© Bosco Sodi in residenza a Palazzo Vendramin Grimani What Goes Around Comes Around - Photo Andrea Avezzù Mensile di cultura e spettacolo - n° 262-263 - anno 26 - Aprile/Maggio 2022 spedizione in A.P. 45% art.2 comma 20/B - legge 662/96 - DCI-VE
EXHIBITIONS
THEATRES
MUSEUMS
262-263 APRIL-MAY 2022
CONCERTS
venicecityguide
FILMS&SERIES
CLUBS
FOOD&DRINKS
ENGLISH INSIDE
€ 4,50
The BIENNALE ARTE ISSUE
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Campo San Bartolomio, 5372-5378 Venezia
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Ramin Haerizadeh
Rokni Haerizadeh
Hesam Rahmanian
un progetto di OGR Torino
a cura di Samuele Piazza 4
PENUMBRA KARIMAH ASHADU JONATHAS DE ANDRADE AZIZ HAZARA HE XIANGYU MASBEDO JAMES RICHARDS EMILIJA SKARNULYTE ANA VAZ 20.04—27.11 2022 FONDAZIONE IN BETWEEN ART FILM COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO VENEZIA 5
april-may2022 CONTENTS
editoriale (pag. 8) L’alimento migliore incontri (pag. 12) Roberto Cicutto, La Biennale di Venezia | Carlo Giordanetti, Swatch Art Peace Hotel | Beatrice Bulgari, Fondazione In Between Art Film | Massimo Lapucci, OGR Torino | Gražina Subelytė, Collezione Peggy Guggenheim | Damiano Michieletto tracce (pag. 38) Nuove Procuratie Vecchie arte (p. 40) 59. Biennale Arte – Il latte dei sogni | Partecipazioni Nazionali: Brasile, Romania, Spagna, Cina, Emirati Arabi Uniti, Oman, Italia, Bulgaria | Eventi Collaterali: Bosco Sodi, Macao YiiMa Art Group | Not Only Biennale: Anselm Kiefer | Danh Vō, Park Seo-Bo, Isamu Noguchi | Penumbra – In Between Art Film | Marlene Dumas | Joseph Beuys | Anish Kapoor | Julien Friedler | Rainer – Vedova | European Cultural Centre | Le Stanze del Vetro |Ocean Space: The Soul Expanding Ocean | Raqib Shaw | Peter Pan. La nécessité du réve | Leila Alaoui | Palazzo Fortuny | Mouna Rebeiz | Bae Bien-U | From Chaos to Harmony – SUMUS | KUB in Venice | Sabine Weiss | Venezia International Photo Festival | Galleries | Stories: Giardini di Castello reportage (p. 79) Homo Faber 2022 musica (p. 94) Kraftwerk | Etnoborder | Anne-James Chaton & Andy Moor | Erlend Apneseth Trio | 26. Vicenza Jazz Festival | Iosonouncane | Candiani Groove | Gianna Nannini | Samuele Bersani | Dead Can Dance | Maneskin | Zucchero classical (p.106) L’universo di César Franck (1822-1890) | Faust | Griselda | Scipione nelle Spagne | I lombardi alla prima crociata | Stagione Sinfonica Teatro La Fenice theatro (p.112) Dancin Studies – Punta della Dogana | Intervista a Giorgio Ferrara, Teatro Stabile del Veneto | youTheater | Asteroide Amor | Earthbound | L’heure exquise | Il delitto di via dell’Orsina | L’attesa | Re Lear | Così parlo Bellavista cinema (p.124) Drive My Car | 24. Far East Film Festival | 12. Ca’ Foscari Short Film Festival | 74. Festival di Cannes | Ugo Tognazzi | Supervisioni | Cinefacts etcc... (p. 132) Marco Paolini su Luigi Meneghello | 15. Incroci di Civiltà | Una vita, mille Pasolini | Venywhere | M9 – Alberi! | Parole – Faccia menu (p. 140) Riccardo Canella – Cipriani Belmont | M9 – Gusto | I distillati di Carlo Cracco | Frittata di bruscandoli citydiary (p. 147) Agenda | Mostre
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ROBERTO CICUTTO
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The lens on contemporary art, the Venice Biennale touches the past and the present of the arts at a time when debate spaces run scarce. New projects and solid tradition are the strong support for self-awareness and openness, thanks to the wider array of expressive languages. incontri p. 12
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IL LATTE DEI SOGNI
213 artists from 58 countries, including 180 debutants. 1433 works of art reinvent the world following the magic of Leonora Carrington’s world into an imaginary journey headed by curator Cecilia Alemani: the metamorphosis of the body and the newest definitions of what’s human. arte p. 40
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SURREALISMO E MAGIA
An exhibition that is all about the surrealist endowment of the Peggy Guggenheim Collection: Giorgio De Chirico, Max Ernst, Leonora Carrington of Biennale fame, and Remedios Varo – among others – will take us on a journey back to the most crucial phases of twentieth-century Avant-garde, which Peggy Guggenheim understood before anyone else. arte p. 30
COVER STORY
Beuys considerava l’arte la cura per i mali della società: una forza positiva e terapeutica in grado di risvegliare la creatività individuale, attivare la consapevolezza politica e stimolare il cambiamento sociale. La Biennale Arte si fa garante di questo, mantenendo vivo, aperto e necessario il dialogo sul piano culturale tra artisti di tutte le nazionalità e di tutti i generi, liberi di esprimere le loro diversità. Venezia accoglie più di 150 mostre tra Homo Faber, Biennale e Not only Biennale, ma soprattutto delle straordinarie aperture permanenti come le Procuratie Vecchie di Generali, Palazzo Manfrin con la Fondazione Anish Kapoor, Palazzo Diedo nuova sede di Berggruen Arts & Culture, addirittura un’isola, quella di San Giacomo in Paludo, che ospita la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Anche Venezia News partecipa a questa rivoluzione artistica in città con due incredibili mostre al Complesso dell’Ospedaletto: Penumbra progetto di Fondazione In Between Art Film e ALLUVIUM di OGR Torino. Molte le immagini di copertina che avremmo potuto scegliere, ma in modo unanime abbiamo deciso di utilizzare l’istante che ritrae l’artista Bosco Sodi con le mani sporche di colore oro, nel pieno dell’atto creativo puro. Il titolo dell’Evento Collaterale, anch’esso molto significavo, è What Goes Around Comes Around. Ospitato dalla Fondazione dell’Albero d’Oro, l’artista messicano ha infatti lavorato dal vivo a Palazzo Vendramin Grimani mesi prima dell’apertura, ponendosi fisicamente e mentalmente in sintonia con l’atmosfera, il clima, la storia e l’arte di Venezia. L’immagine di questa mano è di una tale potenza positiva che ci sembra il perfetto e drammatico contrappunto di molte immagini che occupano le pagine dei giornali di queste settimane, dove le mani – sporche di sangue – sono simbolo della tragedia della guerra e dell’impotenza dell’uomo. arte p. 45
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ANSELM KIEFER
A monumental installation brings modernity to the Sala dello Scrutinio at Palazzo Ducale, a micro-macrocosm of collective memory. Human values show their long history before our eyes, at the intersection between traditional and abstract art. arte p. 48
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OSPEDALETTO CON/TEMPORANEO
International collective video art exhibition Penumbra, produced by In Between Art Film Foundation, stages a reflection on moving picture as a space of material and metaphorical transformation and the conditions that are necessary for their fruition. OGR Torino presents ALLUVIUM, featuring Iranian artists Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh, and Hesam Rahmanian and their site-specific project of solid material connotations. incontri p. 26 | arte p. 53 incontri p. 28
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ANISH KAPOOR
A visual, dynamic conversation with medieval and renaissance art at the Gallerie – the uniqueness of Anish Kapoor’s creations take life in a retrospective enriched by innovative, original work that explores what Kapoor calls the non-object. arte p. 56
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editoriale
L’ALIMENTO MIGLIORE
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In questo policentrico circuito del sapere, si può almeno comunicare al mondo che essere cittadini oggi qui equivale a essere cittadini in qualsiasi altro dove. Perché su questo terreno aperto l’idea di confine va al macero, senza se e senza ma di Massimo Bran
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bbene sì, ci ri-siamo. Verrebbe da dire, evviva! E lo diciamo, eccome. Che altro proferire al cospetto di questa ripartenza firmata Biennale di una città che almeno in una sua stagione si riprende il ruolo che dovrebbe avere sempre, indiscutibilmente, ossia quello di prima protagonista dell’industria culturale internazionale? Già, industria, perché è di questo che stiamo parlando. Perché la Biennale Arte è la dimostrazione più eloquente e plastica che con la cultura, tanto per fare un non troppo originale verso opposto alle genialoidi uscite di svariati politicanti italioti, si mangia proprio bene e in larghissima compagnia. E che cibo, che qualità! Il latte dei sogni di Cecilia Alemani, almeno nelle sue vivide premesse che siamo certi troveranno conferme piene, oltre a nutrire il nostro mondo immaginifico, emozionale, onirico con una mostra prepotentemente al femminile, quindi vitale e fertile più che mai, alimenta con la sua energia irradiante una costellazione di altri corpi terrestri vocati alla contemporaneità, con centinaia di mostre, performance, eventi che faranno di Venezia per ben sette mesi, preceduti dal clou della settimana delle vernici, davvero la capitale mondiale dell’arte. Una vera industria del sapere e dei mestieri, in cui una fitta e composita teoria di settori dell’intrapresa culturale (progettualità curatoriali, visioni creative, espressioni materiche del fare arte in tutte le sue declinazioni possibili, percorsi di comunicazione, networking di relazioni globali, professionalità dell’entertainment, del food, degli allestimenti, dell’alta artigianalità e chi più ne ha più ne metta) nel suo articolato dispiegarsi nell’intero tessuto della città storica coinvolgerà migliaia di addetti e professionisti e migliaia e migliaia di avventori tra operatori dell’arte, media, visitatori da ogni dove che eleveranno sideralmente il
livello di qualità di un turismo sempre più nella morsa di un mordi e fuggi sbracatissimo, con l’hotellerie e la ristorazione completamente sold-out all’insegna della pura qualità. Sono davvero rari gli eventi internazionali che riescono a coniugare a questi livelli altissimi la cifra culturale, la ricerca intellettuale con il business e il lavoro all’insegna dei grandi numeri. Solitamente il grande affare dell’industria degli eventi si materializza e si consuma in prosceni in cui il dato commerciale è l’elemento primo e più evidente della proposta di intrattenimento, in cui certo il contenuto culturale live ha un suo potere attrattivo, ma per una sua buona parte assume una valenza strutturalmente strumentale al business che gli si costruisce intorno. Il che va benissimo, intendiamoci. Oppure si dà il caso contrario, vedi l’esondante industria dei festival dedicati ad ogni linguaggio e forma espressivi, dalla letteratura alla filosofia, dalla scienza alla musica, dal teatro al fumetto... Occasioni in cui il contenuto è di straordinaria valenza attrattiva per il pubblico, quindi in grado di costruire straordinari momenti di interazione e di scambio culturali, senza però avere la forza di alimentare un business speculare ai numeri che si è in grado di raggiungere in termini di afflussi, con più player di diversi settori industriali pronti a sfruttare la scena a proprio vantaggio da un punto di vista del ritorno di immagine e al contempo in grado a loro volta di fornire contenuti qualificanti in termini culturali al festival di cui si fanno partner. Ecco, la Biennale Arte è davvero in questo senso non dico un unicum, ma un’eccellenza assoluta nel panorama italiano ed internazionale. Perché qui il sapere e l’industria vanno a braccetto minuto dopo minuto, in un processo osmotico in cui l’uno alimenta l’altra e viceversa, in cui i cosiddetti brand investono un sacco di quattrini senza in nessun modo
© Felipe Baeza. Courtesy the Artist; Maureen Paley, London
soverchiare, anche proprio a livello di immagine, il contenuto dell’evento. Al contrario, essi stessi per esserci qui si vanno a definire in qualità di produttori di contenuti, attraverso mostre, incontri, eventi qualificanti. Quindi davvero un’equazione rara e di totale ispirazione per un’idea dinamicamente contemporanea del fare-cultura in termini altamente industriali. Ha a tal punto incarnato questa equazione la Biennale che ora ci ritroviamo stupefatti e felici ad assistere alla sequenza crescente di Fondazioni culturali internazionali che decidono di insediarsi in città in forma permanente, fondando qui gallerie, musei, centri culturali e di ricerca. Insomma, quello che dovrebbe essere il futuro in tutte le sue declinazioni di questo territorio attrattivamente unico, ahinoi un futuro ancora da incubare in termini di sistema-città complessivo, lo è tangibilmente oggi perlomeno nel nostro amato mondo dell’arte. E di questo mai saremo sufficientemente grati alla Biennale. Ebbene sì, quindi, ci ri-siamo si diceva all’inizio. Aggiungendo l’obbligato condizionale “verrebbe da dire”. Già, perché quasi domato il surreale, a proposito di Latte dei sogni, biennio pandemico, neanche il tempo di prudentemente respirare, perché non è mica comunque finita la cosa ancora, ed ecco l’incontemplabile in Europa oggi: la guerra. Ormai ogni parola in più a riguardo, se non stringentemente necessaria, non può che suonare retorica, irritante, stucchevole. In questo presente caratterizzato da una comunicazione orizzontale come il tempo che ci tocca di vivere, in cui l’immersione in uno stato di presa diretta senza soluzione di continuità ci illude di poter avere tutto in mano senza bisogno di scavare almeno un minimo col pensiero, in cui tutto viene rappresentato visivamente e vocalmente senza tregua, in questo tempo, insomma, in cui pensavamo di vivere in un futuro-presente oramai eradicato, nel suo bulimico sostanziarsi ipertecnologico e digitale, anche dal più recente passato, con le sue grammatiche secolari fatte di luci abbaglianti e di ombre fonde, rieccoci sprofondati nel buio più cruento del sanguinoso primo Novecento. Un secolo di cui i più di noi sono figli e che pure eravamo convinti di aver lasciato alle spalle definitivamente nella sua declinazione più tragica, quale ultimo atto di millenarie pratiche immancabilmente risolte come sappiamo. E invece
sì, è proprio il caso di dirlo che ci ri-siamo anche qui, anche in questo. Solo che qui non avremmo mai immaginato, e tantomeno auspicato, di ritornarci. No. Inutile dire quale sia la speranza di noi tutti. Ancor più inutile dire da che parte noi ci collochiamo. Sono momenti in cui la storia drammaticamente semplifica in maniera secca il quadro, delimitando nettamente i lati su cui scegliere di sostare e procedere. Non esiste “né né”. Non esiste qui indossare l’eterna maschera della commedia cialtrona all’italiana, che purtroppo invece veste i volti di miriadi di omuncoli e donnuncole che, disponendosi fintamente alla complessità, si fanno impudentemente e imperdonabilmente giocherelloni, superficiali. Noi stiamo dalla parte degli offesi, che oggi si materializzano in vesti bicolori: giallo e blu. Bene, quel pochissimo che nel nostro ameno mondo possiamo fare ora al cospetto di questo disastro nel cuore del nostro continente è quindi quello di continuare, di perseverare a fare ciò che meglio sappiamo, ossia aprirci ai mondi attraverso la cultura, le arti, le relazioni, sapendo anche al contempo distinguere, certo, perché se è vero come è vero che l’arte non sopporta censure, ci mancherebbe!, è altrettanto vero che al contempo la libertà non può essere libero arbitrio di dire senza motivare, ignorando gli almeno minimi fondamentali etici che stanno alla base dell’esistere socialmente in un sistema liberaldemocratico. Una disposizione questa davvero intollerabile, che da noi, nel nostro piccolo mondo non troverà mai casa. Ad ogni modo sì, pur col groppo in gola vogliamo ribadire con forza e vitalità che ci ri-siamo! In questa Onu dell’arte però vitale, autentica, dinamica, per nulla paludata o rituale, quale è l’intero universo del contemporaneo riunito attorno alla Biennale, in questo policentrico circuito del sapere, si può almeno, e dici poco, comunicare al mondo che essere cittadini oggi qui equivale essere cittadini in qualsiasi altro dove. Perché su questo terreno aperto l’idea di confine va al macero senza se e senza ma. Buona lettura, allora, buon viaggio ad arte accanto a noi nel numero più speciale e ricco di sempre della nostra quasi trentennale storia. Felici di ri-esserci al vostro fianco. 9
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23 APRIL 27 NOVEMBER 2022 L’indovino
Opening Exhibition Wednesday, April 20th 2022 6pm – 9pm St George's Anglican Church Campo San Vio, 30123 Venice VE 59th Venice Biennale Republic of San Marino
L’Amoureux, 2022 Oil on polished aluminium plate mirror 100 x 180 cm Le Diable, 2022 Oil on polished aluminium plate mirror 100 x 180 cm
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Intervista Roberto Cicutto, Presidente de La Biennale di Venezia
UN ANTICIPO DI FUTURO La Biennale, espressione di molteplici contemporaneità, deve essere più contemporanea delle arti che rappresenta
incontri
di Massimo Bran
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C
ostruire incroci, fertili connessioni tra i
diversi linguaggi della contemporaneità, questo in sintesi l’obiettivo del Presidente Roberto Cicutto e della ‘sua’ Biennale di Venezia. Un’istituzione unica, costitutivamente votata alla poliedricità del fare arte, che nonostante l’incredibile periodo storico dominato da incertezza e preoccupazione continua a immaginare mondi nuovi, aperti, contaminati, con un’attenzione vitale a contribuire a formare le generazioni emergenti, disegnando incessantemente nuovi contesti creativi senza barriere. La Biennale di Venezia, epicentro del dibattito culturale internazionale, si pone domande e offre risposte, possibili direzioni attraverso le quali incidere con i linguaggi dell’arte, della musica, della danza, del teatro e dell’architettura nel nostro presente e nel nostro vivo divenire. Cecilia Alemani in questa 59. Esposizione Internazionale d’Arte si chiede e ci chiede: «Come sta cambiando la definizione di umano?». La sua mostra Il latte dei sogni immagina nuove armonie, convivenze finora impensabili e soluzioni sorprendenti. La Biennale configura nuove geografie e nuove alleanze generate dal dialogo. Metodo e mentalità che continuano ad essere vincenti. Se lo scorso anno è stata una Biennale coraggiosa, questa si prospetta come un’edizione di tenace rilancio, abbracciando con rinnovato vigore l’universo mondo. Quale segnale può lanciare in un momento storico cruciale come questo una manifestazione che mantiene la formula delle partecipazioni nazionali sapendole declinare in un linguaggio universale,
trasformando un’idea di confini e nazioni, anche se purtroppo attualissima, in una rivoluzione di pensiero sovranazionale? La Biennale fin da quando è stata concepita da Riccardo Selvatico ha avuto sempre la prospettiva di essere un luogo d’incontro. Come ha ricordato bene la mostra Le muse inquiete. La Biennale di fronte alla storia, la storia ha impedito solo in alcuni drammatici momenti del secolo scorso che questo incontro avvenisse. Tuttavia la storia ci pone ancora una volta davanti a una lezione e a un’esperienza che non avremmo mai potuto immaginare di rivivere, così diretta, dolorosa e tragica, soprattutto per chi ne è coinvolto in prima persona, naturalmente. La posizione della Biennale è ovviamente quella di garantire la partecipazione dell’Ucraina alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte. Il Padiglione russo, dopo le dimissioni del curatore e degli artisti, successivamente comunicato dalla commissaria, rimarrà chiuso. Ci sono disposizioni dettate da una scelta politica del nostro Governo, assunta in piena condivisione con tutti gli altri governi dell’Unione Europea, di non interloquire con istituzioni prettamente governative. Ciò disposto e recepito, la nostra posizione è di non precludere la possibilità ad artisti russi di essere presenti nelle nostre manifestazioni e festival. Credo sia necessario produrre sempre una netta distinzione fra chi ha le responsabilità politiche di un atto d’aggressione e il popolo, nel nostro caso gli artisti. Il nostro compito è quello di mantenere vivo e aperto il dialogo sul piano culturale, mettendo sempre al centro del nostro lavoro gli artisti affinché possano esprimere appieno la propria creatività.
The front of art
Photo Andrea Avezzù - Courtesy La Biennale di Venezia
La mostra Il latte dei sogni si prospetta come un viaggio attraverso le diverse trasformazioni del nostro presente. L’istituzione Biennale si dimostra capace di alimentare la propria trasformazione con nuove progettualità, con nuovi percorsi strutturali, vedi l’intrigante progetto del Centro Internazionale della Ricerca sulle Arti Contemporanee. Cosa dobbiamo aspettarci da questa nuova scommessa e come questa sfida si inserisce nella visione progettuale concentrica della Biennale che lei sta disegnando in questi complicatissimi anni? La Biennale, espressione di molteplici contemporaneità, deve essere più contemporanea delle arti che rappresenta. Deve per questo saper coniugare ciò che è custodito all’interno dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee con il domani, innescando processi di rivitalizzazione di quanto accumulato nel tempo al fine di disegnare scenari futuri. Dare sviluppo concreto attraverso il Centro Internazionale della Ricerca a quelle che erano già le attività dell’Archivio Storico, rappresenta un passaggio di cruciale rilevanza per almeno due ordini di ragioni: primo, per sdoganare i contenuti delle mostre e dei festival dalla temporalità della durata delle manifestazioni inserendoli in una sorta di circuito continuo a disposizione di studenti, studiosi o anche semplici curiosi che ne vogliano sapere di più; secondo, per far dialogare maggiormente le discipline e le arti fra loro. Abbiamo lanciato una ricerca in stretta collaborazione con Università Ca’ Foscari Venezia, Università IUAV di Venezia, IULM – Libera Università di Lingue e Comunicazione, Sapienza Università di Roma, Accademia di Belle Arti di Venezia e Conservatorio di Musica Benedetto Marcello Venezia, coinvolgendo 120 studenti impegnati a indagare e ricostruire la mappa geopolitica dei luoghi di provenienza degli artisti che negli ultimi venti anni hanno lavorato con noi. Luoghi di provenienza descritti non solo in chiave geografica, ma anche politica, economica e dei processi evolutivi dei vari Paesi a cui questi stessi artisti appartengono. Siamo al terzo gruppo di studenti coinvolti nella ricerca e ogni volta che li incontriamo per tirare le somme del loro lavoro ci restituiscono sempre qualcosa
ENG
If last year the Biennale was characterized by an extremely brave edition, this year it seems to be an edition of strong relaunch, embracing with renewed strength the whole universe. What signal can give in such a difficult historical moment like this a manifestation which is able to speak a universal language while keeping the formula of national participations, turning the idea of borders and nations which is unfortunately so relevant at the moment, into a revolution of supranational thought? Since it was conceived by Riccardo Selvatico, the Biennale has always meant to be a meeting place. As the exhibition The Disquieted Muses. The Biennale in front of history recalled, history has prevented this event to take place only during some dramatic events occurred in the last century. However, history once again puts us in front of a lesson and an experience that we could never have imagined to live again. An experience which is so direct, painful and tragic, especially for those personally involved of course. The Biennale wants obviously to ensure Ukraine’s participation in the 59th. International Art Exhibition. The Russian Pavilion will be closed following the curator’s and the artists’ resignation as communicated by the commissioner. The political choice of our Government, shared with all the other governments of the European Union, is not to interact with purely governmental institutions. Although we shall take note of these provisions, our position is not to preclude the possibility for Russian artists to take part in our events and festivals. I believe it is necessary to always make a clear distinction between those who are politically responsible for an act of aggression and the people, in our case the artists. Our task is to keep the dialogue alive and open on the cultural level, always putting artists at the center of our work so that they can fully express their creativity. The exhibition The Milk of Dreams promises to be a journey through the different transformations of our present. The Biennale institution proves to be capable to carry on its transformation trough new projects and new structural paths, such as the intriguing project of the International Research Center on Contemporary Arts. What should we expect from this new challenge and how does it fit into the concentric vision of the Biennale that you are designing in these very complicated years? The Biennale must be more contemporary than the arts it represents. That’s why it must be able to combine what is kept in the Historical Archive of Contemporary Arts with the future, in order to revitalize what has been accumulated over time to design future scenarios. The development of the activities of the Historical Archive through the International Research Center plays a major role for at least two reasons: first, to make the contents of exhibitions and festivals permanently available to students, scholars or even simply curious people who want to know more about them; secondly, to enhance the dialogue between the disciplines and the arts. We have launched a research in close collaboration with Ca’ Foscari University of Venice, IUAV University of Venice, IULM - Free University of Languages and Communication, Sapienza University of Rome, Academy of Fine Arts of Venice and Conservatory of Music Benedetto Marcello Venice, involving 120 students engaged in investigating and redefining the geopolitical map of the places of origin of the artists who have worked with us in the last twenty
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incontri ROBERTO CICUTTO
di sorprendente, facendoci capire che dai dati che raccolgono e che continueranno a raccogliere nasceranno nuovi punti di vista per immaginare il futuro delle arti contemporanee. Sono gruppi di lavoro davvero eterogenei per provenienza, esperienza e lingua. Si tratta di esperimenti entusiasmanti per la loro vocazione naturale a contaminare, confrontare, condividere: è la cifra costitutivamente internazionale che informa questi progetti a permettere tutto ciò. Si tratta solo di un primo passo, un prototipo da cui capiremo presto quali saranno i modelli di indagine da proporre a chi si affaccerà all’Archivio Storico per i propri studi. Da un punto di vista sistemico, della visione che informa il senso primo di questo ambizioso progetto, va sottolineato fortemente l’impianto collaborativo tra diverse istituzioni della città che sta alla base di esso. Se ciascuno procedesse da solo si perderebbe come minimo la metà del potenziale risultato finale. Così come dobbiamo essere capaci, tutti noi che in questa città operiamo nel campo della cultura, istituzioni ed enti formativi, a metterci assieme per creare un’offerta unica al mondo a vantaggio di chi, studiando il contemporaneo, possa avere accesso alla conoscenza del passato. Uno dei punti cardine della sua Presidenza pare essere quello di voler definitivamente abbattere le barriere tra i vari linguaggi artistici, tra i vari settori che costituiscono il corpo della vostra istituzione: arte, architettura, danza, teatro, musica, cinema. Un dialogo vivo, aperto, che ha acceso nuovi, fertili stimoli nel lavoro degli stessi direttori dei diversi settori, ma anche tra gli artisti e il pubblico. Cosa ci riserva in questa prospettiva la vostra programmazione nei prossimi mesi e, più estesamente, nei prossimi anni? In questi due anni di Covid la frase che si sentiva pronunciare più sovente era la seguente: «da soli non si va da nessuna parte». Quando abbiamo immaginato questo percorso di dialogo tra linguaggi artistici non sapevamo ancora che avremmo avuto davanti due anni di pandemia e di limitazioni. Avevamo già deciso di percorrere questa strada del dialogo fra le arti, ed è per questo che abbiamo dato il via a nuovi progetti che sotto l’ombrello dell’Archivio Storico non ricadano sotto la responsabilità dei direttori artistici ma offrano nuovi spazi all’interazione. Mi riferisco all’esperienza Archèus. Labirinto Mozart, una installazione multidisciplinare di Damiano Michieletto con Oφcina, che abbiamo da poco inaugurato a Forte Marghera. È un lavoro che mette insieme tre diversi elementi: l’arte figurativa per i contenuti, la musica come filo conduttore senza il quale questo viaggio non sarebbe possibile, e il teatro. Teatro qui inteso non solo come mera rappresentazione drammaturgica, ma come insieme di tanti mestieri fondamentali per la buona riuscita di una rappresentazione, sia essa opera o prosa. Chi visita Archèus vede dei manufatti che sono capolavori di artigianalità. È il primo aspetto cruciale di questo progetto, che si inserisce pienamente nella direzione su cui ci siamo poc’anzi soffermati, ossia l’importanza e il significato per il futuro dell’attività del Centro e dell’Archivio. Il secondo dato fondamentale di questo lavoro, altrettanto importante perché attiene a una visione nuova, più aperta della fruizione del contemporaneo, sta nell’avere realizzato un ‘prodotto’ culturale più accessibile a quei pubblici non canonicamente “da Biennale”. L’installazione è stata precisamente pensata per Forte Marghera, straordinario sito di terraferma ma affacciato sulla laguna, quindi in piena relazione con la città-Biennale, che ospiterà anche una sezione della Biennale 14
Arte di Cecilia Alemani, con una installazione di Elisa Giardina Papa alla Polveriera austriaca. L’installazione di Michieletto a Forte Marghera, al di là dell’indiscutibile valore intrinseco dell’opera in sé, assolve precisamente a questo nostro obiettivo direi prioritario, vale a dire avvicinare ancora di più a noi quel pubblico che ha affollato la Mostra di Architettura del 2021, e stabilire un legame nuovo e stabile con esso. Potremmo definirla un’esca questa installazione, un’espressione di alta divulgazione popolare che non faccia percepire le attività della Biennale come esclusivamente rivolte a delle élite. Archèus mette insieme tutte queste valenze. Parlando di direttori e ritornando a Il latte dei sogni, come è stato lavorare in questa lunga gestazione con il ‘ciclone’ Cecilia Alemani? Non ho potuto incontrarla fisicamente per tutto il primo anno. Siamo poi riusciti finalmente a trovarci, ma subito dopo ci siamo dovuti tutti rinchiudere in casa... Ho questa immagine in mente di Cecilia: un’astronauta della cultura che navigava e scrutava gli atelier degli artisti di tutto il mondo e vedeva tutto attraverso l’oblò del computer. Un’esperienza straordinaria, direi unica! Che speriamo però non venga più imposta. Ciò detto, nonostante il ruolo fondamentale svolto dalle nuove tecnologie digitali nella costruzione di questa mostra, non abbiamo pensato nemmeno per un momento di allestirla in modalità virtuale, ben consapevoli di quale e quanta insostituibile emozione, di che genere di esperienza culturale, di confronto intellettuale assicuri l’esserci in prima persona al cospetto di opere e di lavori matericamente creativi. Cecilia non si è mai nascosta. Abbiamo potuto, lavorandoci assieme, conoscerla molto bene sia per le sue grandi qualità in fatto di consapevolezza e di conoscenza della materia, sia per le sue incredibili capacità operative e organizzative. Avevamo già colto questi tratti, queste sue peculiari qualità nelle fasi di preparazione della mostra Le muse inquiete, per la cui realizzazione non a caso fu scelta come coordinatrice, in pieno accordo con i direttori dei sei settori artistici, tutti indistintamente coinvolti in quel progetto. Ha costruito una mostra così articolata e trasversale, parlando giorno per giorno dagli Stati Uniti, instancabilmente, con la sua assistente e con gli assistenti degli altri direttori. È una persona che sa con molta precisione che cosa vuole fare e come lo vuole fare. L’ho apprezzata per questa sua febbrile ed efficiente pragmaticità fin dal primo momento che l’ho conosciuta. Al contempo ho capito però subito quanto questa sua capacità organizzativa, questa intensità nel concentrarsi sui segmenti operativi essenziali per la tenuta del disegno complessivo di un grande progetto espositivo quale non può che essere una Biennale Arte, non inficiassero minimamente la sua partecipazione emotiva, il suo coinvolgimento intellettuale nel processo di costruzione di un così profondo percorso curatoriale. Un coinvolgimento talmente pieno da farla palpitare letteralmente per la tensione della “prima”. Cecilia sta facendo il count-down ora dopo ora; ogni volta che la vediamo ci annuncia quanti giorni mancano all’apertura e si chiede: «Ce la faremo?». Ritorno per riflesso condizionato alla mia antica professione di uomo di cinema e vedo nel curatore della Biennale, così come negli artisti coinvolti, seppure in modalità diverse, un’emozione anche superiore a quella che vive un regista che magari ha dedicato due anni a un progetto e che in un dato momento si trova a mostrarlo per la
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incontri ROBERTO CICUTTO
Photo Andrea Avezzù - Courtesy La Biennale di Venezia
years. Their places of origin are described in a geographical, political and economic key. Our third group of students is being involved in the research and every time we meet them to sum up their work they always show us something surprising, making us understand that the data they have been collecting and the ones they will continue to collect will lead to new ideas on the future of contemporary arts. They are very heterogeneous working groups in terms of origin, experience and language. These are exciting experiments because of their natural vocation to contaminate, compare, share. This is only a first step, a prototype which will soon allow us to define the models of investigation to be proposed to all those who will use the Historical Archive for their studies. We need to strongly emphasize the collaboration between different institutions of the city that is the basis of this ambitious project. Without this collaboration at least half of the potential final result would be lost. At the same time all the people in this town who like us work in the field of culture, such as institutions and training institutions, need to get together to offer something unique in the world to those who through the study of the contemporary, have access to the knowledge of the past. Your Presidency seems pivoting around the idea of breaking down the barriers between the various artistic languages: art, architecture, dance, theatre, music, cinema. A lively, open, highly motivating dialogue for the directors of the different sectors, but also for the artists and the public. What are your plans concerning this idea in the coming months and, more extensively, in the coming years? In the last two Covid years this was the sentence we were used to hear most often: “Alone you do not get anywhere”. When we suggested this idea of dialogue between the different artistic languages we did not yet know that we would have two years of pandemic and limitations ahead of us. We had already decided to follow this path of dialogue between arts, and that is why we have launched new projects involving the Historical Archive in order to offer new spaces for interaction going beyond the responsibility of artistic directors. I’m referring to Archèus. Mozart labirynth, a multidisciplinary installation by Damiano Michieletto in collaboration with Oφcina, we recently inaugurated at Forte Marghera. It is a work that brings together three different elements: figurative art as far as contents are concerned, music as a common thread which makes this journey possible, and theater. Theater here is not seen only as a mere dramaturgical performance, but as a set of many different crafts essential for the success of a performance, be it opera or prose. Archèus offers its visitors artifacts that are real craftsmanship masterpieces. This is the first crucial aspect of this project underlying the importance of the activity of the Center and the Archive also in the future. The second important element of this work is the creation of a cultural ‘product’ that not only specifically Biennale audiences can enjoy. The installation was expressly designed for Forte Marghera, an extraordinary mainland site overlooking the lagoon which links it to the city-Biennale. It will also host a section of the Biennale Arte by Cecilia Alemani: an installation by Elisa Giardina Papa at the Austrian Powder Magazine. Michieletto’s installation at Forte Marghera is not only a great work
of art but it meets as well our main goal, that is to say to attract more and more the public that crowded the 2021 Architecture Exhibition while creating a new and strong relationship with them. This installation can be considered as a sort of bait, an expression of high popular dissemination. Thanks to it the Biennale is not perceived as something created exclusively for some elites. Archèus is a perfect synthesis of all these aspects. Speaking of directors and returning to The Milk of Dreams, what was it like working with the “cyclone” Cecilia Alemani? I couldn’t meet her physically for the whole first year. We then finally managed to meet, but soon after there was a new lockdown ... I have this image in mind of Cecilia: an astronaut of culture who navigated and scrutinized the ateliers of artists from all over the world through the porthole of her computer. An extraordinary experience, I would say unique! That we hope, however, will no longer be imposed. That said, despite the major role played by new digital technologies for the realization of this exhibition, we did not even think for a moment to set it up in virtual mode as we didn’t want to deprive our public of the irreplaceable emotion, the cultural experience, the intellectual challenge felt when admiring a work of art in presence. Cecilia never hid. Working together, we were able to know her very well both for her great awareness and knowledge of the subject, and for her incredible operational and organizational skills. We had already had the opportunity to notice these peculiar qualities during the preparation of the exhibition The Disquieted Muses. It was not by chance that she was chosen as coordinator of the exhibition, in full agreement with the directors of the six artistic sectors involved in that project. She built such an articulated and transversal exhibition, speaking day by day from the United States, tirelessly, with her assistant and with the assistants of the other directors. She is a person who knows very precisely what she wants to do and how she wants to do it. I have appreciated her for her feverish and efficient pragmatism from the first moment I met her. At the same time, however, I immediately understood how much her organizational skills, her ability in focusing so strongly on the main elements essential for the success of the overall design of a large exhibition project such as the Biennale Arte, did not in the least affect her emotional participation, her intellectual involvement in the development of such an important curatorial itinerary. Her involvement is such to make her heart literally throb for the emotional tension of the “first” of the exhibition. Cecilia is counting down hour after hour; every time we see her, she tells us how many days are left before the opening and wonders: “Will we make it?”. As by a sort of conditioned reflex I’m going back to my late profession as a film producer and I can feel in the curator of the Biennale, as well as in the artists involved, an emotion even greater than that experienced by a film director when showing for the first time his work after having devoted to it maybe two years of his life. The participation of a curator in the development of such a huge and high level project is truly a full-immersion experience, since he/ she is in charge of all the main actions responsible for the success of the big Exhibition: coordinating a team, having relationships with over two hundred artists and with the managers of the
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incontri ROBERTO CICUTTO
prima volta. La partecipazione di un curatore nella costruzione di un percorso di questo livello e di queste dimensioni è davvero totalizzante, dal momento che si trova a essere produttore in prima persona di quasi tutti i tracciati che nel loro complesso determinano il disegno finale della grande Mostra: coordinare un team, avere rapporti con oltre duecento artisti e con i responsabili dei padiglioni nazionali (anche se non sono di sua diretta competenza), cercare di dare uniformità alle diverse componenti di questo sterminato puzzle. Insomma, una grande regia, eccome! Penso infine che Cecilia abbia una grande qualità su tutte: prende tutto con il massimo livello di professionalità e non scorda mai che l’ironia serve a vivere meglio. Il ruolo delle nuove generazioni nel futuro dell’istituzione La Biennale di Venezia e, più in generale, nel mondo della cultura. Dopo cinema, teatro, danza e musica, quest’anno inaugurerete il nuovo Biennale College dedicato alle arti visive. I quattro giovani artisti selezionati entreranno di diritto nella Biennale Arte 2022, fuori concorso, a fianco degli artisti protagonisti della mostra principale di Cecilia Alemani. Quali gli obiettivi prioritari che vi prefiggete con questo nuovo College? L’esperienza dei College, attiva da tempo nei settori teatro, musica, danza e cinema, negli anni si è dimostrato un progetto di altissima qualità, nonché un’attività di straordinario successo. Sarebbero troppi i risultati sin qui conseguiti da poter essere pienamente restituiti in queste pagine. Rimanendo alle ultime esperienze, basti solo ricordare che tra i finalisti di College Danza dell’anno scorso almeno quattro sono stati assunti da importanti compagnie internazionali. Per non parlare poi dei film di College Cinema, molti dei quali ormai entrano regolarmente ogni anno nelle selezioni di importanti festival in tutto il mondo. Al di là dei successi riscossi sulle platee internazionali, il dato più significativo di questa esperienza è che i College costituiscono una fetta importantissima del futuro della Biennale. Rappresentano un’attività fondamentale, un obbligo per un’istituzione come la nostra, che di conseguenza incrementeremo sempre di più. Il prossimo sarà il College Architettura: abbiamo chiesto alla prossima curatrice della Biennale Architettura, Lesley Lokko, di pensare a un college anche per questo settore. Tra tutte le discipline di cui ci occupiamo questa è forse quella più difficile in cui progettare un College, anche perché in tutto il mondo per l’architettura vi sono già moltissime e ottime scuole di formazione. L’architetto viene visto più come un professionista legato a una disciplina molto tecnica; tuttavia il nostro tempo ha dimostrato quanto l’architettura svolga un ruolo connettivo nodale da un punto di vista sociale, essendo per definizione la disciplina con cui praticamente tutte le attività umane hanno necessariamente a che fare. L’architettura accompagna tutti i momenti del nostro vivere quotidiano, essendo quindi per ciò stesso un terreno di indagine ideale per analizzare le trasformazioni del mondo in cui viviamo. In quest’ottica sono certo che Lesley Lokko troverà un modo per poter avere un occhio originale su ciò che significa fare architettura anche e in particolare in chiave formativa, nel coinvolgimento di giovani talenti ancora esperienzialmente acerbi. Sembra mancare in Biennale solo un settore dedicato specificamente alla letteratura, al lavoro di scrittura e sceneggiatura, che potrebbe portare a sviluppi interessanti sempre in un’ottica di 18
dialogo e interazione con tutte le altre discipline artistiche. Vi sono dei progetti in cantiere in questa direzione? In realtà La Biennale da anni ha un College che si chiama “Scrivere in residenza”, in cui dei giovani vengono formati alla scrittura pura, a quella cronachistica e alla scrittura critica. Tuttavia non vi è alcuna intenzione di creare una specifica Biennale di scrittura o letteratura, così come non ce ne sarà mai una dedicata al design o alla fotografia. Sono tutte discipline che già si intersecano inevitabilmente con quelle proprie della Biennale. Siamo molto orgogliosi della nostra originalità; tutti ci hanno copiato il nome, eppure credo e spero che quello che facciamo rimanga ancora abbastanza unico. La Biennale è un contenitore aperto che si focalizza sulle sei discipline artistiche principali e storicamente consolidate, almeno fin quando non percepiremo che vi sono effettivamente altre e diverse necessità da dover assolvere. Il ruolo della Biennale e Venezia. È indubbio che la città trovi nella Biennale il suo prioritario motore propulsivo sia da un punto di vista culturale che economico. Come è possibile fare in modo che l’astronave che scende a Venezia da aprile a novembre diventi un sistema di costante alimentazione delle risorse umane, culturali ed economiche migliori della città, capace di farsi motore principe del rilancio di un organismo urbano che su molti fronti risulta oggettivamente paralizzato da troppo tempo? Venezia è una città unica e insieme epicentrica a livello internazionale, però deve cominciare a capire che non è fatta di tante isole, ma di un insieme che deve essere il frutto di un dialogo vivo e virtuoso tra tutte le sue componenti. Solo creando un programma comune tra le istituzioni possiamo arrivare a proporre il più ricco cartellone di offerta di attività culturali che si possa immaginare. Cos’altro possiamo fare noi in questa direzione? La pandemia ha creato tanti guai, ma ha reso evidente alle persone che la cultura è anche un comparto dell’economia e del lavoro dove sono impiegate centinaia, migliaia di persone. Il settore della cultura nel suo versante professionale non può continuare a essere visto e rappresentato quasi esclusivamente dalle sue punte apicali, gli attori, i registi, i pittori, i musicisti, ecc. C’è un insieme articolatissimo di mestieri, funzioni, servizi con professionalità tecniche specifiche che nel loro insieme compongono questo nodale settore industriale della nostra economia. L’idea del Centro Internazionale per la Ricerca punta anche a questo, ossia a offrire stanzialità, ospitalità, permanenza a decine, centinaia, speriamo migliaia di persone che vengono qui a lavorare sempre meno in modalità “mordi e fuggi”. L’idea di partire con delle residenze legate ad attività che La Biennale svolgerà soprattutto all’Arsenale, oggetto come è noto di un importante finanziamento e di una vivace discussione in città, ha questo fine: ripopolare in maniera permanente dei luoghi fondamentali di Venezia. Sono contrario alle cattedrali nel deserto. Non ha senso mettere in sicurezza meravigliosi edifici senza prima aver deciso quale sarà la loro destinazione attiva. Il progetto, che abbiamo presentato e che ci è stato finanziato, punta proprio a questo. È sufficiente a riguardo analizzare attentamente il piano che abbiamo elaborato, che prevede il consolidamento delle parti già operative e il recupero e risanamento dell’intero comprensorio storico-monumentale dell’Arsenale. Si tratta di un piano importantissimo per una destinazione non solo espositiva, turistica o ludica, ma anche produttiva di questo straordinario sito di archeologia industriale.
Photo Francesco Galli
national pavilions (even if they are not under his/her direct competence), trying to give uniformity to the different elements of this endless puzzle. In short, a great direction, and how! Finally, I think that Cecilia has a great quality above all: she manages to handle everything with the highest level of professionalism and never forgets that irony helps us to live better. The role of new generations in the future of the La Biennale di Venezia Institution and, more generally, in the world of culture. After cinema, theater, dance and music, this year you will inaugurate the new Biennale College dedicated to visual arts. The four young artists selected will take part by right to the Biennale Arte 2022, out of competition, alongside the main artists of Cecilia Alemani’s exhibition. Which are your main targets by creating this new College? The Colleges experience, present for quite some time in the fields of theater, music, dance and cinema, has proved to be a very high quality project, as well as an extremely successful activity over the years. The results achieved so far are really a lot to be able to deal with them here. Considering just the latest experiences, last year, among the finalists of College Danza at least four of them were hired by important international companies. Not to mention the films of College Cinema, many of which regularly enter the selections of major festivals around the world every year. Beyond the international success, the most significant fact of this experience is that the Colleges play a very important role in the future of the Biennale. As they represent an essential activity for an institution like ours, we will work to increase more and more their number. The next one to be created will be the architecture College: we asked the next curator of the Architecture Biennale, Lesley Lokko, to take into consideration a college in this field too. Among all the disciplines we deal with, this is perhaps the most difficult one where to design a College, also because there are already many excellent architecture training schools all over the world. The architect is seen more as a professional linked to a very technical discipline; however, our time has shown how architecture plays an essential linking role from a social point of view, being by definition the discipline all human activities necessarily have to do with. As architecture is present at all moments in our daily life it is an ideal field of investigation to analyze the transformations of our world. I am sure that Lesley Lokko will find a way to have an original look on what it does mean to make architecture also and in particular in terms of training, involving young talents who still lack some experience.
An area dedicated specifically to literature, writing and screenwriting seems to be the only one still missing within the Biennale. An area that through a dialogue and interaction with all the other artistic disciplines could have some interesting developments. Do you have any projects coming up in this field? In fact, La Biennale has for years had a College called “Writing in Residence”, in which young people are trained in pure, chronicle and critical writing. However there is no intention to create a specific Biennial of Writing or Literature, just as there will never be one dedicated to design or photography. All these disciplines already inevitably come together with those of the Biennale. We are very proud of our originality; everyone copied this name from us, yet I believe and hope that what we do still remains quite unique. The Biennale is an open container that focuses on the six main and historically consolidated artistic disciplines, at least until we feel that there are actually other and different needs to be fulfilled. The role of the Biennale and Venice. There is no doubt that the Biennale is a driving force for the city both from a cultural and economic point of view. How can we ensure that this “spaceship” that lands and stops in Venice from April to November becomes a system of constant supply of the best human, cultural and economic resources of the city, capable of becoming the main engine for the revival of an urban organism that for too longtime has been objectively paralyzed? Venice is a unique and at the same time epicentric city at an international level, but it must begin to understand that it is not made up of many islands, but of a whole that must be the result of a living and virtuous dialogue between all its components. Only by creating a common program between the different institutions we will be able to propose the richest program of cultural activities that can be imagined. What else can we do to improve this situation? The pandemic has created so many troubles, but it has made people understand that culture is also a field of economy where hundreds, thousands of people are employed. From a professional point of view the cultural sector cannot continue to be seen and represented almost exclusively by actors, directors, painters, musicians, etc. There is a very articulated set of jobs, functions, services with specific technical and professional skills that together make up this important industrial sector of our economy. The idea of the International Research Center also aims at offering hospitality and permanence to tens, hundreds, hopefully thousands of people who come here to work less and less in “hit and run” mode. The idea of permanently repopulate some important areas in Venice is the main aim of promoting residencies linked to activities that La Biennale will carry out especially at the Arsenale thanks to an important funding and which have been also a matter of lively discussion in town. I am against cathedrals in the desert. It makes no sense to secure wonderful buildings without first deciding what their real destination will be. The project, we have submitted and for which we got financing, aims precisely at this. The plan we have drawn up includes the consolidation of the still operational sectors as well as the recovery and rehabilitation of the whole historical-monumental area of the Arsenale. It is a very important plan for this exceptional site of industrial archeology to be used not only as an exhibition, tourist or recreational area, but also as a production site.
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incontri SWATCH FACES 2022
Economia sentimentale Intervista Carlo Giordanetti Una delle collezioni d’arte più importanti al mondo, quella del Centre Georges Pompidou di Parigi, e in particolare cinque capolavori di Frida Kahlo, Amedeo Modigliani, Robert Delaunay, Vassily Kandinsky e Piet Mondrian sono i protagonisti della nuova bellissima serie di orologi Swatch. Non un’operazione di merchandising e nemmeno una riproduzione fedele, bensì un puro atto creativo, che racconta il rapporto importantissimo dell’azienda svizzera con l’arte e, soprattutto, con gli artisti. Swatch da anni infatti sostiene gli artisti con la creazione dello Swatch Art Peace Hotel a Shangai e con la partnership consolidata, sei edizioni consecutive, con Biennale Arte, operazioni non di pura sponsorizzazione ma di “scambio”, entrando nei progetti stessi e creando contenuti artistici capaci di restituire un punto di vista personalissimo e coloratissimo sui linguaggi visivi e della creatività contemporanea, che a sua volta creano contenuti sul prodotto. Protagonista indiscusso di questa visione creativa e di questa filosofia del progetto legato all’arte, divenuta un pilastro fondamentale del marchio, è Carlo Giordanetti, manager di Swatch e CEO dello Swatch Art Peace Hotel. La presenza Swatch alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia è composita e restituisce in pieno questa visione: ai Giardini, The Description of the World è un’installazione site-specific progettata dall’artista thailandese Navin Rawanchaikul; all’Arsenale, nelle Sale d’Armi, Swatch Faces presenta le opere di cinque artisti che sono stati in residenza allo Swatch Art Peace Hotel. Come è ormai tradizione da alcune edizioni, Swatch presenterà anche un’edizione Swatch Art Special, nonché i modelli di orologio ispirati all’identità grafica della Biennale Arte 2022. Abbiamo incontrato Carlo Giordanetti per parlare di arte, impresa, artisti, Biennale, Venezia. In questi tre anni fortemente connotati dall’incertezza e dall’instabilità come è cambiato l’approccio di Swatch alla ricerca e all’espressione creativa? Due sono gli elementi fondamentali che hanno connotato il nostro lavoro in questo periodo. Il primo, che fin dall’inizio ha caratterizzato la filosofia Swatch, è quello dell’accessibilità, l’idea di creare una community attorno ai progetti. Nelle circostanze particolarissime in cui ci siamo trovati questo aspetto si è significativamente rafforzato. Durante il primo lockdown siamo stati presi in contropiede: ci siamo trovati costretti a chiudere 100 negozi al giorno. In quel momento non eravamo certo la più dinamica delle aziende sul digitale. Il vero momento di svolta è stato quando abbiamo “risollevato la leva” e siamo ripartiti promuovendo un progetto basato sul concetto di inclusività. Abbiamo cioè attivato i nostri venditori di tutto il mondo, che in quel momento sostanzialmente erano a casa, e abbiamo chiesto loro di produrre contenuti per i social media, di parlare in maniera creativa delle loro città e della loro vita in quel preciso momento. La partecipazione è stata totale: partito il tutto come un gioco siamo arrivati a creare dei programmi specifici dedicati alle singole città, a cui gli utenti potevano partecipare online. Un esperimento innovativo che ci ha fatto comprendere come l’accessibilità e l’inclusività siano fattori molto importanti e decisivi su cui si deve senza remora alcuna puntare in tutti i settori della vita sociale, ma anche dell’industria, dell’economia. Anche sul fronte prettamente creativo abbiamo raccolto una lezione 20
© Swatch
importante. Dal 2011 a Shanghai siamo impegnati nel progetto di residenze artistiche dello Swatch Art Peace Hotel e appena è scattata l’emergenza Covid quasi tutti gli artisti lì impegnati sono tornati subito a casa. Tuttavia una coppia, un’artista italiana e uno americano, si sono trovati d’accordo sul fatto che in quel momento, con le dovute precauzioni, quello fosse il luogo più sicuro in cui rimanere, iniziando da quel momento a lavorare sulla progettazione di una comunità virtuale di artisti. Grazie a loro lo Swatch Art Peace Hotel non ha mai chiuso. Anche se le residenze d’artista non sono direttamente legate al marchio Swatch per quanto riguarda l’aspetto commerciale, poiché trattasi di un progetto totalmente filantropico, l’ispirazione proveniente da queste esperienze, connotate da un approccio dinamico, sorprendente, capace di produrre forme di resistenza tenace, creativa al cospetto di quella surreale interruzione totale della vita sociale e del lavoro in presenza, ha avuto ancora una volta una decisa influenza sull’azienda, sulla sua radice identitaria. Una radice che ne è uscita ancora più consolidata da queste esperienze, che poi non sono alla fine altro che l’espressione migliore delle ragioni per cui abbiamo istituito lo Swatch Art Peace Hotel a Shanghai, vale a dire progettare un incubatore di nuove energie e idee da sviluppare. Il secondo elemento, per me fondamentale, fil rouge da sempre di tutte le nostre attività, sono i contenuti. Nessun nostro progetto è fine a sé stesso; pur utilizzando il linguaggio pop della leggerezza, deve avere sempre qualcosa da dire. A causa della pandemia abbiamo naturalmente dovuto ripensare la strategia di lancio dei prodotti, quindi conseguentemente anche l’elaborazione dei progetti con i singoli artisti. L’installazione che presentiamo ai Giardini è una restituzione plastica, direi “macroscopica” di questa mutazione. Dopo aver portato alla Biennale Arte del 2017 la fantastica Giardini Colourfall di Ian Davenport, un’istallazione che più Swatch di così non poteva essere, e successivamente, nell’edizione 2019, The Flags, un omaggio a Venezia di Joe Tilson, quest’anno abbiamo sostenuto la creazione dell’opera di Navin
Sentimental economics Rawanchaikul, che nasce su basi sociali, indagando in maniera assolutamente personale e creativa i migranti presenti a Venezia, un altro modo per assolvere l’esigenza emersa prepotentemente in questo periodo, ossia quella di osservare e di disvelare il più acutamente possibile l’infinita teoria di connessioni che legano le persone anche le più diverse tra loro. A pensarci bene, in realtà vi è un terzo elemento da considerare, ovvero che questa pausa forzata che ha coinvolto tutti i settori dell’azienda, compresa l’intera produzione, ha permesso di sviluppare più rapidamente rispetto a quanto accadeva in tempi normali alcune innovazioni del prodotto, a partire dall’utilizzo di nuovi materiali. A settembre 2020 abbiamo lanciato le plastiche di origine biologica e nel 2021 la bioceramica. Questa accelerazione nei processi penso sia dovuta anche al fatto che le teste di tecnici, ingegneri ed esperti hanno avuto il tempo di pensare, di elaborare nuove soluzioni senza la pressione delle mille emergenze del quotidiano. C’è stato una sorta di “boosting” delle energie. Come è maturata la scelta di Navin Rawanchaikul per il progetto Swatch di questa attesissima Biennale Arte? Quale storia racconta l’installazione? È stato proprio un colpo di fulmine. Nel 2021 abbiamo sviluppato una partnership con il MAXXI di Roma in occasione del decimo anniversario dello Swatch Art Peace Hotel. L’emergenza sanitaria ha reso impossibile recarsi a Shanghai fisicamente, così abbiamo deciso di portare lo Swatch Art Peace Hotel “fuori le mura” in alcune iconiche venues dell’arte moderna e contemporanea e in alcuni eventi internazionali temporanei: al MAXXI di Roma, al Festival di Locarno, alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia e all’Expo Dubai 2020. Quando siamo andati a inaugurare la mostra al MAXXI, nella lobby d’entrata c’era un enorme murale con il coloratissimo saluto “Ciao da Roma” di Navin Rawanchaikul. Sono stato colpito subito da quest’opera perché era esteticamente in perfetto stile Swatch: allegra, molto powerfull. Tuttavia sono stato altrettanto attirato, osservando l’opera con più attenzione, dal peculiare background di cui era espressione e che eloquentemente restituiva. Ho contattato allora subito Navin, a cui la proposta è piaciuta molto, accogliendola immediatamente con grande entusiasmo. L’artista era già stato in Biennale nel 2011 con Naviland, progetto per il Padiglione della Tailandia. Navin ha iniziato subito a sviluppare il nuovo progetto e, in decisa controtendenza al blocco causa Covid, è partito da Chiang Mai in Tailandia per insediarsi a Venezia. Dopo il periodo di quarantena di dieci giorni, ha come prima cosa iniziato a incontrare molti membri di comunità straniere arrivate negli anni
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One of the most important art collections in the world, that of the Center Georges Pompidou in Paris, and in particular five masterpieces by Frida Kahlo, Amedeo Modigliani, Robert Delaunay, Vassily Kandinsky and Piet Mondrian are the protagonists of the new beautiful series of Swatch watches. Not a merchandising operation or even a faithful reproduction, but a pure creative act, which tells the very important relationship of the Swiss company with art and, above all, with artists. In fact, Swatch has been supporting artists for years with the creation of the Swatch Art Peace Hotel in Shanghai and with the consolidated partnership, six consecutive editions, with Biennale Arte, operations not of pure sponsorship but of “exchange”, entering the projects themselves and creating artistic contents capable of restoring a very personal and colorful point of view on visual languages and contemporary creativity, which in turn create content on the product. The undisputed protagonist of this creative vision and this philosophy of the project linked to art, which has become a fundamental pillar of the brand, is Carlo Giordanetti, Member of Swatch Management and CEO of the Swatch Art Peace Hotel. Swatch’s presence at the 59th International Art Exhibition of the Venice Biennale is composite and fully conveys this vision: at the Giardini, The Description of the World is a site-specific installation designed by Thai artist Navin Rawanchaikul; at the Arsenale, in the Sale d’Armi, Swatch Faces presents the works of five artists who have been in residence at the Swatch Art Peace Hotel. As has now been tradition for some editions, Swatch will also present a Swatch Art Special edition, as well as a watch models inspired by the graphic identity of the Biennale Arte 2022. We met Carlo Giordanetti to talk about art, business, artists, the Biennale, Venice. How did Navin Rawanchaikul’s choice for the Swatch project of this highly anticipated Biennale Arte come about? What story does the installation tell? It was really love at first sight. In 2021 we developed a partnership with the MAXXI of Rome on the occasion of the 10th anniversary of the Swatch Art Peace Hotel. The health emergency made it impossible to physically go to Shanghai, so we decided to bring the Swatch Art Peace Hotel “outside the walls” to some iconic venues of modern and contemporary art and to some temporary international events: at the MAXXI in Rome, at Locarno Film Festival, the Peggy Guggenheim Collection in Venice and the Expo 2020 in Dubai. When we went to inaugurate the exhibition at MAXXI, in the entrance lobby there was a huge mural with the colourful greeting “Hello from Rome” by Navin Rawanchaikul. I was immediately struck by this work because it was aesthetically in perfect Swatch style: cheerful, very powerful. However I was equally attracted, observing the work more carefully, by the peculiar background of which it was an expression and which eloquently returned. I then immediately contacted Navin, who liked the proposal very much, immediately welcoming it with great enthusiasm. The artist had already been to the Biennale in 2011 with Naviland, a project for the Thailand Pavilion. Navin immediately began to develop the new project and, in decisive contrast to the blockade due to Covid, he left Chiang Mai in Thailand to settle in Venice. After the ten-day quarantine period, he first began to meet many members of foreign communities who had arrived in the city over the years and settled here: Nepalese, Chinese, even wealthy Thai ladies. At that point two aspects were decisive: first, thanks to the assistant who was supported by him, Navin “discovered” the Venetians and some of their associations, see, for example, Laguna nel Bicchiere; second, in the first ten days of his stay in Venice, the artist read Marco Polo’s The Million, a book that later became the main theme of the project itself. Navin has in fact placed his research in constant dialogue with the stories told by the legendary Venetian explorer, so much so that he entitled the installation The description of the world, taking up the original French title of The Million, Le Divisament du Monde. The work will be accompanied to the Giardini by a letter from the artist himself to Marco Polo, a letter in which Navin recounts his journey in reverse, from the East to Venice, expressing his personal vision of what this city has become today. His artistic research places the human figure at the centre: the protagonists of this new work are, therefore, Christopher Columbus, the Monument to Garibaldi, Marco Polo himself, but also all the people Navin interviewed, from the guys who work in the
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incontri CARLO GIORDANETTI
in città e qui stabilitesi: nepalesi, cinesi, anche ricche signore tailandesi. A quel punto sono stati determinanti due aspetti: primo, grazie all’assistente che gli è stato affiancato, Navin ha “scoperto” i veneziani e alcune loro associazioni, vedi, ad esempio, Laguna nel Bicchiere; secondo, nei primi dieci giorni di permanenza a Venezia l’artista ha letto Il milione di Marco Polo, libro divenuto poi il filo conduttore del progetto stesso. Navin ha infatti posto la sua ricerca in costante dialogo con le storie raccontate dal leggendario esploratore veneziano, tanto da intitolare l’installazione La descrizione del mondo, riprendendo appunto il titolo originale francese de Il milione, Le Divisament du Monde. L’opera sarà accompagnata ai Giardini da una lettera dell’artista stesso a Marco Polo, lettera in cui Navin racconta il suo viaggio all’inverso, dall’Oriente a Venezia, esprimendo la sua personale visione di che cosa sia diventata oggi questa città. La sua ricerca artistica pone al centro la figura umana: protagonisti di questa nuova opera sono, dunque, Cristoforo Colombo, il Monumento a Garibaldi, lo stesso Marco Polo, ma anche tutte le persone che Navin ha intervistato, dai ragazzi che lavorano nei ristoranti della città a quelli che hanno scelto la città come luogo di residenza o vacanza. Si tratta di una mappatura di Venezia molto pop, colorata e di dimensioni considerevoli. Noi infatti ci entusiasmiamo sempre facendoci immancabilmente prendere la mano; così quella che inizialmente doveva essere una sola parete in cui dipanare questa “mappa umana” in divenire è diventata infine un’opera composta da ben 44 elementi distribuiti su 9 strati! All’interno di questa struttura tanti piccoli altoparlanti riproducono la lettera di Navin a Marco Polo, letta in lingue diverse: dal thai all’hindu (l’artista è infatti di origini indiane), al francese, all’inglese, all’italiano. Un racconto per immagini e parole di grande impatto emotivo e di altrettanta suggestione. Ci siamo entusiasmati a tal punto da non aver trovato il tempo necessario per realizzare l’orologio dedicato all’opera, che presenteremo però qui a settembre. Da molti anni mantenete un forte legame con Biennale, in particolare in occasione delle mostre d’Arte. Come sono evolute nel tempo le modalità di questa importante sponsorizzazione che possiamo definire un vero e proprio sodalizio artistico? Siamo riusciti negli anni a crearci una solida reputazione di azienda che lavora con gli artisti all’insegna di un religioso rispetto per la loro libertà espressiva. Io credo che sia proprio questa nostra coerente e tenace disposizione la ragione che ha reso possibile costruire una relazione all’insegna della reciproca fiducia con questa straordinaria istituzione culturale, il che ha fatto sì che tra di noi si andasse oltre la mera logica di sponsorizzazione costruendo una vera e propria partnership. Il percorso intrapreso con Biennale fa parte dei nostri corporate social responsibility projects: non solo sponsorizzazione, con relativo investimento economico e conseguente ritorno commerciale, ma partecipazione con progetti e contenuti originali. L’enorme valore di questa collaborazione è infatti offrire un angolo di visuale sul marchio che non passa dal prodotto vero e proprio. Sono ormai molti i progetti da voi prodotti per Biennale e moltissimi gli artisti coinvolti a Venezia e a Shangai. Come si configura la Collezione Swatch? È una collezione che si è creata in maniera quasi spontanea e direi naif. Se è vero che negli anni abbiamo lavorato con grandi protagonisti del contemporaneo quali Sam Francis o Akira Kurosawa, a cui abbiamo 22
chiesto il design dell’orologio, è altrettanto vero che non abbiamo mai acquistato o chiesto in cambio una loro opera. A ripensarci ora sembra in effetti incredibile, perché una volta che instauri delle relazioni di questo tipo con figure di questo livello, rapporti peraltro sempre molto friendly, è quasi automatico uno scambio di questa natura. Ad esempio di Keith Haring non abbiamo niente di originale, solo un manifesto di un festival di breakdance che l’artista aveva realizzato prima di diventare famoso, nel 1984. La collezione ora si sta molto ampliando anche grazie agli artisti dello Swatch Art Peace Hotel, che in cambio della residenza hanno nei nostri confronti l’unico impegno di lasciare una propria opera, una traccia del loro passaggio, come è normale pratica in questi casi. Dalle opere di questi “residenti” si è formata e strutturata una collezione vera e propria, che è esposta in parte proprio a Shanghai. Il valore aggiunto della nostra collezione, o meglio della nostra relazione con gli artisti, è che spesso si alimenta e si sviluppa in altri progetti, come per esempio quello di quest’anno ideato per il padiglione Swatch all’Arsenale. Gli artisti, dunque, grazie all’esperienza residente nel nostro “laboratorio” a Shangai possono poi godere di una piattaforma di visibilità pazzesca quale è per esempio la Biennale Arte. Quello che non facciamo invece è acquistare le opere: non fa parte della nostra filosofia. La seconda parte del progetto Biennale 2022, Swatch Faces, è una mostra che diventa un vero e proprio padiglione all’Arsenale. Quali gli artisti coinvolti e quali i loro progetti per questa edizione? In Arsenale dal 2015 presentiamo una selezione di artisti dello Swatch Art Peace Hotel. Il primo anno eravamo in una delle tese dell’Arsenale Nord, uno spazio bellissimo ma fuori proporzione e periferico rispetto al percorso principale dell’esposizione. Ora ‘occupiamo’ uno spazio all’interno delle Sale d’Armi, più centrale nel percorso e dalle dimensioni ragionevoli. In questa edizione lo spazio sarà animato dalle opere di cinque artisti, un mosaico originale di espressioni artistiche differenti. Il primo artista, il cinese Tang Shu, è un pittore nel senso più classico del termine: dipinge con colori ad olio. Durante il 2020/21 ha realizzato un lavoro sull’isolamento: un trittico esteticamente molto bello che raffigura, con prospettiva a volo d’uccello, una spiaggia dove le persone stanno distanti ma allo stesso tempo insieme. La seconda artista coinvolta anch’essa cinese, Landi, riflette perfettamente lo stile Swatch con un’opera molto attractive e colorata. Sempre dalla Cina arriva un’altra artista, Xue Fei, perfettamente in linea con il tema della Biennale 2022: il suo lavoro riconduce al surrealismo, i suoi piccoli personaggi ricordano quelli di Bosch. Si tratta di un’opera molto singolare: tre quadri che sono l’evoluzione di una stessa situazione nel tempo. Il quarto artista è il coreano Shin Hoyoon: la sua sfida è dare trasparenza alla materia senza usare materia trasparente. In questo caso presenta tre opere, due rappresentazioni del Budda e una posizione Yoga di riflessione, lavorate con delle lamelle di carta sottilissime tenute insieme da punti di resina trasparenti. Quinto e ultimo artista selezionato, Marcelot, un brasiliano che vive a Zurigo, a cui abbiamo commissionato noi un’opera. È uno scultore che crea delle strutture in acciaio e ceramica, che poi ricopre con la carta, utilizzando tutta una serie di tecniche diverse. Tra i suoi lavori ci sono alcuni busti di personaggi famosi quali Angela Merkel, Bolsonaro, Napoleone. Abbiamo deciso di portare in mostra proprio quest’ultimo, così da porre l’imperatore corso in contrapposizione con un Leone di San Marco ‘scolpito’ utilizzando decine di copie del
Leonora Carrington, Ritratto di Max Ernst, 1939 c. National Galleries of Scotland, Edinburgh, acquistato con il supporto di Henry and Sula Walton Fund e Art Fund, 2018. © Leonora Carrington, by SIAE 2022
In collaborazione con Museum Barberini, Potsdam
Dorsoduro 701, Venezia guggenheim-venice.it
A Venezia, la mostra è resa possibile dal generoso contributo di Manitou Fund, con un ringraziamento speciale a Kevin e Rosemary McNeely
I programmi collaterali sono resi possibli da
Radio ufficiale
Con il sostegno di INSTITUTIONAL PATRONS Allegrini + Apice + Arper +Eurofood + Florim + HDG + IED + Itago + Mapei + René Caovilla + Rubelli + Swatch
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Ph credits: Martino Lombezzi · Alessandra Chemollo
Entra per la prima volta nel cuore di Piazza San Marco alle Procuratie Vecchie e immergiti nella mostra interattiva per scoprire i tuoi punti di forza
Mostra interattiva Procuratie Vecchie, Piazza San Marco 105, Venezia Dal mercoledì al lunedì 10-19 thehumansafetynet.org 24
Gazzettino e della Nuova Venezia, mentre per Napoleone l’artista ha preferito le copie di Le Monde. La criniera, le ali e il libro sono invece realizzati con tessuti veneziani selezionati dalla collezione Rubelli. Anche all’Arsenale la nostra presenza, quindi, si connota attraverso la restituzione di un legame importante con Venezia. Riprendendo l’affascinante tema, divenuto poi titolo della mostra, che Cecilia Alemani ha voluto mettere al centro di questa Biennale, le chiediamo quale sia il suo Latte dei sogni. Vivere una in una dimensione altra, per così dire “alternativa”: una vita d’artista, ecco, ma non certo perché io faccia una vita d’artista… Qual è l’elemento profondo che la lega a Venezia e da quando ha iniziato a costruire questo speciale legame personale con la città? Negli anni della mia formazione educativa con Venezia ho avuto un unico flash da bambino, quando andavamo a trovare mia nonna che purtroppo era ricoverata in ospedale a Trieste. Mia madre volle fermarsi a Venezia per farmi vedere la città. Mio papà restò ad aspettarci a Piazzale Roma, mentre noi prendemmo il vaporetto per arrivare fino a Piazza San Marco, dove comprammo un bellissimo cervo in vetro di Murano che conservo ancora come una reliquia. Di quel giorno non mi ricordo quasi niente onestamente. Poi sono tornato e mi sono innamorato della dimensione della città, che oggi definiremmo “sostenibile”. Il mio è stato un innamoramento estetico, Venezia ha toccato le corde di quel romanticismo innato che fa parte del mio carattere. I ricordi che ho di quegli anni sono sempre di una Venezia sotto la neve, avvolta dalla nebbia, di quando uscito dal Malibran mi sono perso e ho dovuto fermarmi a dormire in centro perché non c’era più la motonave per tornare al Lido. Sono tutti ricordi legati alla dimensione emotivamente “atmosferica”, all’idea di esplorare, perché ciò che trovo fantastico è il fatto che per quanto tu possa girare e conoscere la città ce ne sarà sempre un pezzo che non hai visto, che non hai conosciuto, da scoprire dietro l’angolo. Un’altra cosa che mi intriga di Venezia sono le sue enormi potenzialità: può essere modello e anche laboratorio per le sue caratteristiche climatiche, per le energie rinnovabili connesse all’acqua e alle maree, per quella che potrebbe essere un’agricoltura sostenibile nelle isole, e tutto ciò che è legato ai microorganismi della laguna. È importante considerare Venezia anche per la sua dimensione naturale, oltre che artistica. Mariachiara Marzari www.swatch.com www.swatch-art-peace-hotel.com
restaurants of the city to those who have chosen the city as their place of residence or vacation. It is a very pop, colourful and considerable size map of Venice. In fact, we are always enthusiastic by always letting ourselves be carried away; so what initially was supposed to be a single wall in which to unravel this evolving “human map” has finally become a work composed of 44 elements distributed over 9 layers! Within this structure, many small speakers reproduce Navin’s letter to Marco Polo, read in different languages: from Thai to Hindu (the artist is in fact of Indian origins), to French, to English, to Italian. A story in images and words of great emotional impact and equally suggestive. We were so enthusiastic that we did not find the time necessary to make the clock dedicated to the work, which we will present here in September. You have maintained a strong bond with the Biennale for many years, especially on the occasion of art exhibitions. How have the modalities of this important sponsorship evolved over time, which we can define as a real artistic partnership? Over the years we have managed to create a solid reputation as a company that works with artists in the name of a religious respect for their freedom of expression. I believe that it is precisely this coherent and tenacious disposition of ours that has made it possible to build a relationship based on mutual trust with this extraordinary cultural institution, which has meant that between us we went beyond the mere logic of sponsorship by building a real partnership. The path undertaken with Biennale is part of our corporate social responsibility projects: not just sponsorship, with relative economic investment and consequent commercial return, but participation with original projects and contents. The enormous value of this collaboration is in fact to offer an angle of view on the brand that does not pass from the actual product. The second part of the Biennale 2022 project, Swatch Faces, is an exhibition that becomes a real pavilion at the Arsenale. Which artists are involved and which are their projects for this edition? In Arsenale since 2015 we present a selection of artists from the Swatch Art Peace Hotel. The first year we were in one of the tents of the North Arsenal, a beautiful space but out of proportion and peripheral to the main exhibition path. Now we ‘occupy’ a space inside the Arms Rooms, more central in the path and with a reasonable size. In this edition the space will be animated by the works of five artists, an original mosaic of different artistic expressions. The first artist, the Chinese Tang Shu, is a painter in the most classical sense of the term: he paints with oil colors. During 2020/21 he created a work on isolation: an aesthetically very beautiful triptych that depicts, from a bird’s eye perspective, a beach where people are distant but at the same time together. The second artist involved, also from China, Landi, perfectly reflects the Swatch style with a very attractive and colorful work. Also from China comes another artist, Xue Fei, perfectly in line with the theme of the 2022 Biennale: her work leads back to surrealism, her little characters are reminiscent of those of Bosch. It is a very unique work: three paintings that are the evolution of the same situation over time. The fourth artist is the Korean Shin Hoyoon: his challenge is to give transparency to the material without using transparent material. In this case he presents three works, two representations of the Buddha and a Yoga posture of reflection, worked with very thin sheets of paper held together by transparent resin points. Fifth and last artist selected, Marcelot, a Brazilian living in Zurich, from whom we commissioned a work. He is a sculptor who creates steel and ceramic structures, which he then covers with paper, using a whole series of different techniques. Among his works there are some busts of famous people such as Angela Merkel, Bolsonaro, Napoleon. We decided to bring the latter on display, so as to place the Corsican emperor in contrast with a Lion of San Marco ‘sculpted’ using dozens of copies of the Gazzettino and Nuova Venezia, while for Napoleon the artist preferred copies by Le Monde. The mane, the wings and the book are instead made with Venetian fabrics selected from the Rubelli collection. Therefore, our presence at the Arsenale is also characterized by restoring an important link with Venice. Taking up the fascinating theme, which later became the title of the exhibition, that Cecilia Alemani wanted to put at the center of this Biennale, we ask you what your Dream Milk is. Living one in another dimension, so to speak “alternative”: a life as an artist, that’s it, but certainly not because I lead a life as an artist...
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incontri
FONDAZIONE IN BETWEEN ART FILM
Immagini in divenire Intervista Beatrice Bulgari Dopo un lungo trascorso professionale tra arte e cinema, Beatrice Bulgari ha creato la Fondazione In Between Art Film per promuovere la cultura delle immagini in movimento e sostenere gli artisti e le istituzioni internazionali che esplorano il dialogo tra le discipline e i confini tra film, video, performance e installazione. La incontriamo per la prima mostra della Fondazione a Venezia in occasione della Biennale Arte, un grande progetto dal titolo evocativo Penumbra, curato da Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi, rispettivamente direttore artistico e curatore della Fondazione, e ospitato nel Complesso dell’Ospedaletto, uno spazio culturale che dal 2019 è sede del progetto di riqualificazione artistica “Ospedaletto CON/temporaneo”. Otto nuove videoinstallazioni di Karimah Ashadu, Jonathas de Andrade, Aziz Hazara, He Xiangyu, Masbedo, James Richards, Emilija Škarnulytė e Ana Vaz, tutte commissionate e prodotte da Fondazione In Between Art Film, rappresentano il corpus di questa attesissima esposizione. Beatrice Bulgari è convinta della forza della collaborazione culturale, anche se rifugge il ruolo di mecenate a favore dell’impegno diretto sul campo, nel suo caso quello dell’arte in movimento. Quando ha iniziato a interessarsi all’arte? Si è trattato più di istinto, conoscenze o disposizione culturale? Ho vissuto sempre in una famiglia ricca di stimoli culturali, mia madre era una scrittrice, mio padre un antiquario, e io ho cominciato a dipingere molto presto, ho frequentato l’Accademia di Belle Arti e quindi la mia carriera si è sviluppata nel mondo del cinema e del teatro come scenografa e costumista. Da queste mie due passioni, arte contemporanea e cinema è scaturito l’interesse per le immagini in movimento di cui mi occupo dal 2007, prima con la piattaforma CortoArteCircuito, successivamente con la casa di produzione In Between Art Film, che si occupava anche di documentari, cinema d’autore, performance e videoarte, e dal 2019 con la Fondazione In Between Art Film la cui mission è più orientata su specifiche commissioni di videoarte. Si ritiene più una mecenate o una collezionista? E perché? Sicuramente sono un’appassionata di arte e colleziono da molti anni. La parola mecenate non mi si addice, benché il ruolo della Fondazione, che io presiedo, sia quello di sostenere gli artisti e metterli in contatto con le istituzioni in cui le loro opere possano essere fruite al meglio. Quello che veramente mi interessa è seguire il processo creativo che si stabilisce con l’artista sin dal primo momento, perché penso che dallo scambio e dall’interazione, possano scaturire importanti spunti di riflessione sulle urgenze del contemporaneo. Quali caratteristiche sono per lei interessanti in un’opera d’arte o in un artista? Sono sempre molto colpita dalla poetica e dallo sguardo dell’artista che può assumere varie forme. Ci sono artisti che lavorano su temi estremamente forti e radicali, che mi interessano per come riescono a filtrare la realtà, e ci sono artisti che si approcciano in modo estremainbetweenartfilm.com
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© Gianmarco Chieregato
mente lirico e poetico, che mi affascinano proprio per la loro capacità di raccontare un dramma attraverso le immagini in movimento. Nella nostra prima mostra, Penumbra, gli otto artisti a cui abbiamo commissionato altrettante video installazioni, affrontano temi, poetiche e questioni di diversa natura legate alle condizioni di lavoro, ai conflitti sociali, alle occupazioni straniere del territorio, alle turbolenze geopolitiche e storiche, alla memoria e al flusso caotico di oggetti visivi e sonori e costituiscono il tessuto contemporaneo. Qual è il ruolo di una fondazione come la sua? Può esserci concretamente, e quanto a suo avviso risulta strategico, un dialogo costruttivo tra pubblico e privato? La nostra Fondazione è nata dal desiderio di rendere possibili le visioni degli artisti. A volte questa possibilità si avvera attraverso il sostegno dato agli artisti nel contesto di un’istituzione pubblica, sia essa un museo o una biennale; altre attraverso una commissione che arriva direttamente da noi. Ciò che conta è che la creatività contemporanea trovi modi per esprimersi e per esistere in quegli spazi cui il pubblico può accedere, ampliando gli orizzonti della nostra conoscenza e il dibattito attorno ai temi del nostro presente. La mia esperienza con istituzioni come il MAXXI a Roma e la Tate Modern a Londra – che la Fondazione sostiene ormai da anni – mi insegnano che il dialogo tra pubblico e privato non soltanto è costruttivo ma che va inserito nel più ampio contesto educativo di cui istituzioni come queste si fanno promotrici.
Images in evolution ENG
© Emilija Škarnulytė
© Masbedo
© Jonathas de Andrade
La presenza di In Between Art Film a Venezia in occasione di Biennale Arte, prima uscita significativa e di altissimo impegno e importanza sulla massima scena del contemporaneo globale. Quale le ragioni di fondo di questa scelta e quali obiettivi vi proponete in termini strategici, di collocazione del vostro percorso nel contesto multiforme che sempre più connota la Biennale? Sin dall’inizio, e intenzionalmente, la Fondazione non si è dotata di una propria sede espositiva perché ho voluto che la sua attività si esplicitasse in relazione a quei contesti artistici in cui il nostro contributo può fare la differenza. Lavoriamo con le immagini in movimento, con quei media “immateriali” che, di volta in volta, si incarnano in spazi e supporti differenti. Abbiamo voluto, dopo i primi due anni di intenso lavoro, avere un’occasione di incontro con il pubblico internazionale che rendesse tangibile il nostro impegno con gli artisti, e ci è sembrato naturale scegliere un contesto così prestigioso come Venezia in occasione della Biennale Arte, la cui lunga storia ha segnato i passaggi più significativi dell’evoluzione dell’arte contemporanea. Mariachiara Marzari
When did you start to get interested in art? Was it a question of instinct, knowledge or cultural disposition? I always lived in a family rich in cultural incitements, my mother was a writer, my father an antiquarian, and I started painting very early. I attended the Academy of Fine Arts and then my career developed in the world of cinema and theater as a set designer and a costume designer. My interest in moving image grew out of my two passions in contemporary art and cinema. I have been dealing with moving image since 2007, first trough the CortoArteCircuito platform, then the production company In Between Art Film, which also dealt with documentaries, arthouse cinema, performance and video-art. Finally in 2019 I created In Between Art Film Foundation whose mission is more focused on specific video-art commissions. Do you consider yourself more a patron or a collector? And why? Surely, I am an art lover and I have been collecting artworks for many years. The word patron does not suit me, although the role of the Foundation I chair is to support artists and put them into contact with the institutions where their works can be best enjoyed. What I’m really interested in is to follow the creative process that we have established with an artist since the first moment, because I think that some important points for reflection on the urgency of our contemporary world can emerge from this exchange and interaction with the artist himself. What characteristics of a work of art or of an artist are more interesting to you? I am always very impressed by the poetics and the gaze of the artist that can take various forms. There are artists who work on extremely strong and radical themes and I’m very interested in their way to manage to filter reality. Then there are artists who approach the same themes in an extremely lyrical and poetic way and they fascinate me because of their ability to tell a drama through moving images. In our first exhibition Penumbra, the eight artists we have commissioned eight video installations to, address themes, poetics and various issues related to working conditions, social conflicts, foreign occupation of a territory, geopolitical and historical turmoil, memory and chaotic flow of visual and sound objects which make up the contemporary fabric. What is the role of a foundation like yours? Can there be a concrete and constructive dialogue between public and private and can such a dialogue be really strategic? Our Foundation was born from the desire to make the artists’ visions possible. Sometimes artists are given this opportunity through the support of a public institution, be it a museum or a biennial, other times through our commission. What matters is that contemporary creativity finds some ways to express itself and to exist in those spaces the public can have access to, broadening both the horizons of our knowledge and the debate around current themes. My experience with institutions such as MAXXI in Rome and Tate Modern in London – institutions that the Foundation has been supporting for years – teaches me that the dialogue between public and private is not only constructive but it must be included in the broader educational context promoted by such institutions. The presence of In Between Art Film in Venice on the occasion of the Biennale Arte marks your first very important and demanding participation on the highest scene of the global contemporary. What are the essential reasons for this choice and what are your strategic goals within the multifaceted context which is characterizing more and more the Biennale? From the very beginning we decided to have no exhibition venue for our Foundation because I wanted to focus its activity on those artistic contexts where our contribution could make the difference. We work with moving image, with those “immaterial” media that take shape each time in different spaces and supports. After the first two years of hard work, we wanted to have the opportunity to meet the international public in order to make our commitment to artists tangible. That’s why we have chosen such a prestigious context such as Venice on the occasion of the Biennale Arte, whose long history has marked the most significant moments in the history of contemporary art.
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incontri OGR TORINO
Nuove grammatiche Intervista Massimo Lapucci Massimo Lapucci, Segretario Generale della Fondazione CRT e Amministratore di OGR – Officine Grandi Riparazioni – il maestoso complesso industriale di fine Ottocento che occupa uno spazio di circa 20.000 metri quadrati a Porta Susa, nel cuore di Torino, riportato a nuova vita come polo culturale, produttivo e gastronomico, dopo un radicale restauro deciso nel 2013 – ha da subito caratterizzato il suo impegno e le competenze di brillante economista con vasta esperienza nei mercati internazionali per rendere lo spazio importante e strategico da un punto di vista produttivo e non solo in quanto mero contenitore di “eventi”, oltretutto riportando margini positivi crescenti. OGR è divenuto in poco tempo un vero e proprio hub della creatività e dell’innovazione, con vari programmi di accelerazione attivi e caratterizzato da una forte vocazione internazionale. Soluzioni ad alto contenuto tecnologico, sostenibilità ambientale, salvaguardia del valore storico, flessibilità degli spazi e accessibilità sono i principi ispiratori del grande intervento di ristrutturazione e recupero delle OGR. L’arte contemporanea nella sua più ampia inclusione di linguaggi e di geografie è il nucleo generativo di questa grande energia condivisa, aperta verso il mondo. Su questa strada si pone la presenza, un ritorno, di OGR a Venezia in occasione dell’attesissima Biennale Arte al Complesso dell’Ospedaletto nel contesto di Ospedaletto CON/temporaneo con un nuovo progetto site-specific commissionato ad hoc: ALLUVIUM del trio di artisti iraniani Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian. Le fondazioni di origine bancaria hanno assunto sempre più il ruolo di dominus nella promozione e diffusione della cultura in forme differenti all’interno dei vari territori. Come è cambiata nel corso degli anni e con la contrazione delle risorse disponibili la scelta delle “politiche culturali” sostenute dalle fondazioni e, soprattutto, verso quale modello di sostegno saranno rivolte negli anni a venire? È vero: a fronte della progressiva contrazione dei finanziamenti pubblici – non solo in Italia – la sopravvivenza stessa di gran parte delle istituzioni culturali sul territorio dipende oramai dalle fondazioni. Tuttavia, se penso in particolare alla Fondazione CRT, il suo ruolo si è evoluto nel tempo anche in quest’ambito, passando dalla mera erogazione di risorse economiche alla costruzione proattiva di progetti insieme ai player del territorio, nazionali e globali, focalizzando priorità, obiettivi di medio-lungo periodo, impatto concreto delle iniziative sulle dinamiche locali e favorendo il più possibile connessioni con esperienze e progettualità nazionali e internazionali. Sebbene gli investimenti filantropici nella cultura siano quanto mai strategici per innescare meccanismi virtuosi di crescita e sviluppo dopo la pandemia, va detto che oggi il contributo delle fondazioni va ben oltre il mero financial support per includere invece altri elementi determinanti, come il capacity building – in primis nel fundraising – e la costruzione di reti di collaborazione e relazione. Nell’individuazione delle progettualità volte al recupero del patrimonio artistico, ad esempio, puntiamo a massimizzare la fruizione e valorizzazione dei beni e la restituzione di conoscenza al pubblico anche tramite l’applicazione delle nuove tecnologie, con soluzioni inclusive divenute vere e proprie best practice a livello europeo; in ambito espositivo guardiamo con grande interesse alle sperimentazioni che 28
Photo Giorgio Perottino © Getty Images
mixano creatività, innovazione e tech, in linea con uno dei megatrend internazionali. Una strategia che coinvolge, in primis, il progetto OGR, come luogo dedicato all’innovazione e alle contaminazioni culturali contemporanee. OGR Torino tra contemporaneo e futuro. Parola d’ordine: sperimentazione e museo ibrido. Come le due anime, arte e tech, sapranno sempre più fondersi al fine di creare e offrire cultura sostenibile? Aggiungerei un’altra parola-chiave: connessioni. Attivare sinergie e collaborazioni internazionali, sperimentare e innovare con coraggio, costruire progettualità inedite capaci di innescare nuove narrazioni e reali prospettive di cambiamento nel segno della sostenibilità sociale, ambientale e culturale sono gli elementi distintivi della nostra visione delle OGR Torino. Più che di fusione, parlerei quindi di contaminazione tra le due anime arte e tech: una sfida originale che portiamo avanti sin dal 2017 facendo dialogare questi due mondi tradizionalmente di fatto separati nelle loro rispettive dinamiche di sviluppo. Investiamo in progetti “transdisciplinari” che valorizzino le peculiarità dell’ambito culturale e tecnologico, in linea con una tendenza globale ben rappresentata dall’iniziativa STARTS (Science + Technology + Arts) lanciata dalla Commissione europea. Va in questa direzione il primo videogioco prodotto da OGR, Now/Here, commissionato e ideato dall’artista Patrick Tuttofuoco in collaborazione con MixedBag, azienda residente in OGR Tech. A partire dall’installazione ambientale Tutto infinito, firmata da Tuttofuoco per l’evento inaugurale delle OGR, il videogioco crea un mix ideale tra arte, gaming e processi educativi e formativi all’insegna della piena inclusione e dell’accessibilità: alla base vi è l’esplorazione di un universo altro, che si interseca con l’evoluzione del personaggio e, dunque, del giocatore. Ha un modello di riferimento a riguardo? Esistono in Europa diverse realtà che incrociano ricerca e innovazione negli ambiti della cultura e della tecnologia. Le osserviamo con attenzione, specialmente quelle che, come OGR, progettano e lavorano con questo mix di ingredienti e con modalità di intervento innovative. Fin dalla nascita delle OGR, resa possibile dal grande intervento di ri-
Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian - Photo Michele D’Ottavio
qualificazione e rifunzionalizzazione messo in campo dalla Fondazione CRT, ci siamo ispirati agli approcci più recenti dell’impact investing per generare un impatto sociale e ambientale positivo ed equo, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, del NextGenerationEU e del PNRR. Oggi nell’ecosistema di OGR la Fondazione CRT continua a sperimentare missioni contemporanee coerenti con questa visione. OGR offre progetti che fondono i linguaggi delle arti e della cultura contemporanea trasformandoli in creazioni interdisciplinari capaci di indagare nuovi territori del nostro vivere, in grado di andare oltre la “comfort zone” del mero mostrare. Che cosa pensa di fenomeni come l’arte digitale, gli NFT, espressioni di nuove visioni e modalità attraverso le quali disegnare l’evoluzione dell’arte? Con il boom dei Non Fungible Token e della tecnologia blockchain l’arte digitale si è imposta sulla scena internazionale; non solo sul mercato globale del collezionismo, ma lanciando nuove sfide agli artisti, ai professionisti del settore, al pubblico. Fondazione CRT, anche tramite i propri enti strumentali, guarda con attenzione a questa nuova fase dell’arte digitale che potrebbe contribuire in modo significativo a valorizzare ulteriormente il processo e il lavoro di value creation svolto dalle OGR in ottica Paese. Digital Art, Crypto Art e New Media Art sono un’occasione per coinvolgere attivamente i più giovani e avvicinare pubblici sempre più ampi ai linguaggi della contemporaneità nati dal connubio tra i mondi dell’arte e delle tecnologie digitali. Quest’anno gli NFT sono stati protagonisti dell’OGR Award, promosso da Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT e Artissima. L’assegnazione del premio si è svolta proprio alle OGR, dove esploriamo le nuove frontiere della blockchain e dove dal 2021, in partnership con l’Associazione Italia4Blockchain, organizziamo incontri dedicati alle applicazioni di questa nuova tecnologia in diversi ambiti, dall’identità digitale alla DeFi (la cosiddetta finanza decentralizzata), al Metaverso. L’obiettivo è favorire un racconto semplice e aperto a tutti, che possa creare un network di esperti e al contempo un pubblico sempre più ampio e consapevole. OGR torna a Venezia confermando, dopo il successo del 2019, l’impegno e la volontà di raccontare la propria missione anche fuori Torino e in contesti internazionali di rilievo. Quali gli obiettivi prioritari che intendete perseguire confermando la vostra presenza nel contesto della Biennale Arte? A Venezia, luogo simbolo da sempre di un crocevia culturale cosmo-
polita, si esprime perfettamente la vocazione delle OGR Torino, nate con l’obiettivo di valorizzare idee, eccellenze e talenti in una dimensione internazionale. Dal 2017 a oggi, a partire dalla visione delineata e realizzata da Fondazione CRT, abbiamo lavorato per essere una piattaforma di incontro e sperimentazione aperta a tutti, in cui esplorare prospettive inedite sulla cultura contemporanea e l’innovazione. Le radici sono saldamente ancorate sul territorio, ma la funzione è di bridging con il resto del mondo, attraverso collaborazioni con partner di eccellenza internazionale, sia in ambito culturale sia in ambito tech e innovation. Portare le OGR a Venezia, città testimone di scambi tra popoli e culture, significa portare la contemporaneità e il dialogo in una dimensione globale. ALLUVIUM di Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian è il progetto site-specific pensato da OGR per gli spazi del Complesso dell’Ospedaletto. Perché la scelta di questo progetto e quali temi sviluppa? Il legame con Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian nasce nel 2017, quando a Rokni Haerizadeh è stato assegnato il primo OGR Award in occasione di Artissima e alcuni suoi disegni sono entrati a far parte della collezione della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT. Nel 2018 abbiamo organizzato la mostra Forgive me, distant wars, for bringing flowers home per presentare al pubblico la pratica collaborativa del collettivo. Abbiamo deciso di proseguire la collaborazione in occasione della Biennale Arte 2022, dando agli artisti la possibilità di esporre per la prima volta il loro lavoro a Venezia, sostenendo dunque una pratica artistica e creativa attraverso una nuova produzione pensata per gli spazi del Complesso dell’Ospedaletto. Presentiamo infatti un progetto ad hoc, site-responsive, come amiamo definirlo: le opere del trio sono una sovrapposizione di livelli e significati capace di entrare in risonanza con la città che li accoglierà. Venezia, infatti, per l’unicità della propria configurazione richiama da sempre la pratica dell’arte e del genio umano: sviluppata su più livelli a partire dalle palafitte che hanno reso edificabile le isole della laguna, è cresciuta su sé stessa, in un palinsesto di restauri e costruzioni, nuove estetiche e contributi di diversi popoli, che hanno portato a una stratificazione fisica della città e a una sedimentazione culturale continua. Ritroviamo un simile modello nelle opere dei tre artisti, frutto di una rielaborazione di immagini tratte dalle news e dalla storia attraverso dipinti e collage che creano una contronarrazione dei nostri tempi. Il tutto grazie a una pratica artistica fondata sul dialogo e la co-produzione. I loro lavori sono infatti realizzati con il supporto di molteplici interlocutori, artisti e artigiani, e danno vita a un universo visivo che unisce voci diverse, dalle influenze delle tradizioni mediorientali a un immaginario contemporaneo senza confini. Le OGR si confermano dunque un luogo di sperimentazione in continua evoluzione, radicato nella città di Torino, ma aperto al mondo. Un’officina in cui il genio artistico può acquisire forma ed espressione con progetti di rilevanza internazionale. Fabio Marzari ogrtorino.it
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incontri
COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM
Reincantare l’universo Intervista Gražina Subelytė Peggy Guggenheim alla fine degli anni Trenta del Novecento è considerata una delle collezioniste più vivaci del Surrealismo. È in quegli anni che la mecenate acquisisce familiarità con il movimento divenendo presto intima amica di Ernst e Breton. Dal 9 aprile a Palazzo Venier dei Leoni oltre venti artisti e circa sessanta opere formano il corpus della mostra Surrealismo e magia. La modernità incantata, il cui cuore pulsante è costituito dal superbo patrimonio di opere surrealiste della Collezione Peggy Guggenheim: dalla pittura metafisica di Giorgio de Chirico, datata intorno al 1915, a dipinti iconici come La vestizione della sposa (1940) di Max Ernst e Gli amanti (1947) di Victor Brauner, al simbolismo occulto delle ultime opere di Leonora Carrington e Remedios Varo. A curare la mostra e a guidarci alla scoperta delle suggestioni alchemiche, magiche e occulte dei surrealisti, tema parallelamente indagato anche da Cecilia Alemani nel suo Il latte dei sogni per Biennale Arte 2022, è Gražina Subelytė. Di origine lituana, ha studiato in Germania conseguendo la laurea in Storia dell’arte moderna e contemporanea, oltre che in Scienze politiche. Dopo un master a Londra arriva alla Collezione Peggy Guggenheim per uno stage di due mesi nell’autunno del 2007. Da quel momento si dedica allo studio della Collezione, divenendo prima assistente del curatore e ora curatore associato. Peggy Guggenheim fu tra i primi collezionisti e promotori dell’arte surrealista. Dal punto di vista storico-artistico come nasce e come si sviluppa questa peculiare predilezione di Peggy e come si concilia con il parallelo interesse per l’arte astratta? L’interesse di Peggy per il Surrealismo ha origine dal suo arrivo a Parigi all’inizio degli anni Venti del Novecento. Grazie al primo marito, l’artista dada Laurence Vail, conosce molti scrittori e pittori appartenenti a questo movimento, tra cui Marcel Duchamp. Lo stesso Duchamp la guida alla scoperta dell’arte moderna e le insegna la differenza tra quest’ultima e l’arte astratta. Sono due mondi che si compenetrano e dialogano tra loro; all’interno dell’arte surrealista possiamo trovare sfumature di astrattismo. Nel 1938 Peggy apre la galleria londinese Guggenheim Jeune e la sua prima mostra di arte surrealista è dedicata all’artista danese Rita KernnLarsen. Con lo scoppio della Seconda Guerra mondiale torna negli Stati Uniti, aiutando il fondatore del movimento surrealista, André Breton, a fuggire dall’Europa con la famiglia, e così farà anche con Max Ernst. Come afferma nella sua autobiografia, quando era ancora in Europa all’inizio della guerra acquista praticamente un quadro al giorno, dando così un grande contributo al Surrealismo e ai suoi interpreti di poter sopravvivere durante il conflitto mondiale. Nell’ottobre del 1942 Peggy apre la galleria-museo Art of This Century a New York. Qui espone la sua collezione permanente e organizza mostre temporanee dedicate a numerosi artisti, tra cui Wolfgang Paalen, di cui troviamo un’opera in mostra. È interessante notare che se la guerra aveva prodotto un tremendo senso di separazione, la galleria di Peggy, progettata dall’architetto Frederick Kiesler, creava un’unità Surrealismo e magia. La modernità incantata 9 aprile-26 settembre Collezione Peggy Guggenheim, Dorsoduro 701 guggenheim-venice.it
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Photo Matteo De Fina
Leonora Carrington, The Pleasures of Dagobert, 1945 Private Collection © Leonora Carrington, by SIAE 2022
sinestetica: nella sala surrealista in particolare la luce si accendeva e spegneva a intermittenza e a ciò si aggiungeva il suono dei treni che passavano; le opere erano inoltre esposte senza cornici. Un allestimento assolutamente magico. L’arrivo di Peggy a Venezia coincide con l’esposizione della sua Collezione in occasione della Biennale del 1948 e l’interesse per l’arte astratta e surrealista ritorna nella mostra all’interno del Padiglione greco. L’imparzialità verso queste due tendenze ha segnato la sua vita come collezionista e, ancora oggi, nelle sale del museo si mantiene viva. Il suo interesse per il Surrealismo ha radici lontane. Oltre alle mostre, anche già la tesi di dottorato che svolge al Courtauld Institute esplora il legame del movimento con la magia e l’occulto, in particolare per quel che concerne la produzione di Kurt Seligmann. Come si relazionano artisticamente questi mondi tra loro? Il mio interesse per Kurt Seligmann, un esperto della magia, è legato alla Collezione di Peggy Guggenheim. Come curatrice ho speso molto tempo anche nel nostro deposito, dove si trova un disegno di Seligmann. L’‘incontro’ mi ha fortemente motivato ad approfondirne lo studio di un’opera che era poco nota ai più. Sono poi andata negli Stati Uniti per un altro progetto; ero vicina a New York, dove l’artista aveva il suo studio: un segno? Chissà… Seligmann fu il primo artista europeo a emigrare negli USA allo scoppio della guerra, nel settembre 1939. Parlava inglese e aiutò i suoi colleghi surrealisti a ottenere i documenti per entrare negli Stati Uniti. L’artista si era interessato alla magia sin da piccolo, leggendo i libri del medico-alchimista svizzero Paracelso e poi i testi di Emile Grillot de Givry. Lo studio di Seligmann in materia culmina in una ampia ed erudita monografia, oggi un classico dell’occulto, Lo specchio della magia. Storia della magia nel mondo occidentale,
Re-enchanting the universe
ENG
At the end of the 1930’s Peggy Guggenheim is considered one of the liveliest collectors of Surrealism. In these years she became familiar with this movement and soon became a close friend to Ernst and Breton. From 9th April at Palazzo Venier dei Leoni over twenty artists and about sixty works form the corpus of the exhibition Surrealism and magic. Enchanted modernity. It is mainly based on the world-class Surrealist holdings of the Peggy Guggenheim Collection, from the metaphysical paintings by Giorgio de Chirico, dated around 1915, to iconic paintings such as The Attirement of the Bride (1940) by Max Ernst and The Lovers (1947) by Victor Brauner, to the occult symbolism of Leonora Carrington’s and Remedios Varo’s works. Gražina Subelyté, the curator of the exhibition, guides us through the discovery of the alchemical, magical and occult surrealists’ suggestions, a topic which is thoroughly investigated also by Cecilia Alemani, curator of the Biennale Arte 2022 The Milk of Dreams. Subelyté, of Lithuanian origins, graduated in History of Modern and Contemporary Art as well as in Political Science in Germany. After a master’s degree in London, in autumn 2007 she completed a two-month internship at the Peggy Guggenheim Collection. From that moment onwards, she has dedicated herself to the study of the Collection, becoming first assistant to the curator and now associate curator.
pubblicata nel 1948. Il ruolo della magia per Seligmann, e in generale per tutti i surrealisti, divenne essenziale allo scoppio delle ostilità. Loro credevano che il razionalismo non avesse portato niente se non sterminio e dolore; il progresso con la sua logica per così dire meccanica si era rivelato a loro avviso fallimentare. Il concetto di libertà spirituale diventa quindi elemento fondamentale nell’universo surrealista, un mondo in cui il concetto di limite non è in alcun modo contemplato: l’idea tradizionale di famiglia, l’istituzione ecclesiastica, le scelte sociopolitiche non possono frenare la mente umana. Probabilmente questa ricerca di libertà è anche uno dei motivi principali per cui molte donne aderirono al Surrealismo. I surrealisti volevano reincantare l’universo. Il loro obiettivo era cambiare il mondo e creare un nuovo uomo attraverso nuovi canali di scoperta dell’universo e delle sue dinamiche occulte. Attraverso l’arte desideravano affrontare le paure primordiali dell’umanità e superarle; un processo catartico che si realizza in uno stato di “surrealtà”, come lo definiva Breton all’interno del Manifesto surrealista (1924), che è in grado di oltrepassare le numerose opposizioni concettuali presenti nella nostra vita. Come disse Arturo Schwarz, la volontà del Surrealismo è di conoscere sé stessi per poter cambiare la realtà che ci circonda. È una via di guarigione. Si tratta di una riflessione che trovo estremamente attuale in un periodo di guerra, pandemia, crisi ambientale e sociale. Le surréalisme c’est chic? Come spiega il ritorno di interesse verso questo movimento che ultimamente caratterizza in modo sensibile su scala internazionale, sia come filosofia che come estetica, il mondo dell’arte contemporanea? Quando a Remedios Varo fu chiesto se il Surrealismo fosse in declino lei rispose: «non credo che possa mai andare in declino
Peggy Guggenheim was among the first collectors and promoters of surrealist art. From a historical and artistic point of view, how did this peculiar predilection of Peggy start and develop and how did it combine with her parallel interest in abstract art? Peggy’s interest in Surrealism starts from her arrival in Paris in the early 1920’s. Thanks to her first husband, the dada artist Laurence Vail, she met many writers and painters belonging to this movement, including Marcel Duchamp. Duchamp himself guides her into the discovery of modern art and teaches her the difference between modern and abstract art. They are two worlds that interpenetrate and dialogue with each other; within surrealist art we can find shades of abstractionism. In 1938 Peggy opened the London gallery Guggenheim Jeune. Her first exhibition of surrealist art was dedicated to the Danish artist Rita Kernn-Larsen. With the outbreak of the World War II she went back to the United States, helping the founder of the surrealist movement, André Breton, to escape from Europe with his family, and so she did with Max Ernst. As she states in her autobiography, when she was still in Europe at the beginning of the war, she used to buy one painting a day, thus helping Surrealism and its interpreters to be able to survive during the World War. In October 1942 Peggy opened the Art of This Century gallery-museum in New York. Here she exhibits her permanent collection and organizes temporary exhibitions dedicated to a lot of artists, including Wolfgang Paalen who is present in the exhibition with one of his works. Interestingly, if the war had produced a terrible feeling of separation, Peggy’s gallery designed by architect Frederick Kiesler, was able to create a synesthetic unity. In the surrealist hall the light would turn on and off intermittently accompanied by the sound of passing-by trains and the works were displayed without frames. An absolutely magical set-up. Peggy’s arrival in Venice occurred together with the exhibition of her Collection at the 1948 Biennale. That year also the Greek Pavilion showed a great interest in abstract and surrealist art.
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incontri GRAŽINA SUBELY TĖ
nella sua essenza dato che è inerente all’umanità». È un movimento senza tempo; ne è dimostrazione eloquente questa Biennale curata da Cecilia Alemani, dove è messo in relazione con i linguaggi più contemporanei. Lo stesso Arturo Schwarz, nella sua Biennale del 1986, aveva trattato il rapporto tra arte e alchimia. Credo che il Surrealismo sia always in fashion non solo nello stretto dettato artistico, ma anche nella moda in quanto tale proprio. Maison come Dior o Schiaparelli, per esempio, hanno creativamente affrontato questo tema. Quanta cultura classica, medievale, rinascimentale e femminista alberga all’interno di questo movimento cruciale del Novecento? L’arte medievale e rinascimentale è molto importante per i surrealisti. André Breton nel 1957 pubblica L’art magique, in cui traccia le origini magiche dell’arte dall’antichità ai suoi tempi. È un movimento, il Surrealismo, che si ispira molto anche al Romanticismo e al Simbolismo, sia in qualità di corrente artistica che letteraria. Le poesie di un Charles Baudelaire influenzano non poco idee ed espressività di questa avanguardia. Rispetto all’emancipazione femminile, quindi all’attenzione per le istanze protofemministe, è importante tenere a mente sempre Breton con Arcano 17 del 1944. Il titolo si riferisce alla diciassettesima carta dei tarocchi, La Stella, che porta ottimismo e rinnovamento ed è associata a un senso di speranza e rinascita. Dal libro di Breton si evince come i surrealisti rifiutassero un modello di comportamento maschilista: «è giunta l’ora di far valere le idee della donna a scapito delle idee dell’uomo, di cui vediamo consumarsi oggi il tumultuoso fallimento». La donna è intesa, dunque, non come mera musa ispiratrice, bensì nel ruolo attivo di depositaria della possibilità di cambiare un mondo dilaniato dalla guerra. A così avanzati e alti propositi seguirono fatti poi. Per esempio come non ricordare l’aiuto concreto, partecipato che Max Ernst diede a colleghe come Leonor Fini e Leonora Carrington nella costruzione dei loro importanti percorsi, nella loro carriera? In molte opere le artiste surrealiste cercavano di rivendicare la loro identità negata dalla società, che è uno dei temi principali che esploreremo in questa esposizione, un progetto animato da donne emancipate, amazzoni forti ed esoteriche. Entriamo ora in mostra. Quali linee-guida ha seguito nella costruzione del percorso espositivo e come i visitatori saranno posti in relazione con gli artisti coinvolti? Abbiamo lavorato a questa mostra intensamente per quattro anni, riuscendo ad ottenere prestiti da tutto il mondo. Surrealismo e magia. La modernità incantata si dispiega nelle tredici sale adibite alle esposizioni temporanee della Collezione Guggenheim per poi essere presentata anche al Museo Barberini di Potsdam, sotto la curatela di Daniel Zamani. La mostra procede seguendo un fil-rouge cronologico e le opere sono organizzate tematicamente, con alcuni focus su specifici artisti. Dalle opere di de Chirico, con il suo importante quadro Il cervello del bambino, alle Jeu de Marseille, i tarocchi creati dagli stessi surrealisti, continuando con il Goethe di André Masson. Si procede poi con temi come l’androginia, l’alchimia e i suoi tratti totemici, unità cosmica e analogie infinite, per poi affrontare la donna come essere magico, a cui sono dedicate tre sale della mostra. Qui ho voluto creare un confronto visivo tra opere surrealiste realizzate da donne e da uomini, evidenziando come la percezione della femminilità cambi a seconda dell’artista che le realizza. 32
Leonor Fini, Chthonian Divinity Watching Over the Sleep of a Young Man, 1946 Rowland Weinstein, Weinstein Gallery, San Francisco © Leonor Fini, by SIAE 2022
I focus della mostra sono dedicati a Leonora Carrington, Leonor Fini, Remedios Varo, Max Ernst e Kurt Seligmann. L’ultima sala tratta delle caratteristiche cosmiche, di una quarta dimensione che alberga nelle opere di Yves Tanguy, Kay Sage, Oscar Dominguez, Salvador Dalí, Roberto Matta e Wolfgang Paalen. Quale Maestro e opera funge da fulcro e manifesto della mostra stessa? Peggy rappresenta la mia prima ispirazione per questo progetto curatoriale. Alla sua Collezione appartiene La vestizione della sposa di Max Ernst, il quale dipinge la donna amata, Leonora Carrington, come una specie di strega, un’entità molto intensa e misteriosa. Ernst ebbe un’intensa e travagliata storia d’amore con la Carrington, interrotta a causa della guerra; successivamente sposò Peggy Guggenheim, che era a conoscenza del forte legame rimasto tra i due. Per la prima volta in una mostra mettiamo a confronto quest’opera con il ritratto che Carrington fa di Ernst. I surrealisti, mentre attendevano di lasciare l’Europa alla volta degli Stati Uniti, rifugiatisi a Marsiglia, organizzavano delle aste domenicali nella Villa Air-Bel: i due dipinti sono stati fotografati lì assieme. Dopo essere stati separati per circa ottant’anni, si ritrovano nuovamente a dialogare qui, in questa nostra mostra. Cosa intende quando definisce il Surrealismo “una vera filosofia di vita”? Il Surrealismo è una specie di rivoluzione, un ribellarsi pacificamente. È una filosofia di vita che sceglie di approcciarsi al mondo positivamente per rinnovarlo a partire dalla conoscenza di sé stessi. Credo che ognuno di noi possa trarvi ispirazione rispetto all’attualità che stiamo vivendo. Il Surrealismo è un eterno ritorno; le opere possono essere complesse a primo impatto, ma ci educano a decodificare la realtà, i nostri sentimenti e le nostre paure, come quando ci risvegliamo da un sogno. Federico Jonathan Cusin
limit is not accepted. The traditional idea of family, ecclesiastical institutions, socio-political choices cannot hinder our mind. Probably this search for freedom is also one of the main reasons why many women joined Surrealism. The Surrealists wanted to re-enchant the universe. Their goal was to change the world and create a new man experimenting new paths to the discovery of universe and its occult dynamics. To them art was a way to face the primordial fears of humanity and to overcome them; a sort of cathartic process that takes place in a state of “surreality”, as Breton defined it in his The Surrealist Manifesto (1924), which is able to overcome the numerous conceptual oppositions present in our lives. As Arturo Schwarz said, Surrealism wants us to know ourselves in order to change the world surrounding us. It is a way to heal our souls. According to me such a consideration turns to be highly topical today, in a society interested by war, pandemic, environmental and social crisis.
Her impartiality towards these two trends characterized her life as a collector and, even today, it is still present in the rooms of Peggy Guggenheim Collection. Your interest in Surrealism goes back to your past as a student. In fact, your doctoral dissertation at the Courtauld Institute also explores the Surrealist movement link to the magic and the occult, with a particular regard to Kurt Seligmann’s works. How do these worlds relate artistically to each other? My interest in Kurt Seligmann, an expert in magic, is related to the Peggy Guggenheim Collection. As a curator I also spent a lot of time in our warehouse, where I had the opportunity to see a drawing by Seligmann. This ‘discovery’ strongly pushed me to an in-depth study of a work which was almost unknown. I then went to the United States for another project; I lived near New York, where the artist had his studio: a sign? Perhaps... Seligmann was the first European artist to emigrate to the USA at the outbreak of war in September 1939. He could speak English and helped many other surrealist artists to get the papers for the United States. The artist had been interested in magic since he was a child. He spent most of his childhood reading the books by the Swiss doctor-alchemist Paracelsus as well Emile Grillot de Givry’s works. The result of Seligmann’s in-depth study of this subject is a comprehensive and scholarly monograph, today a classic of the occult, The Mirror of Magic: A History of Magic in the Western World, published in 1948. For Seligmann, and for all surrealists in general, magic started to play an essential role at the outbreak of hostilities. They believed that rationalism had brought about only extermination and pain. According to them progress with its mechanical logic had proved to be a failure. The concept of spiritual freedom thus becomes a fundamental element in the surrealist universe, where the idea of
Let’s now speak about the exhibition itself. Which guidelines did you follow in planning your exhibition itinerary and how will visitors be placed in relation with the artists involved? We worked very hard on this exhibition for four years, managing to obtain loans from all over the world. Surrealism and magic. Enchanted modernity unfolds in the thirteen rooms dedicated to temporary exhibitions of the Guggenheim Collection. After the Venetian venue they will be exhibited at the Barberini Museum in Potsdam, under Daniel Zamani’s curatorship. The exhibition follows a chronological fil-rouge. The works are organized thematically and some of them focus on specific artists. From the works of de Chirico, with his important painting The Child’s Brain, to the Jeu de Marseille, the tarot created by the surrealists themselves, to the Goethe by André Masson. The exhibition goes on focusing on topics such as androgyny, alchemy and its totemic aspects, cosmic unity and infinite analogies until dealing with the subject of woman seen as a magical being. Three rooms of the exhibition are dedicated to this last topic. My aim here is to make a visual comparison between surrealist works by women and men, highlighting the difference in their perception of femininity. The exhibition focuses in particular on Leonora Carrington, Leonor Fini, Remedios Varo, Max Ernst and Kurt Seligmann. The last room deals with the cosmic features, a fourth dimension that dwells in the works of Yves Tanguy, Kay Sage, Oscar Dominguez, Salvador Dalí, Roberto Matta and Wolfgang Paalen. Which Master and work can be considered as the key element and manifesto of the exhibition itself? Peggy is my first inspiration for this curatorial project. Attirement of the Bride by Max Ernst comes straight from her Collection. Here the artist paints his beloved, Leonora Carrington, as a kind of witch, a very intense and mysterious entity. Ernst had a passionate and troubled love affair with Carrington, interrupted by the war. He later married Peggy Guggenheim, who was aware of the strong relationship still existing between the two artists. For the first time in an exhibition we compare this work with Carrington’s portrait of Ernst. Surrealist painters, who fled to Marseille while waiting to leave Europe for the United States, used to organize Sunday auctions at Villa Air-Bel: it was here that the two paintings were photographed together. After a separation of about eighty years, the two paintings are speaking again to each other in our exhibition.
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incontri REGISTA TEATRALE
Azione, emozioni Intervista Damiano Michieletto Damiano Michieletto è uno dei maggiori talenti del teatro lirico e di prosa nel mondo. Veneziano, è emerso sulla scena internazionale giovanissimo, dopo aver studiato opera e produzione teatrale alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano ed essersi laureato in Lettere moderne a Ca’ Foscari. Presenza fissa nei più importanti teatri italiani - dalla Fenice all’Opera di Roma al Massimo di Palermo - e nei grandi festival, come il Rossini Opera Festival, il Festival di Salisburgo o il Festival di Glyndebourne, è uno dei pochi registi italiani a conseguire costanti successi all’estero, allestendo grandi spettacoli in teatri come l’Opera House di Londra, l’Opéra di Parigi, il Liceu di Barcellona, il New National Theatre di Tokyo, il Royal Opera di Copenhagen, il Theater an der Wien, il Bol’šoj di Mosca, per cui ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti, tra questi l’Irish Times ESB Theatre Award e il Premio Franco Abbiati. Oltre all’intensa attività nel teatro lirico, Michieletto è attivissimo anche nel teatro di prosa, dove si è cimentato con autori come Goldoni, Gogol, Brecht, Kurt Weill. È di pochi mesi fa il suo esordio cinematografico per il film-opera Gianni Schicchi, andato in onda su Rai Uno, ispirato alla celebre opera di Puccini. Lo scorso febbraio è tornato alla Fenice con un’opera commissionata dallo stesso Teatro, Le baruffe, dove - in un libero adattamento della famosa commedia goldoniana - oltre alla regia si è anche occupato del libretto con Giorgio Battistelli, che ne ha composto poi la musica. Troviamo ora di nuovo Venezia nell’agenda del regista, segnatamente Forte Marghera, dove fino al 5 giugno trova spazio il suo progetto Archèus, prodotto in collaborazione con l’ASAC - Archivio Storico della Biennale di Venezia e con il Teatro La Fenice: un’installazione multidisciplinare del laboratorio creativo Oφcina ispirata all’attività delle botteghe rinascimentali, per volere del regista insieme a Paolo Fantin, Alessandro Carletti e Matteo Perin. Per il visitatore si tratta di un percorso di scoperta e mutamento, sorta di labirinto composto da un tunnel buio e cinque stanze da scoprire, immersi in una colonna sonora tratta da Il flauto magico di Mozart. Come si è avvicinato alla regia? Mi sono avvicinato alla regia senza avere le idee molto chiare, almeno all’inizio, forse anche un po’ per noia. Non avendo le idee chiare e non conoscendo nessuno in famiglia o tra gli amici che operasse nel mondo del teatro e della musica ho dovuto trovare autonomamente gli strumenti per poter essere preparato e potermi formare in questo lavoro. La cosa più importante è stata di sicuro la decisione di andare a Milano per frequentare una Scuola Nazionale che in qualche modo potesse farmi vivere un’esperienza assieme a tanti miei coetanei che avevano lo stesso sogno e la stessa ambizione. Quindi tutto è nato un po’ per caso, mentre frequentavo la facoltà di Lettere a Venezia: da una parte portavo avanti il percorso di laurea con l’idea di fare l’insegnate o il giornalista, dall’altra c’era la voglia di comunicare, di divertirmi e divertire. Quali sono i talenti indispensabili per un bravo regista? Penso che serva avere una forte chiarezza nelle proprie intenzioni, unita alla capacità di comunicarle al pubblico. Non guasta di sicuro una forte dose di entusiasmo, di divertimento nel lavoro, perché questo 34
© Stefano Guindani
è sempre un aspetto molto coinvolgente secondo me. L’energia che si mette durante le prove, la determinazione con la quale si persegue un’idea, contribuiscono moltissimo al risultato finale. E poi la capacità di costruire attorno a sé un gruppo di lavoro efficace, in modo da trasmettere la propria passione e le proprie idee a tutto il cast. Quanto c’è di autobiografico nelle sue regie? Direi che non c’è nulla di autobiografico o che riguardi la mia vita personale e privata nei miei allestimenti, no. Vi è invece certamente una lettura, un’interpretazione espressioni del mio sguardo, del modo in cui penso sia giusto utilizzare un palcoscenico per raccontare una storia. Chi considera il padre indiscusso del teatro italiano? Giorgio Strehler, senza se e senza ma. Ha costruito insieme a Paolo Grassi il primo teatro pubblico italiano del dopoguerra, formando attraverso la sua scuola tutta una serie di attori che hanno costituito il nucleo portante del Piccolo Teatro. È senza dubbio la figura, sia dal punto di vista artistico che istituzionale, che ha caratterizzato più fortemente il teatro italiano, rendendolo famoso a livello planetario. Non teme possa essere un po’ rischioso voler sempre stupire, provocare e ‘scandalizzare’ un pubblico tradizionalmente conservatore come quello dell’opera? Non avverte il rischio di poter alla lunga risultare all’opposto quasi prevedibile, di poter scadere nella banalità? Il rischio di scadere nella banalità c’è sempre, per chiunque. Nel mio ambito lo si può eludere solo partendo ogni volta da zero ed essendo disposti a fare un percorso totale di scoperta dell’opera che si deve
La mia più grande soddisfazione esistenziale sarebbe quella di contribuire concretamente ad associare l’idea di Venezia non sempre e soltanto al suo immenso e incombente passato, ai suoi impareggiabili monumenti, quanto alle persone che la abitano ogni giorno
raccontare. Altra sfida, per me, è fare in modo che anche i miei collaboratori siano disposti ad intraprendere un percorso di questo tipo, che non ci siano stanchezza o cliché nell’approccio all’opera. Nel mio modo di raccontare le storie è forte il desiderio di vederle al di là di alcuni stereotipi con cui di solito vengono rappresentate, provando a leggerle dal mio personalissimo punto di vista e soprattutto cercando di usare al meglio il linguaggio teatrale di oggi. Il modo in cui oggi si recita sul palcoscenico, con cui si usano le tecnologie, attraverso il quale si reinterpretano le storie è chiaramente diverso dal passato. Basta vedere delle fotografie di allestimenti del passato non troppo recente per capire quanto si sia trasformato questo mondo, soprattutto nell’ottica di interpretazione delle storie da mettere in scena. Non mi propongo mai di “fare qualcosa di scandaloso o originale”; cerco piuttosto di trovare un’onestà nel raccontare queste storie al di là dell’ambientazione tradizionale o del gusto estetico tradizionale attraverso i quali, in particolare in Italia, si interpreta l’opera lirica. Che cosa le piacerebbe che il pubblico riuscisse a cogliere del suo modo di fare regia, del suo processo creativo? A me piacerebbe che il pubblico uscisse sempre dal teatro con un senso di entusiasmo, con la sensazione di essere stato spettatore di un qualche cosa di vitale e di fisico, dall’intenso impatto emozionale. Penso che la strada da percorrere per il teatro sia questa: fare qualcosa che ti dia un’emozione forte, derivante da visione ed ascolto. Puntare molto sulla fisicità dell’atto teatrale secondo me rende il teatro un’esperienza bella, importante. In definitiva, vorrei riuscire a trasmettere entusiasmo e una partecipazione non passiva, non intellettuale, non didascalica. Cerco sempre un coinvolgimento profondo e autentico nello spettatore, qualunque sia la natura dello spettacolo che vado a realizzare.
All’ultimo Torino Film Festival ha debuttato il suo Gianni Schicchi, per il quale ha detto di essersi ispirato a Mario Monicelli. Come descriverebbe questa esperienza? L’esperienza della lavorazione per Gianni Schicchi è stata molto bella, divertente, direi formativa. Ho imparato un sacco di cose che non sapevo fare prima; ho avuto la fortuna di potermi confrontare con delle specificità settoriali che non avevo incontrato finora nel mio percorso professionale. Staremo a vedere ora se e come riuscirò a proseguire eventualmente in questo percorso. Monicelli è stata una figura di ispirazione forte perché considero Gianni Schicchi un po’ affine a una commedia all’italiana. Penso sia questo il libretto d’opera meglio costruito tra tutti quelli scritti nel secolo scorso. Un testo inedito, non tratto da una scrittura teatrale o da un romanzo, ispirato ad un personaggio che Dante aveva nominato e inserito nell’Inferno. Non esisteva nulla di questo personaggio se non questa breve traccia; ebbene, Forzano inventa un atto unico comico che per me è semplicemente perfetto a livello di versificazione, di trama, di sviluppo dei personaggi. Mi spingo a dire, senza timore alcuno, che si tratta di un capolavoro con ben pochi rivali,. Opera, teatro, cinema… La sua è davvero una disposizione eclettica verso i diversi linguaggi e formati del fare spettacolo. Le manca solo la televisione. L’attrae quel mondo? Riuscire a creare un format televisivo è una cosa molto affascinante e per nulla facile se lo si fa con ambizione. E quindi sicuramente la sfida di trovare un modo di comunicare a un pubblico molto ampio è qualche cosa che mi incuriosisce e che mi piacerebbe sviluppare. Per ora mi sono limitato a realizzare un programma per Rai 5 che si chiamava Il volo del calabrone in cui abbiamo, durante la pandemia, creato un percorso di scoperta dell’opera lirica in modo dinamico e leggero, coinvolgendo molti personaggi dell’attualità. Ho poi collaborato con Mika per due puntate del suo programma Casa Mika 2, dove anche lì abbiamo cercato di portare l’opera in uno studio televisivo. Sono state tutte esperienze molto divertenti. 35
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incontri DAMIANO MICHIELETTO
Quale il lavoro che più le piace ricordare e quali invece i progetti irrealizzati? Il lavoro che più mi piace ricordare è La gazza ladra a Pesaro, la prima vera e propria grande opera complessa che ho affrontato. È stato l’inizio di un percorso, con la gemma del premio Abbiati vinto proprio per quello spettacolo nel 2007 al Festival Rossini di Pesaro, rassegna a cui poi sono stato legato per molte altre produzioni. Rossini per me significa Alberto Zedda, il primo a darmi un’opportunità di lavoro in Italia, sempre al Festival Rossini proprio qualche anno prima, quando avevo portato in scena una piccola farsa chiamata Il trionfo delle belle. Zedda mi ha aiutato ad avere fiducia nei miei mezzi, a ‘buttarmi’ anche quando non tutti condividevano le mie idee. Mi ha sempre sostenuto, di questo gliene sarò eternamente grato. Cosa si può fare per avvicinare i giovani alla musica colta, all’opera lirica, spesso da loro considerata con grande pregiudizio? L’unica cosa che bisogna fare per attirare i giovani è realizzare spettacoli belli ed emozionanti, freschi, vivaci, divertenti, curiosi, di qualità, coinvolgenti. Non si devono realizzare progetti, produzioni costruiti appositamente per i giovani, quanto costruire ‘semplicemente’ spettacoli belli, a cui i giovani si possano avvicinare in maniera del tutto naturale. Se un ragazzo viene a teatro e trova qualche cosa che risveglia la sua attenzione, di sicuro a teatro ci tornerà: bisogna evitare di considerare la cultura come un prodotto fine a sé stesso, autoreferenziale, come un’entità astratta da promuovere a prescindere dai contenuti che propone. La cultura è la possibilità di rendere le persone più sensibili attraverso la bellezza. Un percorso niente affatto scontato. Quando lavoriamo a teatro con stanchezza, pigrizia, ripetendo formule e formati a memoria senza alcuna curiosità di andare a scovare quelli che sono i modi per far sì che lo spettacolo sia sempre un prodotto vitale, non stiamo di sicuro andando nella direzione giusta. Penso poi alla comunicazione online che ormai per ogni teatro è divenuta irrinunciabile, o alla politica dei prezzi bassi, accessibili ai più giovani, pratica che fortunatamente in questi ultimi tempi sta trovando una diffusione sempre più estesa, ad ogni latitudine. L’importante per il teatro è non chiudersi mai in sé stesso, trovare delle dinamiche comunicative e produttive per fare in modo che le opere possano vivere un pochino più a lungo, prevedendo qualche replica in più, potendole diffondere magari anche online. Sono sicuro che la fruizione in streaming non toglierebbe pubblico al teatro, anzi, ne creerebbe uno potenziale di nuovo che poi comprerebbe il biglietto e si accomoderebbe in platea a gustarsi lo spettacolo dal vivo. Quali i prossimi impegni di lavoro? Due nuove produzioni. La prima mi vedrà impegnato al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, dove l’11 maggio debutterò con Giulio Cesare in Egitto di Händel. La seconda, in scena il primo di luglio a Caracalla con il Teatro dell’Opera di Roma, sarà un progetto molto ambizioso legato a Mass, una messa scritta da Leonard Bernstein. Un mix musicale più che un’opera lirica vera e propria, la possibilità per me di creare uno spettacolo coinvolgente, pop, un grande evento all’aperto nell’estate di Roma. Lei è nato a Venezia, qui ha studiato, ha vissuto insomma. Cosa prova nel profondo verso questo microcosmo decisamente altro? Un mix di due sentimenti contrapposti: da una parte una fascinazione
Archèus - Labirinto Mozart
Le Baruffe © Michele Crosera
spiazzante per la sua alchimia di città di acqua e marmi, dove la gente parla la lingua che è il dialetto che ho sempre sentito sin da bambino. Quindi un rapporto non tanto con la storia di questa città e con i suoi fasti, ma proprio con il suo lato più popolare, più semplice e diretto legato proprio alla lingua, teatrale come poche; dall’altra una sorta di tristezza nel vedere come gli abitanti di Venezia ineluttabilmente diminuiscano di anno in anno, e quindi come di pari passo venga progressivamente sempre meno la possibilità di assistere a scene di ‘vita vera’, autentica. Abbiamo fatto una festa durante le prove de Le baruffe con tutto il gruppo dei figuranti; è stato un momento davvero molto bello per me perché eravamo, come dire, tra persone che conoscono e vivono Venezia fisicamente, “dentro”, con una disposizione autentica, fuori da ogni artificio turistico. La mia più grande soddisfazione esistenziale sarebbe quella di contribuire concretamente ad associare, a connettere l’idea di una città non sempre e soltanto al suo immenso e incombente passato, ai suoi impareggiabili monumenti, quanto alle persone che la abitano ogni giorno. La sfida più grande che abbiamo qui di fronte. Elisabetta Gardin 37
UNA CASA AL CENTRO DEL MONDO Riparare, riunificare e adattare i molti strati di questa storica struttura è stata una sfida complessa e gratificante che ci riconnette con il potere dell’architettura sia come sostanza fisica sia come processo di collaborazione David Chipperfield
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tracce
’era una sorta di debito morale da parte del-
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le Assicurazioni Generali nei riguardi della città di Venezia, la cui uscita dalle Procuratie Vecchie nel 1989, dove c’erano gli uffici della direzione generale e vi lavorava una nutrita pattuglia di persone, per trasferirsi nella nuova sede di Marocco di Mogliano Veneto inferse un colpo decisivo nella direzione di un ulteriore spopolamento del centro storico. Ora questo spazio di enorme prestigio di proprietà del Leone di Trieste è rinato a nuova vita: circa 12.400 mq di superficie complessiva lorda, che occupano all’incirca l’85% delle superficie della porzione dell’edificio che chiude il lato nord di Piazza San Marco, pari a 43 delle 50 arcate esterne, per un’estensione di 152 metri. Un lavoro ciclopico che segue quello di restituzione alla città e al mondo dei Giardini Reali, aperti nel 2019. Il restauro radicale delle Procuratie è stato firmato da David Chipperfield Architects Milano, che ha sviluppato un’idea per il progetto che non è definita da un singolo gesto architettonico, ma da una serie di Interventi che rispondono alla complessità dell’opera. La sfida, secondo quanto affermato dallo stesso Chipperfield, è stata quella di «riparare, riunificare e Procuratie Vecchie The Human Safety Net Piazza San Marco thehomevenice.com | www.thehumansafetynet.org
adattare i molti strati di questa storica struttura; una sfida complessa e gratificante che ci riconnette con il potere dell’architettura sia come sostanza fisica sia come processo di collaborazione». Le Procuratie Vecchie assunsero la forma attuale nella prima metà del XVI secolo sotto il programma renovatio urbis del Doge Andrea Gritti, che coinvolse allo scopo gli architetti Mauro Codussi, Bartolomeo Bon e Jacopo Sansovino. Il loro linguaggio architettonico tra l’antico e il moderno (facciata di archi e logge) fu adottato dai successivi sviluppi delle Procuratie sugli altri lati Ovest e Sud della piazza. Gli interventi di questo recupero contemporaneo hanno interessato il primo e il secondo piano, dove sono collocati i più prestigiosi Uffici della compagnia assicurativa Generali, la riorganizzazione dell’accessibilità e della fruibilità attraverso l’inserimento di una nuova circolazione verticale e il rinnovamento del terzo piano, con accesso pubblico agli spazi espositivi, agli spazi di lavoro, agli spazi per eventi e all’auditorium collegati a The Human Safety Net. Nello spazio attorno al quale si sviluppa la scala monumentale che collega i diversi piani è stata collocata l’installazione Monumento di Edoardo Tresoldi, che rielabora il linguaggio della colonna monumentale e dei valori a cui ambisce la società per riflettere sul proprio tempo.
© Martino Lombezzi
Edoardo Tresoldi, Monumento, Procuratie Vecchie Venezia © Roberto Conte
The hub coworking space © Martino Lombezzi
In occasione dell’apertura delle Procuratie, avvenuta con un parterre istituzionale di primissimo livello tra ministri, politici e ospiti vari, Philippe Donnet, CEO di Generali, ha voluto porre l’attenzione sul fatto che «la riapertura delle Procuratie Vecchie rappresenta un momento storico sia per la comunità locale sia per quella internazionale. A distanza di cinque secoli, questo palazzo iconico, noto in tutto il mondo, recupera anche parte della missione originaria dei Procuratori: aiutare i più deboli della società. Questa diventa la casa della nostra iniziativa The Human Safety Net e sarà un luogo di dialogo e di scambio di idee per superare le principali sfide sociali del mondo odierno e ispirare i visitatori ad agire per liberare il potenziale delle persone che vivono in condizioni di vulnerabilità, affinché possano migliorare le condizioni di vita delle loro famiglie e comunità. Uno spazio aperto a tutti, che supporta anche pienamente il progetto di rendere Venezia la capitale mondiale della sostenibilità». Un progetto concepito e realizzato da Generali in accordo con il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite. Emma Ursich, nominata segretario generale di The Human Safety Net, ha sottolineato il fatto che «la casa nelle Procuratie Vecchie apre tante opportunità per raggiungere più persone, creare nuove connessioni, scambiare, discutere, progettare e amplificare l’attenzione, la comprensione e l’azione intorno alle questioni urgenti relative all’inclusione sociale, ma anche più in generale alla sostenibilità come pietra angolare per la resilienza e il benessere umano». Il terzo piano delle Procuratie si caratterizza, dunque, per diverse funzioni le quali vengono assolte da spazi diversi, primo fra tutti da
quello spazio espositivo, che in occasione dell’inaugurazione ospita la mostra A World of Potential, curata da Orna Cohen di Dialogue Social Enterprise. In essa viene offerta ai visitatori un’esperienza personalizzata di The Human Safety Net, del suo scopo e del suo lavoro a favore delle persone svantaggiate in 23 Paesi del mondo. Il percorso espositivo aiuta i visitatori a connettersi con il potenziale personale esplorando i propri punti di forza caratteriali e consentendo di vedere le qualità migliori delle persone che li circondano. L’esperienza è arricchita dalla presenza dell’Atelier dell’Errore, che all’interno dell’Art Studio presenta la mostra Chutzpah. All’altra estremità dell’edificio, sempre al terzo piano, The Hall è il nuovo auditorium all’avanguardia per ospitare simposi internazionali, congressi ed eventi che hanno come missione obiettivi di sostenibilità. Sarà un luogo per amplificare il dialogo globale riguardo ai temi su cui lavora The Human Safety Net: sviluppo della prima infanzia, genitorialità, impatto sociale, inclusione e imprenditorialità sociale. Al centro dello stesso piano The Hub, uno spazio di co-working in cui i team di Thsn, le ONG partner, i beneficiari dei programmi e i volontari possono incontrarsi e collaborare con uno scopo comune. Accanto The Café, il caffè aperto anche al pubblico gestito da Illy, un nuovo indirizzo per favorire una vita “normale” in Piazza, espugnata da tempo alle attività cittadine a favore di un uso esclusivamente turistico. Il design degli interni, l’allestimento, la grafica e la multimedialità sono a cura di Migliore+Servetto. La direzione artistica del terzo piano è a cura di Davide Rampello & Partners Creative Studio. 39
A KIND OF MAGIC
arte
Il latte dei sogni sceglie le creature fantastiche di Leonora Carrington, insieme a molte altre figure della trasformazione, come compagne di un viaggio immaginario attraverso le metamorfosi dei corpi e delle definizioni dell’umano Cecilia Alemani
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Bridget Tichenor, La Espera (The Wait), 1961 Private Collection © Estate of Bridget Tichenor - Photo Javier Hinojosa
di Luka Stojnic
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ell’attesa di visitare la 59. Mostra Internazionale d’Arte diretta da Cecilia Alemani, abbiamo seguito delle tracce teoriche per una riflessione dal particolare all’universale sull’arte e sui temi protagonisti dalla mostra Il latte dei sogni. Abbiamo provato, insomma, a metterci nella testa di Cecilia!
MATERIA_Se si mettesse di fronte a una bambina di due anni una scatola ripiena di fango e uno schermo di plastica accanto, sarà tutt’oggi molto difficile che lei si decida a indirizzare le proprie ditina verso la cosa piatta, inodore e insapore che sta lì pronta a spiegarle che cosa sia il grande mondo. Le basterà immergere quelle dieci minute estensioni delle mani nella melma, mescolare bene e quindi portare le dita alla bocca per assaporare ciò che è rimasto appiccicato sulla morbida e sensibile cute. Ed avrà, in un paio di minuti soli, capito molte cose. Molte di più di ciò che i suoi occhietti le avrebbero invece concesso di apprendere dopo aver toccato quella cosa liscia, piatta, esterna. Quell’oggetto a lei estraneo. Spento. FORMA_Tra l’ammasso dei plurimi indirizzi e profili esistenti in un ampio (infinito, se infinita fosse la vita) raggio d’azione che l’inventività, l’immaginazione e la creatività comportano – nozioni, queste, che contraddistinguono l’essere cognitivo (umano) da quello più istintivo (animale) e dal mondo vegetale e minerale –, Cecilia Alemani, mettendo a confronto il gran numero di autori provenienti da luoghi diversi assemblandoli provvisoriamente in uno solo, Venezia, sembra come voler innescare, stimolare, una reazione percettiva del mondo inteso come un corpo solido e volumetrico, tattile e tangibile sì ma non inerte, ed essenzialmente diafano, seppure frazionato in forme apparentemente piane che inesorabilmente interagiscono tra loro definendolo. Le convessità esistenti nella sua materia, invece, gli arrecano le sembianze di un “gömböc” (termine ungherese): un solido convesso di densità uniforme che, quando poggia su una superficie piana, ha un solo punto di equilibrio stabile e uno di equilibrio instabile. Corpo solido rimane, ma cambia continuamente di posizione e traiettoria in conformità della superficie sulla quale esso poggia. Tutto ciò che definisce il mondo, dal visibile all’invisibile, è mutevole, e costituisce un’unità che potrebbe liberamente venir definita organica; pertanto, viva. IMMAGINARIO_Saranno stati questi presupposti ad aver spinto la curatrice della 59. Biennale a ispirarsi al lavoro della scrittrice e pittrice di origine britannica Leonora Carrington, esponente del Surrealismo, fino a prendere in prestito il titolo della sua opera letteraria Il latte dei sogni per la mostra per eccellenza del contemporaneo globale? Le sfaccettature della realtà, i punti possibili di arrivo dell’immaginario, le angolazioni visuali che variano seguendo una traiettoria non per forza parallela a quella temporale… C’è un’altra entità che va a connettersi ormai quasi in maniera naturale con quelle altre già prima citate (uomo, animale, pianta, minerale), le quali costituiscono dalle origini vitali prime del nostro Pianeta la dimensione della realtà, della matericità del quotidiano, e con esse pure quelle della fantasia e dei sogni. TECNICA_Alemani cita e sottolinea più volte questo “ente” inanime, apparentemente estraneo all’universo tattile, fisico del nostro esistere adulto tanto quanto uno schermo lo è per una bambina di due anni. Tutt’altro che eccentrica risulta la scelta nel conferire ad esso un ruolo di rilievo nel suo progetto curatoriale, completando con questa disposizione “tecnologica”, quindi, quella complessa “costruzione poliedrica” che la Biennale è e deve essere. E avendo qui menzionato il termine “tecnica”, sarebbe quasi doveroso citare allora Martin Heidegger pescando un breve passo tratto da una delle sue conferenze tenutesi nei primi anni ‘50 e raccolte nel volume Saggi e discorsi: «Nell’ambito di questo successivo concatenarsi dell’impiego dell’energia elettrica anche il Reno appare come qualcosa di “impiegato”. La centrale idroelettrica non è costruita nel Reno come l’antico ponte di legno che da secoli unisce una riva all’altra. Qui è il fiume, invece, che è incorporato nella costruzione della centrale». Ne potrebbe scaturire una riflessione di carattere morale (e perché no?), specialmente per le “peculiari” circostanze in cui il Pianeta pseudosferico oggi si ritrova a vivere. Quanto fondamentale per l’esistenza è la diversità? Con i suoi due punti di equilibrio, uno stabile, l’altro instabile? Compete forse all’estetica la (non)risposta. 59. Biennale Arte – Il latte dei sogni 23 aprile-27 novembre Arsenale, Giardini, in città www.labiennale.org
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ecilia Alemani
graduated in Philosophy at the University of Milan and received her Master in Curatorial Studies for Contemporary Art from Bard College, Annandale-on-Hudson, New York. She began her career as an independent curator working with Tate Modern in London and MoMA PS1 in New York. From 2009 to 2010 she directed the experimental space X Initiative in New York, where she organized a lot of exhibitions including Keren Cytter, Hans Haacke, Derek Jarman, Tris Vonna-Michell ones. New York is the city which has allowed her to grow professionally and to experiment with new and very successful projects such as High Line Art, the public art program presented in the famous elevated urban park built on a disused railway, she has been director and chief curator of since 2011. Cecilia Alemani has commissioned and produced ambitious projects with some of the most influential artists on the international scene, including El Anatsui, John Baldessari, Phyllida Barlow, Carol Bove, Sheila Hicks, Rashid Johnson, Barbara Kruger, Faith Ringgold, Ibrahim Mahama, Ed Ruscha, Nari Ward, and Adrián Villar Rojas. She has also launched the High Line Plinth, a new program of large-scale works inaugurated in June 2019. She collaborates with several magazines including «Artforum.com», «Mousse Magazine», «D di Repubblica». She is back at the Venice Biennale after obtaining two great successes in the previous editions: in 2017 as curator of the Italian Pavilion at the 57. International Art Exhibition, where she presented The Magical World and the artists Giorgio Andreotta Calò, Adelita Husni-Bey and Roberto Cuoghi; in 2020 as coordinator of the directors of architecture, dance, theater, music and cinema sectors for the exhibition on the Biennale history The disquieting muses.
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arte
BIENNALE ARTE NATIONAL PARTICIPATIONS
BRASILE With the Heart Coming out of the Mouth
ROMANIA You Are Another Me – A Cathedral of the Body
Composta da fotografie, sculture e video, l’installazione di Jonathas de Andrade (1982, Maceió, stato di Alagoas, Brasile) ha come presupposto una serie di modi di dire popolari brasiliani aventi per oggetto parti del corpo umano. Fonte di ispirazione sono le fiere scientifiche visitate dall’artista da bambino e, in particolare, l’esperienza ‘dentro’ la bambola Eva, una gigantesca riproduzione in fibra e gommapiuma che, esposta in varie parti del Paese durante gli anni ‘80, offriva al pubblico l’occasione di un viaggio immersivo nel corpo umano. L’opera di de Andrade affronta temi riguardanti il mondo del lavoro e l’identità del soggetto contemporaneo, riferiti soprattutto al contesto latinoamericano, con metafore che oscillano tra nostalgia, erotismo e critica storico-politica.
Celebrato da critica e pubblico per l’estetica raffinata e l’avanguardia stilistica, Touch Me Not, film che parla delle difficoltà di tre persone con il contatto fisico, fece vincere ad Adina Pintilie (Bucarest, 1980) l’Orso d’Oro al Festival di Berlino nel 2018. Ora la regista rumena prosegue in chiave artistica la sua riflessione sul corpo come portatore e simbolo di concetti contrastanti, legati tanto all’intimità e alla sessualità quanto alla solidarietà tra individui appartenenti al medesimo, frammentato paese. Pintilie sfida così convenzioni sociali e visive, edificando la sua cattedrale del corpo su nuove sintassi e inedite grammatiche espositive.
Photography, sculpture, and video – the installation by Jonathas de Andrade (Maceió, Brazil, 1982) are based on a list of Brazilian traditional expressions about the human body. Andrade was inspired by science fairs visited as a child – in particular, a visit inside a large female model, Eva, in fibre and foam rubber. Eva had been exhibited all over Brazil in the 1980s, and afforded the experience of a journey inside the body. The artist’s work focuses on the world of labour and identity in the modern subject, especially in the Latin American context, and uses metaphors that range from nostalgia to eroticism and historical-political critique. www.bienal.org.br
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Artist and director Adina Pintilie extends the research work that earned her the Golden Bear at the Berlin Festival in 2018. Celebrated by critics and audiences for the refined aesthetics avant-gardist style, Touch Me Not is a film about three people’s issues with physical contact. Today, Pintilie uses art to research the human body as a bearer and symbols of opposing ideas, both in the fields of intimacy and sexuality as well as solidarity between people belonging to the same fragmented country. The artist challenges social and visual conventions by building a cathedral of the body using a new artistic grammar. www.cathedralofthebody.com
SPAGNA Correction Il progetto di Ignasi Aballí si articola in due azioni, entrambe concepite per ovviare ad alcuni errori che l’artista ha rilevato nella concezione del Padiglione spagnolo e nell’idea attraverso la quale viene proposta, comunicata Venezia. Da un lato Aballí interviene architettonicamente sull’edificio ai Giardini, costruendo delle pareti interne ruotate di dieci gradi rispetto a quelle originali, le quali a loro volta vengono convertite in materiale dismesso. Lo scopo dell’operazione è di allineare la struttura in modo simmetrico rispetto ai Padiglioni vicini. La seconda azione di Aballí riguarda la pubblicazione di sei guide inedite di Venezia, che offrono una ‘correzione’ alle guide turistiche della città solitamente pubblicate. Ignasi Aballí’s project is divided in two sections, each of which tries to rectify errors that, in the artist’s opinion, have been made in creating the Spanish Pavilion and in communicating Venice as a tourist destination. On one side, the artist worked on the Pavilion at Giardini by building walls that are rotated by ten degrees compared to the existing walls. The goal is to align the structure with neighbouring Pavilions. Aballí’s second action is the publication of six original guides to Venice, which ‘correct’ what tourist guides usually write about the city. www.ignasiaballi.net/Correction
CINA (Repubblica Popolare Cinese)
Meta-Scape
Nel contesto della cultura tradizionale cinese il termine “scape” può significare “frontiera” e “confine”, ma anche quel “regno spirituale” raggiungibile dalla percezione umana. Il progetto presentato dalla Cina, che utilizza come mezzo il linguaggio artistico dei nuovi media, collega entrambe le accezioni al concetto attuale di “uomo-tecnologianatura”, presentando lavori che parlano di una coscienza cosmica simbiotica. Trascendendo i confini del reale, si ristabilisce un modo universale di guardarsi, esplorando la possibilità di progettare un futuro comune per l’umanità. Le opere di tre artisti e un progetto di gruppo, divisi fra l’area giardino e la sala espositiva, costruiscono insieme la narrazione spaziale di Meta-Scape. Within the context of traditional Chinese culture, the term ‘scape’ can mean both ‘border’, ‘boundary’ and ‘spiritual realm’ available to human perception. The Chinese project uses the art language of new media to turn the two definitions into one concept of ‘man-technology-nature’. The art speaks of a symbiotic cosmic conscience. By traveling beyond the limits of the real, we can learn a universal way to look at ourselves and explore the possibility of designing a common future for humanity. Works by three artists and a group project cover the open area and the exhibition hall. Together, they compose the spatial narration at Meta-Scape. Magazzino e Giardino delle Vergini
The great strength of art and artists is to digest the dramatic crisis of recent years and to propose it again in a creative key Cecilia Alemani EMIRATI ARABI UNITI Mohamed Ahmed Ibrahim: Between Sunrise and Sunset Composta da forme scultoree astratte e organiche a dimensione umana, l’installazione di Mohamed Ahmed Ibrahim (1962), uno dei massimi esponenti dell’arte concettuale emiratina, interpreta i corpi in relazione alla loro inscindibilità dalla terra. Raggruppate per colori, le sculture incorporano materiali naturali quali caffè, tabacco e foglie di tè, suggerendo con i loro movimenti ondeggianti l’idea di metamorfosi del corpo. L’opera è ispirata dalla profonda vicinanza dell’artista con l’ambiente naturale della sua città natale, Khawr Fakkān, nei pressi delle montagne Al Hajar, sulla costa est dell’Emirato di Sharjah. Consisting of human-sized abstract, organic sculptures, the installation by Emirati conceptual artist Mohamed Ahmed Ibrahim (1962) interprets bodies in their inseparable relationship with the earth. Grouped by colour, the sculptures incorporate natural materials such as coffee, tobacco, and tea – their swinging motions hinting at the idea of corporal metamorphosis. The art has been inspired by the artist’s closeness with the natural environment of his native town, Khawr Fakkān in the Al Hajar mountain range, on the eastern coast of the Sharjah Emirate. Sale d’Armi www.nationalpavilionuae.org
Sultanato dell’
OMAN The Meaning and Idea Per il suo debutto alla Biennale Arte l’Oman sceglie il Circle Group, un collettivo di artisti fondato sul finire degli anni ‘90 da Hassan Meer (Muscat, 1972), un fine e riconosciuto interprete dell’identità artistica del Paese. Fotografia, installazioni video e audio, scultura e tessuti ricamati sono i linguaggi espressivi utilizzati dal collettivo per immergere i visitatori in un’esplorazione in profondità delle radici estetiche dell’Oman e, più in generale, negli aspetti più simbolici e meno conosciuti della cultura araba. For its debut at the Art Biennale, Oman chose Circle Group, an artists’ collective founded in the late 1990s by Hassan Meer (Muscat, 1972), a renowned interpreter of Oman’s art identity. Photography, video and audio installation, sculpture, and embroidery are the expressive languages used by Circle Group to immerse visitors in a deep exploration of Omani aesthetics and, more generally, in the most symbolic and less-known aspects of Arabian culture. Artiglierie www.omanpavilion.org
PADIGLIONE ITALIA Storia della Notte e Destino delle Comete Grande installazione ambientale site-specific, l’opera si configura come un “dispositivo” estetico complesso che coinvolge media differenti – dai riferimenti letterari alle arti visive, dal teatro alla musica e alla performance – e arditi passaggi di percezione. Storia della Notte e Destino delle Comete propone una visione eclatante sul presente, in bilico tra sogni, errori del passato e prospettive del futuro. Il progetto, diviso in un prologo e due atti, narra del difficile equilibrio tra Uomo e Natura, tra sviluppo sostenibile e territorio, tra etica e profitto. La prima parte, la Storia della Notte, ripercorre metaforicamente l’ascesa e il declino del grande sogno industriale italiano, dalla metà degli anni ‘60 a oggi, un modello fondato esclusivamente sul profitto che ha prodotto una crescita rapida e tumultuosa indifferente ai problemi del territorio. Il secondo e ultimo atto, il Destino delle Comete, ossia il destino dell’umanità che ha attraversato la terra in una traiettoria rapida e luminosa senza che, in fondo, le fosse garantito di abitare questo pianeta per l’eternità, offre una vera e propria epifania, visionaria e catartica, che diventa spinta propositiva e ottimista per un cambiamento possibile. A large, site-specific installation, this piece is a sort of aesthetical ‘device’ that involves different media – from literary references to visual arts, to theatre, music, and performance art – and daring perceptual transitions. History of Night and Destiny of Comets is an impressive vision on the present, balancing dreams, past errors, and future perspectives. The project is divided in a prologue and two acts, and will speak of the difficult balance between humankind and nature, sustainable development and territory, ethics and profits. The first part, History of Night, is a metaphor on the rise and decline of the great Italian industrial dream, from the 1960s to today, a model based exclusively on profit that engendered growth with little regard to local consequences. The second and final act, Destiny of Comets, is about the fate of humanity as it walks through earth over a quick and bright path without ever having been granted the privilege of living on Earth forever. The exhibition is a visionary, cathartic epiphany that will turn into optimistic, forward-looking motivation for possible change. Tese e Giardino delle Vergini www.notteecomete.it
BULGARIA There You Are Muovendosi al confine tra pratiche diverse quali performance, disegno, video, scultura e installazione, Michail Michailov (Veliko Tarnovo, 1978) crea territori di meditazione in cui indagare aspetti impensati dell’esistenza. In dialogo con le geometrie dello Spazio Ravà, Michailov espone in maniera straniante i disegni della serie Dust to Dust, in cui la sporcizia virtuosamente dipinta è trasformata in un’opera d’arte nella ricerca metaforica incessante del senso della quotidianità. La serie visiva Just Keep on Going restituisce invece l’idea della ripetizione senza fine né inizio. Infine, la finestra più grande dello Spazio Ravà è nascosta dall’installazione Headspacing, una struttura che permette solo una visuale dall’esterno verso l’interno, rappresentando simbolicamente la riflessione dell’artista sullo spazio di figure mentali appena creato. Through various media (performance, drawing, video, sculpture, installation) Michail Michailov (Veliko Tarnovo, 1978) creates meditative territories where the viewer apprehends unexpected aspects of being. Following the geometry of the rooms, the artist positions the drawings from the Dust to Dust series, in which the dirt is transformed into a work of art in the metaphorical search for the meaning of everyday life. The visual series Just Keep on Going instead returns the idea of repetition without end or beginning. Finally, the largest window of the Ravà Space is hidden by Headspacing, a structure that allows only a view from the outside to the inside. Spazio Ravà, San Polo 1100
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BIENNALE ARTE COLLATERAL EVENTS
Caos controllato Bosco Sodi, Venezia e il colore rosso
Bosco Sodi (1970) ha lavorato alle opere ora in mostra direttamente a Venezia e in particolare proprio a Palazzo Vendramin Grimani in una speciale residenza che gli ha permesso letteralmente di ‘assorbire’ l’atmosfera della grande arte e storia culturale e commerciale della città. L’artista messicano ha organizzato il proprio atelier al piano terra del Palazzo tra fine febbraio e marzo 2022 per produrre in loco una serie di dipinti con la sua consueta tecnica che consiste nel deporre sulla tela strati di una miscela di segatura, pasta di cellulosa, colla e pigmento. Le tele sono state lasciate ad asciugare al piano terra, esposte all’atmosfera della laguna per alcune settimane, che le ha modifiche e rese uniche. Sodi ha descritto il suo iter produttivo come un “caos controllato” che porta alla creazione di “qualcosa di totalmente irripetibile”. La scintilla iniziare del suo progetto, curato da Daniela Ferretti e Dakin Hart, Evento Collaterale della 59. Esposizione Internazionale d’Arte, è stata la cocciniglia, il pigmento rosso intenso e vibrante ricavato da un parassita delle piante e originario del Messico – prodotta ancora oggi a Oaxaca – e dell’America Centrale, che raggiunse l’Europa e Venezia nella prima metà del 1500. Colore pregiato fu usato dai maestri più importanti tra cui Tiziano, che lo utilizzò per il famoso rosso dei lussuosi tessuti dei suoi dipinti. Il colore rosso (insieme al nero) è il legame
profondo che unisce la collezione antica del Palazzo Vendramin Grimani alle opere create dall’artista. Gli interni di Palazzo Vendramin Grimani, come quelli di moltissime dimore veneziane, custodiscono la memoria di quello che era storicamente un flusso di materie a senso unico tra l’Europa e le Americhe: la temporanea occupazione da parte di Sodi delle pareti e dei pavimenti del Palazzo con opere strettamente connesse all’istinto materiale che le ha prodotte, porta a una sorta di ‘rivincita’ di ciò che è primitivo. Queste nuove opere dimostrano senza filtri la sua capacità di utilizzare materie prime grezze e naturali trasformandole in dipinti e sculture di grandi dimensioni, dalla forte componente materica e traboccanti di potenza emotiva. Le opere realizzate a Palazzo sono al primo piano, esposte nelle imponenti sale del piano nobile. Le scabre superfici dai colori intensi, tipiche di Bosco Sodi, vanno così a contrapporsi con gli spazi monumentali del salone e delle sale laterali, con i colori dei loro intonaci e tappezzerie, con le trame del terrazzo alla veneziana, con i riflessi degli specchi scuriti dal tempo, con i soffitti decorati con affreschi neoclassici, fitte travature lignee o stucchi ottocenteschi, e con la luce cangiante che filtra dalle finestre affacciate sul Canal Grande. In parallelo all’allestimento di queste opere, Sodi posiziona sul pavimento degli spazi espositivi 195 piccole sfere di argilla, modellate con la terra di Oaxaca e lì cotte in un forno
improvvisato sulla spiaggia. La cifra corrisponde al numero attuale di stati-nazione esistenti sulla Terra. Ogni visitatore sarà invitato a spostare uno dei globi in miniatura: in questo modo l’installazione cambierà ogni giorno e le diverse collocazioni delle sfere verranno periodicamente fotografate per documentare l’evoluzione dell’opera.
Controlled chaos
ENG
Mexican artist Bosco Sodi worked on the art exhibited right here at Palazzo Vendramin Grimani, in a special residency that allowed him to ‘absorb’ the atmosphere of the great art and history of Venice. The project was initiated around the bright red pigment made from scale insect, a plant parasite originating from Central America that reached Europe, and Venice, in the early 1500s. Soon, the greatest artists of the Venetian Renaissance learned to employ the pigment in their art. The colour red (and black) represent the strong link that unites the ancient art collection at the Palazzo with Sodi’s art. Bosco Sodi a Palazzo Vendramin Grimani What Goes Around Comes Around 23 aprile-27 novembre Palazzo Vendramin Grimani, San Polo 2033 www.fondazionealberodoro.org
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arte
BIENNALE ARTE COLLATERAL EVENTS
Dreamland chronicles
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Organised by the Macao Museum of Art, under the auspices of the Cultural Affairs Bureau of the Macao SAR Government, and co-organised by the Venice-based PDG Arte Communications, “YiiMa” Art Group: Allegory of Dreams, opening on 23 April in Venice, is the collateral event from Macao, China at the 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia. The exhibition showcases eleven pieces (sets) by YiiMa Art Group, an artistic collective founded in 2019 by Ung Vai Meng and Chan Hin Io, responding to the title and theme of this year’s Biennale Arte, The Milk of Dreams. According to the artists, the title emphasises dreamlike imagination, evoking through an allegory the close relationship between humans and the living environment. Through sculpture, photography, video documentation and performance art, Ung Vai Meng and Chan Hin Io merge land and sky in a unique perspective, offering a reinterpretation of the richness and density of some hidden corners of Macao, as well as of memories of the city that are fading away like dreams. As stated by the artists, “we intervene in the natural social scenes full of everyday symbols through specific body movements to present the unique cultural environment in Macau.” Divided into four different sections (Boat of Dreamers, Symbols of Dreams, Space of Dreams, and Iao Hon Dynasty), the exhibition builds a bridge between dreams and reality, performance art and documentation, portraying the many challenges faced by today’s cultural environment and eliciting a deep reflection upon different aspects of local culture. YiiMa visited several places in Macao such as iron shops, martial arts halls, antique stores, and old offices; places that are full of historical traces and embody changes through time. They also explored different communities, visiting and talking to residents in search of creative inspiration: “We believe art should reflect the actual reality of each era and somehow inspire the viewer”. Through documentation on the artists’ numerous on-site performances and actions, the exhibition reveals the richness and density of some less-known corners of Macau and lead visitors into the city’s unique cultural environment, full of memories, histories and “dreams”. The exhibition also offers the opportunity to experience dreamlike yet allegorical scenes of everyday life in Macau through a strong visual impact, and helps to understand and interpret the city from multiple angles. According to the Curator João Miguel Barros, who successfully presented the first large-scale YiiMa Art Group exhibition at Museu Coleção Berardo in Portugal, visitors will be able to ‘see’ Macau, a city full of stories, and to experience its traditions, the intimacies of its culture. The curator also stated that the collective creative process is an “unusual performative dynamic in the art world. Each image results from a work of planning and in-depth study, and is then brilliantly executed with an artistic expression of great symbolic value”. That’s why the project presented in Venice will also include big images, video and installations. “Even those who cannot physically travel due to travel restrictions – said Mr Barros – will be able to discover a place that is timeless and unique in the world, for its multicultural richness and its peculiar identity”.
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Furthermore, the collective of artists stated that the project Allegory of Dreams aims to raise “a reflection on various social phenomena and express our concern for humanism”. Since 2007, Macao has participated as Collateral Event in the International Art Exhibition – La Biennale di Venezia. Thus, ‘YiiMa’ Art Group: Allegory of Dreams compounds eighth year of Macau artists presenting their works at the Venice Biennale Arte and this recent year of changes and challenges brought by the pandemic. At this unusual moment, the Macao Museum of Art joins hands with the exhibition team to present an exhibition that connects the past and the present and invites the audience to discover Macau’s unique, quest-worthy cultural treasures and urban landscape.
Cronache dal paese dei sogni L’allegoria di Macao nell’opera di YiiMa
We believe art should reflect the actual reality of each era and somehow inspire the viewer Ung Vai Meng + Chan Hin Io
Ottava partecipazione di Macao come Evento Collaterale alla Biennale Arte, la mostra ‘YiiMa’ Art Group: Allegory of Dreams, dal 23 aprile al 20 ottobre, nello spazio in Campo della Tana all’Arsenale, è curata da João Miguel Barros e presentata dal Museo d’Arte di Macao, col patrocinio dell’Ufficio affari culturali del governo della Regione Amministrativa Speciale di Macao, Cina. Immaginata come una vera a propria ‘allegoria dei sogni’, la mostra espone undici creazioni del collettivo YiiMa sul tema guida dato dalla curatrice della 59. Biennale Arte Cecilia Alemani. Secondo gli artisti, Il latte dei sogni è onirica immaginazione, un’allegoria che descrive il rapporto tra gli esseri umani e l’ambiente in cui vivono. Il collettivo YiiMa – termine che significa “gemelli” –, fondato nel 2019 dagli artisti Ung Vai Meng e Chan Hin Io, possiede un’originale visione creativa che fonde terra e cielo, reinterpreta la ricchezza e la complessità dei luoghi e delle narrazioni di Macao e svanisce proprio come in un sogno, lasciando tuttavia dietro di sé tracce tangibili come scultura, fotografia, video e arte performativa. L’obiettivo di YiiMa è «intervenire nelle scene sociali, cariche di simboli appartenenti al quotidiano, attraverso specifici movimenti del corpo, per presentare il distintivo ambiente culturale di Macao», dichiarano i due artisti. Suddivisa in quattro sezioni – Barca dei sognatori, Simboli dei sogni, Spazio dei sogni e Dinastia Iao Hon – Allegory of Dreams crea un ponte tra la dimensione onirica e quella del reale, tra arte viva e documentazione. La mostra è un ritratto delle sfide poste dall’ambiente culturale contemporaneo, un inedito e necessario spazio di riflessione sullo stato della cultura locale nei suoi diversi aspetti. Il collettivo YiiMa ha visitato e operato in alcuni dei punti più peculiari di Macao, luoghi testimoni dello scorrere del tempo, angoli in cui la storia ha lasciato le sue tracce più visibili, come botteghe di fabbri, palestre d’arti marziali, negozi di antiquarito, vecchi uffici. Insieme, gli artisti si sono recati in diverse comunità, cercando occasioni di confronto con i residenti per sviluppare la propria ricerca creativa. «Crediamo che l’arte debba riflettere la realtà di ogni epoca e, in qualche modo, ispirare chi la guarda», raccontano Ung Vai Meng e Chan Hin Io. Attraverso la documentazione delle performance site-specific di YiiMa, la mostra svela la ricchezza e la complessità di alcuni degli angoli più nascosti e affascinanti di Macao, conducendo i visitatori alla scoperta del suo particolare tessuto urbano e culturale, che unisce passato e presente in un turbinio di storie, memorie e sogni. Grazie al potente impatto visivo delle opere di YiiMa, lo spettatore ha l’opportunità di sperimentare in prima persona le visioni oniriche e allegoriche offerte dalle scene di vita quotidiana a Macao e, grazie alla mediazione dell’arte, può comprendere e reinterpretare la città da molteplici punti di vista. Il curatore João Miguel Barros, che nel 2019 presentò la prima grande mostra di YiiMa al Museo Berardo di Lisbona, sostiene che «chiunque arriva a Macao incontra una città ricca di storie, di tradizioni, di intimità. È per questo che il progetto presentato a Venezia include quadri di grandi dimensioni, video e installazioni. […] Anche chi non può recarvisi fisicamente a causa delle restrizioni potrà scoprire un luogo senza tempo, unico al mondo per la propria ricchezza multiculturale e per la capacità di mantenere la propria identità nel contesto della madrepatria cinese». Presentando una riflessione su diversi fenomeni sociali, gli artisti di YiiMa intendono esprimere la propria attenzione per l’umanesimo che si concreta nelle creazioni che compongono Allegory of Dreams. Il collettivo «segue un processo creativo insolito – precisa il curatore – nella dinamica del mondo dell’arte. Ogni immagine è frutto di studi approfonditi e di un accurato lavoro di pianificazione che viene, quindi, eseguito magistralmente tramite un’espressione artistica di grande valore simbolico». ‘YiiMa’ Art Group: Allegory of Dreams 23 aprile-20 ottobre Campo della Tana, Arsenale, Castello 2126/A www.mam.gov.mo
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arte
IN THE CITY NOT ONLY BIENNALE
Testimone del nostro tempo Un monumentale Kiefer a Palazzo Ducale
© Georges Poncet
«A volte succede che ci sia una convergenza tra momenti passati e presenti, e quando questi si incontrano si sperimenta qualcosa di simile all’immobilità nell’incavo dell’onda che sta per infrangersi. Avendo origine nel passato ma appartenendo in fondo a qualcosa di più di esso, questi momenti fanno parte tanto del presente quanto del passato, e ciò che generano è importantissimo» (A.K.). Non avevo compreso questa dichiarazione di Kiefer fino in fondo prima, ma è risultata chiarissima quando, passando attraverso la Sala del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale avvolta dalla più grande rappresentazione dell’arte e della storia veneziana, sono stata travolta da un’onda magnifica e crudele varcando la soglia della Sala dello Scrutinio. Lo spazio monumentale della Sala designata all’elezione del Doge è riccamente decorato da dipinti che celebrano il potere della Repubblica di Venezia. Anselm Kiefer proprio qui costruisce la sua installazione altrettanto monumentale, che si pone come la decorazione contemporanea del nostro presente (come entrare nella testa di ognuno di noi in questo momento). Anselm Kiefer rappresenta un microcosmo della memoria 48
collettiva, incapsulando visivamente una vasta gamma di allusioni culturali, letterarie, filosofiche e psicologiche, drammaticamente attuali. Come un testimone oculare, l’artista mette in scena il tempo presente attraverso il passato, trasferendo in linguaggio contemporaneo i valori universali dell’uomo e della sua storia. Ma non solo, lo fa riuscendo a sintetizzare tutti i colori della tradizione pittorica veneziana, traducendoli in pittura astratta, materica, con elementi vivi che ne sottolineano la drammaticità. Tuttavia la visione per quanto incredibilmente forte non è inquietante bensì illuminante, ha il valore assoluto di un sogno immanente. La mostra prende il titolo Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce dalle parole del filosofo veneziano Andrea Emo (1901–1983), ma il risultato va ben oltre, giunge al confine del pensiero attuale. Nell’installazione l’artista riflette anche sulla posizione unica di Venezia, mostrando quello che forse nessuno di noi vuole vedere. Kiefer porta alla luce l’importanza del sacro e dello spirituale, del mito, della memoria e del tempo che inesorabilmente passa. Kiefer ci offre un’opera totale. M.M.
A witness of our times
ENG
Anselm Kiefer created a series of monumental paintings for an installation designed specifically for the majesty and opulence of the Sala dello Scrutinio. The art will relate to the thirty-three paintings on the ceiling and with the heroism that pervades wholly the décor in the Palazzo. Kiefer depicts a microcosm of collective memory and visually incapsulates a large range of cultural, literary, and philosophical allusions, highlighting the role of contemporary art in the reflection on universal themes. This goes beyond Venice and opens to the state of current philosophical speculations.
Anselm Kiefer – Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce Fino 29 ottobre Sala dello Scrutinio, Palazzo Ducale, Piazzetta San Marco palazzoducale.visitmuve.it
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PERSONAL STRUCTURES Reflections Palazzo Mora Palazzo Bembo Marinaressa Gardens Venice 2022 Art Biennial
ReflecReflections www.ecc-italy.eu www.personalstructures.com European Cultural Centre Italy @europeanculturalcentre @ecc_italy
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23.4 - 27.11 2022
arte
IN THE CITY NOT ONLY BIENNALE
Dialogo con il visibile Danh Vō, Park Seo-Bo e Isamu Noguchi al confine tra spazio e tempo
© White Cube
© Hangil Lee
«Il complesso impianto architettonico della Fondazione Querini Stampalia spalanca continue finestre sul tempo. Ogni piano segnala una nuova epoca nella quale si sono iscritti, sovrapposti o cancellati i diversi momenti della storia della famiglia e dell’istituzione. Lo spazio mostra gli esuberi, gli eccessi, le sovrapposizioni, con gesti minimali o grandiosi. Audace e umile a un tempo, il luogo è una esperienza labirintica. Chi meglio di Danh Vō poteva varcare quella soglia? Pochi artisti possono eguagliare la sua sensibilità nei confronti dello spazio e del tempo, della cultura e della sua difficile danza con la bellezza e il potere. Vō entra nella Fondazione mediante una porta laterale e i suoi passi seguono un percorso frammentario, sottile e concettuale, cogliendo lo spazio della Querini come una vasta scultura» (Chiara Bertola). Nasce così il progetto che l’artista vietnamita-danese ha ideato e curato insieme a Chiara Bertola, in collaborazione con White Cube, che coinvolge tutti gli spazi della Fondazione Querini Stampalia e include le opere di Park Seo-Bo (1931), riconosciuto come iniziatore del movimento artistico coreano Dansaekhwa (pittura monocroma realizzata alterando la materia del dipinto), e di Isamu Noguchi, importante scultore, architetto, designer e scenografo statunitense di origini giapponesi. Relazionandosi con il ricco arredo dell’arte passata in mostra – libri, opere d’arte e oggetti pregiati –, Vō introduce in dialogo i suoi lavori e quelli degli altri due artisti. Una collezione attenta di ricordi, testimonianze della sua vita privata e al tempo stesso racconti della collettività costituiscono la base su cui si fonda la pratica artistica di Danh Vō.
© Mimi Jacobs
Fotografie e oggetti che gli permettono di esprimere i conflitti generati dalla dualità delle sue origini divise tra l’infanzia in Vietnam e il trasferimento in Danimarca: concetti di spazio e tempo, di confine tra società e storia personale, di scontro tra cultura orientale e occidentale. L’attenzione ai contrasti si presta alla realtà della Fondazione Querini, nelle cui stanze si viaggia tra i secoli circondati da opere antiche, moderne e contemporanee. Interventi allestitivi leggeri disseminati per il Palazzo, come la lampada Akari, sono le tracce lasciate da Isamu Noguchi, insieme ad un corpus di suoi lavori, molti dei quali realizzati in una fattoria a Nord di Berlino. Nato a Los Angeles a inizio secolo scorso, Noguchi è noto per le sue opere architettoniche, ma anche come scenografo e designer. Inizia il suo percorso come scultore con delle approfondite ricerche sui materiali, che lo portano a sperimentare materie talvolta inusuali, come pietra e osso. Nel dopoguerra entra in contatto con l’Ikebana, da questo momento inizia ad aprirsi all’arte monumentale, portando avanti sperimentazioni di tipo naturalistico, arrivando a progettare il “Giardino della pace” per la sede centrale dell’Unesco a Parigi. Una sala è completamente dedicata alla serie di dipinti Ècriture di Park Seo-Bo. Membro della prima generazione di artisti moderni in Corea del Sud, il suo linguaggio visuale nasce cruentemente in concomitanza alla Guerra civile coreana degli anni ‘50. In questo periodo distrugge tutti i suoi precedenti lavori per votarsi completamente all’astrazione. Le sue opere invitano anch’esse alla riflessione sulle dimensioni di spazio e tempo, confrontandosi con la storia della Collezione Querini e l’esperienza di Noguchi e Vō.
Dialog with the visible
ENG
Known for his sensitivity viz. space and time, collective and personal history, Danh Vō has been invited to permeate the maze-like architecture at Fondazione Querini with his vision using ancient and modern elements in a never-ending journey through time. Together with Chiara Bertola, Danh Vō is both artist and curator of the exhibition. He created this art as a form of dialogue with art by Park Seo-Bo (1931), the initiator of Korean art movement Dansaekhwa (monochrome painting) and Isami Noguchi, a Japanese-American sculptor, architect, and designer.
Danh Vō, Isamu Noguchi, Park Seo-Bo 20 aprile-27 novembre Fondazione Querini Stampalia Campo Santa Maria Formosa www.querinistampalia.org
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New York, USA 1955 © Sabine Weiss
SABINE WEISS LA POESIA DELL’ISTANTE VENEZIA / TRE OCI 11.03.22 > 23.10.22 Mostra promossa da / Exhibition promoted by
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Organizzata da / in collaborazione con / in association with Organized by
prodotta da / produced by
con il sostegno di / with the support of
Media partner
Sponsor tecnici / Technical sponsor
Tre Oci Giudecca 43, Venezia fermata / stop Zitelle
Info tel.+39 041 24 12 332 info@treoci.org www.treoci.org
Prenotazioni / Booking Call Center 892.101 Prenotazioni gruppi 041.0980227
arte
IN THE CITY NOT ONLY BIENNALE
La bellezza dell’incerto In Between Art Film, visione corale su zone d’ombra
© Aziz Hazara
© James Richards
Ispirata all’atmosfera rarefatta di Venezia e all’architettura ibrida del Complesso dell’Ospedaletto e della Chiesa di Santa Maria dei Derelitti, Penumbra è la mostra manifesto che la Fondazione In Between Art Film, l’istituzione fondata e presieduta da Beatrice Bulgari (vedi intervista a p. 26), ha deciso di presentare al pubblico internazionale della Biennale Arte, un progetto molto articolato e siamo sicuri, uno dei più sorprendenti e attesi di questa nuova stagione. Penumbra, curata da Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi, rispettivamente direttore artistico e curatore della Fondazione, mette in scena una riflessione sulle immagini in movimento come spazio di trasformazione materiale e metaforica e sulle condizioni necessarie alla loro visione, ovvero una quasi totale assenza di luminosità. A partire dall’interpretazione fisica del concetto di “semioscurità”, la mostra ne estende il significato alle molte zone d’ombra, di incertezza e di trasformazione che costellano il nostro presente. Attraverso sensibilità artistiche e linguaggi tra loro differenti, otto nuove video installazioni, tutte prodotte dalla Fondazione In Between Art Film, affrontano temi urgenti della contemporaneità, proponendo una visione corale sulle zone d’ombra dei concetti di vulnerabilità e immunità, memoria e storia, verità e finzione all’interno del panorama delle attuali trasformazioni globali. In particolare, Plateau (2021) di Karimah Ashadu ritrae un gruppo di minatori di stagno clandestini nella regione nigeriana dell’altopiano di Jos, esplorando le ripercussioni e i rischi di questa attività nel contesto della fine disastrosa del regime colo-
© He Xiangyu
niale britannico. Boca Livre (2022) di Jonathas de Andrade si confronta con un gruppo di persone senza dimora riunite per un pranzo domenicale, mentre si interroga su quanto l’arte possa essere uno strumento politico di narrazione speculativa. Girato a Kabul subito dopo la recente invasione dei talebani, Takbir (2022) di Aziz Hazara osserva la dimensione notturna come uno spazio denso da cui fuggire o in cui rifugiarsi. Ambientato a Berlino durante la pandemia, House of Nations (2022) di He Xiangyu è il ritratto intimo di uno studente di origini cinesi mentre è alle prese con le sue aspirazioni e le sue incertezze esistenziali. Pantelleria (2022) di Masbedo si misura con l’eredità storica e mitologica dell’operazione Corkscrew durante la Seconda Guerra mondiale attraverso un processo partecipativo di riscoperta che coinvolge la comunità dell’omonima isola. Untitled (2022) di James Richards unisce filmati di sistemi fognari e apparati digerenti per osservare più da vicino le dimensioni private e pubbliche del contagio, dell’igiene e della decomposizione. Aphotic Zone (2022) di Emilija Škarnulytė intreccia gli orrori della distruzione ecologica e del colonialismo in una sottile meditazione sulla sopravvivenza alle devastazioni dell’avidità umana. Infine, É Noite na América (2021) di Ana Vaz è un ritratto meditativo che osserva le numerose specie che sono state Lo spazio-tempo tra un film e l’altro è occupato da tenebre, squarci di luce, frammenti di strutture che fanno crollare le distinzioni tra passato, presente e futuro. Penumbra è un viaggio immanente attraverso un’architettura dormiente, che galleggia nel flusso inconscio dei sogni.
The beauty of the uncertain ENG
Taking inspiration from Venice’s atmosphere and the hybrid architecture of the Ospedaletto and Santa Maria dei Derelitti Church, Penumbra stages a reflection both on moving as a space of material and metaphorical transformation, and on the conditions to make them visible, i.e., an almost total absence of light. Curated by Alessandro Rabottini and Leonardo Bigazzi, Penumbra features eight original video installations commissioned to Karimah Ashadu (1985, UK), Jonathas de Andrade (1982, Brazil), Aziz Hazara (1992, Afghanistan), He Xiangyu (1986, China), Masbedo (Nicolò Massazza, 1973 and Iacopo Bedogni, 1970, Italy), James Richards (1983, UK), Emilija Škarnulytė (1987, Lithuania), and Ana Vaz (1986, Brazil). All works are commissioned and produced by Fondazione In Between Art Film.
Penumbra 20 aprile-27 novembre Complesso dell’Ospedaletto Barbaria de le Tole, Castello 6691 inbetweenartfilm.com
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A DELECTABLE E PIC URE A N E X PE RIE N C E ON THE G RA N D C A N A L
©2022 Marriott International, Inc. All Rights Reserved. All names, marks and logos are the trademarks of Marriott International, Inc., or its affiliates.
Extending along the waterfront on one of the most beautiful stretches of the Grand Canal, the splendid Gritti Terrace continues to be the social hub of Venice. Drop in for an informal lunch, afternoon snacks, or a glass of perfectly chilled bubbles immersed in a living canvas of the city’s legendary monuments.
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arte
IN THE CITY NOT ONLY BIENNALE
L’artista è presente
Archeologia della contemporaneità
Marlene Dumas, Blindfolded (part.), 2002 - Private collection Thomas Koerfer © Marlene Dumas
Non una retrospettiva ma una prospettiva: la vita e l’arte di Marlene Dumas (Città del Capo, Sudafrica, 1953) vengono raccontati in una cruda e al contempo partecipata rappresentazione del corpo umano. A Palazzo Grassi, curata dalla stessa Marlene Dumas con Caroline Bourgeois, cento dipinti, anche ultime opere realizzate, sono messi in dialogo tra loro in sale in cui si passa dalla morte alla vita, dalla disperazione all’amore e al bacio, dall’innocenza alla colpa, dalla violenza alla tenerezza... Tutto è giocato su una dualità resa anche dalla dimensione dei dipinti stessi, che alternano con ritmo prospettive diverse e sempre aperte, creando una poesia interna alla mostra, secondo la stessa definizione data dall’artista: «La poesia è una scrittura che respira e fa dei balzi, e che lascia spazi aperti per consentirci di leggere tra le righe». L’artista, non solo attraverso le sue opere, sembra essere presente, accanto a ogni dipinto, a sottolineare come il significato del quadro vada oltre l’immagine, sia legato all’altro accanto e a quello successivo, in un flusso vitale continuo, dove la fine (end) è comunque sempre un inizio (open – come recita il titolo dell’esposizione). «Ai miei occhi Marlene Dumas è un’artista attraversata dai nostri fantasmi, quali le tracce della storia, le tracce dei corpi, l’utilizzo dei corpi ancora e ancora, all’infinito. Il suo lavoro ci invita a essere più “veri”. Il suo modo “liquido” e fisico di dipingere, che fa apparire il soggetto senza che questo sia stato precedentemente disegnato ma solo attraverso le pennellate, rende le sue opere seducenti e misteriose, come altrettante apparizioni vitali». (Caroline Bourgeois) Not a retrospective, but a perspective: the life and art of Marlene Dumas (Cape Town, 1953) are depicted in a raw, heartfelt representation of the human body. One hundred painting, some very new, converse with one another along several halls where one steps from death to life, from despair to love to kiss, from innocence to guilt, from violence to tenderness. All is played on a duality that is shown in the size of the paintings, alternating different rhythms and perspectives. The artist seems to be present beside each artwork, almost showing how the meaning of the piece goes beyond the image on to the next one in a continuous stream, where the end is an open beginning. Marlene Dumas. open-end Fino 8 gennaio 2023 Palazzo Grassi, San Samuele, San Marco www.palazzograssi.it
Joseph Beuys, Supporto per la schiena di un essere umano finamente articolato (tipo lepre) del XX secolo d.C. Courtesy Fondazione Giorgio Cini
Una straordinaria mostra dossier dedicata a uno dei più importanti artisti del XX secolo. Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Cini e curatore della mostra, in collaborazione con galleria Thaddaeus Ropac, porta a Palazzo Cini Joseph Beuys, pittore, scultore, performer e teorico, artista poliedrico tra i più influenti ed emblematici della seconda metà del Novecento e tra i pochi realmente capaci di far coincidere arte e vita. Beuys considerava l’arte la cura per i mali della società: una forza positiva e terapeutica in grado di risvegliare la creatività individuale, attivare la consapevolezza politica e stimolare il cambiamento sociale. La mostra, che prende il nome dall’opera principale esposta Supporto per la schiena di un essere umano finamente articolato (tipo lepre) del XX secolo (Backrest for a fine-limbed person (hare-type) of the 20th Century AD), presenta una selezione di circa 40 opere del maestro dell’arte concettuale di cui nel 2021 si sono celebrati i cento anni dalla nascita. Beuys è stato uno dei precursori dei temi dell’ecologia, del corpo, del rapporto tra l’uomo e il mondo naturale, tracce vivissime che ritroviamo anche nella Biennale di Cecilia Alemani. Ciò che in questa mostra emerge ancora una volta manifesto è da un lato la capacità di Beuys di restituire un’archeologia della contemporaneità e dall’altro l’attualità straordinaria dei temi portanti della sua opera. The Galleria at Palazzo Cini open with an amazing selection of about forty pieces by a maestro of conceptual art, Jospeh Beuys, considered one of the most important artists of the twentieth century. The exhibition focuses on two important research themes: the investigation on human body and figure and the important, symbolic role that animal figures have in Beuys’ creativity. These fundamental pieces have been created in the late 1940s and early 1950s. There will also be a meaningful selection of drawings and paintings on paper. Joseph Beuys. Finamente Articolato 20 aprile-2 ottobre Palazzo Cini, Dorsoduro 864 www.palazzocini.it
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arte
IN THE CITY NOT ONLY BIENNALE
Una piega inaspettata Gallerie dell’Accademia e Palazzo Manfrin per un doppio Kapoor Un’ulteriore vertigine causata da un’ennesima mostra importantissima, in una Venezia che assomiglia sempre più a un museo senza soluzione di continuità, in cui l’abissale distanza culturale, stilistica, di forma si rende del tutto evidente comparandola a qualunque altra città, non solo italiana. Le Gallerie dell’Accademia, una delle collezioni d’arte più importante al mondo, prosegue la sua attività di apertura ai grandi Maestri del contemporaneo con una grande mostra retrospettiva dell’artista britannico, di origine indiana, Anish Kapoor (nato a Mumbai nel 1954). Curata dallo storico dell’arte e direttore del Rijksmuseum di Amsterdam, Taco Dibbits, la grande mostra evidenzia i momenti salienti della brillantissima carriera di Kapoor con una serie di lavori fondamentali: dalle sculture degli esordi, come 1000 Names, alle opere sul vuoto, fino a sculture del tutto inedite, in forme che appaiono e scompaiono alla vista, create con il “Kapoor Black”, un materiale nanotecnologico innovativo, sostanza talmente scura da assorbire più del 99,9% della luce visibile. In queste opere, messe a confronto con i grandi Maestri veneti delle Gallerie, Kapoor ripropone il motivo della piega nella pittura rinascimentale come un segno dell’essere: attraverso la cancellazione del contorno e del bordo viene offerta la possibilità di superarlo. Un’ulteriore esplorazione dell’oscurità intesa come realtà fisica e psichica emerge attraverso un’altra serie di opere nere che pare penetrino le pareti del museo. Il motivo della pelle come velo tra interno ed esterno e quello della piega viene anche esplorato attraverso un’incredibile opera gonfiabile Howl (2020), concepita per essere collocata nel cortile palladiano dell’Accademia e Pregnant White Within Me (2022), un gigantesco rigonfiamento che dilata l’architettura dello spazio espositivo, suggerendo una ridefinizione dei confini tra corpo, edificio ed essere. «La luce e lo spazio di Venezia e le glorie della Collezione delle Gallerie dell’Accademia, sono stati a lungo fonte di ispirazione per me. - ha ricordato Kapoor - Ho imparato ad amare questa città e i suoi pittori, scultori e architetti e mi sento onorato di essere stato invitato a impegnarmi in un dialogo visivo con essi. Spero di poter aggiungere qualcosa al vocabolario del colore e della forma che è stato il dono di Venezia al mondo». L’ulteriore 56
novità è data dallo sdoppiamento degli spazi espositivi per Kapoor, che ha scelto Palazzo Manfrin a Cannaregio come sede permanente della Anish Kapoor Foundation, in cui trovano posto le opere di grandi dimensioni che sfuggono a ogni definizione tradizionale. Un palazzo che torna ad essere un’importante nuovo luogo d’arte, come era stato destinato nel 1788 dal conte Girolamo Manfrin, un ricco mercante che aveva trasformato il primo piano dell’edificio in galleria, in cui era conservata una importante e vasta collezione di dipinti, sculture, libri e stampe, e che divenne una delle principali attrazioni turistiche di Venezia, visitata tra gli altri da Antonio Canova, Lord Byron, John Ruskin e Edouard Manet. Dopo la morte di Manfrin, le opere della collezione furono vendute: le Gallerie dell’Accademia acquisirono ventuno dipinti, tra cui importanti capolavori come La Tempesta e La Vecchia di Giorgione, San Giorgio di Andrea Mantegna e il Ritratto di giovane uomo di Hans Memling. Ora ad accogliere i visitatori una nuova opera monumentale intitolata Mount Moriah at the Gate of the Ghetto (2022), che sporge dal soffitto dell’androne, creata appositamente per gli spazi in fase di restauro di Palazzo Manfrin. Questa massa grondante di silicone e vernice guida i visitatori attraverso un dedalo di stanze caratterizzate da un trittico di pitture in silicone ugualmente ribollenti, Internal Objects in Three Parts (2013–2015), oltre che da molte opere iconiche di Kapoor, tra cui White Sand Red Millet Many Flowers (1982).
Il percorso continua con una serie di opere specchianti che capovolgono e distorcono le aspettative dello spettatore su ciò che si riflette. Paradiso, inferno, terra e mare sono tutti evocati, mescolati e capovolti in opere meccanizzate di grandi dimensioni come le acque vorticose rosse di Turning Water Into Mirror, Blood Into Sky (2003) e Destierro (2017), in cui un caterpillar interamente blu trasporta tonnellate di terra rossa. Benvenuto, Mr. Kapoor! Fabio Marzari
An unexpected turn
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A large retrospective explores the development of Anish Kapoor’s unique visual language. Kapoor (Mumbai, 1954) is considered one of the most influential contemporary artists. His art creates a visual, dynamic conversation with medieval and renaissance art that is part of the Accademia’s collection. For the first time, new and original art, created using carbon nanotechnology, is included in the exhibition. This new art develops further the language of Kapoor’s earlier sculpture to explore the condition of what the artist refers to as the ‘non-object’. Anish Kapoor 20 aprile-9 ottobre Gallerie dell’Accademia, Campo della Carità, Dorsoduro 1050 Fondazione Anish Kapoor, Palazzo Manfrin, Cannaregio 342 www.gallerieaccademia.it | anishkapoor.com
Universo in evoluzione permanente
Dall’ombra alla luce
Julien Friedler (Bruxelles,1950), figura singolare nel panorama dell’arte contemporanea per il suo passato letterario e la sua formazione come psicanalista, si fa portatore di una visione umanista e catartica. È finita la Commedia alla Chiesa di San Samuele ne è un esempio emblematico: tre potenti installazioni con tele e fotografie sono rappresentazioni complesse dell’immaginario dell’artista, indagini sul senso della vita, della morte e di una possibile redenzione. Les Innocents, collocata nella navata laterale di destra, evoca il concetto di prigionia, ponendo l’attenzione sul mistero del dolore umano, sulla reclusione, sull’isolamento e sulla ribellione. Les Pierrots, navata laterale di sinistra, propone una riflessione sul destino dell’uomo contemporaneo e sulla proiezione dell’immagine di una società disincarnata, persa e nostalgica. I Pierrot di Friedler sono robot, simbolo di un’umanità meccanizzata, che mette in dubbio le proprie capacità. Forêt des Âmes, nove colonne con maschere d’ispirazione africana collocate nella navata centrale della Chiesa, invita alla meditazione: l’artista chiede a ogni visitatore di compilare un questionario. Friedler intende così raccogliere i fremiti emersi dall’inconscio delle persone, porgendo sei domande fondamentali per l’essere umano. Le risposte raccolte, preziosamente conservate all’interno delle colonne, costituiranno poi la sostanza stessa di un progetto ambizioso: una foresta di anime, di cui l’installazione in mostra è l’immagine. L’arte di Friedler mette in moto sensazioni, relazioni, analisi.
Continua da parte della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova l’opera di indagine sulla vita e l’arte del Maestro veneziano, in un percorso che si alimenta nel confronto con altri artisti a lui contemporanei. Dialoghi che diventano veri e propri scambi intensi e visivamente arricchenti, dove le energie creative di ognuno si sommano per offrire nuove prospettive di conoscenza dei singoli percorsi artistici. Il nuovo capitolo di questa operazione di ‘scavo’ vede protagonisti Arnulf Rainer (Baden, Vienna, 1929) ed Emilio Vedova (Venezia, 1919-2006) che, al netto dei loro distinti tratti generazionali e formativi, erano legati da una lunga amicizia e condividevano una concezione dell’esperienza artistica intesa nella sua essenza di contatto responsabile con le vicende del proprio tempo. Curata da Helmut Friedel e Fabrizio Gazzarri, Ora costituisce così un’occasione inedita di incontro tra le opere di due protagonisti della ricerca artistica europea del secondo dopoguerra in bilico tra Astrattismo e Informale, dove l’arte è gestualità, materia, segno. Rappresentante dell’Austria alla Biennale Arte del 1978, Arnulf Rainer spinge la sua ricerca verso la sperimentazione visiva, segnata da automatismo e gestualità, e tematica, con processi psicofisici e stati emozionali estremi, delle relazioni tra vita e morte, sacrificio e redenzione.
The Belgian artist, a peculiar figure in the modern art world for his classical education and his training as a psychoanalyst, is the bearer of a humanist vision. Three powerful canvases-and-photography installations represent his complex imagery and his reflections on pain, melancholy, and hope. The result is the generation of a suspensive, meditative time on the meaning of life, death, and redemption. Friedler’s goal is to promote universal reflection, from self-discovery to mutual understanding. Julien Friedler. È finita la Commedia 23 aprile-25 settembre Campo San Samuele, San Marco www.julienfriedler.com | cdstudiodarte.it
Arnulf Rainer and Emilio Vedova, while different in generation and education, shared a long friendship and a similar view on art, meant to be a responsible contact with the real world. Curated by Helmut Friedel and Fabrizio Gazzarri, Ora (lit. ‘now’) is an original chance to meet the art of two protagonists of artistic research in post-WWII Europe, midway between the Abstract and the Informal, where art is gesture, matter, sign. Rainer – Vedova: Ora 23 aprile-30 ottobre Fondazione Emilio e Annabianca Vedova Magazzino del Sale e Spazio Vedova, Zattere 266 www.fondazionevedova.org
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IN THE CITY NOT ONLY BIENNALE
Riflessioni sulla modernità European Cultural Centre, un progetto eterogeneo e potente Reflections on modernity
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Tra le realtà culturali che la Biennale direttamente o indirettamente richiama in città, certamente l’European Cultural Centre è l’antesignano di questa felice “migrazione artistica” a Venezia, il primo capace di offrire un vero palinsesto di mostre che di edizione in edizione è cresciuto fino ad ospitare oltre 200 progetti distribuiti nei tre spazi espositivi di Palazzo Bembo, Palazzo Mora e Giardini della Marinaressa. Sei edizioni all’insegna dell’apertura e dell’inclusività per offrire una visione allargata del contemporaneo, non una collettiva ma un tema condiviso attorno al quale artisti, istituzioni, musei, gallerie, accademie e università si confrontano con esiti diversissimi. Un progetto eterogeneo e potente che incoraggia il dialogo su idee e pensieri della nostra modernità. Personal Structures 2022 ruota attorno all’idea di reflections, “riflessioni”, sottolineandone il duplice significato di episodi visibili percepiti dagli occhi e di atto mentale derivante dall’azione del ponderare con la mente. Il tema intende proiettare il pensiero creativo verso il futuro per immaginarne uno sostenibile e porre il singolo in relazione alla comunità, in un presente, quello degli ultimi due anni, segnato dalla rivalutazione di queste due categorie. Mondi immaginati e immaginari, suggestioni provenienti da diverse culture, grazie alla partecipazione di ben 192 artisti provenienti da 51 differenti Paesi, punti di vista diversi, arricchiti dall’alta percentuale di artiste donne, che danno vita ad opere che parlano di spiritualità e intimità, di femminismo e di uguaglianza, di ambiente e sostenibilità, di spazi comuni e privati. Le opere create, appositamente per l’occasione offrono un ventaglio di 58
tecniche e supporti incredibilmente ampio. Tutti i progetti sono stati pensati ponendo attenzione alla relazione con i tre spazi espositivi, ognuno dei quali allestito per offrire allo spettatore un’esperienza diversa. A Palazzo Mora, le vaste stanze diventano perfetti white-cube occupati da singoli artisti, con l’obiettivo di valorizzare i concetti alla base di ogni progetto. Palazzo Bembo, che mantiene tracce significative di storia, ospita installazioni site-specific, create appositamente per il luogo, le quali offrono un’esperienza immersiva. Infine, i Giardini della Marinaressa accolgono installazioni e sculture che si sintonizzano con l’ambiente naturale circostante, convertendo questi incantevoli giardini pubblici in uno sculpture park all’aria aperta. Palazzo Mora ospita anche un Evento Collaterale della 59. Esposizione Internazionale d’Arte, From Palestine With Art, curata da Nancy Nesvet del Palestine Museum: 19 artisti, residenti in patria o all’estero, con i loro interventi raccontano come si struttura il linguaggio artistico contemporaneo in Palestina, tra dipinti, installazioni, sculture e fotografie. Nove ritratti di figure palestinesi di rilievo in arte e letteratura; una mappa storica della regione lungo tutto il pavimento; un albero di ulivo con le chiavi delle case dei rifugiati che reclama il diritto di fare ritorno nel Paese; un’installazione audio che trasmette la registrazione di storie palestinesi, accompagnate da un flusso continuo di musica tradizionale. Anche per l’edizione 2022, Personal Structure si conferma la piattaforma espositiva più internazionale di Venezia, dopo La Biennale naturalmente.
The sixth edition of the biennial contemporary art exhibition Personal Structures, produced by the European Cultural Centre, revolves around the idea of reflections [re.flec.- tion | ri-’flek-shən], showing its dual meaning of visible episode perceived by the eyes and mental phenomenon of thinking and pondering with the mind. A group of internationally renowned and emerging artists, photographers, sculptors, and academic institutions portray their views on the main theme of the exhibition, turning Personal Structures into a heterogeneous and stimulating show that encourages a dialogue on current developments, ideas, and thoughts in the contemporary art field within the context of Time Space Existence. Palazzo Mora also hosts a Collateral Event of the 59. International Art Exhibition, From Palestine With Art, curated by Nancy Nesvet (Palestine Museum): 19 artists describe how the contemporary artistic language is structured in Palestine, including paintings, installations, sculptures and photographs. Nine portraits of prominent Palestinian figures in art and literature; a historical map of Palestine on the floor; an olive tree with the keys to the houses of Palestinian refugees claiming the right to return to the country; an audio installation with the recording of Palestinian stories, accompanied by traditional music: 19 artists, living at home or abroad, tell the contemporary artistic language in Palestine through their paintings, installations, sculptures and photographs. Personal Structures– Reflections 23 aprile-27 novembre European Cultural Centre (ECC) Palazzo Mora, Strada Nova, Cannaregio 3659 Palazzo Bembo, Riva del Carbon, San Marco 4793 Giardini della Marinaressa, Riva dei Sette Martiri, Castello personalstructures.com
LEILA ALAOUI STORIE INVISIBILI UNSEEN STORIES
FONDACO DEI TEDESCHI VENEZIA
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arte
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L’arte del vivere
Gli invisibili
Dineo Seshee Bopape - Photo Matteo De Fina
Una mostra che trasporta nella dimensione pura del design. Le Stanze del Vetro continuano la loro indagine approfondita spostando l’attenzione dal vetro soffiato a quello industriale, da Murano a Milano, alla riscoperta della leggendaria azienda FontanaArte e dei suoi quattro grandi direttori artistici: Gio Ponti, Pietro Chiesa, Max Ingrand e Gae Aulenti. Christian Larsen, il curatore, con Massimiliano Locatelli, che firma l’allestimento, e Maurizio Torcellan, alla sapiente regia realizzativa, hanno costruito un’immersione completa in una casa di vetro, come suggerisce il titolo della mostra Vivere nel vetro. Attraverso 85 pezzi tra i più eccezionali della produzione di FontanaArte, la mostra mette in luce le potenzialità di questo materiale da costruzione per esterni che viene declinato secondo un nuovo standard di lusso per arredare l’interno della casa. Un materiale industriale che diventa sogno tecnologico, lavorato da tanti designer e artisti che hanno collaborato con l’azienda milanese nel corso della sua storia. Dalla sua fondazione, da parte di Gio Ponti nel 1932, fino all’uscita dall’azienda di Gae Aulenti nel 1996, il catalogo di FontanaArte traccia un arco storico stilistico nel design del XX secolo, fissando gli standard del design italiano: la perfetta continuità tra la classicità e la tecnologia contemporanea, il connubio ideale tra arte e industria, la qualità superlativa dei materiali e della lavorazione artigianale del vetro industriale e l’elevazione dell’oggetto quotidiano all’arte del vivere. M.M. A critical retrospective curated by Christian Larsen on glass décor produced by Milan-based company FontanaArte. An in-depth scan of the creative repertoire authored by four great art directors: Gio Ponti (1932-1933), Pietro Chiesa (1933-1948), Max Ingrand (1954-1967), and Gae Aulenti (1979-1996). With over 85 pieces chosen from the most outstanding in FontanaArte’s production, the exhibition focuses on the poetic potential of glass slabs, an industrial product that many at FontanaArte worked with over time. FontanaArte. Vivere nel vetro 4 aprile-31 luglio Le Stanze del Vetro, Isola di San Giorgio Maggiore lestanzedelvetro.org
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Sono l’artista sudafricana Dineo Seshee Bopape e la portoghese Diana Policarpo le protagoniste rispettivamente del ciclo espositivo Biennale The Soul Expanding Ocean #3 e #4, a cura di Chus Martínez per TBA21–Academy. Ocean Space apre le porte della Chiesa di San Lorenzo a due mostre personali, indipendenti, tuttavia connesse da diversi elementi comuni: le due commissioni danno voce e corpo all’Oceano, quale depositario di storie coloniali le cui narrazioni intrecciano passato, presente e futuro. A raccontare le storie sono microrganismi e alghe che coesistono sin dagli inizi dell’evoluzione, rocce, voci, immagini in movimento come onde, la terra che conserva i ricordi e la sostanza delle azioni passate che hanno compromesso la vita in diversi modi. Ocean! What if no change is your desperate mission, l’opera di Dineo Seshee Bopape inizia con un viaggio alle Isole Salomone, da dove l’artista fa rotta verso le piantagioni del Mississippi fino alla Giamaica, per poi fare ritorno a casa, in Sudafrica. Il viaggio diventa un linguaggio grazie al quale le linee del tempo convergono e s’intersecano nello spazio delle acque. L’approccio di Bopape fonde indagine magica, curiosità storica, saggezza tradizionale, senso di illusione, immaginazione e speranza per creare un’opera sull’azione post-post-coloniale in dialogo con l’Oceano, come “essere”. Ciguatera è un’installazione multimediale di Diana Policarpo, che utilizza video e audio per enfatizzare un senso di presenza, immortalando, allo stesso tempo, il personale processo di ricerca dell’artista. Prendendo come punto di partenza il viaggio di ricerca alle Isole Selvagge portoghesi (Ilhas Selvagens), nell’Oceano Atlantico settentrionale, l’artista crea un caso di studio nella mappatura delle storie coloniali attraverso il tracciamento della biodiversità naturale. Grazie alle lenti tecnologiche, le telecamere sono in grado di catturare le attività di esseri viventi in strati che l’occhio umano non riesce a percepire. Incorporati nella sostanza stessa delle installazioni, questi video diventano altro materiale scultoreo e, in quanto tale, assumono la stessa funzione: creare
I due volti di Raqib A Ca’ Pesaro, un viaggio tra fantasia e opulenza
Diana Policarpo - Photo Matteo De Fina
una drammaturgia che ci fa comprendere come la scienza sia implicata nei processi coloniali e intrappolata in relazioni di potere. Mentre i microrganismi hanno fatto parte dei miti sin dai tempi antichi e la narrazione di storie assume una qualità filmica, in entrambe le installazioni di Policarpo la telecamera è più prossima a una bocca che racconta, che a un occhio che cattura.
The invisibles ENG
Ocean Space opens the fourth exhibition season of the two-year exhibition cycle The Soul Expanding Ocean, curated by Chus Martínez. Although independent, the exhibitions of South African artist Dineo Seshee Bopape and Portuguese artist Diana Policarpo are connected by many common ideas, which give voice and presence to the Ocean as a repository of colonial histories. Both installations guide an experience that invites visitors to come to terms with breaking off with the idea of an immutable separation between nature and culture, culture and myth, science and belief. The Soul Expanding Ocean #3 e #4 Dineo Seshee Bopape | Diana Policarpo 9 aprile-2 ottobre Ocean Space, Chiesa San Lorenzo, Castello 5069 www.ocean-space.org
Raqib Shaw, artista londinese di origini indiane (Calcutta, 1974), è noto per le sue tele ambientate in un personalissimo immaginario costruito tra fantasia e opulenza, pieno di dettagli intricati, colori ricchi e superfici ingioiellate, che mascherano la natura intensamente violenta di queste immagini. Dalla mitologia alle scienze naturali, Raqib Shaw rielabora i soggetti prescelti combinando le iconografie e le tradizioni pittoriche occidentali e orientali. Con un metodo unico crea opere in cui lo smalto e le vernici metalliche industriali vengono manipolate con una penna d’istrice per modellare dettagli nitidi e ricche trame superficiali di rocce, corallo, fogliame, piume e fiori. Ogni motivo è delineato in oro sbalzato, una tecnica simile al cloisonné usata nelle prime ceramiche asiatiche. Raqib Shaw: Palazzo della Memoria è la prima mostra in Italia interamente dedicata alla visione trasgressiva dell’artista indiano, curata da Sir Norman Rosenthal, in collaborazione con White Cube, ospitata a Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna. Nelle Sale Dom Pérignon lo spettatore di trova davanti a dodici dipinti e un film, la maggior parte inediti e concepiti appositamente per questa occasione, risultato di un nuovo lavoro recentemente completato e particolarmente influenzato dall’unicità delle tradizioni pittoriche di Venezia e Roma. L’opera centrale e manifesto della mostra è un’imponente tela che mostra un allestimen-
to immaginario, in cui vengono riprodotte le miniature di più di 60 opere tra sculture e dipinti precedentemente realizzate da Shaw. La mostra attraversa tempo e spazio accompagnando lo spettatore in un sorprendente viaggio autobiografico che va dalla Venezia dei maestri rinascimentali – con ispirazioni di Tintoretto, Giorgione, Pannini e altri – alla Londra moderna, fino ad arrivare alla sua terra natale, il Kashmir. Silvia Baldereschi
Two-faced Raqib
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Italian premiere for Indian-British artist Raqib Shaw (Kolkata, 1974). Visitors will be introduced to his transgressive vision on art by means of a film of fantastic, opulent inspiration and twelve paintings full of intricate details, saturated colours, and bejewelled surfaces that mask the intensively violent nature of the subjects. The exhibition explores time and space, taking the viewer on an autobiographical journey that goes from Renaissance Venice to modern London to Shaw’s native land, Kashmir. Raqib Shaw: Palazzo della Memoria 22 aprile-25 settembre Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna capesaro.visitmuve.it
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IN THE CITY NOT ONLY BIENNALE
SINDROME CONTEMPORANEA
Peter Pan fa la sua comparsa nel 1902 in alcuni capitoli di un romanzo dello scrittore scozzese James Matthew Barrie, poi pubblicati separatamente nel 1906 col titolo Peter Pan nei giardini di Kensington. Protagonista della commedia Peter Pan, o il ragazzo che non voleva crescere e della sua trasposizione in romanzo Peter e Wendy nel 1911, il personaggio assunse una popolarità straordinaria. Divenuto simbolo dell’infanzia che non vuole finire, Peter Pan ha ispirato moltissime opere successive, spettacoli e film, ma anche libri e saggi. Persino la psicoanalisi si è servita del personaggio di J. M. Barrie per definire la difficoltà di crescere e la tendenza a fuggire le responsabilità dell’età adulta: la cosiddetta sindrome di Peter Pan. Un personaggio cinematografico legato all’eterno bambino trova spazio nell’esposizione Peter Pan. La nécessité du rêve: Barry Lyndon dell’omonimo film di Stanley Kubrick del 1975, la cui proiezione avrà luogo ogni lunedì, sabato e domenica alle ore 11 a Palazzo Bonvicini (si consiglia la prenotazione). Peter Pan e Barry Lyndon sono entrambi spinti dall’impulsività e dall’orgoglio. Barry Lyndon è un giovane uomo che fa scelte di vita impulsive e immature, guidato da una grande fortuna nella prima parte della storia, si ritrova colpito da un destino avverso nella seconda, in evidente contraddizione con l’epoca in cui vive, ossia quella dell’Illuminismo. Momento di maggiore libertà di Kubrick il film è fortemente visivo, la storia viene continuamente ridotta a quadro, a immagine da mostrare, da guardare. Barry Lyndon, Stanley Kubrick, 1975 (184’) Fondation Valmont, Palazzo Bonvicini, Sala 6 fondationvalmont.com
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Dalla parte di Peter Tra lamentele pandemiche, politica globale estenuante e notizie ininterrotte, non stupisce che sempre più persone cerchino una tregua dal presente nella letteratura, nei film, in mondi immaginari lontani dal nostro. E quale rifugio potrebbe essere migliore del non luogo, l’utopia per eccellenza: l’isola che non c’è? La mostra Peter Pan. La nécessité du rêve ci trasporta in una Neverland senza tempo, per scappare in compagnia di Peter, l’eterno bambino, in una terra abitata da pirati, indiani, fate e sirene. Questo è il tema scelto dai curatori Francesca Giubilei e Luca Berta per la mostra 2022 di Fondation Valmont a Palazzo Bonvicini, dopo i successi precedenti di Alice in Doomedland (2021), Hansel & Gretel (2019) e Beauty and the Beast (2017). Il personaggio, inventato da J.M. Barrie nei primi del ‘900, nell’Inghilterra dominata dall’industrializzazione, dal consumo di massa e dalle convenzioni borghesi, è la perfetta incarnazione del desiderio di evasione e libertà. Peter Pan viene interpretato dallo sguardo degli artisti Stephanie Blake, Didier e Valentine Guillon, Silvano Rubino, Isao, legati tra loro dallo stesso medium, quello dell’immagine in movimento. Attraverso tre diverse prospettive di una selvaggia isola del Mediterraneo, immortalate direttamente con il cellulare da Stephanie Blake, in WWW – Window Wings Wrecked lo spettatore viene accompagnato nel viaggio che l’artista compie per ritrovare la sua indipendenza. Didier Guillon e Valentine Guillon, padre e figlia, alternano riprese accelerate di fiori colorati che sbocciano ad immagini in bianco e nero di conflitti passati, mostrando in Blessing in disguise l’ambivalenza tra la forza vitale della natura, che imperversa sull’isola che non c’è, e il conflitto umano che a sua volta ne scandisce il funzionamento. Silvano Rubino guarda a un Peter Pan intrappolato in un’eterna adolescenza, in bilico tra infanzia ed età adulta per soffermarsi sulla circolarità del tempo, la pulsione e il desiderio. Li rielabora attraverso la mitologia greca nei suoi tre video Transiti. Eros, Thanathos, Chronos. Isao trae spunto dalla cultura orientale per dedicarsi al tema dell’ombra: nella sua installazione Shadows and Forms i personaggi del racconto si inseguono sullo schermo in un suggestivo gioco ispirato al teatro tradizionale delle ombre cinesi. A concludere la mostra un’ospite d’eccezione, l’artista Gayle Chong Kwan con la sua installazione Atlantis: la leggendaria Atlantide prende forma tramite imballaggi alimentari in plastica raccolti dagli abitanti di Londra, evocando così le preoccupazioni dell’artista per la situazione ambientale. Asja Skatchinski
Needed like a dream ENG
A timeless Neverland to escape to with the company of Peter Pan, the forever child. Curated by Francesca Giubilei and Luca Berta, the exhibition captures the vision of artists Stephanie Blake, Didier and Valentine Guillon, Silvano Rubino, and Isao, which share a common medium, the moving picture. Four pieces on the figure of Peter Pan, adapted to contemporary vision in total freedom of artistic expression. The guest of honour at the exhibition will be artist Gayle Chong Kwan. Ending the presentation is the screening of Stanley Kubrick’s Barry Lyndon of 1975, a cinema character that is also about an eternal child. Peter Pan. La nécessité du rêve 23 aprile-26 febbraio 2023 Palazzo Bonvicini, Calle Agnello 2161/A fondationvalmont.com
By the sea
Courtesy Fondation Leila Alaoui & Galleria Continua
Sulla riva del mare Le fotografie poetiche e potenti di Leila Alaoui Storie invisibili/Unseen stories, che il Fondaco dei Tedeschi ha voluto presentare al pubblico come evento espositivo in occasione di Biennale Arte 2022, non è una mostra ma un messaggio forte e chiaro su tematiche attualissime. Nasce dalla commistione di due opere di Leila Alaoui, fotografa e videoartista francomarocchina che ha dedicato la sua vita alla sensibilizzazione pubblica sui temi dell’identità, diversità culturale e migrazione nell’area del Mediterraneo. Il suo impegno umanitario ha compreso varie missioni fotografiche per importanti ONG, tra le quali quella del gennaio 2016 che le è costata la vita. Mentre si trovava nel Burkina Faso per lavorare a una commissione di Amnesty International per i diritti delle donne, Alaoui fu vittima di un attentato terroristico durante il quale riportò gravi ferite, che poco dopo ne causarono la morte. In seguito alla scomparsa dell’artista è stata creata la Fondazione Leila Alaoui allo scopo di preservare il suo lavoro, difendere i suoi valori, ispirare e sostenere gli artisti che lavorano per promuovere la dignità umana. Le sue opere, poetiche e potenti al contempo, sono esposte in vari musei e collezioni tra cui: l’Institut du Monde Arabe e la Maison Européenne de la Photographie a Parigi, la Konsthall di Malmoe, il Palazzo nazionale di Cascais, il Musée des Beaux-Arts di Montreal e più recentemente il Musée Yves St Laurent di Marrakech e la Somerset House di Londra. Le due installazioni di Leila Alaoui sono esposte al quarto piano del Fondaco dei Tedeschi e trattano temi cari all’artista. La prima, Les Marocains, restituisce un ritratto corale del suo Paese d’origine, reso attraverso una serie di gigantografie che immortalano i suoi abitanti. Immagini dal grande impatto visivo che raffigurano soggetti vestiti in abiti tradizionali dai colori sgargianti e dalle forme intricate, messe in particolare risalto dal nero inteso degli sfondi. Les Marocains è stato un modo per la giovane artista di scoprire le proprie radici e affermare un’estetica indipendente, che evidenzia la dignità degli individui e di un intero Paese. La seconda opera, Crossings, racconta il viaggio intrapreso dai migranti subsahariani per raggiungere il Marocco e le coste europee. L’installazione si compone di un mix di immagini e video che ricostruiscono il vissuto dei migranti, utilizzando sia frammenti di realtà, come registrazioni di storie vere, che immagini fittizie. Un’importante restituzione del trauma collettivo che invita a riflettere sia sulla fragilità di una comunità in viaggio che sul concetto utopistico d’Europa, dal punto di vista africano. Asja Skatchinski
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T Fondaco dei Tedeschi, on occasion of the opening of the Venice Art Biennale, produced their own art exhibition: Unseen Stories is, in fact, more than an exhibition: it is a strong, clear message on important matters. Franco-Moroccan photographer and video artist Leila Alaoui dedicated her life to activism in the matters of identity, cultural diversity, and migration in the Mediterranean area. Her humanitarian work comprises photographic work for important NGOs. During one of these missions, in 2016, she lost her life. At the time, she was in Burkina Faso, under an Amnesty International assignment, to work on women’s rights. Alaoui fell victim of a terrorist attack, when she was wounded to death. After her passing, the Leila Alaoui Foundation was founded to commemorate her work, campaign for her values, and inspire and support artists who work for human dignity. Alaoui’s art, powerful and poetic at once, has been exhibited in several museums and collections, including the Institut du Monde Arabe and the Maison Européenne de la Photographie in Paris, the Konsthall in Malmö, the Palácio Nacional in Cascais, the Musée des Beaux-Arts in Montreal, and, more recently, the Musée Yves Saint Laurent in Marrakech and the Somerset House in London. The two installation of Leila Alaoui’s photographs are at the Fondaco’s fourth floor. The first one, Les Marocains, is a choral portrait of her native country in a series of large-scale portraits of its inhabitants – powerful images of Moroccans in traditional garb, highlighted by a black background. Les Marocains was a way, for the artist, to discover her own roots and draw attention to the dignity of a people. The second installation, Crossings, is about the travel sub-Saharan migrants make to reach Morocco and the European coastline. Crossings is a mix of images and videos that trace the migrants’ journey using pieces of real life, like recordings, and re-enacted scenes. An important restitution of the collective trauma that invites us to reflect on the fragility of a travelling community and on the utopian idea of Europe, from an African point of view. Leila Alaoui. Storie Invisibili/Unseen Stories 20 aprile-27 novembre Fondaco dei Tedeschi, Rialto
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IN THE CITY NUOVE APERTURE
Sistema Fortuny Mariano e Henriette tornano a casa
Photo Massimo Listri
È stata riaperta la casa-museo di Mariano Fortuny y Madrazo e della moglie Henriette Nigrin, musa ispiratrice e abile imprenditrice, che assieme al marito diede un’impronta indelebile a quel mondo fortuniano fatto di incantevoli tessuti stampati, abiti in plissé su seta e impalpabili scialli portati come sari indiani dalle più seducenti femmes fatales della Belle Epoque, facendole diventare icone di stile. Figlio d’arte – il padre è Mariano Fortuny y Marsal, morto prematuramente –, è tra i giganti della pittura spagnola del secondo Ottocento, segue le orme paterne ma amplia gli orizzonti sperimentando in diverse direzioni, dall’incisone alla fotografia, dal teatro alla luminotecnica, dal design alla moda. Diciottenne, da Parigi sbarca a Venezia con un ricco bagaglio di raffinate letture e frequentazioni à la page. Con la madre e la sorella vive a Palazzo Martinengo sul Canal Grande, ma qualche anno dopo (1899) con la compagna Henriette preferirà spostarsi nel gotico Palazzo Pesaro degli Orfei, trasformandolo in un laboratorio di creatività oltre che in una dimora incantata. Donato alla città dalla vedova nel 1956, dopo alterne e travagliate vicende, ultima la chiusura a seguito dell’Acqua Granda del 2019, il Palazzo viene riaperto al pubblico dopo alcuni lavori di manutenzione e con un rinnovato allestimento che porta la firma del maestro scenografo Pier Luigi Pizzi, entrando a far parte dell’offerta museale della Fondazione Musei Civici Veneziani. Dal suggestivo fascino del Portego del primo piano nobile, rievocazione ‘quasi’ fedele dell’originale, il 64
percorso si snoda in un’infilata di ambienti più intimi che approfondiscono temi pregnanti dell’identità fortuniana: dalla ricostruzione dell’atelier di pittura alla sala wagneriana, dalla pratica della copia degli antichi maestri al collezionismo, fino al coup de théatre della sala con Delphos e Peplos, tra le creazioni più esclusive della coppia che gli procurò fama internazionale di eccellenti couturier, ancora oggi imitatissimi. Di grande suggestione è il “Giardino d’inverno” con un apparato pittorico che prende ispirazione dal mondo della pittura veneta della grande tradizione decorativa, contaminato da forti accenti simbolisti, realizzato con “Tempera Fortuny”, 46 tubetti di colore commercializzati e usati da molti artisti dell’epoca. Il percorso continuerà da giugno anche al piano superiore con modalità di visita limitata a piccoli gruppi per apprezzare e approfondire gli aspetti più scientifici e sperimentali dell’arte: si potrà entrare nella biblioteca, lo scrigno dell’ispirazione di Mariano, o visionare nei grandi tavoli le tecniche della stampa su stoffa, dell’incisione, della fotografia, fino agli innovativi sistemi di illuminotecnica per il teatro con modellini e maquette che ripercorrono la storia del “Sistema Fortuny”, quell’illuminazione diffusa ma indiretta creata da una cupola riflettente dove venivano proiettati seducenti cieli in continua trasformazione atmosferica. Dunque, moltissimi materiali originali che per la prima volta vengono esposti, alcuni molto fragili, destando qualche timore e perplessità sulla loro prolungata esposizione. Franca Lugato
The Fortuny system ENG
The museum-house of Mariano Fortuny y Madrazo and his wife Henriette Nigrin, his muse and a talented entrepreneur responsible for what we know as the ‘Fortunyan’ world of amazing printed fabrics, plissé silk clothing, and lighter-thanair shawls worn like Indian saris by the sexiest femmes fatales in the Belle Époque. Paintings, clothes, fabrics, colours, dyes, photographs, art collections, documents, patents – all lives together at Palazzo Pesaro degli Orfei, open year-round.
Palazzo Fortuny San Marco 3958 fortuny.visitmuve.it
Hotel Cipriani presents an artistic immersion with Galleria Continua curated by Belmond with Hervé Mikaeloff
COOKING THE WORLD SUBODH GUPTA
in the gardens of CIPRIANI, a Belmond Hotel, Venice To book your experience please visit www.belmond.com/cipriani
MITICO
Follow The Art Path 65
palazzograssi.it
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Marlene Dumas, Time and Chimera, 2020. Oil on canvas, 300 x 100 cm. Courtesy the artist and Zeno X Gallery, Antwerp
Marlene Dumas open-end Palazzo Grassi Venezia 27.03.22
– 08.01.23
arte
IN THE CITY NOT ONLY BIENNALE
La sognatrice Mouna Rebeiz, mutazioni metaforiche di un futuro incerto
The Soothsayer (L’indovino) è un viaggio simbolico e metaforico che si ispira al personaggio della tragedia Giulio Cesare di Shakespeare, colui che avvertì l’imperatore del suo assassinio, ma che fu ignorato e chiamato “sognatore”. L’artista libano-canadese, Mouna Rebeiz (1957) utilizza l’idea della premonizione per interrogarsi sull’improbabile punto di incontro tra l’intelligenza artificiale e l’essere umano. Di cosa sarà fatto il domani? Le tecnologie modificano i nostri modi di pensare? Per cogliere questa mutazione l’artista mette in scena le linee principali di una “ecologia cognitiva” in grado di conciliare l’uomo con la tecnologia. Curata da Ami Barak, la mostra The Soothsayer occupa tutto lo spazio della St. George Anglican Church: tre opere dialogano a livello simbolico e metaforico tra loro costituendo un set performativo. Disposti ad arco lungo la navata centrale, 22 Arcani Maggiori reinterpretati dai Tarocchi di Marsiglia, dipinti su lastre di alluminio lucidato con una singolare tecnica pittorica, simboleggiano il nucleo originario della psiche e della consapevolezza di sé. Un muro di puzzle di pezzi colorati, posto dietro l’acquasantiera, simboleggia il confine tra il reale e il grande oltre. All’ingresso della navata centrale si trova un totem cruciforme composto da pezzi di puzzle trasparenti realizzati con plexiglas riciclato. Come una grande reliquia moderna, il totem è una propaggine degli dèi, antenati, saggi e indovini che regna-
no in un’altra dimensione e che attraverso di esso scelgono di comunicare con noi. Tra un pezzo e l’altro del totem, sono incisi a caratteri gotici i versi della prima quartina delle Corrispondenze di Charles Baudelaire: «La Natura è un tempio dove colonne viventi/Talvolta lasciano uscire confuse parole;/l’uomo vi passa attraverso foreste di simboli/che l’osservano con sguardi familiari». M.M.
The dreamer ENG
The Soothsayer is a symbolic, metaphorical journey inspired by the character in Shakespeare’s Julius Caesar that forewarned the emperor of his murder, but was not believed and called a ‘dreamer’. Lebanese-Canadian artist Mouna Rebeiz (1957) uses the concept of premonition to question the unlikely meeting point between artificial intelligence and the future of humankind. Three pieces converse – symbolically, metaphorically – in what is a kind of majestic performance art set composed of revisited Major Arcana, a jigsaw puzzle, and an abstract totem sculpture. Mouna Rebeiz. The Soothsayer 23 aprile-27 novembre St. George Anglican Church, Campo San Vio, Dorsoduro mounarebeiz.com
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arte
IN THE CITY NOT ONLY BIENNALE
Dipinto con la luce
Fondazione Wilmotte in collaborazione con Galerie RX, presenta Light of Grey/View of Venice, la città vista dall’obiettivo di Bae Bien-U (1950), tra i più stimati artisti contemporanei sudcoreani. Quindici fotografie in bianco e nero, inserite in una scenografia disegnata dallo stesso Bae Bien-U, offrono un’originale percezione della laguna, indagando l’origine stessa di Venezia. Gli scatti inediti, frutto di quattro stagioni trascorse in città, catturano il “cupo calore” della natura e dei vicoli, ricostruendo i percorsi della laguna e passando per “maree fangose” e “colonne d’acqua”. Bae Bien-U, si forma come pittore per poi appassionarsi alla fotografia negli anni ‘70, definisce il suo lavoro come “dipinto con la luce”. Legato alla fotografia analogica e allo sviluppo tradizionale tramite camera oscura, Bien-U espone in questa mostra soltanto opere prodotte a mano. La rigorosa fisicità della fotografia non rappresenta solo la realtà spaziale ed estetica di Venezia, ma enfatizza anche la proiezione che eccede i limiti dei suoi orizzonti culturali. “I am one who runs away; I hide in the landscape.” Beu Bien-U (b. Yosu, South Korea, 1950) spent the last four seasons in Venice to “paint with light” – or, in other words, to photograph. “What I want to capture with my [film] camera is the dark warmth of nature and its little alleys, including the landscape of mud and water of the Venetian Lagoon.” Light of Grey, curated by Jean-Michel Wilmotte, is a collection of fifteen pictures from the View of Venice series. Bae Bien-U Light of Grey/View of Venice 21 aprile-27 novembre Fondation Wilmotte Gallery, Cannaregio 3560 www.fondationwilmotte.com
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Tre volte sette
La Fucina è un’antica fonderia in disuso, divenuta ora la sede di Sumus, fondazione creata nel 2020 per forgiare idee e progetti innovativi e futuristici con al centro Venezia, luogo cardine del futuro. È From Chaos to Harmony la prima mostra presentata da Sumus, che esplora il potenziale trasformativo dell’arte nel risvegliare le nostre coscienze attraverso le opere di tre artisti internazionali: VAL – Valérie Goutard, Sébastien Lilli e Brigitte Moreau Serre. Basandosi sulla ricca simbologia che sta dietro al numero 7 - sono 7 infatti i gradi di coscienza, i cieli e le tappe del cammino dell’iniziazione –, i tre artisti propongono tre opere diverse e complementari che affrontano le sfere del cuore, della mente e del corpo. La Fucina is an old disused foundry and is now the headquarters of Sumus, a foundation created in 2020 to build innovative ideas and projects for the future of Venice. From Chaos to Harmony explores the transformative potential of art in awakening our consciences through the works of three international artists: VAL - Valérie Goutard, Sébastien Lilli, and Brigitte Moreau Serre. The exhibition is based on the rich symbology behind the number 7: The three artists offer us three different and complementary illustrations that address the heart, mind, and body with a recurring presence of the number 7.
From Chaos to Harmony Independent Project by SUMUS 9 aprile-17 luglio La Fucina del futuro Calle S. Lorenzo, Castello 5063B sumus.community
Buon compleanno KUB!
Per i primi mesi di Biennale Arte, la storica Scuola di San Pasquale diventa l’avamposto della Kunsthaus Bregenz, il Centro d’arte contemporanea diretto da Thomas D. Trummer e progettato dall’architetto Peter Zumthor, un bellissimo cubo di luce. La presenza a Venezia è l’occasione per l’Istituzione culturale austriaca per festeggiare i primi 25 anni di intensa attività nel contemporaneo, creando un hub dove artisti, curatori, critici e pubblico si confronteranno sui temi attuali. KUB Venice, questo il nome del progetto, ha scelto Anna Boghiguian e Otobong Nkanga, attualmente in mostra a KUB, come testimoni dell’ideale ponte Bregenz-Venezia con opere originali e diversissime: un monumentale arazzo scintillante Otobong Nkanga crea una vista sul mare profondo, manifestando la preoccupante crisi ambientale; mentre una sottile denuncia contro i conflitti sociali e politici viene resa da Anna Boghiguian con una bizzarra e al contempo straordinaria partita a scacchi su larga scala. To celebrate their twenty-five years of business, Kunsthaus Bregenz opened a temporary hub dedicated to modern art and mutual dialogue among artists. Anna Boghiguian and Otobong Nkanga, whose art is currently exhibited at KUB, are the grantors of this ideal Bregenz-Venice bridge with two original and quite different pieces of art. The monumental, sparkling tapestry by Otobong Nkanga creates a view on the deepest sea, showing worry about environmental crises. Anna Boghiguian denounces social and political conflicts using a strange, yet extraordinary giant-sized chessboard. KUB in Venice. Otobong Nkanga & Anna Boghiguian 20 aprile-4 luglio Scuola di San Pasquale, Castello 2786 www.kunsthaus-bregenz.at
So frail, so human
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Così fragile, così umano Sabine Weiss, la coesione emotiva dello scatto L’ultima mostra ai Tre Oci, dando significato all’aggettivo sia in ordine cronologico che letterale, è dedicata alla fotografa Sabine Weiss, nata in Svizzera nel 1924 e naturalizzata francese fino alla morte, che l’ha colta a 97 anni il 28 dicembre 2021 a Parigi. Va detto subito che ci sarà una nuova sede per le mostre di fotografia a San Giorgio, mantenendo viva la programmazione, la qualità e il prestigio delle rassegne fotografiche che dal 2011 hanno saputo conquistare un pubblico sempre più consistente, facendo diventare i Tre Oci uno dei luoghi riconosciuti per la fotografia in Italia. Ci sarà, dunque, solo uno ‘slittamento’ sulll’Isola successiva e adiacente, una fermata in più di vaporetto o una di meno, dipende da dove si parte. Sabine Weiss ha collaborato fino all’ultimo nella preparazione di questa mostra, la più importante retrospettiva mai realizzata, aprendo i suoi archivi personali, conservati a Parigi, per raccontare la sua straordinaria storia e presentare il suo lavoro in maniera ampia e strutturata. Curata da Virginie Chardin, la mostra offre oltre duecento scatti che coprono un arco temporale che va dagli esordi nel 1935, fino agli inizi del 2000. Così la curatrice ne scrive sul catalogo, edito da Marsilio Arte: «Fin dai suoi primi esperimenti personali, Sabine Weiss è attratta dagli ambienti notturni, da bambini e anziani, i clochard, la solitudine, la povertà, lo spettacolo della strada. Indirizza subito la sua attenzione verso il corpo, i gesti, le emozioni e i sentimenti dell’altro, soprattutto quando è fragile. Per questo è rapidamente associata a quella scuola definita umanista, nella quale si riconosce volentieri. Anche se i suoi soggetti sono spesso vicini a quelli di Doisneau, Ronis o Izis, nel suo caso non si può parlare di presa di posizione militante né di denuncia politica». Weiss non costruisce le sue immagini come un dipinto o una scena, le sue inquadrature discendono da un’esperienza intima, uno slancio spontaneo e intuitivo verso il soggetto. Modesta com’è «non è particolarmente interessata a vedere gli ingrandimenti del suo stesso lavoro», testimonia il marito Hugh. «Per lei, la cosa più importante è l’eccitazione che prova nel momento in cui scatta una serie di immagini. Ciò che le sta più a cuore è questa coesione emotiva tra lei e i suoi soggetti [...] Che fotografi un abito di Dior o una banda di ragazzini, quello che conta per lei è il fatto di affrontarli, e il controllo di tutti gli elementi dell’immagine. A un certo punto questi elementi, la sua macchina, e lei stessa sembrano fondersi».
The ongoing exhibition at Casa dei Tre Oci, a location that quickly grew to be a reference point for photography installations in the country, is dedicated to photographer Sabine Weiss. Weiss was born in Switzerland in 1924 and later moved to France, where she became a citizen and lived until her death at 97 on the last December 28. She worked on the production of the exhibition herself until the end, for this is the largest retrospective ever produced on her thanks to access to her personal archives in Paris. We will be able to partake in her extraordinary story thanks to an ample, orderly presentation curated by Virginie Chardin. The exhibition includes over 200 pictures that cover a timeframe starting in 1935 all the way to early 2000. In Chardin’s words, from the official catalogue: “Since her first experimentations with photography, Sabine Weiss has been attracted to night time, to the children and the elderly, to homelessness, solitude, poverty – the show of the open highway. She directed her attention to the body, to gestures, to the emotion and feelings of the other, especially when the other is frail. For this reason, she became quickly associated to the so-called humanist photography movement, and she is glad she was. Even though her subjects are often close to those of Doisneau, Ronis, or Isiz, in her case we cannot speak of militant activism or public denounciation.” Weiss does not frame her photographs as a painting, or a scene – her pictures are born of an intimate experience, an instinctive impulse towards the subject. Her husband, Hugh, remembers how she was a modest person, “not particularly interested in seeing enlargements of the pictures she took. For her, what was most important was the excitement she felt as she took her pictures. What she cared about the most is the emotional togetherness between her and her subjects […] whether she was taking a picture of a Dior model or a gang of kids, what counted for her was the fact that she faced them and confronted them, and controlled the elements of the picture, becoming one with the camera.” Sabine Weiss. La poesia dell’istante Fino 23 ottobre Casa dei Tre Oci, Giudecca 43 www.treoci.org
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arte
IN THE CITY VENICE PHOTO FESTIVAL
Lezioni di sguardi L’isola di San Servolo si prepara a ospitare la terza edizione di VIP, Venezia International Photo Festival, dal 7 al 10 aprile, l’evento lagunare interamente dedicato alla formazione fotografica. Un vero e proprio campus con 18 maestri della materia a condurre workshop tramite lezioni teoriche, conferenze ed esercitazioni. Venezia, in virtù dei suoi contrasti, si presta ad essere immortalata sia da professionisti che da principianti, entrambi inclusi nell’iniziativa. La grande novità di questo anno sono i corsi flash della durata di 24 ore, tenuti da Oliviero Toscani, indiscussa forza creativa dietro alcuni dei più grandi marchi al mondo, Serge Ramelli e Laurent Dequick, entrambi legati alla fotografia urbana. Il paesaggio sarà centrale nelle lezioni di Thibaud Poirier, attento osservatore della bellezza e dell’energia dell’architettura cittadina, e Ludwig Favre, concentrato su edifici e vedute tipicamente americane. Parteciperà anche il filantropo idealista Reza Deghati, noto soprattutto per i suggestivi scatti realizzati per National Geographic. Utilizzeranno il set ideato per l’evento i professionisti di moda e ritratto, Vincent Peter, Nicolas Guerin, entrambi dalla lente cinematografica; Ann Ray artista visiva, per anni collaboratrice di Lee Alexander McQueen; Julien Mignot, ricercatrice d’intimità nel soggetto; e Sylvie Lancrenon, con la finezza e la precisione che caratterizzano la sua tecnica. Spazio ai discorsi sociali con la guida del giornalista e ritrattista Settimio Benedusi insieme ed Eric Bouvet, occhio narrante di società e conflitti contemporanei. Olivier Lavielle distaccato dall’estetica di questi anni trasmetterà la sua passione per le composizioni dinamiche della vecchia Hollywood. Il fotoreporter in bianco e nero Alan Schaller e François Vogel introdurranno gli iscritti all’alterazione del reale tramite la camera. Anche Fogetmat porterà fotografi e aspiranti tali a sfidare il convenzionale così come Laurent Baheux, esperto di wildlife. .
© Forgetmat
© Eric Bouvet
San Servolo Island, just south of St. Mark’s, is getting ready to house the third edition of the Venice International Photo Festival, due April 7 to 10. The event is a campus-style workshop programme featuring eighteen teachers, including Oliviero Toscani, who will host 24-hourlong flash courses. Landscape is central in master classes by Thibaud Poirier, a refined observer of the beauty and energy of urban architecture, and Ludwig Favre, whose main interest is chiefly American buildings and views. Another participant is idealist philanthropist Reza Deghati, of National Geographic fame. Professional fashion and portrait photographers Vincent Peter, Nicolas Guerin, and Sylvie Lancrenon will make use of the sets that are being installed presently, while Settimio Benedusi and Eric Bouvet will use photography to further social discourse. Olivier Lavielle holds old Hollywood dear. Alan Schaller and François Vogel will show us how reality can be easily altered in photo features. VIP. Venezia International Photo Festival 7-10 aprile Isola di San Servolo www.veneziaphoto.org
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© Ann Ray
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KAETHE KAUFFMAN
YO G A : I N T E R I O R E E T E R N O
VEDUTE PA L I N S E S T I
CASTELLO 925 Fondamenta San Giuseppe Sestiere Castello, 925 30122 Venezia +39 348 410 8263
MARTIN WEINSTEIN April 20 - July 10, 2022
CASTELLO 780
Fondamenta San Giuseppe Sestiere Castello, 780 30122 Venezia + 39 342 947 5913
BOBBIE MOLINEKRAMER POWER OF ONE
July 15 - November 13, 2022 72
CASTELLO 925 Fondamenta San Giuseppe Sestiere Castello, 925 30122 Venezia +39 348 410 8263
A R T I F I C I A L C R E AT U R E S
ANTONIO PAUCIULO
April 20 - July 10, 2022
arte IN THE CITY GALLERIES
193 GALLERY ALDO CHAPARRO + ALIA ALI … or was it a dream? 22 aprileApril-22 giugnoJune
193 Gallery di Parigi nasce nel 2018 da una passione divorante per l’arte, i viaggi, la scoperta. Gli artisti selezionati offrono un’incursione nel mondo dell’arte contemporanea, nei colori di culture e paesi di tutto il mondo. L’indagine della Galleria attraversa infatti i confini per incontrare scene artistiche periferiche ed emergenti. Per la stagione della Biennale di Venezia, 193 Gallery ha aperto una sede alle Zattere, inaugurando la sua presenza in città con la mostra “... or was it a dream?” e il lavoro di due incredibili artisti. Aldo Chaparro è un artista messicano il cui lavoro si concentra sull’uso della scultura e della pittura per esplorare la forma attraverso il vuoto, la materia e il corpo umano. Utilizzando elementi comunemente usati per la costruzione, crea forme in equilibrio manipolando e sottraendo materia. Artista multimediale di origine yemenita, bosniaca, americana, i suoi mezzi di comunicazione privilegiati sono la fotografia, il video e l’installazione. Alia Ali ha viaggiato in più di sessanta paesi, vissuto in sette e cresciuta tra cinque lingue diverse, un background che l’ha portata a elaborare il mondo attraverso esperienze interattive, ma che ha anche sviluppato in lei la convinzione che la traduzione e l’interpretazione della lingua scritta abbia anziché favorito, più spesso svantaggiato le comunità, portando alla minaccia della loro esclusione. Il suo è un linguaggio visivo vibrante che rivela le esperienze che l’hanno plasmata. Zattere, Dorsoduro 556 www.193gallery.com
193 gallery was established in 2018 out of a consuming passion for art, travel, and discovery. Affiliated artists offer a true experience of the colourful world of cultures and countries. 193 Gallery’s team tolerated no clichés, and crosses all borders to get to know local art scenes. Aldo Chaparro is a Mexican artist whose work focuses on the use of sculpture and painting to explore form through void, matter, and the human body. Using elements commonly used for construction, he creates balanced forms by manipulating and subtracting matter. Alia Ali is a multimedia artist of Yemeni, Bosnian, and American descent. She travelled to sixty-seven countries, lived in seven, and grew up being exposed to five languages. Her most comfortable mode of communication is photography, video, and installation art. Her travels have led her to process the world through interactive experiences and the belief that the damage of translation and interpretation of written language penalized communities, rather than benefit them, leading to exclusion rather than understanding. Her visual language vibrates and reveals the experiences that have shaped her.
CASTELLO 780 MARTIN WEINSTEIN Vedute Palinsesti 20 aprileApril-10 luglioJuly
Il paesaggio come soggetto unico e specifico è stato fonte di ispirazione sin dal 1500. Sviluppato prima nei Paesi Bassi per soddisfare un bisogno di arte non religiosa, la pittura di paesaggio è diventato un genere vasto e vitale con molti esempi eclatanti: da John Constable a Vincent van Gogh, da JMW Turner a Claude Monet, fino a Paul Cézanne. Le varianti di genere create nel corso di diverse centinaia di anni sono davvero innumerevoli, tuttavia quella creata da Martin Weinstein è piuttosto originale. A prima vista radicati nella tradizione del paesaggio, i dipinti di Weinstein rappresentano percezioni che insieme diventano una registrazione individuale dello spazio e dell’essere. Le immagini combinate sono infatti dipinte in più sessioni di osservazione e pittura. Lo strato finale, posizionato nella parte posteriore, è un pannello astratto che supporta gli strati realistici sopra, a significare l’ultima inconoscibilità della realtà che è alla base di ogni percezione. Questi fogli multipli di acrilico registrano un periodo di tempo, esperienza e memoria, e riconoscono che tutte queste percezioni sono illusorie. Upon first look, Martin Weinstein’s paintings seem to take their roots in traditional landscape painting, though they depict perceptions that grow into an individual record of space and being. These combined images have been painted over several sessions. The final layer, which ends up on their back, is an abstract panel that acts as the support for the figurative layers on top of it, alluding to the ultimate unknown that is the basis of all perception. These multiple acrylic sheets record a timeframe, an experience, and a memory, and acknowledge that these perceptions are, in fact, illusions. Fondamenta San Giuseppe, Castello 780 www.crosscontemporaryprojects.com
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arte IN THE CITY GALLERIES
CASTELLO 925 BOBBIE MOLINE-KRAMER The Power of One ANTONIO PAUCIULO Artificial Creatures
BEL AIR FINE ART CAROLE FEUERMAN + RICHARD ORLINSKI 20 aprileApril-27 novembreNovember
20 aprileApril-10 luglioJuly
L’artista californiano Bobbie Moline-Kramer presenta un’installazione che abbraccia sia il tempo che lo spazio, combinando i fatti con il misticismo, la mitologia, la matematica e la tecnica tradizionale rinascimentale con la tecnologia di stampa informatica del XXI secolo. Moline-Kramer incide mappe celesti uniche con la stessa precisione con cui le antiche mappe celesti furono preparate e dipinte dai maestri del Rinascimento italiano e olandese. Tuttavia, l’artista non si limita a indugiare nel passato, ma crea un’installazione che impiega una tecnologia all’avanguardia per decostruire i suoi dipinti in strati stampati al computer in 3D. Nel lavoro di Antonio Pauciulo l’atto di dipingere è un processo performativo per creare e distruggere l’immagine, al fine di consentire l’accumulo di immagini impreviste all’interno del dipinto. Un tipo di pittura che è una sorta di “creatura artificiale”. Californian artist Bobbie Moline-Kramer presents an installation that embraces both time and space by combining facts with mysticism, myth with mathematics, and traditional renaissance techniques with modern computer printing. In Antonio Pauciulo’s work, the act of painting is a performative process that creates and destroys the image to allow for more, unaccounted-for images to pile up on the painting. This kind of art is an ‘artificial creature’ of sorts. Fondamenta San Giuseppe, Castello 925 www.crosscontemporaryprojects.com
Carole A. Feuerman, artista americana pioniera dell’iperrealismo, mette in mostra la sua incredibile carriera lunga cinque decenni. Interprete per eccellenza del corpo femminile, Feuerman evoca, attraverso un rinato candore, gli anni della sua infanzia passati a Long Island, così come la sua fascinazione per l’acqua e il nuoto. Le sue nuotatrici, colte nell’attimo di una quiete sospesa che dona alle figure afflato poetico e perfezione contemporanea, mutuano dal passato la forza della bellezza e conservano la proporzione della grande scultura classica. La tecnica di Feuerman è caratterizzata da una perizia senza pari: dalla scelta del modello al primo stampo in silicone, dal primo calco in gesso al massimo meticoloso intervento creativo attraverso l’applicazione delle ciglia, i successivi interventi su piccole rughe, pieghe, lentiggini e gocce d’acqua che scivolano sulla pelle. Un atto continuo che si rigenera ogni volta che le sue opere vengono esposte. An American pioneer of hyperrealist art, Carole Feuerman introduces us to her fivedecade-long career. An exquisite interpreter of the female body, Feuerman evokes the candour of her childhood visits to Long Island and her fascination for water and swimming. Her swimmers, portrayed in a moment of rest that bestow unto them a sense of poetry and modern perfection, adopt aesthetical canons from the past and preserve the proportion of classical sculpture. Chiesa della Pietà Cappella, Riva degli Schiavoni, Castello 3701 Bel Air Fine Art – Venice Calle dello Spezier, San Marco 2765 www.belairfineart.com
Richard Orlinski (Parigi, 1966) attraverso dodici sculture monumentali sublima la realtà per creare opere d’arte vive, belle e senza tempo, capaci di suscitare meraviglia. È nel 2004 che Orlinski decide di dedicarsi completamente all’arte. Intriso di cultura pop, l’artista crea un universo colorato ispirato agli animali più selvaggi e agli oggetti iconici che hanno segnato diverse generazioni. Animato dal desiderio di democratizzare l’arte rendendola accessibile al maggior numero di persone, Richard Orlinski ha superato sé stesso per reinventarsi costantemente. Il suo desiderio di divulgare l’arte si riflette anche nel desiderio di suscitare un’emozione immediata. Lontano dai diktat del mondo dell’arte contemporanea, le opere dell’artista gridano per lui. Richard Orlinski presents twelve monumental sculptures that sublimate reality to create living pieces of art, beautiful and timeless, art to marvel at. Back in 2004, Orlinski decided to dedicate his life to art. Imbued in pop art, the artist created a colourful universe inspired by wild animals and iconic objects that many generations will be familiar with. European Cultural Centre Giardini della Marinaressa, Riva dei Sette Martiri Bel Air Fine Art Gallery Dorsoduro 728 www.belairfineart.com
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arte
GIARDINI DI CASTELLO
STORIES a cura di Camillo Tonini
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er chi si reca alla Biennale, vale la pena consigliare una
passeggiata nella parte dei Giardini di Castello non occupata dai padiglioni d’arte e rimasta aperta al pubblico. L’intero complesso di area verde – circa sei ettari e mezzo – fu voluto da Napoleone e rientra nel Decreto del 7 dicembre 1807 con il quale Venezia, oltre agli effetti di altri importanti provvedimenti economici, sociali e politici, veniva investita da profonde innovazioni urbanistiche, quali la creazione di pubblici giardini. L’intervento più invasivo e costoso risultava quello nella parte orientale della città, che prevedeva l’abbattimento di diversi edifici religiosi per la creazione di un’estesa area verde, raggiungibile dal proseguimento della riva degli Schiavoni lungo la laguna e, dalla parte interna, con il tombamento del rio di Sant’Anna e la creazione della via Eugenia, poi via Garibaldi. Il progetto fu assegnato a Giannantonio Selva, architetto di successo che aveva già dato prova di capacità con la recente costruzione del Teatro la Fenice (1792). Il Selva, come suggerivano i modelli delle grandi capitali europee, consigliato dall’agronomo Pier Antonio Zorzi, ideò il nuovo giardino di gusto neoclassico con la creazione di grandi viali alberati, caffetterie, serre, una montagnola per l’osservazione panoramica e una cavallerizza, per sperimentare così anche a Venezia l’ebbrezza dell’equitazione. Gli imponenti lavori iniziarono nel 1808 e arrivarono a conclusione nel 1810, ma fin dall’inizio non ci fu lo sperato successo che ci si attendeva. Lo spazio verde rimaneva vuoto, quasi deserto. I cittadini veneziani lo sentivano lontano, estraneo alla loro storia e alle loro tradizioni; i forestieri di passaggio, se si allontanavano dal centro, preferivano le escursioni nelle isole lagunari e a Chioggia. Con l’annessione all’Italia (1866) Venezia, da sempre contraria al culto delle personalità ma oramai allineata anch’essa alle tante altre città italiane in questa disposizione, prese a celebrare i protagonisti del Risorgimento, dedicando loro monumenti nelle pubbliche piazze. Si iniziò col celebrare innanzitutto i campioni locali: Daniele Manin in campo San Paternian (1875) e, qualche anno più tardi, Niccolò Tommaseo in campo Santo Stefano (1882). L’opera più invasiva e costosa fu dedicata, ad ogni modo, nel 1887 a Vittorio Emanuele II, ritratto nel bronzo da Ettore Ferrari a cavallo sulla riva degli Schiavoni. Nello stesso anno, a compensare l’eccessivo ossequio verso i Savoia, un Comitato di fede repubblicana affidò allo scultore veneziano Augusto Benvenuti la realizzazione di un monumento all’eroe nazionale Giuseppe Garibaldi, per il quale dalla Municipalità fu concessa un’area nel sestiere popolare di Castello, all’accesso interno dei Giardini, lontano dal centro storico e fuori dagli itinerari d’arte dei forestieri. L’eroe è ritratto, oramai vecchio, mentre volge lo sguardo all’orizzonte, posto sopra massi rocciosi che alludono all’Isola di Caprera. Ai piedi, di schiena, rivolto al viale alberato verso la laguna, la figura di un giovane garibaldino che propone lo stesso modello usato da Benvenuti per il soldato del vicino Monumento all’esercito (1885) a memoria dei soccorsi militari portati al Polesine durante le inondazioni del 1882. Ancora nell’intento di riqualificare la zona, durante gli stessi anni l’area dei Giardini fu scelta per ospitare l’Esposizione Artistica Nazionale (1887), manifestazione prodroma di qualche anno alla prima Biennale del 1895. Nell’occasione di quest’ultima si decise di riservare alla nuo76
PANTHEON A CIELO APERTO va istituzione quasi due terzi dell’intera area verde, da allora Giardini della Biennale, così da renderla accessibile entro un recinto ai soli visitatori delle mostre d’arte. Quel che rimaneva del giardino sarebbe stato arricchito di nuovi monumenti cittadini a creare una sorta di Pantheon a cielo aperto dove ricordare fatti storici, glorie militari e personalità della cultura che la realtà contemporanea imponeva. Tale proposito non fu però subito intenzionale e programmato con preveggente coerenza. Sta di fatto che il repertorio di monumenti oggi presenti ai Giardini di Castello scandisce le fondamentali tappe del gusto e del sentimento nazionale entro l’arco temporale in cui furono realizzati e permette di leggere l’evoluzione, seppur parziale, dell’arte scultorea pubblica tra Otto e Novecento. Passiamoli in rassegna. È del 1903, a due anni dalla sua morte, l’omaggio bronzeo a Riccardo Selvatico, opera dello scultore Pietro Canonica. Poeta e commediografo, già Sindaco di Venezia, l’ideatore della prima Biennale viene ritratto a mezzo busto in un enigmatico e inquieto atteggiamento pensieroso. Segue di due anni l’effige scolpita in pietra del veneziano Francesco Querini, morto tragicamente nella spedizione della Stella Polare al Polo Nord. L’esploratore è colto con tratti di accentuato verismo dallo scultore triestino Achille Tamburlini a figura intera, con accovacciati tra le gambe due cani da slitta. Tra il 1908 e il 1910 vengono scoperti i busti dei campioni della musica lirica ottocentesca a pochi anni dalla loro morte: il primo, Richard Wagner, ritratto dallo scultore tedesco Fritz Schaper; il secondo, l’energico e familiare volto di Giuseppe Verdi, scolpito dal bellunese Girolamo Bortotti. A figura intera è il possente monumento a Gustavo Modena (1910), attore e patriota nato a Venezia, interprete instancabile della tradizione teatrale italiana, qui ritratto da Carlo Lorenzetti, gloria della scultura locale, nell’atto di declamare versi. Completa la teoria di opere in onore di importanti personaggi della cultura l’aulico e assai retorico monumento di Annibale De Lotto dedicato a Giosuè Carducci (1910), rappresentato in busto sopra una stele con alla base un’aquila ad ali spiegate. La Grande Guerra interromperà bruscamente questa sequela progressiva di celebrazioni ad arte. Non vi è né tempo né umore per erigere nuovi monumenti e la sola preoccupazione è proteggere dai bombardamenti aerei quelli già presenti ed esposti in città. Con la ritrovata pace del 1918 apparve impellente affidare alla materia scolpita il compito di riconoscenza verso coloro che la guerra l’avevano vissuta e l’avevano anche vinta. Così i Giardini si popolano di
personaggi della storia militare. Il busto di Guglielmo Oberdan (1921), patriota irredentista, opera anche questa di Annibale De Lotto, viene collocata nel lembo più orientale dell’area verde, entro una cancellata in ferro battuto di Umberto Bellotto dagli artistici rimandi simbolici. All’altro lato verso Oriente nel 1929 viene invece collocata la Colonna della Vittoria ai marinai italiani della Grande Guerra, qui trasportata da Pola, originariamente dedicata nel 1867 da ufficiali austriaci all’Arciduca Massimiliano d’Austria per la vittoria di Lissa. Emblematico esempio, ricorrente nella storia, di come uno stesso monumento in diversi momenti possa servire alla celebrazione di personaggi e fatti addirittura conflittuali tra loro. Inequivocabile, invece, il significato che si volle attribuire in piena epoca fascista (1932) al busto di Pier Luigi Penzo, opera ancora giovanile di Francesco Scarpabolla. L’aviatore, già distintosi nella Grande Guerra, fu mandato in soccorso dei superstiti della Tenda Rossa scampati al tragico epilogo del dirigibile Italia. Morirà poi in Francia nel 1928 in un incidente di volo. Ancora a una figura della Grande Guerra e ancora di Francesco Scarpabolla è il busto che ritrae il generale Giorgio Emo Capodilista, che a Pozzuolo del Friuli si trovava al comando dell’ultima carica di cavalleria per contrastare l’avanzata delle truppe avversarie dopo Caporetto. Fuori da intenti celebrativi e di altra epoca, ma meritevole di essere comunque segnalato, dello scultore Antonio Guicciarelli è il gruppo marmoreo di Minerva sul leone, che nel 1830 era stato posto a coronamento della facciata dell’Accademia di Belle Arti. Di lì fu rimosso nel 1939 e trasferito in uno degli angoli più ombrosi e oscuri dei Giardini, quasi a volergli negare visibilità. Alla fine della Seconda Guerra si dà il via alla doverosa riconoscenza verso coloro i quali più di tutti l’avevano sofferta, con monumenti non più dedicati a singole persone ma destinati a rinnovare memorie collettive. Del 1951 è la lastra marmorea con altorilievo a ricordo delle Vittime e dei reduci di prigionia, opera di Angelo Franco, allievo del Lorenzetti, presente con altre sculture in città e al cimitero di San Michele. Del 1969 è invece la scultura bronzea con la Partigiana di Augusto Muner, adagiata su un basamento che affiora dalla laguna progettato con la conosciuta genialità da Carlo Scarpa. A più di cinquant’anni dall’inaugurazione, oltre a ricordare ancora i valori della Resistenza, quest’opera, invasa dalle alghe per l’innalzamento del livello delle acque, costituisce oggi preoccupata memoria e induce alla riflessione sulla fragilità e la precarietà della città che la ospita. Anche a questo servono i monumenti. 77
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reportage
FATTORE UMANO LIVING TREASURES IL RACCONTO DI GENJI BURNING FALLS MAESTRI E ARTIGIANI
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a cura di Mariachiara Marzari
homofaber
Intervista Alberto Cavalli direttore della Michelangelo Foundation e coordinatore del progetto Homo Faber
FATTORE UMANO Aprile sold out! A poche settimane dall’apertura della Biennale Arte, la città riparte ad altissima intensità con l’attesissima seconda edizione di Homo Faber, straordinaria, poliedrica kermesse dedicata ai mestieri dell’artigianato organizzata da Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship, in partnership con Fondazione Giorgio Cini, Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, Japan Foundation e Fondation Bettencourt Schueller. Un’edizione che dà già i numeri: 15 mostre, ognuna dedicata ai più raffinati esiti dei linguaggi dell’alto artigianato, ideate da un team di 22 designer, curatori e architetti di fama internazionale, per quasi 4.000 metri quadri espositivi, che coinvolgono dal 10 aprile al primo maggio l’intera Isola di San Giorgio Maggiore, ‘occupando’ luoghi normalmente inaccessibili ai visitatori dell’isola quali la Biblioteca del Longhena e la Piscina Gandini, oppure ancora spazi appositamente restaurati e aperti al pubblico per la prima volta, come l’ex Scuola Nautica e la Sala Messina. Esposizioni, installazioni, lavorazioni dal vivo e workshop che presentano il lavoro di grandi maestri europei e dei “Tesori Nazionali Viventi” giapponesi, nonché un fitto programma di visite a Venezia grazie al progetto Homo Faber in Città: oltre 60 botteghe, istituzioni attive nei mestieri e manifatture da scoprire. Homo Faber: Crafting a more human future. Living Treasures of Europe and Japan costituisce un’esperienza coinvolgente capace di restituire una visione spettacolare e senza eguali dell’artigianato d’eccellenza contemporaneo, disegnando un ponte tra tradizione e futuro al fine di valorizzare un concetto di “craft” inclusivo, trasversale alle più varie discipline artistiche ed artigianali.
Homo Faber 2022 10 aprile-1 maggio Fondazione Cini Isola di San Giorgio Maggiore e in città homofaber.com
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l’eccellenza delle opere esposte, afferma però un proprio tratto inconfondibile. Ogni mostra è una scoperta, che consente ai visitatori di entrare in profondità nelle specifiche, difformi tematiche affrontate. Ciò detto, è al contempo indiscutibile che tutta Homo Faber sia percorsa da una certa “aria di famiglia”, che permette alle diverse visioni di formare un caleidoscopio davvero affascinante, avente al suo centro il talento degli artigiani.
Photo Laila Pozzo © Michelangelo Foundation
A
bbiamo incontrato Alberto Cavalli, direttore
della Michelangelo Foundation e coordinatore del progetto Homo Faber.
Partiamo dai fondamentali costitutivi di questo multiforme progetto: quale la definizione di arti applicate e decorative? E quale l’evoluzione contemporanea del concetto di artigianalità? Ci sono valori che da sempre contraddistinguono il concetto di “artigianalità” così come la Michelangelo Foundation lo intende: uno straordinario talento nella trasformazione creativa della materia, un rapporto profondo con il territorio, il perseguimento di una originalità e di una forte autenticità, la grande competenza in ogni fase del processo. Questi valori non sono mutati con lo scorrere del tempo, ma hanno certamente conosciuto delle evoluzioni che hanno permesso al lavoro dei maestri artigiani di rimanere sempre contemporaneo e suggestivo. Oggi, poi, a questi valori si associano delle considerazioni, delle riflessioni ancora più attuali, vedi in primis, per esempio, il tema della sostenibilità. Il lavoro dei maestri d’arte si svolge necessariamente su scala più “umana” e, dunque, più vicino a un ideale rispetto dei valori ambientali e sociali. Le arti applicate e decorative sono oggi più che mai un’espressione di progettualità, talento e consapevolezza, dando valore e significato a tutte le discipline in cui l’unicità contribuisce alla bellezza. Homo Faber torna con un’edizione allargata, coinvolgendo 22 designer e curatori in 15 distinte mostre distribuite in tutta l’Isola di San Giorgio. Quali parametri ha posto per lo sviluppo di ogni singolo progetto nel quadro generale della manifestazione? Quale il fil rouge che lega i singoli progetti tra loro e quali, invece, le specificità che le molteplici esperienze e visioni dei curatori restituiscono al pubblico attraverso i singoli progetti espositivi? Lo straordinario team di curatori e progettisti che ha dato vita alle 15 mostre di Homo Faber ha espresso punti di vista davvero molteplici, aiutandoci a osservare il mondo dei mestieri d’arte e della creatività da prospettive inedite. Questo, a nostro avviso, è uno dei dati identitari più rilevanti di Homo Faber. La diversità e la ricchezza del lavoro degli artigiani sono state espresse molto bene in ogni singola mostra, ciascuna delle quali, pur legandosi le une alle altre per i valori e per
Un focus speciale è dedicato ai maestri d’arte giapponesi e al loro ancestrale savoir-faire. Quali i motivi di questa scelta e quali gli elementi specifici della loro arte? Sin dal 1950 in Giappone coloro che esprimono al massimo grado competenza e talento nelle arti tradizionali (che siano performative o applicate) sono nominati “Tesori Nazionali Viventi”. Questa idea, ossia che degli esseri umani siano talmente preziosi da essere considerati proprio ufficialmente dei “tesori”, ci ha davvero molto affascinato. Abbiamo voluto così celebrare la maestria artistica giapponese con due mostre ad essa dedicata e con molti riferimenti culturali presenti in altre esposizioni. Desideriamo invitare i visitatori a cercare, anche nei nostri paesi, gli equivalenti di questi “tesori viventi” che ogni giorno, nei loro atelier, celebrano il rito del bello e del ben fatto. L’Isola di San Giorgio e la Fondazione Cini sono naturalmente protagonisti “strutturali” assoluti del progetto, grazie innanzitutto alla magnificenza degli spazi monumentali messi a disposizione, ma anche grazie alla messa a disposizione di altri spazi per così dire più ‘normali’ trasformati da voi in luoghi inediti e sorprendenti, vedi il recupero della piscina dismessa. Quale effettivo legame si è instaurato, in tutte le sue varie valenze, tra Homo Faber e San Giorgio? Vi è una prospettiva di sviluppo ancor più strutturato per Homo Faber e Michelangelo Foundation in termini di permanenza continuativa nell’Isola? Fu Cesare De Michelis che ci propose di visitare la Fondazione Giorgio Cini, che a suo parere sarebbe stato il partner perfetto per Homo Faber. E naturalmente aveva ragione. La Fondazione Giorgio Cini è un’istituzione culturale internazionale di primissimo livello, che da sempre persegue importanti obiettivi educativi e artistici. I suoi spazi, così autentici e articolati, si prestano perfettamente alla narrazione del lavoro degli artigiani e contribuiscono in maniera importante all’approccio creativo dei curatori. Un luogo come la Fondazione racchiude tesori di conoscenza e bellezza che, con Homo Faber, desideriamo contribuire a valorizzare. Lo straordinario entusiasmo con cui i collaboratori di questa venerabile istituzione ci hanno accolti rende inoltre questa esperienza di partnership davvero unica. La mia speranza di curatore è che questo bellissimo rapporto prosegua anche nel futuro. Il coinvolgimento di Venezia, dei suoi artigiani e delle botteghe: quale il progetto di Homo Faber sulla città? Venezia è da sempre un luogo in cui si creano oggetti meravigliosi. Qui l’arte, i mestieri, il commercio, l’investimento sul bello hanno dato vita a un contesto unico al mondo. Venezia è ancora animata da una forte energia artigianale; con il progetto Homo Faber in Città abbiamo quindi voluto invitare tutti i visitatori ad andare a scoprire una Venezia diversa, recandosi a visitare atelier, botteghe, gallerie, collezioni legate alla cultura dei mestieri d’arte. Dove ogni giorno, con coraggio e competenza, si crea bellezza. 81
15 exhibitions, 22 curators and designers Isola di San Giorgio Maggiore
LIVING TREASURES 15 esposizioni, 22 curatori e designer, 12 Tesori Nazionali Viventi del Giappone, oltre 400 oggetti unici, realizzati da oltre 350 designer e artigiani, provenienti da oltre 30 paesi. REFETTORIO PALLADIANO
homofaber
IL GIARDINO DELLE 12 PIETRE CURATORS_ Naoto Fukasawa, Tokugo Uchida EXHIBITORS_Imaemon Imaizumi XIV, Zenzo
Fukushima, Kunihiko Moriguchi, Sonoko Sasaki, Kazumi Murose, Isao Onishi, Yukie Osumi, Noboru Fujinuma, Komao Hayashi, Jun Isezaki, Takeshi Kitamura, Kenji Suda Un giardino di oggetti-capolavoro realizzati da 12 “Tesori Viventi Nazionali” del Giappone, maestri artigiani le cui abilità tradizionali sono apprezzate come parte integrante del patrimonio culturale del loro Paese. Le opere sono esposte su 12 blocchi a forma di pietra. Grazie a dei brevi filmati è possibile ammirare i processi di lavorazione impiegati dai maestri che hanno realizzato a mano questi pezzi eccezionali. A garden of meaningful objects designed by 12 Japanese National Living Treasures, whose traditional skills are prized in Japan as integral to its cultural heritage. The artworks are simply displayed on 12 blocks shaped as stones. Short films provide an insight into the working processes of the masters who handcrafted these exceptional pieces. ENG
BELLEZZA IN FIORE CURATORS_ Fondazione Michelangelo, Sylvain Roca, Venini EXHIBITORS_Satoshi Kawamoto, Gregor Lersch, Mantas Petruskevicius, Daniele Santamaria, Nikki Tibbles, Pepe bianco
Venini ha collaborato con dieci flower-designer internazionali alla creazione di una serie di vasi originali, impiegando le tecniche antiche della lavorazione del vetro. Gli stessi 82
designer hanno poi realizzato delle splendide composizioni floreali. Il risultato è un suggestivo giardino che offre un’immersione sensoriale grazie a un coinvolgente video, diretto dal regista Olivier Brunet, e a una colonna sonora, composta dal francese Christian Holl. ENG Venini collaborated with ten international flower designers to create a series of original vases using ancient glassmaking techniques. Those same floral artists then created special bouquets to enhance the beauty of these delicate glass vessels. The result is a stunning display demonstrating the fine craftsmanship involved in both glassmaking and floral art.
DETTAGLI: GENEALOGIE DELL’ORNAMENTO CURATOR_ Judith Clark EXHIBITORS_ Alaia, A. Lange
& Söhne, Acquaflor, Buccellati, Cartier, Chiso, Dolce Gabbana, Ermete, Jaeger-LeCoultre, Maison Lemarié, Piaget, serapiano, Vacheron Constantin in collaborazione con il Museo del Louvre, Van Cleef & Arpels, YOOX NET A PORTER GROUP & The Prince’s Foundation Maestri artigiani di 15 maison di lusso lavorano dal vivo, mostrando i passaggi necessari per creare pezzi unici e dimostrando come tradizioni specifiche, tramandate di generazione in generazione, informino il modo in cui questi maestri lavorano oggi. ENG Master artisans from 15 luxury maisons working live in studio spaces, demonstrating the steps necessary to create unique pieces, and understand how specific traditions, handed down from generation to generation, inform how these masters work today.
DARSENA
EILEAN CURATOR_ Panerai Leggendario yacht del 1936 sapientemente restaurato da maestri artigiani italiani. Eilean (“piccola isola” è il significato gaelico) è un bellissimo ketch bermudiano con una grande storia: la sua nascita in Scozia nel 1936 per mano di leggendari costruttori di barche, il suo periodo di massimo splendore come yacht charter nei Caraibi e la sua caduta in rovina, prima di essere salvato e riportato al suo antico splendore. È possibile salire a bordo e ammirare la bellezza del suo design originale, la qualità dei materiali e la meticolosa perizia dei maestri artigiani italiani che gli hanno donato una nuova vita. ENG Legendary 1936 yacht expertly restored by Italian master artisans. Eilean (“little island” is the Gaelic meaning) is a beautiful Bermudan ketch with a big history. She was launched in Scotland in 1936, spent her heyday as a charter yacht in the Caribbean and and then fell into disrepair, before she was rescued and restored to her former glory. Come on board and discover the beauty of her original design, see the quality of her materials and the meticulous craftsmanship of the Italian master artisans who brought her back to life.
ITALIA E GIAPPONE: LE RELAZIONI MERAVIGLIOSE CURATOR_ Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte Un affascinante viaggio alla scoperta del talento, dell’originalità e della fertilità di un potente dialogo tra due culture, fondato sulla bellezza della conoscenza e dell’artigianato. Una selezione di maestri artigiani italiani contemporanei designati MAM (Maestro d’Arte e Mestiere, l’equivalente dei Tesori Viventi Nazionali del Giappone) rendono omaggio al dialogo continuo tra Italia e Giappone. Le loro squisite opere d’arte si ispirano a motivi decorativi, tecniche, materiali e approcci formali giapponesi, abilmente interpretati in nome dell’eccellenza (qualcosa chiamato “makoto” dai maestri giapponesi). Attraverso maschere di cartapesta, argenteria, gioielli, vetreria, mosaici, sculture in metallo, sculture in legno e molto altro, questi artigiani onorano uno scambio culturale che risale a cinque secoli fa e si rinnova giorno dopo giorno. A fascinating journey to discover the talent, originality and fertility of a powerful dialogue between two cultures, founded on the beauty of knowledge and craftsmanship. ENG A selection of contemporary Italian master artisans designated MAM (Maestro d’Arte e Mestiere, the equivalent of Japan’s National Living Treasures) pay tribute to the ongoing dialogue between Italy and Japan. Their exquisite artworks are inspired by Japanese decorative motifs, techniques, materials and formal approaches, skilfully interpreted in the name of excellence (something called “makoto” by Japanese masters). Through papier-mâché masks, silverware, jewellery, glassware, mosaics, metal sculptures, woodcarvings and much more, these artisans honour a cultural exchange that stretches back five centuries and still renews itself day after day.
Photo Laila Pozzo © Michelangelo Foundation
MAGNAE CHARTAE CURATOR_ Michele de Lucchi Come una tela bianca, la carta fornisce uno sbocco creativo per scrittori, artisti e creatori che la trasformano in opere d’arte sofisticate, utilizzando strumenti semplici o solo la mano umana. Dagli intricati ritagli di carta in miniatura alle affascinanti sculture fatte di migliaia di strisce di carta, alle ciotole di cartapesta realizzate con le pagine di vecchi libri fino alle complesse figure di origami: la mostra celebra la diversità e la versatilità della carta e la creatività, l’abilità e l’immaginazione di artigiani contemporanei provenienti da tutta Europa, ospitati in una stanza progettata con fantasia da Michele De Lucchi e dal suo studio. ENG As a blank canvas, the paper provides a creative outlet for writers, artists and creators who transform it into sophisticated artworks using simple tools or just the human hand. From intricate miniature paper cuttings to mesmerizing sculptures made of thousands of strips of paper, this exhibition celebrates the diversity and versatility of paper, and the creativity, skill and imagination of those artisans who choose to work with it. Be amazed by the skill and talent of contemporary paper artisans from all over Europe in a room imaginatively designed by Michele De Lucchi and his studio
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homofaber ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE EXHIBITIONS
GESTI MAGISTRALI CURATOR_ Fondazione
Michelangelo
In uno spazio trasformato in laboratorio artigianale, maestri artigiani selezionati provenienti da Francia e Regno Unito dimostrano le loro antiche abilità e la loro destrezza a giovani talenti. Gli artigiani rappresentano due organizzazioni impegnate a difendere e riconoscere l’artigianato: il French Savoir Faire Institute (Institut National des Métiers d’Art, INMA) in Francia e il Queen Elizabeth Scholarship Trust (QEST) nel Regno Unito, entrambi impegnati a promuovere artigianato e tramandare mestieri tradizionali e rari alle generazioni future. ENG Step into a space transformed into an artisan workshop, selected master craftspeople from France and the United Kingdom create exquisite work right in front of young talents. The artisans represent two organizations committed to defending and acknowledging craftsmanship: the French Savoir Faire Institute (Institut National des Métiers d’Art, INMA) in France, and the Queen Elizabeth Scholarship Trust (QEST) in the UK, both of whom work to promote craftsmanship and pass on traditional and rare crafts to future generations.
MECCANICHE PRODIGIOSE CURATORS_ Nicolas
Le Moigne, Simon Kidston
In un ambiente coinvolgente e immersivo trova spazio il progetto ambizioso che coinvolge studenti di design dell’ECAL/Università di Arte e Design di Losanna e maestri artigiani della città svizzera di SainteCroix, riconosciuti dall’UNESCO per le loro abilità e tradizioni nel campo dell’arte meccanica. Insieme, questi studenti e maestri hanno creato cinque meravigliose installazioni meccaniche che mostrano i vibranti risultati della condivisione del know-how tradizionale con una giovane generazione. An immersive and interactive exhibition which showcases an ambitious project involving design students from ECAL/ University of Art and Design Lausanne and master artisans from the Swiss town of Sainte-Croix, who are recognized by UNESCO for their skills and traditions in the field of mechanical art. Together, these students and masters have created five truly marvellous mechanical installations which demonstrate the vibrant results of sharing traditional know-how with younger generations. ENG
NEXT OF EUROPE CURATORS_ Jean
Blanchaert, Stefano Boeri
Un viaggio attraverso la ricchezza del patrimonio artigianale europeo, dalla Polonia alla Francia, dall’Italia al Galles, composto in una moderna Wunderkammer con oltre 150 opere d’arte che rivelano l’ampiezza e la profondità del talento e dell’abilità degli artigiani europei. Tutti accomunati dall’urgenza e dall’impegno a trasmettere la loro esperienza alla generazione successiva, i Maestri e i loro apprendisti lavorano dal vivo, dimostrando le abilità che trasformano materiali semplici in opere di squisita bellezza. ENG A Journey through a Continent of craftsmanship, from Poland to France to Italy to Wales, in one room as more than 150 pieces of art, displayed as though in a contemporary cabinet of curiosities, reveal the breadth and depth of talent and skill among
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craftspeople working in Europe today. Discover the richness of Europe’s crafts heritage through this celebration of contemporary master artisans who are not only creating objects of exception but also passing on their precious skills to talented young craftspeople.
SALA BARBANTINI
IL MOTIVO DEI MESTIERI CURATOR_Sebastian
Herkner
Su commissione del designer tedesco Sebastian Herkner, artigiani selezionati da tutta Europa presentano lavori ispirati al motivo ottagonale che decora il sagrato di fronte alla Basilica di San Giorgio Maggiore. Ogni artigiano ha usato tecniche e materiali diversi – marmo, vetro, metallo, tessuto, stagno o legno – per dare vita alla sua interpretazione individuale del decoro. Appesi alla parete della Sala Barbantini, contro un arazzo su misura accuratamente realizzato dalla maison italiana Rubelli, i pezzi raccontano nel loro insieme come la competenza degli artigiani può essere al servizio dell’immaginazione di un designer nella creazione di diversi e meravigliosi elementi di decorazione d’interni. ENG Commissioned by German designer Sebastian Herkner, selected artisans from all over Europe present work inspired by the lace-lake octagonal pattern of the tiled terrace in front of the Basilica of San Giorgio Maggiore. Each artisan has used different techniques and materials – whether marble, glass, metal, textiles, tin or wood – to bring to life their individual interpretation of the pattern. Hanged on the wall of the Barbantini Hall against a bespoke tapestry carefully crafted by the Italian maison Rubelli, these pieces demonstrate how the expertise of artisans can serve the imagination of a designer in creating varied and beautiful pieces of interior decoration.
BIBLIOTECA DEL LONGHENA
I VIRTUOSI DELLA PORCELLANA CURATORS_ David
Caméo, Frédéric Bodet
In uno scenario straordinario viene celebrata l’inventiva, gli approcci innovativi e il savoir-faire contemporaneo utilizzati per creare splendidi oggetti in porcellana, l’“oro bianco”. I pezzi in mostra, accuratamente selezionati dall’Europa e dal Giappone, comprendono opere di ceramisti che lavorano in modo indipendente nei loro atelier, nonché oggetti realizzati in collaborazione con produttori di porcellane di fama internazionale. Un’occasione unica per scoprire come gli artisti contemporanei della porcellana attingono a riferimenti stilistici antichi e rinnovano lo spirito del periodo barocco e dello stile rococò, creando opere che riallineano in modo geniale questo patrimonio decorativo all’epoca moderna. Accanto a loro sono esposti pezzi che riflettono altre tendenze recenti, la cui natura minimalista o astratta fornisce un contrasto alla stravaganza barocca, pur dimostrando tecniche altrettanto sofisticate. Il risultato è un gabinetto delle curiosità contemporaneo che offre contrasti sorprendenti e parallelismi affascinanti. ENG The 17th century Longhena Library provides a stunning backdrop for this celebration of contemporary porcelain craftsmanship. Porcelain Virtuosity reveals the inventiveness, innovative approaches and contemporary savoir-faire used to create beautiful objects from this ‘white gold’. The pieces on display, carefully selected from Europe and Japan, include artworks by ceramicists
working independently in their studios, as well as objects made in partnership with internationally renowned porcelain manufacturers. Discover how contemporary porcelain artists are drawing on these stylistic references and reinvigorating the spirit of the Baroque period and the Rococo style by creating artworks that brilliantly realign this decorative heritage with the modern era. Displayed alongside them are pieces reflecting other recent trends, their minimalist or abstract nature providing a contrast to Baroque extravagance while demonstrating equally sophisticated techniques. The result is a contemporary ‘cabinet of curiosities’ offering surprising contrasts and intriguing parallels.
CHIOSTRO DEI CIPRESSI
GLI ATELIER DELLE MERAVIGLIE CURATOR_ Rinko
Kawauchi
Una visione unica dei laboratori di 12 “Tesori Viventi Nazionali” giapponesi attraverso l’obiettivo del fotografo giapponese Rinko Kawauchi. I più illustri produttori di kimono, ceramisti, tintori di tessuti, tessitori, ebanisti e un produttore di bambole, tutti designati dal Giappone come Conservatori di importanti proprietà culturali immateriali, hanno aperto le porte dei loro atelier a Kawauchi. Il risultato è un omaggio visivo alla vita quotidiana significativa e artistica di questi maestri artigiani, che sono profondamente legati alle loro botteghe e ai loro ritmi creativi, così strettamente intrecciati con quelli dei loro predecessori. ENG A unique vision through the lens of Japanese photographer Rinko Kawauchi of the workshops of 12 Japanese National Living Treasures. Japan’s most distinguished kimono makers, ceramicists, textile dyers, weavers, cabinetmakers and a toso doll maker, who have all been designated by Japan as Preservers of Important Intangible Cultural Properties, opened their doors to Kawauchi. The result is candid, a visual homage to the meaningful and artistic daily existence of these master artisans, who are deeply connected to their workshops and their own creative rhythms, so closely interwoven with those of their predecessors.
THE ARTISAN: UNA SALA DA TÈ FATTA A MANO CURATOR_Tapiwa
Matsinde
Un bellissimo spazio che è sia una sala da tè funzionante che una mostra coinvolgente di per sé, dove ogni oggetto – pezzi iconici di designer, artigiani e produttori di tutto il mondo – racconta una storia. La curatrice Tapiwa Matsinde è stata ispirata dal concetto tradizionale della sala da tè creata da donne intraprendenti del XIX secolo, che aprivano i loro soggiorni agli ospiti disposti a pagare per tè e torta. Ha riempito il suo ‘soggiorno’ con oggetti di uso quotidiano che ispirano un senso di meraviglia: tavoli da bistrot in pietra antica, vasi in ceramica simili a piume, sculture in metallo ispirate alla natura, sedie con tessuti cerimoniali intrecciati e altri oggetti che rivelano le storie e costumi di culture diverse. ENG A beautiful space that is both a working tearoom and an immersive exhibition, where every object tells a story. Curator Tapiwa Matsinde was inspired by the traditional concept of the tearoom created by enterprising 19th century women who would open up their living rooms to guests willing to pay for tea and cake.
She has filled her own ‘living room’ with everyday objects that inspire a sense of wonder: bistro tables made of heritage stone, feather-like ceramic vases, nature-inspired metal sculptures, chairs featuring woven ceremonial textiles and other items that reveal the stories and customs of different cultures.
RINTRACCIARE VENEZIA CURATORS_Zanellato/Bortotto,
De Castelli
Tecnologia all’avanguardia, eccezionale maestria artigianale e un approccio sperimentale si combinano in una serie di straordinarie opere d’arte in metallo, un omaggio agli antichi pavimenti a mosaico della Basilica di San Marco. Diverse forme geometriche, colori e trame creano la forma di questo mosaico, mentre finiture speciali, tra cui ossidazione, erosione e tecniche di pennellatura, trasmettono i cambiamenti e le imperfezioni nella pavimentazione della Basilica di San Marco causati dall’acqua e dal tempo. Nel loro insieme, queste suggestive opere ci ricordano la fragilità di Venezia e la grande importanza di preservare e proteggere questa unica città lagunare. ENG State-of-the-art technology, outstanding craftsmanship and an experimental approach combine in a series of extraordinary metal artworks, a tribute to the ancient mosaic floors of St Mark’s Basilica. Different geometric shapes, colours and textures create the form of a mosaic, while special finishes including oxidation, erosion and brushwork techniques convey the changes and imperfections in the flooring of St Mark’s Basilica caused by water and time. Taken as a whole, these evocative artworks remind us of Venice’s fragility and of the great importance of preserving and protecting this unique lagoon city.
PISCINA GANDINI
ATTENDERE NELL’OMBROSA QUIETE CURATOR_ Robert
Wilson
La singolare visione dell’artista visivo e regista americano Robert Wilson viene offerta in una sorprendente esperienza immersiva. Attingendo a elementi della produzione del 1993 di Madama Butterfly di Puccini all’Opera di Parigi, ispirata dalle tradizioni teatrali giapponesi, Wilson trasforma l’ex piscina Gandini in un palcoscenico drammatico con il suo uso caratteristico di luci, suoni ed effetti visivi. Uno spazio sospeso che si compone attraverso le riprese video del famoso coreografo Suzushi Hanayagi, i costumi originali di Frida Parmeggiani, i disegni a inchiostro dello stesso Wilson e gli oggetti di scena realizzati da artigiani giapponesi, tra cui la sedia waiting squisitamente laccata su cui si siede Butterfly. ENG The singular vision of iconic American visual artist and director Robert Wilson is reflected in this immersive experience. Drawing on elements of 1993 production of Puccini’s Madama Butterfly at the Paris Opera, inspired by Japanese theatre traditions, Wilson transforms the former Gandini swimming pool into a dramatic stage with his signature use of lighting, sound, and visual effects. Enjoy video footage of famed choreographer Suzushi Hanayagi, original costumes by Frida Parmeggiani, ink drawings by Wilson himself and props made by Japanese artisans including the exquisitely lacquered waiting chair upon which Butterfly sits.
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homofaber
Homo Faber in Città Kimiko Yoshida, Made in Kyoto Dialogo culturale tra Europa e Giappone
IL RACCONTO DI GENJI Paese di tradizioni artigianali straordinarie, il Giappone si impegna giorno dopo giorno a salvaguardare questo importante patrimonio culturale nominando i suoi migliori artigiani “Tesori Nazionali Viventi”, un titolo che attesta la loro eccellenza e li sostiene nel preservare le loro competenze nel futuro. La costante sfida del Giappone nel difendere la propria eredità artigianale coincide con gli stessi obiettivi di Homo Faber e con l’idea artistica di Kimiko Yoshida: celebrare, esibire e tutelare l’eccellenza della tradizione e delle tecniche. L’arte per Yoshida deve ripensare il mestiere dell’artigiano per interrogarlo, interpretarlo, allargarlo.
Kimiko Yoshida. Made in Kyoto 10 aprile–1 maggio Palazzo Amalteo, San Polo 2646/A www.kimiko.fr
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Kimiko Yoshida, The Tale of Genji @Kimiko Yoshida - Private Collection
Kimiko Yoshida, All That’s Not Me, Self-portraits © Oliver Frantz - Courtesy Kyotographie
L
’interessante e mai scontato dialogo tra Europa e Giappone, che a San Giorgio si caratterizza per una sottile linea rossa che attraversa tutti gli spazi e i progetti, forgiando l’intera esposizione di una sobria eleganza e di naturale armonia, trova il suo manifesto compiuto e originale nella mostra Made in Kyoto dell’artista Kimiko Yoshida a Palazzo Amalteo, inserita nel programma Homo Faber in Città. Nata in Giappone nel 1963, Kimiko Yoshida vive dal 1995 in Europa, in particolare tra Parigi e Venezia. Il suo essere fortemente giapponese, ma apertamente europea la induce nelle sue opere ad indagare l’ibridazione delle culture. A partire dal 2001 i suoi autoritratti monocromi sono diventati il suo inequivocabile marchio di fabbrica. Essi sono allo stesso tempo “astratti” e fuori dal tempo, lontani cioè da una dimensione aneddotica e contingente. Nel suo fare artistico, collabora regolarmente con degli artigiani rinomati di Kyoto alla realizzazione di pezzi unici che riprendono la tradizione e al contempo la trasformano. L’obiettivo della sua arte è infatti quello di ripensare il mestiere dell’artigiano per interrogarlo, interpretarlo, allargarlo. Per Homo Faber, Kimiko Yoshida ha lavorato con Makoto Nogushi, chiedendo di dipingere quattro kakejiku di seta. L’atelier di questo artigiano di Kyoto, il Noguchi Residence, è un “bene culturale tangibile”, che dal 1733 dipinge la seta dei più raffinati kimono. Il termine kakejiku si riferisce a una pittura tradizionale montata su rotolo, che viene srotolato al fine di essere appeso al muro, nei templi buddisti o nelle tokonoma adibite alla cerimonia del tè. Questi kakejiku giganti (350x180 cm) sono realizzati con la seta dei kimono: ogni lunghezza del tessuto è serigrafata con una lacca tono su tono in sette passaggi di colore, secondo una tecnica particolarmente raffinata e impegnativa, risalente al VI secolo. Un altro gruppo di kakejiku mostra una “doppia immagine”: un autoritratto fotografico dell’artista su tela e un urushi-e di un’antica illustrazione de Il Racconto di Genji. Scritto all’inizio del XI secolo dalla poetessa e scrittrice Murasaki Shikibu e considerato uno dei capolavori della letteratura giapponese, questo romanzo fiume di oltre duemila pagine narra le vicende amorose e politiche del principe Genji “lo Splendente”. Per la sua narrazione virtuosa, per l’importanza accordata alla soggettività e alle pulsioni, ai desideri e ai rimpianti, per il suo essere intriso di atmosfere raffinate e degli splendori della corte imperiale, Il Racconto di Genji è la perfetta rappresentazione della straziante caducità delle cose del mondo e della fondamentale vanità di ogni impresa umana. Seguendo un’antica tecnica giapponese con lacca mista a polvere d’oro o d’argento, denominata urushi-e, le immagini del Genji sono applicate direttamente sulle foto, che sono delle stampe a pigmento su tela, come un ricamo a filo d’oro. L’opera permette di vedere – come per un effetto di trasparenza – un’antica immagine del Genji sovrapporsi a una fotografia moderna: una “doppia immagine”. La fotografia, che si apre in questo modo oltre i limiti della fotografia stessa, lascia intravedere un’alterità che oltrepassa l’oggetto stesso della rappresentazione.
The Tale of Genji
ENG
Japanese visual artist Kimiko Yoshida was born in 1963 and has been living in Europe since 1995. She has been making important series of self-portraits for 20 years, somehow “timeless” images in search of the hybridization of cultures, questioning the given identities of every one of us. Yoshida’s work has developed around the theme of feminine identity, together with the changing power of art, in a process of “deconstruction” of the self, while the portraits remind of the Flemish primitives. For Homo Faber, Kimiko Yoshida has worked with prestigious artisans in Kyoto to create a series of kakejiku, traditional Japanese hanging scrolls used to display paintings on walls. The giant kakejiku (350 x 180 cm) are made of the kimono silk: each length of the fabric is screen-printed with a tone-on-tone lacquer in seven colour passages. Another group of kakejiku shows, as if by transparency, a “double image”: a photographic self-portrait of the artist on canvas and an urushi-e (lacquered image) of an antique illustration of The Tale of Genji, a classical Japanese novel written in the 11th century by Murasaki Shikibu. The use of the ancestral Japanese technique of lacquer mixed with gold powder has allowed the artist to rethink craftsmanship – to question, reinterpret and open it up.
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homofaber
Homo Faber in Città Koen Vanmechelen. Burning Falls 60 tra mostre, botteghe, atelier e manifatture da scoprire
BURNING FALLS Homo Faber continua in città offrendo itinerari creativi alla scoperta di mostre, laboratori, botteghe, manifatture, gallerie, stamperie, istituzioni, piccole imprese, che fanno dell’artigianalità e della creatività il loro corebusiness. Qui la fortissima tradizione veneziana segnata nei secoli passati da vera eccellenza e unicità, cerca di essere tramandata e tutelata con il fiato grosso ma con un nuovo consapevole slancio verso la contemporaneità. Una breve selezione focalizza più che gli oggetti, le mani e i volti di chi li forgia, custodi di tecniche e usi millenari. Protagonisti dunque gli artisti/ artigiani, la loro passione, la loro dedizione, la loro fatica.
«I
l calore estremo del vetro nel forno è
quell’elemento che accende il talento creativo dei diversi maestri nell’arena del fuoco. Come una cascata infuocata dà vita o morte alla vera anima di un’opera d’arte». Così Koen Vanmechelen definisce il suo legame con questa materia ancestrale e al contempo capace di rappresentare il futuro. Dopo l’incredibile successo di critica e di pubblico ottenuto agli Uffizi di Firenze da Seduzione. Koen Vanmechelen, la mostra-evento di Berengo Studio torna a Murano. Pittore, scultore, performer, figura eclettica i cui interessi spaziano dall’antropologia alla bioetica, dalla tutela dei diritti umani alla bio-genetica, Vanmechelen incentra la sua ricerca sui concetti di ibridazione (delle specie animali e vegetali) e contaminazione (delle tecniche espressive e dei materiali). Burning Falls è il titolo della mostra curata da Fondazione Berengo in collaborazione con Studio Vanmechelen, che la ospita dall’8 aprile al 15 maggio in occasione di Homo Faber, sezione In Città. La lucentezza del vetro di Murano e i toni del marmo di Carrara sono sapientemente accostati da Koen Vanmechelen per ricreare alcune figure chiave della mitologia classica: Medusa, la tigre rossa, i polli serpentini, le iguane cornute e altri animali fantastici, già in mostra a Firenze. Questi lavori, realizzati con il supporto dei maestri di Berengo Studio, mettono a fuoco i concetti primordiali, archetipici e antitetici, che da sempre nutrono l’immaginaKoen Vanmechelen. Burning Falls Sottovetro 8 aprile-15 maggio Fondazione Berengo Art Space, Campiello della Pescheria 4-Murano www.berengo.com
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rio umano: vita-morte, umano-divino, terreno-spirituale, naturale-artificiale. Accanto a queste opere, alcuni pezzi mai esposti, tra cui i lampadari Formula Segreta, opere complesse che riflettono sull’origine, la decadenza e la rigenerazione di ogni cosa creata, alludendo alla catena evolutiva. L’arte per Vanmechelen è da sempre il tessuto connettivo dell’esistenza umana. Chiarisce, apre prospettive e connette attraverso la diversità. «Lavoro con Koen Vanmechelen da oltre trent’anni – afferma Adriano Berengo, Presidente di Berengo Studio – In queste nuove opere prende il vetro e lo spinge oltre, combinandolo con un altro materiale antico, il marmo, e attraverso questa fusione eleva entrambi i materiali a un nuovo livello artistico. Come artista, non ha paura di sperimentare e questa caratteristica cruciale è uno dei motivi per cui il suo lavoro continua ad affascinarmi». In contemporanea, Fondazione Berengo Art Space ospita anche la mostra SottoVetro promossa da WonderGlass e curata da Jean Blanchaert, uno dei curatori di Homo Faber 2022. Un paesaggio intimo per raccontare la ricetta segreta della creatività di ogni artista dall’esperienza ed esiti radicalmente diversi. In mostra opere di Andrea Anastasio, atelier oï, Bethan Laura Wood, Francesco Vezzoli, Joana Vasconcelos, Moritz Waldemeyer, Nao Tamura, Richard Woods, studiopluz e Thomas Demand. Il concetto dell’esposizione, reso attraverso un allestimento che esalta le opere come unicum, annullando lo spazio intorno ad esse, non riguarda solo l’interazione tra l’opera visibile e il pubblico, ma anche il legame che esiste all’interno dell’opera d’arte tra ciò che viene rappresentato e come viene presentato.
Koen’s mythology ENG
After the amazingly well-received exhibition Seduzione, produced by Berengo Studio, Belgian artist Koen Vanmechelen is back in Murano, Venice. A painter, sculptor, performer, and all-around eclectic figure, Vanmechelen’s interests range from anthropology to bioethics, human rights, biogenetics. He focuses his research on the concept of hybridization (of both plants and animals) and contamination, in terms of art technique and materials. Burning Falls is the name of his upcoming exhibition, produced by Fondazione Berengo. It will be open from April 8 to May 15 as part of the Homo Faber programme, In Città section. Shining Murano glass and Carrara marble blend beautifully in the form of staples of classical myth: the Medusa, a red tiger, and other fantastic beasts. This art, created together with master glassblowers at Berengo Studio, shows the elemental concepts, the archetypes, that have been feeding human fantasy since forever: life and death, humanity and godliness, worldliness and spirituality, natural and artificial. According to Vanmechelen, art is the connective tissue of human existence: it opens new perspectives and links us together, no matter our diversity. During the same timeframe, Fondazione Berengo also hosts exhibition SottoVetro, with unique art by Andrea Anastasio, atelier oï, Bethan Laura Wood, Francesco Vezzoli, Joana Vasconcelos, Moritz Waldemeyer, Nao Tamura, Richard Woods, studiopluz, and Thomas Demand. Koen Vanmechelen, Cosmopolitan Fossil I, 2021 © Francesco Allegretto
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homofaber IN CITTÀ MAESTRI E ARTIGIANI
BATTILORO
CERAMICA
MARINO MENEGAZZO
ADELE STEFANELLI
La pratica di battere l’oro giunse a Venezia da Bisanzio intorno all’anno 1000, quando le relazioni commerciali erano fiorenti. Nella capitale dell’Impero questo mestiere veniva utilizzato per creare mosaici, ma nella Repubblica Serenissima fu impiegato in modo nuovo e innovativo: foglie d’oro sottilissime venivano utilizzate per abbellire i vetri per i quali Venezia divenne leader mondiale, oltre che per aumentare il prestigio dei banchetti allestiti dai ricchi abitanti della città. «Tuttavia, è solo nel XVIII secolo che il mestiere del battitore d’oro raggiunge il suo apice», spiega il Maestro Marino Menegazzo, ultimo battitore di foglie d’oro a Venezia, attuale titolare della storica bottega artigiana Mario Berta Battiloro. «A Venezia operavano circa 300 battitori d’oro che, insieme ai vetrai, erano gli unici artigiani che potevano sposare una donna di rango superiore. Ma per evitare che la loro corporazione diventasse troppo potente, non potevano possedere l’oro che lavoravano».
Una grande curiosità ha portato Adele Stefanelli a scoprire manufatti diversi per origine e provenienza che hanno influenzato fortemente la sua ricerca. Dai manufatti cinesi e coreani visti per la prima volta alla collezione Baur a Ginevra, ancora studentessa, alla semplice bellezza delle ceramiche che ha scoperto nel Sudan, dagli oggetti del Victoria & Albert e del Museo di Shanghai alle decine di libri che ha raccolto in tutto il mondo, fino alla perfezione delle ceramiche Song, diventate il suo punto di riferimento. Ha trascorso del tempo in Corea del Sud, Cina, Giappone (dove ha studiato Kintsugi, l’antica tecnica di riparazione delle ceramiche rotte con oro puro), imparando dai migliori maestri. Adele Stefanelli lavora personalmente tutti i suoi oggetti sul tornio da vasaio e prepara i suoi smalti. Crea soprattutto pezzi in gres (ma a volte anche in porcellana).
The craft of goldbeating reached Venice from Byzantium around the year 1000, at the time when trade relations between the two were thriving. In Byzantium, this craft was used for mosaic art, but in the Venice, it was used in a new and innovative way: ultra-thin gold leaves embellished the glass Venice was world-famous for. Marino Menegazzo, master goldbeater and current owner of the historic artisan workshop Mario Berta Battiloro, is the last beater of gold leaves in Venice. ENG
Visita guidata con dimostrazione Laboratorio, Cannaregio 5182 www.berta-battiloro.com
LEGATORIA
PAOLO OLBI Nel 1962, Olbi inizia un mestiere antico che si tramanda di generazione in generazione e si sviluppa nei secoli dai tempi di Aldo Manuzio. Negli oltre 60 anni di attività come maestro legatore ha sempre usato e tuttora usa rigorosamente macchine d’epoca, che tracciano l’evoluzione di questo antico mestiere. Olbi decora i suoi oggetti usando stampi unici pressati da antichi torchi a caldo su carta pregiata, pelle o tessuto, con oro o colori ad alta pigmentazione, dando luogo a legature d’arte uniche. ENG In 1962, artistic bookbinder Paolo Olbi began his journey as an artisan in the world of bookbinding, an ancient craft passed down through generations and developed over the centuries since the time of master printmaker Aldus Manutius. Using antique machines, special techniques, and high-quality materials, Paolo and his employees cover books and objects with hand printed paper, fine fabrics, and hot-stamped vegetable-tanned leather. Visita Laboratorio Palazzo Zenobio, Dorsoduro 2596 olbi.atspace.com
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ENG Adele Stefanelli is a ceramics aficionado and her research has been influenced by many different traditions. She personally works all her objects on her potter’s wheel and makes her own glazes. She mostly creates stoneware pieces, though sometimes also porcelain pieces. Visita guidata con dimostrazione Laboratorio, Giudecca 213 www.adelestefanelli.com
LAVORAZIONE DEL METALLO
FRANCESCO ZANON La bottega del fabbro Francesco Zanon è un’azienda storica e rinomata, specializzata nella lavorazione del ferro e dei metalli, che vanta quasi ottant’anni di attività a Venezia. Fondata da Gino Zanon e poi rilevata nel 1980 dai figli Francesco e Paolo, ha realizzato una quantità incredibile di opere in città e in tutto il mondo. I fratelli Zanon hanno lavorato sia come restauratori di monumenti storici sia come artigiani creativi per istituzioni pubbliche e religiose, così come per clienti privati, collaborando attivamente con grandi architetti, artisti, scultori. Particolarmente significativo il sodalizio con Carlo Scarpa (1954-78): tra i progetti più affascinanti e prestigiosi che hanno realizzato insieme a Venezia, l’Aula Magna dell’Università Ca’ Foscari (1954/1956), lo Showroom Olivetti in Piazza San Marco (1957/1958), la Fondazione Querini Stampalia (1961/1963). ENG The Zanon blacksmith shop is a historical and renowned company, specializing in iron and metal working, counting nearly eighty years of business in Venice. Founded by Gino Zanon and then taken over in 1980 by his sons Francesco and Paolo, it has left an incredible amount of works in the city of Venice and all over the world. Particularly significant was their lifetime partnership with Carlo Scarpa (1954-78). Visita guidata Cannaregio 3213
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EMANUELA CROTTI
Il Sacro Fare Cabinet www.manucrotti.com
Homo Faber | 10 aprile – 1 maggio 2022 | Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia | www.homofaber.com 92
homofaber IN CITTÀ MAESTRI E ARTIGIANI
LAVORAZIONE DEL PIZZO
FABBRICAZIONE DI SCALMI
MARTINA VIDAL
PIERO DRI
Martina e suo fratello Sergio per mantenere viva l’antica tradizione del merletto di Burano, una delle tradizioni più antiche della loro famiglia e della loro Isola, hanno creato un concept store dove poter trasferire l’esperienza, la conoscenza e l’abilità dei propri antenati. Il piccolo laboratorio artigianale di un tempo è oggi un edificio di tre piani dove poter ammirare, comprare e conoscere questa antica arte, incontrando alcune delle poche merlettaie ancora attive sull’Isola o visitando la piccola e squisita collezione di merletti antichi: tovaglie, centrini, lenzuola, fazzoletti, ventagli e veli da sposa. Passione, tradizione, qualità e creatività si uniscono per realizzare prodotti unici e inimitabili.
A Venezia, scalmo e remi sono speciali, proprio come le gondole su cui sono usati. Lo scalmo veneziano si chiama “forcola”, e in città si contano solo quattro forcolai. Il più giovane di loro è Piero Dri, che si fa chiamare “Il Forcolaio Matto”, perché quando ha iniziato, dopo la crisi economica del 2008, molti gli hanno detto che era pazzo a investire in questa attività. Ma Piero era determinato, e dopo aver imparato tutti i segreti del mestiere dal suo maestro, Paolo Brandolisio, ha aperto il suo laboratorio, dove continua una tradizione che risale a molti secoli fa.
ENG Martina and her brother Sergio wanted to preserve one of the most ancient traditions of their family and of their island, the lace of Burano. The once small artisanal workshop is now a three-storey building. Visita Atelier Via San Mauro 309, Burano www.martinavidal.com
ENG In Venice, rowlocks and oars are special, just like the gondolas on which they are used. The Venetian rowlock is called a “forcola”, and there are only four forcolai left in the city. The youngest of them is Piero Dri, who calls himself “Il Forcolaio Matto” (the crazy rowlock maker), because when he started, after the 2008 economic crisis, many told him he was crazy to invest in this business. Visita Atelier Ramo dell’Oca, Cannaregio 4231 www.ilforcolaiomatto.it
COSTRUZIONE DI BARCHE CALZOLERIA
DANIELA GHEZZO Dopo il suo apprendistato a 17 anni sotto la guida di Rolando Segalin e lo studio all’Accademia di Belle Arti di Venezia, Daniela Ghezzo a soli 24 anni decide coraggiosamente di rilevare il rinomato atelier del suo maestro, aperto in Calle dei Fuseri nel 1932. In questo modo non soltanto si dedica all’artigianato sempre più raro delle calzature, ma salvaguardia il preziosissimo archivio storico di stampi, dime, forme in legno e scarpe del suo Maestro. Il suo background artistico ha giocato un ruolo importante nella sua produzione, sia per ragioni estetiche, sia per la sua visione tridimensionale dello spazio, fondamentale per vedere e disegnare le proporzioni nelle calzature su misura. Oggi calzolaia di fama internazionale, realizza a mano modelli unici su misura sia per uomo sia per donna. ENG Daniela Ghezzo started her apprenticeship aged 17, under the guide of Rolando Segalin, and continued while studying at the Venice Fine Arts Academy. At 24, she courageously decided to take over her master’s renowned atelier, which had opened in Calle dei Fuseri in 1932. Since then, she has devoted herself to the increasingly rare craftsmanship of custom footwear. Visita Atelier Calle dei Fuseri, San Marco 4365 www.danielaghezzo.it
DOMENICO TRAMONTIN Lo “squero” prende il nome da Domenico Tramontin e Figli, e realizza gondole artigianali da quando Domenico fondò il laboratorio nel 1884. Negli ultimi anni, Roberto, pronipote di Domenico, ha gestito il laboratorio fino a quando le sue figlie Elena ed Elisabetta hanno preso in mano l’attività di famiglia. Ancora oggi le gondole sono realizzate con gli strumenti dell’antica arte della costruzione delle barche veneziane: ascia, pialla e martello. Una squadra di esperti artigiani lavora a mano per creare le caratteristiche barche veneziane secondo il design creato da Domenico, che ha veramente rivoluzionato la produzione di gondole. Prima una gondola richiedeva due gondolieri, poi Domenico inventò il fondo curvo della barca, in modo che lo squilibrio del peso creasse una naturale inclinazione verso un lato. Grazie a questa intuizione, la gondola può essere condotta da un unico gondoliere. L’innovazione è diventata tradizione. ENG The ‘squero’(shipyard) is named after Domenico Tramontin & Sons and has been handcrafting gondolas since Domenico Tramontin founded the workshop in 1884. Roberto, Domenico’s great-grandson, ran the workshop in recent years, until his daughters Elena and Elisabetta took over the family business. A team of expert artisans work by hand to create the distinctive Venetian boats, still using the design created by Domenico that truly revolutionized the gondola manufacturing. Visita guidata Squero Dorsoduro 1242 www.tramontingondole.it
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CENTRALE ELETTRONICA Dopo così tanto tempo è come se la storia riconoscesse loro la paternità di aver trovato quel ‘luogo’ in cui tecnologia digitale e arte coesistono a fondare uno statuto identitario, più che uno specifico tipo di musica
musica
di F.D.S.
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arlare dei Kraftwerk oggi, dopo cinquan-
tadue anni dal loro primo disco e dopo la morte due anni fa di Florian Schneider, uno dei due fondatori, significa parlare della fine della popular music che dominò il mondo dagli anni ’60 in avanti e che per almeno tre decenni fu uno dei più importanti motori del cambiamento culturale delle nuove generazioni. Ma anche della sua persistenza, della volontà di proseguire un’opera di testimonianza di un passato che non esiste più, ma che non è stato sostituito da nessun altro immaginario culturale, che rimane lì in tutta la gloriosa luce di un tramonto già avvenuto ma che ancora non vuole diventare notte. È solo la logica del profitto e del business industriale a mantenere ancora accese queste luci oppure è un’insopprimibile volontà di continuare a celebrare il ricordo di un tempo davvero indimenticabile? Sono 50 anni che esistono i Kraftwerk, il loro primo disco omonimo risale al 1970, e il loro ultimo al lontano 2003. Il gruppo dal 2008 è retto dall’altro co-fondatore, Ralf Hutter, e si divide tra sale da concerto e le grandi centrali dell’arte contemporanea (MoMA, Tate Modern Turbine Hall, Guggenheim di Bilbao Guggenheim Museum di Bilbao) nella riproposizione indefessa della propria storia. Se ovviamente oggi i Kraftwerk sono un brand da valorizzare senza più nessun investimento nel “nuovo” , dobbiamo però anche sottolineare il posizionamento assolutamente trendy di questo brand. Dopo così tanto tempo è come se
la storia riconoscesse loro la paternità di aver trovato quel ‘luogo’ in cui tecnologia digitale e arte coesistono a fondare uno statuto identitario, più che uno specifico tipo di musica; quello del robot umano impassibile, senza sentimenti, che attraversa esperienze e territori con l’aiuto di una musica che porrà le basi dell’elettronica a venire. Non si può non essere d’accordo col critico musicale Eddy Cilia nell’affermare che i Kraftwerk sono stati “il gruppo più innovativo di sempre”. Nessun gruppo ha saputo esercitare come i Kraftwerk un’influenza totale sulla musica popolare moderna: la new wave sarebbe stata inconcepibile senza di loro (Devo, Ultravox, Depeche Mode, Human League, Cabaret Voltaire, D.A.F. e così via), la disco music di Moroder e soci ebbe la strada spianata dai Kraftwerk, per finire all’ enorme debito di riconoscenza che techno e house devono al gruppo di Düsseldorf. Come si vede, si tratta di un’influenza totale, che non riguardava tanto un modo, peraltro sommo, di intendere la musica (come i Beatles) o l’esistenza (Velvet), piuttosto una visione del futuro, del mondo a venire che rende i Kraftwerk assolutamente unici nel panorama musicale di sempre. Nodo inestricabile di storia, creazione artistica, visione futurista e gestione teutonica di un brand globale, i Kraftwerk arrivano a Padova, al Gran Teatro Geox, il 7 maggio a riproporre il loro immenso catalogo in chiave high-tech. Kraftwerk 7 maggio Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com
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KRAFTVERK ITA 3000 - ENG 2600
© PeterBoettcher
riting of Kraftwerk
today, fifty-two years since their first record and two after the death of co-founder Florian Schneider, means writing of the end of popular music that dominated the world since the 1960s and for a good three decades was one of the strongest forces behind cultural shifts in the younger generations. It also means writing of its persistence in being a witness to a past that is not here anymore, though one that hasn’t been replaced by any other cultural icon. It is, in a way, still there, basking in the light of a sunset that came and went but is not night yet. Is the profit mindset keeping the lights on, or is it the undying wish to celebrate a time we will never forget? Kraftwerk have been around for half a century, with their first, self-title record coming out in 1970 and their latest in 2003. Since 2008, the band has been led by the other co-founder, Ralf Hutter, and work equally in concert halls and in the ‘power plants’ of contemporary art (MoMA, Tate Modern Turbine Hall, the Bilbao Guggenheim), true to their history. While obviously Kraftwerk are today a band to remember as they were, with no new original investment needed, we must also recognize the ‘trendy’ marketing positioning of their brand. After all these years, it feels like history acknowledges their paternity of a place where digital technology and art coexist – a kind of identity, rather than a musical genre: that of the impassive, feeling-less human robot that walks through experiences and territories with the help of a kind of music that is the precursor of electro. One cannot disagree with music critic Eddy Cilia as he maintains that Kraftwerk were “the most innovative band ever”. No other band could so comprehensively influence modern pop music as much as they did. The New Wave wouldn’t have appeared if it wasn’t for them (Devo, Ultravox, Depeche Mode, Human League, Cabaret Voltaire, D.A.F., etc.) Moroder’s disco music had its way paved by Kraftwerk, and both techno and house are indebted to them. Their influence really was all-encompassing, for it was a vision of the future, of the world to come. Kraftwerk have been a solid condensation of history, art, creativity, futuristic vision, and Teuton management of a global brand. They will play in Padova, at Gran Teatro Geox, on May 7.
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musica FESTIVAL
Limitless Spingendo i confini più in là
© Mali Erotico
La musica etnica contemporanea risuona in Laguna grazie alla quinta edizione di Etnoborder, tra Fondamenta Cannaregio, il cortile di Palazzo Grimani e la sale dello spazio Combo. Fino al 21 maggio, la rassegna firmata da Veneto Jazz esplora le musiche del mondo viaggiando dal Brasile ai Balcani fino al Medio Oriente. «Il fascino del canto si fonde alla profondità di strumenti antichi, in questa rassegna nata per esplorare la musica etnica contemporanea. – spiega Giuseppe Mormile, direttore artistico di Veneto Jazz – Nel programma ascolteremo la voce della cantante albanese Hersi Matmuja, della pugliese Rachele Andrioli e della brasiliana Nilza Costa, assaporando generi musicali che, con repertori colti e popolari, passano dal Choro all’afro, dalla musica rom alle sonorità mediorientali. Tante suggestioni che ci insegnano la ricchezza della diversità e l’importanza delle contaminazioni». Il 22 aprile al Laguna Libre in scena il duo Choro De Rua, promotore del choro, la raffinata musica strumentale brasiliana, formato dalla flautista italiana Barbara Piperno e dal chitarrista e mandolinista brasiliano Marco Ruviaro. Al centro del concerto, i brani dell’ultimo album Santo Bálsamo, fra modernità e tradizione. Sabato 14 maggio, nella sede di Combo, ecco Rachele Andrioli, una delle artiste più apprezzate della scena della nuova musica popolare italiana. L’estremo lembo del Salento, dove finisce la terra e inizia il grande mare, è al centro del suo spettacolo solista Leuca: grazie ad una voce dal timbro unico e all’inserimento di strumenti musicali come il marranzano, l’ukulele, il bendir, il flauto armonico, e all’utilizzo sapiente di macchine più innovative come la loop station, Rachele gestisce la scena evocando rituali ancestrali che rapiscono lo spettatore portandolo in un luogo altro, denso di suggestioni e colori. Il 20 maggio, al Laguna Libre, la cantante, autrice e compositrice brasiliana Nilza Costa unisce i ritmi ancestrali d’Africa con le forme tradizionali della cultura musicale e religiosa del suo Paese, trasfigurandosi nel suo canto in un linguaggio artistico estremamente originale e improvvisato. Presenta Le Notti Di San Patrizio. Distorçao Do Tempo, nuovo album che raccoglie otto brani inediti. Il giorno successivo il Gafarov Ensemble ci aspetta a Palazzo Grimani, con un repertorio sia colto che popolare di musiche raccolte in diversi Paesi medio orientali tra i quali Azerbaijan, Iran, Turchia, Afghanistan, l’area dei Balcani e il patrimonio ricchissimo della musica rom. La loro ricerca musicale si sviluppa tra Oriente e Occidente attraverso meditazione e danza, purezza del suono e ritmi coinvolgenti, con melodie che sono onirici viaggi in luoghi ancestrali della memoria, perle di semplicità e saggezza. 96
Pushing the envelope ENG
Modern ethnic music sounds off in Venice thanks to Etnoborder festival. Until May 21, the Veneto Jazz-authored programme will explore the music traditions of the world travelling to Brazil, to the Balkans, to the Middle East, and beyond. On April 22, Choro De Rua duo (Barbara Piperno and Marco Ruviaro) will play at Laguna Libre. Choro is classy Brazilian instrumental music. On Saturday, May 14, Rachele Andrioli will take us to her native Salento, the south-eastern tip of Italy. Her solo show Leuca (after the name of the maritime region) combines Andrioli’s unique voice with uncommon instruments and modern technology. On May 20, again at Laguna Libre, Brazilian singer, author, and composer Nilza Costa will make turn African ancestral rhythms and traditional Brazilian music into an original, improvised artistic language. Costa will present her new album, Le Notti Di San Patrizio. Distorçao Do Tempo, containing eight new pieces. On May 21, Gafarov Ensemble will perform at Palazzo Grimani with a programme of music from Azerbaijan, Iran, Turkey, Afghanistan, the Balkans, and from Romani culture. Etnoborder 22 aprile; 14, 20, 21 maggio Laguna Libre, Combo, Palazzo Grimani www.venetojazz.com
... OR WAS IT A DREAM 22 April — 22 June 2022
Aldo Chaparro
10:30 — 19:00 Da martedi a domenica
Alia Ali /
/
...OR WAS IT A DREAM? | 22 April — 22 June Aldo Chaparro + Alia Ali FOLLOWING EXHIBITIONS (Trio Shows) Bara Sketchbook + Derrick Ofosu Boateng + Hassan Hajjaj Idris Habib + Sesse Elangwe + Thandiwe Muriu Dorsoduro 556 • Venice +39 348 257 6878
Paris | Venice World Tour of Contemporary Art 193gallery.com 97
in venice... secrets, atmospheres and magic flavours... ...where nothing happens by chance metropole hotel spa & wellness orientalbar & bistrot Riva degli Schiavoni 4149 - 30122 Venezia Italy T. +39 0415205044 | venice@hotelmetropole.com | hotelmetropole.com
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musica
FRAMMENTI DI INFINITO
LIVE
Linee parallele Chaton e Moor, l’eresia al potere
Andy Moor, conosciuto come Andy Ex per la storica appartenenza al gruppo rock sperimentale olandese The Ex, si forma come chitarrista nel panorama britannico post punk degli anni ‘80. Negli ultimi anni ha collaborato con artisti provenienti da diverse discipline e contesti musicali, come nel caso del duo formato insieme a Anne-James Chaton, scrittore francese che basa la propria ricerca di suono e poesia sui materiali testuali che costituiscono la quotidianità della vita della società contemporanea. L’incontro tra i due avviene nel 2004, riflesso di reciproche influenze musicali e letterarie che culmina in Heretics, il progetto risalente al 2014 nato dalla collaborazione con il chitarrista americano Thurston Moore, sintesi tra poesia e chitarra delle singolari e personalissime visioni di Chaton e Moor. In Heretics si sovrappongono chitarra, recitazione e musica elettronica generando sonorità a volte melodiche ed a volte fruscianti accompagnate dai versi di Chaton. I testi sono un omaggio a quegli eroi che hanno usato la trasgressione e l’eccesso come mezzi necessari alla creazione; pittura, musica e poesia convergono per raccontare figure eretiche della storia come Caravaggio, William Burroughs, Jose Mujica, il Marchese de Sade o Johnny Rotten. Lo spettacolo, originariamente ideato per una residenza teatrale al Théare scène nationale di St-Nazarie, è stato rivisitato e trasformato dal duo in performance, mantenendo e rivisitando le parti di Moor ed aggiungendo anche nuovi brani. Il Teatrino di Palazzo Grassi apre le porte per ospitare Heretics il 7 maggio, in occasione del Nu Fest, festival di musica elettronica nato nel 2007 dalla passione di Marcello Mormile e curato da Veneto Jazz, che lo dedica alla sua memoria. Silvia Baldereschi Anne-James Chaton & Andy Moor 7 maggio Teatrino di Palazzo Grassi www.palazzograssi.it
Parallel lines
ENG
Andy Moor, mostly known as Andy Ex due to his history with Dutch experimental rock band The Ex, learned guitar in the British post-punk world of the 1980s. lately, he has been working with artists from different backgrounds and musical contexts: one example would be his duo work with French author AnneJames Chaton. The two met in 2004, and their mutual influence in the fields of music and literature culminated in Heretics, their 2014 project that saw the involvement of American guitarist Thurston Moore. In Heretics, guitar, stage play, and electronic music mix to create what is at times melody, at times rustle, accompanying Chaton’s poetry. The show, originally conceived for a resident theatre programme at Théâtre scène nationale de St-Nazaire, was re-elaborated as a performance piece, with some new songs. Teatrino di Palazzo Grassi will stage Heretics on May 7 as part of the Nu Fest programme, commenced in 2007 and curated by Veneto Jazz. The festival is dedicated to the memory of Marcello Mormile, to whom we owe the Nu Fest concept.
Ospite del Fondaco dei Tedeschi, il lifestyle department store di DFS Group a due passi dal Ponte di Rialto, è il Trio di Erlend Apneseth, per la rassegna Nørdic Frames curata da Veneto Jazz, dedicata alle sonorità nordiche. Apneseth è uno dei più famosi suonatori di violino di Hardanger, antico strumento della tradizione musicale norvegese che reinventa in chiave contemporanea sfociando in un personalissimo folk jazz. Il trio, che comprende il batterista Øyvind HeggLunde e il chitarrista Stephan Meidell, con il primo album, Det Andre Rommet, ha ottenuto brillanti elogi in Norvegia e all’estero e ha ricevuto sia un Norwegian Folk Music Award nella categoria open sia una nomination per Spellemannsprisen (il Grammy norvegese). Ora torna con un album magistrale, poetico e sorprendente, dal titolo Frangmentarium: nonostante le influenze disparate di questo lavoro, c’è un tema che percorre tutto l’album e si manifesta come una specie di sfarfallio, un rapido movimento tra luce e oscurità. È un modo per dire, senza parole, che tutto è compreso e tutto è importante, l’espirazione della fisarmonica non sarebbe nulla senza il suo iniziale inspirare, le note del violino non avrebbero senso senza lo spazio e il silenzio che c’è tra di loro. Questo è un album che deve tutto all’interconnessione delle cose, e ne è ben consapevole. La traccia finale, Omkved, ne è l’esempio perfetto: pezzo d’insieme che sale e scende evocando il movimento della marea, dove una rapida musicalità crea l’illusione dell’eternità e della ripetizione infinita. Erlend Apneseth Trio 9 aprile T Fondaco dei Tedeschi www.venetojazz.com
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musica LIVE
Un passo avanti
Premessa doverosa: il Centro d’Arte degli studenti dell’Università di Padova esiste dal 1945, nato come associazione di studenti appoggiata dall’Ateneo, in assoluto prima esperienza del genere in Italia. Fin da allora il Centro d’Arte ha organizzato concerti, regolari stagioni di musica da camera che, insolitamente per i tempi, comprendevano il jazz e la musica più attuale: negli anni ‘50 e ‘60 suonano a Padova Lennie Tristano, il Modern Jazz Quartet, Chet Baker, Thelonious Monk accanto a David Tudor e Karlheinz Stockhausen. A partire dagli anni ‘70 il Centro d’Arte inaugura la prima rassegna stagionale di jazz in Italia quando dappertutto si organizzavano soltanto festival, e una serie di musica contemporanea unica nel suo genere, che rimescolava i generi e proponeva le musiche del momento: Terry Riley, Dieter Schnebel, George Lewis, Morton Feldman, Frederic Rzewski, David Behrman, John Zorn. Solo capendo quanto solide siano le basi di questo polo musicale è possibile addentrarsi nelle pieghe di una stagione 2022 che vede arrivare sul palco, tra il 14 aprile e il 19 maggio, personalità come il sassofonista Akira Sakata, folgorato artisticamente da Coltrane a Tokyo nel ’65, o Myra Melford, pianista dall’esperienza pluridecennale e forza propulsiva del jazz fin dai primi anni ’90. Assieme a loro, Michele Sambin e il Seabrook Trio portano in scena a maggio esiti diversi ma altrettanto interessanti di avant-jazz e sperimentalismo, per spingere la musica verso un futuro da suonare. Centro d’Arte 14 aprile, 8, 16, 19 maggio Teatro Torresino, Sala dei Giganti-Padova www.centrodarte.it
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Pensando a Charles A Vicenza 100 e più volte jazz
© Monica Jane Frisell
Dopo due edizioni ridotte a causa della pandemia, il Festival New Conversations - Vicenza Jazz torna con un programma artistico intenso: oltre 100 concerti in cartellone. Una cifra importante non solo per il volume di eventi ma anche perché è un simbolico omaggio ai 100 anni di Charles Mingus, musicista statunitense che rivoluzionò il jazz rimanendo sempre legato alla tradizione della musica afro-americana. La ventiseiesima edizione del festival (11-22 maggio) debutta con le finali dell’Olimpico Jazz Contest e con due serate dedicate proprio a Mingus: il contrabbassista Furio Di Castri e il suo storico progetto Furious Mingus in una nuova versione con quintetto, David Murray (il 17 al Teatro Comunale), sassofonista che unisce il jazz più classico alla world music. Si prosegue quindi il 19 maggio al Teatro Olimpico con i Doctor 3 (Danilo Rea, Enzo Pietropaoli e Fabrizio Sferra) in un concerto che prevede incursioni nel terreno di Mingus. Nel programma della rassegna non mancano artisti di altre correnti del jazz internazionale: da Joe Lovano e il suo Trio Tapestry, passando per il chitarrista Bill Frisell fino a John Scofield che con il suo trio farà un excursus dalla fusion, al funky fino al soul jazz. Nel cartellone della rassegna, sono presenti anche stimoli musicali provenienti dal Mediterraneo e dal Vicino Oriente: il bassista israeliano Avishai
Cohen, i pianisti Tigran Hamasyan e Yaniv Taubenhouse, armeno il primo e israeliano il secondo. In questa sorta di viaggio, ci sono anche esotismi del nord e del sud del mondo: il bassista camerunense Richard Bona con il pianista cubano Alfredo Rodriguez e John Surman, sassofonista nordico che si esibisce con Vigleik Storaas. Con la firma di Made in Vicenza Jazz debuttano altre tre produzioni originali: un inedito quartetto creato dalla cantante Ada Montellanico, l’Earth Trio e il duo del trombettista Enrico Rava e del pianista Fred Hersch che vede la partecipazione straordinaria della voce di Maria Pia De Vito (il 20 al Teatro Olimpico). A corredo dei concerti in prima serata, un ricco programma di proposte live immerge Vicenza nel jazz fino a notte inoltrata in tanti luoghi diversi: dai locali ai palazzi antichi, le chiese, i musei, i cinema, le librerie, le vie e le piazze del centro storico. Infine, novità di quest’edizione, quattro serate estive organizzate al Parco Querini, il polmone verde nel centro di Vicenza, dal 14 al 17 luglio: il Cross Currents Trio, la voce di Kurt Elling, il pianista Vijay Iyer e una serata scientificomusicale con Mario Tozzi ed Enzo Favata. Katia Amoroso 26. Vicenza Jazz Festival 11-22 maggio Teatro Olimpico, Teatro Comunale Parco Querini-Vicenza www.vicenzajazz.org
FACCIA A FACCIA
Il potere del cane Jacopo Incani al Toniolo
Jacopo Incani è un musicista di Buggerru trapiantato a Bologna, dove vive e lavora dal 2000. Il progetto Iosonouncane nasce nel gennaio 2008, dopo l’esperienza con gli Adharma. Esordisce con il primo album in studio ad ottobre 2010, La macarena su Roma, pubblicato dall’etichetta discografica indipendente Trovarobato. Una commistione tra musica d’autore, loop, campionamenti e chitarra acustica. I testi sono taglienti ed affrontano temi sociali come disinformazione, discriminazione e disparità sociale, la carica è cinica e violenta, mantenendo sempre una sfumatura d’ironia. Viene benevolmente accolto dalla critica, vincendo il Premio Fuori dal Mucchio ed entrando tra i finalisti del Premio Tenco. Dopo cinque anni di silenzio, nel marzo 2016 fa uscire il concept album Die, suite in cui spazia dall’elettronica lo-fi al canto a tenore sardo. Racconta i pensieri di una donna sulla spiaggia ed un uomo, in balia della burrasca. Il disco scinde dalla realtà e dalle sue convenzioni ed accompagna l’ascoltatore in uno spazio senza tempo, invitandolo ad una riflessione sull’individualismo. A maggio 2021 esce il terzo album in studio: Ira. Un’ora e cinquanta minuti in cui si avvale della voce, da lui stesso definita come “strumento tra gli strumenti”, scindendo il cantautorato. Usa «una lingua momentanea, della necessità, fatta di errori e di un lessico occasionale, sradicato e confuso» commistione di arabo, spagnolo, inglese, tedesco e francese. L’album è ispirato dall’ascolto di due generi, la
musica del Maghreb da una parte e Coltrane, Ellington ed il jazz più in generale dall’altra, senza tralasciare le influenze musicali e letterarie che da sempre accompagnano ed affascinano il musicista. Il disco è indubbiamente politico per la durata, il suono ed il linguaggio, ma anche per la sua complessità e stratificazione; attraversa trasversalmente la realtà musicale italiana ed il grande mondo di capitali e frontiere. Sonorità elettriche, ritmiche jazz, derivazioni di percussioni africane, ma anche ballate, in un album scritto dall’autore per sette musicisti. La propensione al canto corale, alla gravità del suono, nasce dal tour di Die culminato con il concerto al Primavera Sound 2017 di Barcellona, dove l’autore era accompagnato dagli artisti per cui compone nuove parti per Ira. Due album connessi anche dalle copertine: Die mostra una donna irriconoscibile, sgranata dal tepore del calore estivo nel contrasto tra cielo e terra; sull’ultimo album Incani stesso, messo a nudo come non mai, sfocato dalla freddezza di un’immagine in bianco e nero. Ira è stato originariamente ideato per essere presentato in anteprima su sette palchi, progetto rinviato a causa delle restrizioni pandemiche. Sarà comunque presentato in tour, una delle tappe è programmata a Mestre per il 4 aprile, al Teatro Toniolo. Silvia Baldereschi Iosonouncane 4 aprile Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it
Candiani Groove, la rassegna del Centro Culturale Candiani di Mestre, in questi due anni ha saputo resistere alla crisi della musica dal vivo proponendo eventi in streaming quando non è stato necessario fermarsi del tutto, rispondendo ad una domanda di pubblico che ha da sempre affollato i suoi concerti e accolto con favore le sue proposte musicali, potendolo fare concretamente oggi, con il ritorno in presenza ai concerti garantito. L’1 aprile Fanfara Station celebra l’epopea dei popoli migranti del Mediterraneo, delle culture musicali della diaspora africana e dei flussi che da sempre uniscono il Medio Oriente al Maghreb, all’Europa e alle Americhe. Un dance party creato dal vivo da soli tre musicisti e due loop station usate per sovraincidere le tracce e manipolare i suoni acustici ed elettronici. Altro concerto da non perdere sabato 23 aprile, con il gruppo ungherese Djabe ed il loro nuovo album The Magic Stag. Una musica unica, in cui gli elementi del jazz si mescolano con varie parti della musica ungherese e mondiale. Il compositore principale della band è Tamás Barabás, considerato il bassista ungherese più virtuoso. Il 6 maggio salirà sul palco la band Electric Jalaba, frutto misterioso e sincretico di due esperienze apparentemente lontane: da un lato gli inglesi Soundspecies, eclettici avventurieri del groove, dall’altro il marocchino Simo Lagnawi, maestro musicista gnawa. Ultimo appuntamento di Candiani Groove martedì 17 maggio con il fantastico duo composto dai notissimi Joey Calderazzo e John Patitucci, incontro tra uno dei migliori pianisti della sua generazione e un grande bassista, habituè dei Grammy Awards. Candiani Groove 2022 1, 23 aprile, 6, 17 maggio Centro Culturale Candaini-Mestre www.comune.venezia.it
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Treviso Contemporanea Nasce un distretto espositivo
Gallerie delle Prigioni
Atlante Temporaneo
Mind the Map!
Cartografie del sé nell’arte di oggi
Disegnare il mondo dall’XI al XXI secolo
5 febbraio 29 maggio
Ca’ Scarpa
2022 Chiesa di San Teonisto
Terra Incognita
Metodo studio
L‘inclusività è la strada giusta
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trevisocontemporanea.it
Patrocinio: Regione del Veneto Comune di Treviso
Fondazione Benetton Studi Ricerche
Fondazione Imago Mundi
musica LIVE
Ragazza dell’Europa
Di tempo ne è passato, da Fotoromanza, America e Profumo. Ma probabilmente la mossa vincente di Gianna Nannini sta proprio nel non aver mai rinnegato nemmeno un minuto del percorso passato. Anzi, c’è da dire che la Nannini è stata chiara fin da subito: voce graffiata e graffiante, canzoni che sfidavano apertamente il comune senso del pudore (vincendola, la sfida), testi che erano l’esatto opposto del preconfezionato e del politicamente corretto, che non andavano in cerca di pubblico ma che sembravano dire forte e chiaro: «Chi mi ama, mi segua». E l’hanno seguita davvero in tanti: 21 album in studio, 3 dal vivo e 6 raccolte sono numeri che pochi possono vantare, soprattutto quando si parla di rock italiano al femminile, ambiente in cui farsi strada è doppiamente difficile. Gianna Nannini arriva al Gran Teatro Geox di Padova il prossimo 14 aprile con il fedele pianoforte e il sound design del musicista tedesco Christian Lhor. «Questa è la volta buona, dopo tanti rinvii e spostamenti. Io non vedo l’ora e sono certa che la vostra pazienza sarà ricompensata con un tour memorabile» le parole della rocker senese. Piano e forte, dolcezza ed energia, sono le due anime di un’artista che in questi anni ha conquistato i palchi di tutta Europa con una presenza scenica unica e un approccio sempre molto diretto. Il tour nei più bei teatri d’Italia è un’occasione imperdibile per ascoltare i brani più amati della rocker in una nuova espressione artistica. Daniele Pennacchi Gianna Nannini 14 aprile Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com
Poesia per immagini
Luce dionisiaca
Se ad appena ventun anni vieni notato e scelto da Lucio Dalla per aprire i suoi concerti, qualcosa di speciale lo devi per forza avere. Le quattro Targhe Tenco, assieme a due Premi della Critica “Mia Martini”, confermano poi di trovarsi davanti ad uno splendido esemplare di una specie da salvaguardare sempre e comunque: quella del cantautore. Samuele Bersani nasce a Rimini il 1° ottobre del 1970, non a caso la città di Federico Fellini, uno che di sogni e macchine da presa ne sapeva qualcosa. E non è un caso che l’ultimo album di Samuele Bersani s’intitoli Cinema Samuele, Targa Tenco nel 2021 manco a dirlo, lavoro coraggioso e poetico tra elettronica e canzone, che racconta storie di vita vissuta come fossero veri e propri cortometraggi da immaginare a occhi chiusi. Un album che arriva dopo un lungo percorso di ricerca sonora, a sette anni di distanza dall’ultimo lavoro di inediti Nuvola Numero Nove, e mostra Bersani come un artista in continua evoluzione e fuori da ogni schema di omologazione. A Padova il 16 maggio, Samuele Bersani porta non solo il suo ultimo lavoro, ma una carriera in cui la qualità ha sempre vinto sulla quantità, in nome di una coerenza a cui non gli si può davvero chiedere di rinunciare. Perché qualche passaggio in radio in meno, qualche comparsata televisiva da rifiutare garbatamente lo hanno reso autentico personaggio-non personaggio, artista votato anima e corpo alla canzone, modo in cui comunicare perfettamente tutto ciò che si ha da dire. Davide Carbone
Nell’autunno del 1988 un disco alieno atterrò sul mio giradischi, che a quei tempi si consumava con il rock indie-alternative di Daydream Nation dei Sonic Youth, Surfer Rosa dei Pixies e Nothing’s Shocking dei Jane’s Addiction. Musica di straniante, altera bellezza quella di The Serpent’s Egg dei Dead Can Dance, duo australiano di Melbourne formato da Brendan Perry e Lisa Gerrard, che occupò da subito uno spazio di rigoroso isolamento rispetto al rock innovativo dei tempi, ma anche al global folk o alla world music che in quegli anni stava muovendo i primi passi. Era una musica di indefinibile originalità che metteva insieme ballate medievali, ieratici canti gregoriani, danze antiche, tribalismi paganeggianti: la celestiale austerità delle composizioni e delle voci dei nostri la sottraeva anche al rischio di essere una specie di new age musicale nobile o di appendice acustica del gothic rock. Sono passati più di trent’anni da allora: Brendan e Lisa hanno separato le loro vite, lei ha vinto l’Oscar per le musiche de Il Gladiatore, i due si sono sciolti e poi riuniti almeno due volte, e i Dead Can Dance nel 2018 hanno pubblicato il loro nono disco in cariera, Dyonisus, album molto bello, dedicato alla rivisitazione del mito dionisiaco e che mantiene intatta quella rigorosa luminosità che è sempre stato il loro marchio. Suoneranno in due concerti consecutivi, il 27 e 28 maggio al Gran Teatro Geox di Padova, appuntamento doppiamente imperdibile per ritrovare la magia della loro musica. F.D.S.
Samuele Bersani 16 maggio Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com
Dead Can Dance 27, 28 maggio Gran Teatro Geox-Padova www.zedlive.com
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musica LIVE
LODE AL POP
Il successo travolgente dei One Republic arriva nel 2007 con l’album di debutto Dreaming Out Loud, grazie alla hit Apologize che ha sconvolto le classifiche mondiali con oltre 10 milioni di download. Nel 2009 è la volta del secondo album Waking Up che includeva le hit All The Right Moves, Secrets e Good Life, tutte in testa all’airplay chart. Il frontman e cantautore Ryan Tedder, con la band a Padova il 3 maggio, ha collaborato alla realizzazione dei successi di Leona Lewis (Bleeding Love, Happy), Beyoncè (Halo) e a 21 di Adele, Grammy award come Album of the Year. One Republic 3 maggio Kioene Arena-Padova www.zedlive.com
MARCIA TRIONFALE
I Dream Theater hanno pubblicato lo scorso 22 ottobre il quindicesimo album in studio, A View From the Top of the World, arrivato dopo oltre trent’anni di carriera in cui il loro inconfondibile stile ha ispirato generazioni di musicisti. Erano nel pieno del un tour mondiale del precedente album Distance Over Time quando la pandemia globale ha fermato il mondo. Ma grazie a loro nuovo DTHQ (Dream Theater Headquarters) i cinque musicisti hanno potuto lavorare sui 7 brani inediti inclusi nel disco. La band progressive metal più grande e influente al mondo arriva alla Kioene Arena per quello che è da considerarsi uno degli eventi rock più attesi del nuovo anno. Dream Theater 8 maggio Kioene Arena-Padova www.zedlive.com
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Rockin’ Arena A Verona una staffetta live stellare
Con più di sessanta milioni di dischi venduti, Zucchero Fornaciari ha il merito indiscusso di aver diffuso il blues ed il soul in Italia, ma anche di aver conquistato ascoltatori da tutto il mondo. A partire da Oro, incenso e birra del 1989, rimasto per ben sette anni l’album italiano più venduto nel mondo, con più di otto milioni di copie. È stato anche il primo artista dello Stivale ad apparire su The Faber Companion to 20th Century Popular Music; oltre alle innumerevoli esibizioni internazionali ed intercontinentali, nel 1994 è stato l’unico italiano ad essersi esibito a Woodstock. A spiccare, in una carriera irripetibile, anche le collaborazioni con figure di fama mondiale come Miles Davis, Eric Clapton, Paul Young, i Queen, Sting, The Blues Brothers Band e molti altri. Il suo successo ha avuto poche eccezioni, tra cui le varie partecipazioni a Sanremo, a cui prende parte per l’ultima volta nel 1986, dopo essersi classificato penultimo per due anni consecutivi, nonostante il successo del brano Donne, presentato nel 1985. Tutt’altra storia quella dei Maneskin, fatta eccezione per il successo internazionale e la vena trasgressiva, catapultati nel panorama globale proprio grazie al Festival della musica italiana. Terzi rappresentanti italiani della storia a vincere l’Eurovision e secondi a vincere entrambe le manifestazioni musicali consecutivamente ed al primo tentativo. Il gruppo formatosi nel 2016 è composto da Damiano David (voce), Victoria De Angelis (basso), Thomas Raggi (chitarra) ed Ethan Torchio (batteria), quattro romani di età
compresa tra i 21 ed i 23 anni. Dopo aver preso parte, con successo, a diversi contest per giovani musicisti sbarcano sul palco di X Factor nel 2017. Pur essendosi classificati secondi nello stesso anno firmano un contratto con l’etichetta discografica Sony Music pubblicando l’EP Chosen. Vincono la 71esima edizione di Sanremo nel 2021 con il brano Zitti e buoni dell’album Teatro d’ira – Vol. 1, appaiono nelle classifiche di tutta Europa ed in quella globale stilata da Spotify. Nello stesso, travolgente anno si esibiscono al Tonight Show, al Saturday Night Live, collaborano con Iggy Pop, aprono il concerto dei Rolling Stones e vincono il titolo di Miglior artista rock agli MTV Europe Music Awards. Un anno indubbiamente frenetico, che li ha costretti a declinare proprio l’offerta di Zucchero a collaborare al suo secondo album inciso durante la pandemia, Discover, contenente rivisitazioni di brani celebri rielaborati in collaborazione con grandi voci italiane ed internazionali. La band ed il bluesman riusciranno comunque ad incrociarsi sul palco dell’Arena di Verona a fine aprile, con i Maneskin ad inserirsi nel fittissimo calendario di ben 14 date del bluesman reggiano mantenendo saldo il proposito di collaborare quanto prima, magari proprio con una cover di Honky Tonk Women dei Rolling Stones, brano che Zucchero voleva affidare a Damiano e soci... Silvia Baldereschi Maneskin 28 aprile Zucchero 25 aprile-11 maggio Arena di Verona | www.friendsandpartners.it
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VERO MAESTRO
classical
Le sue composizioni si distinguono per l’immediatezza di formule armoniche basate su dissonanze che danno colore alle tensioni tipiche dell’ultimo Romanticismo
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di D.P.
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ésar Franck nasce a Liegi nel 1822, in una famiglia di melomani. A partire dal 1831 riceve la prima formazione musicale al Conservatorio della città natale, mentre quattro anni dopo, dopo avere debuttato in pubblico, si stabilisce a Parigi, dove studia con Reicha e poi, al Conservatorio, con Zimmermann (pianoforte), Leborne (contrappunto), Berton (composizione) e Benoist (organo). Pedagogo stimato, nominato professore d’organo al Conservatorio nel 1871, è tra i membri fondatori della Société nationale de musique, di cui assume la presidenza nel 1866. Le sue composizioni si distinguono per l’immediatezza di formule armoniche basate su dissonanze che danno colore alle tensioni tipiche dell’ultimo Romanticismo. Questi accordi “franckiani” si trovano in quasi tutta la sua opera, dalle mélodies più intimiste ai grandi pezzi per organo o al repertorio sinfonico. La classe di Franck accoglie un numero incredibile di giovani compositori, alcuni dei quali hanno una venerazione illimitata per colui che veniva soprannominato “papà Franck”. A parte figure atipiche per l’epoca, come le compositrici Mel Bonis e Augusta Holmès, l’universo franckiano si è materializzato per mezzo di una costellazione di discepoli convinti e adoranti: tra questi, d’Indy, Ropartz, Vierne, Chausson, Tournemire. Per festeggiare il bicentenario della sua nascita e far riscoprire l’universo del compositore al grande pubblico, Palazzetto Bru Zane gli dedica un vasto ciclo di concerti che spazia dalla musica da camera, alla musica sinfonica, alle mélodies e all’opera lirica.
Di Franck la storia ha erroneamente tracciato un ritratto di organista austero, diviso tra devozione mistica e un interesse rivolto esclusivamente a una difficile musica strumentale. Quest’immagine oleografica fu coltivata anche dai suoi allievi più fedeli, che ne esaltarono l’onestà, il disinteresse per le mode, ma anche l’intellettualità dei metodi di composizione, per consacrare una corrente della musica francese in grado di contrapporsi all’estetica wagneriana e a quella di Debussy. Ingannata da tali filtri, la posterità ha considerato meritevoli solo una manciata di opere tra le circa cento da lui composte, soprattutto le partiture che si presentano come pezzi unici e danno l’impressione di una genesi priva di esitazioni: il suo Quintetto per pianoforte e archi, la Sonata per violino e pianoforte, il Quartetto per archi sembrano non avere modelli né discendenza. Lo stesso vale per le Béatitudes o per la Sinfonia in re minore, la cui costruzione ciclica si innalza a modello assoluto. Il Festival a Venezia propone concerti fino al 27 maggio: tra i momenti più importanti, il 9 aprile, in occasione dell’uscita del cofanetto che presenta l’integrale delle mélodies di César Franck, appuntamento da non perdere con il celere baritono greco, Tassis Christoyannis e il pianista Jeff Cohen; il 5 maggio, il concerto Violoncello al femminile con Victor Julien-Laferrière e Théo Fouchenneret, propone la scoperta delle sonate per violoncello e pianoforte composte dalle compositrici Marie Jaëll, Nadia Boulanger et Henriette Renié. L’universo di César Franck (1822-1890) Fino 27 maggio Palazzetto Bru Zane, Scuola Grande San Giovanni Evangelista bru-zane.com
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orn in Liège, now Belgium, in 1822, César Franck was raised in a very musical family. He studied at the local conservatory before moving to Paris, where he studies with Reicha, Zimmermann, Leborne, Berton, and Benoist. A highly-esteemed educator and professor of pipe organ at the conservatory, Franck co-founded the Société nationale de musique, which he chaired since 1866. His music stands out for the immediacy of harmonic formulae based on dissonance that colour the typical tension of late Romanticism. These Franckian chords are to be found throughout his oeuvre, from the melodies to organ pieces and symphony. Franck’s classes welcome an astounding number of talented young composers, who nicknamed him ‘papa Franck’. Some of his disciples have been d’Indy, Ropartz, Vierne, Chausson, Tournemire. To celebrate the 200 years of his birth and to make his musical universe available to the larger public, Palazzetto Bru Zane dedicated him a hefty concert programme that ranges from chamber music, to symphony, to mélodie, to opera. Franck has been oftentimes portrayed as an austere organ player, divided between mystical devotion and an inflexible interest for complex instrumental music. Many of his pupils cultivated this image, too, as they highlighted Franck’s honesty, probity, and intellectual attitude towards composition. The goal was, arguably, to consecrate a French musical current that could rival the aesthetics of Wagner or Debussy. The filter didn’t paint the whole picture, though, as posterity has, for a long time, only considered a handful of pieces among the about one hundred Franck composed, and especially those pieces that easily present as self-standing and give the appearance of an effortless genesis: his Quintet for piano and strings, the Sonata for violin and piano, the String quartet all seem to have no ascendents nor descendants. The same applies to the Béatitudes and for the Symphony in B-, whose cycle-based composition is a model in and of itself. The Festival in Venice has a concert schedule that extends to May 27. One of the most important will be on April 9, when at the same time, a collector’s edition of Franck’s melodies will be published. Greek baritone Tassis Christoyannis and pianist Jeff Cohen will perform. On May 5, the Feminine side of the cello concert with Victor Julien-Laferrière and Théo Fouchenneret will have cello and piano sonatas by female composers Marie Jaëll, Nadia Boulanger, and Henriette Renié.
Jeanne Rongier, César Franck all’organo di Sainte-Clotilde, 1885 © Palazzetto Bru Zane / fonds Leduc
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classical FESTIVAL BRU ZANE
Dare voce
Classe pura
Oltre il genere
© Jean Baptiste Millot
Sebbene lo si ricordi di rado, César Franck ha dedicato quasi la metà delle sue composizioni alla voce. Tale produzione, che tocca generi assai diversi – mélodies, duetti con pianoforte, mottetti, cantate, oratori e opere liriche –, è quasi integralmente da riscoprire. In occasione dell’uscita del cofanetto con l’integrale dei brani per voce e pianoforte del maestro di Liegi, Tassis Christoyannis e Jeff Cohen propongono di visitare questo territorio dimenticato che, spaziando dalla romanza ingenua alla più raffinata mélodie, illustra l’evoluzione del genere in Francia nel corso del periodo romantico e dimostra che questo maestro della scrittura strumentale sapeva anche mettere in musica le parole. Although this aspect of the composer is often overlooked, César Franck devoted almost half of his opus numbers to the voice. Covering a wide range of genres – mélodies and duets with piano accompaniment, motets, cantatas, oratorios and operas – this output remains almost entirely to be rediscovered. On the occasion of the release of their complete recording of Franck’s works for voice and piano, Tassis Christoyannis and Jeff Cohen invite us to visit this forgotten world, which, ranging from the naive romance to the finely chiselled mélodie, illustrates the evolution of the genre in Romantic France and proves that this master of instrumental music also knew how to set texts to music. Rimembranze 9 aprile Palazzetto Bru Zane bru-zane.com/evento/rimembranza/#
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Appuntamento del programma dedicato a L’universo di César Franck, il concerto è frutto della collaborazione tra Accademia Teatro alla Scala e Palazzetto Bru Zane. Quartetti di pianoforte di Castillon e D’Indy sono interpretati dagli strumentisti dell’Accademia Teatro alla Scala dopo un anno di formazione sul tema del canto lirico in Francia nel XIX secolo. Attraverso il repertorio di questi due illustri allievi di Franck è possibile scoprire affinità e peculiarità di artisti che hanno seguito l’esempio del maestro, distanziandosene con esiti originali, offerti al pubblico in una preziosa occasione d’ascolto che Palazzetto Bru Zane confeziona con un approccio sempre in equilibrio tra rigoroso studio scientifico e celebrazione della creatività. A part of The World of César Franck programme, this is a concert co-produced by Accademia Teatro alla Scala and Palazzetto Bru Zane. Piano quartets will be interpreted by musicians from the Scala Theatre after a year of study on nineteenth-century French operatic singing. We will discover similarities and peculiarities in the oeuvre of Franck’s disciples in a precious concert that responds to Palazzetto Bru Zane’s trademark: rigorous scientific approach and celebration of creativity. Alla scuola di Franck 28 aprile Palazzetto Bru Zane bru-zane.com/evento/alla-scuola-di-franck/#
Protagonista di questo concerto è il violoncello, con la sua fama di strumento a lungo considerato sconveniente nella carriera delle musiciste di fine Ottocento. Opere di Marie Jaëll, Henriette Renié, Nadia Boulanger ci trasportano in quell’epoca e nelle pieghe espressive più suggestive e meno battute di questo strumento. Con la Sonata in la minore di Jaëll e i Tre Pezzi e una sonata in tre movimenti di Boulanger il violoncellista Victor JulienLaferrière e il pianista Théo Fouchenneret offrono al pubblico di Palazzetto Bru Zane la possibilità di comprendere quanto ampio sia il repertorio di artisti e artiste colpiti dall’influenza stilistica ed espressiva di Franck, indissolubilmente legato alla forma ciclica e particolarmente attento alla coesione della struttura compositiva. The protagonist of this concert, part of The World of César Franck programme, is the cello – an instrument considered improper for female players up to the late 1800s. Music by Marie Jaëll, Henriette Renié, Nadia Boulanger will teach us about the most suggestive, expressive potential of this instrument. Jaëll’s Sonata in A- and Boulanger’s pieces and sonata allow cellist Victor Julien-Laferrière and pianist Théo Fouchenneret offer the audience a chance to appreciate how ample Franck’s influence has been on artists that came after him. Violoncello al femminile 5 maggio Palazzetto Bru Zane bru-zane.com/evento/violoncello-al-femminile/#
Ho osato molto, ma la prossima volta oserò ancora di più...
LA MOSTRA
César Franck
In ogni tasto
César Franck è protagonista della programmazione di Palazzetto Bru Zane dopo Édouard Lalo nel 2015, Camille Saint-Saëns e Fernand de La Tombelle nel 2016 e Antoine Reicha nel 2017. Il ciclo L’universo di César Franck prevede una serie di concerti e progetti editoriali/discografici che ne ripercorrono le orme biografiche e artistiche, assieme ai brani più significativi. Nathanaël Gouin al pianoforte porta in scena opere del compositore belga scritte su misura per questo strumento, in collaborazione con la Chapelle Musicale Reine Elisabeth e proponendo un programma ripreso nell’ambito di Piano City Milano, festival diffuso di Milano nato nel 2011 e curato da Associazione Piano City Milano con il comune meneghino, Accapiù srl e Ponderosa Music&Art. César Franck is the protagonist of Palazzetto Bru Zane’s programme, coming after their seasonal programmes on Édouard Lalo in 2015, Camille Saint-Saëns and Fernand de La Tombelle in 2016, and Antoine Reicha in 2017. The World of César Franck is a series of concerts and publishing and recording projects that trace the musician’s life and art by way of his most meaningful creations. Pianist Nathanaël Gouin will perform Franck’s music for piano in cooperation with Chapelle Musicale Reine Elisabeth on a set list coming from Piano City Milano, a Milan-based festival started in 2011. La tastiera del re 17 maggio Palazzetto Bru Zane bru-zane.com/evento/la-tastiera-del-re/
Lezioni di piano
Nate in una famiglia di musicisti russi, Maria e Nathalia Milstein sono cresciute in un ambiente dove il fare musica insieme è sempre stato tutt’uno con la dimensione quotidiana. Per il ciclo L’universo di César Franck portano in dote al Festival di Palazzetto Bru Zane un brano che può essere annoverato tra i capolavori del compositore e organista belga, ovvero la Sonata per pianoforte e violino (1886), che Franck dedicò a Eugène Ysaÿe e che si configurò come uno dei maggiori pilastri del repertorio da camera francese di fine Ottocento. A brani di César Franck se ne affiancano altri di Lili Boulanger e Mel Bonis, che di Franck fu allieva al Conservatorio di Parigi e che rimase coerente per tutta la carriera all’estetica del maestro, come testimonia la sua Sonata per violino e pianoforte (1914). Born in a Russian musical family, Maria and Nathalia Milstein grew up in an environment where making music together was an everyday given. For programme The World of César Franck, the Milsteins will bring to Palazzetto Bru Zane a masterpiece by the Belgian composer, a Sonata for piano and violin of 1886 that Franck dedicated to Eugène Ysaÿe and that grew to become a cornerstone of French chamber music in the late 1800s. We will also listen to pieces by Lili Boulanger and Mel Bonis, who studied with Franck at the Conservatory in Paris. Maestri e allievi 27 maggio Palazzetto Bru Zane bru-zane.com/evento/maestri-e-allievi/
Oltre agli appuntamenti musicali, anche una mostra di documenti grafici restituisce le diverse sfaccettature della complessa personalità di Franck, occupando il pianoterra del Palazzetto. Tra questi, una serie di disegni, dipinti, caricature, fotografie e reperti d’archivio ci riportano al tempo in cui era titolare della cattedra al Conservatorio di Parigi, facendoci esplorare lo straordinario talento di insegnante e le indiscusse qualità empatiche che ne fecero un autentico beniamino per i propri studenti. La mitizzazione da parte degli allievi più ferventi ha purtroppo fatto ombra alla fortuna postuma del loro professore, da loro troppo spesso presentato come uno spirito puro e austero, se non bigotto o mistico. La verità è molto diversa: Franck non era privo né di humour né di un evidente rapporto con la sensualità, di cui sono testimonianza gli slanci appassionati delle sue eroine Hulda e Ghiselle. Quando, morendo, l’autore lascia incompiuta Ghiselle, d’Indy, Chausson, Bréville, Rousseau e Coquard si affrettano a portarne a termine l’orchestrazione, ultimo omaggio al loro venerato modello. Not only music, but visual art will help us get to know more about Franck’s personality. A series of paintings, drawings, caricatures, photographs, and other items will take us back to the time of the composer being a professor at the Paris Conservatory to appreciate his talent as a teacher and the privileged, friendly relationship he enjoyed with his students. During his tenure, he educated a whole generation on improvisational music, and they revered him in return. After his death and leaving his Ghiselle incompleted, his pupils d’Indy, Chausson, Bréville, Rousseau, and Coquard hasted to finish all arrangements, their last homage to a beloved teacher.
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classical TEATRO LA FENICE
Ogni cosa a suo tempo Il Faust di Gounod, attualità sul palcoscenico
Virtù letterarie
© Michele Crosera
Non poteva capitare in ‘miglior’ periodo, l’allestimento del Faust di Gounod che sarà in scena dal 22 al 30 aprile al Gran Teatro La Fenice di Venezia. Periodo in cui le esalazioni sulfuree si concretizzano nella ferocia, nella crudeltà vacua e insensata della guerra, ben lontana dall’anacronismo in cui l’avevamo relegata. È così che Mefistofele opera, travisa le menti degli uomini e lusinga le loro debolezze spegnendone progressivamente la coscienza positiva e benefica. È così che opera sul dottor Faust: fomentandone lo spirito di rivalsa, alimentando il culto della personalità autoreferenziale, trasformandolo nel suo cieco e perciò fedele servo. Ha una storia lunga, il mito di Faust. Letterariamente risale perlomeno alla fine del XV secolo, ma in seguito numerose furono le opere dedicate a quel personaggio negativo che tuttavia, alla stregua di Don Giovanni, non riesce a provocare la nostra ripulsa radicale, la nostra condanna definitiva. Nel corso dei secoli, i suoi tratti sono diventati leggendari e sempre più ci possiamo riconoscere in quella accondiscendenza alle tentazioni primarie, in quella debolezza tutta umana abbandonata dal discernimento, in quella vista così corta e cupida, in quell’assoggettamento all’ego personale. Il Faust di Müller e l’Urfaust di Goethe hanno segnato profondamente lo Sturm und Drang, ma perfino il signor Teufelsdröckh del Sartor Resartus di Carlyle è percorso da uno spirito decisamente faustiano. La vicenda della riduzione operistica di Gounod ha inizio nel 1859 e non ha più smesso di essere in repertorio: nell’odierno allestimento de La Fenice, nelle vesti dell’ingenua Margherita avremo Carmela Remigio, dottor Faust sarà Ivan Ayon Rivas e l’ottimo Alex Esposito inforcherà i diabolici panni di Mefistofele. Dirige l’orchestra, Frédéric Chaslin. Andrea Oddone Martin 110
The time it takes
ENG
No time could have been better to stage Gounod’s Faust at Fenice theatre than April 22 to 30. Sulphur will be in the air, as is the empty cruelness of war. That’s what Mephistopheles does: he perverts the human mind and strokes our egos, tempting our weaknesses and putting what is wholesome and positive to sleep. And that’s what Dr. Faust does, too: he stirs up a spirit of revanche and feeds the cult of a self-referential personality, making a slave out of him. The myth of Faust dates back to the late 1400s, and over the years, we have learned to recognize our malleability before temptation, our human weakness that makes us abandon reason, our short-sightedness, our subjugation to ego. Müller’s Faust and Goethe’s Urfaust left a deep mark in the Sturm und Drang movement, and we can see the Faustian spirit in Mr. Teufelsdröckh, the character in Thomas Carlyle’s novel Sartor Resartus. Faust 22-30 aprile Gran Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it
Vivaldi e Goldoni, Apostolo Zeno e Boccaccio. Geni musicali e letterari che trovano un punto in comune nella Griselda, opera che il “Prete Rosso” scrisse su misura per il mezzosoprano Anna Girò, a lui molto legata nell’arte e nella vita, in scena al Malibran dal 29 aprile all’8 maggio. Il soggetto dell’opera, che deriva da un racconto medievale elaborato da Boccaccio come esempio di costanza femminile, permise a Vivaldi di debuttare nell’elegante Teatro Grimani di San Samuele il 18 maggio del 1735, fino a quel momento palcoscenico di cui il musicista non sembrava essere degno. Ad impreziosire la rappresentazione, il libretto di Carlo Goldoni, che a sua volta lo adattò da un precedente lavoro di Apostolo Zeno, musicato per la prima volta da Antonio Maria Bononcini. Publio Cornelio Scipione fu lodato dagli storici antichi per la misericordia mostrata dopo la presa nel 209 a.C. di Nova Carthago (l’odierna Cartagena, in Spagna, nella comunità autonoma della Murcia). Una bella vergine di nobili natali, a lui donata come preda di guerra, lo pregò di restituirla ai genitori e al fidanzato. Fu esaudita all’unica condizione di collaborare con lui per stabilire la pace fra Roma e Cartagine. Nel corso dei secoli il racconto divenne un soggetto favorito nella pittura, nel teatro di parola e nell’opera. Nel 1722 il librettista Apostolo Zeno e il compositore Antonio Caldara lo applicarono al loro mecenate, l’imperatore Carlo VI d’Asburgo, presentato come erede delle virtù romane in guerra e in pace, dando vita a Scipione nelle Spagne, al Malibran dal 26 al 28 maggio. Stagione Lirica e balletto 2021-2022 29 aprile-8 maggio; 26-28 maggio Teatro Malibran www.teatrolafenice.it
BACCHETTE MAGICHE Storie di popoli Alla Fenice, un Verdi attuale
Era dalla metà dell’Ottocento che I lombardi alla prima crociata di Giuseppe Verdi non veniva rappresentata alla Fenice. Dopo il debutto alla Scala nel 1843, la quarta opera scritta dall’allora trentenne Verdi venne inserita una sola volta nel cartellone della Fenice. Gli elementi di interesse verso questo lavoro in scena ad aprile sono molteplici, a partire dalla scelta dell’edizione critica curata da David R.B. Kimbell, scrupolosamente fedele alle pagine verdiane, si tratta di una prima assoluta in tal senso. Il libretto fu scritto da Temistocle Solera, tratto dal poema omonimo di Tommaso Grossi, un autentico best seller dell’epoca. Verdi era reduce dai trionfi di Nabucco solo un anno prima e il nuovo lavoro ebbe un buon successo anche presso vari teatri esteri, tanto da essere stata la prima opera verdiana nel 1847 ad essere eseguita a New York. Il tema narrativo proposto è ambizioso e si sviluppa attraverso ampie pennellate musicali di grande effetto, con scene corali di forte impatto drammatico a sottolineare il pathos delle vicende. Sono quattro gli atti previsti dal libretto: la vendetta; l’uomo della caverna;la conversione; il Santo Sepolcro. Viene sviluppato l’incontro tra Oriente e Occidente, ponendo al centro lo scontro tra due popoli in lotta, avversi per motivi culturali e religiosi. Verdi e Solera non identificano tuttavia i mussulmani come barbari da sterminare, anzi alcuni personaggi di fronti opposti sembrano riconoscere le ragioni dell’uno e dell’altro. Esemplare la figura di Giselda che si ribella al padre, assassino di coloro che la tenevano prigioniera, con parole di condanna verso ogni forma di fanatismo. Diretta da Sebastiano Rolli, al suo debutto sul podio dell’Orchestra e Coro della Fenice, con la regia di Valentino Villa, scene di Massimo Checchetto, costumi di Elena Cicorella, light design di Fabio Barettin e coreografie di Marco Angelilli. F.M.
Stories of peoples ENG
The last time The Lombards on the First Crusade was staged at Fenice was in the mid-1800s. The opera premiered at the Scala Theatre in Milan in 1843, and was produced in Venice only once. Why would this opera be interesting today? To begin with, it will be a critical edition curated by David R. B. Kimbell and very close to the original. The story is an ambitious one, and develops on top of effective, grandiose music, especially the choral scenes. There are four acts: Revenge, the Man in the Cave, the Conversion, the Holy Sepulchre. The themes are the East and the West clashing over religion. Verdi and libretto author Solera do not identify Muslims with barbarians, on the contrary, on both sides there will be someone who understand the motives of the opposer. An example is Giselda, who rebels against her father after he kills her captors. She thus condemns fanaticism in every form. I lombardi alla prima crociata 1, 3, 5, 7, 9 aprile Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it
Il cartellone dei concerti di maggio del Gran Teatro La Fenice di Venezia ci propone una qualità elevata, e non solo per la celebrità delle direzioni. Nella lettura di un’opera letteraria in lingua non originale è certa l’importanza condizionante della traduzione. Ciò rimane valido nell’interpretazione di partiture musicali: l’affinità della struttura linguistica madre tra compositore ed interprete favorisce la comprensione delle genuine intenzioni sottese, dell’autentico desiderio espressivo del compositore. A tutto favore della qualità esecutiva nell’offerta concertistica. Perciò, quale direttore migliore del pur celebre e impegnato Frédéric Chaslin nei concerti del 14 e 15 maggio dove è prevista l’esecuzione della Symphonie Fantastique, episodi della vita di un artista in cinque parti op. 14 di Hector Berlioz e dell’immortale Boléro di Maurice Ravel? E come immaginare la musica di Richard Wagner se non attraverso un’interpretazione affine? Già familiare al pubblico de La Fenice, il direttore Markus Stenz ci offre, nei concerti del 21 e 22 maggio, stralci tra Tannhäuser, Lohengrin, die Meistersinger von Nürnberg, Walküre, a celebrare peraltro la ricorrenza della nascita del compositore. I concerti previsti per il 27 e il 29 maggio si pongono nella medesima prospettiva, ma indirettamente. Sul podio dell’Orchestra de La Fenice, nell’esecuzione della Sinfonia n. 7 di Gustav Mahler ci sarà l’impeto emotivo e passionale di Robert Treviño, direttore americano ma di origine messicana. Andrea Oddone Martin Stagione Sinfonica 2021-2022 14, 15, 21, 22, 27, 29 maggio Teatro La Fenice
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LET’S DO IT TOGETHER!
theatro
If I was an artist and I was in the studio, then whatever I was doing in the studio must be art. At this point art became more of an activity and less of a product Bruce Nauman
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Bruce Nauman, Contrapposto Studies, Punta della Dogana, 2021 - Photo Marco Cappelletti ©️ Palazzo Grassi ©️ Bruce Nauman by SIAE 2021
di F.D.S.
U
n catalogo delle innumerevoli potenzialità del corpo umano a diventare spazio performante, luogo e soggetto di azioni che, nel definirne i limiti materiali e le oggettive contraddizioni, ne esalta invece l’eroismo cocciuto alla ripetizione, l’entusiasmo ad esplorare l’infinità varietà di movimenti, di gesti, di azioni che il corpo umano permette. Alla fine degli anni Sessanta, Bruce Nauman, studente egualmente interessato alle scienze matematiche e alle arti visive, si fa trovare, perfettamente lucido e onnivoro, alla confluenza tra la nascita della “forma performance” e la capacità di trasformare ogni gesto, ogni parola, ogni sequenza corporea in una pulsante cellula di senso, artistico ma soprattutto esistenziale. La mostra Contrapposto Studies, curata da Caroline Bourgeois e Carlos Basualdo, fino al 27 novembre a Punta della Dogana, è un’esplorazione di cinquant’anni di attività dell’artista americano, dai primi video artigianali tra 1968 e ’69, nel tipico sfuocato b/n dei video di allora, alle installazioni recenti che utilizzano le più aggiornate e complesse tecniche video e audio. La mostra potrebbe quindi essere interpretata anche come sintesi del progresso vertiginoso della techne riproduttiva da allora ad oggi, e delle diverse possibilità di esplorazione visiva e concettuale che essa permette oggi rispetto alle opere giovanili. Se infatti nella famosa installazione del 1968 Walk with Contrapposto, uno dei suoi primi lavori, Nauman cammina con le mani intrecciate dietro la nuca in uno stretto corridoio approntato nel suo studio, una volta di fronte una volta di spalle, nel lavoro del 2015 che dà il titolo alla mostra, Contrapposto Studies, I through VII, e che si ispira al precedente, l’artista, sempre vestito di t-shirt e jeans, continua a camminare nel suo studio, mantenendo la posa in contrapposto, ma stavolta si è moltiplicato in sette figure tagliate all’altezza della testa e manipolate digitalmente. Non c’è più il fascino disturbante del video d’ origine, in cui Nauman sembrava intrappolato in una prigione senza uscita; oggi le risorse tecniche sfumano lo straniante per esaltare la monumentalità della composizione di un corpo multiplato sì, ma che non riesce a nascondere il passaggio del tempo… Se dunque la mostra può essere letta come un’inesausta ricerca sulle potenzialità adattative del corpo umano nei limiti inderogabili dello spazio urbano, davvero appropriata appare l’intuizione dei curatori di collegare alla stessa un programma inedito di performance dal titolo Dancing Studies. Da aprile a giugno potremo assistere ad un ciclo di performance inedite, firmate da importanti coreografi internazionali invitati a sviluppare un progetto ad hoc in dialogo con l’opera di Nauman. I nomi degli artisti ospiti sono tra i più rappresentativi delle tendenze innovative della danza-performance degli ultimi tempi: William Forsythe, Lenio Kaklea, Ralph Lemon e Pam Tanowitz hanno progettato quattro azioni che si svolgeranno in diversi spazi della Pinault Collection e presso COSMO, in campo San Cosmo alla Giudecca, con il coinvolgimento di sound designer e performer. Dal 2 al 10 aprile inizia William Forsythe con Manual Labors, progetto articolato che comprende una selezione di live performance di vari compositori musicali e coreografi, una selezione di opere video e un’opera di Forsythe di recente commissione, insieme a Paraphrase, nuovo lavoro del coreografo newyorkese. Il 22 e 23 aprile, in occasione delle giornate di anteprima della Biennale Arte, è il turno di Sonatas and Interludes di Lenio Kaklea in un duetto con il pianista Orlando Bass su una delle opere più significative di John Cage. Dall’1 al 5 maggio Pam Tanowitz presenta al Teatrino di Palazzo Grassi Dancing the Studio, ispirata all’opera Mapping the Studio di Nauman, e infine dal 16 al 19 giugno, presso COSMO va in scena In Proximity, performance del coreografo americano Ralph Lemon, inserita in una scenografia con un forte impatto visivo e un complesso paesaggio sonoro.
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n inventory of the limitless potential of the human body in the performing space – the locus and the subject of action that highlights the stubborn heroism of repetition, the passion of exploring a multiplicity of motions, gestures, actions. By the late 1960s, Bruce Nauman, then a student interested in mathematics as well as in the visual arts, finds himself at the crossroads of the birth of ‘performance’ and the ability to turn every gesture, every word, every corporeal sequence into a breathing cell of sense – existential as much as it is artistic. Exhibition Contrapposto studies, curated by Caroline Bourgeois and Carlos Basualdo, will be open at Punta della Dogana until November 27. It is an exploration of over fifty years of work by the American artist, from his early homespun videos from 1968 and 1969, in then-typical outof-focus black and white, to recent installations that make use of the latest cutting-edge video and audio technology. The exhibition may be interpreted as a synthesis of the incredible process of reproductive art from those years to the present, and as a collection of possibilities of visual and conceptual exploration it grants. While in his famous 1968 installation Walk with Contrapposto, Nauman walks, hands behind his neck, in a narrow corridor in his studio. We see him alternately from the front and from behind. In his 2015 work, inspired by the former, the artist keeps walking in the studio, again in contrapposto, though this time his figure is multiplied by seven and digitally altered. The disturbing allure of his earlier work is not there anymore, though today, technology creates an alienating monumentality in the composition of a multiplied body. While the exhibition can be read as research work on the adaptive potential of the human body, given the limits of urban space, the intuition of the curators to pair the exhibition with an original performance programme – Dancing Studies – seems appropriate. From April to June, original dances by international choreographers will represent the latest trends of dance/performance art. From April 2 to 10, programme Manual Labors will offer live performances by musicians and dancers, a selection of video art, and a new piece by Forsythe. On April 22 and 23, Sonatas and Interludes by Lenio Kaklea will be staged, with the participation of pianist Orlando Bass. On May 1 to 5, Pam Tanowitz will present Dancing the Studio at Teatrino di Palazzo Grassi, inspired by Nauman’s Mapping the Studio.
Contrapposto Studies Fino 27 novembre Punta della Dogana Dancing Studies 2 aprile-19 giugno Punta della Dogana, Teatrino di Palazzo Grassi, COSMO www.palazzograssi.it
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theatro
TEATRO STABILE DEL VENETO
Una buona abitudine sociale Intervista Giorgio Ferrara «Il mandato affidato al maestro Ferrara è la sintesi di un percorso che stiamo affrontando con determinazione e che ha l’obiettivo di riportare il Teatro Stabile del Veneto ad essere Teatro Nazionale e a dare valore artistico alla propria identità e alla propria produzione – questo il senso di un documento programmatico fatto proprio dal Consiglio di Amministrazione e che accompagna le nomine – Nel prossimo triennio dobbiamo esaltare alcune caratteristiche del nostro teatro a partire dal suo palcoscenico più internazionale che è e rimarrà il Goldoni di Venezia. Occorre poi concentrare la produzione artistica a Padova, proponendo Treviso come terzo polo musicale di una regione ricca di fermento culturale». Queste brevi note sintetizzano al meglio il compito di Giorgio Ferrara, direttore del Teatro Stabile del Veneto dall’aprile 2021. Giorgio Ferrara, romano, nato nel 1947 in una famiglia di quelle che un tempo si definivano “aristocrazia rossa”, quel gruppo di famiglie importanti che hanno contribuito in modo significativo e inequivocabile alla crescita civile e culturale del Paese. In un’intervista di qualche anno fa al «Corriere della Sera» così spiegò il senso dell’appartenere alla cerchia dell’intellighenzia comunista: «Essere educati in una maniera speciale, aperta, libera. Aver avuto nel salotto intelligenze come Togliatti, Giorgio Amendola, Mario Alicata, Enrico Berlinguer, Giorgio Napolitano». Regista teatrale soprattutto, attore in scena con la moglie Adriana Asti, diretto da registi del calibro di Ronconi, ma anche direttore di grande successo per la ricchissima e assai colta programmazione proposta dall’Istituto Italiano di Cultura a Parigi e per tredici anni del Festival di Spoleto, che ha risanato economicamente e riportato all’eccellenza tra i players nella cultura mondiale. Da un anno ha accettato di ridare slancio al Teatro Stabile del Veneto, che con i teatri di Venezia, Padova e Treviso occupa un posto di rilievo nel panorama della cultura, non solo regionale. Il mondo della cultura e dello spettacolo a causa della pandemia sta ancora attraversando un periodo di forte difficoltà, pur impegnato a cercare di riacquistare una nuova normalità. Quali segnali ha potuto cogliere a riguardo qui in Veneto, dall’osservatorio di tre città importanti ma molto diverse tra loro come Venezia, Padova, Treviso? Non posso dire di aver notato molte differenze tra Padova e Treviso; in entrambe le città i teatri godono di buona salute e hanno un loro affezionato pubblico, che non manca mai di essere presente agli appuntamenti proposti. Treviso ha in più un cartellone di lirica abbastanza nutrito e il pubblico dimostra sempre un grande interesse anche su questo terreno. Ciò che ho notato e che mi ha rassicurato nella composizione della stagione – questa la considero mia per metà, sarà la prossima del 2023 la mia prima vera stagione, dal momento che quest’anno accordi precedenti al mio insediamento e che andavano rispettati hanno condizionato il cartellone – è la possibilità di avere a disposizione a Venezia una grande vetrina internazionale in cui è possibile focalizzare l’attenzione sul lavoro di regia. Scelgo i registi ancor prima degli spettacoli, sono loro i veri creatori del nostro mestiere, senwww.teatrostabileveneto.it
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Scelgo i registi ancor prima degli spettacoli, sono loro i veri creatori del nostro mestiere, senza il loro apporto fondamentale non si andrebbe da nessuna parte za il loro apporto fondamentale non si andrebbe da nessuna parte. Poi ovviamente vengono gli attori, alcuni bravissimi, autentici fuoriclasse, altri sempre talentuosi, forse più manieristi o con minore esperienza, anche per un fatto anagrafico. Combinando tutti questi elementi ecco fiorire figure quali Bob Wilson, Emma Dante, Pier Luigi Pizzi, Rimas Tuminas, Peter Brook. Trattandosi di spettacoli internazionali con date ristrette non tutti sono potuti andare a Padova e Treviso. Mi ha confortato, in un periodo ancora così difficile, avere un grande successo di pubblico al Goldoni per quegli spettacoli. È un risultato molto interessante, che dice che si è ricreata una nuova attenzione nei confronti di questo teatro. Vedo gente che ritorna, vedo molti giovani, vedo molti personaggi importanti di Venezia, delle università e delle diverse istituzioni veneziane, è persino venuto il Sindaco ad applaudire Monica Bellucci! L’obiettivo prioritario di questo mio mandato lo ho dichiarato al momento del mio insediamento: il Teatro Stabile del Veneto deve essere un unico contenitore con tre palcoscenici in tre diverse città. Per quanto possibile cercherò di portare anche a Padova e a Treviso le programmazioni di Venezia. Sicuramente porterò tutte le nostre produzioni, che devono girare in tutti e tre i teatri, così come auspico ci possa essere anche un flusso di pubblico ‘migrante’ tra i vari teatri, così da poter avere la possibilità di poter vedere degli spettacoli che per ragioni di calendario non possono passare in tutte e tre le città. È un compito difficile, ma comunque dobbiamo provarci. Lei da subito ha posto il tema del teatro come terreno d’incontro tra esperienze e culture diverse, privilegiando produzioni originali e rafforzando il tratto internazionale delle proposte. Nella scelta degli spettacoli e nella risposta avuta finora è emerso che l’internazionalità rappresenta un motivo di richiamo anche per nuove fasce di pubblico. Quale la sua linea di sviluppo su questo terreno sovranazionale? E perché è importante tornare ad essere Teatro Nazionale? Come detto le produzioni internazionali e le produzioni di un certo livello hanno da subito dato ottimi riscontri di pubblico e di gradimento. È solo l’avvio di un lungo percorso, molto altro abbiamo in programma per le stagioni a venire. È un terreno questo su cui bisogna volare alto, con idee chiare, con contenuti forti. Non possiamo in una città come questa non guardare al mondo, a ciò che succede oltre i nostri confini. Per quanto concerne invece la classificazione ministeriale di Teatro Nazionale, è assolutamente fondamentale tornare ad esserlo. Penso convintamente che qui dove viviamo e operiamo, in una regione come il Veneto con un capoluogo come Venezia, avendo a disposizione un
Turandot
© Michele Crosera
teatro storico tra i più belli d’Italia se non d’Europa, sia semplicemente una follia non essere Teatro Nazionale. Il Teatro Stabile del Veneto è una struttura aziendale importante con oltre 70 dipendenti, quasi come il Piccolo Teatro di Milano. Il nostro teatro deve quindi necessariamente tornare ad essere di interesse nazionale, semplicemente perché se lo merita. Per fare ciò bisogna compiere delle operazioni internazionali, di produzione vera. Abbiamo iniziato in tal senso producendo interamente quest’anno Turandot, Spettri e La Peste. Poi ci sono le coproduzioni, di cui ne abbiamo parecchie in atto. Grazie al lavoro costante ed efficace del presidente Giampiero Beltotto abbiamo chiuso un accordo di coproduzione anche con Bolzano e Trieste: un Teatro delle Tre Venezie come si sarebbe detto un tempo. Oltre alle coproduzioni nazionali, l’altra strada importante da percorrere è quella delle coproduzioni internazionali. Abbiamo un accordo stabilito e certificato con uno dei teatri più chic e trendy di Parigi, il Théâtre des Bouffes du Nord, con il quale abbiamo coprodotto La Tempesta di Peter Brook. Un altro accordo di coproduzione avviato sempre a Parigi è quello con il Théâtre de La Ville. In sintesi, voglio caratterizzare il mio lavoro coinvolgendo registi di assoluto valore, anche, ma non solo naturalmente, attraverso un incisivo lavoro di rivisitazione di grandi classici con nuovi adattamenti. Sono fermamente convinto che gli spettacoli da commissionare non debbano durare più di un’ora e quaranta. La soglia di attenzione oggi di uno spettatore medio, anziano, ma anche giovane, si posiziona in quell’arco temporale, non c’è più niente da fare. Adattare la durata di uno spettacolo in base al mutato concetto di tempo non rappresenta una sconfitta per i puristi del teatro? Non penso rappresenti una sconfitta, no. Comprimendo un po’ la durata degli spettacoli i testi, il messaggio, la recitazione stessa finiscono per catturare in maniera più diretta l’attenzione dello spettatore. Oggi non si può stare seduti a teatro più di un’ora e quaranta; siamo abituati ai tempi televisivi, serve quindi fornire una visione moderna, nuova dei grandi testi classici. I testi moderni pure vanno tagliati, non c’è più spazio per testi fluviali. Gli spettacoli in versione estesa devono trovare una loro sede ideale nei Festival, penso ad Avignone o al grande numero di spettacoli integrali andati in scena nei miei 13 anni di direzione del Festival di Spoleto. Non mi sono mai fermato neppure di fronte
Spettri - Photo Serena Pea
alle apparenti barriere linguistiche nei testi. Va superato del tutto il concetto che gli spettacoli debbano sempre e solo essere recitati in lingua italiana. Siamo a Venezia, centro del mondo, e poi c’è Padova, dove la cultura riveste un ruolo primario, e anche Treviso con la Marca, famosa nel mondo per i suoi vini e non solo. Anche l’idea di fare iniziare gli spettacoli alle 19, come nel resto d’Europa, rende l’andare a teatro una delle parti integranti di una serata, che poi può continuare con una cena con amici. Un teatro, quindi, visto come una buona abitudine sociale, pensata e diretta quasi esclusivamente ai cittadini residenti o provenienti da zone limitrofe. Solo nella sua prima stagione Scenari senza confini ha saputo comporre un cartellone con 13 produzioni e coproduzioni di cui 7 novità, con 6 debutti in prima nazionale. Quali altre sorprese ci attenderanno nei prossimi anni? Avrò a disposizione più spettacoli da poter mettere in scena: 10 a Venezia, 10 a Padova e un po’ meno a Treviso, perché qui c’è anche una programmazione importante di opere liriche. La linea è quella di proporre produzioni dirette, coproduzioni, ospitalità nazionali e internazionali. Per quanto riguarda l’ospitalità sceglierò il meglio che c’è, non quello che costa meno, sempre rispettando i limiti di budget naturalmente, che comunque è di tutto rispetto. Spero di continuare così, cercando di impiegare il più possibile la nostra compagnia di giovani e i nostri allievi dell’Accademia, che affiderò, come già fatto con Pizzi, a grandi registi che permetteranno loro di vivere delle esperienze forti e formative in spettacoli di primissimo livello. E poi naturalmente ci saranno presenze di grandi attori italiani e stranieri, com’è stato con Monica Bellucci. Quali sono i suoi autori teatrali preferiti? La mia folgorazione è avvenuta facendo l’aiuto regista per Luca Ronconi con Orlando Furioso, che debuttò a Spoleto nel 1969. Quella fu la cosa che mi spinse a continuare su questa strada. Un testo meraviglioso, messo in scena mirabilmente grazie a quella regia e a quegli attori straordinari, in quella meravigliosa chiesa sconsacrata di Spoleto. Un altro autore che considero davvero straordinario è Pirandello. E per alcune commedie, non tutte, Goldoni, per la sua modernità, la sua capacità di trattare la vita alta e bassa. Fabio Marzari 115
theatro NUOVE STAGIONI
Quelle sere al parco…
Volge a conclusione la rassegna youTheater, progetto del Comune di Venezia in collaborazione con le associazioni Live Arts Cultures, Farmacia Zoo:È e Macaco, che da gennaio a maggio ha animato e anima il Teatro del Parco Albanese di Mestre con spettacoli di musica, danza, teatro, oltre a workshop e matinées, dedicati alle nuove generazioni e alle loro passioni. In chiusura di rassegna, due spettacoli teatrali di Paola Lattanzi e Nardinocchi/ Matcovich, il doppio concerto di Kaki King e Marco Centasso (15 aprile) e quello del compositore Teho Teardo (14 maggio). In Crying out loud a doll’s house, in scena il 9 aprile, Paola Lattanzi ‘rapisce’ l’eroina del dramma ibseniano, per portarla altrove, fuori dalla casa di bambola. Il corpo stesso di Lattanzi, autrice ed interprete, dà vita a Nora con pose crude e contorte che ricalcano le fotografie di Francesca Woodman, mettendo a confronto le due donne. Anche Arturo, che chiude il cartellone il 21 maggio, è portato in scena dagli autori Laura Nardinocchi e Nicolò Matcovich, che affrontano il rapporto con i propri padri e la perdita di quest’ultimi, tra date, ricordi e aneddoti, trasformando il dolore in atto creativo. Arturo è un gioco interattivo, che invita gli spettatori a partecipare in prima persona: uno spettacolo ideato appositamente per i giovanissimi, che fornisce però a tutti importanti spunti di riflessione. Asja Skatchinski youTheater 9 aprile, 21 maggio Teatro del Parco Albanese-Mestre www.comune.venezia.it
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Nuovi segnali dall’universo
Photo Sigel Eschkol
S’intitola Asteroide Amor, come il gruppo di asteroidi che sfiora l’orbita della Terra portando segnali da altri universi, la nuova rassegna teatrale che fino al 28 maggio anima gli spazi del Teatro Ca’ Foscari a Santa Marta, del Teatro Goldoni e di Ca’ Tron, sede dell’Università IUAV di Venezia. Presentata da Giovani a Teatro 2.0, in continuità con lo spirito dello storico Giovani a Teatro, progetto ideato e promosso dalla Fondazione di Venezia, la rassegna è frutto di una sorta di “allineamento tra pianeti”, una virtuosa e inedita sinergia che coinvolge i due atenei cittadini, Università Ca’ Foscari e IUAV, e il Teatro Stabile del Veneto. Tre attori che, guidati da Fondazione di Venezia, si sono proposti di fare sistema con un duplice obiettivo: offrire alla città metropolitana, e in particolare ai giovani che la abitano, una selezione di spettacoli rappresentativi della scena contemporanea italiana e internazionale e, al contempo, sottolineare il ruolo del teatro come potente strumento di riflessione collettiva e condivisa sul nostro presente, animata dalle suggestioni offerte dagli artisti. In quest’ottica, anche il sito web del Teatro Ca’ Foscari è stato completamente rinnovato e arricchito con testi e materiali confezionati e messi a disposizione dai docenti e dai ricercatori delle due università e da esperti esterni, che offrono a pubblico e studenti un ulteriore spazio di approfondimento. Come gli asteroidi da cui prende il nome, la rassegna – curata da Susanne Franco, delegata della Rettrice alle Attività Teatrali di Università Ca’ Foscari e Annalisa Sacchi,
Direttrice del corso di Laurea in Teatro e Arti performative dello IUAV – vuol essere un mondo oltre il mondo, eternamente prossimo ma eternamente alieno, per spostare il punto di osservazione, creare visioni inedite, trovare la giusta distanza per leggere con chiarezza il presente. Nove spettacoli in due mesi per una proposta contemporanea e coraggiosa, che vede protagoniste alcune delle realtà più interessanti della scena nazionale e non solo, tra cui Marta Cuscunà, Motus, Deflorian/Tagliarini, Cristina Kristal Rizzo, Lucia Calamaro, Trajal Harrel, Lisa Ferlazzo Natoli, Yūko Kaseki. Dopo due anni di chiusura al pubblico riaprono dunque le porte del Teatro Ca’ Foscari a Santa Marta, luogo dove la parola diventa scena, rappresentazione condivisa, oggetto concreto di riflessione e di azione. Il Teatro dell’Ateneo ritorna ad essere spazio di incontro e dialogo, dove mettere insieme esperienze, conoscenze, progetti e scambi tra persone, lingue e culture diverse, esprimersi e ascoltare, luogo pubblico da condividere con la cittadinanza intera. I biglietti degli spettacoli della rassegna Asteroide Amor sono opzionabili su prenotazione, attraverso i link disponibili nelle pagine dedicate ad ogni singolo evento; per gli studenti delle università, del conservatorio, delle accademie e delle scuole superiori è previsto uno speciale biglietto a tariffa ridotta, a soli 5 euro. Asteroide Amor Fino 28 maggio Teatro Ca’ Foscari, Ca’ Tron, Teatro Goldoni www.unive.it/asteroideamor
FUTURI POSSIBILI
Photo Guido Mencari
Rituali irrinunciabili Dal Teatro Ca’ Foscari, una visione che reincanta il mondo «Il punto di partenza è rimasto un punto fermo: ci interessa in primo luogo la possibilità di facilitare l’incontro delle nuove generazioni con la scena di ricerca italiana e internazionale nei campi del teatro, della danza della performance. Ci ha mossi una passione, quella civica per il teatro pubblico e per la capacità della scena di essere un potente dispositivo di riflessione sul tempo che viviamo. Un dispositivo che produce da sempre saperi e visioni, nato per attivare processi di dialogo e critica. Il teatro è il luogo che permette una straordinaria curvatura del tempo: opere antichissime, come Le troiane di Euripide, la tragedia greca che ispira Tutto Brucia di Motus (24 maggio) ci parla della guerra che stiamo seguendo con orrore in questi giorni, e di quelle future, perché la violenza ha un ritmo ricorsivo. Il teatro è anche il luogo dove vediamo manifestarsi, nella forma delle creature fantastiche sulla scena di Marta Cuscunà (3 maggio), le immagini dell’alleanza e della mescolanza tra specie di un mondo non più condannato che è al centro del pensiero di Donna Haraway. Il teatro è dove abbiamo la possibilità di incontrare parole incarnate, corpi che fanno vacillare la centralità del linguaggio e che vibrano di tutte le passioni ingorgate per esempio nell’OtellO, come è nella versione dell’opera shakespeariana che ci offrirà il Collettivo Kinkale (22 aprile). Il teatro incide lo spazio che gli assegna la tradizione, abita luoghi intimi o pubblici, dimensioni minime e panorami, il reale e il virtuale, in Echos di Cristina Kristal Rizzo (12 maggio), presentato nella sede di Ca’ Tron dell’Università IUAV, dove spazi molteplici si arrotolano di fronte allo spettatore in un fluire ipnotico di corpi. È sempre più frequente che gli artisti usino alternativamente spazi teatrali ed espositivi per esplorare nuove implicazioni di generi, mostre, installazioni, performance e tutto quello che li unisce e per interrogarsi su come saperi e pratiche corporee possono essere pienamente recepiti come patrimoni culturali da preservare e rimettere in circolazione. Trajal Harrel ci porterà questo con Dancer of the year (9 aprile), interrogandosi sul valore della danza e sul modo in cui scriviamo la storia anche danzando in scena. Il teatro è il luogo in cui affrontiamo la rappresentazione delle relazioni umane, a partire dalle più private e familiari, come sono quelle attraversate da Darwin inconsolabile (Un pezzo per anime in pena), scritto e diretto da Lucia Calamaro (28 maggio). Il teatro ci permette di incontrare tutto questo e di farlo collettivamente, è la forma di ritualità laica e gioiosa che rimette al centro le passioni del vivere insieme, dell’incontrarci e del discutere, perché anche nei tempi che stiamo vivendo, siamo certi che l’esperienza del teatro abbia una forza straordinaria di reincantare il mondo» (Susanne Franco).
Tra le ospiti più attese della rassegna Asteroide Amor, Marta Cuscunà presenta al Teatro Goldoni il suo ultimo lavoro, Earthbound ovvero le storie delle Camille. Ispirato al saggio eco-femminista Staying with the Trouble di Donna Haraway, pensatrice cardine del femminismo contemporaneo, lo spettacolo è scritto e realizzato come un romanzo di fantascienza ed è frutto del lavoro di un team coeso e complementare che comprende il dramaturg Giacomo Raffaelli, Paola Villani e Marco Rogante che hanno realizzato l’animazione meccatronica, e una squadra di artisti che si è occupata della scultura delle creature animatroniche in ogni minimo dettaglio. Nel pensiero di Haraway, la consapevolezza di vivere dei tempi estremi potrebbe portare ad un senso di sconforto, di game-over, a cui è possibile sfuggire attraverso la narrazione intesa come pratica di cura, esercizio di immaginazione di possibili mondi futuri. In questo mo(n)do nascono le storie delle Camille, che raccontano di un futuro non troppo lontano in cui piccole comunità umane scelgono di migrare in zone del Pianeta devastate dall’inquinamento e dallo sfruttamento con l’obiettivo di risanarle attraverso l’alleanza con altre specie. Una delle chiavi che mettono in pratica per salvare la Terra è quella di mescolare il patrimonio genetico umano con quello di specie in via d’estinzione. «L’elemento dell’ibridazione genetica è quello che mi ha fatto pensare che portare queste storie in teatro potesse essere molto efficace attraverso pupazzi e creature meccaniche», racconta Cuscunà, famosa per i suoi spettacoli per attrice e pupazzi, tra cui La semplicità ingannata, Sorry, Boys e Il canto della caduta. Uno spettacolo di fantascienza che porta in scena un mondo immaginato ma coerente in ogni dettaglio, dalla scenografia alla drammaturgia, dalle luci e il suono alla costruzione dei pupazzi, creature ibride, mutate, la cui diversità non suscita terrore ma empatia. Ispirate nelle loro sembianze alle sculture dell’artista australiana Patricia Piccinini, le Camille sono frutto di un sofisticato sistema meccanico che permette all’attrice di controllarne fino a sette movimenti diversi con una sola mano. Chiara Sciascia Earthbound ovvero le storia delle Camille 3 maggio Teatro Goldoni www.unive.it/asteroideamor
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theatro DANZA
Giorni felici Una montagna di scarpette per Alessandra Ferri Happy days
Ho in mano il libretto di Samuel Beckett Giorni felici della benemerita Collana di teatro Einaudi. Il titolo originale L’heure exquise è tratto da una poesia di Paul Verlaine, Colloque sentimental. «Nel vecchio parco solitario e ghiacciato/due figure poco fa sono passate/Spenti hanno gli occhi, le labbra senza lena/e le loro parole si odono appena/Nel vecchio parco solitario e ghiacciato/ due fantasmi hanno evocato il loro passato». Anche nella opera di Beckett vi sono due personaggi, Winnie, «sulla cinquantina, ben conservata, bionda, grassottella, braccia e spalle nude, corpetto scollato, seno generoso, giro di perle», conficcata sino al petto in una montagnola di terra, metafora della condizione umana, con a fianco l’inseparabile borsa, e Willie, uomo sulla sessantina, seminascosto da una duna, con giornale ed ombrello. Lei fruga nel passato per trovare alcuni momenti felici, quasi a realizzare il tempo spazializzato di Henri Bergson «un’ora, non è solo un’ora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di progetti, di climi», compatisce Willie «quasi alla fine... pazienza… non c’è niente da fare... è una di quelle vecchie cose... un’altra di quelle vecchie cose… non c’è rimedio…», mentre fruga nella sporta e apre e chiude un tubetto di dentifricio. Su di lei implacabile la sensazione di avere uno sguardo altro. Strehler fu particolarmente colpito da questa opera e la volle in scena al Piccolo di Milano nel 1981 con protagonista Giulia Lazzarini, alla quale scrisse pochi minuti prima del debutto: «la nostra meravi118
gliosa tragedia dell’esser in vita in un mondo assurdo e incomprensibile, davanti ad un universo che non sappiamo nemmeno se c’è». Anche Alessandra Ferri è rimasta affascinata dalla lettura nei primi giorni della pandemia; racconta di aver chiamato l’amica Maina Gielgud, ultima interprete del balletto L’heure exquise creato da Maurice Bejart nel 1998 per Carla Fracci, e di aver subito deciso di lavorarci sopra. «Come Winnie, ballerina agée che vive nel passato – scrive Alessandra Ferri – e lo scandaglia per ritrovare momenti felici, così ogni interprete, Carla Fracci prima, poi Maina, ora io, interpreta le proprie memorie». Il pubblico non ritroverà il promontorio di terra che dominava la scena teatrale classica, ma una montagna di tremila scarpette rosa «ognuna delle quali contiene la vita di una danzatrice, a moving past». Al fianco di Alessandra Ferri, dopo le prime ravennati con Carsten Jung, si trova Thomas Whitehead del The Royal Ballet. Proprio il Royal Opera House aveva visto il rientro in scena della nostra stella della danza nel 2014, dopo un primo ritiro dalle scene. In quell’occasione, interprete di Chéri Alessandra aveva confessato: «A 50 anni è affascinante per una ballerina poter interpretare la propria età. Il balletto ci abitua a storie di ragazze. Per me affrontare l’età che avanza è molto bello». Chissà se anche Alessandra, come Winnie, vede nel capanno degli attrezzi un ricordo del suo primo bacio: «Vedo ancora i vasi vuoti infilati uno nell’altro. I fasci di giunchi. Le ombre che infittiscono fra le travi del soffitto». Loris Casadei
ENG
Two characters are on stage: Winnie, a middle-aged woman, fair-haired, chubby, busty, her arms and shoulders bare, a ring of pearls round her neck, is buried in sand up to the chest – a metaphor of human condition – and has her purse handy; and sixty-something Willie, barely visible on stage, newspaper and umbrella at the ready. Winnie fumbles for happy days and moments, and pities Willie as she rummages through the content of her purse. Theatre director Giorgio Strehler was particularly impressed by Happy Days and wanted to stage it in Milan in 1981 with Giulia Lazzarini as female lead. Minutes to her debut, he sent her a note: “our wonderful tragedy of being alive in a world that is so absurd and unintelligible, before a universe that we don’t even know if it exists or doesn’t”. Alessandra Ferri also found herself fascinated by Happy Days as she was reading it in the early days of the pandemic. She called her friend Maina Gielgud, the last interpreter of ballet piece L’heure exquise (also Becket’s original title for the play), which Maurice Bejart authored in 1998 for Carla Fracci. “Like Winnie, a former ballerina who lives in the past – says Ferri – and scans it incessantly looking for happy moments, any performer today interprets their own memories”. On stage, we won’t see sand, but rather, pink ballet shoes piling up. “At 50, it is fascinating for a dancer to interpret her own age. Ballet had us used to stories of girls. For me, working on age is beautiful in itself.” L’heure exquise 11-12 maggio Teatro Goldoni 4-5 maggio Teatro Verdi-Padova 7-8 maggio Teatro Mario Dal Monaco-Treviso www.teatrostabileveneto.it
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theatro
ALLO SPECCHIO
ON STAGE
Tornare a ridere Shammah e il vaudeville firmato Labiche Dal 12 al 14 aprile al Teatro Goldoni va in scena Il delitto di via dell’Orsina, la pièce comica del gigante della drammaturgia francese, Eugène Labiche nella riscrittura e regia di Andrée Ruth Shammah con un brillante Massimo Dapporto a dominare la scena. Un uomo si sveglia e si ritrova uno sconosciuto nel letto. In realtà entrambi sono accomunati dall’aver frequentato lo stesso liceo. Tutti e due hanno una gran sete, le loro mani sono sporche e le tasche piene di carbone ma non sanno perché, non ricordano niente della notte precedente. Lentamente, i due tentano di ricostruire quanto accaduto, ma l’unica cosa di cui sono certi è di essere stati entrambi alla festa di ex allievi del liceo. Di quello che è accaduto quando hanno lasciato il raduno non ricordano niente. Da un giornale apprendono che una giovane carbonaia è morta quella notte e tra una serie di malintesi ed equivoci si fa strada la possibilità che i due abbiano commesso l’omicidio. Si tratta del classico vaudeville francese: una situazione paradossale tra parti in prosa e brani cantati, una trama essenziale costruita su equivoci e scambi di persona. Questo spettacolo rievoca quel tipo di teatro comico e leggero che è stato di grande successo nell’Ottocento, ma che oggi è poco rappresentato a teatro. La riscrittura della Shammah innesta la vicenda in un’epoca diversa, prima della Seconda Guerra, in Italia, nel confronto tra borghesia e nobiltà decadente. «Ho scelto questa commedia – commenta la regista – perché volevo ridare al pubblico la voglia di tornare a ridere e di ritrovare nel teatro un luogo in cui divertirsi e sentirsi sollevati, senza però rinunciare alla necessità di riflettere sui nostri tempi. Una riflessione sull’insensatezza e l’assurdità della vita». Le scene sono di Margherita Palli e le musiche di Alessandro Nidi. Katia Amoroso
Back to laughter
ENG
On April 12 to 14, a comedy piece by a giant among French playwrights, Eugène Labiche, will be staged at the Goldoni Theatre: this rendition of L’Affaire de la rue de Lourcine has been adapted and will be directed by Andrée Ruth Shammah, starring Massimo Dapporto. A man wakes up to find a stranger in hid bed. In fact, the two have something in common: they attended the same school. They’re thirsty, their hands are dirty, their pockets are full of coal, and they have no idea how any of that happened. Slowly, they try to piece together the night before, but the only thing they remember is their school reunion. On the newspaper, they read about a girl, a coal merchant, who died the night before, and after a streak of misunderstandings, the two start to think they might actually be responsible. The play is a typical French vaudeville: an incredible set-up, some song, some prose, and a simple comedy-of-errors plot. This kind of light and funny theatre was very popular in the 1800s, much less so today. Shammah’s adaptation is set in a different time period: interwar Italy. “I chose this piece – says the director – because I wanted theatre audiences to enjoy some comedy and laughs, to experience theatre as a place of comfort and relief, while also give something to think about, a reflection on the senselessness and absurdity of life.” Il delitto di via dell’Orsina 12-14 aprile Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it
L’Attesa è il testo che ha fatto conoscere l’autore veronese, Remo Binosi, al grande pubblico permettendogli di conquistare il Biglietto d’oro Agis come migliore novità italiana nel 1994 – nell’indimenticata produzione di Teatro Due di Parma diretta da Cristina Pezzoli ed interpretata da Maddalena Crippa ed Elisabetta Pozzi – e che nel 2000 è diventato un film, Rosa e Cornelia, diretto da Giorgio Treves. Ventisei anni dopo, Michela Cescon, attrice, produttrice e regista veneta, come Binosi, decide di riproporlo con due interpreti molto amate dal pubblico: Anna Foglietta e Paola Minaccioni, per la prima volta insieme sul palco per dare corpo e voce alla nobildonna Cornelia e alla serva Rosa. Il testo di Binosi possiede una grande forza drammatica e di coinvolgimento cui è difficile rimanere indifferenti e – nonostante l’azione sia ambientata nel ‘700 – i temi e i contenuti sono universali: anche oggi a tanti anni dalla sua scrittura, è un testo contemporaneo, caratteristica che solo le grandi opere hanno. Il rapporto serva-padrona, il doppio, il grande seduttore Casanova, la maternità, il male, la morte – sono raccontati con cambi di registro narrativo: dalla commedia al dramma, dal noir fino a sfiorare la tragedia. Il linguaggio è originale e sorprendente, con una naturale vis comica che garantisce una presa certa sul pubblico, paragonabile a quella dei testi di Goldoni e di Eduardo. «I personaggi sono empatici, emozionanti, veri – scrive Cescon in una nota – e si prova per Rosa e Cornelia grande simpatia: soffri con loro, le ami con dolcezza, le adori, partecipi prima con una, poi con un’altra, poi con tutte e due… e alla fine non ti sorprendi di pensare che forse potrebbero essere la stessa persona». L’Attesa 5-8 maggio Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it
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theatro ON STAGE
Luce sepolta nell’ombra Lungo il suo percorso artistico Glauco Mauri ha dato vita a ben 24 personaggi shakespeariani. E ora affronta per la terza volta nella sua prestigiosa carriera Re Lear, la più titanica delle tragedie di del Bardo. L’attore pesarese ha indossato i panni del Re oltre 500 volte: il primo allestimento dell’opera nel 1984 e il secondo nel 1999, e in entrambe le produzioni aveva curato anche la regia. Glauco Mauri, 91 anni, è uno tra i più importanti attori italiani a cavallo del millennio che per età, esperienza, capacità interpretativa, riesce a dare forza e verità al grande Re shakespeariano, definito come un “sublime crogiolo di umanità”. L’attore commenta così le qualità necessarie per interpretare Re Lear: «Non servono tanto le eventuali doti tecniche maturate nel tempo quanto la grande ricchezza umana che gli anni mi hanno regalato nel loro, a volte faticoso, cammino». Nella nuova produzione che in scena dal 26 al 29 aprile al Teatro Toniolo, Mauri è diretto da Andrea Baracco. Il regista nell’affrontare il capolavoro shakespeariano è stato attrat-
Photo Manuela Giusto
to in modo particolare dall’ambivalenza della tragedia di Re Lear: «Quello che mi ha sempre colpito di Re Lear è che sotto quel nero sembra splendere qualcosa di incredibilmente luminoso e proprio quella luce sepolta dall’ombra la rende così affascinante». Roberto Sturno è il conte di Gloucester, al fianco di Glauco Mauri anche nelle due
passate edizioni e Dario Cantarelli interpreta il ruolo del Matto. Le scene e i costumi sono realizzati da Marta Crisolini Malatesta e le musiche sono firmate da Giacomo Vezzani e Vanja Sturno. Katia Amoroso
dionalissimo professor Bellavista e il dirigente dell’Alfa venuto dal Nord Cazzaniga. La scenografia riproduce la facciata del grande palazzo di via Foria, dove venne girato il film, con i tipici elementi della casa partenopea: il tavolo dei pomodori, il negozio di arredi sacri, l’ascensore, il cenacolo. Proprio qui, nel cenacolo, Bellavista tiene le sue dissertazioni e regala pillole di saggezza. Geppy Gleijeses, nel doppio ruolo di regista e principale interprete, con Marisa Laurito,
Benedetto Casillo, Gianluca Ferrato, scrive nelle note di regia: «Come ci insegna Luciano, dobbiamo avere fede: Napoli, con il suo spirito d’adattamento, è forse l’ultima speranza che ha il genere umano per sopravvivere. I sentimenti nostri, quelli veri, quelli che Luciano ha descritto, non sono cambiati e non cambieranno mai». Marzio Fabi
Re Lear 26-29 aprile Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
Metà amore e metà libertà Luciano de Crescenzo, ingegnere, filosofo, umorista, napoletano. Come si trattasse di un sillogismo col rigore dell’ingegnere si sviluppa l’abitudine alla speculazione filosofica e con essa si guarda all’ironia intesa come condizione dello spirito, ma su tutto c’è Napoli, che sovrintende il pensiero o meglio il νοῦς, la divina ragione ordinatrice del mondo. Da un lato la vita cittadina napoletana, il suo umore e la capacità di sopravvivenza anche nelle avversità più drammatiche, è elevata al livello della riflessione filosofica; dall’altro la grande tradizione filosofica è trasportata nei quartieri spagnoli della città, a contatto con i suoi contrasti e le sue furbizie. Nel testo di De Crescenzo, che fu anche film, sullo sfondo dell’eterna diatriba, di carattere etnico/sentimentale, tra uomini d’amore, napoletani e uomini di libertà, milanesi, tema dell’iconica lezione del Professore, rivivono, in un perfetto meccanismo teatrale, le scene più divertenti del film: il cavalluccio rosso, la lavastoviglie, il Banco Lotto, la Fiat 500 tappezzata di giornali. Cardine della storia, il contrasto tra il meri-
Così parlo Bellavista 14-15 maggio Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
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IL DOLORE UTILE Un’opera alta e straziante sul dolore umano, sulla sua persistenza e sulla sua necessaria consolazione. Hamaguchi si unisce a Čechov per parlare, con una stessa voce, di tutti noi di Giorgio Placereani
D
cinema
rive My Car di Hamaguchi Ryusuke, vincitore
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dell’Oscar per il miglior film straniero, distribuito da Tucker Film, è un’opera alta e straziante sul dolore umano (nonché sulla responsabilità), sulla sua persistenza e sulla sua necessaria consolazione: «Noi vivremo». Questo è Čechov – il sublime discorso finale di Sonja in Zio Vanja – ed è appunto il capolavoro čechoviano che il regista teatrale Kafuku mette in scena dopo una tragedia familiare. In Drive My Car, tratto da due racconti di Murakami, Hamaguchi elabora una pluralità di temi, dall’amore alla conoscenza; e se il dramma di Čechov faceva capolino pure in Murakami, Hamaguchi ne fa il fulcro del film. Le psicologie ferite del protagonista e di Misaki, la ragazza che gli fa da autista sulla sua SAAB rossa, si stagliano nel contesto della preparazione di una rappresentazione di Zio Vanja a Hiroshima. Tale ambientazione consente a Hamaguchi di realizzare il suo personale Paradosso dell’attore. La recitazione viene dal profondo del cuore. Fuori dal palcoscenico, è recitazione (come in Murakami) pure il rapporto fra Kafuku e Takatsuki, l’amante di sua moglie morta, in una situazione ambigua in cui il secondo ignora che il primo ‘sa’. È interessante notare che anche sul personaggio fantasmatico della bambina Sachi che conosciamo di scorcio attraverso il racconto di Misaki nel finale – una “seconda personalità” della madre violenta di lei – si stende il sospetto della recitazione. Quella che Kafuku mette in scena a Hiroshima è una rappresentazione multilingue, con l’ausilio dello schermo per la traduzione che si usa per le produzioni in lingua straniera. A sorpresa, fra il coreano, il mandarino e il Tagalog
filippino, è compreso anche il linguaggio dei sordomuti, per l’attrice muta che interpreta Sonja. Sembra un paradosso, ma nel finale del film la sua resa del già menzionato discorso finale in questo linguaggio gestuale raggiunge una potenza da brividi. In tutto il suo cinema Hamaguchi insiste moltissimo sul ‘potere delle parole’ – che viene ancora accresciuto da quelle potentissime di Čechov, che incarnano la vita stessa. «Čechov è terrificante. Quando dici le sue battute, tira fuori il vero da te». Questa osservazione di Kafuku è la chiave per intendere il complesso rapporto fra il testo teatrale e la sceneggiatura del film. Le parole di Čechov assumono una risonanza profonda in Drive My Car. Ma più che un rispecchiamento dell’azione, le battute che la voce della moglie morta recita nell’audiocassetta ascoltata in macchina suonano come un memento. Beninteso, non mancano delle raffinate “rime”, ma non è questo che importa a Hamaguchi, tanto che esse sembrano pertinenti piuttosto all’eleganza di montaggio che a una vera corrispondenza ideale. Ovvero, a Hamaguchi non interessa che il testo čechoviano duplichi l’azione drammatica del plot (sarebbe troppo facile), bensì, piuttosto, rispecchi il complesso della vita umana quale emerge attraverso quest’azione drammatica. Hamaguchi si unisce a Čechov per parlare, con una stessa voce, di tutti noi. Potete trovare questa ed altre recensioni nel blog di Giorgio Placereani, placereani.blogspot.com Drive My Car di Hamaguchi Ryusuke (Giappone, 2021)
COME CAINO E ABELE
Tratto da un romanzo di Thomas Savage del 1967, la storia, che si svolge nel 1920, è incentrata su una coppia di ricchi fratelli del Montana, Phil e George Burbank, proprietari del più grande ranch della valle. Mentre Phil è aggraziato, brillante, ma con un’indole crudele, George al contrario è stolido, meticoloso e gentile. Quando George sposa segretamente Rose, una vedova del posto, Phil, scioccato e arrabbiato, intraprende una guerra sadica e implacabile per distruggerla, usando suo figlio Peter come pedina. Questo l’intreccio narrativo di The Power of the Dog, che è valso a Jane Campion il premio Oscar per la miglior regia dopo aver fatto il pieno di nominations, ben 12. Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Jesse Plemons e Kodi Smit-McPhee sono i portagonisti di una storia girata e recitata a livelli altissimi, dai ritmi di sicuro non incalzanti o ‘avvincenti’ nel senso cinematografico del termine, ma senza ombra di dubbio ammalianti, magnetici, che stimolano di continuo la curiosità di chi sta davanti allo schermo. Jane Campion è la terza donna nella storia degli Oscar a vincere la statuetta per la miglior regia, dopo Kathryn Bigelow per The Hurt Locker (2008) e Chloé Zhao per Nomadland (2020), presentati alla Mostra di Venezia proprio come The Power of the Dog. È la settima volta in nove anni che il riconoscimento per la miglior regia va a film presentati in prima mondiale al Lido, dopo Gravity (2013) di Alfonso Cuarón, Birdman (2014) di Alejandro G. Iñarritu, La La Land (2016) di Damien Chazelle, The Shape of Water (2017) di Guillermo del Toro, Roma (2018) di Alfonso Cuarón, Nomadland (2020) di Chloé Zhao. Per aver scritto e diretto Lezioni di Piano nel 1993, Jane Campion ha vinto la Palma d’Oro al 46º Festival di Cannes e tre Premi Oscar nell’edizione del 1994: migliore attrice (Holly Hunter), migliore attrice non protagonista (Anna Paquin) e migliore sceneggiatura originale (Jane Campion), rimanendo fino ai Premi Oscar 2016 il film australiano con il maggior numero di Oscar vinti. 125
cinema FESTIVALS
POPURAN
Vicino Oriente
Fate attenzione, egoisti e opportunisti! La mattina potreste svegliarvi e accorgervi che il vostro membro virile è volato via. Vi toccherebbe partire muniti di rete da farfalle per riprenderlo, come il protagonista del film di Ueda Shinichiro. Si può riattaccare, ma bisogna catturarlo entro sei giorni.
ESCAPE FROM MOGADISHU
Mogadiscio in rivolta nel 1991. I membri dei corpi diplomatici sudcoreano e nordcoreano (come dire cani e gatti) devono rifugiarsi insieme all’ambasciata del Sud. E per salvarsi (sembra invenzione, ma il film di Ryoo Seungwan racconta una storia accaduta) fuggono insieme verso l’ambasciata italiana.
WHAT TO DO WITH THE DEAD KAIJU?
I kaiju (i mostri giganteschi tipo Godzilla) sono già un problema da vivi. Ma come fare con la carcassa gigantesca di un kaiju in decomposizione? Hai voglia a parlare di smaltimento rifiuti! Il problema, nel film satirico di Miki Satoshi, scatena feroci battaglie burocratiche nel governo giapponese. 126
© RobertoRosolin-LeonardoUlian
Dal 22 al 30 aprile, è di nuovo “FEFF time”: il periodo in cui il Far East Film Festival di Udine porta sullo schermo del Teatro Nuovo e del cinema Visionario il meglio della produzione popolare asiatica. Perché – com’è noto – a differenza dei festival come Venezia e Cannes il FEFF segue il cinema asiatico mainstream (non senza qualche proficua escursione in aree più paludate). Negli ultimi due anni la pandemia (che per inciso ha colpito duramente le industrie cinematografiche asiatiche) ha lasciato il suo segno anche sul Festival: l’edizione 2020 ha dovuto svolgersi interamente in digitale, mentre quella 2021 è stata mista fra streaming e pubblico in sala, ma solo al cinema Visionario. È chiaro che il FEFF non tornerà indietro e continuerà a presentare parte del suo programma anche in streaming – in collaborazione con MYmovies – raggiungendo così quegli spettatori che non possono venire a Udine. Tuttavia, il 2022 sarà l’anno della completa rinascita del Festival in sala, con il ritorno del Teatro Nuovo, col suo megaschermo e i suoi quasi 1200 posti. Inoltre ritornano gli ospiti dall’Asia, sebbene non da tutti i Paesi. E qui salta prepotentemente in mente il grande nome, che appena annunciato ha mandato in fibrillazione il web: realizzando un sogno perseguito per anni, il FEFF porta a Udine il grandissimo Takeshi Kitano. L’autore di Sonatine, per citare un solo titolo, riceverà a Udine il Gelso d’Oro alla carriera, come in precedenza altri giganti del cinema asiatico, fra i quali lo spazio permette di ricordare solo Jackie Chan, Joe Hisaishi, Sammo Hung, An-
thony Wong – e naturalmente Johnnie To. Come ogni anno, la selezione ufficiale del Festival sarà accompagnata da una quantità di sezioni collaterali: i classici restaurati (il FEFF tiene molto alla sua dimensione di riscoperta storica), e poi i documentari, le tradizionali “Odd Couples”, una retrospettiva sul cinema di Hong Kong e una importante rassegna sull’immagine di Manila nel cinema filippino. Si aggiunge – solo per quest’anno – una sezione di film già presentati in altri festival ma che, a causa dell’isolamento portato dal Covid, non hanno potuto usufruire appieno della “vetrina” che meritavano. I film programmati nella selezione ufficiale copriranno, al solito, tutta l’area dello spettacolo popolare asiatico, dalla arguta sex comedy giapponese Love Nonetheless di Jojo Hideo all’intrigante e piacevolissimo “meta-film” filippino Leonor Will Never Die di Martika Escobar, dal dramma politico coreano, tratto da una storia vera, Kingmaker di Byun Sung-hyun all’animazione cinese I Am What I Am di Sun Haipeng, che ci porta dentro la simbologia (e la fatica!) della Danza del Leone. E poi, thriller, avventure poliziesche, storie di spadaccini, commedie sentimentali, drammi di vita quotidiana – senza trascurare una serie di fantasiosi horror che, come sempre, rappresentano una scoperta culturale trasportandoci in un mondo fantastico del tutto diverso dal nostro. Giorgio Placereani 24. Far East Film Festival 22-30 aprile Teatro Nuovo Giovanni da Udine, Cinema Visionario-Udine www.fareastfilm.com
Scritto negli occhi
© Lorenzo Mattotti
Lo sguardo fiero, i lineamenti accennati, l’eleganza nel contrasto tra rosso e nero: è la donna disegnata da Lorenzo Mattotti protagonista del manifesto della dodicesima edizione del Ca’ Foscari Short Film Festival in programma dal 4 al 7 maggio in forma “diffusa” a Venezia, mantenendo come sede principale lo storico Auditorium Santa Margherita. L’illustrazione di quest’anno si va ad aggiungere ai “ritratti d’autore” che hanno caratterizzato le ultime edizioni, ancora una volta è uno sguardo femminile rivolto al futuro, come quello degli studenti che dopo due anni terribili vogliono tornare a guardare all’avvenire con speranza e che saranno la linfa vitale del festival, coinvolti in tutte le fasi della sua realizzazione. Grande spazio sarà dato al cinema d’animazione ‘breve’, con tre programmi dedicati, a cominciare dallo speciale sul grande Peter Lord, autore di classici come Galline in fuga e Pirati! Briganti da strapazzo, figura cardine dell’animazione europea. A lui sarà dedicata una lunga intervista sul palco dell’Auditorium condotta da Davide Giurlando. Non sarà da meno Barry Purves, già allo Short come giurato nel 2017, che torna a Venezia per presentare il suo nuovo cortometraggio No Ordinary Joe e parlare dell’altra sua grande passione: il teatro. Come sempre il programma affiancherà al Concorso Internazionale – trenta tra i migliori cortometraggi prodotti nelle scuole di cinema e università di tutto il mondo – una ricca serie di retrospettive, focus, omaggi, concorsi collaterali e masterclass. Tra queste ultime, torna (virtualmente) a Venezia uno dei grandi amici del festival, il regista giapponese di culto Tsukamoto Shin’ya (Tetsuo, Kotoko) che per l’occasione presenterà in anteprima il suo romanzo Un serpente di giugno, tratto dall’omonimo film del 2002, in uscita negli stessi giorni per la casa editrice Marsilio con la traduzione di Francesco Vitucci. Dopo il successo delle passate edizioni, lo Short torna inoltre in versione diffusa per riaffermare il profondo legame con la città di Venezia, la sua cittadinanza e le sue istituzioni culturali. Oltre alla storica location dell’Auditorium Santa Margherita sarà infatti possibile assistere a una selezione dei programmi della dodicesima edizione anche in realtà cittadine come la Fondazione Querini Stampalia, il Museo d’Arte Orientale – Ca’ Pesaro, la Casa del Cinema del Comune di Venezia, la Fondazione Bevilacqua La Masa, l’NH Venezia Rio Novo e la Fondazione Ugo e Olga Levi. 12. Ca’ Foscari Short Film Festival 4-7 maggio Auditorium Santa Margherita e altri luoghi in città cafoscarishort.unive.it
Tra Elvis e Maverick
Il Palais des Festivals di Cannes dovrebbe ospitare Elvis di Baz Luhrmann, Crimes of the Future di David Cronenberg, Top Gun: Maverick di Joseph Kosinski, Lightyear – La vera Storia di Buzz della Disney-Pixar, ed è di questi giorni la conferma che del programma della kermesse francese farà parte anche Three Thousand Years of Longing di George Miller. Di quest’ultimo film, nel quale recitano Idris Elba e Tilda Swinton, non si conoscono molti dettagli, se non che, come ha spiegato il regista, sarà l’anti Mad Max. Si tratta di un fantasy romantico in cui uno studente incontra una specie di genio della lampada disposto ad esaudire tre desideri in cambio della sua libertà. Usare il condizionale è d’obbligo, se parliamo di Cannes: mentre andiamo in stampa ancora non è andata in scena la conferenza di presentazione della rassegna in programma dal 17 al 28 maggio, quindi ricorriamo a voci di corridoio per concentrarsi sulle suggestioni che ci descrivono una Cannes ad altissimo tasso qualitativo, con nomi da far girar la testa. Alejandro González Iñárritu, Terrence Malick, Darren Aronofsky e l’italiano Pietro Marcello tra i protagonisti più attesi e “altamente probabili”, con il Tchaikovsky’s Wife di Kirill Serebrennikov escluso dal bando del Festival nei confronti dei registi russi. Se l’Academy si è affidata a Twitter e ha persino istituito l’Oscar social, la Croisette non è da meno e ha puntato su TikTok. Rassegne e premi sentono il bisogno di rinnovarsi e soprattutto aprirsi al pubblico più giovane, percorrendo la strada più forse più semplice ma sicuramente efficace dei social network. Così mentre nasce #Oscarfanfavorite, concorso tutto giocato su Twitter per votare il miglior film del 2021 a prescindere dalle nomination dell’Academy, arriva anche la notizia che il Festival diretto da Thierry Frémaux ha scelto il social cinese come partner ufficiale della 74. edizione. Dopo aver bandito i selfie sul tappeto rosso nel 2018, Cannes compie una sorta di marcia indietro e annuncia «una collaborazione che fa parte del desiderio di diversificare il pubblico, non vediamo l’ora di condividere i momenti più emozionanti e stimolanti e di vedere il Festival reinventato attraverso l’obiettivo dei creatori di TikTok e della sua community», come detto dallo stesso Frémaux. La collaborazione prevede anche #TikTokShortFilm, una competizione globale in-app di cortometraggi di lunghezza compresa tra 30 secondi e 3 minuti. 74. Festival di Cannes 17-28 maggio www.festival-cannes.com
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cinema
SUPERVISIONI
RITRATTI
Un adorabile bugiardo
«Attore non attore, innamorato delle donne, della vita, della buona tavola. Fece un passo difficile, dal comico al drammatico. Molti ci provano, pochi ci riescono. A lui riuscì. Bello starci insieme, mai un momento di noia. Vero, sincero. Anche Gassman ne era contagiato: gli piaceva, era il contrario di lui. Ugo non sapeva quasi mai la parte. La inventava...». Così Ugo Tognazzi veniva descritto da Dino Risi, che lo diresse ne I mostri e I nuovi mostri e che ne colse in maniera lucida e sintetica non solo i tratti di attore, ma di uomo prima di tutto. Nel centenario della sua nascita, di motivi per celebrare Ugo Tognazzi ne troviamo tanti legati tanto all’attore quanto all’uomo: i due versanti della sua personalità non avevano confini precisi, anzi la sua credibilità e il suo straordinario talento stavano nel cercare di non dosare l’uno rispetto all’altro, facendosi guidare dalla passione e dalla naturalezza. Il duo formato con Raimondo Vianello dal ‘54 al ‘59 mette da subito in mostra una comicità straordinaria, più popolare la sua e più raffinata quella di Vianello. La sua carriera cinematografica ha ribadito il concetto consegnandoci personaggi autentici, veri, che Tognazzi affronta portando il metodo Stanislavskij dell’immedesimazione ad un livello successivo, o magari ignorandolo del tutto. Fu diretto dall’amico Mario Monicelli, risultando assolutamente impareggiabile nei panni del nobile decaduto conte Raffaello Mascetti in Amici miei, personaggio che venne offerto prima a Mastroianni e poi a Vianello, con Ugo destinato invece al ruolo del giornalista Perozzi: grazie a quei ghirigori che il destino per fortuna ci presenta, Tognazzi ci regalò una delle interpretazioni (o “non interpretazioni”) migliori della storia del cinema italiano. Per Monicelli fu personaggio drammatico in Romanzo popolare al fianco di una Ornella Muti non ancora ventenne, colonna sonora di Jannacci, vincendo un Nastro d’Argento. Circuito Cinema gli dedica una rassegna ad aprile omaggiandone la grandezza e rinnovando, se possibile, il dubbio: quello di essersi goduti un grandissimo attore, che forse in realtà non ha recitato mai. Davide Carbone Ugo Tognazzi. Il sapore forte della vita 7, 14, 21, 28 aprile Casa del Cinema, Videoteca Pasinetti www.culturavenezia.it/cinema
Ride or die (2021), uscito ad aprile 2021 e distribuito da Netflix, è l’ultimo lavoro di Ryūichi Hiroki, il miglior studioso del personaggio nel cinema moderno giapponese, noto soprattutto per riuscire a rappresentare le donne con assoluta profondità ed autenticità. Nel film tutto ha inizio dalla fine: presente, passato e futuro vengono raccontati parallelamente, interposti con assoluta naturalezza, come se il tempo fosse una realtà unica e uniforme, non così frammentata e scandita come la percepiamo. Una prima scena davvero cruda e violenta, resa ancora più viva da un accostamento di colori vincente e indimenticabile. Già dalla prima scena l’occhio dello spettatore sviluppa una sorta di dipendenza dal colore rosso, che viene riproposto più volte giocando con i capelli della protagonista, figura elegante e sinuosa. Subito dopo questo duro impatto, il film prende una direzione più tenera, seppur rimanendo tragica a tratti. Ride or die parla di amicizia, amore, paura, inadeguatezza e brutalità maschile. Rei Nagasawa è una giovane donna omosessuale che decide di uccidere il marito violento della sua cotta del liceo, Nanae. I flashback ricostruiscono pian piano la loro storia, due liceali che iniziano a piacersi e provare affetto una per l’altra, anche se le intenzioni ed i sentimenti di Nanae nei confronti di Rei non sono poi così chiari ed espliciti. Due donne che provengono da mondi diversi, da classi sociali differenti (concetto che viene ribadito più volte) e che nonostante questo si incontrano, creando un legame forte e indissolubile. Nanae viene picchiata brutalmente dal marito e chiede aiuto a Rei, che si trasforma in un’assassina per vendicarla e liberarla. Film drammatico on the road, che non si può vivere se non in maniera confusa ed irrequieta, a parte qualche raro momento di gioco, di risata e di assoluta complicità tra le due amanti. I pochi uomini che appaiono nel film sono figure negative, violente, superficiali, delle quali viene evidenziata solamente la sessualità bruta e l’impoverimento dell’animo. Il tema dell’omosessualità non è centrale ma ben presente, viene espresso con leggerezza e trasparenza dalla protagonista. Rei è omosessuale da sempre e il suo amore risulta liberatorio per chi ancora fa fatica ad accettare la propria natura. Molto il contatto fisico, anche se non delle due protagoniste come ci si potrebbe giustamente aspettare. Il rapporto platonico tra Rei e Nanae non sembra aver bisogno di parole o carezze, viaggia ‘al di sopra’ per quasi tutto il film, finché a venti minuti dalla fine qualcosa finalmente si scioglie. Ride or die incarna perfettamente il concetto di sapersi godere quello che resta, il fatto che “essere vivi a volte non significa stare bene”, come dice saggiamente uno dei personaggi di Ryūichi Hiroki. Rimane tuttavia un pensiero latente, costante in tutto il film: un’attrazione palpabile verso la morte che alla fine non trova compimento, restando sospesa nell’aria. Maria Casadei 129
cinema OMAGGIO
CINEFACTS a cura di Marisa Santin
L’Ucraina vista attraverso i suoi cineasti. Cinque film che affondano lo sguardo nella storia recente del Paese
CLOSE RELATIONS di Vitalij Manskij (2016)
Mentre la Crimea passava alla Russia e in Donbass cominciavano i conflitti armati, il documentarista Vitalij Manskij, cittadino russo di origini ucraine, viaggiava per il Paese con la sua famiglia. Close Relations, presentato in anteprima italiana al Film Festival di Trieste, è la testimonianza dello sgretolamento che la guerra genera a tutti i livelli, a cominciare dalla sfera degli affetti. Il film fa parte della rassegna di Circuito Cinema La terra degli avi dimenticati. Il cinema in Ucraina prima e dopo la fine dell’Unione Sovietica, curata da Marco Dalla Gassa dell’Università Ca’ Foscari.
DONBASS
di Sergei Loznitsa (2018)
Il regista sceglie la chiave dell’umorismo nero per restituire un affresco delle vicende accadute in Donbass nel 2014. Articolato in dodici episodi e altrettante storie dal tono a tratti satirico e a tratti drammatico, il film ha aperto la sezione Un Certain Regard di Cannes 2018, dove ha vinto il premio per la miglior regia. Con un impianto narrativo potente e lontano dai toni del politicamente corretto, Loznitsa offre il quadro vivido di un Paese spaccato, ricordandoci che la guerra in Ucraina è iniziata molto prima di quando ce ne siamo accorti noi.
BAD ROADS
di Natalya Vorozhbit (2020)
Le cattive strade del titolo sono quelle del Donbass in guerra, dove nessun luogo è sicuro e niente sembra dare un senso a ciò che sta accadendo. Anche in questo frangente, in cui tutti subiscono la stessa realtà di violenza e minaccia, si instaurano meccanismi di prevaricazione gli uni sugli altri. In una dimensione privata di ogni senso di normalità spariscono le più semplici regole del vivere civile e torna a valere la sola ‘legge’ della strada. Il film d’esordio della regista di Kiev, messo in scena sul palco del Royal Court Theatre di Londra nel 2017, è stato presentato alla Settimana Internazionale della Critica a Venezia nel 2020.
BAD ATLANTIS (2019) e REFLECTION (2021) di Valentyn Vasyanovych
I due film del regista ucraino Vasyanovych affrontano la guerra nel Donbass del 2014 da diverse angolazioni e chiavi stilistiche. Ambientato nel 2025 nell’est dell’Ucraina, Atlantis (Miglior Film Orizzonti a Venezia) descrive un futuro distopico dall’atmosfera apocalittica in cui il protagonista, un ex soldato affetto da stress post-traumatico, fatica ad adattarsi alla devastazione che la guerra ha lasciato nella sua vita e nella sua terra. Raccontando il rapporto tra un padre e la figlia, Reflection (in Concorso a Venezia nel 2021) rivolge invece lo sguardo sulle conseguenze che guerra e violenza hanno nei rapporti personali e negli affetti più intimi.
THE EARTH IS BLUE AS AN ORANGE di Iryna Tsilyk (2020)
Premio alla regia nel concorso World Cinema Documentary del Sundance Film Festival, il film d’esordio di Iryna Tsilyk, un documentario che per qualità stilistica sembra un film di finzione, racconta la guerra dal punto di vista di un nucleo famigliare. Madre, figli e nonna hanno trovato rifugio in zona remota del Donbass. Al riparo dai combattimenti lavorano al film che stanno realizzando insieme ognuno con il proprio ruolo, chi alla regia, chi al montaggio, chi alle riprese. La narrazione della ‘loro’ guerra serve a cominciare a dare un senso a ciò che sta accadendo intorno a loro. 130
It's time to play again. 131
Intervista Marco Paolini
L’INQUISITORE GENTILE Parlare con lui ti obbligava a pensare prima di parlare, pensare due volte. Venivi via con qualcosa che ti restava dentro; eri seminato e quei semi dopo germogliavano, giorni o settimane più tardi. Meneghello sapeva fare le domande perché era curioso e interessato di Elisabetta Gardin
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ent’anni fa , il 16 febbraio 1922, nasceva a
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Malo, in provincia di Vicenza, Luigi Meneghello. Scrittore raffinatissimo, autore di profilo internazionale, tuttavia sempre profondamente radicato nel suo Veneto, di cui fu grande e acuto interprete, a volte anche aspramente critico, sempre ironico. Non si può non rimanere conquistati dalla sua incredibile e particolarissima cifra stilistica, dall’uso delle parole, del dialetto in tutte le loro sfaccettature, di cui riesce a esaltare forza e vitalità. Dopo la maturità classica a Vicenza, si laurea alla Facoltà di Lettere dell’Università di Padova. Nel 1943 è ufficiale degli Alpini, per poi di lì a poco combattere nella Resistenza. Terminata la guerra partecipa attivamente alla vita politica entrando nel Partito d’Azione, aspirando a un vero rinnovamento della società italiana, rimanendone ben presto però deluso. Nel 1946 incontra Katia Bleier, che sposa subito dopo a Milano e che sarà l’inseparabile compagna della sua vita. Nel 1947 vince un concorso per una borsa di studio all’Università di Reading in Inghilterra, iniziando quello che lui definirà ‘dispatrio’. Lì si dedica all’insegnamento fino al 1980. Numerose le collaborazioni con la carta stampata. Inizia da giovanissimo sulle pagine de Il Veneto per poi proseguire su quelle del «Corriere della Sera», «La Stampa», «The Guardian», «Times Literary Supplement», «Il Sole-24 Ore».
Oltre a ricevere ben quattro lauree ad honorem, viene nominato Grand’ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana; molti i premi letterari conseguiti, tra cui il Bagutta, il Nonino Risit d’Aur, il Mondello, il Premio Chiara alla carriera. Nel 1963 esordisce come autore con Libera Nos a Malo, a cui seguirà un anno più tardi I piccoli maestri. Tra le sue altre pubblicazioni ricordiamo: Bau-Séte, Pomo pero. Paralipomeni di un libro di famiglia, Il dispatrio, Jura. Ricerche sulla natura delle forme scritte, Leda e la schioppa, Maredè, maredé. Morì a Thiene il 26 giugno del 2007. Esattamente vent’anni fa per la collana «Ritratti», prodotta da Jolefilm con la regia di Carlo Mazzacurati, usciva un filmintervista in cui Marco Paolini incontrava Luigi Meneghello per raccontarne la vita e le opere attraverso una lunga conversazione che si snoda nell’arco di tre giornate. Lo scrittore rievoca qui la sua vita nelle sue tappe cruciali: la nascita a Malo, l’infanzia durante il fascismo, la sua famiglia con le figure indimenticabili degli zii, la guerra, il sogno di rifondare il Paese e le conseguenti disillusioni, poi la cattedra come docente universitario in Inghilterra, le pubblicazioni. Per questo importante anniversario abbiamo quindi pensato che non ci fosse cosa migliore che incontrare proprio Marco Paolini.
NUOVI INCROCI
100 anni di Luigi Meneghello: qual è il primo ricordo che le viene in mente? Penso subito alle domande che Luigi sapeva fare durante una conversazione, con un fondo di malizia sepolta in un sorriso che disarmava l’interlocutore; allora bisogna disporre di pistoni, metter via i cavalli di battaglia e affrontare punti di vista mai visti. Un “inquisitore gentile”, credo un retaggio dell’aver fatto il professore in Inghilterra. Meneghello ti faceva l’esame ogni volta senza che tu sapessi su cosa prepararti. Parlare con lui ti obbligava a pensare prima di parlare, pensare due volte. Venivi via con qualcosa che ti restava dentro; eri seminato e quei semi dopo germogliavano, giorni o settimane più tardi. Meneghello sapeva fare le domande perché era curioso e interessato. Che cosa possiamo trovare ancora in Veneto e nei suoi abitanti di quella Malo, di quella regione che ci racconta Meneghello? Non val cercare fuori quel che devi trovare dentro. La Malo di Meneghello non è una copia sbiadita del mondo reale, è un’invenzione straordinaria, roba brevettata per fortuna. Lui stesso dice che è un mondo che può sembrare più vero del vero, ma subito dopo si schernisce, dicendo che non si può rifare con le parole. È vero, tocca inventarlo con qualcosa di molto, molto personale: una lingua, una nobile lingua. Lei ha recitato nella trasposizione cinematografica de I piccoli maestri. Con la sua casa di produzione Jolefilm non ha mai pensato di produrre qualche altro lungometraggio tratto dalle opere dell’autore vicentino? Jolefilm raccoglie progetti di registi e autori cinematografici. Io non lo sono e per fortuna nessuno ci ha proposto un altro film su Meneghello. Credo che i lettori si sarebbero infuriati nel vedere o nel sentire copie sbiadite di quello che hanno visto, letto e vissuto sulle pagine delle sue opere letterarie. Diciamola tutta: gli italiani di oggi sono fisicamente diversi da quelli là, dalle generazioni che li hanno preceduti. Forse bisognerebbe ‘dispatriare’ per trovarne di credibili, di corpo e di faccia. Ma poi dovrebbero anche parlare...; e allora è tutta un’altra musica! Su Rai Tre ha da poco terminato il suo programma di scienza La fabbrica del mondo, in cui con Telmo Pievani si è occupato di pandemia, natura, catastrofi legate al cambiamento climatico. Anche Meneghello era molto attento a questi temi. Al momento invece lei è impegnato a teatro con SANI!: ci racconti questo spettacolo e ci anticipi, se può, qualche suo prossimo progetto. SANI! è una ballata di piccoli racconti e canzoni sulle crisi che ho attraversato, storie personali di vicende private e pubbliche che mi hanno segnato, che mi hanno cambiato. Le crisi sono incroci, svolte pericolose di cui ci si accorge dopo o non ci si accorge in tempo; occasioni che uno vorrebbe non aver avuto, perché stava meglio prima, ma dopo non è più come prima. SANI! è anche un’occasione per proseguire in teatro il lavoro cominciato in televisione con La fabbrica del mondo. La crisi climatica e la necessità di non consumare il bonus delle generazioni successive fanno da linea guida allo spettacolo, ma mi prendo anche delle licenze divertenti. Vorrei dare un seguito al programma televisivo. Spero potremo farne una seconda edizione e spero di poter riprendere a viaggiare su e giù per l’Italia con il teatro senza metri di distanza, ritrovando i volti di tanta gente di fronte a me.
Incroci di Civiltà, il Festival internazionale di Letteratura, promosso dal 2008 da Università Ca’ Foscari, Fondazione di Venezia e Comune di Venezia, torna dal vivo. I preparativi per l’attesa 15. edizione, che si svolgerà dal 25 al 28 maggio, fervono e al momento di andare in stampa poco è trapelato degli autori invitati e del programma. Negli ultimi due anni ancora una volta la realtà ha superato la fervida immaginazione degli stessi scrittori, rendendo tuttora difficile mantenere la natura multiculturale del Festival, che, tuttavia, sebbene con qualche limitazione dovuta all’emergenza pandemica e alla crisi internazionale, verrà rispettata, ponendo ancora una volta le culture e lo scambio tra esse al centro di Incroci. Il Festival infatti prende il nome da un acceso dibattito sugli “scontri di civiltà”, punto di partenza per sostenere la comprensione delle diversità culturali e stimolare riflessioni. Un obiettivo che trova in Venezia, città storicamente attraversata da numerosi popoli e aperta alle loro culture e lingue, la perfetta scintilla d’innesco per accendere il dialogo. Scrittori e artisti provenienti da tutto il mondo contribuiscono così a plasmare la configurazione unica di questo Festival letterario votato all’internazionalità dei dialoghi su letteratura e diritti umani. Durante l’ultima edizione hanno partecipato autori come Heddi Goodrich, Oto Horvat e Nicole Krauss. Per quest’anno, al momento solo qualche possibile nome, come quello dell’ospite d’onore Werner Herzog, regista, sceneggiatore, produttore cinematografico, scrittore e attore tedesco. Tuttavia sono solo rumors in attesa di conferma, aspettiamo informazioni ufficiali! S.B. 15. Incroci di Civiltà 25-28 maggio Auditorium Santa Margherita www.incrocidicivilta.org
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etcc... SPECIALE
Una vita, mille Pasolini Intervista Flavia Leonarduzzi, Giovanni Montanaro, Gian Mario Villalta, Michele Gottardi In questo difficile 2022 Pier Paolo Pasolini avrebbe compiuto cent’anni. Ci ha lasciato un’eredità culturale enorme pur essendo l’intellettuale più scomodo, discusso e forse incompreso del Novecento. Artista complesso e affascinante, riusciva a stravolgere le coscienze dei benpensanti con le sue opere e con la sua vita tormentata, fuori dagli schemi, con la sua sessualità, con una condotta che appariva per la morale comune esecrabile, un misto di sublime e osceno. Indubbiamente un uomo provocatorio che suscitava sentimenti molto contrastanti, amato e odiato, condannato da partiti politici opposti, era di sinistra - fu persino radiato dal PCI per una vicenda scabrosa che avvenne quando insegnava a Valvasone, in Friuli -, ma a volte pareva più vicino alla destra, con il suo amore per la società contadina, arcaica, per le tradizioni, contro l’annientamento culturale portato dalla modernizzazione. Fortemente cristiano, non per fede ma per disposizione culturale, stava sempre dalla parte degli ultimi, del sottoproletariato, dei borgatari, dei poveri, basti pensare alla poesia su Valle Giulia dove prende le parti dei poliziotti, che in fondo erano figli del popolo loro, sì, non certo gli studenti. Fu accusato di oscenità, perversione, offesa alla religione, pornografia. Amava la vita e il calcio, ma amava soprattutto le sfide. Cercava deliberatamente il pericolo e quella morte violenta, prematura, feroce, ancora oggi coperta da pesanti dubbi e oscuri misteri, per certi versi pare quasi annunciata. Nacque a Bologna nel 1922, lì frequentò il liceo e si laureò, ma durante la guerra, nel 1943, fu costretto a trasferirsi a Casarsa, in Friuli, nel paese dell’amatissima madre. Qui esordì come poeta in friulano e qui rimase fino al 1950. Dopo un primo scandalo legato alla sua omosessualità, si trasferì a Roma - “stupenda e misera città” - dove ben presto si affermò come scrittore, poeta, giornalista, regista cinematografico, intellettuale impegnato. Venne assassinato a Ostia il 2 novembre del 1975. Ha saputo esprimersi con linguaggi diversi esplorando un po’ tutte le dimensioni artistiche: letteratura, cinema, poesia, reportage, fotografia, pittura. Ci ha lasciato autentici capolavori in ogni settore, da romanzi famosissimi come Ragazzi di vita, Una vita violenta, ai suoi articoli, molti dei quali raccolti in Scritti corsari, dai reportage dei suoi viaggi in terre lontane, come quelli in Africa in compagnia di Alberto Moravia e Dacia Maraini, alle sue poesie e ai suoi grandi film, da Accattone a Mamma Roma a Medea. In quest’anno in cui si celebra il centenario della sua nascita anche noi iniziamo un percorso per cercare di restituire a modo nostro, senza naturalmente alcuna pretesa di esaurirne i mille risvolti, la sua caleidoscopica figura. La prima tappa di questo intrigante viaggio abbiamo deciso di costruirla attraverso un’intervista corale con Flavia Leonarduzzi, Giovanni Montanaro, Gian Mario Villalta e Michele Gottardi. 134
Partiamo dal Centro Studi Pasolini di Casarsa, che ha sede proprio nella casa della madre, Susanna Colussi, e che si occupa di valorizzare la figura dell’intellettuale, oltre ad avere in custodia un vasto patrimonio documentale e bibliografico. Incontriamo la Presidente, Flavia Leonarduzzi. Quali sono le iniziative del Centro Studi per celebrare i cent’anni della nascita di Pasolini? F.L. Numerosi sono gli eventi in programma, sia legati al centenario in senso stretto, sia nel solco della consueta programmazione annuale del Centro Studi. A marzo abbiamo riaperto Casa Colussi con una veste rinnovata e un articolato percorso espositivo, che comprende la collezione di 25 opere tra quadri e disegni di Pasolini. È stata inaugurata la mostra Pasolini. I disegni nella laguna di Grado, che di fatto ha avviato le iniziative del centenario. Una mostra preziosa, interamente dedicata alle opere realizzate dal poeta nel luogo che fu per lui di grande ispirazione poetica; uno sguardo sulla produzione artistica figurativa pasoliniana che nasce intorno alle riprese di Medea (1969) e alla Settimana internazionale del cinema di Grado (19701972). L’esposizione comprende anche opere note appartenenti alla collezione del pittore Giuseppe Zigaina e altre ancora che costituiscono appunto il nucleo di “disegni ritrovati” e che implementano in modo rilevante quanto sinora conosciuto attorno a questa ulteriore modalità espressiva di questo a dir poco eclettico artista. Inoltre hanno preso il via le visite guidate Sui luoghi di Pasolini a Casarsa, un itinerario che lega l’autore ai luoghi più rappresentativi di Casarsa e dei dintorni. La produzione artistica di Pasolini è come detto vastissima. Cerchiamo quindi di esplorarne i diversi campi attraverso altre voci autorevoli, a partire da quella dello scrittore Giovanni Montanaro, editorialista del «Corriere della Sera» e autore di numerosi romanzi. Chi è per lei il Pasolini scrittore? Ha in qualche modo influenzato i suoi romanzi? G.M. Ho sentimenti ambivalenti per Pasolini scrittore. E cambiano con il tempo; non ho un giudizio definitivo. Ci sono alcuni testi, come Ragazzi di vita, che trovo tuttora magnetici. Ma ci sono altre opere, come per esempio Orgia, che alla lunga mi stufano più che stimolarmi. Per il mio modo di scrivere, poi, non è un riferimen-
Pasolini va letto da giovani perché deve far male. Deve disturbare e allo stesso tempo convincere che si può non pensare come Tizio o Caio e anche diversamente da Sempronio... Gian Mario Villalta to diretto; terrigno, senza leggerezza, con una visione dell’umanità straordinaria ma in fondo crudissima. Mi piace leggerlo, divorarne alcune poesie, alcuni testi teatrali; amo, per mio gusto, alcuni sentimenti impercettibili, alcuni cedimenti all’umanità improvvisa, alcune scene così fotografiche da essere struggenti, dolorose. Ma, per scrivere, trovo più ispirante di quel periodo un Calvino, o, che so, un Meneghello, che hanno alla fine una visione del mondo che vedo più prossima alla mia. Credo poi che del Pasolini scrittore pochi ne facciano una vera ispirazione, perché pochi lo leggono, lo frequentano davvero. Pasolini oggi pesa più come pensatore che come scrittore. Perché ha visto cesure profonde della nostra realtà, di quel che rimane della lotta di classe (o per meglio dire della sottovalutazione attuale del tema delle classi sociali), perché ha guardato la vita in tutte le sue complessità, in tutte le sue periferie. Perché alcune sue parole sono ancor oggi forti, attuali, sgomente. Oggi, però, è anche molto di moda, il che non gli rende del tutto giustizia; è di moda su Facebook, è di moda per tanti che probabilmente lui non amerebbe. La sua grandezza è la sua scomodità, la sua differenza che, come tale, non può diventare mainstream; può essere pungolo, ma non perno. Come tutti i maestri acclamati, rischia di essere anche lui frainteso, annacquato, di rivelarsi in qualche modo ‘comodo’, cosa che rappresenterebbe, e purtroppo rappresenta, davvero il più grande tradimento del suo straordinario percorso. Pasolini fu anche un grandissimo poeta, in lingua italiana e friulana. A questo proposito abbiamo parlato con un poeta contemporaneo, Gian Mario Villalta, fondatore di PordenoneLegge. Ci racconti il Pasolini poeta e che influenza ha avuto nella sua formazione. G.M.V. Pasolini va letto da giovani, giovani veri, a diciotto, vent’anni (lasciamo stare che oggi i cinquantenni li si chiama “ragazzi”). Perché Pasolini dopo il trasferimento da Casarsa a Roma ha scritto, ha viaggiato, polemizzato, girato film, inventato canzoni, incalzato da un demone che lo voleva sempre insoddisfatto e proiettato sulla prossima opera, sul prossimo intervento pubblico, sulla prossima esplorazione del mondo e sulla prossima provocazione: di conseguenza, per il lettore maturato nella letteratura Pasolini è sommamente interessante per mille motivi, il minore dei quali è la singola opera realizzata. Con qualche eccezione; per me soprattutto una, che richiamerò alla fine. Pasolini va letto da giovani perché deve far male. Deve disturbare e allo stesso tempo convincere che si può non pensare come Tizio o Caio e anche, diversamente da Sempronio, si può avere un proprio pensiero, un proprio modo di stare al mondo senza perseguire un’esistenza da follower o da seduttore di follower. A Pasolini pareva, più compiutamente negli ultimi anni della sua vita, che media, consumismo e politica si fossero alleati perché ciò non fosse più possibile; e allora eccolo fare questa urtante dichiarazione: «Non si può stare da una parte o dall’altra. Si può solo stare contro tutti». Questo “contro tutti”, preso a principio, sarebbe per il raziocinio un’assurdità; però come paradosso e provocazione è forte: mi chiedono, ci chiedono di semplificare il mondo per consumarlo meglio, schierarci subito da una parte o dall’altra senza pensare, senza chiederci chi siamo e dove stiamo. Ecco, a me sembra che un giovane possa essere colpito da questo “contro tutti”. A me è accaduto, lui ancora vivo: leggo una poesia dove Pasolini dice che sta sul Concorde e beve champagne (ovvero il viaggio allora più privilegiato del mondo) e questo suo privilegio lo intristisce perché
non lo trova giusto. Mi ricordo che allora l’avevo presa male. Mi pareva ipocrita, mille volte ipocrita. Però dopo mi sono detto che se ero sincero dovevo ammettere che anch’io avrei voluto fare quel viaggio, e anch’io ero contro i privilegi e per la giustizia sociale. C’è una sua opera che è ancora una miniera. Sono le Poesie a Casarsa, scritte quando davvero era poco più che un ragazzo. Tutta l’avventura poetica di quel luogo è ancora da illustrare nel suo splendore e nella sua unicità. Un’esperienza originale e strepitosa: un gruppo di ragazzi, nell’epoca dei manifesti intellettualistici, inventa un’originale poesia con la lingua di ogni giorno e i modelli della più alta cultura europea. Davvero merita nuova attenzione. Concludiamo questo primo nostro percorso nel multiforme ingegno pasoliniano con l’intervento del critico cinematografico Michele Gottardi, per anni docente a Ca’ Foscari nel corso di laurea Tecniche artistiche e dello Spettacolo. Pasolini e il cinema, forse tra tutti il linguaggio che infine lo porta più lontano, che lo fa più libero. Come in poche righe restituire il suo percorso dietro la macchina da presa? M.G. Pier Paolo Pasolini non è stato forse il migliore in ognuno dei molteplici campi in cui si è cimentato, ma sicuramente è stato l’intellettuale più poliedrico – oggi diremmo smart: inorridirebbe – della sua generazione. Anche nel cinema lo sguardo di Pasolini è costruito come in un gioco di focalizzazioni progressive, partendo dall’eredità del Neorealismo e arrivando poi a soluzioni figurative che molto devono alla storia dell’arte (era allievo di Roberto Longhi) e al realismo poetico, quasi mitizzando i suoi protagonisti. A cominciare dai “ragazzi di vita”, al centro delle sue prime opere, da Accattone a Mamma Roma, questa idea del mito è una costante del suo cinema, che cresce man mano che Pasolini apprende e conosce il linguaggio specifico della Settima Arte. I suoi eroi compiono il percorso abituale del mito, dall’iniziazione alla morte, quasi mai passando per una vittoria, più spesso per una sconfitta. Così è per i ragazzi delle borgate, ormai appiattiti nella cultura del boom economico, in cerca di una nuova identità tra la massa acritica degli anni Sessanta; ma anche per Totò e Ninetto di Uccellacci e uccellini, con la possibile reincarnazione del corvo. La fine di un’era, quella delle speranze nella Nuova Italia e in un avvenire migliore anche per il proletariato, lo spinge sempre di più a proiettare il mito al di là della storia, vengono così le tragedie di Edipo Re e di Medea. Parallelamente si completa quel percorso di sdoppiamento del reale che era già apparso nei suoi scritti, sia prosa che poesia, come ben si vede in Teorema e in Porcile. Il passo successivo è il sogno: quando ormai la realtà è talmente sciolta, disgregata, triste, meglio rifugiarsi in molti sogni diversi. Ecco allora il Decameron, Il fiore delle mille e una notte, I racconti di Canterbury, film nei quali il ricorso al mito eponimo (di sé o della realtà evocata) è sempre attuale. Ma la sua rabbia, quella critica presente negli Scritti Corsari, pur come si è detto a tratti fine a sé stessa e relegata in uno sguardo troppo apocalittico e utopico, non poteva cristallizzarsi nel tempo di Giovanni Boccaccio o Geoffrey Chaucer. Per cui il ricorso, purtroppo finale, al marchese De Sade, con Salò e le 120 giornate di Sodoma, diventa una sorta di dichiarazione di sconfitta storica ed estetica, un po’ come era accaduto per Luchino Visconti in Morte a Venezia, con il trionfo della morte e della violenza, la stessa alla quale cederà il 2 novembre 1975. Elisabetta Gardin 135
etcc... ABITANTI CON/TEMPORANEI
Testimoni silenziosi
Attiva dai primi giorni di marzo la piattaforma Venywhere ha già raggiunto più di 15.000 visite ed oltre 1.200 iscritti. È un progetto che nasce dalla collaborazione tra Fondazione Venezia e Università Ca’ Foscari per rendere Venezia attraente agli occhi dei remote workers, sempre più diffusi nella realtà post-pandemica. La città lagunare si presta a essere reinventata per venire incontro alle nuove soluzioni lavorative e assecondarne l’irrefrenabile sviluppo, attivando anche un’offerta di servizi innovativi e possibilità economiche per la popolazione locale. Venywhere si sviluppa su tre punti chiave: sostenere i lavoratori nella ricerca di soluzioni residenziali e di spazi lavorativi, sviluppare un’offerta di servizi che rendano il territorio facilmente agibile e favorire l’innovazione sociale e la creazione di nuove forme di comunità e cittadinanza. Inoltre, il progetto viene inteso come ricerca sul futuro del lavoro. Il team di Cisco, multinazionale all’avanguardia per le tecnologie abilitanti le modalità di lavoro innovativo, sperimenterà le funzioni della piattaforma, l’impatto su Venezia e le nuove forme di collaborazione che si creeranno. Come test iniziale sono stati coinvolti 16 dipendenti provenienti da vari Paesi europei, primi a utilizzare il sistema. Determinante per la buona riuscita dell’iniziativa il sostegno degli spazi veneziani, dagli istituti di ricerca ai musei, chiamati in causa per offrire luoghi di lavoro e servizi a cui accedere tramite un pratico sistema di prenotazione. La piattaforma Venywhere vuole superare i paradigmi del lavoro da remoto, generando contesti lavorativi votati all’inclusività e al coinvolgimento. Gli ideatori e promotori del progetto sostengono e intendono dimostrare come Venezia possa rappresentare la città perfetta per sperimentare un nuovo equilibrio tra lavoro e vita personale. I “cittadini temporanei” potrebbero diventare nuovi residenti, contribuendo con le loro energie al rinnovamento urbano e sociale, di cui la città ha enormemente bisogno. Silvia Baldereschi
M9 – Museo del ‘900 ha imboccato la strada maestra e come al solito lo ha fatto a modo suo, offrendoci una strada alberata, bellissima, che rovescia i parametri della storia e allarga la prospettiva. È possibile raccontare la storia d’Italia attraverso i suoi alberi? Una mostra e uno stupendo volume edito da Marsilio Arte, curati entrambi da l’architetto e paesaggista Annalisa Metta, l’arboricoltore Giovanni Morelli e il divulgatore Daniele Zovi, con i magnifici disegni realizzati appositamente da Guido Scarabottolo, uno dei più noti illustratori italiani, offrono una magnifica risposta. Alberi! 30 frammenti di storia d’Italia è un inedito viaggio tra storia, ecologia, tradizioni, paesaggio e leggende all’ombra e sotto lo sguardo di alberi, testimoni silenziosi, che accompagnano nei grandi eventi come nella vita di tutti i giorni. Alberi che vivono per secoli, talvolta millenni, facendo da cerniera tra passato, presente e futuro degli abitanti di città e villaggi. Alberi che sono la nostra autobiografia, ma anche parte del polmone della terra, che sanno rigenerarsi e sono un esempio per tutti noi. Sedentari osservatori che con il passare del tempo, seppur immobili, si costruiscono presente e futuro ‘mangiando’ ostacoli e trasformando il paesaggio dove hanno messo radici. «Sono alberi che ci raccontano di viaggi e di esotismo, di esplorazioni, di commerci – osserva Michelangela Di Giacomo, curatrice di M9 –, alberi che ci parlano di progetti politici, di Risorgimento, di piccole patrie e di sogni imperiali, di miracoli economici e di inquieti modernismi. Alberi che ci riportano l’eco lontana di santi e briganti, di partigiani e di stregoni, di mestieri scomparsi e di mani antiche e sapienti. Alberi che ci parlano di noi, come italiani, di chi eravamo e di chi siamo diventati e che, a ben vedere, potrebbero aprirci qualche spiraglio su che cosa vorremo diventare e sul Paese che vorremmo abitare». Dallo smisurato Ficus di Palermo al “Fico a testa in giù” del Tempio di Mercurio di Baia; dal Platano di Marengo piantato da Napoleone all’unica sequoia sopravvissuta all’onda del Vajont, fino all’Albero Finto Botanicamente Corretto, simbolo non più solo del Natale nei salotti degli anni Cinquanta, ma spettatore degli spazi pubblici che abitiamo.
www.venywhere.it
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Alberi monumentali e grandi patriarchi che popolano le nostre colline e le nostre montagne da secoli. «Le vite di questi esemplari – dichiara Giovanni Morelli – finiscono per contenere quelle di molti uomini, espressione ultima della convivenza di lungo periodo tra ogni albero monumentale e la comunità che lo ospita. Così, al di là del suo indiscutibile fascino biologico, l’albero monumentale è tale quando cessa di essere un albero per diventare simbolo, narrazione e testimonianza. Non può esistere albero monumentale senza memoria e senza contesto». Trenta storie a cui si aggiunge la trentunesima a firma di Daniele Zovi, dedicata ai faggi dalla foresta del Cansiglio. Uno di questi esemplari, abbattuto dalla famigerata tempesta Vaia, ha trovato nuova vita grazie all’opera dell’artista Aron Demetz che ne ha ricavato la scultura Senza titolo (2020), dove le forme di due innamorati sembrano voler far continuare la vita oltre il tempo presente. Alberi! mostra il valore testimoniale di questi custodi della natura e dei nostri paesi, oltre che delle nostre vite, in una relazione emotiva che questi esseri viventi instaurano silenti con le persone. Alberi! 30 frammenti di storia d’Italia Fino 10 agosto M9 – Museo del ‘900-Mestre www.m9museum.it
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etcc... PAROLE a cura di Renato Jona
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enso che meriti soffermarci a riflettere e approfondire una parte del corpo umano che abbiamo tutti, senza eccezione, che è molto importante, anzi indispensabile, fondamentale, differente per ciascuno di noi, originale, addirittura caratterizzante: la faccia. Fortunatamente è posta nella parte anteriore del corpo, ad altezza utile di un semplice sguardo, per cui una rapida occhiata, impercettibile, diretta, ci consente di individuare l’“altro”, di riconoscerlo, senza particolari torsioni o giochi di specchi. È sufficiente un colpo d’occhio su una faccia per catalogarla, o, se già vista, per sapere immediatamente chi abbiamo di fronte. Una faccia nota è quella che non vediamo per la prima volta e per la quale abbiamo già immagazzinato in precedenza nel “file” degli esseri umani, alcune caratteristiche base: relazioni con altri esseri umani (parenti), classificabili occasioni di incontro (casuali, compagni di studio, abitanti nel quartiere, insegnanti…) ed oggi facilmente facce note televisive, che periodicamente appaiono sullo schermo per raccontarci notizie, attori e tanti, tantissimi altri. Le caratteristiche della faccia, prima ancora della voce, ci aiutano nel ri-conoscimento: distanza tra gli occhi, forma della mandibola e degli zigomi, proporzioni del naso, forma delle orecchie, delle labbra, colore delle pupille. Certo. Tutto questo, ma molto di più! La relazione tra tutti questi elementi, impercettibile, ma importantissima concorre a formare l’espressione della faccia, che noi conosciamo negli altri esseri umani e ci è fondamentalmente indispensabile per il loro ri-conoscimento immediato. A questi elementi si aggiungono poi tanti altri “piccoli particolari”, molte caratteristiche peculiari che ci consentono di classificare il nostro prossimo, in modo quasi involontario, spesso persino impercettibile (timbro di voce, modo di parlare, accento, atteggiamento, sguardo e tanti altri). Non solo. Ma non dimentichiamo che molto spesso, in modo assai raffinato, la faccia lascia trasparire un preciso stato d’animo: gioia, dolore, ansia, paura, soddisfazione, relax, rabbia, disagio, apprezzamento, attesa, curiosità, disappunto, scherzo, interessamento. Qualche volta l’espressione rapida e momentanea della faccia si presenta inequivocabile, come un libro aperto: ad esempio basta un semplice movimento di un sopracciglio, mentre un interlocutore parla, per esprimere dissenso. Faccia e viso sono sinonimi? Queste due espressioni hanno forse dei limiti un po’ sfumati. Viso è un’espressione più delicata, talvolta poetica. Gli angeli non hanno faccia, ma viso; le donne preferibilmente posseggono un viso, gli uomini la faccia. Quest’ultimo vocabolo può talvolta assumere anche un significato meno materiale: si può riferire al carattere. “Faccia pulita” può indicare una persona onesta. “Faccia trasparente” invece può indicare la persona che, dall’espressione della faccia, lascia trapelare ingenuamente e sinceramente i propri pensieri, senza riserve mentali. Al contrario “faccia da schiaffi” può indicare un soggetto, ad esempio, che usa una terminologia osé, o comunque “fuori dalle righe”, un po’ spinta, audace, piccante (anche se talvolta può essere considerata simpatica). La regolarità dei lineamenti qualche volta inganna: ricordo un noto
FACCIA delinquente al quale corrispondeva una serafica espressione del viso, incoerente con il mestiere (non mi sento di chiamarla professione!) che faceva. Lo chiamavano “faccia d’angelo”! Qualche volta l’invito a guardare in faccia può costituire una sfida: “dimmelo in faccia, se hai il coraggio!”. Qualche altra volta sostituisce proprio la parola “coraggio”, nel senso di… “faccia tosta”: “ci vuole proprio una bella faccia a sostenere che…”! I mezzi moderni di comunicazione favoriscono la possibilità di lanciare insulti, improperi, senza “mostrare la faccia”, senza concedere alla vittima la possibilità di individuare il mittente, che si protegge dietro il comodo, vigliacco anonimato. Purtroppo è sempre più frequente l’uso di minacciare in forma anonima, mostrando di essere persone deboli, senza dignità, incapaci di sostenere a viso aperto le proprie tesi, di esprimere il proprio dissenso in forma efficace, ma contenuto in limiti educati, con l’utilizzo di termini che non siano tuttavia suscettibili di essere oggetto di querela da parte del destinatario. E qui qualcuno ha osservato che un pessimo esempio viene fornito talvolta dai comportamenti di alcuni “onorevoli” delle Camere, ove le accese discussioni spesso sfociano in scambi di insulti, diffondendo costumi non proprio educativi. Non va neppure dimenticato, a proposito del viso, un interessante aspetto delicatamente cromatico. Molte persone timide quando parlano, sia rivolgendosi a singole persone che parlando in pubblico, lievemente arrossiscono. Analogamente può capitare quando una persona sostiene falsità, come fossero verità. Oggi tuttavia, confessiamolo, le falsità vengono sostenute sempre più di frequente, ma il fenomeno cromatico della vergogna è sempre più raro! L’espressione del viso, abbiamo visto, è molto importante. Può creare simpatia o, al contrario, indisporre gli interlocutori, anche prima di aver pronunciato una sola parola. L’atteggiamento della faccia, di norma è mutevole, in continuazione: accompagna i discorsi, ne rinforza il contenuto, rendendoli talvolta più persuasivi. Esistono tuttavia casi che purtroppo costituiscono l’eccezione. Vi sono persone che hanno per sé un’autostima esageratamente grande. In genere quando parlano, assumono sempre la stessa espressione, inalterabile, fortemente spregiativa nei confronti dell’interlocutore. Sembrano persone dotate di orecchie capaci di udire soltanto il ‘suono’ dei propri pensieri o dei propri discorsi. In genere si tratta di esemplari che conducono Stati o istituzioni e che sono privi di sentimenti, di scrupoli. Osservandoli bene mentre parlano, danno la sensazione che “tollerino” per convenienza il discorso con l’interlocutore, ma lo considerino privo di utilità, prima di iniziarlo. Forse pensano di essere al di sopra degli esseri umani; certamente sono convinti di essere il meglio. Sono dittatori! Nel vero senso della parola. Ce n’è più di uno in ogni secolo. A me viene d’istinto il desiderio, pensando a loro, di dire: “ma mi faccia il piacere!” (In questo caso non uso un sostantivo, ma un congiuntivo spregiativo). Non ci credete? Mi ci gioco la… faccia! 139
L’ELEGANZA DELLE STELLE
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Arrivare a Venezia significa usare tutta la mia conoscenza e professionalità e il mio talento per creare un nuovo linguaggio gastronomico Riccardo Canella
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© Belmond
di Fabio Marzari
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arebbe interessante poter tornare agli anni ‘50 del secolo scorso e comprendere,
poter toccare con mano quale fosse il fermento che animava Venezia, allora una città viva e vitale, in cui uomini come Giuseppe Cipriani, padre di Arrigo, potevano decidere di realizzare un hotel a pochi minuti da Piazza San Marco, isolato e lontano dai turisti e dalla folla, coinvolgendo nell’operazione le tre figlie del Conte Iveagh, capo della famiglia Guinness, Lady Honor Svejdor, la Viscontessa Boyd of Merton e Lady Bridgit Ness, decisamente entusiaste del progetto sostenendolo attivamente nel suo sviluppo. Al fine di concretizzare il tutto fu allora fondata una società tra Cipriani e le stesse sorelle Guinness e fu acquistata una proprietà di circa due ettari alla Giudecca dove, nel 1958, l’hotel aprì al pubblico. Nel 1976 la famiglia Guinness lasciò il Cipriani a uno dei suoi clienti più fedeli, l’uomo d’affari James B. Sherwood. L’AD di Orient-Express Italia, ora Belmond, rileverà infine il Cipriani per inserirlo tra gli altri hotel della compagnia della collezione Belmond Hotel & Cruises. Da subito il Cipriani è divenuto uno dei punti fermi della migliore ospitalità alberghiera al mondo e nel corso dei decenni ha sempre più incrementato la sua fama di angolo mirabile in una porzione fortunata di cosmo. La parola “lusso” non è adatta a descrivere le atmosfere di questo magico luogo dell’ospitalità. Risulta banale e sminuente, sì, definirle “lussuose”; basta dire semplicemente Cipriani, senza aggiungere altro. Naturalmente un ruolo rilevante nel consolidare e nel confermare la considerazione internazionale di cui gode questo straordinario hotel lo svolge la ristorazione. Spetta da quest’anno all’executive chef Riccardo Canella il compito di sovrintendere le differenti realtà legate al cibo del Cipriani e la stagione 2022 promette molte novità rivolte agli ospiti interni, ma anche al pubblico esterno, che ha dimostrato negli ultimi due anni, contrassegnati dalle difficoltà di spostamento legate alla pandemia, di apprezzare i servizi offerti, vivendo l’emozione di far parte di un mondo parallelo, che non funziona come l’orchestra del Titanic, bensì istilla gocce di benessere per godere a pieno della joie de vivre. È un tema presente soprattutto nei momenti difficili che superficialmente potrebbe confondersi con un’idea di egoismo. Invece è il contrario, perché immersi nella bellezza i pensieri diventano più lievi: si mettono “fiori nei cannoni”, si costruisce un domani, non si distrugge l’oggi... Tornando al vento di novità, il Cip’s con la sua cucina classica guidata da Roberto Gatto, ha aperto la sua terrazza protesa verso il bacino di San Marco con l’offerta gastronomica che ne ha fatto un punto di riferimento costante per la migliore ristorazione veneziana. Un luogo privilegiato e unico da cui poter abbracciare con la vista le meraviglie serenissime, con lo stile di sempre, informale e chic al tempo stesso. Le novità più salienti riguardano Il Porticciolo, ristorante all’aperto accanto alla piscina, che diventa un ristorante di pesce a tutti gli effetti, con un grande assortimento di frutti di mare crudi accompagnati da una selezione importante di Champagne, ampliando lo spazio a disposizione nel prato con anche un grande bancone, un oyster bar che rimanda all’idea di dolce vita, dello stare all’aperto e poter socializzare, oltretutto con la possibilità di arrivare comodamente in barca, con un facile approdo per la sosta. E ancora il Caffè San Giorgio, vicino all’imbarco della navetta che infaticabile trasporta i fortunati happy few dal Cipriani verso San Marco e viceversa, una assoluta novità, aperto tutto il giorno con un fantasmagorico assortimento di pasticceria freschissima all’italiana, sull’esempio di Cova e Marchesi di Milano. Finalmente un angolo in cui i golosi possono celebrare il rito della degustazione di calorie senza rimpianti, con il conforto di un panorama incomparabile e l’alibi del “si vive una volta sola, meglio cogliere l’attimo”. Il ristorante Oro, stellato Michelin, riapre a maggio, per consentire a Riccardo Canella, il regista di questa complessa operazione di riorganizzazione del settore food, di avere il tempo necessario per mettere ogni dettaglio a punto e poter ripartire al meglio, come sempre in casa Belmond Cipriani. Canella, nato a Padova nel 1985, arriva dal Noma di Copenaghen, in cima alle classifiche mondiali della ristorazione. Così ha commentato il suo sbarco in Laguna: «Come opzione di carriera post Noma, la scelta di entrare a far parte di un brand così grande mi invita a lasciare la mia comfort zone e affrontare una nuova sfida con il mio bagaglio di esperienza all’interno di una struttura così importante come il Cipriani. Voglio portare un po’ di punk e rock n’roll all’interno di qualcosa di classico e vedo una grande opportunità, nonché grande spazio per poter esprimermi. Arrivare a Venezia significa usare tutta la mia conoscenza e professionalità e il mio talento per creare un nuovo linguaggio gastronomico».
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wonder what would happen
if we could travel back in time to the 1950s to see what was going around in Venice – at the time, a living city that allowed people like Giuseppe Cipriani (Arrigo’s father) to open a beautiful hotel that is only a few minutes from St. Mark’s Square and yet somewhat secluded, removed from crowds. The location I’m talking about is on the eastern tip of the Giudecca Island and the hotel is the Cipriani, opened in 1958. Since its inception, the Cipriani has always been synonymous with excellent hospitality, a wonderful corner of a charming little corner of the universe. ‘Luxury’ doesn’t quite fit the bill – ‘Cipriani’ says it all. Food catering is, of course, at the highest level as well. Executive chef Riccardo Canella oversees the operations and, for the 2022 season, we are looking forward to exciting new offers, both for hotel guests and outsiders looking to spend a couple hours in a parallel world. Especially in difficult moments, a dip into a world of beauty will help us clear our minds and work for much better days ahead. Cip’s – the restaurant at Cipriani – opened its St. Mark’s-facing terrace and its kitchen, a landmark for fine Venetian cuisine. A privileged, unique location to embrace local wonders, of both the seeing and tasting varieties, with the style Cipriani patrons know and love: informal and stylish at once. This year additions include the Porticciolo – an open-air restaurant beside the pool area offering, among other things, raw fish fare and great Champagne, a welcoming oyster bar, a dolce vita air for socializing, and a convenient dock nearby. Caffè San Giorgio is right where the shuttle to St. mark’s lands; it is open all day and offers fresh Italian-style sweets. Oro Restaurant, boasting one Michelin star, will open in May as chef Canella irons out the last few details. Canella was born in Padova in 1985 and worked, among others, at Noma Restaurant in Copenhagen, which tops all international rankings.
Cipriani Belmont Hotel Giudecca 10 www.belmond.com
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With gusto I Latini sostenevano: «Non ut edam vivo, sed ut vivam edo», in sostanza si mangia per vivere e non si vive per mangiare. In questo ultimo periodo la relazione tra gli italiani e il cibo è molto cambiata e anche le narrazioni intorno ad esso si sono fatte abbondanti al limite dell’abbuffata e il senso della tavola è divenuto centrale dal punto di vista sociologico ed economico, i cuochi sono diventati chef e il giro d’affari legato al cibo nelle sue declinazioni infinite ha avuto ritmi vorticosi di crescita. Gusto! Gli Italiani a tavola. 1970–2050, nuova mostra proposta da M9 – Museo del ‘900 di Mestre, non è una semplice esposizione ma una riflessione e un approfondimento del tema, tra passato recente e futuro prossimo. Il racconto si snoda attraverso un percorso emotivo negli spazi del terzo piano del Museo, guidando il pubblico alla scoperta degli ingredienti, delle ricette, della storia e delle curiosità gastronomiche italiane e svelando un vero e proprio “atlante del gusto” del Bel Paese dal 1970 al 2050. Per il lavoro di preparazione della mostra i curatori Massimo Montanari, giornalista, e Laura Lazzaroni, scrittrice ed esperta di pane e grano, si sono avvalsi del supporto di un comitato scientifico per preparare una riflessione importante, specie nel presente in cui pandemia e guerra stanno certamente influenzando il nostro rapporto con il cibo. Cosa intendiamo per gusto? A questa domanda rispondono i due curatori: «Raymond Carver se lo chiedeva dell’amore e noi lo citiamo con piena intenzione, perché gusto e amore hanno molto in comune. Entrambi riguardano il piacere, entrambi sono radicati in una funzione anatomica, entrambi la trascendono mettendo insieme biologia e cultura, il corpo dell’individuo e quello sociale, la nutrizione fisica e i valori collettivi. Un ponte che dall’io porta al noi. La definizione lo riduce a uno dei cinque sensi, talvolta a sinonimo di sapore: semplificazioni che ci portano fuori strada, perché gusto non è né senso né sapore. Il gusto nasce dall’incontro di tutti i sensi (fra cui domina l’olfatto), è innescato dai sapori e attiva la memoria. Ma neppure questa è una definizione appropriata. La più semplice, e potente, ci è sembrata quella che fa coincidere il gusto con la vita. Al pari dell’amore. Non a caso la lingua inglese usa l’espressione with gusto per significare uno slancio vitale. A ben guardare c’è più vita che spaghetti nel gusto degli italiani; più gioia che cibo. C’è la voglia (e la capacità) di inventare strumenti ingegnosi e belli per preparare il pasto; c’è la generosità di un invito a tavola; c’è un’identità fondata sulla condivisione di prodotti e ricette; c’è la memoria degli odori e dei sapori, che ci trasportano lontano con la precisione di un navigatore satellitare; c’è la saggezza antica di chi crea il cibo con le mani e la sapienza visionaria di chi progetta cambuse per astronauti. C’è la chiave per risolvere conflitti e integrare diseguaglianze. Quando abbiamo progettato questa mostra non abbiamo pensato solo al cibo o agli chef. Abbiamo costruito una grande casa fatta di stanze che raccontano il gusto degli italiani attraverso il paesaggio agricolo, la biodiversità dei prodotti, la cucina di casa, i ristoranti e i mercati, le tavolate e il cibo di strada, il design e i flussi migratori, le sfide dell’ambiente e della salute, l’ingegneria spaziale e le nuove filiere, la progettualità delle scuole...». Una mostra da gustare! Fabio Marzari Gusto! Gli Italiani a tavola. 1970-2050 Fino 25 settembre M9 – Museo del ‘900-Mestre www.m9museum.it
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Il gusto è un’esperienza complessa, che nasce dall’incontro fra soggetto e oggetto, mangiante e mangiato. Non è il sapore che abita nel cibo, né il senso che lo percepisce. È ciò che accade quando le due cose si incontrano. È il nostro rapporto con il cibo, e più in generale con la vita. Non per nulla usiamo quella parola, “gusto”, per ogni sorta di esperienza fatta attraverso tutti i sensi: la musica, l’arte, la letteratura…
Gusto! Gli italiani a tavola. 1970�2050 M9 Museo del ’900 25.3>25.9.22
M9 è un progetto di
Con il patrocinio di
In collaborazione con
www.m9museum.it info@m9museum.it t. 041 0995941
M9 - Museo del ’900 via G. Pascoli 11 Venezia Mestre
a cura di Massimo Montanari e Laura Lazzaroni
Mostra ideata e prodotta da
Main sponsor
Con il supporto di
Media partner
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ARCHITECTURE
ART
DISCOVERY
EXPERIENCE
ARCHITECTURE SCALA CONTARINI DEL BOVOLO check gioiellinascostidivenezia.it for opening hours info: cultura@fondazioneveneziaservizi.it | +39 0413096605
ART CHIESA DI SANTA MARIA DELLE PENITENTI get in touch: art@fondazioneveneziaservizi.it
DISCOVERY COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO plan your visit: booking@fondazioneveneziaservizi.it
EXPERIENCE LUNCH AND DINE ON THE BELVEDERE get in touch: booking@fondazioneveneziaservizi.it
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gioiellinascostidivenezia.it
menu TASTE
Lieto fine
«Sono veneto, la cultura del distillato ce l’ho nel sangue. Mio nonno la grappa la beveva col latte». Quale incipit migliore e autentico per raccontare la nuova avventura di Carlo Cracco in tema di distillati? Lasciato da parte, per ora, il piccolo schermo, Cracco ha presentato al Marciano di Venezia la sua personalissima linea di distillati organici. La collezione, pensata in ogni dettaglio ed elegante nella sua raffinata semplicità priva di eccessi, prevede un Gin Organico, un Limoncello Organico e l’Amaro Bianco Organico, realizzati dopo un lungo periodo di esperimenti e studi, tra alambicchi e materie prime rigorosamente biologiche da dosare in maniera precisa per trovare il giusto equilibrio presso la distilleria Quaglia nell’Astigiano. Una collezione nata con lo scopo di servire a fine pasto un prodotto di alta qualità, espressione del gusto e della filosofia di Carlo Cracco, nonché degna conclusione di piatti di alta cucina. Chef Cracco durante la presentazione al Marciano ha affermato: «Sono molto orgoglioso di tornare nella mia regione d’origine per presentare questo progetto. Ho speso la mia vita alla ricerca del meglio negli ingredienti e nella preparazione delle mie ricette, per trasformare il gusto di ogni piatto in autentico piacere. Mi sono infatti spesso chiesto come, a fine di una cena, armonizzare le diverse sensazioni organolettiche perché restino un’esperienza memorabile e il loro metabolismo lasci solo il ricordo del piacere». Interessante comprendere come sia arrivato alla definizione dei tre prodotti, con gli ingredienti che sono per il Gin: alcol bio, bacche di ginepro, salvia sclarea, bucce di limone, acqua, altre botaniche. Il Limoncello necessitava di ingredienti che lo rendessero meno banale, serviva un valore aggiunto che è il sale, i sentori agrumati vengono accompagnati da lievi note aromatiche di altri agrumi, lemongrass e zucchero caramellato. Questi gli ingredienti: alcol bio, limone fresco bio, bucce di pompelmo, cedro, scorze di bergamotto infuso, succo di limone, zucchero bianco, acqua. Infine l’Amaro Bianco, classico distillato che accompagna il fine pasto, ottenuto dalla distillazione di infusi di erbe e piante aromatiche. Gli ingredienti sono: acqua, alcol bio, zucchero, distillato di erbe aromatiche biologiche - ibisco fiori, achillea millefoglie, capolini fioriti, liquirizia radice, boccioli di rosa damascena, assenzio romano Piemonte, radice di genziana, corteccia di china rossa, semi di coriandolo, fiori di camomilla, vaniglia Madagascar, scorze di arancio amaro, radice di angelica, timo serpillo. F.M. shop.carlocracco.it
Rompete le uova!
Come sostiene lo scrittore giapponese Murakami Haruki: «È bello poter mangiare qualcosa di buono, ci si accorge di essere vivi». Così lo scrittore in Norwegian Wood: «La vita è una scatola di biscotti. Hai presente quelle scatole di latta con i biscotti assortiti? Ci sono sempre quelli che ti piacciono e quelli che no. Quando cominci a prendere subito tutti quelli buoni, poi rimangono solo quelli che non ti piacciono. È quello che penso sempre io nei momenti di crisi. Meglio che mi tolgo questi cattivi di mezzo, poi tutto andrà bene. Perciò la vita è una scatola di biscotti». Queste poche parole mi sono venute in mente pensando alla situazione attuale, al disagio di cercare argomenti che possano riportare a qualche leggerezza, mentre immagini tremende affollano lo sguardo, senza potere ancora fare nulla in concreto. Dato il periodo pasquale, impossibile sfuggire al potere consolatorio delle uova di cioccolato, protagoniste indiscusse in queste settimane. L’offerta è vasta, varrebbe la pena regalarsi un uovo di qualità, di fattura artigianale preparato in maniera accurata con materie prime estremamente ricercate e non farsi traviare da quelle presenze inquietanti e giganti avvolte in carta lucida che fanno capolino nei supermercati, pronte a finire in super offerta appena finita la festa. Per tornare al ‘buon biscotto’ volgendo lo sguardo oltre le uova di cioccolato, viene in mente l’ebbrezza di tempi andati quando il 25 aprile coincideva con un déjeuner sur l’herbe in cui era protagonista delle tovaglie stese sui prati una meravigliosa frittata fatta con i bruscandoli. Questa con i bruscandoli è in Veneto la frittata in assoluto più tradizionale per la festa di San Marco, le cui origini risalgono all’VIII secolo. All’epoca la maggior parte della popolazione era povera e si arrangiava con quello che trovava e solitamente uova e germogli di luppolo selvatico erano facilmente reperibili. I più fortunati potevano arricchire il pasto con salumi e formaggi. In ogni caso, per tutti, poveri o meno, l’importante era trascorrere questa ricorrenza primaverile all’aperto. Una curiosità letteraria sul luppolo selvatico riporta a Ugo Foscolo, che ne Le ultime lettere di Jacopo Ortis menziona la minestra fatta con i bruscandoli, un piatto che veniva e viene tuttora preparato nel periodo primaverile in alcune parti del Veneto. F.M. 145
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H OT E L H E U R E K A V E N I C E T 0 0 3 9 0 41 5 2 4 6 4 6 0 H OT E L- H E U R E K A .CO M
HEUREKA!
© C O L L A G E : M A S T E R P L A N -A .C O M
april-may2022 pag. 148 pag. 156
Un calendario frenetico e ricchissimo: teatro, danza, musica, cinema e naturalmente arte!
citydiary
agenda exhibitions
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agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
01
venerdìFriday
:musica
AprApr
ENSEMBLE SYMPHONY ORCHESTRA
The legend of Morricone
Tribute concert “Dal Vivo”
Teatro Goldoni h. 21
FANFARA STATION
P. 101
Live dance party “Candiani Groove”
Centro Culturale Candiani-Mestre h. 21
02
15
KAKI KING MARCO CENTASSO
Jazz / Audiovisual performance “youTHeater” Teatro al Parco-Mestre h. 21
HERMANOS
New wave-Rock
Al Vapore-Marghera h. 19.30/21.30
FOLCAST
New Age Club-Roncade h. 21
COEZ
monica
“Jazz&”
Blues
KEVIN SEDDIKI chitarre LOREDANA BERTÈ
Pop rock
PalaBassano2-Bassano del Grappa h. 21.15
CHORO DE RUA
P. 101
BASSANO REEDS JAZZ BAND
Al Vapore-Marghera h. 19.30/21.30
EUGENIO BENNATO
MURUBUTU
W chi non conta niente tour
Musica d’autore
Alternative hip-hop
09
23
New Age Club-Roncade h. 21
Teatro Corso-Mestre h. 21.15
sabatoSaturday
ERLEND APNESETH TRIO
Folk jazz “Nørdic Frames”
Fondaco dei Tedeschi h.19.30
Centro Culturale Candiani-Mestre h. 21
Al Vapore-Marghera h. 19.30/21.30
DJ PYTHON
giovedìThursday
GIANNA NANNINI
P. 103
Rock
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
AKIRA SAKATA
Free jazz
P.100
Teatro Torresino-Padova h. 21
148
P. 101
Jazz world fusion “Candiani Groove” Jazz
Argo16-Marghera h. 22
Entasis
DJABE
sabatoSaturday
LUCA ZENNARO TRIO
NAVA
Elettronica
14
P. 99
L’ultimo girone 1980-2022
02
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
Blues
LITFIBA
GIOVANNI ALLEVI
Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.45
Deep reggaeton
Argo16-Marghera h. 23
25
VOCAL SKYLINE
FRee Venti22
Concerto per San Marco e la Festa della Liberazione Teatro Goldoni h. 18
Arena di Verona h. 21
lunedìMonday
ZUCCHERO
Arena di Verona h. 21
03
martedìTuesday
ONEREPUBLIC
Pop rock
Blues
Arena di Verona h. 21
Kione Arena-Padova h. 21.30
27
Blues
ZUCCHERO
mercoledìWednesday
L’ultimo girone 1980-2022
Rock
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
Arena di Verona h. 21
04 Blues
Arena di Verona h. 21
05
Arena di Verona h. 21
giovedìThursday
Pop d’autore
New Age Club-Roncade h. 21 P. 104
Rock
Arena di Verona h. 21
29
venerdìFriday
ZUCCHERO
Blues
Arena di Verona h. 21
30
sabatoSaturday
OMER KLEIN TRIO
Personal Belongings
“Jazz&”
Sale Apollinee, Teatro La Fenice h.19.30
RKOMI
Gran Teatro Geox-Padova h. 21.30
ZUCCHERO
Blues
giovedìThursday
CLAUDIO COJANIZ
Jazz “Caligola Nights”
MOBRICI
MANESKIN
mercoledìWednesday
ZUCCHERO
ZUCCHERO
Rap
lunedìMonday
domenicaSunday
ZUCCHERO
PalaInvent-Jesolo h. 21
28
Dixieland jazz band
01 Blues
TOSCA
Teatro Corso-Mestre h. 21
MagMay
MASSIMO RANIERI
Blues
World music
martedìTuesday
martedìTuesday
Musica d’autore
“Etnoborder” Morabeza
Teatro Toniolo-Mestre h. 21
05
P. 96
Laguna Libre h.18.30/20.30
Musica d’autore
26
LITFIBA
venerdìFriday
Santo Bálsamo
lunedìMonday
IOSONOUNCANE
Al Vapore-Marghera h. 19.30/21.30
22
Manifesto tour
Arena di Verona h. 21
ZUCCHERO
sabatoSaturday
BRENTA BLUES
Sale Apollinee, Teatro La Fenice h.19.30
P. 104
Piano solo
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
16
ZUCCHERO
Blues
Rock
Funk pop Rap
sabatoSaturday
JEAN LOUIS MATINIER fisar-
04
venerdìFriday
Arena di Verona h. 21
Al Vapore-Marghera h. 19.30/21.30
ZUCCHERO
Blues
Arena di Verona h. 21
06
venerdìFriday
CLAUDIO COJANIZ
(vedi giovedì 5 maggio)
Laguna Libre h. 18.30/20.30
MAGICAL MYSTERY ORCHESTRA
Let it Be 50th Anniversary
Beatles’ tribute band
Teatro Corso-Mestre h. 21
ELECTRIC JALABA
P. 101
Afro groove “Candiani Groove”
Centro Culturale Candiani-Mestre h. 21
PAT METHENY
Jazz
Gran Teatro Geox-Padova h. 21.30
ZUCCHERO
Blues
Arena di Verona h. 21
07
sabatoSaturday
ANNE-JAMES CHATON & ANDY MOOR
12
giovedìThursday
CLAUDIO BAGLIONI
16
lunedìMonday
SAMUELE BERSANI
P. 103
Dodici note solo
Cinema Samuele Tour
Teatro Malibran h. 21
Gran Teatro Geox-Padova h. 21
Teatro Olimpico-Vicenza h. 21
21
Elettronica sperimentale “Nu Fest 2022”
Musica d’autore
SUBSONICA
Solo Mingus
Il tempo consuma
“Etnoborder”
Elettronica - Alternative rock
Teatro Comunale di Vicenza h. 21
Sala dei Giganti, Palazzo LivianoPadova h. 21
Romantic Tour
Teatrino di Palazzo Grassi h. 20
Musica d’autore
JOHN SCOFIELD TRIO
“Vicenza Jazz Festival”
FURIO DI CASTRI
MICHELE SAMBIN
Microchip Temporale Tour
“Vicenza Jazz Festival”
Centro Sociale Rivolta-Marghera h. 22
ADA MONTELLANICO
KRAFTWERK
Songs from the heart
P.94
“Vicenza Jazz Festival”
Elettronica
Gran Teatro Geox-Padova h. 21.30
5 SECONDS OF SUMMER Rock
Kione Arena-Padova h. 21.30
ZUCCHERO
Blues
13
venerdìFriday
I MUSICI DI FRANCESCO GUCCINI
Teatro Corso-Mestre h. 21.15
domenicaSunday
DREAM THEATER
Cimitero Maggiore-Vicenza h. 24
Musica d’autore
Arena di Verona h. 21
08
P.104
Progressive metal
Kione Arena-Padova h. 20.30
MYRA MELFORD
Fire and Water
Jazz
Sala dei Giganti, Palazzo LivianoPadova h. 21
VAN DER GRAAF GENERATOR
14
sabatoSaturday
RACHELE ANDRIOLI
CLAUDIO BAGLIONI
Combo Venezia h.18.30
TEHO TEARDO
Musica d’autore “youTHeater”
YANIV TAUBENHOUSE JOE LOVANO TRIO TAPESTRY
Teatro Olimpico-Vicenza h. 21
RHOVE
Dodici note solo
Hip-hop
Teatro Toniolo-Mestre h. 21
15
Musica d’autore
ZUCCHERO
Blues
Arena di Verona h. 21
11
mercoledìWednesday
FURIO DI CASTRI
Furious Mingus
“Vicenza Jazz Festival”
Auditorium Fonato-Thiene h. 21
ZUCCHERO
Blues
P. 96
“Etnoborder”
“Vicenza Jazz Festival”
martedìTuesday
Arena di Verona h. 21
martedìTuesday
JOEY CALDERAZZO & JOHN PATITUCCI P. 101
Rock blues jazz “Candiani Groove”
“Vicenza Jazz Festival”
Teatro al Parco-Mestre h. 21
Arena di Verona h. 21
17
New Age Club-Roncade h. 21
domenicaSunday
CAROVANA TABÙ E FABRIZIO BOSSO
Miles To Go
Jazz
Teatro Corso-Mestre h. 21
MELANCHOLIA
Elettro rock
New Age Club-Roncade h. 21
BILL FRISELL TRIO
“Vicenza Jazz Festival”
Teatro Olimpico-Vicenza h. 21
GAFAROV ENSEMBLE
P.96
Palazzo Grimani h. 18.30
MARIO BIONDI
Jazz
Gran Teatro Geox-Padova h. 21.15
DE VITO-RAVA-HERSCH
“Vicenza Jazz Festival”
Teatro Comunale di Vicenza h. 21
“Vicenza Jazz Festival”
ZUCCHERO
Blues
Teatro Comunale di Vicenza h. 21
RICHARD BONA & ALFREDO RODRIGUEZ TRIO
Ellipses dans l’harmonie
Gran Teatro Geox-Padova h. 21.30
AVISHAI COHEN TRIO
“Vicenza Jazz Festival”
Centro Culturale Candiani-Mestre h. 21
Jazz blues
10
P.100
Videoinstallazione e live performance
sabatoSaturday
DAVID MURRAY QUINTET
The Fable of Mingus
Teatro Comunale di Vicenza h. 21
18
22
domenicaSunday
JAMES BLUNT
Pop rock
Kione Arena-Padova h. 21.30
23
lunedìMonday
SCORPIONS
Heavy metal
mercoledìWednesday
YES
The Album Series Tour
Prog rock
Gran Teatro Geox-Padova h. 21.30
DAMIANI-GIULIANI-DE ROSSI EARTH TRIO + JOHN SURMAN VIGLEIK STORAAS DUO
“Vicenza Jazz Festival”
Teatro Olimpico-Vicenza h. 21
19
Teatro Olimpico-Vicenza h. 21
giovedìThursday
SEABROOK TRIO
P.100
Avant jazz
Teatro Torresino-Padova h. 21
Arena di Verona h. 21
24
martedìTuesday
GIÒ DI TONNO VITTORIO MATTEUCCI GRAZIANO GALATONE
Canzoni per sempre
Musical
Teatro Corso-Mestre h. 21.15
25
mercoledìWednesday
ANTONELLO SALIS & SIMONE ZANCHINI
Jazz “Treviso Suona Jazz Festival”
TIGRAN HAMASYAN TRIO + DOCTOR 3
Auditorium Sant’Artemio-Treviso h. 20.45
Teatro Olimpico-Vicenza h. 21
Trap-Hip hop
“Vicenza Jazz Festival”
20
venerdìFriday
NILZA COSTA
P. 96
MAHMOOD
Gran Teatro Geox-Padova h. 21.15
26
giovedìThursday
ETTORE MARTIN
Le Notti Di San Patrizio Distorçao Do Tempo
Senza parole
Laguna Libre h.18.30/20.30
Caffè Caffi-Treviso h. 18.30
“Etnoborder”
“Treviso Suona Jazz Festival”
MICHELE BRAVI
Pop
Gran Teatro Geox-Padova h. 21.30
SAMUEL
Elettronica
New Age Club-Roncade h. 21
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agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
FRANCESCO BEARZATTI
Portrait of Tony
Tribute to Tony Scott “Treviso Suona Jazz Festival”
Auditorium Sant’Artemio-Treviso h. 20.45
DEAD CAN DANCE
P. 103
Gothic rock
Gran Teatro Geox-Padova h. 21.30
NASHLEY
Rap
New Age Club-Roncade h. 21
28
sabatoSaturday
AprApr
:classical
venerdìFriday
:musica
27
URI CAINE
07
Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.45
César Franck, tra sacro e mondano
Piano solo “Treviso Suona Jazz Festival”
DEAD CAN DANCE
Gothic rock
giovedìThursday
UN BELGA A PARIGI
Conferenza di Marica Bottaro “L’universo di César Franck (1822-1890)”
Gran Teatro Geox-Padova h. 21.30
Ingresso libero/Free entry Palazzetto Bru Zane h. 18
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I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA
domenicaSunday
MANRICO SEGHI TRIO
feat. ADAM PACHE
“Treviso Suona Jazz Festival” Dump-Treviso h. 20.45
Musica di Giuseppe Verdi Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Direttore Sebastiano Rolli Regia di Valentino Villa Scene di Massimo Checchetto “Stagione Lirica 2021-2022“ Ingresso/Ticket € 230/165 Teatro La Fenice h. 19
08
venerdìFriday
VIENNA TRA SETTECENTO E OTTOCENTO
Composizioni di Beethoven, Mozart, Hummel “I concerti del venerdì”
INDIRIZZI AL VAPORE
Via Fratelli Bandiera 8-Marghera www.alvapore.it
ARENA DI VERONA
Piazza Bra-Verona www.eventiverona.it
ARGO16
Via delle Industrie 27/C-Marghera argo16.it
AUDITORIUM SANT’ARTEMIO
Provincia di Treviso (edificio 3) Via Cal di Breda 121, Treviso www.trevisosuonajazz.it
CENTRO CANDIANI
Piazzale Candiani 7-Mestre www.culturavenezia.it/candiani
DUMP
Galleria Bailo 7-Treviso www.trevisosuonajazz.it
GRAN TEATRO GEOX
Via Tassinari 1-Padova zedlive.com
LAGUNA LIBRE
Fondamenta di Cannaregio www.lagunalibre.it
KIONE ARENA
Via San Marco 53-Padova zedlive.com
NEW AGE CLUB
Via Tintoretto 14-Roncade www.newageclub.it
150
PALABASSANO2
Via Ca’ Dolfin 60-Bassano del Grappa www.duepuntieventi.com
PALAINVENT
Piazza Brescia 11-Jesolo www.azalea.it
TEATRINO DI PALAZZO GRASSI
Campo San Samuele, San Marco 3231 www.venetojazz.com
TEATRO AL PARCO
Parco Albanese, via Bissuola-Mestre www.comune.venezia.it
TEATRO COMUNALE DI VICENZA
Viale Giuseppe Mazzini 39-Vicenza www.vicenzajazz.org
TEATRO CORSO
Corso del Popolo 30-Mestre www.dalvivoeventi.it
TEATRO LA FENICE
Ingresso/Ticket € 20/8 Sala Concerti, Conservatorio Benedetto Marcello h. 18.30
LA VEDOVA ALLEGRA
Operetta in tre atti di Franz Lehár Libretto di Victor Léon e Leo Stein Direttore Leonardo Sini Orchestra Filarmonia Veneta Regia, scene, costumi, luci e coreografie di Paolo Giani Cei “Stagione Lirica e concertistica 2021/22”
Ingresso/Ticket € 50/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20
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sabatoSaturday
I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA
(vedi sabato 2 aprile)
Ingresso/Ticket € 230/77 Teatro La Fenice h. 15.30
TASSIS CHRISTOYANNIS
baritono
JEFF COHEN pianoforte P. 106
Campo San Fantin 1965 www.venetojazz.com
Rimembranza
TEATRO MARIO DEL MONACO
Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 19.30
Corso del Popolo-Treviso www.teatrostabileveneto.it
TEATRO OLIMPICO
Piazza Matteotti 11-Vicenza www.vicenzajazz.org
Opere di César Frank “L’universo di César Franck (1822-1890)”
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domenicaSunday
LA VEDOVA ALLEGRA
(vedi venerdì 8 aprile)
Ingresso/Ticket € 50/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16
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martedìTuesday
MARCO ANGIUS direttore GIOVANNI ZANON violino
Concerto per violino e orchestra op. 61 Sinfonia n. 2 op. 36 di Beethoven Ingresso/Ticket € 27,5/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
14
giovedìThursday
ELEONORA DE POI violino MASSIMILIANO TURCHI
pianoforte
Composizioni di Schumann, Glazunov, Schubert, Fauré “Musica con le Ali“ Ingresso/Ticket € 20/10 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 18
ALTRE STAGIONI VENEZIANE
Presentazione del CD di Federica Lotti per EMA Vinci L&C, 2021 Interventi di Guido Barbieri, Giuseppe Scali, Roberto Calabretto e del compositore Claudio Ambrosini Esempi musicali di Federica Lotti, flauto Fondazione Ugo e Olga Levi h. 18
CHRISTIAN KUNERT direttore VALENTINO WORLITZSCH
violoncello
Composizioni di Dvořák, Schubert “56. Stagione Concertistica“ Ingresso/Ticket € 25/10 Teatro Verdi-Padova h. 20.45
15
venerdìFriday
BRAHMSIADE
Composizioni di Johannes Brahms “I concerti del venerdì”
Ingresso/Ticket € 20/8 Sala Concerti, Conservatorio Benedetto Marcello h. 18.30
21
giovedìThursday
ANU TALI direttore SARAH CHRISTIAN violino MAXIMILIAN HORNUNG
violoncello
Composizioni di Brahms, Haydn “56. Stagione Concertistica“ Ingresso/Ticket € 25/10 Teatro Verdi-Padova h. 20.45
22
FAUST
venerdìFriday P. 110
Musica di Charles Gounod Libretto di Jules Barbier e Michel Carré Direttore Frédéric Chaslin Regia di Joan Anton Rechi Scene di Sebastian Ellirch Ivan Ayon Rivas tenore Alex Esposito basso Carmela Remigio soprano “Stagione Lirica 2021-2022“ Ingresso/Ticket € 240/187 Teatro La Fenice h. 19
MARINA BELOVA liuto attiorbato GABRIEL RIGNOL tiorba e chitarra
Composizioni di Giovanni Girolamo Kapsperger, Robert De visée, Robert Ballard Fondazione Ugo e Olga Levi h. 19
24
domenicaSunday
(vedi venerdì 22 aprile)
Ingresso/Ticket € 230/110 Teatro La Fenice h. 15.30
martedìTuesday
FAUST
(vedi venerdì 22 aprile)
Ingresso/Ticket € 230/132 Teatro La Fenice h. 19
28
giovedìThursday
FAUST
(vedi venerdì 22 aprile)
Ingresso/Ticket € 230/99 Teatro La Fenice h. 19
STRUMENTISTI DELL’ACCADEMIA TEATRO ALLA SCALA P. 108
Alla scuola di Franck
Quartetti con pianoforte di Alexis de Castillon e Vincent d’Indy “L’universo di César Franck (1822-1890)” Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 19.30
29
Direttore Jonathan Santagada Regia di Pedro Ribeiro Composizioni di Leoncavallo, Gaetano Donizetti, Bellini, Rossini Ingresso/Ticket € 45/25 Teatro La Fenice h. 19
LA GRISELDA
P. 110
Musica di Antonio Vivaldi Libretto di Carlo Goldoni aggiornato da Apostolo Zeno Direttore Diego Fasolis Regia, scene e costumi Gianluca Falaschi “Opera 2021/22“ Ingresso/Ticket € 143/55 Teatro Malibran h. 19
30
sabatoSaturday
FAUST
FAUST
26
GALA GIOVANI VOCI ALLA FENICE
(vedi venerdì 22 aprile)
Ingresso/Ticket € 230/132 Teatro La Fenice h. 15.30
LO SCOIATTOLO IN GAMBA
Favola in un atto e quattro quadri Musiche di Nino Rota Libretto di Eduardo De Filippo Regia di Roberto Scandiuzzi “Stagione Lirica e concertistica 2021/22”
Ingresso/Ticket € 8 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16
MagMay
03
martedìTuesday
NOVECENTO STORICO
Composizioni di Josef Suk, André Jolivet, Alexander Tansman, Franz Schreker “I concerti del venerdì” Ingresso/Ticket € 20/8 Sala Concerti, Conservatorio Benedetto Marcello h. 18.30
venerdìFriday
SCHUBERTIADE
Composizioni di Franz Schubert “I concerti del venerdì”
Ingresso/Ticket € 20/8 Sala Concerti, Conservatorio Benedetto Marcello h. 18.30
07
sabatoSaturday
LA GRISELDA
(vedi venerdì 29 aprile)
08
domenicaSunday
LA GRISELDA
Ingresso/Ticket € 110/45 Teatro Malibran h. 15.30
giovedìThursday
14
sabatoSaturday
FRÉDÉRIC CHASLIN
direttore
domenicaSunday
FRÉDÉRIC CHASLIN direttore
(vedi sabato 14 maggio)
Ingresso/Ticket € 88/35 Teatro Malibran h. 19
17
THÉO FOUCHENNERET
pianoforte Violoncello al femminile
Opere di Marie Jaëll, Henriette Renié, Nadia Boulanger “L’universo di César Franck (1822-1890)” Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 19.30
P. 111
Composizioni di Berlioz e Ravel “Stagione Sinfonica 2021/22“
LA GRISELDA
violoncello
20
venerdìFriday
Andrea Vio, Alberto Battiston violino Mario Paladin viola Angelo Zanin violoncello “Stagione Lirica e concertistica 2021/22”
21
sabatoSaturday
MARKUS STENZ direttore P. 111
ANU TALI direttore SARAH CHRISTIAN violino MAXIMILIAN HORNUNG
Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h. 17
(vedi venerdì 29 aprile)
Ingresso/Ticket € 20/10 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 18
Ingresso/Ticket € 25/10 Teatro Verdi-Padova h. 20.45
Composizioni di Mozart, Shubert, Webern “56. Stagione Concertistica“
15
giovedìThursday
Composizioni di Ravel, Puccini, Ciardelli “Musica con le Ali“
Composizioni di Richard Wagner “Stagione Sinfonica 2021/22“
Ingresso/Ticket € 88/35 Teatro Malibran h. 19
05
ANNA ASTESANO arpa VALENTINA CIARDELLI
contrabbasso
UMBERTO BENEDETTI MICHELANGELI direttore
Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h. 20
(vedi venerdì 29 aprile)
giovedìThursday
Ingresso/Ticket € 32/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
(vedi venerdì 29 aprile)
12
19
QUARTETTO DI VENEZIA
Ingresso/Ticket € 110/45 Teatro Malibran h. 15.30
LA GRISELDA
V. JULIEN-LAFERRIÈRE
venerdìFriday
06
martedìTuesday
NATHANAËL GOUIN pianoforte
La tastiera del re
Opere per pianoforte di César Frank “L’universo di César Franck (1822-1890)” Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 19.30
18
mercoledìWednesday
LILYA ZILBERSTEIN pianoforte
Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h. 20
violoncello
Composizioni di Brahms, Haydn “56. Stagione Concertistica“ Ingresso/Ticket € 25/10 Teatro Verdi-Padova h. 20.45
22
domenicaSunday
MARKUS STENZ direttore
(vedi sabato 21 maggio) Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h. 17
GOM – GIOVANE ORCHESTRA METROPOLITANA
Pierluigi Piran direttore “Stagione Concerti 2021/22“ Ingresso/Ticket € 10 Teatro Toniolo-Mestre h. 18
24
martedìTuesday
TRIO TAMAYURA
Karin Nakagawa koto Hans Tutzer sassofono Paolino Dalla Porta contrabbasso “Stagione Concerti 2021/22“ Ingresso/Ticket € 10 Teatro Toniolo-Mestre h. 18
Composizioni di Schubert, Liszt, Chausson, Czerny, Ravel “Musikàmera“ Ingresso/Ticket € 60/40 Teatro La Fenice h. 20
151
agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
mercoledìWednesday
HEINZ HOLLIGER oboe ANITA LEUZINGER violoncello ANTON KERNIAK pianoforte
Composizioni di Schumann, Holliger, Beethoven “Musikàmera“ Ingresso/Ticket € 25 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
26
giovedìThursday
HEINZ HOLLIGER oboe ANITA LEUZINGER violoncello ANTON KERNIAK pianoforte
(vedi mercoledì 25 maggio)
Ingresso/Ticket € 25 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
WOLFRAM CHRIST direttore GIOVANNI SOLLIMA violoncello
Composizioni di Schumann, Adams, Prokofiev “56. Stagione Concertistica“
Ingresso/Ticket € 35/25 Teatro Malibran h. 15.30
29
domenicaSunday
ROBERT TREVINO direttore
(vedi venerdì 27 maggio) Ingresso/Ticket € 88/45 Teatro La Fenice h. 17
ALEXANDRA DOVGAN piano-
forte
Composizioni di Beethoven, Schumann, Chopin “Musikàmera“
Ingresso/Ticket € 25 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
30
lunedìMonday
ALEXANDRA DOVGAN piano-
forte
(vedi domenica 29 maggio)
Ingresso/Ticket € 25 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
venerdìFriday
MARIA MILSTEIN violino P. 109 NATHALIA MILSTEIN pianoforte
Maestri e allievi
Opere di César Frank, Mel Bonis, Lili Boulanger “L’universo di César Franck (18221890)” Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 19.30
ROBERT TREVINO direttore P. 111
Gustav Mahler, Sinfonia n. 7 in mi minore “Stagione Sinfonica 2021/22“ Ingresso/Ticket € 88/45 Teatro La Fenice h. 20
ORCHESTRA DI PADOVA E DEL VENETO
Giovanni Sollima violoncello Wolfram Christ direttore “Stagione Lirica e concertistica 2021/22”
Ingresso/Ticket € 32/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
28
sabatoSaturday
SCIPIONE NELLE SPAGNE P. 110
musica di Antonio Caldara Libretto di Apostolo Zeno Orchestra barocca del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia Direttore Francesco Erle Regia Francesco Bellotto Scene Alessia Colosso “Opera 2021/22“
152
02
sabatoSaturday
PARAPHRASE P. 113
Coreografia di William Forsythe Con Julian Gabriel Richter “Dancing Studies”
Ingresso libero/Free entry Punta della Dogana h. 11-13/15-17
BOTH SITTING DUET
Live performance di di Jonathan Burrows, Matteo Fargion h. 18.30
TABLE MUSIC
Coreografia di Thierry De Mey, esecuzione da Les Percurssions de Strasbourg h. 19.15
52 PORTRAITS
CONSERVATORIO BENEDETTO MARCELLO
domenicaSunday
PARAPHRASE
Punta della Dogana h. 11-13/15-17
San Marco 2893 www.fondazionelevi.it
(vedi sabato 2 aprile) h. 18.30
PALAZZETTO BRU ZANE
(vedi sabato 2 aprile) h. 19.15
Campo San Fantin 1965 www.teatrolafenice.it
TEATRO MALIBRAN
Campiello del Teatro Cannaregio 5873 www.teatrolafenice.it
TEATRO MARIO DEL MONACO
Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it
TEATRO TONIOLO
TABLE MUSIC
52 PORTRAITS
(vedi sabato 2 aprile)
h. 16-18/19.30-20.30 Teatrino di Palazzo Grassi
05
martedìTuesday
MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE
di Arthur Miller Con Michele Placido e Alvia Reale Regia di Leo Muscato “Stagione di Prosa 2021/22” Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
06
mercoledìWednesday
MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE
(vedi martedì 5 aprile)
P.tta Cesare Battisti-Mestre www.comune.venezia.it
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
TEATRO VERDI
di Ronald Harwood Geppy Gleijeses, Maurizio Micheli, Lucia Poli, Roberta Lucca, Elisabetta Mirra
Via dei Livello 32-Padova www.opvorchestra.it
Punta della Dogana h. 11-13/15-17
52 PORTRAITS
(vedi sabato 2 aprile)
Teatrino di Palazzo Grassi h. 16-21
MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE
(vedi martedì 5 aprile)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
SERVO DI SCENA
(vedi mercoledì 6 aprile)
Teatro Verdi-Padova h. 19
03
BOTH SITTING DUET
TEATRO LA FENICE
(vedi sabato 2 aprile)
52 PORTRAITS
FONDAZIONE LEVI
San Polo 2454 www.bru-zane.com
giovedìThursday
PARAPHRASE
(vedi sabato 2 aprile)
(vedi sabato 2 aprile)
SCUOLA GRANDE SAN GIOVANNI EVANGELISTA
07
“Dancing Studies”
Campiello Pisani, San Marco 1910 www.conservatoriovenezia.eu
San Polo 2368 www.bru-zane.com
Ingresso/Ticket € 35/6 Teatro Verdi-Padova h. 20.30
08
Ingresso libero/Free entry Teatrino di Palazzo Grassi
INDIRIZZI
Regia di Guglielmo Ferri “Scenari senza confini 2021/22”
Proiezione in loop di una selezione dei 52 Portraits di Francesca Fargion, Hugo Glendinning, Jonathan Burrows e Matteo Fargion h. 16-18/19.30-20.30
Ingresso/Ticket € 25/10 Teatro Verdi-Padova h. 20.45
27
AprApr
:theatro
:classical
25
SERVO DI SCENA
venerdìFriday
PARAPHRASE
Punta della Dogana h. 11-13/15-17
(vedi sabato 2 aprile)
Teatrino di Palazzo Grassi h. 16-21
MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE
(vedi martedì 5 aprile)
Teatro Toniolo-Mestre h. 21
TELEPATHY
di e con Francesco Tesei
Ingresso/Ticket € 29/23 Teatro Corso-Mestre h. 21.15
SERVO DI SCENA
(vedi mercoledì 6 aprile)
Teatro Verdi-Padova h. 20.30
09
sabatoSaturday
PARAPHRASE
(vedi sabato 2 aprile)
Punta della Dogana h. 11-13/15-17
52 PORTRAITS
(vedi sabato 2 aprile)
Teatrino di Palazzo Grassi h. 16-21
DANCER OF THE YEAR
P. 116
Coreografia, interpretazione, costumi, design sonoro di Trajal Harrell Drammaturgia Sara Jansen “Asteroide Amor” Ingresso/Ticket € 14/5 Teatro Ca’ Foscari h. 20
POETRY SLAM
Con Lorenzo Maragoni “A pesca di sogni – Avventure a Teatro” Ingresso/Ticket € 7/10 Teatrino Groggia h. 16.30
MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE
(vedi martedì 5 aprile)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
CRYING OUT LOUD A DOLL’S HOUSE
P. 116
Coreografia, danza, scene Paola Lattanzi “youTHeater” Ingresso libero/Free entry Teatro del Parco-Mestre h. 21
SERVO DI SCENA
(vedi mercoledì 6 aprile)
Teatro Verdi-Padova h. 20.30
10
domenicaSunday
PARAPHRASE
Punta della Dogana h. 11-13/15-17
SONATAS AND INTERLUDES P. 113
Coreografie e danza di Lenio Kaklea Orlando Bass pianoforte Musiche di John Cage “Dancing Studies” Ingresso libero/Free entry Palazzo Grassi h. 21
OTELLO
dall’opera di Shakespeare di Kinkaleri/Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco “Asteroide Amor” Ingresso/Ticket € 14/5 Teatro Goldoni h. 20
Diario di un impermeabile
“Stagione Comici 2021/22” Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21
52 PORTRAITS
(vedi sabato 2 aprile)
Teatrino di Palazzo Grassi h. 16-21
MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE
(vedi martedì 5 aprile)
Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30
SERVO DI SCENA
(vedi mercoledì 6 aprile)
Teatro Verdi-Padova h. 16
SERVO DI SCENA
di Ronald Harwood “Scenari senza confini 2021/22”
Ingresso/Ticket € 35/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
23
P. 121
di Eugène Labiche Traduzione, adattamento e regia di Andrée Ruth Shammah Con Massimo Dapporto, Antonello Fassari, Susanna Marcomeni “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Goldoni h. 20.30
mercoledìWednesday
sabatoSaturday
di e con Juliette Fabre La Piccionaia “A pesca di sogni – Prime esperienze” Ingresso/Ticket € 4 Teatrino Groggia h. 16.30
SONATAS AND INTERLUDES
(vedi venerdì 22 aprile) Palazzo Grassi h. 21
MAURIZIO BATTISTA
Tutti contro tutti
“Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 48/25 Teatro Goldoni h. 21
SERVO DI SCENA
IL DELITTO DI VIA DELL’ORSINA
(vedi venerdì 22 aprile)
Teatro Goldoni h. 20.30
24
(vedi mercoledì 12 aprile)
ECUBA
Ares il Dio della Carneficina
Regia e drammaturgia di Giovanna Cordova con gli allievi di Tema Academy “Scenari senza confini 2021/22”
Ingresso/Ticket € 15/10 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
14
Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
domenicaSunday
LES PETITS MOTS
(vedi sabato 23 aprile)
Teatrino Groggia h. 11.30
SERVO DI SCENA
(vedi venerdì 22 aprile)
Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16
giovedìThursday
IL DELITTO DI VIA DELL’ORSINA
(vedi mercoledì 12 aprile) Teatro Goldoni h. 20.30
26
Regia di Andrea Baracco “Stagione di Prosa 2021/22”
Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
27
martedìTuesday
RE LEAR
P. 123
di William Shakespeare Con Glauco Mauri e Roberto Sturno
04
mercoledìWednesday
DANCING THE STUDIO
(vedi domenica 1 maggio)
mercoledìWednesday
RE LEAR
Teatrino di Palazzo Grassi h. 12-16
L’HEURE EXQUISE
P. 118
di e con Natalino Balasso
Regia e coreografia di Maurice Béjart rimontata da Maina Gielgud Con Alessandra Ferri, Thomas Whitehead “Scenari senza confini 2021/22”
28
05
(vedi martedì 26 aprile)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
DIZIONARIO BALASSO
Ingresso/Ticket € 29/23 Teatro Corso-Mestre h. 21.15
giovedìThursday
RE LEAR
(vedi martedì 26 aprile)
Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
DIZIONARIO BALASSO
di e con Natalino Balasso
Ingresso/Ticket € 29/23 Teatro Corso-Mestre h. 21.15
29
venerdìFriday
RE LEAR
(vedi martedì 26 aprile)
LES PETITS MOTS
martedìTuesday
IL DELITTO DI VIA DELL’ORSINA
13
venerdìFriday
PAOLO MIGONE
(vedi sabato 2 aprile)
12
22
Ingresso/Ticket € 45/8 Teatro Verdi-Padova h. 20.30
giovedìThursday
DANCING THE STUDIO
(vedi domenica 1 maggio)
Teatrino di Palazzo Grassi h. 12-16
L’ATTESA
P. 121
di Remo Binosi Con Anna Foglietta, Paola Minaccioni Regia di Michela Cescon “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 35/9 Teatro Goldoni h. 20.30
L’HEURE EXQUISE
Teatro Toniolo-Mestre h. 21
(vedi mercoledì 4 maggio)
MagMay
06
01
domenicaSunday
DANCING THE STUDIO P. 112
Coreografie e danza di Pam Tanowiz “Dancing Studies” Ingresso libero/Free entry Teatrino di Palazzo Grassi h. 12-16
02
venerdìFriday
L’ATTESA
(vedi giovedì 5 maggio) Teatro Goldoni h. 19
07
sabatoSaturday
L’ATTESA
(vedi giovedì 5 maggio)
lunedìMonday
DANCING THE STUDIO
(vedi domenica 1 maggio)
Teatrino di Palazzo Grassi h. 12-16
03
Teatro Verdi-Padova h. 19
martedìTuesday
DANCING THE STUDIO
(vedi domenica 1 maggio)
Teatrino di Palazzo Grassi h. 12-16
EARTHBOUND
P. 117
ovvero le storie delle Camille
liberamente ispirato a Staying with the Trouble di Donna Haraway di e con Marta Cuscunà Dramaturg: Giacomo Raffaelli Scene e progettazione meccatronica: Paola Villani “Asteroide Amor”
Teatro Goldoni h. 19
L’HEURE EXQUISE
Con Alessandra Ferri, Thomas Whitehead “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 45/8 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
08
domenicaSunday
L’ATTESA
(vedi giovedì 5 maggio) Teatro Goldoni h. 16
L’HEURE EXQUISE
(vedi sabato 7 maggio)
Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
Ingresso/Ticket € 14/5 Teatro Goldoni h. 20
153
agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
mercoledìWednesday
L’HEURE EXQUISE
Con Alessandra Ferri, Thomas Whitehead “Scenari senza confini 2021/22” Ingresso/Ticket € 45/11 Teatro Goldoni h. 20.30
12
giovedìThursday
ECHOES
P. 116
Concept, coreografia, costumi e sound Cristina Kristal Rizzo Musiche di Frank Ocean “Asteroide Amor”
Compagnia Virgilio Sieni “Scenari senza confini 2021/22”
Ingresso/Ticket € 25/3 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30
Teatro Goldoni h. 20.30
Santa Croce 1957 www.unive.it/asteroideamor
Dorsoduro 2 www.palazzograssi.it
TEATRINO DI PALAZZO GRASSI
sabatoSaturday P. 123
di Luciano De Crescenzo Geppy Gleijeses, Alessandro Siani, Riccardo Pazzaglia Regia di regia di Geppy Gleijeses “Stagione Teatrale 2021/22” Ingresso/Ticket € 29/26 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30
domenicaSunday
COSÌ PARLÒ BELLAVISTA
Campo San Samuele, San Marco 3231 www.palazzograssi.it
TEATRINO GROGGIA
Sant’Alvise, Cannaregio 3150 www.comune.venezia.it
TEATRO CA’ FOSCARI
Santa Marta 2137 www.unive.it/asteroideamor
TEATRO CORSO
(vedi sabato 14 maggio)
Corso del Popolo-Mestre www.dalvivoeventi.it
21
Parco Albanese, via BissuolaMestre www.comune.venezia.it
Teatro Toniolo-Mestre h. 15.30
sabatoSaturday
ARTURO
P. 116
Nardinocchi - Matcovich “youTHeater”
Ingresso libero/Free entry Teatro del Parco-Mestre h. 21
24
martedìTuesday
TUTTO BRUCIA
P. 116
Ideazione e regia di Daniela Nicolò, Enrico Casagrande Motus, Teatro di Roma – Teatro Nazionale “Asteroide Amor” Ingresso/Ticket € 14/5 Teatro Goldoni h. 20
28
sabatoSaturday
DARWIN INCONSOLABILE
Un pezzo per anime in pena
Testo e regia Lucia Calamaro Con Riccardo Goretti, Gioia Salvatori “Asteroide Amor” Ingresso/Ticket € 14/5 Teatro Ca’ Foscari h. 20
154
AprApr
07
giovedìThursday
IL MAGNIFICO CORNUTO
Regia di Antonio Pietrangeli (1964) “Ugo Tognazzi, il sapore forte della vita” Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
INDIRIZZI CA’ TRON – IUAV
PUNTA DELLA DOGANA
(vedi mercoledì 11 maggio)
15
PARADISO
Campo San Samuele San Marco 3231 www.palazzograssi.it
L’HEURE EXQUISE
COSÌ PARLÒ BELLAVISTA
martedìTuesday
PALAZZO GRASSI
Ingresso/Ticket € 14/5 Ca’ Tron, IUAV h. 20
14
31
:cinema
:theatro
11
TEATRO DEL PARCO
LA STORIA
Regia di Luigi Comencini (1986) “Le donne nella guerra” Emergency Venezia h. 18
L’ARMATA A CAVALLO
Regia di Miklós Jancsó (1957) Presenta Giuseppe Ghigi “Classici Fuori Mostra”
TEATRO VERDI
Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it
PORCILE
L’artista che uccise la pittura
lunedìMonday
CLOSE RELATIONS
Regia di Vitalij Manskij (2016) v.o. sottotitoli in inglese e italiano Introduzione al film Alessandro Farsetti (Università Ca’ Foscari Venezia) Al termine della proiezione Andrea Franco (Università di Padova) dialoga con Matteo Benussi (Università Ca’ Foscari Venezia) “Il cinema in Ucraina” Teatro Ca’ Foscari h. 19
TINTORETTO
L’artista che uccise la pittura
Regia di Erminio Perocco (2022) “La grande Arte al cinema” IMG Candiani-Mestre
Regia di Sergej Paradžanov (1965) “Il cinema in Ucraina”
TEATRO TONIOLO
Teatro Ca’ Foscari h. 20
11
TEATRO MARIO DEL MONACO
Piazzetta Malipiero-Mestre www.comune.venezia.it
Film in lingua con sottotitoli in inglese Introduce la prof.ssa Miriam De Rosa Programma di cortometraggi curato con gli studenti cafoscarini del corso di Visual Culture. I film sperimentali, a firma di artisti internazionali, offrono un esempio del nascente genere del “desktop cinema”, che gioca la propria estetica sull’inclusione in quadro degli elementi tipici delle immagini fruite tramite schermi digitali
Multisala Rossini h. 19
12
Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it
mercoledìWednesday
EXPERIMENTS IN DESKTOP CINEMA
Regia di Pier Paolo Pasolini (1969) “Pasolini 100”
TEATRO GOLDONI
Rialto, San Marco 4659 www.teatrostabileveneto.it
13
martedìTuesday
LE OMBRE DEGLI AVI DIMENTICATI
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
INCURSIONS IN THE POLITICS OF THE IMAGE: FILMS BY BELIT SAG
Lo screening avviene alla presenza dell’artista che dialogherà con docenti dei corsi di laurea in Economics and Management of Arts and Cultural Activities e Philosophy, International and Economic Studies di Ca’ Foscari (l’evento si tiene in lingua inglese) Teatro Ca’ Foscari h. 20
TINTORETTO
L’artista che uccise la pittura
(vedi lunedì 11 aprile) IMG Candiani-Mestre
IMG Candiani-Mestre
TINTORETTO
(vedi lunedì 11 aprile) IMG Candiani-Mestre
14
giovedìThursday
LA BAMBOLONA
Regia di Franco Giraldi (1968) “Ugo Tognazzi, il sapore forte della vita” Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
KAPÒ
Regia di Gillo Pontecorvo (1960) “Le donne nella guerra” Emergency Venezia h. 18
IL BRACCIO VIOLENTO DELLA LEGGE
Regia di William Friedkin (1971) Presenta Michele Gottardi “Classici Fuori Mostra” Multisala Rossini h. 19
19
martedìTuesday
L’ASCESA
Regia di Larisa Šepitko (1977) “Il cinema in Ucraina”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
20
mercoledìWednesday
FALENE
Regia di Tommaso Fermariello (2021, 38’) La proiezione è preceduta dalla presentazione degli esiti del laboratorio Paesaggi interiori condotto da Raffaella Rivi con un gruppo di studenti di Ca’ Foscari Teatro Ca’ Foscari h. 19
IL DECAMERON
Regia di Pier Paolo Pasolini (1971) “Pasolini 100” IMG Candiani-Mestre
LA TERRA DEI FIGLI
Regia di Claudio Cupellini (2021) “Paesaggi che cambiano”
Auditorium Spazi Bomben-Treviso h. 20.30
21
giovedìThursday
04
mercoledìWednesday
12. CA’ FOSCARI P. 127 SHORT FILM FESTIVAL Auditorium Santa Margherita
INTERTIDAL. BARENE
11
mercoledìWednesday
SALÒ O LE 120 GIORNATE DI SODOMA
Regia di Pier Paolo Pasolini (1975) “Pasolini 100” IMG Candiani-Mestre
VENGA A PRENDERE IL CAFFÈ DA NOI
Regia di Collettivo Confluenze (2021) “Paesaggi che cambiano” Auditorium Spazi Bomben-Treviso h. 20.30
L’ultima mostra
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
IL FIORE DELLE MILLE E UNA NOTTE
IMG Candiani-Mestre
IMG Candiani-Mestre
MERCATO SEGRETO DI DONNE IN AMORE
Regia di Alberto Lattuada (1970) “Ugo Tognazzi, il sapore forte della vita”
IL GIORNO DELLA CIVETTA
Regia di Damiano Damiani (1968) Presenta Francesco Zucconi “Classici Fuori Mostra” Multisala Rossini h. 19
26
martedìTuesday
DONBASS
Regia di Sergei Loznitsa (2018) “Il cinema in Ucraina”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
27
mercoledìWednesday
MAIDAN
Regia di Sergei Loznitsa (2014) Introducono la proiezione del documentario Marco Dalla Gassa e Alessandro Farsetti (Università Ca’ Foscari) “Il cinema in Ucraina” Videoteca Pasinetti h. 17
I RACCONTI DI CANTERBURY
Regia di Pier Paolo Pasolini (1972) “Pasolini 100” IMG Candiani-Mestre
28
05
giovedìThursday
12. CA’ FOSCARI SHORT FILM FESTIVAL
Auditorium Santa Margherita
06
venerdìFriday
IL GATTO
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
L’UOMO DALLA CRAVATTA DI CUOIO
Regia di Don Siegel (1968) Presenta Adriano De Grandis “Classici Fuori Mostra” Multisala Rossini h. 19
MagMay lunedìMonday
CAMILLE & ULYSSE
Regia di Diana Toucedo (2021) Introduzione al film Federica Timeto (Università Ca’ Foscari Venezia) e Antonia Ferrante (Università IUAV di Venezia) “CinemARTa – Zone di Contatto”
(vedi lunedì 11 maggio)
12
giovedìThursday
Regia di Noboru Tanaka (1974) PresentaRoberta Novielli “Classici Fuori Mostra” Multisala Rossini h. 19
19
giovedìThursday
LEILA E I LUPI
12. CA’ FOSCARI SHORT FILM FESTIVAL
Regia di Heiny Srour (1980-84) Presenta Miriam De Rosa “Classici Fuori Mostra”
07
26
Auditorium Santa Margherita
sabatoSaturday
12. CA’ FOSCARI SHORT FILM FESTIVAL
Auditorium Santa Margherita
09
Multisala Rossini h. 19
Dorsoduro 3689 cafoscarishort.unive.it
AUDITORIUM SPAZI BOMBEN
Via Cornarotta 7-Treviso www.fbsr.it
EMERGENCY VENEZIA
Fondamenta S. Giacomo Giudecca 212 eventi.emergency.it
IMG CANDIANI
Piazzale Candiani-Mestre imgcinemas.it
MULTISALA ROSSINI
Salizzada del Teatro, San Marco 3997 www.labiennale.org
TEATRO CA’ FOSCARI
Santa Marta 2137 www.unive.it/asteroideamor
VIDEOTECA PASINETTI CASA DEL CINEMA
San Stae 1990 www.comune.venezia.it
giovedìThursday
IL CORRIERE
Regia di Karen Shakhnazarov (1986) Presenta Miriam De Rosa “Classici Fuori Mostra” Multisala Rossini h. 19
lunedìMonday
SOFTIE
giovedìThursday
Regia di Luigi Comencini (1977) “Ugo Tognazzi, il sapore forte della vita”
02
Regia di Pier Paolo Pasolini (1974) “Pasolini 100”
TUTANKHAMON
INDIRIZZI AUDITORIUM S. MARGHERITA
Regia di Diana Toucedo (2020) v.o. con sottotitoli in inglese Introduzione al film Shaul Bassi (Università Ca’ Foscari Venezia) Al termine della proiezione Alessandro Jedlowski (Université de Bordeaux) e Francesco Vacchiano (Università Ca’ Foscari Venezia) dialogano con il regista La conversazione si terrà in inglese “CinemARTa – Zone di Contatto”
THE GENERAL
Regia di Buster Keaton e Clyde Bruckman (1926) Proiezione accompagnata dalla musica dal vivo di Giulio Scaramella al piano e Luca Colussi alle percussioni ed effetti sonori “TSJF 2022 – Cinema & Jazz” Auditorium Spazi Bomben-Treviso h. 20.45
Teatro Ca’ Foscari h. 19
TUTANKHAMON
L’ultima mostra
Regia di Ernesto Pagano (2022) “La grande Arte al cinema” IMG Candiani-Mestre
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martedìTuesday
TUTANKHAMON
L’ultima mostra
(vedi lunedì 11 maggio) IMG Candiani-Mestre
Teatro Ca’ Foscari h. 19
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193 GALLERY Aldo Chaparro + Alia Ali … or was it a dream?
CASTELLO 780 Martin Weinstein Vedute Palinsesti
AKKA PROJECT African Identities Group Exhibition
CASTELLO 925 Bobbie Moline-Kramer. The Power of One Antonio Pauciulo. Artificial Creatures
22 aprileApril-22 giugnoJune Zattere, Dorsoduro 556 www.193gallery.com
23 aprileApril-27 novembreNovember Ca’ del Duca, Corte Duca Sforza San Marco 3052 www.akkaproject.com
A PLUS A Ruth Beraha We will name her Tempest
exhibitions
Mostre a Venezia Not Only Biennale
6 aprileApril-15luglioJuly Gallery, San Marco 3073 www.aplusa.it
BEL AIR FINE ART Carole Feuerman Richard Orlinski
23 aprileApril-27 novembreNovember Calle dello Spezier, San Marco 2765 Dorsoduro 728 www.belairfineart.com
BIBLIOTECA MARCIANA
Federica Marangoni Memory The Light of Time 7 aprileApril-27 novembreNovember Sala Sansoviniana, Biblioteca Nazionale Marciana, Piazza San Marco
CA’ D’ORO GALLERIA GIORGIO FRANCHETTI Da Donatello a Alessandro Vittoria 1450 – 1600 150 anni di scultura nella Repubblica di Venezia 22 aprileApril-30 ottobreOctober Calle Ca’ d’Oro, Cannaregio 3934 www.cadoro.org
CA’ FOSCARI CFZ CULTURAL FLOW ZONE Lena Herzog. Last Whispers Immersive Oratorio for Vanishing Voices, Collapsing Universes and a Falling Tree 21 aprileApril-30 luglioJuly Tesa 1, Zattere al Pontelungo Dorsoduro 1392 www.unive.it
CA’ PESARO/1 Raqib Shaw: Palazzo della Memoria
22 aprileApril-25 settembreSeptember Galleria Internazionale d’Arte Moderna (Sale Dom Pérignon), Santa Croce 2076 capesaro.visitmuve.it
CA’ PESARO/2 Bice Lazzari Fra spazio e misura
22 aprileApril-23 ottobreSeptember Galleria Internazionale d’Arte Moderna Santa Croce 2076 capesaro.visitmuve.it
CASA DEI TRE OCI Sabine Weiss La poesia dell’istante
FinoUntil 23 ottobreOctober Giudecca 43 www.treoci.org
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20 aprileApril-10 luglioJuly Fondamenta San Giuseppe, Castello 780 www.crosscontemporaryprojects.com
20 aprileApril-10 luglioJuly Fondamenta San Giuseppe, Castello 925 www.crosscontemporaryprojects.com
CHIESA DELLA PIETÀ Carole Feuerman. My Stories
20 aprileApril-27 novembreNovember Cappella, Riva degli Schiavoni, Castello 3701 www.belairfineart.com
CHIESA SAN SAMUELE Julien Friedler È finita la Commedia
23 aprileApril-25 settembreSeptember Campo San Samuele, San Marco www.julienfriedler.com | cdstudiodarte.it
CHIOSTRO CHIESA MADONNA DELL’ORTO The Global Supper A Collective Meditation on Humanity 15 aprileApril-15 luglioJuly Cannaregio 3512 www.LilliMuller.com
CIPRIANI GIUDECCA Subodh Gupta Cooking the World
23 aprileApril-27 novembreNovember Giardino dell’Hotel Belmond, Giudecca 10
COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM Surrealismo e magia. La modernità incantata 9 aprileApril-26 settembreSeptember Dorsoduro 701 guggenheim-venice.it
COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO/1 Penumbra 20 aprileApril-27 novembreNovember Ospedaletto CON/temporaneo Barbaria de le Tole, Castello 6691 inbetweenartfilm.com
COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO/2 Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh, Hesam Rahmanian ALLUVIUM 20 aprileApril-27 novembreNovember Ospedaletto Contemporaneo Barbaria de le Tole, Castello 6691 ogrtorino.it
EUROPEAN CULTURAL CENTRE (ECC) Personal Structures Reflections
FONDACO MARCELLO Wallace Chan. Totem
20 aprileApril-23 ottobreOctober Calle del Traghetto, San Marco 3415 www.wallace-chan.com
FONDATION VALMONT Peter Pan. La nécessité du rêve
23 aprileApril-26 febbraioFebruary Palazzo Bonvicini, Calle Agnello San Polo 2161/A fondationvalmont.com
FONDATION WILMOTTE Bae Bien-U Light of Grey/View of Venice 21 aprileApril-27 novembreNovember Gallery, Fondamenta dell’Abbazia Cannaregio 3560 www.fondationwilmotte.com
FONDAZIONE EMILIO E ANNABIANCA VEDOVA Rainer - Vedova: Ora
23 aprileApril-30 ottobreOctober Magazzino del Sale e Spazio Vedova Zattere 266 www.fondazionevedova.org
FONDAZIONE PRADA Human Brains It Begins with an Idea
24 aprileApril-27 novembreNovember Ca’ Corner della Regina, Santa Croce 2215 www.fondazioneprada.org
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA Danh Vō, Isamu Noguchi, Park Seo-Bo
20 aprileApril-27 novembreNovember Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.querinistampalia.org
GALLERIA ALBERTA PANE Claude Cahun / Marcel Moore I owe you
21 aprileApril-27 agostoAugust Calle dei Guardiani, Dorsoduro 2403/H albertapane.com
GALLERIA CATERINA TOGNON Bertozzi&Casoni: istantanee 20 aprileApril-30 luglioJuly Corte Barozzi, San Marco 2158 www.caterinatognon.com
GALLERIA RAVAGNAN Bruno Catalano
Piazza San Marco 50/A Dorsoduro, 686 www.ravagnangallery.com
GALLERIA SAN POLO Lee Mae Lee. Genesis
19 aprileApril-28 giugnoJune Ruga vecchia San Giovanni, Rialto San Polo 387 www.leemaelee.works
GALLERIE DELL’ACCADEMIA Anish Kapoor
23 aprileApril-27 novembreNovember Palazzo Mora, Strada Nova, Cannaregio 3659 Palazzo Bembo, Riva del Carbon San Marco 4793 Giardini della Marinaressa, Riva dei Sette Martiri, Castello
20 aprileApril-9 ottobreOctober Campo della Carità, Dorsoduro 1050 www.gallerieaccademia.it
FONDACO DEI TEDESCHI Leila Alaoui Storie Invisibili/Unseen Stories
21 aprileApril-27 novembreNovember European Cultural Centre, Giardini della Marinaressa, Riva dei Sette Martiri www.belairfineart.com
20 aprileApril-27 novembreNovember Rialto (accanto al Ponte)
GIARDINI DELLA MARINARESSA Richard Orlinski Solo exhibition
IKONA GALLERY/1 Alla ricerca di Fioretta
8 maggioMay-7 agostoAugust Campo del Ghetto Nuovo Cannaregio 2909 www.ikonavenezia.com
ISOLA DI SAN GIACOMO Jota Mombaça
23 aprileApril-27 novembreNovember Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Laguna Nord fsrr.org
ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE/1 FontanaArte. Vivere nel vetro 4 aprileApril-31 luglioJuly Le Stanze del Vetro lestanzedelvetro.org
ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE/2 On Fire 22 aprileApril-24 luglioJuly Fondazione Giorgio Cini www.cini.it
ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE/3 Kehinde Wiley An Archaeology of Silence 22 aprileApril-24 luglioJuly Fondazione Giorgio Cini www.cini.it
ISOLA DI SAN SERVOLO Madnicity Pavilion 2022 Dominik Lejman. Lunatics 21 aprileApril-30 maggioMay instagram.com/madnicitypavilion
LA FUCINA DEL FUTURO From Chaos to Harmony Independent Project by SUMUS
9 aprileApril-17 luglioJuly Calle San Lorenzo, Castello 5063B sumus.community
LA TOLETTA SPAZIO EVENTI Scott Tulay
22 aprileApril-22 giugnoJune Fondamenta de Borgo, Dorsoduro 1134 www.tolettaeventi.com
LATTERIA MODERNA David Cass Where Once The Waters 18 aprileApril-24 maggioMay Via Garibaldi, Castello 1791 davidcass.art
M9 – Museo del ‘900 GUSTO! Gli italiani a tavola. 1970-2050
FinoUntil 25 settembreSeptember Museo del ’900, Via Giovanni Pascoli 11 - Mestre www.m9museum.it
MARIGNANA ARTE Maurizio Donzelli L’insieme vuoto
9 aprileApril-23 luglioJuly Rio Terà dei Catecumeni, Dorsoduro 141 www.marignanaarte.it
MUSEO CORRER Huong Dodinh. Ascension
23 aprileApril-6 novembreNovember Sala delle Quattro Porte Piazza San Marco correr.visitmuve.it
MUSEO D’ARTE ORIENTALE Trame Giapponesi Costumi e storie del teatro nō
FinoUntil 3 luglioJuly Ca’ Pesaro (terzo piano) Santa Croce 2076 polomusealeveneto.beniculturali.it/ musei/museo-d’arte-orientale
MUSEO DEL VETRO Tony Cragg Silicon Dioxide
FinoUntil 21 agostoAugust Fondamenta Giustinian 8, Murano museovetro.visitmuve.it
OCEAN SPACE THE SOUL EXPANDING OCEAN #3 Dineo Seshee Bopape. Ocean! What if No Change Is Your Desperate Mission? THE SOUL EXPANDING OCEAN #4 Diana Policarpo. Ciguatera 9 aprileApril-2 ottobreOctober Ocean Space, Chiesa di San Lorenzo Castello 5069 www.ocean-space.org
ORATORIO DI SAN LUDOVICO Mónica de Miranda no longer with the memory but with its future
20 aprileApril-29 maggioMay Calle dei Vecchi, Dorsoduro 2552
PALAZZO CINI Joseph Beuys Finamente Articolato
20 aprileApril-2 ottobreOctober museovetro.visitmuve.it
PALAZZO DIEDO Berggruen Arts & Culture Sterling Ruby. A Project in Four Acts
20 aprileApril-27 novembreNovember Santa Fosca, Cannaregio 2386 www.berggruen.org
PALAZZO DUCALE Anselm Kiefer Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce (Andrea Emo)
FinoUntil 29 ottobreOctober Sala dello Scrutinio, Piazzetta San Marco palazzoducale.visitmuve.it
PALAZZO FORTUNY Mariano Fortuny y Madrazo Palazzo Pesaro degli Orfei San Marco 3958 fortuny.visitmuve.it
PALAZZO FRANCHETTI/1 Antoni Clavé Lo spirito del guerriero
22 aprileApril-23 ottobreOctober ACP (primo piano), San Marco 2842 www.acp-palazzofranchetti.com
PALAZZO FRANCHETTI/2 Beyond: Emerging Artists 20 aprileApril-22 maggioMay ACP (primo piano), San Marco 2842 www.abudhabiart.ae
PALAZZO FRANCHETTI/3 Biblioteca Morandiana
DaFrom 21 aprileApril ACP (secondo piano), San Marco 2842 www.acp-palazzofranchetti.com
PALAZZO FRANCHETTI/4 Claudine Drai. Présence
21 aprileApril-15 maggioMay ACP (secondo piano), San Marco 2842 www.acp-palazzofranchetti.com
PALAZZO GRASSI Marlene Dumas. open-end
FinoUntil 8 gennaioJanuary, 2023 Campo San Samuele, San Marco 3231 www.palazzograssi.it
PALAZZO GRIMANI/1 Mary Weatherford The Flaying of Marsyas
20 aprileApril-27 novembreNovember Castello 4858/a polomusealeveneto.beniculturali.it/ musei/museo-di-palazzo-grimani
PALAZZO GRIMANI/2 Georg Baselitz. Archinto
RIVA SAN BIASIO Zhanna Kadyrova Palianytsia
20 aprileApril-11 settembreSeptember Castello 2145 www.galleriacontinua.com
SCALA CONTARINI DEL BOVOLO/1 Alessandro Russo Postindustriale
21 aprileApril-12 giugnoJune San Marco 4303 www.alessandrorusso.com
SCUOLA DI SAN PASQUALE KUB in Venice Otobong Nkanga & Anna Boghiguian
20 aprileApril-4 luglioJuly Campo San Francesco della Vigna Castello 2786 www.kunsthaus-bregenz.at/venice
SCUOLA GRANDE SAN MARCO Sarah Revoltella La difesa
FinoUntil 27 novembreNovember Castello 4858/a polomusealeveneto.beniculturali.it/ musei/museo-di-palazzo-grimani
21 aprileApril-10 settembreSeptember Ingresso Ospedale Civile, Campo dei Santi Giovanni e Paolo, Castello 6777 www.sarahrevoltella.com
PALAZZO LOREDAN Markus Lüpertz
SPARC* Spazio Arte Contemporanea Jacques Martinez Stagione Ticinese/Paper Landscapes
20 aprileApril-7 agostoAugust Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Campo Santo Stefano San Marco 2945
PALAZZO MANFRIN VENIER Fondazione Anish Kapoor
20 aprileApril-9 ottobreOctober Fondamenta Venier, Cannaregio 342
PALAZZO MOCENIGO Es-senze
21 aprileApril-11 settembreSeptember Santa Croce 1992 mocenigo.visitmuve.it
PALAZZO MOROSINI DEL PESTRIN Caroline Dantheny Boundless
17 aprileApril-31 luglioJuly Calle del Pestrin, Castello 6140 www.carolinedantheny.com
15 aprileApril-27 novembreNovember Santo Stefano, San Marco 2828A jacquesmartinez.com
SPAZIO BERLENDIS Gwangju Biennale to where the flowers are blooming
20 aprileApril-27 NovembreNovember Cannaregio 6301 gwangjubiennale.org
SPAZIO THETIS gEnki 1st Annual METAVERSE Art 27 aprileApril-27 novembreNovember Officina Lamierini e Tesa 106 Arsenale Nord www.annualmetaverseart.com
PROCURATIE VECCHIE The Human Safety Net
ST. GEORGE ANGLICAN CHURCH Mouna Rebeiz The Soothsayer
PUNTA CONTERIE ART GALLERY Forme del bere
TANA ART SPACE Artbox.Groups Globalize the artworld
daFrom 8 aprileApril Piazza San Marco 1218/B www.thehumansafetynet.org
23 aprileApril-31 dicembreDecember InGalleria, Fondamenta Giustinian 1 Murano puntaconterie.com
PUNTA DELLA DOGANA/1 Bruce Nauman: Contrapposto Studies
FinoUntil 27 novembreNovember Dorsoduro 2 www.palazzograssi.it
PUNTA DELLA DOGANA/2 Dancing Studies
23 aprileApril-27 novembreNovember Campo San Vio, Dorsoduro mounarebeiz.com
FinoUntil 31 luglioJuly Fondamenta de la Tana, Castello 2109/A it.biennaleartexpo.com
ZUECCA PROJECTS Hermann Nitsch, 20th painting action Vienna 1987 – Venice 2022
19 aprileApril-20 luglioJuly Oficine 800, Fondamenta San Biagio Giudecca www.zueccaprojects.org
2 aprileApril-19 giugnoJune Dorsoduro 2 Palazzo Grassi | Teatrino Grassi | Chiesa dei Santi Cosma e Damiano www.palazzograssi.it
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BIENNALE PROJECTS
There You Are Bulgaria National Pavilion Spazio Ravà | San Polo, 1100 23.04.2022 - 27.11.2022
Inclusion Guatemala National Pavilion
SPUMA - Space for the Arts | F.ta San Biagio, Giudecca, 800R 22.04.2022 - 27.11.2022
Tales of Muted Spirits | Dispersed Threads | Twisted Shangri-La Nepal National Pavilion Sant’Anna Project Space | F.ta Sant’Anna, Castello, 994 22.04.2022 - 27.11.2022
Destined Imaginaries Sultanate of Oman National Pavilion Artiglierie | Arsenale 23.04.2022 - 27.11.2022
Radiance: They Dream in Time Uganda National Pavilion
Palazzo Palumbo Fossati | San Marco, 2597 23.04.2022 - 26.11.2022
Rony Plesl. Trees Grow from the Sky Collateral Event by House České Budějovice
Chiesa di S. M. della Visitazione | F.ta Zattere ai Gesuati, Dorsoduro, 919A 22.04.2022 - 27.11.2022
Without Women Collateral Event by Visual Research Support Foundation Spiazzi | Calle del Pestrin, Castello, 3865 21.04.2022 - 27.11.2022
Uncombed, Unforeseen, Unconstrained Collateral Event by Parasol Unit Foundation
Conservatorio B. Marcello | Campiello Pisani, San Marco, 1910 21.04.2022 - 27.11.2022 158
Palazzo Franchetti | San Marco, 2847 22.04.2022 - 23.10.2022
Globalise the Artworld Independent Project by ARTBOX Groups Tana Art Space | F.ta de la Tana, Castello, 2111 08.03.2022 - 31.07.2022
Where Once the Waters Independent Project by David Cass
Latteria Moderna | Via Garibaldi, Castello, 1791 18.04.2022 - 24.05.2022
Peter Pan. La nécessité du rêve Independent Project by Fondation Valmont
Palazzo Bonvicini | Calle Agnello, San Polo, 2161/A 23.04.2022 - 26.02.2023
Stagione Ticinese, Papiers de Paysages Independent Project by Jacques Martinez
SPARC* - Spazio Arte Contemporanea | Campo Santo Stefano, San Marco, 2828A 17.04.2022 - 27.11.2022
KUB in Venice. Otobong Nkanga | Anna Boghiguian Independent Project by Kunsthaus Bregenz Scuola di San Pasquale | Campo San Francesco, Castello 20.04.2022 - 04.07.2022
From Chaos to Harmony Independent Project by SUMUS
La Fucina del Futuro | Calle San Lorenzo, San Marco, 5063B 09.04.2022 - 17.07.2022
INDEPENDENTPROJECTS
Antoni Clavé. Lo Spirito del Guerriero Independent Project by ACP and Antoni Clavé Archives
180 exhibition venues | project management | logistics | cost-effective locals suppliers | set up | authorizations | PR & communication | catalogues | events | 24/7 organizing secretariat | curatorship
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Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero Numero 262-263 - Anno XXVI Venezia, 1 Aprile 2022 Con il Patrocinio del Comune di Venezia Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996 Direzione editoriale Massimo Bran Direzione organizzativa Paola Marchetti Relazioni esterne e coordinamento editoriale Mariachiara Marzari Redazione Chiara Sciascia, Davide Carbone Speciali Fabio Marzari Coordinamento Newsletter e progetti digitali Marisa Santin Grafica Luca Zanatta Distribuzione Michele Negrisolo
Hanno collaborato a questo numero Katia Amoroso, Silvia Baldereschi, Loris Casadei, Maria Casadei, Federico Jonathan Cusin, Elisabetta Gardin, Renato Jona, Franca Lugato, Andrea Oddone Martin Daniela Paties Montagner, Giorgio Placereani, Livia Sartori di Borgoricco, Asja Skatchinski, Fabio Di Spirito, Luka Stojnic, Camillo Tonini, Riccardo Triolo Si ringraziano Roberto Cicutto, Carlo Giordanetti, Beatrice Bulgari, Massimo Lapucci, Gražina Subelytė, Damiano Michieletto, Giorgio Ferrara, Alberto Cavalli, Marco Paolini, Flavia Leonarduzzi, Giovanni Montanaro, Gian Mario Villalta, Michele Gottardi Traduzioni Andrea Falco, Patrizia Bran Foto di copertina What Goes Around Comes Around – Bosco Sodi a Palazzo Vendramin Grimani, Fondazione dell’Albero d’Oro. Evento Collaterale della 59. Esposizione Internazionale d’Arte lo trovi qui: Bookshop Gallerie dell’Accademia; Qshop (c/o Querini Stampalia, Santa Maria Formosa); Alef (c/o Museo Ebraico, zona Ghetto); Mare di Carta (Fondamenta dei Tolentini); Studium (zona S. Marco); Toletta, Toletta Cube e Toletta Studio (zona Campo San Barnaba) e in tutte le edicole della città. Direttore responsabile Massimo Bran Guida spirituale “Il più grande”, Muhammad Alì Recapito redazionale Cannaregio 563/E - 30121Venezia tel. +39 041.2377739 redazione@venezianews.it www.venezianews.it venezianews.magazine
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Redazione Venezianews
Stampa Tipografia Valentini di Valentini Silvano Via D. Gallani 17 - Cadoneghe (Pd) La redazione non è responsabile di eventuali variazioni delle programmazioni annunciate
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