fedelmente il senso della casa veneziana, contemporanea, razionale, accogliente, aperta ed elegante, nel rispetto di un luogo e di una città dove la storia è protagonista del quotidiano. Anche la scelta dei materiali e dei fornitori ha favorito gli artigiani locali, che si sono confrontati con un’ interpretazione del contemporaneo attraverso il loro sapere quasi ancestrale. L’elemento che più colpisce all’interno di Ca’ di Dio è la luce che irradia attraverso le molte aperture, il fluire delle ore e delle stagioni regala mutevoli cambi di cromie e tutto appare come sospeso, ovattato. Il merito maggiore di Urquiola è stato quello di non cadere nella tentazione della globalizzazione del lusso, in cui tutto si assomiglia e finisce col perdere di carattere. Geniale nella sala di lettura l’idea di proporre la texture del seminato veneziano sul soffitto o i trompe-l’œil nel ristorante VeRo, che sta per “Venetian Roots”, ma anche per la parola che in dialetto significa “vetro”, elemento primario della cultura estetica veneziana. Si comprende lo sforzo, riuscito, di dare a questo hotel tutti gli elementi per poter appartenere a pieno titolo alla catena V Retreats, nuovo brand di hôtellerie di VOIhotels, rivolto al segmento più alto del mercato italiano e internazionale. Le stanze sono 66, di varie tipologie – 57 suite e 9 deluxe – e godono tutte di un affaccio speciale, rivolto alla laguna, al rio che scorre adiacente alla struttura o ai tetti di Venezia, prolungando lo sguardo verso la vicina area dell’ Arsenale e dei Giardini della Biennale. Ci sono due suite con plus di altana per una vista inedita a 360 gradi in cui perdersi negli orizzonti plurisensoriali della città. Inoltre due corti interne, un vero e proprio spazio verde protetto, dove poter indugiare con un libro o semplicemente perdersi nei propri pensieri, certamente felici, dato il contesto. C’è un orto a km0 tra le case che circondano la struttura, in osmosi con la città che continua a esistere, con i suoi panni stesi e le tracce di vita normale, seguendo la vocazione di Venezia, città del mondo, super raccontata e scandagliata, ancora tuttavia in grado di offrire nel suo straordinario quotidiano angoli di pura e ordinaria autenticità. The Merchant of Venice inonda di essenze Pura City Spa, l’area benessere, un ulteriore tocco rivolto a chi non sceglie solo un albergo, ma vuole riportare dal suo soggiorno le sfumature che rendono unica la Serenissima.
Ca’ di Dio Riva Ca’ di Dio, Castello 2181 vretreats.com/ca-di-dio/
new address of Venetian hospitality of the highest quality is by Ca’ di Dio, near the Biennale. Ca’ di Dio literally means God’s home, and may sound pretentious to those who don’t know about it, but there’s an explanation for it. In remote times, pilgrims used to pass through Venice on their way to the Holy Land and found hospitality in this very building. Later, records show it was used as a battered women’s shelter. In 1544, city administrators decided to renovate the buildings and entrusted famous architect Jacopo Sansovino with the job. The setup we see now is Sansovino’s vision, largely unchanged. Ca’ di Dio sat abandoned for a while in recent times, when the last few guests of what was then a nursing home left. In 2019, Italian tourist company Alpitour leased the compound for 27 years to restore its beauty and turn it into a modern, rational, welcoming, open, elegant home, all while respecting the place and its history, thanks to the work of architect Patricia Urquiola and local contractors. What strikes the most as you visit Ca’ di Dio is light irradiating from the many openings, and one cannot wait to see how each season will bring a different character to it. We shall credit Urquiola for her ability to steer clear of globalized luxury style, which makes everything look alike and lose character. We love her surprising use of Venetian terrazzo on the ceiling and of trompe-l’œil in the restaurant. This hotel has all it takes to be counted in the V Retreats list, a new brand by VOIhotels and the highest segment of international hotellerie. 66 rooms (57 suites and 9 deluxe) each enjoy a special view on the lagoon, on the canal encircling the building, or on the roofs of Venice, all the way to the Arsenale and Giardini. Two suites enjoy a beautiful altana, the typical Venetian wooden rooftop terrace. Two inner courtyards – precious, enclosed green areas – are accessible to spend beautiful moments in one’s own company. There’s a zero-mile vegetable garden around the hotel that highlights the exchange it has with the city around it: a world-class city, extremely famous, though still able to surprise you with beautiful frames of pure, everyday authenticity. Fragrances by The Merchant of Venice are what makes the spa area special with a touch of elegance and uniqueness.
PATRICIA URQUIOLA, designer spagnola nata a Oviedo nel 1961. Attratta inizialmente dall’architettura, inizia il suo percorso di studi all’Università di Madrid, per poi trasferirsi a Milano, dove si laurea al Politecnico nel 1989 con la tesi Abitare come sistema. Relatore e mentore della giovane designer è il maestro Achille Castiglioni, che indirizza il suo talento verso il design di prodotto. La sua carriera inizia con una serie di collaborazioni, da Castiglioni a Eugenio Botticelli, da Maddalena De Padova fino a Vico Magistretti, che la introduce nel gruppo design di Lissoni Associati. Nel 2001 Urquiola apre il suo studio a Milano, che oggi è composto da un team di circa 70 persone. I progetti dello studio spaziano dal design di oggetti agli interni, dall’architettura agli allestimenti di fiere ed eventi, fino alle realizzazioni nel settore ricettivo. Il suo lavoro si ispira ai materiali, alle tecniche e alla tradizione figurativa della sua terra d’origine, reinterpretati in chiave contemporanea e innovativa. Materiali, spesso riciclati, come il vetro, la terracotta, la plastica, i tessuti, vengono utilizzati per creare prodotti che coniugano l’alto artigianato e l’innovazione tecnologica. Oggetti che riflettono un’estetica tradizionale e familiare, caratterizzati al tempo stesso da originalità e unicità. 113
menu IN THE CITY PLACES
COCKTAIL PARADE
Dal 13 al 19 dicembre Venice Cocktail Week, edizione numero uno, può rappresentare l’alibi perfetto per dimenticare i lunghi mesi complicati che tutti stiamo vivendo. La kermesse offre uno speciale tour tra i ventisei luoghi scelti per far conoscere ed esaltare le professionalità distribuite nei differenti locali di Venezia. Impossibile davvero riassumere le molteplici occasioni offerte, il sito web preparato per l’occasione è molto esaustivo e offre nel dettaglio orari, luoghi e biografie dei vari protagonisti (venicecocktailweek.it). Chi scrive, quasi del tutto astemio, quindi al di sopra di ogni sospetto, può con piacere registrare l’interesse verso un aspetto nobile della civiltà del bere, sempre responsabilmente. Dietro ad ogni preparazione si ritrova passione, conoscenza, fantasia e rispetto per il luogo in cui queste bevande vengono servite, e il contenuto dei bicchieri riporta un approccio totalmente differente, più lento e consapevole da parte del consumatore. Il cocktail non appaga la sete, punta più allo spirito, nel senso di animo; la preparazione, il servizio e il contesto segnano una frontiera tra il trangugiare qualcosa e sorseggiare, aprendosi ad un viaggio talvolta fatto di ossimori al palato che si fanno sintesi. Partecipare è semplice, si sceglie uno dei ventisei luoghi, si ordina un Signature cocktail esclusivo per VCW21, un Winter cocktail caldo, un Twist on Spritz o un cocktail “RiEsco a Bere Italiano” con prodotti made in Italy... facile come bere un bicchier d’acqua! F.M. Venice Cocktail Week 13-19 dicembre venicecocktailweek.it
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San Marco 3 Di nuovo al Todaro, per vecchie abitudini C’era una volta, ahinoi, tanti anni fa, una città normale, popolata di abitanti, piena di vita e di storie di cui molte un po’ straordinarie, trattandosi di Venezia. Erano gli anni ‘50-’60 del secolo scorso, la Piazza era per tutti i suoi abitanti San Marco, certi riti, come il listòn, erano codificati nei secoli - senza scomodare sempre Casanova che pure ne parla nelle sue Memorie - ovvero la passeggiata in Piazza per vedere ed essere visti. Un rito, presente in tutte le città italiane, che risale nel nome a quando nel Cinquecento a Venezia i campi erano erbosi, salvo una parte lastricata in cui era più agevole transitare senza infangarsi. In un angolo di piazza San Marco, al civico 3, considerato che il numero civico 1 spetta a Palazzo Ducale, nell’angolo meridionale della Biblioteca Marciana, vicino alla colonna di san Teodoro, Todaro in veneziano, primo santo patrono di Venezia, dal 1948 si trova uno storico locale, al Todaro, famoso anche per i suoi gelati. Il nesso con il listòn è presto spiegato: il gelato al Todaro era parte integrante del percorso, una tappa obbligata tra una chiacchiera e uno sguardo. In effetti al Todaro, proteso verso l’acqua, si gode di una vista impagabile ed è posto in uno dei punti di maggiore passaggio. Inoltre da subito la clientela veneziana e quella straniera hanno sempre convissuto amabilmente, per l’aria meno solenne e paludata, ma non per questo meno interessante, rispetto ai caffè storici della Piazza. Tra i clienti abituali non mancava mai il patriarca Angelo Roncalli, divenuto in seguito papa Giovanni XXIII, che ogni mattina dopo la passeggiata si fermava al Todaro per un caffè. A vedere le vecchie immagini in bianco e nero con i tavolini pieni di gente “comune” vestita in modo elegante e confrontandole con quelle che riguardano i giorni presenti di affollamento, un attacco di passatismo è quasi inevitabile. In realtà occorre dire che al Todaro - assai di recente rinnovato nei ridotti spazi interni, che sono stati utilizzati al meglio, sfruttando ogni centimetro disponibile, in maniera iper-rispettosa anche dal punto di vista estetico, incluso il bellissimo soffitto in vetro di Murano, opera del maestro Barovier - rappresenta anche nella dinamicità della gestione l’idea vincente di una città in cui gli stessi abitanti possono continuare a godere appieno il privilegio di vivere in un luogo straordinario, mescolandosi ai turisti senza esserne schiacciati. Claudio Vernier nel suo duplice impegno di imprenditore e di presidente dell’Associazione Piazza San Marco non ha mai smesso di alzare la voce a difesa della città, superando la miope visione della logica di bottega. Se a tutto questo si unisce il personale ricordo dei racconti sulla bontà del gelato al Todaro da parte di una mamma allora ragazza, beh non c’è nulla da aggiungere... Fabio Marzari
See you at Todaro’s
ENG
Once upon a time there was a regular city, full of people living in it, full of life and history and quite a few stories – it was Venice, after all. Those years were the 1950s and 60s, everybody called the Piazza home, and the place to see and be seen. A rite – the stroll about the Piazza – that is common all around Italy and in Venice is called listón. Back when many of the squares in Venice were nothing but soil, paved stretches (liste) were the only place you could walk without sullying yourself. An integral part of the listón was to stop by Todaro, an ice cream shop right by the column where Saint Theodore (Todaro) stands. That is a beautiful spot by the water, with unparalleled views, and a very busy passage point. It is also a bit less stuffy than the solemn air of cafés in the Piazza. The historical ice cream shop, now beautifully renovated, waits for you to enjoy a truly Venetian experience. al Todaro Piazza San Marco 3 al-todaro.it
A TR I U M P H O F EXC EP TI O NAL TASTE
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Ripartiamo dalla Cultura
Non vediamo l’ora di riaccogliervi in luoghi di inusitata bellezza e di condividere assieme amore per l’arte, cura del patrimonio culturale e della memoria del passato. Coltivare l’anima ci aiuterà a ricominciare. Presto.
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Sedi
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via Sommacampagna, 9
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Via Guelfa, 9
Corso Umberto I, 58
Via A. Borrelli, 3
menu IN THE CITY GUIDES
CIBO SCALDA CUORI
Piovono Stelle La guida Michelin 2022 premia Venezia
La ristorazione è ripartita con tanta energia e volontà di dare il meglio ai propri ospiti in Italia e in particolare a Venezia, dove non è tutto oro quello che luccica ma possiamo affermare con forza che la qualità media è molto alta in città, dove ai capisaldi storici e affermati si affianca una nuova generazione di cuochi o meglio giovani chef del territorio e ristoranti che rendono la piazza sempre più interessante. Cresce l’attenzione alla territorialità e alla sostenibilità, preziosi passi verso una ristorazione sempre più responsabile. L’ assegnazione delle stelle si fonda su cinque criteri: qualità delle materie prime, personalità dello chef, tecniche di cottura, rapporto qualità-prezzo e costanza nel tempo. Potremmo quindi affermare con orgoglio che una “pioggia di stelle” è caduta su Venezia. Oltre alle conferme – il Glam di Enrico Bartolini che mantiene le due stelle, l’Oro Restaurant di Cipriani Belmond Hotel, con in cucina lo Chef Davide Bisetto, il Quadri di Raffaele e Massimiliano Alajmo con in cucina Silvio Giavedoni e Venissa a Mazzorbo, con gli chef Chiara Pavan e Francesco Brutto, che mantengono tutti una stella – celebriamo qui i nuovi ingressi, ognuno con una luminosa stella e ognuno con un’identità precisa. Il Local (www.ristorantelocal.com), squadra compatta e quasi totalmente lagunare composta da Benedetta Fullin, gestrice del ristorante, lo chef Matteo Tagliapietra e il sous chef Marco Vallaro a proporre una cucina veneziana contemporanea, personalizzata da esperienze asiatiche e nordeuropee, con ricette che riescono a sorprendere senza interferire con la matrice gastronomica locale ma, al contrario, assecondandola. Zanze XVI (zanze. it), frutto di un progetto che quattro anni fa ha portato alla riapertura di uno storico locale chiuso da tempo: in cucina c’è Stefano Vio, poco più che trentenne, con lui Nicola Possagnolo, giovane imprenditore a cui si deve il progetto del rilancio del locale e Nicola Dinato, che di Zanze è consulente. L’ambiente e l’atmosfera conviviale ricordano quella di un bacaro veneziano, ma la cucina prende tutt’altra direzione e marcia. E, infine, Wisteria (www.wisteria-restaurant.com), insegna raffinata, cuoco giovanissimo, il 24enne Simone Selva, e due soci Massimiliano Rossetti e Andrea Martin molto intraprendenti, per una cucina sorprendente e originale, anche negli accostamenti, per chi ama lasciare le strade gastronomiche conosciute e affrontare nuovi percorsi gourmet. guide.michelin.com
È uscito un grande volume per Zafferano dedicato alla pasta e fagioli, un appassionato omaggio a uno squisito prodotto della cucina povera italiana, passato indenne negli anni, fino a diventare un’icona delle tavole più importanti. Nel libro viene raccontato il valore alimentare, culturale e storico di un piatto presente da Nord a Sud, ma anche all’estero, grazie a talentuosi chef italiani che, esprimendo la loro brillante arte nelle migliori cucine internazionali, lo hanno fatto conoscere al mondo intero. Sono sessantanove le differenti interpretazioni preparate da altrettanti chef, provenienti da ogni regione della Penisola, che si sono cimentati in una creativa reinterpretazione di questo caposaldo del nostro patrimonio culinario. Ognuno di loro, a proprio modo, ha valorizzato la pasta e i fagioli, anche se sarebbe meglio parlare di paste e fagioli, mettendo in gioco nuovi ingredienti, nuove lavorazioni e tecnologie, nuovi abbinamenti di sapori e colori, dando così nuova linfa vitale a un’antica tradizione fatta di ingredienti genuini, sapienza artigianale e buon gusto. Differenti per carattere e mise en place, le proposte sono accomunate dalla logica del piatto unico che combina carboidrati e proteine, nel segno di una ricchezza gustativa impareggiabile e di un altissimo valore nutrizionale. La certezza di questo piatto risiede nel suo rappresentare al meglio l’idea del comfort food, cui è quasi impossibile resistere. Un proverbio veneto dice: «Ti me scaldi el cuor come ea pasta e fasioi in inverno». Fabio Marzari Pasta & Fagioli. Un piatto italiano Consorzio Zafferano e Studioverde, 2021 pasta-e-fagioli.it
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l’architettura di sauerbruch hutton 3.9.21– 9.1.22
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M9 - Museo del ’900 via Giovanni Pascoli 11 Venezia Mestre M9museum.it
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Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero Numero 258-259 - Anno XXV Venezia, 1 Dicembre 2021 Con il Patrocinio del Comune di Venezia Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996 Direzione editoriale Massimo Bran Direzione organizzativa Paola Marchetti Relazioni esterne e coordinamento editoriale Mariachiara Marzari Redazione Chiara Sciascia, Davide Carbone Speciali Fabio Marzari Coordinamento Newsletter e progetti digitali Marisa Santin Grafica Luca Zanatta Distribuzione Michele Negrisolo Hanno collaborato a questo numero Katia Amoroso, Loris Casadei, Federico Jonathan Cusin, Elisabetta Gardin, Silvia Gobbo, Renato Jona, Franca Lugato, Andrea Oddone Martin, Livia Sartori di Borgoricco, Camillo Tonini, Riccardo Triolo, Andrea Zennaro Si ringraziano Cecilia Bartoli, Iginio Massari, Nico Zaramella, Daniela Mapelli, Jacopo Veneziani, Ottavia Piccolo, Pascaline Vatin, Giandomenico Romanelli, Red Canzian, Marco Agostinelli, Sabrina Boscolo Bariga Traduzioni Andrea Falco Foto di copertina Marie-Antoinette by Thierry Malandain Ballet Biarritz, Teatro La Fenice
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