PALAZZETTO BRU ZANE CARNEVALE 2023
GIOVEDÌ 9 FEBBRAIO
ORE 18
Cine-concerto con intervento in italiano
Cine concert with presentation in Italian
Alle origini della paura.
Maschere, musiche e brividi del cinema espressionista
Marco Bellano relatore / speaker
Gabriele Dal Santo pianoforte / piano evento gratuito
DOMENICA 12 FEBBRAIO
ORE 15.30
Laboratorio-concerto
(4-7 anni) in italiano Event for children
(4-7 years old) in Italian Un pianoforte, un cane, una pulce e una bambina musiche di / music by Mel Bonis
VENERDÌ 17
E SABATO 18 FEBBRAIO
ORE 19.30
DOMENICA 19 FEBBRAIO
ORE 17
Spettacolo cantato in francese Concert sung in French Café concert
Émeline Bayart canto / voice
Manuel Peskine pianoforte / piano
Palazzetto Bru Zane San Polo 2368, Venezia +39 041 30 37 615
Prenotazione consigliata: tickets@bru-zane.com
Biglietti 15 | 5 euro*
*studenti e minori di 30 anni e per gli eventi per bambini
CONTENTS
editoriale (p. 6) Affilando l’immaginazione incontri (p. 8) Chiara Valerio | Adele Re Rebaudengo | Mariza carnivaldiary (p. 19) Intervista a Massimo Checchetto, Direttore artistico Carnevale 2023 | Spettacoli, concerti, balli, party, appuntamenti con la tradizione | Intervista a Stefano Nicolao, Atelier Nicolao | Intervista a Marina Renato Colussi, Nono Colussi arte (p. 40) Intervista a Pietro C. Marani, De’ Visi Mostruosi e Caricature | Aspettando Carpaccio | CHRONORAMA | Lee Miller – Man Ray | Adriano Pedrosa, Biennale Arte 2024 | Inge Morath | Intervista a Nikos Aliagas, Regards Vénitiens | Graziano Arici | Venezia. Alter mundus | A ˘ quae Naturografie | Grandi installazioni di Venini | Simon Berger | Aqua e fogo – L’eau et le feu | Donazione Gemma
De Angelis Testa | Corrado Balest | Galleries | Preview Mostre | Premio W | Preview
Biennale Architettura 2023 | Preview Biennale Arte 2024 | Monuments Men | Intervista a
Vanessa Carlon, Palazzo Maffei Casa Museo musica (p. 78) Set Up | Fabio Accardi |
Chris Potter Quartet | Cristina Donà | Enrico Morello | Ron | Ana Carla Maza 4tet |
Dropkick Murphys | Candiani Groove classical (p. 88) Compositrici! | Auditorium Lo
Squero | Ernani | Il matrimonio segreto | Il barbiere di Siviglia | Stagione Sinfonica Teatro
La Fenice | Jonathan Darlington | Il boemo | Quartetto Fauves | Musikàmera |
Andrea Griminelli theatro (p. 98) La dolce ala della giovinezza | Leoni Biennale Teatro 2023 | Testimone d’accusa | Venire a Venezia | Azul | Perfetti sconosciuti | Mine vaganti |
Cyrano de Bergerac | youTHeater | Miracoli metropolitani | Paradiso XXXIII |
Maria Stuarda | Baydère | Amici fragili | Comici cinema (p. 110) Premi Oscar |
Babylon reviews | Carta Bianca | Ca’ Foscari Short | Biennale College Cinema | George Cukor | Liliana Cavani | Supervisioni | Cortinametraggio | Veneto Green Movie | Classici Fuori Mostra | Ecovisioni di Marco Gisotti | 73. Berlinale etcc... (p. 122) Intervista a Romolo Bugaro | Intervista a Matteo Strukul | Venezia e l’Antropocene | Giorno del Ricordo | Parole: Volta menu (p. 130) Venice Simplon-Orient-Express | Bauer all’asta | Malvasia, un diario mediterraneo | Ca’ di Dio | Koenji Bacaro e Osteria | Basara Sushi Pasticceria | Osteria al Giorgione Da Masa citydiary (p. 137) Agende | Mostre a Venezia | Screenings
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INCROCI DI CIVILTÀ MARIZA
Following Amália Rodrigues’s footsteps, Mariza opens Incroci di Civiltà, the international literature festival produced by the local Ca’ Foscari University, with the melancholic sound of fado. Veneto Jazz takes poetry-on-song and the charm of folk Portuguese music to the Malibran Theatre.
i ncontri p. 12
CARNEVALE DI VENEZIA 2023
A Carnival that is all around you, from Piazza San Marco to the Arsenale, to the metaverse. The party keeps up with the times, but its essence lives on: don a mask, a be what you can only dream of! carnivaldiary p. 19
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PALAZZO LOREDAN DE’ VISI MOSTRUOSI E CARICATURE
A powerful exhibition of deformed faces, anatomical exaggerations, physiognomic investigation, caricatures, and galleries of human features. At Palazzo Loredan, Fondazione Ligabue wil take us on an interesting journey – from Leonardo da Vinci to Francis Bacon.
arte p. 40
COVER STORY
The research for new, up-and-coming artists that chose glass as the ideal avenue to express their art is what keeps Murano solidly in the modern art circuit, thanks to Adriano Berengo, his Foundation, and his glass furnace. In late January, exhibition Shattering Beauty, curated by Sandrine Welte and Chiara Squarcina and produced in cooperation with Fondazione Musei Civici di Venezia and Berengo Studio, will open at the Murano Glass Museum. Swiss artist Simon Berger (b. 1976) created the art live, during the opening days, surrounded by his glass cube and the surprise of invitees. In that moment, all we took for granted about glass art shattered before our eyes. Berger pushed glass to its limits – its breaking limits. The rhythm of his mallet shattering glass sheets turned it into the depiction of a human face. To see the artist shape his creation in successive hammer strokes is devastating: destruction becomes an act of extreme beauty. Berger’s approach to glass finds the greatest strength in fragility. In his hands, the mallet is no longer a tool of destruction as much as it is an amplifier of a given effect. The closer and shorter the blows, the stronger the contrast and gradients. The artist draws spiderweb-like traces that trap and guide light. His transparent canvas will be called home by fascinating glass portraits. Simon Berger’s portraits/sculptures create a one-of-a-kind art installation.
arte p. 57
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6 CARPACCIO, SAN GIORGIO E IL DRAGO
While we wait for the Carpaccio exhibition to open at Palazzo Ducale, on the next March 18, let’s follow the traces of Saint George and the Dragon around town, starting with the Scuola Dalmata, Saint Geoge’s Church, and special guest Ai Weiwei.
arte p. 44
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PALAZZETTO BRU ZANE COMPOSITRICI!
The experimental attitude of Palazzetto Bru Zane now takes on female composers – all too often relegated to the margin of musical history or hidden from the mainstream narrative. This is the story of women who had to find a compromise between passion and identity. classica l p. 88
TEATRO MALIBRAN LA DOLCE ALA DELLA GIOVINEZZA
The programme goes on at the Malibran with a play by Tennessee Williams starring Elena Sofia Ricci and Gabriele Anagni, directed by Pier Luigi Pizzi. On the verge of the abyss, a female character puts into question the boundaries of narration and meta-theatre. t heatro p. 98
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AFFILANDO L’IMMAGINAZIONE
Archiviata un’annata davvero benaugurante per il futuro più prossimo, con un’edizione a dir poco record della Biennale, la quale ha letteralmente rigenerato, per contenuti e numeri, il corpo di una città sempre più provato dalla pressione crescente, e ormai insostenibile, di un famelico turismo mordi e fuggi al cospetto del quale langue esausta una residenzialità oramai sotto la soglia minima della normale vivibilità urbana, lasciatici quindi alle spalle mesi di puro ossigeno culturale, economico, relazionale, eccoci qui di nuovo ad affrontare altre stagioni che si sperano di conferma di quanto di vitale si è respirato fin solo a ieri. Non basta però un anno altamente performante per regalare certezze rassicuranti. Una città così esposta e fragile, provata da decenni e decenni di vuoto progettuale, di visioni asfittiche e pressoché esclusivamente emergenziali da parte di chi avrebbe avuto il compito di disegnarne il domani in una prospettiva di lungo termine, o perlomeno di medio, beh, non è certo con un bagliore di positività che può dirsi risolta e al sicuro. I problemi strutturali, di fondo, permangono tutti inalterati; bene, pompare ossigeno significa dare sollievo, ma non vuol certo dire guarire definitivamente il corpo dalla sua insufficienza respiratoria. Fuor di metafora polmonare non è insomma una seppur straordinaria Biennale, capace ormai di popolare non solo per sei, sette mesi la città di lavoratori e di visitatori culturali provenienti da ogni angolo del mondo, ma addirittura di stimolare crescentemente l’insediamento di fondazioni, collezioni, gallerie internazionali in palazzi, chiese, ex fabbricati in chiave permanente nel cuore del suo centro storico, a poter garantire un decisivo scatto in avanti in senso europeo, internazionale al sistema-città estesamente inteso in tutte le sue componenti sociali, economiche, culturali. Chi crede in questo è un illuso. Perché significa non capire che non è il sistema Biennale a dover e poter progettare concentricamente un futuro davvero più vivibile e vitale della città, ma è la città attraverso le sue espressioni politiche, dirigenziali, manageriali ad avere l’obbligo e l’intelligenza di dover seguirne l’esempio traendone ispirazione per sanamente ‘contagiare’ gli altri organi del suo corpo sofferente, così da non zoppicare con una gamba sfatta e al contempo alzare pesi con un braccio dai bicipiti esagerati, senza mai trovare un equilibrio coordinato tra tutte le sue funzioni vitali.
Ma è un discorso noto e sin troppo abusato anche in queste stesse pagine per non stancare uditori o lettori. Non ce la si fa più a sentirsi, a leggersi; non se ne può più di raccontarsi sempre le stesse cose senza che mai uno scarto vero, fattuale, venga prodotto in una città che come poche al mondo ha una fortuna così sfacciata nell’attrarre interessi da ogni dove, nel suscitare passioni, emozioni in chiunque le si avvicini anche fugacemente. Perciò ci siamo dati un obiettivo da ora in poi, che non garantiamo però di essere in grado di rispettare con rigorosa, puntuale coerenza, perché le irritazioni sono persistenti e bussano moleste ai nostri usci quotidianamente: provare a raccontare Venezia, cosa peraltro che nelle pagine del nostro magazine abbiamo sempre cercato di fare in questi lunghi anni al nostro meglio, per quanto di emozionante e positivo può esprimere, offrire anche nelle sue stagioni, nei suoi momenti ed eventi più colpevolmente mediocri. Spegnendo, o per meglio dire, sopendo un po’ l’istinto a reagire contro grossolane inadeguatezze che non avrebbero ragione di esistere mai in un contesto del genere. Percorso non
facile, perché talvolta la rabbia è troppa, ma ci proveremo con tutto l’impegno possibile. Questo numero è già nel suo piccolo un esempio tangibile di questo obiettivo programmatico. È Carnevale, partiamo da qui. Bene, sappiamo tutti il grave, ingiustificabile declino che ha subito negli anni questa grande festa popolare e insieme culturale che ha conosciuto decenni fa momenti di straordinaria vividezza qualitativa. A teatro, per strada, in Piazza, nei palazzi, nei campi: vi è stato un momento in cui davvero musica, colori, messe in scena, spettacoli di strada hanno saputo disegnare nel loro felice confondersi e integrarsi un quadro di straordinaria vitalità espressiva, facendo della città il proscenio ideale, per morfologia, storia e vocazione, della festa più popolare, trasversale e trasgressiva che sia stata immaginata e vissuta in un corpo urbano. Non è più così, lo sappiamo. Eppure vi è sempre un modo per cercare, magari se si vuole anche malinconicamente, e però anche con intelligente e vitale curiosità, delle gemme, delle tracce storiche, artistiche, culinarie capaci comunque di far assaporare il gusto di questa festa poliedrica, caleidoscopica come nessun’altra. Perché arrendersi “solo” al dato ufficiale e macroscopico di un quadro sempre più vuoto e arido di idee? Vi sono grazie a Dio mille suggestioni altre che questa città sa offrire pescando nella storia, nei suoi angoli meno battuti, nei musei, tra palazzi e case che parlano di mascheramenti e travestimenti i più improbabili e irresistibili; tracce che non restituiscono solo aria museificata, riuscendo a muovere emozioni dentro oggi, quindi ingaggiandoci con l’immaginazione a vedere oltre l’apparenza, il dato meramente tangibile. Se ci abbandoniamo a questo andare un po’ sognante un po’ no, ci ritroviamo vivi in un percorso fantastico, fatto di mille fermenti metatemporali, in cui le età si confondono, si contaminano, creando nuovi sensi presenti nel vivere anche un momento di festa così consuntosi nella sua cifra emersa. Un percorso che abbiamo cercato in questo numero di disseminare un po’ in tutte le pagine, in particolare certo nello speciale dedicato a questa festa. Perché in fondo il Carnevale è tra tutti gli eventi immaginabili quello che più di ogni altro si presta ad essere vissuto ovunque, mascherati o meno; non chiede tracciati definiti, grammatiche codificate. Può tracimare libero in case, teatri, locali, musei, strade, mezzi di trasporto, chiedendo solo di essere vissuto respirando l’anima più vera di questa città unica. L’invito, quindi, è di non cercare, di non inseguire l’ufficialità, bensì ciò che ci piacerebbe fosse questa festa, iniettando in ogni traccia relazionale o culturale che ci si trova a vivere, a prescindere che siano esse targate “Carnevale di Venezia”, la proiezione dei nostri desideri, della nostra immaginazione. Insomma, del vorremmo che così fosse. Facendolo infine. Che è poi la vera essenza del mascheramento, l’equazione carnevalesca più felice.
Naturalmente dentro, prima e dopo i dieci giorni mascherati, continueremo a stizzirci mai sazi di insofferenza per quanto l’ufficialità mediocremente apparecchia anno dopo anno. Molto sfiduciati, mai arresi.
LA DEMOCRAZIA DEI NUMERI
Per scrivere questo romanzo che avevo in testa da molti anni dovevo arrivare a Venezia. E invecchiare
Se mai dovessi scrivere un romanzo, sarei consapevole di essermi giocato – malissimo – il bonus invio a Chiara Valerio, che per Marsilio svolge l’attività di editor in chief del settore Narrativa italiana. L’intervista che segue ha avuto un prologo prima delle risposte, che vado a proporre: «Fabio, secondo me la prima parte della prima domanda è un coacervo di anacoluti. Perdoni la notazione da vecchia zia...».
Oltre alla simpatica ironia della Nostra, essere bacchettati da una delle intellettuali più raffinate e autorevoli della scena culturale italiana, traduttrice, scrittrice, autrice teatrale, radiofonica e cinematografica, costituisce motivo di orgoglio. La sua capacità di rappresentare un pensiero libero, non asservito alle spinte presenti, la rende sovente bersaglio di critiche feroci da parte della stampa schierata apertamente a destra, senza tuttavia minimamente scalfire il suo entusiasmo verso l’universo culturale nelle sue multiformi espressioni che sanno trarre linfa dalle diversità.
Nata a Scauri, in provincia di Latina, ha conseguito laurea e dottorato in Matematica all’Università degli Studi di Napoli Federico II sul tema del calcolo delle probabilità.
«La matematica è stata il mio apprendistato alla rivoluzione, perché mi ha insegnato a diffidare di verità assolute e autorità indiscutibili. Democrazia e matematica, da un punto di vista politico, si somigliano: come tutti i processi creativi non sopportano di non cambiare mai».
Risulta difficile interloquire con una delle più brillanti intellettuali italiane senza cadere nella tentazione di provare ad avere un suo punto di vista sulle esternazioni dei nuovi governanti, dal Dante di destra in giù. Cedo quindi volentieri alle ‘tentazioni’ chiedendo a Chiara Valerio come vede questo presente e soprattutto come ritiene si potrebbero affrontare liberamente nel dibattito pubblico i temi culturali senza ricorrere ogni volta a barricate ideologiche. Credo che questo discorso cominci e finisca con l’avere o non avere, col coltivare o col non coltivare, la curiosità di ascoltare l’altro. Dunque, con l’ammettere o col non ammettere che l’altro esista nella propria irriducibilità all’idea che ne abbiamo noi. Caratteristiche che possono appartenere alla natura di un essere umano, ma che possono essere acquisite anche con la cultura. Che è più solida di qualsiasi morale. Nel bene e nel male.
Lei è una scrittrice affermata e nel suo ultimo romanzo, Così per sempre edito da Einaudi, la storia, ambientata tra Roma e Venezia, attraversa i secoli e affonda le sue radici alla fine dell’Ottocento, quando il conte Dracula lascia la Transilvania per trasferirsi in Occidente. Il dualismo tra eterno e immortale, i vampiri, il gatto Zibetto. Come è nata questa affascinante trama?
Viene da lontano. Da quando ero studentessa universitaria. Si è sempre intitolato così: Così per sempre. Volevo scrivere una storia d’amore, volevo raccontare la storia della scienza del Novecento che è stata straordinaria, volevo dire che il vampiro, in sé, dice che non esiste il sangue puro e che dalla purezza del sangue sono derivate e deriveranno sempre cose terribili, quindi meglio stare dalla parte del mostro e del meticcio che progettare la purezza, e di quella purezza morire e far morire. Venezia, nelle sue architetture e nelle persone che l’hanno abitata e che la abitano, sono un continuo elogio del sincretismo, del meticciato. Per scrivere questo romanzo che avevo in testa da molti anni dovevo insomma arrivare a Venezia. E invecchiare.
Chiara Valerio heads the Italian fiction department at Marsilio, a Venice-based publisher, as well as an author herself, translator, and radio host, among other ventures. Valerio is a mathematics PhD and likes to explain how “mathematics trained me towards revolution, because they taught me to distrust absolute truths and unquestionable authorities. Democracy and maths, in a way, are similar: like all creative processes, they won’t tolerate to never change.”
A word on the current state of affairs in the public intellectual debate
I believe it all begins and ends with having or not having, cultivating or not cultivating, any curiosity towards what the other has to say. Which is to say, with admitting or not admitting that the other exists in a way that we cannot fully reduce to the idea we ourselves have of them. This applies to the very nature of the human being, certainly, though also to culture, which is more solid than any moral, for better or worse.
Your latest novel, Così per sempre, is a story set in Rome and Venice that sees Count Dracula leave Transylvania in the late 1800s to settle in the west. How did this story originate?
It’s a long story, from back when I was in college. I set on the title early on: Così per sempre (lit. ‘this way forever’). I wanted to write a love story as well as a story of twentieth-century science, which has been extraordinary. I wanted my vampire to say that there is no such thing as ‘pure blood’, and that purity of blood engenders, and has always engendered, horrible things. It is much better to side with the monster and the mixed than to design purity, and of that purity, to die and make others die. Venice, in its architecture and in the people that live and have lived in it, are a praise of syncretism and amalgamation. I had this story in my mind for a long time, all I needed to do was come to Venice, and grow a bit older.
Paul Klee, Ritratto di Frau P. nel Sud ( Bildnis der Frau P. im Süden ), 1924. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia
ispirazióne
[sostantivo femminile] Stato di entusiasmo, di eccitazione fantastica che spinge l’artista ad agire secondo estro creativo e potenza immaginativa.
Lasciati ispirare dalla Collezione Peggy Guggenheim. Scopri l’energia e la bellezza delle avanguardie con Pablo Picasso, Salvador Dalí, René Magritte, Leonor Fini, Alberto Giacometti, Emilio Vedova, Jackson Pollock e molti altri che hanno fatto la storia dell’arte del ’900.
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i ncontri
CHIARA VALERIO
Per Marsilio cura la narrativa italiana. Quali autori e quali libri segnalerebbe come fondanti per una lettura convincente del nostro periodo a cavallo tra pandemia e guerra?
Tutti i classici che le vengono in mente e tutti gli esordi che riesce a leggere. Le scienziate e gli scienziati che, abituati a confrontarsi da sempre con le catastrofi, fuori e dentro di loro – come peraltro alcuni che scienziati non sono – riescono a misurarle. E gli artisti, perché non tutto è possibile dire; qualcosa esiste ed è comprensibile solo nella messa in scena, nell’opera, in video.
Sembra una sorta di marchio indelebile, come la saetta di Harry Potter, avere una formazione matematica. In ogni sua intervista non si riesce a prescindere da questo aspetto relativo alla sua formazione. Il rigore dei numeri aiuta la mente a varcare spazi tendenti all’infinito, mentre il comune sentire persiste col credere che “carmina non dant panem”. Si possono conciliare queste visioni? Come può la grammatica dei numeri insinuarsi nelle pieghe degli artifici letterari?
Non ho mai visto la differenza tra le grammatiche. Sono anni che rispondo a questa domanda e che dunque mi arrovello. Un mio professore di dottorato sosteneva che il mio fosse un errore di valutazione; mi ripeteva sempre che la matematica non è un linguaggio perché non ha l’intenzione di dire qualcosa. Eccezione che comprendo, ma non condivido.
Venezia, sua città d’adozione. Si potrebbero aprire capitoli lunghissimi sulla città contenitore di eventi che ha perso la sua stessa identità anche a causa del numero sempre più esiguo di abitanti. Come vive la sua Venezia e come vede e prevede il futuro della città?
La vivo come i veneziani, spero, camminando molto, fermandomi spesso a parlare con chi incontro e bevendo volentieri un bicchiere di vino. Esco molto presto la mattina, cammino fino a Punta della Dogana, torno indietro e vado in ufficio. Esco dall’ufficio, cammino ancora. Nel Vangelo ci si limita a camminare sulle acque, a Venezia si fa anche tutto il resto. Non mi ha mai stupito la sfacciata potenza della Serenissima, le cui eco arrivano sempre, anche oggi, più o meno attutite. Penso che a Venezia si possa vivere e si possa vivere bene, ma io ne sono innamorata. Il futuro di Venezia è nelle mostre, nell’editoria, nelle librerie – pensi al centro sentimentale e pratico che è la Libreria MarcoPolo, anzi le due librerie MarcoPolo – nelle università, nelle fondazioni. La memoria di Venezia, e dunque l’immaginazione, è quella del commercio, del transito, dell’incrocio, della mediazione, tutte cose che oggi hanno a che fare con l’industria culturale e con l’editoria.
Da Paolo Cognetti (anche lui con studi matematici!) a Elena Ferrante, solo per citare gli ultimi successi cinematografici, la nuova frontiera per uno scrittore è il cinema? Oppure come per Salinger, la letteratura è pura scrittura?
Ho scritto con Nanni Moretti e Gianni Amelio, mi capita di collaborare con case cinematografiche per progetti che poi giungono a compimento oppure no. Lucky Red ha comprato subito i diritti cinematografici di Così per sempre. Se mi chiede chi vorrei essere probabilmente le risponderei Billy Wilder. Eppure penso che i libri mantengano una loro specificità che consiste, probabilmente, non solo nella possibilità di immedesimazione, ma nel fraintendimento di quella stessa immedesimazione.
Ultima, inevitabile domanda: lei nell’isola deserta cosa porterebbe? (Chiara Valerio conduce su Radio Tre la trasmissione L’isola deserta, ndr) Adesso le risponderei il Requiem di Mozart nella versione di Celibidache (direttore d’orchestra, compositore rumeno laureato in matematica e in filosofia, ndr), il libro Lo Scimmiotto di Wu Ch’êng-ên e i film di Fantozzi.
Domani non so cosa risponderei.
On Reading
Read all the classics you can think of, and all debutants you can get your hands on. Read what scientists write, because they are used to deal with catastrophes both inside and outside themselves – much like others – and to measure them. Peruse what artists do, because not everything can be put down in words. There are some things that we can only understand through staging and art.
The role of mathematics
There’s no difference between grammars. I have been asked about maths all my life and given serious thought about it. I once had a professor tell me mathematics aren’t a language, because there is no intention to say anything behind it. I understand what he meant, but I don’t agree with him.
Venice
I live Venice as Venetians do. I walk a lot, I stop to talk a lot, and I have the occasional glass of wine. I start my day with a walk, all the way down to Punta della Dogana, then walk on to my office, and I walk more after that. The Gospel speaks of walking on water, in Venice, we do other things, too. I believe this city is a great place to live in, and I readily fell in love with it. Its future is in the cultural industry: exhibitions, publishing, bookshops. Its memories, which is to say its imagination, is all about trade, transit, mediation, amalgamation – all things that are related with the cultural industry.
Paolo Cognetti, Elena Ferrante… cinema as a novelist’s next big thing
I wrote for Nanni Moretti and Gianni Amelio, and worked with other film productions. Lucky Red recently bought adaptation rights for Così per sempre I would love to be a Billy Wilder. Yet, I think books have something unique about them, which is something deeper than identification, and is probably the possible misunderstanding of identification.
What would Chiara Valerio take with her on a desert island?
Mozart’s Requiem in Sergiu Celibidache’s version, a copy of Wu Cheng’en’s Journey to the West, and Fantozzi movies. Ask me tomorrow, you’ll probably get a different answer.
i ncontri
IN VENETIA HORTUS REDEMPTORIS
Sora nostra matre terra
È iniziato da pochi giorni il cantiere di restauro finalizzato alla conservazione e gestione del Giardino, con l’Orto, le Cappelle di meditazione, le Antiche Officine, la Serra e l’Apiario, del Convento della Chiesa palladiana del Santissimo Redentore alla Giudecca. Ancora una volta è Venice Gardens Foundation a farsi carico della realizzazione di questo importante lavoro di apertura al pubblico di uno spazio affascinante e inedito, sospeso tra la città e le visioni metafisiche della Laguna. Tra i vari meriti della Fondazione, presieduta da Adele Re Rebaudengo, molto importante è quello di essere riuscita ad inserire il tema del verde in città come un landmark, riportando i giardini al ruolo centrale che rivestivano in passato. All’avvio dei lavori, avvenuti a fine gennaio, abbiamo parlato con l’infaticabile Adele Re Rebaudengo che ha voluto condividere con noi il sogno e l’entusiasmo per un luogo speciale come In Venetia Hortus Redemptoris, che diverrà un’oasi di pace, aperta al mondo, sotto l’egida dei francescani.
Un nuovo cantiere si è aperto al Redentore. Prosegue la restituzione “urbi et orbi” di giardini e spazi verdi a Venezia da parte della Fondazione da lei presieduta. Come è nata questa folgorazione verso l’Hortus Redemptoris ?
La scelta del luogo è venuta tenendo in considerazione più elementi. Il primo è certamente connaturato intimamente a questo luogo meraviglioso, che personalmente ha sempre attratto la mia attenzione ogni qualvolta lo incrociavo con lo sguardo passando sul versante sud Giudecca con la barca. Lo potevo a dire il vero fortunatamente osservare anche da terra, dalle finestre della sede della Fondazione, rivolte verso la chiesa del Redentore, e ancora lo ritrovavo nei miei sogni più belli. Tre personalissimi punti di osservazione che in sé sarebbero stati più che sufficienti nel condurmi verso questo luogo, ma il quarto, più impalpabile, è stato determinante: il “sentire” profondamente la sua natura, la sua storia e il suo significato, esempio tramandato dello spirito francescano, e in particolare cappuccino, del “Paradiso in terra”, ha generato il desiderio di curarlo, preservarlo e farlo conoscere ai visitatori più attenti.
Quale la storia di questa incredibile oasi di pace in città?
E quale l’importanza dal punto di vista civile e religioso che assumerà questo recupero?
Il complesso del Redentore, che si estende per circa un ettaro, dal
canale della Giudecca fino alla Laguna Sud, venne realizzato dalla Serenissima e da Papa Gregorio XIII come simbolo tangibile di gratitudine e rinascita, in seguito alla peste del 1575-1577.
L’Orto Giardino con i suoi frutteti, le erbe officinali, i fiori per l’ornamento degli altari, le aree alberate e l’apiario ha rappresentato per secoli una fonte di sostentamento e di reperimento delle erbe officinali, indispensabili alla vita comunitaria; è considerato da sempre un bene prezioso al quale dedicare grande cura e proficuo lavoro, sia per gli aspetti produttivi, sia per la meditazione e la preghiera.
L’apertura al pubblico, naturalmente regolamentata sia per le modalità di accesso che per gli orari di visita, con grande rispetto verso lo spirito del sito e per la vita quotidiana dei frati, rappresenterà un’occasione speciale per i visitatori in quanto luogo ancora abitato e vissuto, diversamente da molti altri conventi non più attivi. L’intervento di restauro e il progetto di conservazione consentiranno allo stesso tempo ai frati di preservare la loro vita conventuale e ai visitatori di trovare un ambiente sereno. Un progetto che vive grazie all’incontro tra il carisma dell’Ordine dei Frati minori francescani e i valori e la visione di Venice Gardens Foundation. Un incontro che ha permesso alla Fondazione di fare affidamento sulle radici storiche cappuccine, contrassegnate da semplicità e rigore, per interpretare in modo corretto questo giardino che ha 500 anni di storia.
Come procederanno le varie fasi dei lavori e quali i tempi previsti per la loro conclusione?
Il Compendio, mai aperto al pubblico se non in sporadiche occasioni, si presenta profondamente segnato dal trascorrere del tempo e dall’acqua altissima del novembre 2019, che travolgendo il giardino,
creò ingenti danni al patrimonio botanico e alle strutture edificate. Per impedire che andassero perse le tracce di una testimonianza di così importante rilevanza paesaggistica, culturale e religiosa, il 19 maggio 2021 il Compendio Monumentale è stato affidato a Venice Gardens Foundation dalla Curia Provinciale dei Frati Minori Cappuccini, con l’autorizzazione della Santa Sede e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio. Il progetto è volto al restauro, alla cura, alla coltivazione e all’apertura ai visitatori nel rispetto dello spirito del luogo attraverso un disegno durevole nel tempo, che riconduce all’importante tradizione dei giardini e degli orti conventuali secondo il principio della sostenibilità e dell’autosufficienza. La Fondazione ha affidato il progetto del restauro botanico a Paolo Pejrone, giardiniere e architetto paesaggista di fama internazionale, e il progetto di restauro architettonico ad Alessandra Raso, architetto impegnato in restauri di importanti complessi storico-artistici e in svariati progetti per molte istituzioni culturali, tra cui la Biennale di Venezia e la Triennale di Milano. Se vogliamo essere ottimisti, e a me piace sempre esserlo, speriamo di terminare i lavori e di aprire ai visitatori intorno al mese di settembre 2024.
Certamente i lavori del giardino finiranno prima del restauro architettonico sia della Cappella di meditazione, che sarà riportata alla sua originaria funzione, che delle Antiche officine (fabbricati che si trovano in fondo al Giardino) dove un tempo venivano anche cuciti i sai dei frati, luoghi ove presto troveranno posto: una Biblioteca che ospiterà una raccolta di testi, documenti e riviste inerenti al progetto, alla cura e alla conservazione degli antichi orti e giardini; un punto di ristoro dedicato all’accoglienza e all’ospitalità dei visitatori secondo i dettami del rigoroso spirito francescano. Esso richiamerà le
Our dear ENG mother Earth
A few days ago, works began to consolidate the courtyard, the orchard, the chapels, the ancient workshops, the greenhouse, and the apiary at the Convent by the Redentore Church at Giudecca. Once again, it is Venice Gardens Foundation to take care of this important overhaul, which will donate new public spaces to the city of Venice. Adele Re Rebaudengo chairs the foundation, and wanted to share with us her enthusiastic dreams for a place as special as the In Venetia Hortus Redemptoris – an oasis of peace, open to the world under the care of Franciscan friars.
The Redentore – another piece of Venice opening back to the city
There’s multiple reasons we chose to work on the Redentore. First, the courtyard is so meaningful to this amazing place, which I have been seeing and looking at for months. In fact, it stands right opposite my office at the Foundation, and the boat I occasionally take to the south bank of the Giudecca passes right by it. A third way I like to enjoy the sight of the garden is in my dreams. I feel a connection to it. Like the friars say, it is a piece of paradise on earth.
Its story
The Redentore compound takes up just over two acres of land, cutting the Giudecca Island north to south, and was founded by the Republic of Venice and Pope Gregory XIII as a tangible token of gratitude and rebirth after the plague of 1575-1577. The Orchard provides fruit, officinal herbs, flowers to adorn the church… it has always been a source of economic profit as well as a place for solace and prayer. We are looking forward to opening the garden to the public, albeit in a reduced, regulated fashion, so as not to interfere with monastic life. Nevertheless, it will be a special chance for visitors to understand how this is historical place is still lived and used today, after 500 years of history.
How works will be carried out
The Compound has never been opened to the public, bar a few rare instances, and is now worn down by time. The flood of 2019 caused great damage, too. To prevent the Compound to be lost for good, The Capucine Friars entrusted it to Venice Garden Foundation, in accord with the Holy See and the Superintendent to Fine Arts. Our goals are restoration, upkeeping, farming, and opening to the public. Our landscape architect is Paolo Pejrone, while buildings will be taken care of by architect Alessandra Raso, who is an expert in historical renovations and upkeeping. We are looking forward to opening to the public in September 2024. The Gardens will be ready first, then the Chapel, which will be assigned back to its original function, than the antiche officine, the workshops, which will be turned into a library and a reception house, which is in line with the friars’ spirit of openness and welcome. It will look like a proper monastery’s dining hall. The ritual of a meal consumed in commonality is an essential part of Franciscan spirit. It opens to the Lagoon on the south side, and will be furnished with simple, essential kitchenware. The Greenhouse will also conform to those values of industriousness and patience, as will the apiary.
i ncontri
ADELE RE REBAUDENGO VENICE GARDENS FOUNDATION
atmosfere del refettorio proprio delle antiche strutture monastiche e dello stesso Convento della Chiesa del Santissimo Redentore nel quale, ancora oggi come allora, si percepisce la sacralità del rito del pasto consumato insieme. Luogo semplice e raccolto, aperto sull’Orto Giardino nel versante nord e con la vista sulla Laguna a sud, verrà restaurato e dotato di mobili, utensili e stoviglie interpretati nella loro semplicità, essenzialità e storicità dalla sapiente visione degli artisti e artigiani. Anche la Serra, ritenuta imprescindibile da un modo di fare giardinaggio paziente e rigoroso, restaurata riaffermerà quei valori e quella tradizione virtuosa e operosa, oggi troppo spesso a rischio di un inarrestabile oblio, così come l’Apiario già storicamente presente al Redentore, sarà ripristinato e verranno svolti studi e attività inerenti alla pro¬duzione del miele e al benessere delle api.
Giardini Reali e ora Orto Giardino del Redentore: quale relazione intendete costruire tra i due progetti? Quali i punti in comune e quali le peculiarità che connotano i due giardini? Due giardini che si guardano e che si parleranno (sperando di poterne restaurare presto un terzo, sul quale stiamo lavorando, ma è prematuro ancora parlarne), due giardini che saranno in stretta relazione l’uno con l’altro, pur presentando peculiarità differenti: uno era il giardino dell’imperatore, di una casa reale, quindi giardino di palazzo, ideato per essere il giardino del loisir (svago e divertimento) espressione di un certo tipo di potere, ossia quello temporale; l’altro, invece, era espressione dell’altra forma di potere che ha da sempre connotato le nostre terre, vale a dire quello spirituale, con una connotazione quindi principalmente rivolta ai temi della pace e della spiritualità. Non dobbiamo dimenticare che Venezia era una città con molti orti e giardini, come attestano sia le celebri incisioni di Jacopo de’ Barbari e di Giovanni Merlo sia le vedute di pittori e fotografi. Ancora oggi ve ne sono molti, alcuni nascosti, come il giardino Eden sempre in Giudecca. Forse potrebbe essere riconsiderata l’idea stentorea di Venezia quale città esclusivamente d’acqua e di pietre poiché è anche una città assai verde. Riconoscerlo, capire l’importanza di questa sua profonda traccia identitaria, ci permetterebbe di avere più coscienza di quanto determinante sia, e sempre di più lo sarà, il ruolo sociale comunitario che un giardino può svolgere in una città, favorendo altresì l’armonioso accordo tra spirito e natura. Oggi i Giardini Reali hanno riacquistato pregio formale e complessità botanica, tornando a rivestire un ruolo centrale per la città; luogo di incontro, luogo di natura per gioirne, conoscerla e rispettarla: questo rappresenta per noi l’esito più bello e importante.
La collaborazione tra soggetti pubblici e privati rappresenta una concreta strada per poter affrontare complesse operazioni di restauro a favore della collettività. Dalla sua esperienza come si potrebbe rendere meno episodica questa buona pratica? E quali i nuovi partner di questo secondo progetto?
È certamente importantissimo il rapporto pubblico/privato. Ai Giardini Reali la Fondazione, avendo ricevuto in concessione un bene demaniale, quindi patrimonio della collettività, ha avuto la possibilità di usufruire dell’efficace strumento dell’Art bonus che consente un importante credito di imposta dell’importo donato, a chi effettua erogazioni liberali a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano, favorendo così, nello specifico, l’importante intervento di
Assicurazioni Generali. Anche nel nostro secondo progetto, il Compendio dell’Orto Giardino della Chiesa del Redentore, si è creata una virtuosa sinergia tra pubblico e privato: del costo preventivato complessivamente in 5,5 milioni di euro, i 2 milioni necessari per il restauro botanico sono infatti finanziati dall’Unione Europea con i fondi del PNRR Restauro e valorizzazione di parchi e giardini storici, mentre il restauro architettonico per un valore di circa 3,5 milioni è reso possibile grazie a sostenitori che intervengono con erogazioni liberali, fuori da ogni classica logica di sponsorizzazione. Mecenati generosi e visionari che hanno compreso lo spirito e il valore del progetto nel suo significato più alto.
I Giardini Reali sono stati premiati come miglior giardino pubblico nel 2022. Quale forza e consapevolezza acquisisce da questo ultimo riconoscimento?
Il ringraziamento per il successo del progetto di restauro dei Giardini Reali va tributato in primis all’architetto Paolo Pejrone, che ha avuto l’idea straordinaria di unire in un unico giardino due visioni: quello all’italiana, con la scansione rigorosa e geometrica delle aiuole, e quello all’inglese, in cui la natura si esprime senza costrizioni, portando la libertà in ciascuna di esse. Ma va anche tributato ai giardinieri della Fondazione che ne curano nel tempo la conservazione e la crescita con l’abilità sintesi delle antiche conoscenze e delle nuove tecniche… un giardino deve essere ascoltato, capito, rispettato, coltivato, nutrito e protetto: una attività continua da generarsi ogni giorno per accompagnarlo a germogliare ancora e ancora, cercando di ritrovare quella troppo spesso dimenticata, ma necessaria, armonia tra natura e essere umano. Fabio Marzari
Your former project, the Giardini Reali, and the Redentore
The two gardens are opposite one another. They have a relation, though are different in their peculiarities. One was the garden of a royal house and an emperor, a veritable court yard for the loisir of the powerful. The other is the expression of a different form of power, the spiritual power, with a connotation of peace. We shouldn’t forget that Venice used to be awash with gardens and orchards, as attested in art by Jacopo de’ Barbari and Giovanni Merlo. There are still many, today, though often secluded, like the Eden at Giudecca. Maybe we should reconsider any idea we may have about Venice being a city of stone and water. There’s plenty green around. To recognize this element would allow us to understand how strong it influenced the social, communitarian role that a garden can have in a city. Today, the Giardini Reali acquired formal prestige, botanical diversity, and are central in the life of the city. They are a place for meeting, a place of nature, and a place of respect. For us, this is our most cherished accomplishment.
The best public garden of 2022
We are very grateful to architect Paolo Pjerone, who had the amazing idea of uniting two visions in one design: the Italian garden, with rigorous, geometric partitions, and the English Garden, where nature grows boundless. There’s freedom in each of them. A garden must be listened to, understood, respected, taken care of, nourished, and protected. It is endless work that each day generates new young life. They key to it all is no secret, even if we often forget about it: the harmony between nature and human beings.
i ncontri
INCROCI DI CIVILTÀ
Le ali della malinconia
In vent’anni di carriera, la passione per il fado e una forte personalità musicale hanno portato Mariza alla ribalta internazionale. Tutto è iniziato con il suo primo album, Fado em Mim, pubblicato nel 2001, che l’ha rapidamente condotta a una serie di apparizioni internazionali di grande successo e le ha fatto guadagnare il premio della BBC Radio 3 come Miglior Artista Europeo nella categoria “World Music”. Fado em Mim è stato un album che ha rivelato una giovane cantante dalla voce ricca e vibrante e dalla forte personalità artistica. Nonostante cantasse molte delle canzoni più conosciute del repertorio di Amália Rodrigues, il suo approccio alla tradizione del grande fado era già così personale da scacciare facilmente l’idea che la stesse meramente imitando.
La carriera di Mariza è costellata di successi, fra album multiplatino e apparizioni su alcuni dei palcoscenici più importanti del mondo come l’Olympia di Parigi, l’Opera di Francoforte, la Royal Festival Hall di Londra, la Sydney Opera House, la Carnegie Hall di New York, la Walt Disney Concert Hall di Los Angeles, in quest’ultimo caso con una scenografia appositamente disegnata per lei da uno dei più bravi architetti del mondo, Frank Gehry.
Fra i suoi partner musicali troviamo Jacques Morelenbaum e John Mauceri, José Merced e Miguel Poveda, Gilberto Gil e Ivan Lins, Lenny Kravitz e Sting, Cesária Évora e Tito Paris, Carlos do Carmo e Rui Veloso. Il suo repertorio, pur essendo saldamente radicato nel fado classico e contemporaneo, si è evoluto nel tempo includendo nuovi generi musicali come morna capoverdiana, classici brasiliani e spagnoli e altri brani a lei cari. Mariza si è rivelata essere una grande artista internazionale, molto originale ed estremamente dotata, dalla quale aspettarsi ancora molto per il futuro.
Ha celebrato il ventesimo anniversario della sua carriera e il centenario della nascita della Regina del fado, Amália Rodrigues, con Mariza Sings Amália, il suo primo album completo di classici, pubblicato nel 2021 da Nonesuch/Warner Bros. Records. Grazie ai suoi album, acclamati anche dalla critica, e alle sorprendenti collaborazioni che ha intrecciato, Mariza ha accresciuto la passione per il fado, proprio come aveva fatto la Rodrigues, diventando la più illustre ambasciatrice del XXI secolo della musica portoghese nel mondo, come Amália lo era stata nel XX secolo.
Troviamo la cantante portoghese in concerto al Malibran il 29 marzo e la intervistiamo per voi, in un evento firmato da Veneto Jazz in col-
laborazione con Fondazione di Venezia e Teatro Stabile del Veneto nell’ambito di Incroci di civiltà, il Festival Internazionale di Letteratura organizzato da Università Ca’ Foscari e Comune di Venezia.
Come si è avvicinata al repertorio del fado e come si è evoluto, negli anni, questo genere a contatto con le musiche del mondo?
Il fado per me rappresenta la mia infanzia. I miei genitori avevano un locale di fado e una delle prime memorie che ho di me da bambina è di quando cercavo di sottrarmi all’ora della nanna e andare di nascosto a sentire la musica. Ho cominciato a cantare proprio lì, nel locale dei miei, ma all’epoca lo facevo per divertimento e non pensavo ancora potesse un giorno diventare la mia carriera. Ogni giorno che passava aumentava la mia passione per la musica e oggi non potrei immaginare la mia vita senza di lei.
Qual è secondo lei l’aspetto che rende questa musica capace di attraversare le epoche incontrando sempre l’interesse vivo, contemporaneo del pubblico?
Il fado parla della vita, della gelosia, della melanconia e dell’amore, per questo può essere capito da tutti, e non è neanche necessario capire il portoghese perché il fado parla la lingua del cuore.
Il suo album del 2020 Canta Amalia rende omaggio ad una leggenda, riuscendo tuttavia ad offrire interpretazioni assolutamente originali e fuggendo sempre al rischio della mera imitazione. Ci parli di questo progetto e dell’importanza della figura di Amàlia Rodigues per lei e per la sua opera. Benché avessimo sempre ascoltato il fado in casa, la maggior parte delle volte si trattava di voci maschili. La prima volta che ho ascoltato Amália ero già ragazza. Ero andata in un locale del centro e la canzone era Barco Negro. Stupenda. Amália è e sempre sarà un’icona del fado, una persona che ha segnato un’epoca. Le novità che ha portato hanno lasciato un’eredità meravigliosa che ciascuno di noi può far sua a proprio modo.
I suoi maestri, le sue fonti di ispirazione, della tradizione e della contemporaneità, oltre Amalia.
Mia madre, Carlos do Carmo e tutte le voci che si siano mai sentite nel locale dei miei genitori. Anche oggi c’è un gran numero di bellissime voci fado, una generazione di nuovi artisti che fanno cose stupende.
Il concerto del 29 marzo al Malibran apre il Festival letterario Incroci di Cività. Quale il suo rapporto con la letteratura e quanto a suo avviso l’arte dello scrivere influenza la scrittura per la musica, o comunque il fare musica più in generale. Ho cantato sulle parole di alcuni dei più grandi poeti portoghesi, come Fernando Pessoa o Luís de Camões, lungo tutto l’arco della mia carriera. Sarò sempre una grande appassionata di poesia portoghese e questa sarà sempre presente nei miei lavori.
Cantare a Venezia, quali emozioni le suscita questa città?
È una città così bella, famosa nel mondo per i suoi modi così particolari e così romantici. Sono stata molto fortunata ad aver visitato Venezia nel passato ed è un privilegio poterci tornare per cantare, e in questo teatro, poi! Spero di offrire al mio pubblico una serata di musica indimenticabile. Musica, amore, gioia, e amicizia.
Davide Carbonemore. Mariza celebrated her twentieth year as a performer and the hundredth anniversary of fado queen Amália Rodrigues with Mariza Sings Amália, her first classics album, published by Nonesuch/ Warner Bros. Records in 2021.
Mariza will perform at Malibran Theatre, in Venice, on March 29 in an event produced by Veneto Jazz in cooperation with Fondazione di Venezia and Teatro Stabile del Veneto. The event is part of the Incroci di civiltà programme, an international literary festival produced by the Ca’ Foscari University of Venice and the City of Venice.
How did you grow close to fado, and how did your relationship with fado evolve over the years?
Fado is very connected to my childhood since my parents had a Fado House and one of my first memories as a child is to try to hide so I could be able to listen to the Fado singers instead of going to sleep. I also started singing in my parents’ Fado House just for fun, I never thought it would become my career path. Each day that goes by I feel that the passion and the love I have for music grows a little bit more. I cannot image myself without music.
What, in your opinion, makes fado able to appeal to audiences of different eras, always meeting their interest?
Fado is a genre which sings about life, about jealousy, about melancholy and about love. That is why it can be understood for everyone even if you do not speak Portuguese, as it speaks the language of the heart.
Your 2020 album Canta Amalia pays homage to a legend, and yet it manages to offer very original interpretations, never resorting to mere impersonation.
Although we always listened to Fado at home, mostly we would listen to male voices, so I first remember listening to Amalia later, as a teenager. I was in downtown, and I remember I listened to Barco Negro, and it was overwhelming. She is and she will always be an icon of Fado music, someone who left a mark in an era. She made a change which left us a wonderful legacy that we can enjoy and sing each in our own way.
Your teachers, your sources of inspiration, of tradition and the contemporary, beyond Amalia.
ENG
Over a twenty-year career, the passion for fado a strong musical personality allowed Mariza to reach a wider, international audience. It all began with her first album, Fado em Mim, released in 2001, which rapidly earned her several international apparitions and the BBC Radio 3 Award as Best European Artist in the World Music category. Fado em Mim is an album that revealed to the world a young artist’s rich, vibrant voice, and her strong artistic identity. While Mariza mainly performs famous songs from Amália Rodrigues’s repertoire, her approach to fado has always been so personal that no one would ever call her work an imitation. Mariza is a success on her own, with performances in the greatest theatres in the world, like the Olympia in Paris, the Oper Frankfurt, the Royal Festival Hall in London, the Sydney Opera House, the Carnegie Hall in New York, and the Walt Disney Concert Hall in Los Angeles, which welcomed her with scenery designed for her by Frank Gehry.
Mariza sang with Jacques Morelenbaum and John Mauceri, José Merced and Miguel Poveda, Gilberto Gil and Ivan Lins, Lenny Kravitz and Sting, Cesária Évora and Tito Paris, Carlos do Carmo and Rui Veloso. Her repertoire is deeply rooted in classic and modern fado, though evolved with time to include further music genres such as Cape Verdean morna, Brazilian and Spanish classics, and
My mother, Carlos do Carmo and all the voices that sang in my parents’ Fado House were sources of inspiration. Nowadays, there is a huge number of extraordinary Fado singers, many beautiful voices. And a whole new generation emerging and doing absolutely fabulous things.
Your March 29 concert at Malibran Theatre will open literary festival Incroci di Civiltà: what is your attitude towards literature and how close are the universe of letters and that of music?
I have been singing some of the best Portuguese poets like Fernando Pessoa or Luís de Camões my entire career. Always have been very passionate about Portuguese poetry and it has been a must have in my records.
To perform in Venice -- how does this city make you feel?
It is such a lovely city, known in the whole world by its romantic and singular ways. I have been fortunate to have visited Venice before a long time ago and now I have the privilege to return and to perform again in the city, this time in this beautiful theatre. I hope to be able to offer to the public an unforgettable night full of music, love, joy and friendship.
Il termine Carnevale appare per la prima volta nel 1094 ai tempi del Doge Vitale Falier, tuttavia la dichiarazione ufficiale da parte del Senato della Serenissima di una vera e propria Festa a “Venexia” denominata “Carnevale” risale al 1296
NEL SEGNO DELLA MASCHERA
Il Carnevale
Carnevale diffuso, è questa la formula imprescindibile per l’edizione 2023 del Carnevale di Venezia, che si snoda dal 4 al 21 febbraio tra calli, campi e campielli della città senza dimenticare però nessun luogo dell’area metropolitana, dalle Isole a Mestre e Marghera, coinvolgendo Zelarino, Chirignago, Favaro, Tessera e Malcontenta. Una festa per tutti all’insegna della creatività e dell’originalità.
Take Your Time for the Original Signs è il titolo scelto dal Direttore artistico Massimo Checchetto, che si è ispirato ai segni delle costellazioni passando per i simboli di terra, acqua, fuoco e aria, fino ad arrivare all’origine del proprio segno per liberare la creatività e l’essenza di ognuno di noi in una sorta di “Zodiaco” fantastico. Venezia e il territorio diventano un teatro a cielo aperto, che farà divertire e sognare con appuntamenti imperdibili come il tradizionale Corteo delle Marie, le aperture straordinarie dei Musei Civici, gli spettacoli e i concerti nei teatri, i sontuosi e ricercatissimi balli negli esclusivi palazzi. Pur se in parte in restauro, cuore pulsante del Carnevale è sempre Piazza San Marco con il suo palco, anche se in versione ridotta, che ritrova l’essenza stessa dell’evento, ossia la maschera e i costumi più belli che sfileranno per contendersi il premio del concorso 2023. L’acqua è un altro elemento fondamentale dell’evento: apertura ufficiale del Carnevale sarà infatti l’opening parade Original Dreamers, la grande performance galleggiante che sfilerà lungo il Canal Grande sabato 4 febbraio, a cui
segue domenica 5 febbraio il tradizionale corteo sempre lungo il Canal Grande, da Punta della Dogana a Rialto, con oltre cento imbarcazioni a remi tipiche veneziane, capitanato da una caorlina che trasporterà la “Pantegana” in cartapesta, pronta a scoppiare davanti al Ponte di Rialto in uno sfavillio di coriandoli e stelle filanti, dando così un simbolico “via” ai festeggiamenti.
All’Arsenale storico torna, dopo il successo dello scorso anno, lo straordinario spettacolo notturno sull’acqua: Original Signs, pura magia fatta di visioni immaginifiche, luci, tecnica e naturalmente tradizione e bellezza.
Il Direttore artistico del Carnevale 2023, Massimo Checchetto, ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, è scenografo e direttore degli allestimenti scenici del Teatro La Fenice, ha firmato le scenografie di importanti eventi come la Regata Storica o la fortunatissima opera pop Casanova di Red Canzian, attualmente in tournee in tutt’Italia.
Da dove nasce il titolo Take Your Time for the Original Signs ?
Da qualche anno ho l’onore di ricoprire la direzione artistica del Carnevale di Venezia, la qual cosa mi ha fatto naturalmente riflettere sull’essenza prima di questa importante festa popolare.
è la festa della gente per la gente. Una festa che, possiamo dire, seguendone gli archetipi e la storia, si scopre in verità sgorgare dalla spontaneità creativa di ognuno di noi
Carnival everywhere – that’s the formula for the upcoming edition of the Venice Mardi Gras: no square foot in town will be overlooked, with events in the outer islands and the mainland, too. The party will welcome everybody under the aegis of creativity and originality. Take Your Time for the Original Signs is the slogan chosen by art director Massimo Checchetto, who took inspiration from the zodiac and the base elements of earth, water, wind, and fire to find the essence of fantasy and creativity that lies within each of us.
Venice will turn into an open-air theatre, and it will entertain and enthuse us with unmissable events like the traditional Corteo delle Marie, extra openings of the city museums, shows, concerts, and the world-famous sumptuous balls in the patrician palazzos. While under partial restoration, Piazza San Marco will still be the beating heart of the event programme, with the most beautiful costumes vying for the 2023 awards. Water will also be another essential element of the events: opening the programme is a parade, Original Dreamers, a floating performance that will cruise along the Grand Canal on Saturday, February 4, while on the next day, another parade with over one hundred oar-powered boats will escort the pantegana, a giant papier-mache rat that will explode into confetti right under the Rialto Bridge.
An amazing night-time show on water, Original Signs, will come back to the Arsenale after enjoying great success last year. The show is pure magic, fantastic visions, lights, technology, and naturally, tradition and beauty.
The Art director of the 2023 Venice Carnival, Massimo Checchetto, is a graduate of the local Fine Arts Academy. A scenographer and art director at the Fenice Theatre, he authored the scenes of important Venetian events like the Historical Regatta or the modern pop opera Casanova, currently touring Italy.
Your Time for the Original Signs – what does it mean?
Since several years, I have been honoured with the position of art director at the Venice Carnival, which of course made me think long and hard about the essence of this important popular holiday. The Carnival is the people’s feast, for the people. A feast whose archetype, might we say, is to be found in the creative spontaneity of every person. This is what inspired the theme for this year. It means
carnivalbest
MASSIMO CHECCHETTO
Il Carnevale è la festa della gente per la gente. Una festa che, possiamo dire, seguendone gli archetipi e la storia, si scopre in verità sgorgare dalla spontaneità creativa di ognuno di noi. È da questa considerazione che trae ispirazione il tema di quest’anno, che vuol essere un rinnovato invito a vivere il Carnevale in prima persona con passione. Prenditi – nel mezzo del tran tran quotidiano – il tempo per vivere il tuo Carnevale con creatività e fantasia, tenendo conto dei segni dello Zodiaco, passando per i simboli di terra, acqua, fuoco e aria, fino ad arrivare all’origine del tuo segno, quello che scaturisce dalla storia personale di ciascuno di noi.
Ci racconti l’edizione 2023. Quali i capisaldi del programma?
Il programma è vastissimo, a partire dal Carnevale diffuso che non interesserà solo Venezia, ma anche tutta la Terraferma e le Isole. Quindi musica, spettacoli, divertimento e magia nei campi e nelle calli veneziane, in quelli delle Isole, nelle strade e nelle piazze di Mestre e della Terraferma. L’Arsenale sarà protagonista con il grande spettacolo sull’acqua, una versione aggiornata rispetto alla precedente e sicuramente più scenografica. In una emotiva atmosfera surreale, otto quadri messi in scena da uno spettacolare cast artistico internazionale racconteranno l’evoluzione dell’uomo attraverso una continua ricerca comunicativa. Dal corpo che parla ai segni ancestrali della natura, dalla necessità di un contatto con il trascendentale e i suoi simboli celesti fino all’esigenza di esprimersi con i segni dell’arte in un’esplosione di colore. Il filo connettivo dei giorni del Carnevale sarà rappresentato da diversi percorsi distinti e al contempo intrecciati in un unico disegno urbano: il Venice Carnival Street Show, una serie di spettacoli diffusi nei principali campi di Venezia, dove a trionfare sarà l’arte di strada con le esibizioni di attori, equilibristi, maghi, musicisti, illusionisti; Original Sinners, i dinner show a Ca’ Vendramin Calergi, il Casinò di Venezia; il Carnevale culturale, con le aperture straordinarie dei Musei Civici; l’Arsenale Carnival Experience alle Tese di San Cristoforo, dove la musica dance farà ballare i più giovani; i cosplayers; il tradizionale concorso delle Marie del Carnevale, che rievoca in chiave moderna il rapimento e la liberazione di dodici promesse spose ai tempi del doge Pietro Candiano III (1039); il Concorso della Maschera più bella in Piazza San Marco; sempre in Piazza e in Campo Santo Stefano il ritorno della Commedia dell’arte con Venezia, ovvero l’arte della commedia, a cura di Pantakin, con artisti e fantasisti impegnati a far divertire ed emozionare tutti, anche i più piccoli, in più di 70 repliche per tutto il periodo.
Che effetto avrà sul Carnevale di Venezia una Piazza San Marco fortemente condizionata dai lavori di restauro e consolidamento? Non crede che tutti si aspettino lo spettacolare Volo dell’Angelo?
L’anno scorso il Volo è saltato per motivi che tutti conosciamo. Quest’anno abbiamo un nuovo, rilevante problema, ovvero rispettare il fragile equilibrio di Piazza San Marco. Come lo scorso anno, anche quest’anno non ho vissuto questo altro ostacolo come un impedimento, anzi, ho cercato di affrontarlo nella forma più dinamica possibile nella direzione del decentramento capillare e virtuoso direi, riaprendo davvero il Carnevale oltre la Piazza a tutta la città in maniera naturale, con l’obiettivo cruciale di distribuire i flussi degli
accessi in maniera capillare in tutti i sestieri. É vero, il Volo dell’Angelo non ci sarà nemmeno per questa edizione, tuttavia il 4 febbraio alle ore 20 l’apertura ufficiale del Carnevale vedrà la Colombina attraversare la città sull’acqua, dando luogo all’opening parade Original Dreamers lungo il Canal Grande a bordo di una grande “barca-creatura”, una navigazione spettacolare fatta di artisti, giochi di luci, colori e musica, che partirà dalla Ferrovia per arrivare fino in bacino San Marco. Sarà possibile assistere allo spettacolo dalle rive, dai ponti e dai balconi dei palazzi.
Cosa si può fare perché i veneziani si risentano coinvolti dal Carnevale, insomma, padroni in casa propria e non ‘ostaggi’ della Festa?
Alle feste bisogna partecipare: esserci con disposizione attiva, autentica è la vera soluzione per non sentirsi ostaggi. Al Carnevale siamo tutti invitati. Mi risuona spesso in testa l’affermazione: «I duri non ballano!». Al Carnevale invece sono i primi a farlo!
Non trova che certi titoli ad effetto dei giornali ( “Venezia invasa”, “Assalto dei turisti per il Carnevale”…) contribuiscano ad alimentare l’insofferenza dei cittadini e una visione negativa della città per l’opinione pubblica in generale?
Il pessimismo e la lamentela non portano a nulla, forse fanno solo notizia. Io credo in altro e penso che il Carnevale diffuso sia una via, una soluzione davvero sostenibile per tutti.
Oltre ad un ritorno vitale alla tradizione, vi sono delle edizioni storiche a cui ha guardato, si è ispirato per la programmazione di questo Carnevale? Possiamo sostenere che gli ingredienti base per la buona riuscita di questa Festa-mondo possano essere un 40% di spontaneità tradizionale, in una parola il ritorno a mascherarsi, e un 60% di spettacolarità?
Il team che lavora al Carnevale è molto affiatato e può contare sull’esperienza di veri veterani di questa manifestazione. Nel nostro lavoro di costruzione dell’evento manteniamo sempre una particolare attenzione alle edizioni passate, proiettandoci però verso il futuro. Un lavoro certamente creativo, ma anche e soprattutto impegnativo dal punto di vista dell’organizzazione. Per rispondere però alla domanda, sono fermamente convinto che è fondamentale sentirsi parte del Carnevale di Venezia e per esserne parte l’unico vero, semplice segreto è mascherarsi. Come nelle migliori feste tutti aspettano sempre qualcuno che faccia il primo passo; ecco, forse il nostro compito di organizzatori è aiutare quel piccolo fatidico primo passo. Il resto è spontaneità!
to live the Carnival in first person, with passion. Take some time for yourself and live the Carnival with creativity and fantasy; keep your eyes on the Zodiac and on the four elements, that’s where you’ll find your personal history.
The upcoming party
The programme is very rich. There will be events not only in town, but also on the mainland and the outer islands. Music, shows, fun, and magic all around, with the Arsenale being the protagonist with an amazing show on the water in an updated version compared to last year, certainly more spectacular. An international cast will perform a story in eight tableaux about human evolution. Bodies will voice the ancestral signs of nature and the need for a contact with the transcendental and its heavenly symbols, and for expression with the signs of art in an explosion of colour.
What binds together the several Carnival days are different itineraries: the Venice Carnival Street Show is a programme of street art show starring actors, acrobats, magicians, musicians; Original Sinners is a programme of dinner shows at the Casino; there will be cultural appointments, with extra openings of the city museums; the Arsenale Carnival Experience with dance music for the younger crowd; cosplaying events; the traditional competition of the Carnival’s Marie, a modern re-enactment of the kidnapping and subsequent liberation of twelve young brides-to-be in eleventh-century Venice; the Best Costume Award in Piazza San Marco; and the historical Italian comedy with Venezia, ovvero l’arte della commedia, with over seventy shows.
Piazza San Marco
The Piazza is fragile, we know that. And this year, producing the Angel’s Flight is not a possibility. There will be different shows, though. On February 4, at 8pm, the Carnival will open with Colombina (‘dove lady’ and a traditional Venetian mask, ed.) parading through the city on the water aboard a ‘creature-boat’. Alongside: art, lights, colours, music. People will be able to see the show from quays and balconies on the Grand Canal.
Resident Venetians
Don’t feel hostage in your own city! Get busy and participate. To be there actively, authentically, is the solution. At Carnival, everyone’s welcome. The Carnival is no invasion, and Venice is not under siege. Nothing good comes out of such comments. I believe that celebrating Carnival all around Venice is a perfect solution, and a sustainable one, too.
Historical Carnival productions – the traditional and the spectacular
We are a tight-knit team, and some of us have been around the block many times over. While we always keep true to tradition and to past edition of the Carnival, we always look forward to the future. This is a creative job, certainly, though it is also demanding in terms of organization. I believe that the real key to understand and be part of it is just to don a mask and show up! As always happens at parties, it is essential that someone take the first step. Maybe the most important task on part of us producers is to help that someone take that little first step. From that point on, it is all in their hands!
CARNEVALE DI VENEZIA 2023
VENERDÌ 17
E SABATO 18 FEBBRAIO
ORE 19.30
DOMENICA 19 FEBBRAIO
ORE 17
Spettacolo cantato in francese Concert sung in French Café concert
Émeline Bayart canto / voice
Manuel Peskine pianoforte / piano
Venite a scoprire l’atmosfera ironica e lo spririto tutto parigino del Café Concert!
Sabato 18 febbraio sarà offerto un brindisi alla fine dello spettacolo.
carnivaldiary
4/02
ARTE 17-21/02
APERTURE STRAORDINARIE MUSEI CIVICI
ORIGINAL DREAMERS – OPENING PARADE
Artisti, giochi di luce e musica riuniti in un grande spettacolo galleggiante che sfila lungo il Canal Grande, in un’atmosfera affascinante e ancestrale. Un maestoso palco galleggiante attraversa la città, come un vero e proprio teatro sospeso sull’acqua guidato da un unicorno, creatura immaginaria che guida i sognatori verso la magia unica e fantastica del Carnevale. Un viaggio incorniciato da una scenografia barocca rivisitata in bianco come i capisaldi dell’architettura di Venezia e come una tela bianca dipinta da 50 artisti che, vestiti delle splendide creazioni degli storici atelier veneziani, la animano con il colore e l’arte, visionari compagni di meraviglie. ENG Art, games of light, and music in one big floating show parading along the Grand Canal. A fascinating, majestic stage inches along the waters, a true floating theatre carried forward by a unicorn – our spirit animal guiding us into the magic of the Venetian Carnival. Our journey is set into an amazing baroque scenery, as white as Venetian architecture, and the creations of fifty artists from historical Venetian ateliers.
4 febbraio h. 20 | Canal Grande (da Ferrovia a Bacino San Marco)
TRADITION 5/02
CORTEO ACQUEO DI CARNEVALE
La tradizione continua sull’acqua con il corteo dove protagoniste sono le tipiche imbarcazioni storiche in legno veneziane. Una parata in grande stile, tutti in costume e in maschera, a portare in trionfo una “Pantegana” gigante di cartapesta, uno dei simboli del Carnevale popolare veneziano, pronta a scoppiare davanti al ponte di Rialto in uno sfavillio di coriandoli e stelle filanti dando il “via” ai festeggiamenti. La festa continua, infatti, in Erbaria (Mercato di Rialto) con musica, balli, canti e frittele a volontà.
ENG The traditional watercade of historical Venetian boats. A grand parade – all in costumes and masks – following the triumph of a giant rat (it’s papier-mâché!), a tongue-incheek symbol of Venetian Carnival. The rat, pantegana in local parlance, will blow up by Rialto Bridge into confetti and streamers, and that’s when you start partying! Celebrations will go on at Erbaria (Rialto) with music and food.
5 febbraio h. 11 | Canal Grande (da Punta della Dogana a Rialto)
Mariano Fortuny, nacque da una famiglia di rinomati artisti a Granada, in Spagna, l’11 maggio 1871. Si trasferì con la madre e la sorella a Parigi, ove prese lezioni di pittura con Benjamin Constant e di scultura nell’atelier di Rodin. Nel 1889 si trasferì a Venezia, ove rimase per il resto della sua vita, nonostante i frequenti viaggi all’estero. Pittore, incisore, rilegatore, scultore, fotografo, architetto e inventore, fu uno spirito libero, passionale e assolutamente “contemporaneo”.
Da non perdere, venerdì 17 e sabato 18 febbraio, la possibilità di assaporare la sua genialità immergendosi nelle atmosfere di Palazzo Fortuny, con apertura straordinaria fino alle ore 21. Nelle stesse date, anche Ca’ Pesaro, Galleria internazionale d’Arte Moderna sarà visitabile fuori orario. Fra i capolavori esposti: il celebre Il pensatore di Auguste Rodin e Giuditta II (Salomé) di Gustav Klimt insieme ai lavori di artisti come Medardo Rosso, Giacomo Balla, Adolfo Wildt, Arturo Martini, Gino Rossi, Giorgio Morandi e Felice Casorati.
ENG Mariano Fortuny was born into an art family in Granada, Spain, on May 11, 1871. He later moved with his mother and sister in Paris, where he took painting classes with Benjamin Constant and sculpture classes with Rodin. In 1889, he moved to Venice, where he would settle for life. A painter, engraver, bookbinder, sculptor, photographer, architect, and inventor, Mariano Fortuny was a free spirit, passionate, and absolutely modern. Don’t miss the chance to see what genius means on February 17 and 18, thanks to extended hours at Palazzo Fortuny (until 9pm). On the same days, the International Modern Art Gallery at Ca’ Pesaro will also extend their opening hours, take advantage to see art by Rodin, Klimt, Balla, and more.
www.visitmuve.it
VENEZIA, OVVERO L’ARTE DELLA COMMEDIA
La Commedia dell’Arte torna in Piazza San Marco e Campo Santo Stefano con la rassegna curata dalla Compagnia Pantakin, diretta da Emanuele Pasqualini e Michele Modesto Casarin. Otto diverse compagnie nazionali e internazionali si alternano per più di 70 repliche durante tutto periodo di Carnevale con spettacoli che raccontano il misterioso e romantico mondo delle maschere in una Venezia antica che ha ancora tanti parallelismi con la Venezia di oggi.
ENG Historical Italian Commedia dell’arte in Piazza San Marco and Campo Santo Stefano thanks to Compagnia Pantakin and eight other companies alternating for over seventy shows throughout Carnival season. The romantic, mysterious world the Venice of yore, and of today.
4, 5, 11, 12, 16-21 febbraio | Campo Santo Stefano
11, 12, 16-21 febbraio | Piazza San Marco
TEATRO 5,19/02
BRICOLA E REGINA
Eleonora Fuser e Giorgio Bertan portano in scena Bricola e Regina, due personaggi in maschera che incarnano la Commedia dell’Arte Moderna. Il passato di ricordi, i rimpianti, le delusioni, le paure, il cinismo – se stava megio co se stava pezo – si rincorrono tra litigi, scherzi e tenerezze sulla panchina del loro saporito mondo.
5 febbraio h. 18 | Teatro a l’Avogaria
NEL SEGNO DELL’ARTE
Tra tradizione e sperimentazione, con esiti originali e sorprendenti, Eleonora Fuser racconta il suo straordinario percorso di attrice in uno spettacolo curato da Sandra Mangini e con la partecipazione delle Marie del Carnevale. La vecchia Regina, maschera contemporanea, la Strega, la Commedia dell’Arte, le donne di Goldoni, l’impiraressa Rina Cavalieri, e tutti i volti di un’attrice alle prese con il suo mestiere e con i suoi segreti.
19 febbraio h. 18
Scuola Grande San Giovanni Evangelista
FEEL CARNIVAL
KIDS
5,12,19/02
PRIMI PASSI SULLA LUNA CON JACKSON POLLOCK
Durante il laboratorio gratuito, dedicato a bambini e bambine dai 4 ai 10 anni, i piccoli partecipanti possono avvicinarsi in modo accessibile e coinvolgente al padre dell’Espressionismo astratto, sperimentando le tecniche pittoriche di uno degli artisti preferiti da Peggy, ora tra gli assoluti protagonisti della sua Collezione.
5 febbraio h. 15 | Collezione Peggy Guggenheim
BAMBINE E BAMBINI SI BALLA!
CON GINO SEVERINI
Tra i firmatari del Manifesto Futurista di Marinetti, Gino Severini è stato pittore e critico d’arte che ha scandagliato le pieghe espressive a cavallo tra Cubofuturismo e Classicismo, amico di Pablo Picasso e Guillaume Apollinaire. Questo laboratorio fa entrare in contatto con lui i giovanissimi partecipanti, attraverso un approccio immersivo.
12 febbraio h. 15 | Collezione Peggy Guggenheim
UN PIANOFORTE, UN CANE, UNA PULCE
E UNA BAMBINA
Spettacolo tratto dal libro scritto da Elisabetta Garilli e illustrato da Daniela Iride Murgia dedicato alle composizioni pianistiche di Mel Bonis: ambientato in un teatro di burattini, protagonista è una buffa combriccola formata da una bambina, un cane e una pulce che vivono un’avventura di ispirazione “rodariana”.
12 febbraio h. 15.30 | Palazzetto Bru Zane | bru-zane.com
È CARNEVALE!
TRAVESTIAMOCI COME I SURREALISTI
Nel Surrealismo il concetto di “gioco” era centrale, le regole erano fatte per essere stravolte e utilizzate a proprio piacimento. Quale periodo migliore del Carnevale si sposa con questa cruciale corrente artistica? La Collezione Guggenheim dedica a questo tema un laboratorio per i visitatori di domani, a cui regalare un Carnevale ad alto tasso artistico.
19 febbraio h. 15 | Collezione Peggy Guggenheim | www.guggenheim-venice.it
carnivaldiary
CINE-CONCERTO 9/02
LABORATORI 11-19/02
ALLE ORIGINI DELLA PAURA: MASCHERE, MUSICHE E BRIVIDI DEL CINEMA ESPRESSIONISTA
Giuseppe Becce è stato un compositore fondamentale del cinema espressionista tedesco, compagno di lavoro di nomi come Fritz Lang, Georg Wilhelm Pabst ed Ernst Lubitsch. Tante furono le maschere indimenticabili di questo cinema, che tradusse le inquietudini della modernità in uno stile visivo fatto di drammatici contrasti tra luci e ombre. Il relatore Marco Bellano e il pianoforte di Gabriele Dal Santo propongono un’antologia di momenti memorabili da film espressionisti, accompagnati da una selezione di ‘spaventose’ musiche sinfoniche del Romanticismo francese ridotte per pianoforte, tratte dai repertori compilati da Becce.
ENG Giuseppe Becce has been the go-to composer for German expressionist directors. He worked with Fritz Lang, Georg Wilhelm Pabst, and Ernst Lubitsch. The reach and scope of German expressionist cinema are immeasurable: it translated the disquiet of modernity into a visual style of contrasting lights and shadows. Discussant Marco Bellano and pianist Gabriele Dal Santo will offer an anthology of memorable moment of expressionist cinema score, accompanied by a choice of piano adaptations of creepy-sounding French Romantic symphony, taken from Becce’s repertoire.
9 febbraio h. 18 | Palazzetto Bru Zane | bru-zane.com
TRADITION
11,21/02
FESTA DELLE MARIE
La leggenda narra che nel X secolo, quando i matrimoni venivano celebrati in un unico giorno all’anno, quello dell’Ascensione di Maria, il 2 febbraio, dodici fanciulle veneziane in procinto di sposarsi vennero rapite dai pirati che assaltarono il corteo nuziale. Poche ore dopo i veneziani raggiunsero i pirati, li trucidarono e riportarono a casa le giovani. Da allora la Serenissima impose una tassa ai patrizi per fornire ogni anno alle ragazze meno abbienti un’adeguata dote. Durante il Carnevale si celebra questa tradizione millenaria con la Festa delle Marie, che vede protagoniste dodici tra le più belle giovani veneziane, che saranno presentate al pubblico in Piazza San Marco, dove giungeranno con un corteo di gondole, in splendidi costumi storici.
ENG Legend has it that some time back in the tenth century, twelve Venetian brides-to-be were kidnapped by pirates. A few hours later, a posse of Venetians got hold of the pirates, killed them on the spot, and brought the women back to safety. Ever since, the Republic of Venice imposed a tax on patricians to fund dowries for girls of less than fortunate backgrounds. This is remembered today with a parade of twelve Venetian beauties in historical garments.
11 febbraio h. 15 | Piazza San Marco
14. CARNEVALE INTERNAZIONALE DEI RAGAZZI DE LA BIENNALE DI VENEZIA
Un’edizione che segna nel 2023 una novità storica, l’allestimento cioè della rassegna in due spazi: uno a Venezia, nei consueti ambienti di Ca’ Giustinian, e un nuovo punto di ritrovo al Parco Albanese di Mestre, nel quartiere Bissuola, con una nuova sezione musicale concerti e laboratori per scuole e famiglie negli spazi del CIMM (Centro Informatica Musicale Multimediale) della Biennale.
Nella sede di Ca’ Giustinian si snodano diversi percorsi articolati in Laboratorio Danza (Sala delle Colonne), Laboratorio Musica (Sala Maschere e Sala Commedie), Laboratorio pratico-artistico (Sala delle Colonne e Portego), Laboratorio scientifico-tecnologico (Laboratorio delle Arti, calle del Ridotto), dedicati agli studenti delle scuole durante la settimana e alle famiglie nel weekend.
Il Teatro del Parco Albanese ospita invece due concerti/laboratorio: il 12 febbraio Favole in Musica, tre favole di Italo Calvino messe in musica dagli studenti del Liceo Musicale Pigafetta di Vicenza, e il 19 Su il sipario: i musical per giovanissimi!, performance sul mondo del musical realizzata dai giovani dell’Accademia di Musica
Giuseppe Verdi di Venezia.ENG A brand new set-up for the 2023 edition of the Kids’ Carnival: two meeting points instead of one. The first is in the usual spaces at Ca’ Giustinian, the Venice Biennale headquarters, and the other is in the mainland, at Parco Bissuola in Mestre, hosting a new music section, concerts, workshop for schools and families. At Ca’ Giustinian, kids will be able to participate in the Dance Lab, the Music Lab, the Crafts Lab, the Science Lab – school classes are welcome on weekdays, families on weekends.
11-19 febbraio
Ca’ Giustinian, Teatro del Parco Albanese, Mestre www.labiennale.org
ORIGINAL SIGNS Doppio Spettacolo Notturno
Protagonista l’Arsenale e la sua incredibile bellezza. Lo spettacolo vede muoversi sull’acqua i corpi energici dei ballerini di RANDB Collective, la grazia eterea dell’acrobata Viola Cappelli e l’espressiva danza di Isabella Moro, che racconta il mondo celeste con la Lingua dei Segni. Lo spettacolo ritrova il gesto atletico del flyboard che, con Cristiano Perseu, si trasforma in un gesto artistico che affiora dall’acqua per innalzarsi verso il cielo. Il fuoco è sapientemente manipolato dalla Compagnia Opera Fiammae e dalla francese Compagnie Ilotopie, rafforzato dal potente ritmo live di Psycodrummers, percussionisti non convenzionali.
ENG The protagonist is the Venice Arsenale and its incomparable beauty. The show employs dancers from the RANDB Collective, acrobat Viola Cappelli, and dancer Isabella Moro, who will perform on the water using flyboard, which in this instance will turn into performative art devices. Things will literally be on fire, too, thanks to Compagnia Opera Fiammae and Compagnie Ilotopie. Musical accompaniment will be courtesy of unconventional percussionists Psycodrummers.
DANCE 11,17-21/02
PARTIES
ARSENALE CARNIVAL EXPERIENCE
Quando la notte cala sulla città, l’Arsenale è il fulcro della festa. Una delle location più amate dai giovani e non solo, le Tese San Cristoforo accolgono in tre immensi padiglioni allestiti e attrezzati il vero polo notturno del divertimento gestito da Molocinque. Il grand opening di Arsenale Carnival Experience è sabato 11 febbraio con una madrina d’eccezione in consolle, la dj e influencer Giada Brincè e il vocalist Lee Rush, mentre in second stage va in scena l’animazione trasgressive di Red District. Le porte dell’Arsenale rimangono poi aperte tutte le sere dal 17 al 21 febbraio con live show, ospiti d’eccezione come i superstar dj e produttori tedeschi Monkey Safari (18 febbraio), e una carrellata di dj da far tremare il dancefloor.
ENG When night descends upon the city, the Arsenale will be the hub of the party. The Tese San Cristoforo, at Arsenale, will be where it’s at thanks to Molocinque productions. The grand opening party, Arsenale Carnival Experience, will take place on Saturday, February 11 starring DJ Giada Brincè and vocalist Lee Rush. Red District will master the second stage. The doors at Arsenale will remain open every night from February 17 to 21 with live shows, superstar guest DJs, and Monkey Safari on February 18. 11, 17-21 febbraio h. 22.30 | Tese di San Cristoforo, Arsenale www.carnevale-arsenale.it
CELEBRATE CARNIVAL WITH US!
Al grido Don’t Miss Out on this Party… Hard Rock Cafe Venezia, official partner del Carnevale 2023, invita tutti “a tirar su la maschera” e a festeggiare in puro american style con dj-set, party in costume e live show. In calendario due speciali feste in maschera con i dj-set di Giorgio Gozzo e Christian Effe, venerdì 10 e 17 febbraio, mentre il 14 è St. Valentine Night, una notte dedicata agli innamorati con la musica densa di emozioni del duo acustico Ten Minutes Late, formato dai due cantanti e chitarristi Giulia Tonini e Francesco Ferrari. Dj Mene e Dj Tuby Rubber animano il resto delle serate, per un Carnevale che più rock di così non si può.
ENG Shout it loud: Don’t Miss Out on the Party… the battle cry at Hard Rock Café invites us to an American-style party with DJ set and live shows. In their programme are two masked balls and DJs Giorgio Gozzo and Christian Effe on February 10 and 17, while on the 14 St. Valentine Night will be dedicated to lovers, with emotional music by acoustic duo Ten Minutes Late. DJ Mene and DJ Tuby Rubber will animate the rest of the nights in the calendar, for a Venetian Carnival as rock as can be.
4, 10, 11, 12, 14, 17-21 febbraio | Hard Rock Cafe, Bacino Orseolo
carnivaldiary
PALAZZINA CARNIVAL 11-18/02
BALLO DEL DOGE 18/02
BE AN ICON
Palazzina Grassi è un’icona del divertimento e del glamour a Venezia e il suo Carnevale non poteva che seguire questo stile, quattro feste in cui gli ospiti sono invitati a trasformarsi in icone dello spettacolo, della musica o dell’arte. Si inizia l’11 febbraio con DISCO ICONS, una serata ispirata agli anni ‘70/‘80, disco music mixata con il funky più energico e il soulful house contemporaneo. Oro, strass, glitter, ma anche zeppe e pantaloni a zampa per una serata dove la parola d’ordine è “brillare”. Giovedì 16 febbraio torna l’attesissimo e sensuale SEXY ICONS con il Visionair Dinner Show: per tutta la cena performer si esibiscono in uno spettacolo ispirato alla sensualità della Palazzina. MUSIC ICONS, venerdì 17 febbraio, è il party dedicato ai personaggi che hanno fatto la storia della musica e del costume, il tema ideale per indossare per una notte i panni del proprio idolo preferito e scatenarsi al ritmo di raffinata musica da ballo. CINEMA
ICONS, serata di chiusura del Carnevale in Palazzina, sabato 18 febbraio, una cena dove i personaggi più iconici del cinema saranno nella stessa sala in uno sguardo davvero sorprendente.
ENG Palazzina Grassi is a hotspot of glamour and fun in Venice. Its Mardi Gras absolutely follows style, and lists four parties that encourage guests to turn into icon of show business, music, and art. Starting off on February 11, DISCO ICONS is a 1970s-inspired night, with disco music mixed with the most energetic funk and modern soul house: gold, rhinestone, glitter, bell bottoms… anything to shine! On February 16, SEXY ICONS and the Visionair Dinner Show: as guests dine, performers will enact a very sensual show. MUSIC ICONS, on February 17, will be dedicated to those who made the history of music and costume. CINEMA ICONS, the closing night on February 18, will be a gathering of the most iconic filmmakers – all in the same room!
11, 16, 17, 18 febbraio | Palazzina Grassi | www.palazzinagrassi.com
THE GREATEST DREAM...
Tutto in una sola notte, Definito “una delle dieci esperienze da fare almeno una volta nella vita” dall’emittente televisiva americana ABC, il Ballo del Doge® è la festa in costume più sfarzosa del Carnevale di Venezia, raffinato galà mondano, banchetto opulento, intrigante gioco collettivo, sorprendente spettacolo artistico, con un cast esclusivo di oltre 100 artisti internazionali, tra musicisti, funamboli, contorsionisti, attori, cantanti e ballerini. Incredibile anche l’apparato scenografico, orchestrato nei meravigliosi spazi della Scuola Grande della Misericordia, divenuto da qualche anno il set ideale dell’evento. Ogni anno la sua ideatrice, l’imprenditrice, stilista ed event-planner, Antonia Sautter, alza l’asticella: il Ballo del Doge® è fedele a sé stesso, eppure diverso e originale nel tema proposto a ogni nuova edizione, in particolare quest’anno che si festeggia la trentesima edizione. L’esclusività, la spettacolarità, la fantasia degli splendidi abiti d’epoca, il trionfo dei sensi, il lusso sfrenato, tutto ma proprio tutto concorre alla realizzazione di un sogno che dura una notte intera... Non è un caso che il tema 2023 sia The Greatest Dream. Yesterday, Today... Forever.
ENG All in one night and “one of the ten experiences you have to do at least once”, in the words of ABC. The Ballo del Doge is the most lavish party of the Venice Carnival, an exquisite worldly gala, opulent dinner, intriguing game, surprising art show employing over one hundred artists and performers. The scenery is quite impressive, too, and is ready to welcome the lucky guests at the Scuola Grande della Misericordia. Every year, the mind behind it – entrepreneur, stylist, and event planner Antonia Sautter – raises the bar: the Ballo del Doge is true to itself, yet always original and different every year, and there have been thirty of them. Exclusive, spectacular, fantastic, triumphal… unbridled luxuriousness will make for a dream lasting the whole night. The Greatest Dream. Yesterday, Today... Forever
18 febbraio Scuola Grande della Misericordia | www.antoniasautter.it
HEUREKA CARNIVAL BALL 11/02
RECITAL 17/02
QUEENS AND KINGS
Regine e Re si danno appuntamento a Venezia nell’atmosfera incantata dell’Hotel Heureka per una favola misteriosa, affascinante e divertente…
Ci sono grandi balli in maschera e altri più intimi o, meglio, esclusivi, in cui viene ricreata l’atmosfera magica di una festa privata in maschera: scenografie teatrali, allestimenti e costumi interpretati con grande creatività, artisti e musica dal vivo, cena per palati raffinati accompagnata da ottimi vini e cocktail, balli, qualche sottile malizia e molta voglia di divertirsi. È l’idea che Hotel Heureka, un gioiello dell’accoglienza in città, nascosto in un angolo di Cannaregio, dove Venezia è in grado di essere ancor più struggente, offre ai suoi ospiti. Un palazzetto perfettamente restaurato con un giardino chiuso a lambire i confini, dove la linea contemporanea non travalica mai l’eleganza del fascino e della storia di Venezia. Un mix vincente che diventa uno stile o meglio un’identità.
ENG Queens and Kings are dating in Venice, in the enchanting atmosphere of the Hotel Heureka, for a fascinating, mysterious, and amusing fairytale. There are great masked balls, and there are smaller ones, might we say more exclusive, when the magic atmosphere of a private masked party is recreated in its full extent. Theatrical scenery, creative costumes, live music and performances, exquisite dining experience, great wines and cocktails, a touch of malice, and tons of fun. This is the idea at Hotel Heureka, a jewel of hospitality hidden away in a corner of Venice. The perfect mix to celebrate style, or better yet, identity.
11 febbraio Hotel Heureka, Cannaregio 3534 | www.hotel-heureka.com
GRAND BALL PALAZZO LABIA 19/02
VENETIAN REFLECTIONS
Una fiaba che si avvera, un gran ballo in maschera a Palazzo Labia, uno dei magnifici edifici del Settecento della città, affacciato sul Canal Grande, celebre per i suoi affreschi dipinti da Tiepolo e per le sue leggendarie feste. Grazie all’esperienza e alla professionalità dell’Atelier Nicolao viene offerto agli ospiti un incredibile viaggio nel tempo, nella Venezia del Settecento. Tutti i dettagli sono curatissimi: dall’arrivo via acqua, accolti da lacchè di casata e mangiafuoco, giocolieri e i comici della Commedia, alla musica, ai cocktail, alla cena placée, agli spettacoli, ai balli antichi, fino all’elezione della maschera più bella del ballo. Durante la serata viene organizzata anche un’asta di beneficienza a favore di Avapo Venezia. (vedi p. 32)
ENG A fairy tale that will come true – a great Ball at Palazzo Labia, one of the most beautiful eighteenth-century palazzos in town, facing the Grand Canal and decorated with frescoes by Tiepolo. Thanks to the experience and professionalism of Atelier Nicolao, guests will be taken on a journey back in time, with every detail taken care of to perfection. A charity auction will take place on the same night, with all profits going to Avapo Venezia.
19 febbraio | Palazzo Labia | www.nicolao.com
PIAZZOLLA Y BORGES
L’incontro tra Jorge Luis Borges e Astor Piazzolla avviene negli anni Sessanta, come compimento naturale e inevitabile di due percorsi iniziati in tempi e modalità diversi sotto la comune insegna di quel sortilegio chiamato tango. La performance per attore e quartetto d’archi Piazzolla y Borges: tempo e destino, presentata alla Fondazione Querini Stampalia dall’attore veneziano Alessandro Bressanello, accompagnato dal quartetto d’archi ExtraHarmoniae, è un coinvolgente omaggio al connubio artistico tra i due grandi argentini evocati attraverso i tanghi di Piazzolla e il racconto Hombre de la esquina rosada di Borges.
17 febbraio h. 18 | Fondazione Querini Stampalia www.querinistampalia.org
RECITAL 20/02
ARSI, PIANSI, CANTAI
Voce originale della poesia del ‘500, figura assolutamente particolare, affascinante cortigiana capace di rimanere in sapiente in equilibrio in un mondo complesso come quello veneziano, con i suoi versi Gaspara Stampa ci restituisce una verità d’accenti immediata, che rende molto moderna una donna che seppe mettere a frutto bellezza ed intelletto e per poter coltivare il talento e la passione per la poesia. E tra passato e presente, intrecciati in un gioco di rimbalzi, si muove il concerto-spettacolo, dove i sonetti della poetessa vanno a costruire l’ossatura del monologo originale di Luciano Menetto, poeta contemporaneo, che scrive a sua volta in antico veneziano. 20 febbraio h. 17.30 | Ateneo Veneto ateneoveneto.org
carnivaldiary
OPERA & DINNER 14/02
IL MATRIMONIO SEGRETO
L’opera di Domenico Cimarosa è uno dei pochissimi titoli del repertorio comico settecentesco rimasti stabilmente nei cartelloni di tutto il mondo, fin dall’esordio datato 1792 a Vienna. Dramma giocoso per musica in due atti, viene proposto alla Fenice in un nuovo allestimento diretto da Alvise Casellati, con la regia di Luca De Fusco, scene e costumi di Marta Crisolini Malatesta e light design di Gigi Saccomandi. Di grande prestigio il cast, che comprende Lucrezia Drei nel ruolo di Carolina, Juan Francisco Gatell in quello di Paolino, Martina Belli in quello di Fidalma. In occasione della recita che cade nel giorno più romantico dell’anno, San Valentino, al termine dello spettacolo sarà possibile gustare una ‘spettacolare’ cena ospitata nelle Sale Apollinee. ENG Cimarosa’s operas are a selected few that made it from the comedic repertoire of the eighteenth century to modern programmes all around the world. Il matrimonio segreto is a two-act comedic drama, and will be staged at Fenice Theatre by Alvise Casellati, directed by Luca De Fusco, with scenes and costumes by Marta Crisolini Malatesta, and light design by Gigi Saccomandi. Since it will be Valentine’s Day, at the end of the show patrons will be able to opt for dinner at the Sale Apollinee, right there at the Theatre.
14 febbraio | Teatro La Fenice h. 19 | www.teatrolafenice.it
OPERA & COCKTAIL 19/02
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Il capolavoro di Gioachino Rossini torna in scena nel collaudato allestimento firmato da Bepi Morassi, con le scene e i costumi di Lauro Crisman e il light design di Andrea Benetello, che stavolta sarà affidato per la direzione musicale alla conduzione di Renato Palumbo. In questa nuova ripresa spicca un cast composto da Antonino Siragusa nel ruolo del Conte d’Almaviva, Marco Filippo Romano in quello di Bartolo, Chiara Amarù in quello di Rosina, Alessandro Luongo in quello di Figaro. A questo titolo è legato il cuore del Carnevale, e per celebrare la festa veneziana al termine della recita del 19 febbraio sarà possibile proseguire la serata nelle Sale Apollinee con dj-set e cocktail party in maschera.
ENG Rossini’s masterpiece in Bepi Morassi’s acclaimed stagins, with scenes and costumes by Lauro Crisman and musical direction/conduction by Renato Palumbo. The cast includes Antonino Siragusa, Marco Filippo Romani, Chiara Amarù, and Alessandro Longo as Conte d’Almaviva, Bartolo, Rosina, and Figaro, respectively. The Barber of Seville is synonymous with the Venetian Carnival, meaning on February 19, masked patrons will be welcome at the Sale Apollinee for a cocktail party.
19 febbraio | Teatro La Fenice h. 17 | www.teatrolafenice.it
TOURS 16-19/02
SOTTO IL SEGNO DEL LEONE
Piazza San Marco raccoglie e custodisce all’interno del proprio perimetro storie antiche come la città di cui è simbolo. Storie di dogi e marinai; navi, gondole, proverbi, croci e teschi; nomi, date e simboli medievali; slogan rivoluzionari e cronache di guerra. Alberto Toso Fei e Desi Marangon sono guide d’eccezione per chiunque voglia addentrarsi nelle pagine più suggestive e spesso meno conosciute della storia di Venezia e dei suoi abitanti, nomi famosi in tutto il mondo o comuni cittadini che la storia mainstream sembra avere dimenticato: i graffiti incisi sui marmi ci parlano e raccontano vicende tutte da scoprire.
16, 19 febbraio | Piazza San Marco h. 16
I RACCONTI DI (QUASI) MEZZANOTTE. DEMONI, FANTASMI, SIRENE, DEI MORTI I REGNI
Le tracce del passato di Venezia ne occupano ogni angolo. Raccontano storie senza tempo, dolci o violente, che a volte hanno il sapore della favola ma che spesso ci raccontano verità buie, figlie di tempi in cui il più forte regnava su tutto e tutti.
Alberto Toso Fei sceglie la tarda serata per accompagnarci dentro racconti che volano veloci verso la mezzanotte, momento di transizione in cui passato, presente e futuro si sfiorano per un attimo e consegnano alla storia racconti da ascoltare tutti d’un fiato. 17, 18 febbraio | Piazza San Marco h. 22
CAFÉ CONCERT
In Francia la storia del cafè-concert fu assai tormentata, tra divieti e resurrezioni, per tutto il XIX secolo, tanto da tracimare anche nel nostro Paese nella gaudente Napoli dell’epoca e, più in sordina, nella Roma della Belle Époque.
Commediante e chanteuse, Émeline Bayart ama profondamente le canzoni che parlano di passione, di libertinaggio e di amore crudele; di uomini e di donne che si annoiano, si tradiscono e si struggono. Storie tristi, che l’artista rende esilaranti grazie alle proprie innate capacità istrioniche. Accompagnata da Manuel Peskine al pianoforte, la Bayart attinge al repertorio del café-concert e delle chanteuses de caractère senza cercare di imitarle, anzi reinterpretandone i cavalli di battaglia in maniera del tutto originale. Mantiene la linea melodica per meglio rielaborarla mediante la parola o un cambiamento della tessitura vocale, passando dalla voce di testa alla voce di petto, dal canto al parlato, dal grido al sussurro.
ENG France’s café-concert had a tormented history of bans and revivals throughout the nineteenth century. Their fame, though, never waned, and influenced similar establishments in Naples and, to a lesser extent, Rome. A comedian and chanteuse, Émeline Bayart loves all songs of passion, decadence, and ill-fated love. Dissolute men and women pining away – sad stories that Bayart, magically, turn into hilarious pieces of comedy. Accompanied by Manuel Peskine at the piano, the performer maintains original melodies with a twist on vocal texture and registry, occasionally adding some recitato
17, 18 febbraio h. 19.30; 19 febbraio h. 17
Palazzetto Bru Zane | bru-zane.com
ICI ON DANCE. GOLDONI, CASANOVA E LA RIVOLUZIONE FRANCESE
Antonella Barina prosegue la sua pièce teatrale “a tappe” raggiungendo con questo Carnevale la settima stazione de I fantasmi di Goldoni e Casanova a Venezia. Nel nuovo spettacolo, Barina, affiancata da Roberto Milani (Goldoni), Manuela Muffatto (Nicoletta Conio) e Vittorio Lora (Casanova) immagina il grande drammaturgo veneziano durante la sua ultima stagione, in Francia, in miseria mentre fuori impazza ferocemente la Rivoluzione. Il buon Goldoni è ormai anziano, la sua spoglia casa è gelida, la legna da ardere finita e alla moglie Nicoletta non resta altra scelta che recarsi a Versailles per richiedere la dovuta pensione del marito. Casanova, intanto, in assenza della donna, accudisce solertemente Goldoni nelle vesti di cuoco, preparando per lui deliziose ricette. Ma proprio come nell’Icosameron di Casanova, romanzo che anticipa il genere fantastico del “mondo perduto”, i due illustri veneziani finiranno al centro della Terra. Ad attenderli trovano il Grande Momo, protagonista de La Metempsicosi, o sia La pitagorica trasmigrazione ; farsa satirica di Goldoni ormai dimenticata dalla modernità. Come nelle pièce precedenti, anche qui troviamo il “fantasma”, il soprannaturale, che si manifesta in una divinità antica incarnata nella Regina del Mondo di Sotto, e perché no, in Nicoletta, fedele moglie di Goldoni.
16 febbraio h. 18/20.30 | Consolato di Svizzera, Palazzo Trevisan degli Ulivi
TASTE
4-21/02
CARNEVALE DEL GUSTO
Ristoranti, caffè, bacari e osterie veneziane si animano per la terza edizione del Carnevale del Gusto, inventando piatti, menù, cicchetti e cocktail ispirati al tema Take Your Time for the Original Signs. Nei locali che aderiscono all’iniziativa è possibile degustare ad un prezzo speciale originali creazioni gastronomiche, come l’Uovo Carnevalesco fritto nel nero di seppia con Black Angus affumicato, gorgonzola al tartufo e peperoncino di Polcenigo e lo speciale Negroni con Bitter al Radicchio e Vermut del Monte Bianco proposto da La Corte 1462 (Cannaregio), i signature cocktail dell’Oriental Bar dell’Hotel Metropole, o immergersi nella tradizione carnascialesca più golosa con lo speciale piatto di galani e frittelle, fatti secondo l’antica ricetta e accompagnati dalla leggendaria cioccolata calda del Caffe Florian.
ENG Restaurants, cafés, pubs, and inns in Venice will produce Carnevale del Gusto, with dishes, menus, snacks, cocktails inspired by the theme T ake Your Time for the Original Signs. Participating establishments will offer fixed-price fare, like the Carnival Egg with squid ink and smoked Angus, a special Negroni with radicchio bitter at La Corte 1462, signature cocktails at Hotel Metropole, and the famous hot cocoa drink at Caffe Florian. veneziaeventi.com
D’ORO E DI LUCE
Durante le prime edizioni del rinato Carnevale in quasi ogni famiglia a
Stefano Nicolao è uno storico del costume, docente all’Accademia di Belle Arti di Venezia dei corsi di Fashion Design e Fashion Design taglio storico, ed è un grande esperto di Carnevale. Sono creazioni del suo Atelier Nicolao molti tra gli abiti storici più belli visti sfilare in tutte le edizioni del Carnevale. La sua passione e la sua profonda conoscenza di Venezia lo ha portato negli anni a divenire un punto di riferimento indiscusso in tema di costumi storici legati alle feste in maschera e non solo (moltissime produzioni cinematografiche internazionali hanno attinto alle sue magnifiche creazioni). Il suo spettacolare Atelier a Venezia, oltre a essere una vera e propria macchina del tempo della moda, con costumi completi – dalla biancheria intima alla parrucca, dal cappello alle scarpe – ordinati filologicamente per secoli, è un’importante bottega e laboratorio artigianale in cui creatività e ingegno si uniscono alle tecniche di lavorazione manuale per consentire alla squadra di lavoro, composta anche da molti giovani, di realizzare nuovi modelli per mantenere viva una tradizione di altissimo artigianato altrimenti destinata a scomparire. Non potevamo che incontrarlo alla vigilia di questo Carnevale.
Come è cambiato, in questi decenni, il Carnevale di Venezia?
Snodo cruciale del destino del Carnevale veneziano è ovviamente quello tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80, caratterizzato dalla figura fondamentale di Maurizio Scaparro, direttore della Biennale Teatro e autentico fautore della rinascita di questa straordinaria festa al contempo popolare e culturale. I suoi sono stati autentici Carnevali di spettacolo, in cui la gente sentiva intimamente la voglia e il bisogno di festeggiare; si avvertiva la febbrile attesa per un evento che avrebbe mostrato ancora
di più l’identità unica di Venezia agli occhi del mondo. Al centro di tutto vi era da parte del pubblico il desiderio di travestirsi e di adottare per alcuni momenti una diversa identità; a ben vedere l’essenza pura e semplice del Carnevale, al netto di orpelli retorici.
Da allora, dall’entusiasmo collettivo e coinvolgente a tutti i livelli, l’organizzazione si è molto articolata e diversificata, assumendo un carattere spiccatamente più commerciale agli inizi degli anni ‘90, con la direzione artistica di Davide Rampello e l’organizzazione di Fininvest che aveva creato per i visitatori dei pacchetti che includevano il viaggio per raggiungere Venezia, un pernottamento in albergo, la partecipazione a una delle feste in città e il ritorno quasi immediato ai luoghi di residenza. Un Carnevale mordi e fuggi, insomma. Di conseguenza anche le richieste del pubblico in materia di costumi sono state totalmente stravolte, registrando progressivamente la predominanza di costumi “alti” per così dire, abiti da principi, principesse, da componenti delle famiglie reali. L’elemento spiritoso di assumere una diversa identità rispetto alla propria, magari in alcuni casi andando anche ad abbassare socialmente la propria posizione in nome del divertimento e della goliardia, è andata ormai completamente perduto, sostituito da un mero desiderio favolistico di diventare per poche ore un principe o una principessa attraverso un mascheramento con costumi sfarzosi e appariscenti. Quanto da parte dei componenti di famiglie reali, nobili, salvo sparute eccezioni, vi è oggi la volontà di apparire il meno possibile, altrettanto vi è in chi sceglie di identificarsi con i loro ruoli il desiderio di ostentare, di esibirsi attraverso la ricerca di costumi ricolmi d’oro e pietre preziose così da rendere gli abiti unici e sfarzosi, in un capovolgimento di parti in commedia davvero
Venezia partiva una gara per il costume più originale, creato con quanto si trovava in casa
Stefano Nicolao is a costume historian – he holds classes at the Fine Arts Academy – and is an expert on the Venice Carnival. His atelier created many of the most beautiful historical costumes ever to be seen at the Mardi Gras parades. His passion and his knowledge of Venice made him, over the years, the go-to professional for anyone’s needs in terms of costumes, masks, and more. Many international film productions made use of Nicolao’s costumes. The amazing Atelier Nicolao is a time machine of fashion, offering complete period costumes – from underwear to wigs, hats, and shoes – and is a workshop where creativity and ingeniousness mix with excellent craft and teamwork.
How did the Venice Carnival change over the years?
A turning point for the Venetian Carnival were the late 1970s-early 1980s. The key figure, at the time, was Maurizio Scaparro, who single-handedly worked on the rebirth of this amazing festival, which is cultural and popular at once. Scaparro authored authentic Carnival shows, which inspired everyone to party and anticipate the days that would make the identity of Venice known to the world. At the centre of it all was a popular desire to don a costume and adopt, however briefly, a second identity, which is to say the pure and simple essence of Carnival.
Ever since, it has been about enthusiasm every year, with the organization growing more complex and also more commercial, with art director Davide Rampello in the early 1990s. In those years, package deals were popular with tourists and included travel to Venice, one hotel night, and the ticket to one carnival party. This meant something for us costume-makers, too: demand focused on the higher end of the spectrum: everybody wanted to be a prince, princess, or the like. The fun of it, which included jokingly underplaying one’s own social class, has been lost. Today, fairy tale it is for everyone: be a prince or princess for a few hours, don extravagant costumes, and dream for a day. We must remember that the reborn Carnival started off with Venetian families making their own costumes, and Venetian have their own sense of desecrating humour – little room for pomp or splendour.
carnivalparty
STEFANO NICOLAO
vertiginoso.
Bisogna sempre ricordare che durante le prime edizioni del rinato Carnevale in quasi ogni famiglia veneziana partiva una gara per il costume più originale, creato con quanto si trovava in casa, non certo animati dallo sfarzo o dalla voglia di apparire a tutti i costi.
Lei nel 1980 apre l’Atelier Nicolao anche con lo scopo di impegnarsi nello studio filologico dei materiali, mantenendo primaria la lavorazione artigianale anche per gli accessori. Come è nata questa straordinaria avventura?
Uno dei motivi per cui ho deciso di aprire un simile Atelier a Venezia, dopo aver lavorato per diversi anni nel mondo dello spettacolo, era quello di primariamente esaudire le crescenti richieste che mi venivano fatte un po’ da ogni dove di materiali utili al confezionamento di costumi. Volevo che l’Atelier diventasse un punto di riferimento sia più in generale per il mondo dello spettacolo, sia in senso stretto per il Carnevale e per la storia di Venezia, creando un’alternativa in città senza per forza dover ricorrere alle sartorie teatrali di Roma o di Milano, riuscendo, grazie alle mie ricerche, a portare a Venezia materiali che altrimenti sarebbe stato difficile avere e poter offrire ai clienti. In questi anni di attività non sono cambiate le fonti di ispirazione, fornite in abbondanza dalle ricche testimonianze della pittura veneziana, da Carpaccio a tutti gli artisti del Settecento, fino ad arrivare alla dominazione austriaca e oltre, alla metà del Novecento.
Come sono cambiati i costumi di Carnevale negli anni?
Nell’ultimo periodo si è sempre di più spostata l’asticella non tanto sull’originalità del costume, quanto sul suo impatto scenico. Come dimostrano le celebri foto della Reuters, le maschere che di solito passano le giornate poggiate al colonnato di Piazza San Marco per farsi fotografare indossano costumi che sono invenzioni fantastiche ma che non appartengono alla storia; assomigliano più a delle impalcature e spesso e volentieri non riescono nemmeno a passare attraverso le calli, dovendo perciò essere assemblati direttamente in Piazza, loro proscenio pressoché unico.
È curioso poi che queste maschere vengano percepite come i “costumi tipici veneziani”. Quando mi capita di lavorare a un film o a uno spot sono infatti queste maschere che vengono prese ad esempio dai registi quando intendono riferirsi alle maschere veneziane per eccellenza. Probabilmente queste maschere così scenografiche e complesse rimpiazzano, nell’immaginario collettivo, l’assenza a Venezia di carri allegorici…
Tra i momenti più attesi di questo Carnevale 2023 va annoverato di sicuro il vostro Gran Ballo Venetian Reflections a Palazzo Labia il 19 febbraio. Ci racconti un po’ come ha pensato e ideato questo evento.
Ho pensato a questo titolo rievocando tutti quelli che considero i riflessi veneziani per eccellenza, quelli dell’acqua e del vetro, ma non solo, le trasparenze in genere come quelle dei merli della Ca’ D’Oro oppure gli intarsi marmorei policromi di Palazzo Ducale. Come venne detto un tempo, «Tutte le città del mondo sono di piombo, Vinegia è d’oro». Nel Medioevo l’oro era considerato come massimo simbolo della luce divina, infatti venne ampiamente utilizzato come sfondo nelle pale d’altare o nella rappresentazione di icone sacre. Venezia ha la capacità di riverberare la luce in una maniera
assolutamente unica al mondo, proprio con tonalità dorate. Ognuno di noi credo abbia provato attimi di autentica commozione nel poter ammirare Venezia in particolari momenti del giorno, con tramonti e albe che semplicemente non conoscono eguali.
Il concetto di riflesso sarà un po’ romantico, ma rappresenta oggettivamente una delle tante emozioni impagabili che Venezia può regalarti e che nessun’altra città al mondo potrà darti mai con una tale intensità.
Sono nato qui e ci vivo, ma per motivi di lavoro viaggio molto. Ogni ritorno in città è un tuffo al cuore. Non posso mai fare a meno di interrogarmi sulle emozioni che possa provare chi arrivi in città per la prima volta, soprattutto entrando in contatto con la città dall’acqua, esattamente come i suoi fondatori la avevano concepita. Uno stupore a cui non ci si abitua mai, una magia che non si esaurisce, anzi, si ripresenta ogni volta più potente e travolgente. La forza di una bellezza indescrivibile che, per fortuna, non stanca mai. Una forza travolgente, intramontabile, che farà sì, ne sono convinto, che il tentativo in atto di trasformarla in Disneyland non riuscirà mai!
Esiste un vestito must del Carnevale 2023? A quale tra tutti i costumi che ha creato nella sua lunga carriera si sente maggiormente legato e quale invece il progetto, tra tutti i vari che ha immaginato, desidererebbe in futuro riuscire a realizzare? Non saprei indicare “il” costume del Carnevale 2023. Credo si vada a confermare la tendenza di cui parlavo prima, quella di chiedere abiti sontuosi riconducibili alle grandi famiglie reali. Personalmente sono particolarmente legato all’abito sonoro presentato all’Expo Universale di Osaka nel 1985, un abito monumentale nato da un’idea di Alessandro Mendini e Anna Gili, una specie di
origami fuori misura, un enorme insetto bianco e oro dalle ali sempre aperte, fatto di forme e materiali che suonano secondo i gesti del corpo: la frizione fra tessuti, metalli, pendagli, corpo e pavimento che produce molte gamme di suoni, da un sottile fruscio a un esasperato rimbombo. Ricordo ancora perfettamente il nostro primo incontro, nei primissimi anni ‘80, quando si presentarono da me con un modellino del vestito alto pochi centimetri realizzato secondo la tecnica degli origami, senza incollature, assemblato tramite il piegamento progressivo e infinito della carta, che nel nostro caso sarebbe stata ovviamente sostituita dal tessuto, sotto al quale si doveva trovare una struttura capace di sorreggere il tutto, un telaio di alluminio leggerissimo che feci realizzare da mio padre al tornio. In particolare, ricordo il loro entusiasmo quando gli dissi che avrei accettato questa folle e splendida sfida, riuscendo poi a realizzare l’abito a dispetto di tutto e tutti.
Un abito che esulava dalla sartoria classicamente intesa e che quindi occupa e occuperà per sempre un posto particolare nel mio cuore. Una fantastica follia per molti aspetti irripetibile.
Per quanto riguarda uno dei progetti che mi piacerebbe realizzare, beh, ho da tempo un grande sogno nel cassetto, non ancora ben delineato nella mente, ma sempre presente nei miei pensieri: creare un abito in fibra ottica. Sto continuando a studiarlo, non sarà di sicuro facile, ma sento con tutto me stesso di poter raccogliere questa sfida. Per la sfilata di apertura del Carnevale 2023 intanto ho pensato a un abito di luce per vestire la Regina, un primo passo concreto verso ciò che spero di realizzare. Questa luminosità mi auguro possa tracciare un nuovo percorso delle nostre vite dopo anni molto bui e difficili, una luce che mi auguro possa illuminare le menti di chi decide dei nostri destini.
You opened your atelier
in 1980
One of the reasons I decided to open shop in Venice was to have a place to work on the growing demand for costumes. I wanted my shop to become a point of reference for show business, and counter the offer that, so far, had been that of theatre dressmakers in Rome and Milan. My shop is also different, in that it focuses on the history of Venice and employs traditional materials that would be difficult to market elsewhere. Over the years, my sources of inspiration have always been Venetian art, especially painting: from the 1700s, to the years of Austrian rule, to the mid-1900s.
How did costumes change?
As of late, attention shifted from originality to theatrical impact. There are famous photographs from Reuters that show what are commonly understood as being typical Venetian costumes, but it needs to be said that those ones have no footing in history. They look more like big scaffoldings than anything else, and can barely fit in the narrow alleys of Venice. In fact, they must be assembled in Piazza San Marco, and cannot really move from there. When I work with film or TV, that’s what directors want. Arguably, such big and unwieldy costumes take the role that elsewhere belongs to carnival floats…
Your upcoming ball at Palazzo Labia: Venice Reflections
I wanted the ball to evoke what I think are the Venetian reflections par excellence: water and glass, a well as all transparencies that we see around us: the battlements at Ca’ d’Oro, the polychrome marble inlays at Palazzo Ducale… In the Middle Ages, gold was assumed to be the symbol of divine light, and it was used broadly in the background of altarpieces or in the representation of sacred scenes. Venice has this ability to reverberate light in a way that is unique. It is golden. It happened to each of us to be moved by the poignant games of light in definite moments of the day: some sunrises or sunsets know no equal.
A must for the 2023 Venice Carnival
There is no one single costume that you just have to wear. My heart will always have a place for the sonorous garment, a concept costume designed by Alessandro Mendini and Anna Gili for the Universal Expo at Osaka in 1985. It is a kind of oversized origami, made in shapes and with materials that make sound according to every motion of the body: the friction of cloth, metal, pendants, body, and floor make an array of different sounds. I met Mendini and Gili and worked with them to make their idea come true. At the time, they presented me with a scale model. I had my father build an aluminium frame for the costume, and I took care of the rest. It was such a challenge, such a foolish one, but we made it, and I will always think dearly of it. One thing I look forward to making, sometime in the future, is an optic fibre costume. In fact, I began working on some ideas, but it won’t be easy.
For the opening parade at the 2023 Carnival, I designed a costume made of light for the Queen – a first step towards what I hope I will be able to make one day. Light will guide us forward after dark, difficult years, and I hope it will enlighten us all.
CALLE LUNGA DEI GOLOSI
Le veneziane o come si dice in dialetto
a Ca’ Rezzonico
Scaleter” è il termine col quale si indicavano i pasticceri a Venezia. Una delle ultime roccaforti in città, per quanto attiene alla vecchia tradizione dei dolci, è la bottega del Nono Colussi, in calle lunga San Barnaba, non lontano dall’Accademia, che dal 1956 sforna ininterrottamente deliziosi dolci di estrema e raffinata semplicità, dalle mitiche focacce ai baicoli, ai krapfen e molto altro ancora, oltre a preparare nel periodo di Carnevale, precisamente dal 7 gennaio in poi, frittelle, galani e castagnole.
Franco, il Nono Colussi, la figlia Linda e la nipote Marina portano avanti in maniera ineccepibile la tradizione delle golose bontà veneziane garantendo a schiere di ammiratori sperticati lunghi attimi di sublime dolcezza per il palato.
La giovane Marina, dopo il liceo classico, ha deciso che quello che era un lavoro saltuario per aiutare il nonno Franco in bottega sarebbe divenuta l’occupazione principale della vita. La sua sfida quotidiana è quella di portare avanti le tradizioni della pasticceria veneziana imparate dal Nonno. Con Marina abbiamo parlato di frittelle e altri dolci tipici del Carnevale.
Voi rappresentate l’esempio tangibile della Venezia che resiste e regala a schiere di fortunati clienti la dolcezza di prodotti squisiti e inimitabili. Siamo a Carnevale e la nostra curiosità non può che ricadere sulle vostre frittelle. Come le preparate e
in quali varianti? C’è sempre una simpatica disputa circa le frittelle veneziane: come sono quelle che voi proponete?
Nella nostra pasticceria vengono usate sempre le migliori materie prime in commercio. Ogni giorno prepariamo l’impasto delle nostre frittelle con prodotti freschi come latte, uova rotte una ad una, burro, zucchero e farina, così come avviene sempre per tutti i dolci che produciamo. I nostri prodotti lievitati sono fatti con un lievito madre che sicuramente ha più di 60 anni, visto che il Nonno, fondatore della pasticceria nel 1956, ne ha ricevuto un pezzetto in dono dal suo ultimo datore di lavoro. Abbiamo scelto di offrire solo tre varianti di frittelle, per evitare di disperderci tra mille gusti differenti; siamo legati alla tradizione e alla qualità assoluta dei nostri prodotti e lo rivendichiamo con orgoglio. Le veneziane, o come si dice in dialetto “e fritoe venessiane col buso”, trovano una testimonianza importante in un famoso quadro di Pietro Longhi del XVIII secolo, la Venditrice di Frittole esposto a Ca’ Rezzonico, in cui le frittelle a forma di ciambella vengono cucinate e servite infilate su uno spiedo. Nel loro impasto ci va qualche uvetta, la tradizione vorrebbe anche i pinoli, ma per i gusti dei nostri clienti e per il prezzo dei pinoli stessi ormai da tempo non li usiamo più. Una volta pronto l’impasto si modella la frittella a forma di piccola ciambella. Il tutto deve risultare estremamente elastico; di solito stacchiamo un piccolo quantitativo dalla massa dell’impasto con l’aiuto di un
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“e fritoe venessiane col buso” trovano una testimonianza importante in un famoso quadro di Pietro Longhi del XVIII secolo, la Venditrice di Frittole
As you walk around Venice, chances are you’ll notice several types of shop that seem almost overrepresented. There’s, arguably, way too many bakeries. You would, arguably, be wrong, because there is no such thing as ‘too many bakeries’, especially given how good they are, first, and how it’s always been like that. The now-unused Venetian word for ‘baker’ is scaleter, and you’ll notice some calle del scaleter (lit. ‘baker’s alley’) around town. The bakery has been there long enough for the alley to be named after it. One of the oldest operating bakeries in Venice is the shop of nono (‘gramps’) Colussi, not far from Accademia. Since 1956, Colussi has been baking products of exquisite simplicity, from his famous focaccia (flat and savoury bread elsewhere in Italy, puffy and sweet in Venice), to krapfen (Austrian-inspired beignets), and the big guns in Carnival season: frittelle, galani, and castagnole
Franco – the eponymous Colussi – daughter Linda, and granddaughter Marina work as hard as ever to offer Venetian sweetness to their many fans. It is Marina that we spoke with today. Marina took classics at school, but she knew that what was the occasionally helping out family at the bakery would soon become her life mission: to bring forward the tradition of Venetian bakery and keep alive her family’s teachings, which she learned from her grandfather.
Let’s talk about what we’re here for: your amazing frittelle
We start with the best ingredients: fresh milk, fresh egg, sugar, flour. Our sourdough is over sixty years old: grandpa took a bit of it from the bakery he used to work at before setting up shop in 1956.
We make three kinds of frittelle – and that’s it. Some other bakeries offer a tonne of different fillings, but that’s not our thing. First mention goes to the typical hole-in Venetian fritters, which you can see in an eighteenth-century painting by Pietro Longhi exhibited at Ca’ Rezzonico: the fritter peddler lines them up on a skewer. Dough, raisins, and some use pine nuts – we don’t. the dough must be very… doughy? and elastic! so that you can spoon some of
Dal Nono Colussi Calle Lunga San Barnaba, Dorsoduro dalnonocolussi.com | dalnonocolussi.company.sitecarnivaltaste
MARINA RENATO COLUSSIcucchiaio e premendo con i pollici creiamo un piccolo buco centrale. Successivamente immergiamo le frittelle nell’olio per friggerle e una volta cotte le tuffiamo nello zucchero semolato, togliendone l’eccesso così da servirle al banco pronte per la vendita. Quelle ripiene invece sono farcite o con crema chantilly italiana (crema pasticcera e panna montata mischiate assieme) o con lo zabaione. Queste hanno un altro impasto, molto simile ai bignè, solo che invece di essere cotte al forno vengono fritte in modo che all’interno si crei uno spazio da poter riempire con le farciture.
Quali altri dolci per il Carnevale si possono trovare in negozio?
I vostri galani godono di ottima fama e sono buoni quanto le frittelle. Siete per quelli con la pasta a trama fine e con lo zucchero semolato sopra o per la variante più grossa, con zucchero a velo?
Abbiamo iniziato dal giorno dopo l’Epifania a produrre quotidianamente galani e frittelle, mentre le castagnole – altro dolce tipico del periodo, anch’esso fritto – le produciamo solitamente durante le ultime settimane di Carnevale. I nostri galani sono molto sottili e spolverati con lo zucchero semolato, come da tradizione.
Il vostro lavoro è frutto di una tradizione famigliare costruita grazie all’impegno e al talento del Nonno, il quale nei decenni ha addolcito generazioni di veneziani e non. Voi continuate nel solco di questa tradizione e le vostre preparazioni hanno il pregio di una raffinatissima semplicità, fatta di ingredienti di qualità, sapienza nel lavorarli e molta passione. Sente la responsabilità di un brand che si è fatto sinonimo di eccellenza? Come funziona lo scambio di esperienze e saperi tra diverse generazioni?
La mia presenza in bottega ormai è fissa da più di dieci anni, tuttavia ho sempre frequentato il laboratorio, prima guardando il Nonno Franco all’opera, poi lavorando io stessa, portando avanti la tradizione di famiglia. Ho cercato di apportare alle classiche ricette un delicato tocco creativo, senza mai stravolgerne la sostanza. È inevitabile avvertire la pressione; ho imparato a conviverci in modo sereno, perché fa parte del lavoro quotidiano. Riconosco senza falsa modestia, a forza anche di sentirmelo ripetere dai nostri affezionati clienti, di essere capace nel mio lavoro e la passione per la pasticceria in me è grande, ma so bene che non bisogna mai abbassare la guardia. Tendo perciò ad essere ipercritica nei miei confronti, trovo sempre dei difetti in ciò che faccio, anche se alla prova dei fatti non ve ne sono; fortunatamente mia mamma Linda mi aiuta quotidianamente a vedere le cose in maniera più obbiettiva. Penso che la pressione si faccia sempre e sanamente sentire in chi cerca di fare del proprio meglio; diventa una compagna di vita che sprona a tenere sempre l’asticella ben alta. Quello che ho imparato l’ho osservato da vicino, in ogni minimo passaggio, guardando all’opera mio nonno, che ancora oggi a 87 anni viene a lavorare per qualche ora al giorno, tutti i giorni. Se le cose non sono fatte come vuole lui, come le faceva lui dall’alba dei tempi, è un problema! Cerco quindi di non uscire mai troppo dai binari, per evitare discussioni. I prodotti cui ho apportato piccolissime modifiche negli anni sono diventati dei miei compiti esclusivi, com’è giusto che sia.
Una curiosità: a lei piacciono più le frittelle o i galani?
Essendo una buona forchetta, non ho preferenze. Mi piacciono sia le frittelle veneziane che quelle alla crema. Lo zabaione pure lo assaggio tutte le mattine, ma è un gusto non propriamente affine al mio palato, anche se i nostri clienti lo gradiscono molto. I galani mi piacciono soprattutto caldi, come consiglio sempre di fare ai nostri clienti. Una vera delizia!
it away from the centre, where the hole will be, and shape them easily with bare hands. It then goes straight into frying oil and, once cooked, it is dusted with granulated sugar and sent to the counter, ready to be sold and eaten. The other two kinds we make are filled with Chantilly cream (custard mixed with whipped cream) or with zabaione, a Marsala wine-infused custard. We use a different dough for stuffed fritters, similar to choux, though still fried and not baked. They puff up while cooking and make room for delicious filling. We started right off after yuletide was over, on January 6. That’s when Carnival begins, technically, isn’t it? Every day we make frittelle and galani (angel wings), very thin and dusted with sugar. Tiny castagnole – also typical and traditional Carnival preparations – we only make in the last week leading to Mardi Gras!
The Colussis – generations of bakers and a brand in itself
I have been working steadily in the shop for over ten years, though I have called it home ever since I was a kid. I do feel the value of family tradition in what I do, and it’s only natural to feel some pressure. I learned to live with it, it’s par for the course. I did contribute to what we do by tweaking some of the recipes here and there, nothing major. I enjoy what I do and I know my customers do, too, while I am also aware that in anything you do, you should never take things for granted. I always look for flaws in my work, no matter how good the outcome. My mother, Linda, is more relaxed and objective. It goes without saying that my inspiration, and my abilities, come from Grandpa, who at age 87, still comes to shop every day to work a couple hours. He is still very jealous of his shop, and some things he wants unchanged. It’s no big deal, I have my own projects to work on. To each their own!
What do you like best, fritelle or galani?
I have quite the sweet tooth, I cannot take a side! I like both the Venetian fritters and the Chantilly-filled. I taste zabaione every day, to make sure I get it right, but it’s not something I would ordinarily eat. I know our customers do love it. As far as the galani go, what’s important is to eat them fresh, and still warm! That’s the way you do it.
art e
Intervista Pietro C. MaraniVISI CARICATI
De’ visi mostruosi non parlo, perché senza fatica si tengono a mente
Leonardo da Vinci
È«sempre l’Uomo al centro dei nostri interessi», afferma Inti Ligabue, presidente della Fondazione Giancarlo Ligabue. In questo particolare progetto espositivo più precisamente è una donna, quella Testa di vecchia di Leonardo che tanto affascinò e rese orgoglioso il padre e che ora il figlio ha posto al centro, come punto di partenza, di un incredibile viaggio.
Il volto scavato di una vecchia sdentata, col naso schiacciato all’insù, labbra cadenti, doppio o triplo mento grinzoso, capelli tirati all’indietro e raccolti in un velo fermato da una coroncina con un grosso fiore, quasi da giovinetta in contrasto con l’evidente età, che Leonardo traccia non per scherno, ironia o sorriso, ma come “testa caricata”, studio fisiognomico, volontà di realismo che indaga anche doti morali o virtù particolari al di là dei difetti fisici, mostrando i segni del tempo.
Leonardo da Vinci è l’inevitabile protagonista di questo viaggio – oltre a la Testa di vecchia, sono presenti diciotto disegni autografi compresi, per la prima volta esposti in Italia, alcuni fogli della Collezione del Duca di Devonshire – che ci invita a seguire le tracce e gli sviluppi del singolare e affascinante genere della caricatura, o meglio, della deformazione e trasformazione dei tratti fisiognomici, a Venezia dalla crisi dell’Umanesimo alla crisi della Serenissima, rendendo evidente l’esistenza di una linea di continuità “settentrionale” in quest’ambito.
Il risultato sorprendente di questa intrigante indagine è De’ Visi Mostruosi e Caricature. Da Leonardo Da Vinci a Bacon, una mostra delicata e potente, assolutamente da non perdere, in corso a Palazzo Loredan fino al 7 aprile e curata da Pietro C. Marani, tra i massimi esperti di questa materia e dell’opera leonardiana, affiancato da un comitato scientifico di assoluto prestigio, composto da Alessia Alberti, Luca Massimo Barbero, Paola Cordera, Inti Ligabue, Enrico Lucchese, Alice Martin, Alberto Rocca, Calvin Winner.
Oltre 75 le opere in mostra prestate da musei e collezioni private internazionali per un percorso di altissimo livello fatto di confronti e rimandi, che partendo dal sommo Leonardo giunge alla Venezia di Anton Maria Zanetti e dei Tiepolo, passando per Francesco Melzi, Giovan Paolo Lomazzo, Aurelio Luini, Donato Creti, Giuseppe Arcimboldi, ma anche per Carracci e Parmigianino.
“Teste caricate” o “grottesche”, volti deformati, esagerazioni anatomiche, indagini fisiognomiche, figure caricaturali e gallerie di “caratteri umani” proiettano il visitatore in un mondo straniante quanto intrigante, collaterale rispetto al bello, al sublime o all’ideale oggetto privilegiato dall’arte. Un tema coinvolgente e dai molteplici risvolti che inevitabilmente assume nel Novecento nuovi significati, qui potentemente evocati e restituiti dal dipinto di Francis Bacon Tre studi per un ritratto di Isabel Rawsthorne, straordinario capolavoro che chiude la mostra.
Caricatura e resa straordinariamente veristica di volti deformati. In quale tradizione pittorica affondano le radici queste due maniere?
Arte della caricatura e realizzazione veristica di volti deformati sono due cose diverse. Quest’ultima pertiene alla raffigurazione del deforme e del brutto e se ne attesta la nascita già nella Firenze del
M“ankind had always been at the centre of our interest” says Inti Ligabue, chairman of Fondazione Giancarlo Ligabue. Their current exhibition circles about a woman, to be precise: around a drawing by Leonardo, Head of old woman, that fascinated Giancarlo and that Inti placed as starter piece of a new, incredible journey.
The gaunt face of a toothless old woman, her nose flattened up against her forehead, droopy lips, a couple extra chins, wrinkly skin, her hair pulled back into a veil adjusted with a flower, in stark contrast with her obviously old age. It wasn’t irony or mockery that inspired Leonardo: this was a study of caricature, a study of physiognomy, and research for a kind of realism that investigated the morals and virtues of the portrayed.
Other than the head of the old woman, there are eighteen further drawings by Leonardo, with some of those being in Italy for the very first time. The exhibition will trace and study the development of a charming art genre – caricature. De’ Visi Mostruosi e Caricature. Da Leonardo Da Vinci a Bacon is a surprising exhibition, powerful and delicate, one you’d love to see. It will be open at Palazzo Loredan until April 7. The curator of the exhibition is Pietro C. Marani, one of the most renowned experts on this topic and on Leonardo overall, who worked with Alessia Alberti, Luca Massimo Barbero, Paola Cordera, Inti Ligabue, Enrico Lucchese, Alice Martin, Alberto Rocca, Calvin Winner.
Caricatures and realistic portrait of deformed faces
The art of caricature and the truthlike depiction of deformed faces are different things obviously. The latter has been attested in fifteenth-century Florence, the continuation of the Medieval tradition and usage of grotesque, monstruous figures to decorate Gothic cathedrals. Leonardo participated in this cultural trend in that his heads are monstrous and caricate (‘charged’ or ‘loaded’) with moral intentions or societal critique as a counterpoint to the ideally beautiful and morally good. Caricature, on the other hand, emerged much later and its goal is to play and entertain. This is not to say the two traditions can sometimes influence one another and overlap.
The deformity of the soul
‘Charged’ heads may allude to the passing of time, which turns the beautiful into the hideous. In this sense, Leonardo, but also Giorgione, frankly depicted Time as the corruptor of Beauty. In Leonardo’s drawings, we can often see young and nimble characters opposing old men and women, their bodies ravished by age. It is my opinion that we cannot use this art to make any psychological evaluation, though some did interpret them as the product of some autobiographical or psychological outpour of Leonardo’s mind.
e Arti www.fondazioneligabue.it
De’ Visi Mostruosi e Caricature. Da Leonardo da Vinci a Bacon. Fino 27 aprile Palazzo Loredan, Istituto Veneto di Scienze, LetterePietro C. Marani
arte
PIETRO C. MARANIDE’ VISI MOSTRUOSI E CARICATURE
‘400, come esito di una lunga tradizione medievale che vede nelle cattedrali gotiche l’uso di teste mostruose e grottesche. Leonardo è partecipe di questo clima perché le sue sono teste mostruose e “caricate”, dove prevalgono intendimenti morali o critiche sociali, poste in contrasto col bello ideale, da cui l’equazione Bello=Buono e Brutto=Cattivo o malefico. Leonardo e i Carracci si rivolgono all’osservazione del reale e del quotidiano “caricando” e insistendo su certe deformazioni congeniali a questo scopo. La caricatura propriamente detta, invece, nasce assai più tardi e ha intendimenti ludici, per far sorridere e divertire, come avviene nelle caricature di Zanetti, Tiepolo e Marco Ricci. Naturalmente in età moderna le due concezioni si intrecciano.
Come un apparente esercizio di stile da parte dell’artista può racchiudere il senso stesso della vita, la caducità e la contemplazione del diverso? Quale pensiero emerge da queste opere e quali ‘deformazioni’ della psiche ha assunto nel tempo?
Le teste “caricate” possono alludere anche al tempo che passa, che trasforma il Bello in aspetti sgradevoli. In questo senso Leonardo, ma anche Giorgione, hanno molto rappresentato la terza età e gli effetti del Tempo come corruttore della bellezza. Nei disegni di Leonardo si vedono spesso contrapposte figure e profili di giovani bellissimi a profili o teste di vecchi corrotti dal tempo. Parlare di analisi psicologiche per queste esercitazioni non è del tutto corretto, anche se talvolta le teste “caricate” di Leonardo sono state interpretate come prodotti di un pensiero autobiografico o psicologico.
Quali i maggiori maestri che svilupparono questa pratica e quali di essi sono presenti in mostra?
La mostra vuole presentare gli effetti di quest’intreccio soprattutto nel secolo XVIII a Venezia, contribuendo a mettere in evidenza il sostrato “leonardesco” della caricatura veneziana. Qui un erudito e un dilettante d’arte come Anton Maria Zanetti leggeva il Trattato della Pittura di Leonardo, i trattati del lombardo Giovan Paolo Lomazzo e consultava Le Arti a Bologna di Annibale Carracci, o ancora le raccolte di Teste caricate di Leonardo pubblicate dal Conte di Caylus. Giovan Battista Tiepolo possedeva nella sua Biblioteca i Grotteschi dello stesso Lomazzo, teorico milanese di tradizione leonardesca. Zanetti, che come Rosalba Carriera intratteneva rapporti con collezionisti francesi e inglesi di disegni di Leonardo, mise in relazione le caricature con il mondo dell’opera e della musica, allestendo un Gran Teatro del Mondo.
De’ Visi Mostruosi e Caricature è un percorso inedito e straordinariamente affascinante che parte dalla Collezione Ligabue. Come viene restituito in mostra questo viaggio tra le pieghe dell’arte più intima e le infinite sfumature di una collezione?
L’idea iniziale della mostra era quella di contestualizzare le caricature (non solo veneziane) della Collezione Ligabue attraverso confronti e relazioni con disegni custoditi in altre collezioni, non di presentare un excursus sulla caricatura in generale. Il risultato più spettacolare raggiunto è il confronto fra le caricature di Tiepolo della Collezione con quelle sempre di Tiepolo custodite nel Gabinetto dei disegni del Castello Sforzesco di Milano.
La Testa di vecchia di Leonardo. Ci descriva questo disegno e la sua importanza.
Il disegno, più volte pubblicato, è stato studiato e attribuito a Leonardo da Luisa Cogliati Arano e viene messo qui a confronto con disegni autografi di Leonardo stesso custoditi nella Biblioteca Ambrosiana di Milano e nella Collezione del Duca di Devonshire a Chatsworth. È un disegno di notevole importanza nel trasmetterci una serie di caratteri e motivi di origine vinciana. Il volto della vecchia è veramente orrendo, con la civetteria di un grazioso e leggiadro nodo sulla testa che sembra, per leggerezza e ductus, la firma di Leonardo, anche se il disegno deve essere stato ripassato più tardi da altra mano.
Quale excursus temporale viene coperto dalla mostra?
Si parte da disegni di Leonardo della fine del Quattrocento, si prosegue con prove dei suoi allievi e seguaci (Melzi, Giovanni Agostino da Lodi, Figino, Arcimboldo, Lomazzo), si offre una campionatura del naturalismo bolognese (Annibale e Agostino Carracci, Donato Creti) e di qualche esempio centro-italiano e nordico e si arriva ai pittori veneziani già citati, concludendo il percorso con stampe e incisioni tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Come conclusione, si offre l’interpretazione contemporanea del tema da parte di un grande artista come Francis Bacon, che esplora, questa volta sì, gli incubi dell’inconscio e della psiche riflessi nella deformazione dei tratti fisiognomici di una donna.
Come per tutte le mostre della Fondazione Ligabue la parte scientifica è particolarmente approfondita e puntuale. Ci racconti come siete riusciti a ottenere prestiti tanto importanti e del tutto inediti.
È stato un grande impegno da parte del curatore (ndr: ossia chi sta rispondendo, Pietro C. Marani), del Presidente della Fondazione Inti Ligabue e dei membri del Comitato scientifico, che hanno condiviso e apprezzato il progetto concedendo di conseguenza i prestiti richiesti. In questa fase determinante è stato l’incoraggiamento del Direttore della Pinacoteca Ambrosiana, Alberto Rocca, del Presidente della Fondazione Giorgio Cini, Luca Massimo Barbero, del Gabinetto disegni del Castello Sforzesco di Milano, nella persona del suo Direttore Alessia Alberti, della Pinacoteca di Brera a Milano, nella persona del Conservatore Letizia Lodi, e del VII Duca di Devonshire, che ha prestato ben dodici disegni di Leonardo dalla sua collezione a Chatsworth, mai esposti prima in Italia. Abbiamo iniziato a elaborare il progetto scientifico fin dal 2019, che ha dovuto poi, anche a causa della pandemia, essere rimodulato più volte. Non ci si immagina la mole di lavoro nelle fasi istruttorie e nell’organizzazione delle richieste dei prestiti che è stato compiuto dallo staff della Fondazione in relazione con i principali Musei europei (dagli Uffizi di Firenze al Louvre di Parigi, dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia alla Nuova Fondazione Pedretti a Vinci, all’Ente Raccolta Vinciana di Milano), con il coordinamento di Lucia Berti e di Elisa Bissacco, né il lavoro scientifico a monte di tutto ciò che vede nel Catalogo della Mostra, edito da Marsilio, un punto di raccolta di nuove informazioni e, ci auguriamo, un punto di partenza per ulteriori approfondimenti.
Other artists who followed the trend
Our exhibition presents the effects this art current had especially in eighteenth-century Venice, highlighting Leonardo’s influence in the substrate of Venetian culture. An erudite, and amateur artist, such as Anton Maria Zanetti read Leonardo’s Treatise on Painting, books by Giovan Paolo Lomazzo, Annibale Carracci, and perused Leonardo’s heads in Caylus’s collection. Giovan Battista Tiepolo owned some of Lomazzo’s grotesque drawings. Zanetti drew his own comparison between caricature and opera.
The exhibition
The core idea of our exhibition is to provide context for the caricatures of the Ligabue Collection by making comparisons and tracing lines with drawings belonging to other collections, and not to produce an excursus into caricature in general. I think the most interesting result is our comparison between Tiepolo’s caricature belonging to the collection and the ones, again by Tiepolo, that are part of the drawings collection at the Castello Sforzesco in Milan.
Leonardo’s old woman
The drawing is quite famous. It had been attributed to Leonardo by Luisa Cogliati Arano, and in our exhibition, it is placed alongside other autographed drawings by Leonardo that belong to the Ambrosiana Library in Milan and to the Duke of Devonshire’s collection in Chatsworth. This piece of art is of utmost importance in how it carries a number of features and motifs that we identify the artist with. While the face is hideous, the vanity of the veil and headdress look, in their lightness, like the very hand of Leonardo. It is assumed that the drawing had been retraced at a later time by an unknown artist.
The timeframe
We started with Leonardo’s drawings dating to the late 1400s, and built upon them with pieces by some of his apprentice and disciples (Melzi, Giovanni Agostino da Lodi, Figino, Arcimboldo, Lomazzo). Further on, we have a sampling of naturalist art of Bolognese school (Annibale and Agostino Carracci, Donato Creti), and some examples from Central Italy and Northern Europe, on to the Venetian painters we mentioned earlier. Wrapping up the exhibition are prints and engravings from the late 1700s and early 1800s. the very last piece is a modern interpretation of the overall concept by none other than Francis Bacon, who explores the nightmare of the subconscious in the deformation of a woman’s facial features.
arte IN THE
CITY
WAITING FOR CARPACCIO
Un attimo immobile
Il duello di Giorgio e il drago alla Scuola Dalmata
Il più celebre dei dipinti del primo ciclo di Vittore Carpaccio per la Scuola Dalmata dei santi Giorgio e Trifone, universalmente nota come Scuola di San Giorgio degli Schiavoni, è quello de Il duello di Giorgio e il drago (150102). Giorgio, giovane cavaliere biondo e senz’elmo, viene colto dal Maestro nell’istante esatto in cui la sua lancia uncinata entra attraverso la bocca nel cranio del drago, sfondandolo. Tutto è perfettamente immobile, l’universo intero si blocca al fragore del legno che si conficca nel corpo del mostro e si spezza, come nella celebre pagina degli apocrifi al momento della nascita di Gesù: silenzio e immobilità. Le bocche degli agnelli che bevono al torrente restano sospese, le onde del ruscello si fermano, così come gli astri, gli uomini, i rettili, le navi, gli uccelli. Giorgio appare appena accigliato, concentrato sul suo obiettivo, caricato come una molla, assecondato dalla sua cavalcatura a far sì che lo sforzo produca il massimo effetto. Ma attorno ai protagonisti c’è un mondo intero pronto a riprendere il suo moto incessante: serpenti e ramarri, navi a vele spiegate, gli abitanti di Selene che solo dopo il dramma troveranno il coraggio e la forza di manifestarsi, anzi, di montare una festa con trombe e tamburi. Nella Legenda aurea Jacopo da Varagine narra di una città della Libia, Selene, tormentata da un drago cui gli abitanti sono costretti a consegnare il tributo di due pecore al giorno per saziarlo e vivere in – relativa – tranquillità. Finite le pecore si è costretti a passare ai giovinetti: ecco i resti sparsi sul terreno mescolati ai crani degli ovini che fanno da orribile tappeto allo scontro (qualcuno, con una punta di
malizia, potrebbe ricordare certi pavimenti in mosaico delle ville romane con i resti del cibo sparsi alla rinfusa). La sorte, a un certo punto, fa sì che il sacrificio tocchi alla figlia del re. Il padre tenta in tutti i modi, senza risultato, di scongiurare quest’epilogo, ma la cosa sta per provocare una ribellione dei sudditi: «se non permetterai che questa muoia come gli altri, bruceremo te e la tua casa». Non c’è nulla da fare. Eccola, la giovane principessa un po’ arretrata, in piedi su una balza del terreno, le mani giunte non a invocare pietà a Dio Padre (è ancora pur sempre pagana!) ma rassegnata, in attesa di essere brutalmente sacrificata. Ma è arrivato appena in tempo Giorgio (“che per caso passava di là”) e anche se lei lo consiglia più volte di girare alla larga, egli ingaggia col mostro una sfida mortale, vincendola. I simboli abbondano e sovrabbondano: dall’albero metà morto e metà vivente, ricorrente nella simbologia cristiana a indicare la vecchia e la nuova legge, alla serie intera di animali che si cibano dei resti umani e che hanno ciascuno una qualificazione morale, alle piante, dalle navi a vele spiegate o in rada, per non parlare delle architetture e dei differenti e variatissimi edifici che popolano il paesaggio.
Giandomenico Romanelli*
La potenza degli opposti Carpaccio all’Abbazia di San Giorgio
Il San Giorgio e il drago di San Giorgio Maggiore è un dipinto poco visto: non sta in chiesa ma in una sala relativamente ‘riservata’, un tempo coro d’inverno o coro di notte, poi detta “sala del conclave” giacché per oltre tre mesi a cavallo tra 1799 e 1800 – occupata Roma dai francesi e garantita Venezia dagli austriaci – vi si tenne la travagliata assemblea cardinalizia che portò all’elezione di papa Pio VII Chiaramonti. Alla scarsa considerazione generale, che appare francamente incomprensibile per chi ne abbia diretta conoscenza, contribuisce forse la convinzione diffusa – soprattutto nella vecchia saggistica, ma talvolta anche in contributi più recenti – che il dipinto provenga dall’abbazia benedettina di Santa Maria del Pero a Monastier nella marca trevigiana.
Questo San Giorgio e il drago, firmato e datato 1516, è inoltre un’opera poco stimata, generalmente liquidata come replica variata del celebre San Giorgio e il drago eseguito ai primi del secolo per la fraternita dalmata. Se considerato nel suo momento e nel suo contesto, recupera invece tutto il suo spessore e la sua autonomia, offrendo – anche rispetto al suo indiscutibile “prototipo” – una serie di elementi di assoluta novità che rimandano al monastero benedettino di San Giorgio Maggiore e alla sua cultura religiosa.
Il dipinto presenta in primo piano il duello di San Giorgio col drago, desunto nei tratti essenziali, come al solito, dalla raccolta di leggende di santi costituita nel XIII secolo da Jacopo da Varagine, la celebre Legenda aurea, poi diffusa in un numero sterminato di edizioni a stampa, soprattutto in volgare col titolo Legendario de sancti Ridotti al minimo i dettagli orrorifici di resti umani e animali, e quasi nascosta dietro un albero la principessa con l’agnellino dell’innocenza, della mansuetudine e del sacrificio fortunosamente evitato, il clou della vicenda sta nel confronto tra due potenze incompatibili e inconciliabili: il cavaliere cristiano e la bestia diabolica, il cavallo dall’occhio languido e il drago dall’occhio infuocato e iniettato di sangue.
Augusto Gentili*
* Testo tratto dal catalogo della mostra: Carpaccio. Vittore e Benedetto da Venezia all’Istria, (Conegliano, Palazzo Sarcinelli, 7 marzo-28 giugno 2015), Marsilio, 2015
IL TORMENTO E L’ESTASI
Anche Ai Weiwei (Pechino, 1957), e non poteva essere diversamente, nell’attraversare con le sue opere tra fine agosto e fine novembre 2022 gli spazi monumentali della Basilica palladiana di San Giorgio e dell’omonima Abbazia benedettina nella mostra La Commedia Umana – Memento mori, promossa e organizzata da Fondazione Berengo, Benedicti Claustra Onlus e Galleria Continua, e dominata dall’immenso suo lampadario in vetro di Murano, immaginiamo abbia subito il “folgorante” fascino dell’arte veneziana e in particolare di uno dei mostri sacri della pittura, Vittore Carpaccio. Che sia stata la sindrome di Stendhal o la sua proverbiale ironia che utilizza la provocazione come profonda riflessione sul nostro contemporaneo, ma Ai Weiwei, a conclusione della mostra, ha deciso di realizzare una speciale copia della pala di Carpaccio San Giorgio e il drago, custodita nell’Abbazia. La potenza della pittura di Carpaccio suscita nell’artista il desiderio di mettersi in gioco, realizzando “a modo suo” una copia in scala 1:1 dell’originale in Lego.
Untitled ( Saint George slaying the dragon ), commissionata proprio dai benedettini, approfittando del temporaneo prestito della pala alla incredibile mostra dedicata al Carpaccio appena conclusa con enorme successo a Washington e presto, dell’attesissima mostra di Palazzo Ducale, che aprirà il 18 marzo, rimarrà visibile nell’Abbazia fino al ritorno dell’originale, il prossimo 18 giugno.
arte
PHOTOGRAPHY
La direzione del tempo Palazzo Grassi, un secolo di fotografia “patinata”
È Matthieu Humery, curatore e storico della fotografia francese, consulente per la fotografia della Pinault Collection, già curatore delle mostre sempre a Palazzo Grassi HYPERVENEZIA (2021), Henri Cartier-Bresson. Le Grand Jeu (2020) e Youssef Nabil (2020), che ci guida alla scoperta di un giacimento di veri tesori fotografici del Ventesimo secolo, capolavori provenienti dagli archivi di Condé Nast, in parte recentemente acquisiti dalla Pinault Collection. «Cominciamo a chiederci cos’è che ammiriamo quando guardiamo una fotografia: la realtà stessa, forse con un velo di nostalgia, o meglio lo sconcertante splendore della perfetta somiglianza/illusione». Con questa premessa ci accingiamo a scoprire CHRONORAMA, la mostra, che apre al pubblico il 12 marzo, che riunisce oltre quattrocento opere, riportando in vita il Ventesimo secolo attraverso eventi, fenomeni sociali e personalità illustri che lo hanno segnato. Percorrendo il secolo dagli anni Dieci fino agli albori degli anni Ottanta, questa selezione presenta opere di oltre centocinquanta artisti internazionali come Edward Steichen, Berenice Abbott, Cecil Beaton, Lee Miller, André Kertész, Horst P. Horst, Diane Arbus, Irving Penn, Helmut Newton, tra i fotografi, Eduardo Garcia Benito, Helen Dryden e George Wolfe Plank, tra gli illustratori. Tra i più grandi talenti della loro generazione, questi artisti hanno definito l’estetica fotografica e artistica del tempo attraverso la pubblicazione del proprio lavoro sulle riviste edite da Condé Nast («Vogue», «Vanity Fair», «House & Garden», «Glamour», «GQ» …).
Il nucleo di immagini storiche in mostra è posto in dialogo con Chronorama Redux, un progetto che propone uno sguardo contempora-
neo sulle opere di CHRONORAMA attraverso i lavori di quattro artisti: Tarrah Krajnak, Erik N. Mack, Giulia Andreani e Daniel Spivakov. Le opere sono allestite in quattro spazi espositivi diversi di Palazzo Grassi come interludi che irrompono nel percorso cronologico della mostra principale.
Rinnovare lo sguardo, esplorare il rapporto con il tempo e le immagini, trasmettere testimonianze del passato: questi sono i principi della Pinault Collection, che si incarnano in questo primo progetto inedito attorno agli archivi leggendari di Condé Nast. M.M.
ENG Matthieu Humery is a veteran French photography curator and a consultant for the Pinault Collection. For Pinault, he curated exhibitions HYPERVENEZIA of 2021, Henri Cartier-Bresson. Le Grand Jeu of 2020, and Youssef Nabil of 2020 – a veritable treasure trove of twentieth-century photography from the Condé Nast collection, recently acquired by Pinault. What we are looking forward, today, is CHRONORAMA , the upcoming exhibition opening on March 12 that will collect over 400 pieces to revive the photographical aesthetics of the twentieth century. The images acquired their fame after being published in magazines such as Vogue, Vanity Fair, House & Garden, Glamour, GQ, and others. Parallel exhibition Chronorama Redux hired four artists, Tarrah Krajnak, Erik N. Mack, Giulia Andreani, and Daniel Spivakov, to create interludes with the main exhibitions.
In questi mesi di dure lotte in Iran, il valore della libertà al femminile assume un prezzo inestimabile. Ho sempre pensato alla Festa della Donna come a una ricorrenza assurda, ma poi la cronaca quotidiana mostra come quello che appare acquisito per una parte del mondo, è ancora oggetto di protesta e lotta o peggio di soppressione in altre latitudini. E così volti lo sguardo al Novecento per ringraziare donne che hanno lottato per la nostra libertà. Una piccola e raffinatissima mostra in corso a Palazzo Franchetti, Lee Miller – Man Ray. Fashion, Love, War, restituisce al pubblico la memoria di una figura femminile emblematica, certamente e potenzialmente protagonista, ma per l’epoca costretta a ricoprire un ruolo di secondo piano. Artista e fotografa, quando queste si contavano sulle dita di una mano, desiderava far sentire la sua voce attraverso l’arte, non un’eroina, non una santa, semplicemente una donna libera che definiremo “contemporanea”, divenuta icona del Novecento. La sua figura modernissima è resa in maniera affascinante attraverso 140 fotografie proposte in mostra. Lee Miller (1907–1977) ha messo tutta sé stessa in quello che faceva, e i successi di donne come lei hanno aiutato tante ragazze a capire che non bisogna mai accontentarsi o censurarsi per assecondare le convenzioni. Modella di «Vogue» – la sua bellezza non passava inosservata, immortalata dai più grandi fotografi dell’epoca e fotografa a sua volta, musa, assistente e poi amante di Man Ray, reporter di guerra. La guerra fu un’esperienza che la segnerà pesantemente: Lee Miller documentò l’entrata degli Alleati nel campo di Dachau, ma anche venne fotografata da Sherman nella vasca del bagno privata di Hitler. «Continuo a ripetere a tutti: “Non ho perso un minuto in tutta la mia vita” – ma ora so che se la ripetessi sarei ancora più libera con le mie idee, con il mio corpo e il mio amore» (Lee Miller). M.M.
ENG Over the last several months of protest in Iran, it became all the more apparent that the freedom of women is priceless. I’ve always thought Women’s Day didn’t make much sense, but what we take for granted in many parts of the world is still object of political protest and fighting, or even repression. And that’s when you look back at twentieth-century history and are thankful to the women who fought for our freedom. A small, exquisite exhibition, now open at Palazzo Franchetti: Lee Miller – Man Ray. Fashion, Love, War, celebrates one such woman, photographer and photojournalist Lee Miller (1907—1977). “I keep saying to everyone, ‘I didn’t waste a minute all my life’ – but I know myself, now, that if I had it over again, I’d be even more free with my ideas, with my body and my affection.”
si svolgerà dal 20 aprile al 24 novembre 2024. La scelta di Pedrosa, primo latino-americano alla guida dell’Esposizione, è «frutto di un processo partito dall’esperienza maturata con il lavoro fatto da Cecilia Alemani», come ha sottolineato il Presidente de La Biennale Roberto Cicutto. L’attenzione verso artiste e artisti provenienti da zone geo-politicamente svantaggiate, la sensibilità alla questione femminile nell’arte, la volontà di amplificare le voci delle minoranze e delle realtà locali – elementi che hanno decretato il successo de Il latte dei sogni – sono riscontrabili nel ciclo di “Storie” proposto da Pedrosa durante il suo decennio al MASP: Histories of Childhood (2016), Histories of Sexuality (2017), Afro Atlantic Histories (2018), Women’s Histories, Feminist Histories (2019), Histories of Dance (2020), Brazilian Histories (2022). E un segno di continuità lo ritroviamo anche con la precedente Biennale Architettura, se si considera che il Museo di San Paolo è opera dell’architetta italiana naturalizzata brasiliana Lina Bo Bardi, cui era stato attribuito un Leone d’Oro speciale in memoriam nel 2021, nell’edizione curata da Hashim Sarkis. Un legame anche di intenti. Sotto la direzione di Pedrosa, infatti, il Museo ha reintrodotto la formula espositiva originaria della Picture Gallery ideata da Bo Bardi, ovvero l’esposizione di quadri infilati in lastre di vetro incastonate in supporti di cemento. Una soluzione che libera le opere dalla rigidità del supporto a muro, affrancandole – nelle intenzioni dell’architetta – dalla solennità dei musei tradizionali. Adriano Pedrosa è stato anche curatore della 12. Biennale di Istanbul (2011) e co-curatore del Padiglione di San Paolo alla 9. Biennale di Shanghai (2012). Recentemente il Center for Curatorial Studies del Bard College di New York gli ha conferito l’Audrey Irmas Award for Curatorial Excellence. Marisa Santin
60. Biennale Arte
Il prezzo della libertàPhoto Daniel Cabrel, Courtesy Museu de Arte de Sao Paulo
Colpo d’occhio L’istante perfetto di Inge Morath
Nel centenario della nascita della grandissima fotografa austriaca (Graz, 1923 – New York, 2002), Palazzo Grimani ospita la mostra Inge Morath. Fotografare da Venezia in poi, a cura di Kurt Kaidl e Brigitte Blüml, con Valeria Finocchi, duecento immagini tratte dai suoi reportage in giro per il mondo, dalla Spagna alla Francia e poi Iran, Cina, Stati Uniti, Russia.
Una speciale sezione focalizza l’attenzione sulle immagini che Inge Morath scattò a Venezia, circa un’ottantina, esposte per la prima volta in Italia
Il primo incontro tra la fotografa e Venezia fu in occasione del suo viaggio di nozze nel 1951, arrivata nella città lagunare con il neosposo Lionel Burch: Inge Morath si innamorò perdutamente della città, delle Isole, di Carpaccio e di Tiepolo, della luce, della gente e dei gatti... All’epoca del primo soggiorno veneziano, la Morath lavorava in Magnum non come fotografa ma come collaboratrice redazionale. Si occupava, anche grazie alla sua conoscenza delle lingue, della realizzazione delle didascalie che accompagnavano le immagini dei suoi colleghi fotografi, del calibro di Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e Robert Capa. In quel novembre, la luce di Venezia sotto la pioggia la stregò tanto da indurla a chiamare Robert Capa, responsabile della Magnum, per suggerirgli di inviare un fotografo in grado di catturare la magia che tanto la stava stupendo. Capa le rispose che un fotografo di Magnum a Venezia c’era già: era lei con la macchina fotografica. Non restava che comprare un rullino, caricarla e iniziare a fotografare. «Fotografare – affermò Morath – è un fenomeno strano. Ti fidi dei tuoi occhi e non puoi fare a meno di mettere a nudo la tua anima». Fu quello il primo reportage che Inge fece per l’Agenzia Magnum. Era nata a Graz, in Austria, nel 1923 successivamente si era trasferita a Berlino dove aveva studiato lingue, parlava inglese, francese, spagnolo, rumeno, russo e persino mandarino. Tutto ciò le fu molto utile durante i suoi viaggi, riuscì infatti a instaurare rapporti profondi con le varie popolazioni, tanto che i suoi reportage hanno sempre una connotazione culturale, sociale, etnografica e non si limitano a una mera attività documentale. Fece la giornalista, poi l’interprete e infine entrò nell’agenzia Magnum nel 1949 come redattrice, ma nel 1953 grazie a Robert Capa, che capì subito di quanto talento fosse dotata, diventò la prima donna a farne parte come fotografa. Fondamentali nel suo percorso artistico saranno il fotografo Henri CartierBresson e più avanti l’artista Saul Steinberg, da questo sodalizio derivarono le celebri foto con le maschere ricavate da un sacchetto di carta. Sul set de Gli spostati, impegnata in un reportage, conosce Arthur Miller, al tempo marito della protagonista del film, Marilyn Monroe, tra i due nascerà un legame profondo che li porterà nel 1962 al matrimonio. Si trasferì negli Stati Uniti e con il marito proseguì nei suoi viaggi, insieme frequentarono l’élite culturale del tempo, a cui la Morath fece celebri ritratti. Elisabetta Gardin
At first ENG sight
In the hundredth anniversary of the great Austrian photographer (Graz, Austria, 1923 – New York, 2002), Palazzo Grimani houses exhibition Inge Morath. Fotografare da Venezia in poi, curated by Kurt Kaindl and Brigitte Blüml, which includes over two hundred pictures from Morath’s travels around the world: Spain, France, Iran, China, USA, Russia. A special section is dedicated to photographs of Venice. The photographer first visited Venice in 1951 on her honeymoon. She soon fell in love with the city, the islands, the art, the light, the people, and the cats… at the time, Inge Morath did have a job at Magnum, though not as a photographer, but as an editor. She would write captions for photographs taken by Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger, and Robert Capa, among others. Her career change was Capa’s idea, who trusted Morath’s eye and knew she had a beautiful soul. Venice was her first photo pheature for Magnum.
On the set of The Misfits, while working on a feature, Inge Morath met Arthur Miller, who at the time was married to Marilyn Monroe, starring in the movie. The relationship between Morath and Miller ended up in marriage in 1962. She moved to America and kept working and travelling with her new husband while also making famous portraits of the American cultural elite of the time.
Inge Morath. Fotografare da Venezia in poi Fino 4 giugno Palazzo Grimani ingemorathexhibition.com
arte IN THE CITY
REGARDE VÉNITIENS
Il gioco degli specchi
Giornalista e conduttore televisivo e radiofonico di fama internazionale, Nikos Aliagas (Parigi, 1969), francese di origini greche, è anche un fotografo autodidatta, il cui sguardo rivela una visione del mondo piena di umanità, che mette in risalto attraverso i contrasti del bianco e nero. Empatico con i soggetti che fotografa, vicino alle sensibilità artistiche di Salgado, Koudelka o Artikos, Nikos Aliagas cerca di catturare l’essenza delle persone, il mistero della loro esistenza. Il suo “pellegrinaggio di osservazione” lo ha portato a immortalare una Venezia piena di umanità, di segreti e di eco lontane. Nikos Aliagas ha percorso le calli veneziane per incontrare quelli che in città non si vedono: gli abitanti, ossia coloro i quali evitano gli sguardi degli obiettivi dei turisti. Il progetto Regards Vénitiens, ora divenuto mostra, è germogliato e cresciuto nell’anima dell’artista quando su invito della Fondazione dell’Albero d’Oro, nella formula della residenza avvenuta da luglio a dicembre 2022, ha visitato per la prima volta la Laguna e ne ha potuto osservare la realtà misteriosa e affascinante. In quel momento è nata l’idea di guardare veramente all’interno di Venezia, esplorando il mondo che ruota intorno a Palazzo Vendramin Grimani, immergendosi nella quotidianità straordinaria di Campo San Polo per raccontare le storie di chi vive e fa vivere questi luoghi. Il risultato del suo lavoro costituisce ora il corpus di opere originali realizzate appositamente per la mostra Nikos Aliagas. Regards Vénitiens, allestita negli oltre 400 mq del piano terra e della corte di Palazzo Vendramin Grimani dal 4 febbraio al 2 aprile.
Quando è arrivato per la prima volta a Venezia quali sono state le sue impressioni e quali sono state le basi per lo sviluppo del suo progetto Regards Vénitiens ?
Quando si parla di Venezia è sempre difficile riferirsi a una prima volta, in quanto è una città che ospita talmente tanti turisti, decine di milioni ogni anno. Per cui dire “arrivare per la prima volta” significa arrivare quasi in sordina, in un posto che è comunque più forte di te, più grande di te. Un luogo che è stato visto, fotografato, disegnato e che ha ispirato l’intero pianeta attraverso i secoli. Ci arrivi, quindi, con molta modestia. E ovviamente era impossibile durante questa mia permanenza e i viaggi di andata e ritorno che ho fatto dire che sarei venuto a fare una mostra su tutta Venezia: a Venezia devi scegliere. Altrimenti sei perso. Anche se quello che è stato interessante la prima volta è stato proprio riuscire a perdermi tra le calli della città,
per poi ritrovarmi in qualche modo o per trovare, forse, ciò che mi dava una strana sensazione nell’essere osservato. Mi sentivo come se fosse Venezia che mi guardava.
Il punto di partenza è stato il sestiere di San Polo, dove peraltro si erano insediati i primi abitanti della città, perché era una zona non direttamente esposta alle inondazioni del mare. San Polo è un sestiere piccolo ma anche uno dei più antichi. E questo microcosmo mi ha davvero commosso. È stato proprio partendo da lì che ho visto i veri abitanti di Venezia, quelli che mi interessavano, ossia il barista, la signora della pasticceria, il calzolaio, lo sguardo di un uomo che fuma tranquillamente sul balcone e che guarda il mondo che passa sotto i suoi occhi. Ho trovato questo rimanere fermi ad osservare fiumi di individui provenienti da ogni dove che si incrociano sotto casa davvero una disposizione molto interessante, perché restituisce visivamente l’idea che in fin dei conti si può essere veneziani e aver visto il mondo anche senza aver mai viaggiato. Ed è proprio questo sguardo che volevo fotografare. Quello sguardo che sa, che ricorda e allo stesso tempo non giudica. Osserva. Osserva il mondo che si muove e in questa città dove tutto è movimento – con milioni di persone che camminano incessantemente su e giù per i ponti – è proprio nell’immobilità che meglio se ne coglie il significato. O per meglio dire in una falsa immobilità.
Lei ha saputo entrare molto rapidamente nel cuore della città, cogliendone gli aspetti più intimi. Quali sono i risultati raggiunti dal suo reportage visivo? Come vede il futuro di Venezia?
Un fotografo non sa mai veramente se ha ottenuto il risultato che si era prefisso. Posso prendere un appuntamento per fare delle foto, ma quello che mi interessa è quello che non so. Visitare un laboratorio di maschere per poi rendersi conto che in un angolo c’è qualcosa che dice più del luogo dell’atelier stesso; oppure passeggiare per le calli e trovare giovani, italiani e veneziani, che fanno stampe su carta come facevano i loro nonni o bisnonni più di 100 anni fa. È una città che ti può sorprendere in qualsiasi momento, insomma. È una città di dettagli e insieme di micro-dettagli, ma allo stesso tempo una città di orizzonti. L’impressione di movimento continuo creato dall’acqua può produrre talvolta delle percezioni stranianti, ma allo stesso tempo crea un equilibrio. Si ha come l’impressione che Venezia viva sospesa in equilibrio tra passato, presente e futuro con un punto interrogativo.
Non ho una conoscenza abbastanza approfondita di tutta la problematica legata al futuro di Venezia per poterne parlare con sufficiente cognizione di causa; una cosa però mi è chiara: fin dalla sua creazione tutti si sono posti il problema della sua sopravvivenza. Coloro che si sono posti questa domanda e che ancora oggi se la pongono hanno la risposta davanti ai loro occhi. Venezia è ancora qui. Venezia è nello stesso tempo un’idea e una grande opera architettonica. È qualcosa al contempo di visibile e di invisibile.
C’è una frase che amo molto sentir dire: «Ho deciso di cambiare la mia vita, vado a Venezia. Mollo tutto e vado a vivere a Venezia». Come se Venezia ti desse il diritto di rinascere. Ed è proprio la sensazione che ho provato io stesso venendo in questa città. Come se nelle acque di Venezia potessi ribattezzarti e iniziare una nuova vita.
The game ENG of mirrors
Journalist and anchor-man of international renown, Nikos Aliagas (Paris, 1969), French of Greek origin, is also a self-taught photographer, whose gaze gives a vision of the world full of humanity he highlights through the contrasts of black and white. Empathetic with the subjects he photographs, close to the artistic sensibility of Salgado, Koudelka or Artikos, Nikos Aliagas tries to capture the essence of people, the mystery of their existence. His “pilgrimage of observation” led him to immortalize Venice as a city full of humanity, secrets and distant echoes. Nikos Aliagas walked through Venetian streets to meet people you don’t usually see in the city: its inhabitants, the persons who avoid the gazes of tourists’ cameras. His Regards Vénitiens project, which is now an exhibition, took shape and developed in his soul when he was invited from Fondazione dell’Albero d’Oro to spend some months in Venice from July to December 2022. This was his first time in the Lagoon and here he could observe its mysterious and charming essence. He soon realized that he wanted to look inside Venice, exploring the world of Palazzo Vendramin Grimani, immersing himself in the extraordinary everyday life of Campo San Polo to tell the stories of the persons living in this place. The result of his work is a series of original works created specifically for the exhibition Nikos Aliagas. Regards Vénitiens, set up on the ground floor and in the courtyard of Palazzo Vendramin Grimani – over 400 square meters – from February 4 to April 2.
When you first arrived in Venice, what did you feel and how did you find the basis for the development of your project Regards Vénitiens?
When we talk about Venice it is always difficult to speak of a first time, as it is a city that sees so many tourists, tens of millions every year. So when you say “arriving for the first time” it’s like
C’è una frase che amo molto sentir dire:
«Ho deciso di cambiare la mia vita, vado a Venezia». Come se Venezia ti desse il diritto di rinascere
arte IN
THE CITY
NIKOS ALIAGAS
Venezia, una delle città più fotografate e rappresentate al mondo. Può ancora davvero riservare qualche sorpresa? Dipende. Non è mai lo stesso cielo. Puoi fotografare il Ponte di Rialto un milione di volte, non sarà mai lo stesso ponte. La luce qui è fantastica. Si possono visitare chiese come Santa Maria Gloriosa dei Frari, la Scuola Grande di San Rocco, o ancora i palazzi... Ci vogliono diverse vite per comprendere Venezia. Anche se “comprendere” non è probabilmente il termine giusto da usare qui, perché è un verbo che include l’idea di “prendere”. Non sono venuto a Venezia per prendere qualcosa. Sono venuto per lasciarvi possibilmente qualcosa, vale a dire il mio sguardo. E quando me ne sono andato, ho custodito dentro di me i silenzi, i chiaroscuri, le luci. Come qualcosa di prezioso e fragile. Direi quindi che è una città che può riservare delle sorprese a patto che non si arrivi qui pieni di certezze.
Ha scelto di restituire il suo racconto visivo esclusivamente in bianco e nero. Quali sono i motivi di questa scelta?
Fotografo in bianco e nero perché ritengo sia la scelta migliore per catturare solo l’essenziale, che a mio avviso si riassume nella curva, nel contrasto e nell’inquadratura. Forse mi sbaglio, ma le mie prime emozioni fotografiche mi piace ricordare che siano state in bianco e nero: erano le fotografie dei miei antenati che ho scoperto quand’ero giovane, in una scatola di scarpe di mia nonna, in Grecia. Ho passato il resto della mia vita fino a oggi, 54 anni, alla ricerca di quella prima emozione, di quei volti senza tempo quasi fissati in una teatralità, in qualcosa di iscritto e inciso sul marmo del tempo. La gente allora non sorrideva nelle foto, perché consideravano la fotografia un atto serio, una firma e non un hobby. Forse è proprio questo che sto ancora cercando attraverso l’utilizzo del bianco e nero: un’atemporalità e allo stesso tempo una firma. Una firma contro l’equivoco del colore. È più intrigante fotografare un bel tramonto di un vecchio che fuma in una calle di Venezia, un vecchio che non si è messo in posa per essere fotografato e che ha molto più da dire di una cartolina.
Quali nuove suggestioni ha offerto al suo percorso artistico questa residenza alla Fondazione dell’Albero d’Oro,?
La residenza è un’opera d’arte. Il Palazzo è un’opera d’arte. Quando arrivi con le tue foto e il tuo sguardo sulla città e molto modestamente devi raccontare le tue sensazioni di Venezia e allo stesso tempo sposare l’atmosfera di Palazzo Vendramin Grimani, la cosa all’inizio non risulta così semplice, perché il Palazzo è comunque più forte di te. Palazzo Vendramin Grimani è lì da sei secoli e tu arrivi con le tue fotografie e ti senti inevitabilmente piccolo! Semplicemente non esisti.
E per di più gli dici: «guarda che cosa ho visto di te». Devi essere un po’ pazzo per offrire uno specchio a un veneziano. «Guardati allo specchio». Non so se sono riuscito a convincerlo, ma non era questo l’obiettivo; l’obiettivo era di far incontrare i nostri sguardi. E credo che la Fondazione, segnatamente Béatrice de Reyniès e tutto il suo staff, con tutta la fiducia che ha riposto nel mio lavoro mi ha consentito di raccontare, nel mio piccolo, tutto ciò che ho visto e vissuto dentro di me in questo viaggio che rimarrà per sempre un viaggio iniziatico. Possiamo ancora commuoverci, possiamo ancora ritrovarci, perderci in una città che pensiamo di conoscere anche da lontano.
Conclusione: bisogna venire a Venezia per ritornare a Venezia.
Mariachiara Marzariyou are arriving very quietly in a place that is stronger than you, bigger than you. A place that has been seen, photographed, drawn and that has inspired the entire planet through the centuries. So you get there very humbly. And of course it was impossible during my stay and my round trips to say that I would come to present an exhibition concerning the whole city of Venice: in Venice you have to choose. Otherwise you are lost. Even if the very interesting thing the first time I came here was just getting lost in the streets of the city, and then being able to find myself somehow or find, maybe, what gave me a strange feeling of being observed. I felt like Venice was watching me.
The starting point was the San Polo district, where the first inhabitants of the city had settled, because it was an area safe from sea flooding. San Polo is a small district but also one of the oldest. And this microcosm really moved me. It was there that I saw the true inhabitants of Venice, those I was interested in, namely the bartender, the cake shop lady, the shoemaker, the look of a man who smokes quietly on a balcony while looking at the world passing by. I found this very interesting because after all you can be Venetian and have seen the world without having travelled. And it is precisely this look that I wanted to photograph. A look that knows, that remembers and at the same time does not judge. A look that observes the world moving and in this city where everything is movement – with millions of people walking incessantly up and down bridges – it is exactly in stillness that its meaning is best grasped. Or rather in a false stillness.
You were able to get very quickly into the heart of the city, capturing its innermost aspects. What are the results of your visual reportage? How do you see the future of Venice?
A photographer never really knows if he has achieved the result he had meant to. I can make an appointment with someone to take pictures, but what interests me is what I don’t know. For instance you visit a mask workshop only to realize that a corner nearby tells you more about the place than the workshop itself; or while strolling through the streets you come across young people, Italians and Venetians, making paper prints as their grandparents or great-grandparents used to do more than 100 years ago. It is a city that can surprise you at any time. It is a city of details and micro-details at the same time and a city of horizons as well. The continuous movement coming from water can sometimes give you a strange feeling, but at the same time it creates a balance. You get the feeling that Venice lives suspended between past, present and future with a question mark.
I do not have an in-depth knowledge of all the problems related to the future of Venice to be able to talk about it advisedly but one thing is clear to me: since its creation, everyone has wondered if it would survive. Those who have asked themselves this question and who still ask it today to have the answer before their eyes. Venice is still here. Venice is at the same time an idea and a great architectural work. It is something both visible and invisible. A sentence I love to hear says: “I have decided to change my life, I’m moving to Venice. I quit everything and go to live in Venice”. As if Venice gave you the right to be reborn. It’s exactly what I felt myself when I first came to this city. As if you could be baptized again in the waters of Venice and start a new life.
Venice, one of the most photographed and represented cities in the world. Can it still surprise us?
In Venice the sky is never the same. You can photograph the Rialto Bridge a million times, it will never be the same bridge. The light here is fantastic. You can visit churches such as Santa Maria Gloriosa dei Frari, the Scuola Grande di San Rocco, or the palaces... It takes several lifetimes to understand Venice. Although “understand” is probably not the right term to use here, because it is a verb that includes the idea of “grasp”. I didn’t come to Venice to grasp something. I did come to leave something, namely my gaze. And when I left, I kept inside myself its silence, its chiaroscuro, its lights. Like something precious and fragile. I would therefore say that it is a city that may surprise you as long as you do not get here full of certainties.
You chose to tell your visual story exclusively in black and white. What are the reasons for this choice?
I chose black and white for my pictures because I think it is the best choice to capture only the essential: the curve, the contrast and the shot. I may be wrong, but my first photographic emotions were in black and white: the pictures of my ancestors that I discovered when I was young, in a shoebox belonging to my grandmother, in Greece. I spent the rest of my life until today that I’m 54, looking for that first emotion, those timeless faces almost fixed in a drama, in something written and engraved on the marble of time.
At that time people did not use to smile in pictures, because they considered photography as a serious act, a signature and not a hobby. Maybe that’s what I’m still looking for by choosing black and white: timelessness and at the same time a signature. A signature against the misunderstanding of color. It is much easier to take a picture of a beautiful sunset than of an old man smoking in a narrow street in Venice, an old man who has not posed to be photographed and who has much more to say than a postcard.
What new suggestions did your staying at the Fondazione dell’Albero d’Oro offer to your artistic career?
This residence is a work of art. The Palace is a work of art. When you arrive here with your photos and your gaze on the city you have to tell very modestly your feelings about Venice and at the same time marry the atmosphere of Palazzo Vendramin Grimani. At first this is not so simple, because the Palace is still stronger than you. Palazzo Vendramin Grimani has been there for six centuries and you arrive with your photographs and you inevitably feel small! You simply don’t exist. And what’s more, you say to him: “Look what I’ve seen of you.” You must be a little crazy to offer a mirror to a Venetian. “Look in the mirror.” I do not know if I managed to convince him, but that this was not my goal; my goal was to bring our eyes together. And I believe that the Foundation, especially Béatrice de Reyniès and all her staff have allowed me to tell everything I have seen and experienced inside me during this journey which I will always consider as an initiatory journey. We can still be moved, we can still find ourselves, get lost in a city that we think we know even from afar.
Conclusion: you have to come to Venice to go back to Venice.
PHOTOGRAPHY
La danza delle ombre
Graziano Arici e il suo Caarnival del 1979
Sguardo lucido, dritto, direi severo, Graziano Arici utilizza la fotografia come un microscopio per osservare la realtà. Il suo temperamento è diventato stile o piuttosto maniera, attitudine quasi camaleontica ad adattarsi al proprio oggetto di studio, a calarsi in un ambiente per estrarne la materia. Il suo sguardo su Venezia, città natale, da cui tuttavia si è in parte allontanato (vive ad Arles in Francia), mantiene la stessa intensità. Con la sua macchina fotografica smantella la superficie per cogliere schegge di vita e momenti di attesa, di vuoto, di solitudine anche collettiva. La sua precoce intuizione di concepire l’idea di un archivio fotografico che documenti la vita artistica e culturale contemporanea, a livello internazionale, e, parallelamente, l’evoluzione della città di Venezia, ha fortemente influenzato la scelta dei lavori svolti, degli incarichi accettati, delle opere personali e restituito alla lunga una visione realista dell’evoluzione/involuzione di un tessuto cittadino sempre più snaturato, una resilienza perversa, sprofondata nel suo stesso mito. Il suo archivio, destinato a raccogliere immagini di carattere storico, culturale, artistico e di ogni provenienza, costruito come un catalogo, permette al fotografo di utilizzare per sé e mettere a disposizione del pubblico il proprio lavoro. Tuttavia, il suo non può essere considerato solo semplice sguardo documentario sul mondo, testimonianza di un’evoluzione, il fotografo lo trascende, rendendo ogni sua immagine un’opera fotografica a pieno titolo, sia plasticamente che emotivamente. Nel 2017, Graziano Arici ha deciso di lasciare questa straordinaria testimonianza storica e artistica a Venezia, scegliendo la Fondazione Querini Stampalia quale custode del suo prezioso lascito di oltre un milione e mezzo di fotografie, analogiche e digitali, che testimoniano 150 anni di storia della fotografia. La valorizzazione di questo giacimento di memoria contemporanea trova nelle mostre la sua
sintesi più efficace. Quarant’anni di scatti raccontati attraverso 400 fotografie che fanno parte di 9 diverse serie, realizzate tra il 1979 e il 2020, compongono l’esposizione Graziano Arici. Oltre Venezia. Now is the Winter of our Discontent, a cura di Daniel Rouvier e Ariane Carmignac, promossa dalla Fondazione Querini Stampalia di Venezia e dal Museo Réattu di Arles in Francia, ospitata in diverse parti della Fondazione – Area Scarpa, Portego della Biblioteca, Area espositiva terzo piano.
In occasione di un sempre più irriconoscibile Carnevale, abbiamo fermato la nostra attenzione sulla sua prima serie fotografica Caarnival, realizzata nel 1979, divenuta emblematica. Questa serie presenta persone giovani accorse al Carnevale di Venezia, tutti armati di macchina fotografica al collo, che Arici fotografa con la stessa inquadratura dal basso, in una atmosfera crepuscolare. Lo sguardo ironico di Arici sottolinea l’artificiosità di questo evento divenuto emblematico e creato al solo scopo di aumentare le presenze turistiche a Venezia in inverno. L’uso del bianco e nero aumenta la percezione di essere parte di una danza macabra. All’indomani della festa, i partecipanti infatti sembrano esausti. Si afferma in questo gruppo di immagini lo sguardo di un fotografo che fin dall’inizio della sua carriera usa il medium come mezzo di espressione artistica.
«L’opera di Graziano Arici richiede tempo, richiede che si entri nel suo mondo, e talvolta che ci si soffermi su quello che potrebbe sembrare un dettaglio, ma che, a ben guardare, diventa un motivo pieno di significato» (Daniel Rouvier). M.M.
Graziano AriciOltre Venezia. Now is the Winter of our Discontent Fino 1 maggio Fondazione Querini Stampalia www.querinistampalia.org
Oltre il giardino
Lo Studio di Alessandra Chemollo, fotografa-architetto, confinava con la nostra Redazione e sovente capitava che il suo simpatico cocker spaniel facesse visita al nostro giardinetto, quasi per sancire un rapporto di cordialità e di buon vicinato. Frangente abbastanza usuale in una città in cui si gira liberi, senza vincoli di traffico, e in cui la socialità viene favorita dalla mobilità urbana. Questa annotazione minimale riporta alla peculiarità di Venezia, un luogo assolutamente unico e straordinario, che ha la capacità di stupire anche gli sguardi più allenati alla quotidianità e contiguità col sublime. Le fotografie di Alessandra Chemollo, raccolte nel suo volume Venezia. Alter mundus per Marsilio Arte, a partire dalla dedica «a chi verrà dopo di noi», testimoniano un lascito forte e un legame strettissimo con la città. Una bellezza d’insieme evocata attraverso infiniti dettagli, un indagare e indugiare con l’obiettivo per restituire la dimensione onirica di una radice incantata. «Mundus alter Venetia dicta est»: così Petrarca definisce la città lagunare, e le fotografie di Chemollo riescono a dar voce alle “pietre” di Venezia, riportando lo sguardo sui riflessi cangianti dell’acqua e sulla mutevolezza del cielo, uscendo continuamente dal tracciato definito di confini eternamente destinati all’indeterminatezza. È così che Venezia si tramuta in un alter mundus, visitato e raccontato nel corso dei secoli da celebri viaggiatori come Henry James, Thomas Mann, Hugo von Hofmannsthal, fino a Ian McEwan e Christopher Bollen. Immagini poste in una sequenza narrativa serrata, priva di commenti. Un’ascesa verso una vetta in cui le singole pietre convergono in una geometria del bello, accostandosi le une alle altre in una vicenda di armonia senza pari. Nel mezzo del volume si trova il testo Immaginare Venezia di Franco Rella che accentua con la sua efficace scrittura gli scatti. «[Alessandra Chemollo] Non ha soltanto seguito i profili delle stupende costruzioni, dei monumenti e delle case che ci presenta; non ha solo inseguito l’acqua in cui affondano o si riflettono le colonne, ma ha cercato di svuotare Venezia da tutto ciò che oggi la costituisce, ma che soprattutto la maschera. La sua Venezia non ha piccioni, non ha gabbiani, non ha turisti». Marzio Fabi
LA FORMA DELL’ACQUA
Un progetto originale e fortemente significativo che unisce l’arte alla ricerca scientifica con esiti sorprendenti: l’artista Roberto Ghezzi mette in mostra le sue Naturografie, veri e propri autoritratti della Laguna, ‘sindoni’ d’autore dove la natura terracquea dell’Alto Adriatico racconta sé stessa. Per la realizzazione dei suoi lavori, Ghezzi sceglie il luogo dell’installazione e la tipologia di tessuto che lascia parzialmente immerso nell’acqua, demandando così al tempo e alla natura stessa il completamento dell’opera. La luce, il vento e la pioggia, le piante e gli organismi che vivono in quelle acque agiscono sulle tele per creare paesaggi vivi e sempre diversi: nascono così opere che non rappresentano semplicemente il paesaggio, ma lo sono.
Questa particolare tecnica, in cui artista e natura disegnano insieme affascinanti vedute astratte e contemporanee, è stata applicata da Ghezzi in questa occasione nella Laguna di Venezia, nell’Oasi naturale di Valle Averto, all’Arsenale di Venezia e in prossimità delle barene rinaturalizzate e in altri luoghi dell’arco costiero dell’Alto Adriatico: l’esito è la mostra Aquae Naturografie. Roberto Ghezzi solo exhibition, a cura di Start cultura e EContemporary, in programma dal 3 febbraio al primo maggio al Fondaco dei Tedeschi.
Le naturografie sono anche inconsapevoli matrici di raccolta che fotografano l’ecosistema in cui vengono immerse, un prezioso strumento di mappatura e monitoraggio del territorio e della sua biodiversità. L’azione artistica unita al focus scientifico invita a riflessioni su tematiche estremamente attuali quali la sostenibilità ambientale, la crisi climatica, il ruolo centrale della scienza nella preservazione e conservazione dell’ambiente, l’etica nella produzione e nei consumi.
M.M.Aquae Naturografie
3 febbraio-1 maggio Fondaco dei Tedeschi, Rialto www.robertoghezzi.it
Poliedriche visioni
Due grandi installazioni restituiscono l’essenza del vetro di Venini
Quando finiscono alcune mostre, lasciano un segno tangibile e direi indelebile, per l’indagine critica che le ha caratterizzate, per la ricostruzione storica e culturale di progetti di rilievo, per la possibilità di vedere riuniti in modo filologico pezzi rari o non più esistenti o presenti in collezioni private. È il caso della mostra Venini: Luce 1921 – 1985, curata da Marino Barovier, un approfondimento puntuale e spettacolare sull’attività della celebre fornace nel campo dell’illuminazione. Terminata ai primi di gennaio nella sua parte espositiva in senso stretto, cioè negli spazi de Le Stanze del Vetro – anche se continua a essere visibile online grazie al virtual tour –, la mostra mantiene in essere una parte della stessa, cioè quella ospitata nella Sala Carnelutti e Piccolo Teatro della Fondazione Cini, proprio a fianco alla Basilica di San Giorgio. Concepita come uno spin-off, questa parte dell’esposizione, che sarà visitabile fino al 9 luglio, si connota per la ricostruzione di due installazioni spettacolari non più visibili, che restituiscono in maniera evidente come Venini, grazie alle collaborazioni con illustri architetti, il più delle volte visionari, e la professionalità del suo team di artigiani del vetro, potesse realizzare. Un manifesto del made in Italy ante litteram, divenuto poi iconico, e una lezione modernissima sulla duttilità del vetro di Murano non solo nell’illuminazione ma proprio come elemento dell’architettura.
Si tratta della ricostruzione scenografica del celebre Velario, realizzato nel 1951 per la copertura di Palazzo Grassi in occasione del restauro dell’edificio divenuto sede del Centro Internazionale delle Arti e del Costume, e il monumentale lampadario a poliedri policromi, progettato da Carlo Scarpa per il Padiglione del Veneto all’esposizione di Torino Italia 61 nel 1961, organizzata per celebrare il centenario dell’Unità d’Italia. Il Velario fu ideato come schermo del lucernario vetrato del cortile: a filtrare la luce che proveniva dall’alto fu collocata una serie di “festoni” formati da cavi d’acciaio e sfere in vetro cristallo balloton di tre misure, disposte secondo una sequenza prestabilita. I festoni alla sommità erano agganciati a una piastra rettangolare in vetro a prismi e ricadendo verso il basso, fino al cornicione dell’ultimo piano, andavano a formare idealmente quattro pareti ricurve semitrasparenti. Il cortile si trasformava così in un «luminoso salone dal soffitto a globi di vetro». Nel 1961, Carlo Scarpa scelse di adoperare i poliedri per realizzare una vera e propria installazione (base m 5x5 e altezza massima m 5,5): collocata al centro dell’ambiente a pianta quadrata, sopra una vasca d’acqua della stessa forma, la struttura era composta da un articolato volume a tronco di piramide rovesciato che si prolungava verso il basso. “Una enorme stalattite” realizzata con circa 3000 poliedri policromi dalle tenui colorazioni che la fecero apparire come «una ruscellante cascata di tenere vibrazioni di luce e di colore che anima lo spazio, ed esalta la vasca sottostante riempiendola di una miriade di riflessi». M.M.
Vision ENG after vision
Some art exhibitions leave a void when they close business. It is the case with Venini: Luce 1921–1985, curated by Marino Barovier. The exhibition closed in early January, though it can still be viewed in virtual reality form as well as in its spin-off in San Giorgio Island. This production, which will be open until July 9, comprises the reconstruction of two spectacular installations. The first is Velario, a 1951 chandelier created for the vault at Palazzo Grassi, which had been renovated just prior, while the second is another polychrome monumental chandelier designed by Carlo Scarpa for the Venetian Pavilion at the Italia 61 exhibition in Turin, commemorating the hundred years of Italian unification.
Grandi installazioni di Venini: Luce 1921 – 1985
Fino 9 luglio Sala Carnelutti
Fondazione Giorgio Cini
Isola di San Giorgio Maggiore
www.lestanzedelvetro.org | www.cini.it
A colpi di martello
Simon Berger, la bellezza del vetro in frantumi
La ricerca di sempre nuovi artisti che trovano nel vetro il linguaggio ideale di espressione della propria arte, operata ormai da moltissimi anni da Adriano Berengo con la sua Fondazione e nella sua fornace, continua a mettere Murano al centro del contemporaneo. A fine gennaio, per l’inaugurazione della mostra Shattering Beauty, curata da Sandrine Welte e Chiara Squarcina, in collaborazione con la Fondazione Musei Civici di Venezia e Berengo Studio, ospitata al piano terra del Museo del Vetro di Murano, l’artista svizzero Simon Berger (1976) ha prodotto live la sua opera, al centro dello spazio, circondato dai suoi cubi di vetro e dallo stupore degli invitati. È in quell’esatto momento che letteralmente si sono frantumate tutte le certezze sul vetro. L’indagine artistica di Berger, sfidando la tradizione muranese della soffiatura, mette alla prova il vetro spingendolo fino al suo limite, la rottura. Il rumore ritmico del suo martello contro la lastra di vetro e la progressiva e minuziosa frantumazione della stessa, trasformano la superficie, un’intricata rete di crepe e fratture, in un volto umano. Vedere Simon Berger plasmare le proprie opere a colpi di martello ha un impatto travolgente, in cui l’atto di distruzione si trasforma in un atto di estrema bellezza. Il suo approccio inedito alla materia trova proprio nella fragilità della lastra di vetro la sua più grande forza. Nelle sue mani il martello non è uno strumento di distruzione ma piuttosto un amplificatore di effetti: più i colpi sono ravvicinati e brevi, più forti sono i contrasti e le sfumature. L’artista ‘disegna’ ragnatele che diventano insenature di luce, la ‘tela’ trasparente diventa così lo sfondo di affascinanti dipinti vitrei. Le crepe e le rotture sono per Simon Berger linee di indagine sui modi di vedere e percepire il mondo, mentre le superfici di vetro si trasformano in un riflesso di chi le guarda. I suoi ritratti/scultura appaiono tra cubi di vetro di diverse dimensioni che occupano lo spazio espositivo creando un’installazione unica e imperdibile. M.M.
ENG The research for new, up-and-coming artists that chose glass as the ideal avenue to express their art is what keeps Murano solidly in the modern art circuit, thanks to Adriano Berengo, his Foundation, and his glass furnace. In late January, exhibition Shattering Beauty, curated by Sandrine Welte and Chiara Squarcina and produced in cooperation with Fondazione Musei Civici di Venezia and Berengo Studio, will open at the Murano Glass Museum. Swiss artist Simon Berger (b. 1976) created the art live, during the opening days, surrounded by his glass cube and the surprise of invitees. In that moment, all we took for granted about glass art shattered before our eyes. Berger pushed glass to its limits – its breaking limits. The rhythm of his mallet shattering glass sheets turned it into the depiction of a human face. To see the artist shape his creation in successive hammer strokes is devastating: destruction becomes an act of extreme beauty. Berger’s approach to glass finds the greatest strength in fragility. In his hands, the mallet is no longer a tool of destruction as much as it is an amplifier of a given effect. The closer and shorter the blows, the stronger the contrast and gradients. The artist draws spiderweb-like traces that trap and guide light. His transparent canvas will be called home by fascinating glass portraits. Simon Berger’s portraits/sculptures create a one-of-a-kind art installation.
Quanta forza scaturita dalla passione e quante storie ancora da raccontare sul vetro di Murano, un giacimento prezioso solo in parte emerso. Un manipolo di individui che con il loro magico e potente soffio hanno saputo e sanno plasmare la materia rendendola forma e oggetto artistico. Alla Fondazione Wilmotte è in corso fino al 9 aprile la mostra Aqua e Fogo – L’eau et le feu che svela un capitolo dell’arte vetraria con una serie di intriganti oggetti e di bellissime forme per l’illuminazione disegnati dallo stesso architetto Jean-Michel Wilmotte. Dosando in maniera efficace design e fascinazione per il materiale, l’oggetto creato mantiene viva e attuale la poesia di Jean-Michel che ancora bambino fu ammaliato dalle trasparenze alchemiche del vetro.
Unitamente ai lavori presenti in mostra, a fare da connessione al racconto materiale se ne sviluppa uno visivo narrato attraverso le fotografie scattate negli anni ‘50 e ‘60 del ‘900 da Luigi Ferrigno all’interno di alcune fornaci muranesi. Gigi Ferrigno è un profondo esperto del vetro, avendo lavorato per molti anni al controllo di qualità nella produzione della vetreria di Aureliano Toso. La sua è una conoscenza che parte dall’anima del vetro e le sue foto fissano momenti irripetibili di quei processi lavorativi e di quegli ambienti spogli ed essenziali che rimandano alla memoria un “fare lavoro” che nel ricordo collettivo è andato presto dimenticato. Documenti che evidenziano un drammatico realismo, ma anche un grande senso di poesia fatta di chiaroscuri e di colpi violenti di luce che, attraverso un sapiente controllo della tecnica del bianco/nero, tipico delle pellicole fotografiche allora in uso, rimandano ad una grande fotografia documentaristica. F.M.
Aqua e fogo – L’eau et le feu Fino 9 aprile Fondazione Wilmotte, Campo de l’Abazia, Cannaregio www.fondationwilmotte.com
arte
Con l’arte in Testa
Ca’ Pesaro si rinnova nel segno dell’arte contemporanea
Entra a far parte del patrimonio artistico civico e quindi della storia presente e futura della città di Venezia, l’ingente collezione – centocinque opere d’arte contemporanea fra dipinti, sculture, fotografie, stampe, serigrafie ed arazzi – di Gemma De Angelis Testa, vedova del genio creativo torinese Armando Testa (1917 – 1992). Grande disegnatore cartoonist e pittore, fondò a partire dal 1946 il noto studio pubblicitario che ancora oggi è fra i primi in Italia, operando a livello internazionale. Impossibile scordare, infatti, le sue pubblicità icona e i personaggi di caroselli che fecero epoca nell’ambito della cultura visiva, dalla fantomatica coppia di “coni” Caballero e Carmencita (Lavazza) al tondo Papalla (Philco), fino al rassicurante ippopotamo azzurro Pippo (Lines), al virtuosismo essenziale dei suoi lavori grafici di soggetti legati al cibo, alle dita della mano o agli oggetti d’uso quotidiano che prendono vita. Arte e pubblicità possono andare di pari in passo ed essere oggetto di reciproche contaminazioni senza per questo perdere come originali visioni. Senza apparire kitsch, Testa si rapporta con movimenti artistici quali Astrattismo, Dada e Surrealismo, Pop art e Avanguardie, fino ad arrivare ai nostri giorni, con la naturalezza di uno stile in grado di coniugare alla perfezione ironia e minimalismo, estro e comunicazione, attraverso la forza dell’inventiva di immagini accompagnate da tag-lines immediate quanto incisive. Innumerevoli possibilità possono aprirsi con i giochi grafici bianco/nero, negativo/positivo,
oltre il Digestivo Antonetto (1960), con il suo “entrare ed uscire” aperto e chiuso a molteplici significati e indovinato come gioiosa antitesi che scivola nel piacere.
Il Punt e Mes, con la sua colorata sfera rosso e nera sospesa sulla mezza sfera, idea astratta quanto reale e metafisica, che in dialetto piemontese significa proprio “un punto e mezzo” (in origine un bicchiere di vermouth corretto con mezza dose di china, ordinato semplicemente con un gesto del pollice sollevato e una linea orizzontale tracciata a mezz’aria), è anche un contenitore stilizzato pronto a ricevere il classico aperitivo Carpano, in grado di far “cantare”, perché no, chi lo beve, con una voce più forte de La voce dell’aria di Magritte (Venezia, Peggy Guggenheim Collection), e il suo manifesto strappato, nell’ambito del Nuovo Realismo, verrà scelto non a caso per un décollage da Mimmo Rotella.
Diciassette suoi lavori geniali si affiancano ai percorsi del gusto collezionistico della moglie Gemma de Angelis, che ama esplorare differenti geografie e culture contemporanee, sostenitrice di artisti e sempre Con l’arte in… Testa, titolo anche di un suo libro.
Per Elisabetta Barisoni «la donazione Testa diventa la prima e più importante collezione civica veneziana dedicata all’arte del tempo presente, dalla Transavanguardia e dall’Arte povera fino alle emergenze internazionali degli anni 2000. Le raccolte di Ca’ Pesaro arrivano quindi ad abbracciare la contemporaneità, anche attraverso
autori fondamentali dei decenni passati (come Abramovic, Kiefer, Cy Twombly, Rauschenberg, Merz), si aprono alle donne (Mezzaqui, Pivi, Mariko Mori) e alle provenienze diverse (Kendall Geers, Ai Weiwei, Chen Zhen, William Kentridge) seguendo le temperature del nostro tempo globalizzato».
Sono opere che ci interrogano su cosa significhi condivisione ed emarginazione, azione e contemplazione, presenze e assenze tra ombre e trasparenze, energia e colore, memoria e avvenire.
Un futuro, quello dell’uomo, oltremodo bombardato dalle immagini: già Testa lo asseriva, in una intervista della metà degli anni Ottanta, aggiungendo inoltre che «il mondo in cui viviamo è un mondo di immagini che diventeranno sempre più intense e il pubblico giocherà ad accostarle e a riviverle in pluri maniere». Ecco il perché dello sguardo allucinato di Anche l’occhio vuole la sua parte (1981), con il bulbo bianco e l’iride celeste circondati da un rotolo cigliare continuo sopra e sotto di carne tritata da macello, che incarna alla perfezione la cruda, famelica bramosia di “possesso”, qualunque essa sia, difficile da digerire anzitempo. Un contraltare alla montagna di ossa di sangue di bovino, di Balkan Baroque, una stampa fotografica di una performance di Marina Abramovic sugli orrori della guerra dei Balcani, che vorremmo dimenticare. E chissà quanta spuma, dovremmo mai ingurgitare, prima di raggiungere le nostre mete, a passi di felino, con fare circospetto ma deciso, calpestando nuovi sentieri, infiniti giorni di tazzine più scure: One cup of cappuccino then I go…come racconta una straniante Paola Pivi in un’altra stampa fotografica della collezione Testa. Luisa Turchi
Art at ENG the Test(a)
The modern art museum at Ca’ Pesaro recently received a large donation, worth 150 pieces of art. The donor, Gemma De Angelis Testa, is the widow of Armando Testa (1917–1992), an innovative Italian cartoonist, artist, painter, and pioneering advertiser. He founded his studio in 1946, and to this day, it is one of the largest in Italy and has clients all over the world. Testa is behind iconic Italian pieces of advertisement, some of which have decades of history: the two cone-shaped puppets Caballero and Carmencita, singing the praises of Lavazza coffee, Pippo, a smiling hyppo recommending the softest diapers, to essential graphic art for food and everyday items a modernizing Italy just had to buy. Art and ads can contaminate one another, and Testa drew plentifully from abstract art, dada, surrealism, pop art, and avant-gardes. His popular, effective creations employed concise graphics, such his famous 1960 ad for vermouth Punt e mes – Piedmontese for a point (of sweetness) and a half (of bitter): a sphere, plus half of a sphere, or the Antonetto digestive: with its black and white contrast and positive/ negative visuals. In a mid-1980s interview, Testa maintained how “the world we live in is a world of images, which can only grow more intense with time. The public will learn how to mix and match them, and live in them.” Therein lies the reason for the hallucinated gaze in Anche l’occhio vuole la sua parte (‘appearance matters’, lit. ‘the eye has its needs, too’): a white eyeball, blue iris, encircled by pork links – a depiction of greed and avidity. The piece seems a counterpoint to Marina Abramovic’s Balkan baroque, a collection of beef bones and blood that reminds us of what we too easily forget – the horrors of the Yugoslav Wars. Who knows how much we’ll eat and drink before we are able to reach our destinations: One cup of cappuccino then I go… in the words of Paola Pivi in a disconcerting photo print that is part of the Testa collection.
La successione delle apparizioni Corrado Balest e il legame profondo con la Fondazione Querini Stampalia
Tre tele di Corrado Balest (1923–2016) – Venezia (1952), Alzata con frutta (1989) e Mediterraneo (2008) – grazie al generoso gesto di Giovanna Carignani Balest, entrano nel Fondo Giuseppe Mazzariol, aggiungendosi alla collezione permanente della Fondazione Querini Stampalia, che già conserva dell’artista Angelos del mare, una tavola del 1977.
Le tre opere, scelte in comune accordo con le curatrici della Collezione Balest, Cristina Beltrami, Martina Massaro, Chiara Romanelli insieme a Chiara Bertola, responsabile per l’arte contemporanea della Fondazione Querini Stampalia, segnano tre momenti nevralgici della carriera dell’artista, dai suoi esordi negli anni Cinquanta sino agli anni Duemila. Da un figurativismo riconducibile al contesto veneto degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, a un progressivo astrattismo che non diviene però estremo, non tradendo mai completamente la figura. Alla fine degli anni Settanta mette a punto un personale alfabeto pittorico che tiene conto di Nicolas De Staël, di Rothko e Matisse, ma soprattutto dei paesaggi e della cultura del Mediterraneo. Le radici della pittura di Balest – i suoi soggetti, la luce, la vivacità cromatica – rimandano a un universo mitologico riconoscibile e accessibile. Bellunese di nascita e veneziano d’elezione, Corrado Balest si forma con Guido Cadorin presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, istituzione nella quale anche insegnerà per un breve tempo. Nel 1950, giovanissimo, ha la sua prima personale alla Bevilacqua La Masa, momento nel quale sviluppa una carriera autonoma e originale che nel 1955 lo porta a esporre alla Quadriennale a Roma e in seguito alla Biennale di Venezia. Condivide lo studio con Tancredi a Palazzo da Mosto; è legato alla galleria del Traghetto, grande laboratorio degli artisti veneziani, ed è membro degli Incisori veneti. Balest vive dunque quella straordinaria stagione della Venezia del Dopoguerra, carica di energie, animata dalla presenza in città di Peggy Guggenheim, quanto di grandi critici come Giuseppe Mazzariol, di editori come Neri Pozza e dei poeti – Diego Valeri, Carlo Della Corte, Ugo Fasolo, Fernando Bandini, Tiziano Rizzo, Andrea Zanzotto – che Balest frequenta assiduamente, accompagnando con disegni e incisioni le loro raccolte di versi. È quel tratto sottile e incisivo, che ricrea il sogno del mito che si ritrova anche nelle sue ceramiche.
La donazione delle tre opere, oltre a ribadire il rapporto di reciproca stima e amicizia che legava Balest a Mazzariol, può intendersi anche come un ritorno in un luogo d’elezione per l’artista che qui ebbe, nel 1995, un’indimenticata personale. L’anno seguente, nel marzo del 1996, sarà sempre la Fondazione Querini a ospitare, da un’idea di Giorgio Busetto, i 12 quadri in due atti di Corrado Balest, ovvero un elegante volume edito da Neri Pozza e presentato per l’occasione da Manlio Brusatin. Tra le mostre antologiche più recenti vanno citate quella della Galleria Internazionale d’Arte di Ca’ Pesaro del 2003, a cura di Lionello Puppi e Giandomenico Romanelli, e quella del 2019 alla Fondazione Ugo e Olga Levi, curata da Cristina Beltrami, Martina Massaro e Chiara Romanelli (catalogo Marsilio).
One apparition ENG after another
Three paintings by Corrado Balest (1923–2016) became part of the Giuseppe Mazzariol art fund thanks to the generosity of Giovanna Carignani Balest. The fund is part of the Fondazione Querini Stampalia collection, which already owned one piece of Balest’s. The three new pieces – Venezia (1952), a still life from 1989, and Mediterraneo (2008) –have been picked to showcase the several moments in the artist’s evolution, from his debut in the 1950s to the early aughts: from Venetian-inspired figuratism to a progressive abstracticism that never gets quite extreme. Born in Belluno, in the Venetian Alps, Corrado Balest studied at the Venice Fine Arts Academy, where he also later taught classes. He debuted at Fondazione Bevilacqua La Masa and exhibited at the Quadriennale in Rome and at the Venice Biennale. Corrado Balest would live that extraordinary season of post-WWII Venetian art, so full of energy, animated by the presence of Peggy Guggenheim as well as important critics, publishers, poets, which Balest was well acquainted with. In the past, Querini Stampalia produced an exhibition on Balest in 1996, and more recently, Ca’ Pesaro held one in 2003 and Fondazione Ugo e Olga Levi held one in 2019.
www.querinistampalia.org
arte
IN THE CITY GALLERIES
FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA
105. COLLETTIVA GIOVANI ARTISTI
Fino Until 12 marzo March
La Fondazione Bevilacqua La Masa riconferma il suo impegno e la sua sensibilità nei confronti delle promesse artistiche del territorio, da sempre anteposte come il pilastro della sua stessa esistenza. Nonostante il mondo dell’arte sia profondamente cambiato per modalità espositive e circolazione delle opere, l’azione della Fondazione a sostegno dei giovani artisti nel sistema dell’arte, pur mantenendo un meccanismo simile a quello nato a Parigi con i Salon del secolo XIX, è risultato alla lunga vincente.
La Collettiva, mostra open call rivolta ad artisti domiciliati o residenti nell’area del Triveneto (Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Trentino Alto-Adige), che rispetta alcuni limiti di età (18/30) e di legame con il territorio, riesce ad essere ogni anno un efficacie strumento di monitoraggio della situazione artistica under 30. Gli artisti partecipanti sottopongono a una giuria qualificata – quest’anno composta da Marina Bastianello, Cristina Beltrami, Massimiliano Bugno, Beatrice Burati Anderson, Matilde Cadenti, Roberto Nardi – il proprio lavoro, che se selezionato, entra a far parte della mostra ospitata nella Galleria di Piazza San Marco. Sono 180 i partecipanti all’edizione 2023, 28 le opere selezionate e 9 le proposte grafiche. La giuria è implicitamente invitata a non seguire alcun trend particolare e a non cercare di trasformare in una mostra tematica o di tendenza ciò che invece deve restare lo specchio di un panorama aperto e polifonico. All’interno della Collettiva sono stati decretati vincitori della 105. edizione: Giovanni e Daniele Sambo, Marco Reghelin, Chiara Peruch, Federica Gottardello, Stefano Stoppa e per la grafica Matteo Brigo.
ENG Fondazione Bevilacqua La Masa is deeply committed to local art and artists – it’s the reason it has been established in the first place. While certainly the world of art changed in exhibition format and artwork circulation, the Foundation has always supported young artists in similar fashion to the nineteenth-century Parisian salons. The collective exhibition, open to any artist aged 18 to 30 residing in north-eastern Italy, is an effective tool to monitor the local art world. Aspiring artists may submit their work to a jury. If selected, it will become part of the exhibition at the Foundation’s gallery in Piazza San Marco. 180 artists participated to the 2023 edition. 28 pieces were selected, alongside 9 graphic art works. The jury had been instructed not to follow any particular trend, so as to prevent a single-themed exhibition.
Galleria di Piazza San Marco 71/C www.comune.venezia.it
MARIGNANA ARTE LIBERI TUTTI
Alessandro Artini | Federico Borroni |
Weichao Chen | Luca Marignoni |
Chiara Peruch | Paolo Pretolani
Chapter I
11 febbraio February-4 marzo March
Silvia Luisa Elena Faresin |
Megan Freeman | Silvia Giordani |
Marco Mastropieri | Laura Omacini |
Francesca Vacca
Chapter II
11 marzo March-1 aprile April
Marignana Arte, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Venezia, promuove il progetto intitolato Liberi tutti. L’iniziativa si propone di esporre le opere di diciotto giovani artisti provenienti dagli atelier dell’Accademia. L’esposizione è divisa in tre capitoli, ognuno dei quali promuove il lavoro di sei diversi artisti, con lo scopo di mostrare gli esiti più recenti delle loro ricerche. Il concetto polisemico di “libertà” si rifà alle diverse ricerche condotte dai giovani artisti, ma è anche un omaggio alla carriera artistica e accademica di Aldo Grazzi, che per anni è stato docente all’Accademia. Chapter I vede protagonisti i giovani artisti: Alessandro Artini, Federico Borroni, Weichao Chen, Luca Marignoni, Chiara Peruch, Paolo Pretolani. Chapter II : Silvia Luisa Elena Faresin, Megan Freeman, Silvia Giordani, Marco Mastropieri, Laura Omacini, Francesca Vacca. ENG Marignana Arte, in collaboration with the Venice Academy of Fine Arts, promotes project Liberi tutti. The initiative is an exhibition of art by eighteen young artists from the Academy’s ateliers. The exhibition is divided into three chapters, each of which will feature the work of six artists and show the latest products of their academic research. The polysemous concept of ‘freedom’ refers to the different research avenues followed by each of the young artists, though it is also a tribute to the artistic and academic career of Aldo Grazzi, who was a professor at the Academy for years.
Marignana Arte Project Room
Dorsoduro, 140 A, Rio Terà dei Catecumeni www.marignanaarte.it
A PLUS A GALLERY
ALYSSA KLAUER
HANNAH TILSON
DANILO STOJANOVIC ´
Phantom Brush
a cura di Curated by Edoardo Monti
Fino Until 26 marzo March
L’esposizione è frutto della collaborazione tra la galleria A plus A e il centro culturale e residenza per artisti Palazzo Monti a Brescia, una fucina internazionale di talenti, in particolare nel campo della pittura. Edoardo Monti ha selezionato i lavori di Alyssa Klauer (1995, USA), Hannah Tilson (1995, UK) e Danilo Stojanovic´ (1989, Croazia), realizzati proprio durante la loro permanenza in residenza. I tre artisti costruiscono le proprie opere sulla base di effetti visivi, creando mondi paralleli, finiture delicate e dettagli fantasmagorici che si esplicitano in spazi psicologici intensi, coinvolgendo e riunendo immagini care alle memorie individuali. La poesia pittorica di Stojanovic´, ricca di dicotomie e radicata in movimenti artistici con valori antagonistici, entra in dialogo con i disegni di Tilson, che per Phantom Brush presenta opere che ci riportano alle sue origini scozzesi. Klauer entra nella conversazione con piccole ma potenti tele, opere oniriche che presentano strati di vernice satura e allo stesso tempo trasparente. ENG The exhibition is the result of a collaboration between the A plus A gallery and the cultural centre and artists’ residence Palazzo Monti in Brescia. Edoardo Monti selected the works of Alyssa Klauer (1995, USA), Hannah Tilson (1995, UK), and Danilo Stojanovic´ (1989, Croatia), which were created during their residency. The three artists construct their works on the basis of visual effects, creating parallel worlds, delicate finishes, and phantasmagorical details that are expressed in intense psychological spaces, involving and bringing together images dear to individual memories.
A plus A Gallery
San Marco 3073 aplusa.it
GALLERIA ALICE SCHANZER GUENDA NOCENTINI
Alle 7 in mare a cura di Curated by Silvia Previti 2 febbraio February-2 marzo March
La nuova Galleria Alice Schanzer intende dare un segnale fermo e deciso al mondo dell’arte contemporanea: respingere la gestione attuale delle pratiche espositive e ritornare a un metodo in cui i Maestri accompagnano nelle gallerie altri Artisti con la massima apertura verso i giovani, in un dialogo e confronto basati esclusivamente sulla considerazione e apprezzamento artistico e sul rispetto personale.
Non sorprende così che la nuova mostra ospitata in Galleria sia dedicata ai lavori della giovane studentessa dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, Guenda Nocentini. Sette dipinti su tela di recente realizzazione, tutti accumunati da una precisa atmosfera: “alle 7 in mare”. Il metodo di lavoro di Guenda Nocentini si concentra sull’analisi dell’espressività grafica e sui possibili risultati da ottenere nell’utilizzo di colori e dell’acqua in rapporto con la superficie. Dagli acquerelli il passaggio intermedio è stato approdare all’utilizzo dell’olio per giungere oggi alla sperimentazione con gli acrilici. Il suo interesse è rivolto all’osservazione e riproduzione dello spostamento della materia sulla superficie pittorica: filo conduttore della mostra è l’acqua che diventa quella “corrente” capace di spostare masse di colori.
ENG The newly opened Galleria Alice Schanzer is clear on its vision on contemporary art: it rejects the established management practices of art exhibitions and sets out to revert to the pre-eminence of master artists introducing younger ones to galleries, in a conversation that is based on the artistic consideration and appreciation and on personal respect exclusively. It is no surprise that Schanzer’s latest exhibition is dedicated to the work of a young student of the Venice Fine Arts Academy: Guenda Nocentini. Seven canvases focus on the analysis of graphical expressiveness and on the possible results of the usage of colour and water on surface.
Galleria Alice Schanzer
Campo Santa Margherita, Dorsoduro 3061
FB: Galleria Alice Schanzer
SPAZIO THETIS PANGEA
2-15 febbraio February
Giovani artisti, vincitori del Premio Accademie Arte Emergente della Biennale di Viterbo Arte Contemporanea 2022, con la curatela degli altrettanto giovani Victor Albano e Irene De Sanctis, sono stati invitati a sviluppare il concetto di Pangea, inteso come l’insieme delle sfaccettature che caratterizzano l’Essere, l’Individuo, i legami umani e sociali, per tracciare lo spaccato di una visione collettiva e individuale allo stesso tempo. Le tecniche artistiche individuate sono varie e complesse: dalla pittura all’installazione, dal monotipo alla fotografia, dalla scultura al disegno, fino alla performance. Le tematiche si riferiscono all’incontro tra le culture, al passaggio del tempo come attivo portatore di memorie degli incontri, al mare come spazio di connessione e condivisione di idee: i cinque popoli mediterranei da sempre hanno creato un’attiva rete di scambio che si è tradotta nella realtà culturale odierna, e che si fa suggeritrice di nuove realtà possibili, che spinge a superare i confini locali e mentali per costruire una nuova visione globale oltre i timori nei confronti del diverso e del lontano.
ENG Young artists and young curators have been invited to work on the concept of Pangea, intended as the complex, multi-faceted set of features that relate to Being, the Individual, and human and social relationships to frame a vision that is at once collective and individual. The artists used diverse, complex techniques: from painting to installation, from monotype to photography, sculpture to drawing, to performance. The themes are all on the meeting of different cultures, on the passage of time as active conveyor of the memories of said meetings, on sea as a space of connection and sharing of ideas. The five Mediterranean peoples have always maintained an active exchange network that reflects in today’s culture, suggests new possible realities, and pushes us to walk past our local and mental borders to built a new global vision, crushing the fear of what is different and far.
Spazio Thetis Bacini-Arsenale Novissimo www.thetis.itarte PREVIEW
COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM
Edmondo Bacci
L’energia della luce
1 aprile April-18 settembre September
PUNTA DELLA DOGANA Icônes
2 aprile April-26 novembre November
VENICEPHOTOGRAPHY Ole Brodersen Time by the Sea
14 aprile April-15 maggio May
Il veneziano Edmondo Bacci (1913–1978) è stato uno dei pochi artisti italiani capaci di raggiungere il successo in vita, esponendo nei più importanti musei e gallerie d’arte nazionali e internazionali. La forza e la qualità della sua opera attirarono su di sé l’attenzione di alcuni tra i più attenti critici e collezionisti italiani e stranieri, che intorno agli anni ‘50 animavano l’allora vivacissima Venezia, tra i quali naturalmente anche Peggy Guggenheim. Bacci si colloca entro la ristretta cerchia di eccellenze artistiche venete, tra cui Tancredi Parmeggiani ed Emilio Vedova, che negli stessi anni ottengono successi e riconoscimenti internazionali.
ENG Venetian artist Edmondo Bacci (1913–1978) was one of the few Italian artists to achieve widespread success during his lifetime and exhibit in major Italian and international galleries and museums. The sheer force and quality of his work drew the attention of critics and collectors, including Peggy Guggenheim, who were active in Venice’s vibrant cultural scene in the 1950s.
Bacci was one of the finest representatives of Venetian art, together with, among others, Tancredi Parmeggiani and Emilio Vedova who during the same period achieved international success and acclaim.
www.guggenheim-venice.it
Tra figurazione e astrazione, la mostra invoca tutte le sfaccettature dell’immagine nel contesto artistico – pittura, video, suono, istallazione, performance – attraverso una selezione di opere emblematiche della Collezione Pinault e di dialoghi inediti tra artisti che le sono particolarmente cari (David Hammons/Agnes Martin; Danh Vo/ Rudolf Stingel; Sherrie Levine/On Kawara…). La mostra intende rappresentare sia la fragilità sia la potenza delle immagini e il loro carattere polisemico: le opere diventano apparizioni, illuminazioni, rivelazioni, fino alla trasfigurazione.
ENG Between figuration and abstraction, this exhibition invokes all the dimensions of the image in the artistic context— paintings, videos, sounds, installations, performances—through a selection of emblematic works from the Pinault Collection, and new dialogues between artists who are particularly important for the Collection (David Hammons/Agnes Martin; Danh Vo/Rudolf Stingel; Sherrie Levine/On Kawara...) The exhibition considers both the fragility and the power of images, their polysemic character: all the works become apparitions, illuminations, revelations; they are transfigurations, in every respect.
www.palazzograssi.it
Ole è un giovane fotografo la sua famiglia, che fabbrica vele, risiede da dodici generazioni a Lyngør, piccola cittadina car-free situata in un fiordo norvegese. I lavori di Ole sono incentrati sulla forza della natura, in particolare sul rapporto con il mare, con il cambiamento climatico in corso, con tutto ciò che può rendere, visivamente, il concetto di immutabilità e nel contempo la continua mutevolezza della natura. Attraverso lunghe esposizioni, sovrapposizioni sul medesimo negativo colore o bianco e nero, Ole riesce a rendere visivo ciò che normalmente non lo è, ovvero un incessante mutamento dell’aspetto della realtà.
ENG
Ole is a young photographer whose family of sailmakers have been living in Lyngør, Norway, for generations. Ole’s work focuses on the strength of nature, especially in its relationship with the sea, the ongoing climate change, and on whatever can visually render the ideas of nature’s mutability and immutability. Using long exposures and superimpositions of colour and black and white images, Ole is able to picture what is normally not visible, the continuous changing of the face of reality.
Ruga Giuffa, Castello 4745-4745/A venicephotogaphy.it
PALAZZO CINI
Ospite a Palazzo
21 aprile April-15 ottobre October
La Galleria di Palazzo Cini a San Vio, casamuseo che custodisce un prezioso nucleo della raccolta d’arte antica di Vittorio Cini, riapre al pubblico.
Per la stagione 2023 viene proposta la nuova edizio-
Da pittori antichi e moderni da riscoprire fino alle indagini contemporanee sulla parola “icona”, in mezzo fotografia d’autore, libri leggendari e ricerche artistiche al confine tra scienza e arte.
Ad aprile fioriscono le mostre
ne di Ospite a Palazzo: dall’11 maggio al 16 luglio, la Galleria ospita il capolavoro di Artemisia Gentileschi raffigurante Cleopatra, delle collezioni della Fondazione Cavallini Sgarbi. Grazie a uno scambio con il Museo del Castello Reale di Varsavia, dalla fine di luglio fino al 15 ottobre sarà presentato nel salone della Galleria il dipinto con la Veduta di Varsavia con la chiesa della Santa Croce del celebre vedutista veneziano Bernardo Bellotto.
ENG The Palazzo Cini Gallery is a house and museum that guards a precious collection of ancient art, once belonging to Vittorio Cini. It is open every day except Tuesday thanks to a partnership with Assicurazioni Generali. For the 2023 season, Palazzo Cini Gallery produced Ospite a Palazzo: from May 11 to July 16, the Gallery will house a masterpiece by Artemisia Gentileschi, Cleopatra, on loan from the Fondazione Cavallini Sgarbi collection. Also, thanks to an exchange with the Royal Castle in Warsaw, the Gallery will also house the Veduta of Warsaw by eighteenth-century Venetian painter Bernardo Bellotto. www.palazzocini.it
OCEAN SPACE
TBA21–Academy at Ocean Space
Thus waves come in pairs
22 aprile April-5 novembre November
TBA21–Academy presenta due nuove mostre curate da Barbara Casavecchia e commissionate da Simone Fattal in un dialogo con gli altri artisti del programma espositivo 2023 a Ocean Space. Il titolo della mostra, Thus waves come in pairs, è un verso dalla poesia Sea and Fog di Etel Adnan e si riferisce al bisogno di pensare a, e con, Mediterranei, al plurale, perché plurali sono le lingue e le possibilità di descrivere le trasformazioni del presente. Il programma nasce da una ricerca durata due anni, The Current III, che è partita da Venezia e ha toccato varie sponde nel Mediterraneo con passeggiate, spettacoli, trasmissioni, conversazioni, incontri e piattaforme di pensiero collettivo.
ENG Curated by Barbara Casavecchia, TBA21–Academy presents two new commissions by Syrian-born Simone Fattal in conversation with other artists for the 2023 exhibition programme at Ocean Space. The title of the exhibition, Thus waves come in pairs, is a line from the poem Sea and Fog by Etel Adnan, which refers to the necessity of thinking of, and thinking with, the Mediterraneans as plural – plural as its many languages and as the possibilities of narrating their current transformations. The programme results from a two-year cycle of research for The Current III, stemming from the Venetian lagoon and reach -
ing across the Mediterranean shores in the form of walks, performances, podcasts, conversations, field trips and platforms for collective thinking.
Ex Chiesa di San Lorenzo www.ocean-space.org
FONDAZIONE DELL’ALBERO D’ORO Nicolò Manucci, il Marco Polo dell’India
Un veneziano alla corte Moghul del XVII secolo
29 aprile April-26 novembre November
Progetto espositivo dedicato al racconto della vita e dei viaggi di Nicolò Manucci (1638–1720), veneziano di umili origini che spinto dal desiderio di esplorare il mondo si imbarca a Venezia nel novembre 1653 alla volta dell’Oriente, nascosto nella stiva di una tartana, senza fare più ritorno. Personaggio straordinario, fu testimone privilegiato della storia e della ricchezza culturale dell’India Moghul (XVII e XVIII secolo). Per raccontare l’avventura umana e l’atipico viaggio di Manucci viene per la prima volta riunito ed esposto a Palazzo Vendramin Grimani l’intero suo lascito, costituito, oltre al Libro Rosso e al Libro Nero, dai due manoscritti che compongono la versione originale della Storia do Mogor e le loro successive trascrizioni, operazione resa possibile dalla collaborazione tra la Bibliothèque nationale de France di Parigi, la Staatsbibliothek di Berlino e la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia.
ENG The exhibition retraces the most salient stages in the life of Venetian traveller Nicolò Manucci (1638–1720) using an itinerary that combines manufacts and decorative elements from different eras with a selection of reproductions and digital installations of the manuscripts that will allow visitors to discover all the pages of the texts and the richness of the colours and illustrations of a world now gone. The goal is to offer a privileged point of view on the history and cultural richness of Mughal-era India. To recount the human adventure and curious voyage of Nicolò Manucci, the manuscripts in the original version of the Storia do Mogor and their subsequent transcriptions, the Libro Nero and Libro Rosso, will be exceptionally brought together and exhibited for the first time at Palazzo Vendramin Grimani.
Palazzo Vendramin Grimani
www.fondazionealberodoro.org
A ROOF OVER EVERY BODY’S HEAD
Da 16 anni la Fondation Wilmotte promuove l’incontro tra patrimonio architettonico esistente e la creazione e sviluppo di una nuova architettura contemporanea attraverso l’ideazione del Premio W. Organizzato dallo studio di architettura Wilmotte & Associés di Parigi, il Premio è dedicato ai giovani studenti e neolaureati di tutte le facoltà di architettura in Europa. Una giuria internazionale composta da architetti, giornalisti, artisti e personalità competenti è chiamata a selezionare i progetti più significativi, tra i quali saranno scelti i vincitori. Oltre al Premio, viene offerta ai vincitori l’opportunità di esporre il progetto in una mostra presso la Galleria della Fondazione Wilmotte a Venezia in concomitanza con la 18. Mostra Internazionale di Architettura de La Biennale di Venezia e ad essere oggetto di una pubblicazione dedicata. Per celebrare la sua decima edizione, il Premio W 2023 propone un tema che è una vera e propria sfida tanto stimolante quanto essenziale: «Un tetto sopra la testa di ogni corpo!». I tetti modellano il paesaggio delle città, delle campagne e delineano l’orizzonte. Un tetto è una protezione, un riparo, un inizio per ricostruire e una promessa di una rinnovata vita familiare e sociale. Di fronte all’attuale crisi abitativa, i partecipanti sono invitati a immaginare delle soluzioni originali al fine di concepire dei moduli abitativi esistenti e inutilizzati (per tetti sono considerati anche: i capannoni agricoli, i tetti delle aree industriali dismesse, i patrimoni ferroviari o militari e i tetti di media superficie commerciale in disuso...). La registrazione al Premio scade il 15 marzo e i progetti devono essere inviati a prixw@wilmotte.fr tra il 10 e il 20 marzo 2023.
arte PREVIEW
BIENNALE ARCHITETTURA 2023
Agitatori di spazio social(e)
Fosbury Architecture, la nascita di uno stile
Fare qualsiasi cosa con stile è la promessa e il consapevole destino di chi decide di riferirsi nella propria attività al carattere rivoluzionario del flop di Dick Fosbury.
In questo senso il collettivo di ricerca e progettazione, all’incrocio tra un’agenzia creativa e una pratica spaziale, fondato a Milano nel 2013, Fosbury Architecture*, ha espresso la sua identità nell’affrontare ostacoli in maniera non convenzionale, arrivando con un percorso intenso e coerente fino alla curatela del Padiglione Italia della Biennale Architettura 2023.
A partire dalla prima fanzine sul menu del kebab durante gli studi al Politecnico, con la quale si fecero conoscere, la voglia di partecipare al dibattito culturale del proprio tempo esplorando nuovi modi di fare architettura è un’intenzione evidente dell’attività del collettivo in questi anni. Numerose Biennali nazionali e internazionali, allestimenti di mostre come Verde Prato, premiata con una menzione al TYoung Prize 2021, la pubblicazione di Incompiuto: La nascita di uno Stile (2018), premiata con una menzione d’onore del Compasso d’oro 2020, allestimenti e curatela di mostre, installazioni temporanee, insegnamento, ricerca e progetti editoriali: negli ultimi anni F.A. ha sperimentato in ambiti molto diversi, senza dare riferimenti precisi. «I nostri lavori sono molto eterogenei. Forse il filo conduttore tra tutti i lavori sono le ricerche con cui costruiamo le varie narrazioni, che spesso rimangono invisibili ma che potrebbero benissimo essere progetti a sé stanti, sempre a fronte di un’attenta analisi del contesto e dei suoi limiti».
Un esempio di questa attitudine è Environment of Resistance, un lavoro interdisciplinare proposto nel 2018 alla Triennale di Milano, con una grande installazione chiamata Rocco (come i rocchi delle colonne antiche) e la costruzione di un archivio analogico. L’indagine
iconografica si è poi trasformata in una pagina Instagram che mostra la loro catalogazione di spazi domestici inusuali, con casi studio che vanno da Giorgio Vasari a Verner Panton.
Per Fosbury Architecture le parole contano. Sono i titoli che sembrano segnare il metodo di lavoro. A partire dal riferirsi allo stile di Fosbury, dal definirsi collettivo, dai titoli delle esibizioni monografiche come Characters, alla più celebre pubblicazione Incompiuto. Characters, la prima loro mostra monografica a Vienna, presso il Magazin – Exhibition Space for Contemporary Architecture, racconta una ricerca che mette in discussione l’assunto che la casa sia diventata o un dormitorio da arredare a malapena con pezzi economici o, al contrario, un “museo del sé” attrezzato per essere trasmesso sui canali social. In questa prospettiva, l’installazione è stata concepita come un interno in scala 1:1, un ambiente immersivo composto da una serie di volumi che interpretano le abitudini domestiche più convenzionali: dormire, riunirsi, rilassarsi, ecc.
«Abbiamo trasformato la galleria in un interno monomaterico rivestito di pelliccia, simbolo di domesticità e comfort al limite del lusso, che nel nostro caso parla di un processo laicamente sostenibile. Il materiale è stato utilizzato da Prada per la sfilata FW 2021 e recuperato da Spazio META – nostro partner su molti progetti – che ce lo ha fornito con la promessa da parte nostra di cederlo per successivi usi in fase di disallestimento» racconta Fosbury Architecture.
Nel loro agire esiste certamente una visione sociale dell’architettura. «In passato la carriera dell’architetto consisteva nella costruzione, nel fare concorsi e potenzialmente nell’insegnamento. Oggi noi proviamo a esplorare le vie laterali della pratica e a capire in che modo si interseca con i diversi ambiti della cultura e dell’educazione – riferisce
Noi proviamo a esplorare le vie laterali della pratica e a capire in che modo si interseca con i diversi ambiti della cultura e
dell’educazione
F.A. – Sebbene il ventaglio sia ampio metodologicamente l’approccio è sempre lo stesso: sfruttare ogni occasione – che sia commerciale o indipendente – per osservare criticamente il contesto, produrre ricerca e generare contenuti che informino il prodotto finale». Si definiscono non uno studio ma un luogo di incontro collettivo, uno spazio in cui ripensare la città, un luogo di dialogo, non necessariamente di produzione, esplorando nuovi modi di fare architettura ispirati a quelli militanti degli anni Settanta, pur consapevoli che quella radicalità si è persa, ma quel tipo di dimensione etica è un riferimento per sfidare l’ordine costituito.
F.A. spiega anche il momento di mutazione che vive il mondo dell’architettura nell’età dei social network. «In questo momento sta avvenendo una transizione dalla rappresentazione alla comunicazione, dalle tavole stampate a Instagram. Agli inizi della nostra attività utilizzavamo molto il disegno tecnico, cosiddetto “a fil di ferro”, creando scenari anche molto complessi. Ma questi non stanno bene sui social, non si possono zoomare o scrollare. Quindi, come molti architetti in tutto il mondo dobbiamo cambiare il modo di raccontare e diffondere i nostri progetti».
Il progetto che forse meglio rappresenta F.A. riguarda Incompiuto Summer School in occasione di Manifesta 12 Palermo, Biennale nomade europea di arte e cultura contemporanea 2018. «Un progetto di ricerca al quale siamo estremamente legati è quello sulle opere pubbliche incompiute italiane. Su invito di Alterazioni Video abbiamo collaborato alla prima mappatura completa di questi edifici, quasi 700, che sparsi su tutto il territorio italiano producono un’inedita geografia del Bel Paese. Oltre a censire le opere, negli anni abbiamo avuto l’opportunità di attivare una serie di workshop che puntavano a ribaltare lo sguardo su quelli che classicamente vengono definiti ‘Ecomostri’, di leggerli come opportunità: come lo spazio pubblico che già sono» precisa Fosbury Architecture.
Degno di nota il progetto Urban Center, ancora una volta incentrato sul senso delle parole per la mostra Osservatorio Prato 2050 al Centro Pecci per l’arte contemporanea nel 2021. «Il Comune di Prato e il Centro Pecci, uno dei pochi musei pubblici di arte contemporanea in Italia, hanno chiesto di intervenire su una porzione del piano terra del Museo per realizzare l’Urban Center e due aule didattiche. D’accordo con tutti gli attori coinvolti abbiamo deciso di sfruttare il
progetto come occasione per riflettere sul senso di uno “Urban Center”, di che ruolo debba e possa svolgere e di come coinvolgere la cittadinanza. Il prodotto finale non è la classica sala per conferenza ma una macchina scenica con dotazioni che le permettono grande flessibilità d’uso e allestimento» racconta Fosbury Architecture.
E a proposito di parole, pienamente in linea con lo stile Fosbury, Spaziale – Ognuno appartiene a tutti gli altri sarà il titolo del Padiglione Italia alla 18. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia nel 2023. Il progetto si articolerà in due momenti, il primo propedeutico al secondo: Spaziale presenta, che da gennaio ad aprile 2023, nel periodo che precede l’apertura della Biennale, vedrà l’attivazione di nove interventi site-specific in altrettanti luoghi selezionati in tutto il territorio italiano. Il secondo, Spaziale – Ognuno appartiene a tutti gli altri, all’interno del Padiglione Italia all’Arsenale dal 20 maggio al 26 novembre, sarà la sintesi formale e teorica dei processi innescati nei nove territori nei mesi precedenti, restituendo una diversa e originale immagine dell’architettura italiana nel contesto internazionale. Un sito web e un account Instagram racconteranno il work in progress di Spaziale presenta e l’attivazione dei nove interventi. Nella sua ampiezza, il progetto si fonda sulla visione di F.A. che l’Architettura sia una pratica di ricerca al di là della costruzione di manufatti e la Progettazione sia sempre il risultato di un lavoro collettivo e collaborativo, che supera l’idea dell’architetto-autore. Lo “spazio” è inteso, in questa visione, come luogo fisico e simbolico, area geografica e dimensione astratta, sistema di riferimenti conosciuti e territorio delle possibilità.
Quanti confidavano nel collettivo F.A. per un cambio di passo nella storia del Padiglione Italia alla Mostra Internazionale di Architettura probabilmente non resteranno delusi dai primi dettagli resi noti sul progetto, che esprimono una visione dell’architettura spesso trascurata, una visione sociale, radicale, rivoluzionaria. Come un Fosbury flop, appunto.
*Fosbury Architecture (F.A.): Giacomo Ardesio (1987), Alessandro Bonizzoni (1988), Nicola Campri (1989), Claudia Mainardi (1987) e Veronica Caprino (1988)
fosburyarchitecture.com
a cura di Paolo Lucchetta
Arts Bar
Unveil a late night mixology experience, where art masterpieces are recreated as cocktails.
For information and reservations, contact us at +39 041 240 0001.
arte PREVIEW
BIENNALE ARTE 2024
Arte
CANADA
Scelta dalla curatrice Gaëtane Verna (Wexner Center for the Arts), Kapwani Kiwanga lavora nell’intersezione tra arte, scienza e tecnologia, mettendo in discussione il modo in cui la storia viene raccontata e presentata. Le sue opere sono ispirate a vicende marginali, spesso dimenticate, la cui narrazione è condizionata dagli squilibri derivanti dalla gestione del potere nelle diverse società. Per Il latte dei sogni l’artista canadese aveva presentato Terrarium, un’installazione che, attraverso una serie di sculture in vetro contenenti sabbia, richiamava l’attenzione sul tema della desertificazione.
ESTONIA
Nelle parole del curatore Geir Haraldseth le installazioni di Edith Karlson trasportano il visitatore in un «viaggio epico attraverso gli stati d’animo e i miti che la storia può evocare». Le sue sculture ricordano reliquie medievali, ma anche incubi fantasmagorici in cui il vecchio e il nuovo mondo si scontrano in una visione apocalittica. Come fiabe oscure piene di creature mostruose, le opere di Karlson sembrano affiorare dalle profondità dell’inconscio per diventare allegorie delle emozioni e delle paure umane.
AUSTRIA
Nata in Russia (San Pietroburgo, 1970), di base a Vienna, Anna Jermolaewa crea opere che incorporano pittura, video, performance e fotografia. Nel 1999 la sua videoinstallazione Chicken Triptych, che riproduceva in rotazione file di polli allo spiedo, vittime-simbolo del consumismo, fu scelta da Harald Szeemann fra i lavori presentati alla 48. Biennale Arte. L’artista, che nel 1989 fu costretta a lasciare la Russia perché accusata di propaganda antisovietica, alla prossima Biennale presenterà un lavoro dedicato a diverse espressioni di resistenza non violenta.
GRAN BRETAGNA
La staffetta di Sonia Boyce, Leone d’Oro 2022, passa nelle mani dell’artista angloghanese John Akomfrah (Accra, Ghana, 1957), considerato tra i videoartisti più influenti della sua generazione. Le sue installazioni esplorano temi quali il postcolonialismo, l’immigrazione, la discriminazione e il cambiamento climatico. Akomfrah aveva già partecipato alla Biennale nel 2015, nell’edizione curata da Okwui Enwezor, con l’opera Vertigo Sea, e nel 2019 con il film
The Elephant in the Room – Four Nocturnes per il Padiglione ghanese.
FRANCIA
Cresciuto nell’isola della Martinica e ora di base a Parigi, Julien Creuzet si sta imponendo sulla scena dell’arte francese con opere che, attingendo alla sua origine franco-caraibica, combinano letteratura orale a elementi di creolizzazione in un continuo processo di mescolamento. Attraverso sculture, installazioni, composizioni poetiche e interventi testuali ispirati dalle riflessioni di scrittori quali Aimé Césaire e Édouard Glissant, il lavoro di Creuzet si sofferma sulla storia della Martinica in relazione alle vicende del modernismo europeo.
LITUANIA
Gli artisti Neringa Cerniauskaite e Ugnius Gelguda, insieme sotto lo pseudonimo Pakui Hardware, hanno annunciato che il loro progetto per il Padiglione lituano intende esplorare le «deflagrazioni dei corpi – umani e planetari – in relazione alle condizioni economiche e sociali attuali». L’installazione cinetica del duo, la cui pratica si basa solitamente sull’accostamento di materiali organici e sintetici, instaurerà un dialogo con i dipinti dell’artista surrealista Marija Terese˙ Rožanskaite˙ (1933–2007), nota per le sue riflessioni sul rapporto tra corpo e medicina.
Nel laboratorio del futuro della nostra redazione ci concediamo un viaggio nel 2024 con le prime anticipazioni sulla prossima BiennaleKapwani Kiwanga Anna Jermolaewa Julien Creuzet Edith Karlson John Akomfrah Pakui Hardware a cura di Marisa Santin
arte
MONUMENTS MEN
UN EPISODIO VENEZIANO
STORIE a cura di Camillo Tonini
L’ARTE SALVATA
Alle Scuderie del Quirinale a Roma, la mostra Arte liberata 1937-1947. Capolavori salvati dalla guerra, a cura di Luigi Gallo e Raffaella Morselli, aperta fino al 10 aprile, documenta le imprese dei coraggiosi funzionari e funzionarie dello Stato che durante la Seconda Guerra mondiale misero al sicuro i capolavori del patrimonio artistico italiano, prima con una massiccia campagna fotografica e di catalogazione di tutte le opere rilevanti conservate nei musei e nei luoghi pubblici e in seguito con il loro trasferimento in strutture adeguate alla loro conservazione e protette da eventuali eventi bellici.
Il fortunato libro di Ilaria Dagnini Brey, Salvate Venere (Mondadori 2010), riedito recentemente con il titolo Tutti gli uomini di Venere. Quando gli alleati salvarono le opere d’arte italiane (Elliot 2022), ha ricostruito la decisiva parte che ebbero in questo sforzo i Monuments Men, i reparti speciali al seguito delle truppe alleate nella risalita del fronte di liberazione che, a partire dal 1943, si adoperarono per salvare e recuperare le opere in pericolo per i bombardamenti terrestri e aerei e per impedire che i convogli con i capolavori d’arte organizzati dalle truppe tedesche potessero raggiungere la Germania. Un mosaico di esperienze e avvenimenti, documentate dalle testimonianze dei protagonisti e dei semplici coadiutori di quelle imprese, dagli inventari e dagli atti ufficiali delle Soprintendenze e degli archivi militari, dai materiali fotografici e filmici che ancora rimangono di quell’epopea, che hanno permesso di consegnare alle generazioni contemporanee l’immenso patrimonio artistico nazionale e ancora servono a monito per scongiurare per il futuro i danni terrificanti della guerra. Ogni riferimento all’attuale situazione europea è assolutamente intenzionale.
Questa l’occasione anche per richiamare un episodio noto, ma mai abbastanza conosciuto, che ha visto come protagonisti alcuni uomini che hanno segnato la vita culturale e artistica di Venezia prima e dopo il Secondo conflitto mondiale e fino a ridosso degli anni Settanta.
L’avanzare del fronte di liberazione alleato nel 1943, aveva consigliato molti Sovrintendenti di affidare al Vaticano le opere mobili dei loro musei, degli edifici religiosi e dei palazzi storici. Alcuni avevano preferito consegnarli ai sicuri depositi al riparo dai bombardamenti organizzati da Pasquale Rotondi, Soprintendente delle Marche, nella rocca quattrocentesca di Sassocorvaro e nel palazzo Falconeri di Carpegna. Giovanni Poggi, Soprintendente a Firenze, aveva invece scelto di distribuire il patrimonio di pregio a lui affidato in ville e dimore storiche del circondario. Quando nel ‘44 il fronte di liberazione arrivò in Toscana, questi depositi furono sistematicamente individuati e requisiti dalle truppe di occupazione tedesche che li presero sotto il loro diretto controllo. Obiettivo dichiarato salvare le opere dalla distruzione dei bombardamenti alleati; obiettivo finale sequestrare quelle di maggior pregio e interesse storico e artistico per inviarle in Austria e Germania.
Su ordine del generale Karl Wolff, comandante in capo delle SS in Italia, dalla villa di Oliveto a Castelfiorentino furono prelevati da un distaccamento di paracadutisti tedeschi l’Adamo e l’Eva di Lucas Cranach degli Uffizi. Dal deposito nella villa medicea di Poggio a Caiano, militari tedeschi sottrassero le sculture del Museo del Bargello imballate in cinquantotto casse che contenevano, tra l’altro, il David e il San Giorgio di Donatello e il Bacco di Michelangelo. Allo stesso modo ufficiali nazisti avevano sequestrato i dipinti conservati nel castello di Poppi nel Casentino e in circostanze simili erano anche state prelevate opere dall’Oratorio di Sant’Onofrio a Dicomano nel Mugello, dalla villa Bossi-Pucci di Montagnana (Firenze) e dalla Villa Bossi a Soci nei pressi di Bibbiena. Nel maggio del ‘44, le opere dei musei fiorentini e delle collezioni private Contini Bonacossi e Finaly-Landau – quasi 700 – caricate su un convoglio di 37 camion militari, presero la via del nord. Nella convinzione, però che le sorti della guerra potessero risolversi al meglio e a causa della pericolosità delle strade continuamente sottoposte a bombardamenti, fecero transitare le opere per Bologna e Marano sul Panaro dove sostarono per un breve periodo, per poi raggiungere sulla via del Brennero due depositi tenuti segreti in Alto Adige: uno al Passo San Leonardo in Val Passiria e l’altro nel castello di Neumelans a Campo Tures. Venezia all’epoca era ancora in mano alle forze della Repubblica di Salò, ma la Resistenza era attiva e le comunicazioni con l’Alto Comando Alleato per le azioni di rappresaglia e per l’individuazione degli obiettivi militari, erano coordinate in città e nel Veneto da Pietro Ferraro, un sorprendente personaggio di grande coraggio e dalle eccezionali capacità organizzative, decorato alla fine della guerra con medaglia d’oro al valore militare.
Ferraro dopo l’8 settembre, messo in contatto da Pietro Nenni con l’OSS ( Office of Strategic Service, il servizio di spionaggio americano), dal luglio del ‘44 paracadutato in Veneto oltre le linee nemiche, viene chiamato a dirigere con il nome di battaglia di “dottore Antonio” la missione militare “Margot Hollis”, composta da italiani e dipendenti dello spionaggio americano per creare una rete di radiotrasmittenti e coordinare le operazioni partigiane nel Veneto. Il 23 marzo 1945 riceve un messaggio con la richiesta del Governo nazionale e del Comando Alleato di interessarsi del salvataggio dei lavori di arte asportati dalla Toscana. Ferraro mobilita subito sulla nuova operazione Luciano Foscolo, suo collaboratore che ospitava nella propria abitazione veneziana a San Beneto una delle quattro radiotrasmittenti della rete veneta ed un’altra, con la sorella Giuliana e il fratello Daulo, nella villa di famiglia a Casteldardo nel bellunese. Quindi si mette in relazione con gli uomini che governavano la cultura artistica veneziana: l’ingegnere Luigi Marangoni, Proto della Basilica di San Marco, il professore Rodolfo Pallucchini, Soprintendente alle Gallerie dell’Accademia e Direttore delle Belle Arti del Comune di Venezia, Antonino Rusconi, già Soprintendente di
Ferdinando Forlati
Ci par di vedere attraverso le rozze
tavole la bellezza imperitura di quelle opere che segnano le tappe della civiltà del mondo: non dunque tutto è sempre stato morte e miseria per questa nostra dilaniata
Italia. E dove vita è stata, vita può anzi deve ritornare…Percorsi dei convogli tedeschi con le opere d’arte toscane verso l’Alto Adige da Hartt F., Florentine Art under Fire, 1949
arte
MONUMENTS MEN UN EPISODIO VENEZIANO
Trento e Ferdinando Forlati, Soprintendente ai Monumenti di Venezia. Prende contatto anche con il professor Ludwig Heydenreich, storico dell’arte che era a Venezia, non legato al nazismo e membro del Kunstschutz, l’organizzazione tedesca nata all’inizio della guerra cui era affidato il compito della protezione delle opere d’arte italiane, e con il professor Otto Lehmann-Brockhaus, altro membro affidabile della stessa organizzazione. Informa dell’operazione il Patriarca di Venezia, Adeodato Giovanni Piazza, e cerca con cautela, attraverso quest’ultimo e Forlati, anche di recuperare l’appoggio di Carlo Anti, archeologo, professore di chiara fama all’Università di Padova, uomo di provata fede fascista tanto da essere nominato Direttore generale delle Belle Arti della Repubblica di Salò. Questi, che aveva visitato i due depositi altoatesini, preoccupato per la sorte e la conservazione delle opere d’arte, aveva già tentato senza peraltro ottenere risultati positivi presso Carlo Alberto Biggini, Ministero dell’Educazione, e presso gli alti comandi tedeschi, di farle trasferire dall’Alto Adige in altri depositi sotto il controllo delle autorità italiane, tra i quali proponeva villa Pisani a Stra e Palazzo Ducale a Venezia.
A questo obiettivo condiviso da tutte queste persone sensibili alle ragioni dell’arte, si opponevano Franz Hofer, Gauleiter delle provincie di Bolzano, Trento e Belluno occupate dalla Wehrmacht dopo il settembre ‘43, e il colonnello delle SS, Alexander Langsdorff, direttore della Kunstschutz, che sembrava mostrare sincero interesse per la salvezza delle opere fiorentine ma che, invece, nonostante le pressioni di Anti, dei soprintendenti italiani e contro le maturate perplessità dello stesso generale Wolff, era più intenzionato a obbedire all’ordine impartito da Hitler di trasportare in Germania tutto il patrimonio artistico requisito o, nell’impossibilità di poterlo fare, di distruggerlo. La stessa sorte era stata stabilita anche per le opere d’arte di provenienza francese, belga e olandese raccolte nelle miniere di sale di Altaussee, in attesa di essere collocate nel futuro museo hitleriano di Linz.
Intanto, però, c’era l’urgenza di difendersi dai bombardamenti alleati. Ferraro, il 18 aprile rivolge a Nenni e tramite lui al Governo nazionale e al Comando Alleato, un appello perché non vengano inutilmente portate distruzioni alle popolazioni e alle opere d’arte italiane con lanci imprecisi dell’aviazione alleata, che avevano già portato danni gravissimi a Padova con la distruzione del complesso degli Eremitani, a Vicenza e a Treviso, ma con relativi pochi effetti sulle truppe nemiche.
Il 25 aprile finalmente è ancora Ferraro, a far diramare dal Comando Alleato il radio-messaggio con il quale si comunicava agli uomini del C.L.N. dove erano i depositi in Alto Adige, informazioni avute da Anti tramite Forlati, con l’ordine di tenersi pronti a intervenire per presidiarli in armi.
Il 27 aprile gli Alleati sono a Vicenza e il 29 aprile liberano Padova ed entrano da liberatori a Venezia. Il 3 maggio Ferraro con il capitano Kelly del Comando Alleato convoca d’urgenza Forlati all’Hotel Danieli, per definire e organizzare il viaggio e i sopralluoghi in Alto Adige in collaborazione con il C.L.N. e sotto la protezione della Croce Rossa Internazionale.
Il giorno 5 maggio, Forlati, Rusconi e il professore LehmannBrockhaus, partiti da Venezia su una camionetta militare, dopo un avventuroso viaggio in un Paese sconvolto dalla guerra ma in festa per la sospirata liberazione, raggiungono il rifugio al passo San Leonardo, dove erano ospitati più di 300 dipinti provenienti dalla villa
di Montagnana in un edificio che era servito a Pretura e a carcere giudiziario – sull’episodio, di recente, al Museum Passeier è stata allestita la mostra Uffizi in Passireier. Chi protegge l’arte in guerra? Ad accoglierli i rappresentanti del C.L.N., quelli della Croce Rossa, e uno sparuto gruppo di ufficiali tedeschi che al loro arrivo si mettono subito sull’attenti. «Rapida visita al deposito delle opere d’arte tutto è a posto, miracolosamente a posto, compresi i dipinti non incassati (e sono i più) e che sono autentici capolavori dell’arte mondiale: rivediamo Botticelli, Signorelli, Rubens, Raffaello, Tiziano, alcune opere del primo Rinascimento toscano, della Scuola Veneta, tutto un mondo di luce, un mondo di bellezza: esiste dunque ancora dopo tante stragi qualcosa che non suoni rovina distruzione morte. Si fa una sollecita revisione, si stende il verbale firmato dagli Italiani e dai Tedeschi e si rafforza la guardia germanica al deposito con elementi partigiani». Queste le parole dello stesso Forlati nell’articolo intitolato L’arte esce dai rifugi, apparso nel dicembre 1945 nella rivista «Mercurio», che così continua: «Il giorno dopo si prosegue per il castello Neumelans di Campo Tures. Gli Americani hanno già occupato il luogo e preso in custodia il materiale e noi solo al domani, dopo dimostrata la nostra identità, possiamo visitare l’altro deposito degli oggetti d’arte fiorentini, oramai ben custoditi nel secondo castello, che è al centro del paese, quello dei Neumelans. Il cap. Michael Mohr ci fa da cortesissima guida: così vediamo in alcuni locali al piano terra gli altri cassoni che racchiudono, secondo le diciture fuori segnate, capolavori fondamentali dell’arte mondiale: la Venere dei Medici, il Doriforo, la Niobe, le sculture del Campanile di Giotto, il Marzocco e il S. Giorgio di Donatello e così via. Ci sentiamo commossi, ci par di vedere attraverso le rozze tavole la bellezza imperitura di quelle opere che segnano le tappe della civiltà del mondo: non dunque tutto è sempre stato morte e miseria per questa nostra dilaniata Italia. E dove vita è stata, vita può anzi deve ritornare. […] Finalmente tutto è finito e tutto è a posto: facciamo il solito verbale, firmato anche dagli ufficiali tedeschi che prima custodivano il deposito e che sono stati trattenuti dal Comando americano. Fra essi vi è il famoso colonnello Langsdorff».
Il 2 giugno, a Palazzo Ducale viene inaugurata alla presenza del Sindaco Ponti e di Forlati la Mostra di sculture venete realizzata in collaborazione con gli ufficiali della Monuments, Fine Arts, and Archives (M.F.A.A.), con le opere delle sculture veneziane liberate dalle protezioni e dai rifugi antiaerei. Un mese dopo Rodolfo Pallucchini ordina nelle sale delle Procuratie Nuove in Piazza San Marco, la mostra Cinque secoli di pittura veneziana, anche qui con i capolavori salvati o oscurati dagli eventi bellici.
Il 21 luglio, le opere d’arte dai depositi dell’Alto Adige arrivarono su tredici carrozze del primo treno che poté riattraversare il Po alla stazione di Campo di Marte a Firenze, accolte dal Soprintendente Poggi e da Frederich Hartt, l’ufficiale americano dei Monuments Men che, con Deane Keller, più di tutti aveva lavorato per la salvaguardia e il recupero del patrimonio artistico toscano.
Il 26 ottobre a Palazzo Pisani si apre il Convegno regionale triveneto per la ricostruzione edilizia, con tema I monumenti e la guerra e inaugurata una sezione espositiva curata da Ferdinando Forlati nella Sala del Piovego di Palazzo Ducale.
Segni vitalissimi di riconquista dei valori dell’arte e dell’inizio di una faticosa ma operosissima stagione di recuperi e restauri delle opere d’arte e dei monumenti salvati dagli orrori della guerra.
PER SAPERNE DI PIÙ
Fonti
ANTI C., I diari di Carlo Anti, rettore dell’Università di Padova e direttore generale delle Arti della Repubblica Sociale Italiana. Trascrizione integrale, a cura di Girolamo Zampieri, Verona, Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, 2011.
FERRARO P., Archivio Pietro Ferraro, Centro di Ateneo per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea, Università di Padova.
FORLATI F., Archivio Ferdinando Forlati e Bruna Tamaro, IUAV, Venezia IVESER, AMPI Venezia, rEsistenze, Resistenze segrete. Il gruppo di amici di Pietro Ferraro e la Missione militare “Margot Hollis”. Venezia, Giornata di studio, 26 aprile 2016. MFAA REPORTS 1943–1946, The National Archives, Monuments, Fine Arts and Archives Branch (MFAA) Field Reports, Records of the American Commission for the Protection and Salvage of Artistic and Historical Monuments in War Areas (The Roberts Commission), 1943-1946, MTOReports On Repositories Of S. Leonardo e Campo Tures www.fold3.com
POGGI G., Archivio Giovanni Poggi, Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze-Archivio Storico.
Bibliografia
DAGNINI BREY I., Salvate Venere! La storia sconosciuta dei soldati alleati che salvarono le opere d’arte italiane nella Seconda guerra mondiale, Milano, Mondadori, 2010; della stessa autrice Tutti gli uomini di Venus, Edizioni Elliot, 2022.
DAGNINI BREY I., C. TONINI, Forlati, la guerra e il recupero delle opere d’arte toscane in Alto Adige, in Le stagioni dell’ingegnere Ferdinando Forlati, a cura di S. Sorteni, Il Poligrafo, 2017.
EDSEL R.M., Saving Italy. The race to rescue a nation’s treasures from the Nazis, New York, W.W. Norton & Co. 2014, trad. it. Monuments men. Missione Italia, a cura di D. Fasic, A. Mazza, Milano, Sperling & Kupfer, 2014.
FASOLA C., Le Gallerie di Firenze e la guerra. Storia e cronaca con l’elenco delle opere d’arte asportate, Firenze, Monsalvato, 1945.
FERRARO P., La resistenza veneta in difesa delle opere d’arte, “Il Ponte”. Rivista mensile di politica e letteratura diretta da Piero Calamandrei, X, 1, gennaio 1954.
FORLATI F., L’arte esce dai rifugi, in “Mercurio. Mensile di politica, arte e scienze”, II, 16, dicembre 1945.
GALLO L., MORSELLI R., Arte liberata 1937-1947. Capolavori salvati dalla Guerra, catalogo della mostra, Roma, Scuderie del Quirinale, Electa 2023.
HARTT F., Florentine Art under Fire, Princeton University Press, 1949, trad. it. L’arte fiorentina sotto tiro, a cura di G. Semeraro, Firenze Leonardo, 2014.
NEBBIA G., Pietro Ferraro (1908-1974), “Altronovecento. Ambiente, tecnica, società. Rivista online promossa dalla Fondazione Luigi Micheletti”, 13, dicembre 2008. www.fondazionemicheletti.it/altronovecento
SAONARA C., Resistenza e alleati nel Veneto, in Le missioni militari alleate e la resistenza nel Veneto. La rete di Pietro Ferraro dell’OSS, a cura di C. Saonara, Venezia, Marsilio, 1990.
arte
NOT ONLY VENICE PALAZZO MAFFEI
Verità di famiglia
Sempre meno musei, propriamente detti, e sempre più luoghi di incontro e di scambio. Fondazioni pubbliche o private dettano la linea di una nuova visione dell’arte, della sua conservazione, della sua conoscenza, ma soprattutto della sua fruizione. Ne è un esempio illustre la Casa Museo Palazzo Maffei nella centralissima Piazza delle Erbe a Verona. Un’operazione privata, promossa e sostenuta dalla Famiglia Carlon, che ha voluto rendere fruibile una collezione costruita pezzo dopo pezzo in oltre cinquant’anni di passione e studio dall’imprenditore veronese Luigi Carlon: circa 600 opere in dialogo tra archeologia, pittura, scultura, arti applicate e architettura, tra antico, moderno e contemporaneo. Un viaggio attraverso duemila anni di bellezza. Ma questa importantissima azione di condivisione di bellezza e cultura non si limita a perseguire fini esclusivamente espositivi. Il recupero di Palazzo Maffei, grazie a un restauro complesso di uno dei più scenografici edifici seicenteschi di Verona – facciata barocca, scalone elicoidale autoportante, due piani espositivi, stucchi e pitture murali, una sorprendente terrazza panoramica, teatrino con 120 posti, biblioteca specialistica – su progetto architettonico e allestitivo dello studio Baldessari e Baldessari e da un’idea museografica di Gabriella Belli, restituisce infatti la volontà di creare uno spazio aperto alla città, rivestendo da subito un ruolo di primo protagonista della scena culturale con una ricca e variegata programmazione di iniziative collaterali, attività ed eventi realizzati in collaborazione con importanti istituzioni veronesi.
Il risultato di questa importante riqualificazione è sotto gli occhi di tutti: un’affascinante casa, più che museo, aperta e inclusiva, dalla “doppia anima”. Dalla visione privata, dall’intimo della residenza quotidiana, infatti, questo patrimonio d’arte è diventato una ricchezza per la città e il pubblico in un edificio fortemente simbolico attraverso un percorso espositivo e di incontri in cui si susseguono cortocircuiti emotivi che ben rispondono alla sensibilità e al gusto del collezionista e all’identità stessa del Palazzo.
Incontriamo la figlia di Luigi, Vanessa Carlon, a cui è stata affidata la vicepresidenza e la direzione di Palazzo Maffei.
Ogni collezione personale ha una sua identità precisa che rispecchia il gusto e la personalità del collezionista. Può raccontarci la figura di suo padre attraverso le opere della collezione?
È proprio vero: nella nostra collezione ritrovo mio padre, Luigi Carlon, un imprenditore che si è formato frequentando, ventenne, i pittori veronesi degli anni ‘60, lui che amava dipingere. Così la sua
passione è soprattutto per il Novecento: il Futurismo, il secondo Dopoguerra e in genere tutte le Avanguardie del XX secolo, da Picasso a Kandinsky, da Warhol a Duchamp, da Fontana a Burri. Mio padre ha sempre amato cavalcare l’innovazione, spinto da una curiosità e da un’ansia di sapere inesauribile, che è stata la chiave del suo successo, imprenditoriale e come collezionista. Interrogarsi, andare a fondo per conoscere, cercare di capire: queste erano e sono le sue pulsioni verso le arti maggiori così come verso le cosiddette arti applicate. Alla fine la collezione, costruita in oltre sessant’anni, è molto eclettica, aperta a tutte le arti e i secoli; dall’archeologia greco-romana ai contemporanei, dagli avori antichi alla scultura lignea, dalle ceramiche rinascimentali ai dipinti, con alcuni evidenti nuclei di interesse: l’arte veronese antica, il Futurismo con la sua dirompente carica innovativa – Balla, Boccioni, Severini –, il Surrealismo e la Metafisica, con artisti del calibro di Magritte, Ernst, De Chirico, Savinio, Morandi. Tuttora ama seguire nuovi artisti sostenendoli nel loro percorso espressivo.
presents
“ Brands can no longer be self-centered : bridges must be built to other universes. ”
Didier Guillon, President and Artistic Director of Valmont GroupBeauty and Art are intertwined with one common purpose : promoting Excellence, as Valmont and Rubelli made possible with the silk scarf
THE SQUARE by Rubelli pour La Maison VaLMont
www.lamaisonvalmont.com - www.fondationvalmont.com
arte
NOT ONLY VENICE VANESSA CARLON
Come ha vissuto in prima persona questa passione da bambina e poi da adolescente? E come vive oggi questa stessa passione dopo che le è stato passato il testimone nella gestione museale della collezione?
Papà ci ha coinvolte sempre nella sua passione, la mamma Cristina, mia sorella Veronica ed io, organizzando viaggi e condividendo la gioia per l’arrivo delle opere acquisite. Ricordo quando, per il mio decimo compleanno, andammo a vedere una mostra di Picasso a Palazzo Grassi. Era il 1981: vedere i disegni di Picasso da vicino, semplici e così immediati, fu per me una folgorazione. I miei genitori mi diedero un notes dove li riprodussi: il mio ingresso nel mondo dell’arte. Crescere in mezzo alle opere, conoscendo storici dell’arte e studiosi che venivano da noi a vedere la collezione, tutti estremamente colpiti dalla bellezza delle opere, mi ha convinta a sostenere il desiderio di mio padre di condividere la gioia del godimento artistico con un pubblico più ampio. Dopo anni di vita d’impresa, nel passaggio al mondo culturale mi sento anche supportata dall’esperienza vissuta accanto a mio marito Paolo Valerio, regista che da sempre lavora nel mondo del teatro – ora è alla direzione dello Stabile del Friuli Venezia Giulia –, un settore affine e parallelo a quello museale. Il nostro confronto è continuo e stimolante.
Palazzo Maffei è uno dei landmark di Verona. Come siete arrivati alla scelta di questo magnifico palazzo come luogo di esposizione della collezione e alla definizione di un contesto museale così particolare e unico?
La scelta di mio padre è stata appoggiata dalla famiglia; capivamo il suo desiderio di dare nuova voce alle opere e di rendere tangibile quanto realizzato negli anni. Per questo era necessario il confronto con il pubblico; era importante che la collezione potesse essere fruita, apprezzata, studiata, amata dalla collettività. Dopo avere a lungo cercato il luogo per noi più adatto a soddisfare tale obiettivo, alla fine si è reso disponibile proprio Palazzo Maffei, che era un vecchio sogno di papà: un palazzo iconico di Verona per lo stile barocco che lo caratterizza, inusuale nella nostra città, e perché sorge sulle vestigia del tempio di Giove Capitolino (ancora oggi visitabili sotto il palazzo), proprio nell’incrocio fra il cardo e il decumano. Siamo nel cuore della città romana, un luogo dove palpita la vita veronese e dove arrivano i visitatori alla ricerca della casa di Giulietta, qui a due passi. Quando le opere hanno lasciato la casa di famiglia, durante le fasi del trasloco mamma ha preferito non essere presente, mentre io ero spaventata dall’horror vacui che avrei provato. In realtà qui le opere sono state così valorizzate dagli ambienti restaurati, dall’illuminazione e soprattutto dal sapiente e coinvolgente percorso tematico e cronologico creato da Gabriella Belli, che mi sono sentita subito rassicurata. Ho capito che stavamo facendo la scelta giusta. Nelle 28 stanze dei due piani espositivi colpisce il dialogo fra arte antica e contemporanea che connotava anche l’esposizione delle opere in casa, una relazione che mio padre e Gabriella Belli (incredibile il suo lavoro!) hanno saputo mirabilmente valorizzare e restituire. La Casa Museo, con una mescolanza di mobili e oggetti antichi e contemporanei, di quadri e sculture di epoche diverse, è una meravigliosa Wunderkammer che affascina anche le persone non esperte d’arte. Il Palazzo poi attrae magneticamente anche all’interno, nei cortili; sembra di sentire ancora viva l’eco del
richiamo di Rolandino Maffei che nel ‘600 lo riedificò, lasciando un’epigrafe che recita: «[…] Bene augurando per i posteri, a fini di decoro fece costruire un cortile pensile che offre spettacolo, giardini sospesi che dilettano, statue che sono invero simulacro di umana felicità». I visitatori, infatti, dopo aver percorso il sorprendente scalone elicoidale, possono accedere alla terrazza da cui si gode una straordinaria vista sulla città e le colline. Lo sguardo si spinge sino ai monti Lessini, ora innevati.
Non solo museo, ma vero e proprio player nella programmazione culturale della città. Quale la linea di sviluppo del vostro lavoro di valorizzazione della collezione e più in generale dell’arte?
Il Teatrino di Palazzo Maffei è una sala con straordinari affacci su Piazza delle Erbe, dove ogni fine settimana si svolgono attività nel segno dell’arte: incontri con gli artisti, presentazioni di libri e film, conferenze, laboratori. Il nostro desiderio è che Palazzo Maffei sia un luogo vivo, di ispirazione e di bellezza, in cui poter tornare per vivere l’arte e la collezione in tanti modi diversi. Cerchiamo di proporre iniziative originali mettendo in dialogo i più vari linguaggi espressivi circondati dai giovani studenti dell’Università e dell’Accademia di Belle Arti di Verona, con cui abbiamo costruito delle virtuose convenzioni, che qui hanno trovato modo di lavorare e crescere nel loro ambito di studi. Nel Teatrino andrà poi in scena, in questo mese di febbraio, uno spettacolo di danza contemporanea, Me Time delle giovani e talentuose Camilla Monga, coreografa, e Federica Forlani, compositrice di musiche elettroniche e acustiche. Ma abbiamo anche prodotto, con il supporto della Regione del Veneto, uno spettacolo di Auto-teatro, una forma teatrale innovativa di cui è stata pioniera Silvia Mercuriali, regista e attrice italo-britannica, prima nostra artista in residenza. Opening Night è diventata ora una traccia sonora per una visita esperienziale alternativa, individuale, che i visitatori possono richiedere in qualunque momento. Ognuno diviene così protagonista unico dello spettacolo, trasportato da musiche, suoni e dalla voce della regista in una festa a Palazzo, attraverso i secoli, che si percepisce ma non si raggiunge mai, il che rende la ricerca un percorso ancora più affascinante.
Lo scorso 4 febbraio il grande Arcangelo Sassolino ha dialogato nel Teatrino di Palazzo Maffei con Marco Tonelli, direttore della Galleria di Arte Moderna di Spoleto, mentre nei prossimi fine settimana Giancarlo Calza presenterà il suo libro, edito da Skira, sui manifesti giapponesi contemporanei, mentre Rachele Ferrario dialogherà con Gabriella Belli sul suo nuovo volume Umberto Boccioni, vita di un sovversivo, questo solo per citare alcuni dei prossimi appuntamenti.
Quanto è davvero importante il passato per immaginare e costruire al meglio il futuro? Crede che il futuro possa avere un cuore antico?
Il futuro ha sempre un cuore antico. La nostra meravigliosa Italia ne è l’esempio più evidente e lo è anche, nel suo specifico, Palazzo Maffei, dove crocifissi del Trecento dialogano con un meraviglioso Taglio rosso di Fontana, dove l’artista mantovana Chiara Dynys interviene sulle pitture di paesaggio del Settecento e si confronta con l’Amorino di Antonio Canova, mentre accanto alle statue grecoromane troviamo I Gladiatori di De Chirico e lo ieratico Testimone di Mimmo Paladino. Mariachiara Marzari
LO SPAZIO PRESENTE
Un’esperienza altamente immersiva in cui le barriere tra artista e osservatore tendono ad assottigliarsi e farsi quasi impalpabili
a
Realizzato tra il 1748 e il 1772 dall’architetto Giorgio Massari, Palazzo Grassi è l’ultimo palazzo costruito sul Canal Grande prima della caduta della Repubblica di Venezia.
Nel 2005 il punto di svolta: diventa proprietà del collezionista François Pinault. Rinnovato dall’architetto giapponese Tadao Ando, riapre nell’aprile 2006 con la mostra Where Are We Going?, che per la prima volta presenta una selezione di opere della ricca collezione d’arte contemporanea e moderna del collezionista francese, tramite mostre temporanee.
Venerdì 3 e sabato 4 febbraio Palazzo Grassi – Punta della Dogana entra nel 2023 presentando la quarta edizione di Set Up, il format site-specific ideato dal polo culturale veneziano in collaborazione con il curatore indipendente Enrico Bettinello e che quest’anno vede il debutto della partnership con il festival Terraforma, rassegna di musica sperimentale che in questo 2023 vivrà la propria edizione dal 9 all’11 giugno negli spazi di Villa Arconati, a Bollate, in provincia di Milano.
Set Up torna a Punta della Dogana investendone gli spazi per accogliere due serate di musica, danza e performance, offrendo un’esperienza unica all’interno della ex Dogana da Mar nel lasso di tempo che va dal disallestimento della mostra Bruce Nauman: Contrapposto Studies e l’apertura della nuova collettiva Icônes, a cura di Emma Lavigne e Bruno Racine, il 2 aprile prossimo. Questa nuova edizione vede la partecipazione di artisti internazionali, di generazioni, ispirazioni e influenze culturali differenti che si alternano tra le navate e all’interno del Cubo di Punta della Dogana, offrendo al pubblico prospettive inedite sugli spazi di questo straordinario complesso architettonico. Un’esperienza altamente immersiva in cui le barriere tra artista e osservatore tendono ad assottigliarsi e farsi quasi impalpabili, nella scoperta delle sonorità contemporanee e delle più attuali ricerche sul movimento coreografico. Gli artisti invitati a presentare le proprie opere performative al pubblico di Punta della Dogana per Set Up 2023 sono la danzatrice e autrice francese Leïla Ka (Francia), la dj e producer di origini norvegesi-messicane Carmen Villain (Nuovo Messico), la performer e attivista ecofemminista Marta Cuscunà (Italia), il duo elettronico di Gand Charlotte Adigéry & Bolis Pupul (Belgio), l’artista “delle città”, per dirla come Jimmie Durham, Riccardo Benassi (Italia), la dj fondatrice del collettivo di musicisti della diaspora africana NON Worldwide Nkisi (Regno Unito), il percussionista e compositore Andrea Belfi (Italia), la danzatrice hip-hop Mellina Boubetra (Francia), il producer dalle eleganti sonorità afro-barocche Tolouse Low Trax (Germania), il gruppo post-punk de l’Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp (Svizzera) e l’esploratrice sonora Deena Abdelwahed (Tunisia/Francia).
Set Up si conferma iniziativa preziosa per rinnovare lo sguardo rivolto a spazi architettonici destinati a cambiare di continuo, grazie alle diverse performance che vengono organizzate attivando, in una città particolare come Venezia, contesti ed eventi altrettanto particolari, innovando e incrementando la relazione con il pubblico più giovane. Atmosfere flessibili, tese al dialogo e non costrette nella rigidità formale, con una programmazione che si fa frutto di un processo collettivo non pre-impostato che si lascia trasportare da flussi di idee. Un’occasione di dialogo e di divertimento, un’esperienza portatrice di sguardi nuovi creati da un pubblico attivo e partecipante. Teatro, coreografie e attivismo veicolato attraverso il corpo, gli arpeggi oscuri e le sperimentazioni estreme, fino all’afro avant-pop e le suggestioni musicali più innovative, il rapporto tra corpo e voce, il movimento e la forza dei segni performativi: tutti elementi che gli spettatori sono invitati a esplorare in un programma che si sviluppa negli spazi di Punta della Dogana, per rinnovare la propria prospettiva percettiva ed emozionale con un corposo assaggio da poter apprezzare attraverso l’ascolto di una playlist Spotify diffusa dai canali web di Palazzo Grassi.
Built between 1748 and 1772 on a design by architect Giorgio Massari, Palazzo Grassi is the last palace built on the Grand Canal before the fall of the Republic of Venice. Its history changed in 2005, when French tycoon and art collector François Pinault. Renovated by Japanese architect Tadao Ando, the building re-opened in 2006 with exhibition Where Are We Going?, the first public exhibition of art from Pinault’s collection.
On February 3 and 4, Palazzo Grassi – Punta della Dogana will open their 2023 programme with the fourth edition of Set UP, a site-specific format produced in cooperation with independent curator Enrico Bettinello that will partner with festival Terraforma, an experimental music programme to be held on June 9 to 11 in Bollate (Milan).
Set Up will be produced in Punta della Dogana, Palazzo Grassi’s second exhibition site, and will include two shows of music, dance, and performance art. This short programme will soon leave way for the staging of a new upcoming exhibition, Icônes, curated by Emma Lavigne and Bruno Racine and opening on the next April 2. Icônes will offer new, original perspectives on Punta della Dogana thanks to the cooperation of international artists of different generations, inspirations, and influences.
The experience at Set Up will be immersive, and the barriers between audience and artist will shrink to a minimum as we discover new modern sounds and the latest trends in choreography. Set Up is a precious initiative to guide us in the rediscovery of architectural spaces in a city as particular as Venice. Flexible atmospheres foster dialogue and help overcoming formal rigidity. Collective, non-predetermined processes will be carried on by free streams of ideas. Theatre, choreography, and activism will be conveyed in the language of body, mysterious arpeggios, and extreme experimentation. Afro avant-pop, innovative musical suggestions, the relationship between body and voice, motion and strength in performative signs: all these elements are there to be explored at Punta della Dogana to renovate our perspective in perceptual and emotional terms. Preview what’s coming on Spotify, where Palazzo Grassi maintains the playlist of the upcoming show.
musica
PUNTA DELLA DOGANA SETUP
03
venerdì Friday h. 20-02
NAVATA 1
Leïla Ka
Danza
Leïla Ka ha iniziato la propria carriera con la danza urbana, che ha rapidamente incrociato con altre influenze. Dopo aver lavorato come interprete, in particolare per Maguy Marin, ha scoperto una teatralità danzata che ha mantenuto come possibile forma di arricchimento del suo lavoro e si è lanciata nella creazione della sua prima opera, Pode ser. Questo assolo, che ha vinto cinque premi internazionali ed è stato eseguito più di 140 volte dalla sua creazione, nel 2018, si avvicina liberamente a danza e teatro urbano contemporaneo nel tentativo di illustrare la complessità e la difficoltà dell’essere. Un tema che l’autrice riprende e tratta su scala comunitaria in un secondo pezzo, il duetto C’est toi qu’on adore e in una terza creazione, l’assolo Se faire la belle. Leïla sta attualmente lavorando a un’opera collettiva ed è artista associata presso CENTQUATREPARIS, La Garance, Scène nationale de Cavaillon, sostenuta dalla Rete Tremplin – che fornisce sostegno ai coreografi emergenti – fino al 2024.
ENG Leïla Ka started her career as a dancer focusing on urban dance, which she quickly mixed with other influences. Ka worked as a performer, notably with Maguy Marin, to later discover a kind of ‘danced theatricality’ that she kept as a form of enrichment for her art. She then authored her first piece, Pode ser. This solo piece won five international awards and had over 140 runs. It draws freely from dance and modern urban theatre in an attempt to cast some light on the complexity and difficulty of being. Leïla Ka goes back to the same theme on a communitarian scale for her second oeuvre, duet C’est toi qu’on adore, and in her third, solo piece Se faire la belle. The dancer and choreographer is currently working on a collective piece. She is an associate at CENTQUATRPARIS, La Garance, Scène nationale de Cavaillon, supported by the Tremplin network.
CUBO
Carmen Villain
Live set
Nome d’arte di Carmen Hillestad, è una musicista/producer nata a Midland, nel Michigan, e di stanza a Oslo. Archiviata una carriera da top model che l’ha portata sulle pagine di Elle, Vogue e Marie Claire, pubblica il suo album di debutto nel 2013. Sleeper la rivela in qualità di cantautrice indierock influenzata dal suono
ruvido degli anni ‘90, in particolar modo Sonic Youth e Royal Trux. A partire da questo primo tassello l’artista di origini messicano-norvegesi inizia un graduale processo di evoluzione sonora, orientandosi verso strutture atmosferiche di matrice ambient. Infinite Avenue del 2017, pur presentando i primi segnali di questa conversione, è ancora un disco di canzoni caratterizzato da dolenti trame psych-folk e sfumature dream-pop. È con Both Lines Will Be Blue (2019), primo lavoro interamente strumentale, che si compie definitivamente la transizione da songwriter a tessitrice di paesaggi ambient, scaturiti dall’intersezione di modulazioni sintetiche, field recording e influenze jazz. I successivi tasselli vedono Villain esplorare il lessico elettronico alla ricerca di una definizione sempre più ibrida e sfaccettata, i cui risultati sono efficacemente cristallizzati nella suite Affection in a Time of Crisis (2020) prodotta per Longform Editions e soprattutto nel dinamico Only Love From Now On (2022).
ENG Stage name of Carmen Hillestad, Villain is a musician and producer born in Midland, Michigan, and residing in Oslo, Norway. After her top modelling career (Elle, Vogue, Marie Claire) she released her debut album in 2013. Sleeper highlights her indie-rock songwriting abilities and influences from the grungy sound of the 1990s, especially Sonic Youth and Royal Trux. The artist later evolved her sound towards atmosphere and ambient music ascendants. Infinite Avenue of 2017, though, is still a psych-folk, dream-pop album of upright songs. It is only with Both Lines Will Be Blue of 2019, her first fully instrumental work, that she graduates as a weaver of ambient landscapes, born of the intersection of synthesized modulations, field recording, and jazz. Subsequent work see Villain explore the electronic vocabulary looking for a more hybridized, multi-faceted definition, whose results crystallized in Affection in a Time of Crisis of 2020, produced for Longfrom Editions, and even more so in Only Love From Now On of 2022.
NAVATA 1
Marta Cuscunà Performance
Autrice e performer di teatro visuale, nella sua ricerca unisce l’attivismo alla drammaturgia per il teatro di figura. Nel 2009 vince il Premio Scenario per Ustica con È bello vivere liberi! primo capitolo di Resistenze femminili, una trilogia di cui fanno parte La semplicità ingannata e Sorry, boys. Ne Il canto della caduta unisce l’immaginario ancestrale del mito di Fanes ai principi di animatronica utilizzati per manovrare i pupazzi. Earthbound è un monologo di fantascienza per attrice solista e creature mecca-
niche, ispirato all’ultimo saggio ecofemminista di Donna Haraway. Nel 2021 diventa artista associata al Piccolo Teatro e partecipa alla trasmissione di Rai Tre La Fabbrica del mondo di Marco Paolini e Telmo Pievani per la quale scrive e interpreta Corvi alla fine del mondo, miniserie in sei episodi dedicata ai temi dell’ecofemminismo. Dal 2009 al 2019 ha fatto parte di Fies Factory, un progetto di Centrale Fies. ENG A visual theatre author and performer, her research pairs activism with figure theatre. In 2009, she was awarded the Premio Scenario per Ustica award for È bello vivere liberi! (‘It’s great to live free!’), the first chapter of Resistenze femminili, a trilogy completed with La semplicità ingannata (‘deceived simplicity’) and Sorry, boys. In Il canto della caduta (‘the song of the fall’), Cuscunà united the ancestral images of the Myth of Fanes (an Alpine cycle of oral legends) to animatronics. Earthbound is a sci-fi monologue for solo actress and animatronics, inspired by Donna Haraway’s latest evo-feminist essay. In 2021, Marta Cuscunà became an associate artist at the Piccolo Teatro and worked in television with Marco Paolini and Telmo Pievani. For them, she authored and interpreted Corvi alla fine del mondo (‘crows at the end of the world’), a six-episode series on eco-feminism.
NAVATA 2
Charlotte Adigéry & Bolis Pupul Musica
Appropriazione culturale. Misoginia e razzismo. Vanità dei social media. Post-colonialismo e correttezza politica. Non sono argomenti che normalmente si sentono sulla pista da ballo, ma Charlotte Adigéry e Bolis Pupul stanno rompendo le regole con la loro musica. Il duo di Gand, che ha debuttato con l’EP Zandoli del 2019 per l’etichetta discografica DEEWEE di Soulwax, è un narratore d’eccezione di musica elettronica.
ENG Cultural appropriation. Misogyny and racism. Vanity in social media. Post-colonialism and political correctness. Not your usual dancefloor topics, but Charlotte Adigéry and Bolis Pupul are known to break rules in music. The Gand, Belgium-based duo debuted with EP Zandoli in 2019 and are an exceptional narrator of electronic music.
musica
PUNTA DELLA DOGANA SET UP
CUBO
DANCEFLOORENSICK CHAPTERS 1, 2, 3
Riccardo Benassi
Performance
Del suo lavoro, Benassi afferma: « Dancefloorensick è una parola che ho creato mischiando tre parole: Dancefloor + Forensic + Sick. Utilizzo spesso i neologismi perchè mi permettono di far atterrare sulla realtà un’idea, concedendole di uscire dalla mia mente per incontrare altre persone. Dancefloorensick è una serie di video-essays divisa in sei capitoli che – se visti uno dopo l’altro – compongono un unico flusso, suonano come un mixtape. Una collezione di appunti che ambiscono alla poesia, sapendola irraggiungibile: si sono presi momentaneamente per mano e poi hanno messo in discussione la linearità formando un cerchio e, forse, interrompendo il ronzio. Ronzio di speaker accesi e pronti che tuttavia non emettono ancora suono. Ronzio di idee contrastanti che mi illudo di codificare. Ronzio dei Big Data che un esercito di AI sta cercando di discernere tra rumore e informazione. Poi, finalmente, la musica, e spesso – anche con il senno di poi – si tratta di una voce amica». Dancefloorensick è stata co-prodotta dal Centre d’Art Contemporain Genève per la Biennale de l’Image en Mouvement 2021 e dal MACRO – Museo d’Arte Contemporanea di Roma per Retrofuturo 2022.
ENG In his own word, Benassi defines Dancefloorensick as “a portmanteau of dancefloor, forensic, and sick. I often make up new words because they help bring an idea to reality and allow it to exit my mind and meet other people. Dancefloorensick is a series of video essays in six chapters that, if viewed back to back, sound like a mixtape. It is a collection of notes that look up at poetry, knowing real poetry is out of their reach. They held hands with one another and critiqued linearity. They gathered in circle and stopped the buzz. The buzz was supposed to come from speakers: they are on, but they make no sound. A buzz of contrasting ideas I am trying to codify. A buzz of big data that an AI army is scanning. Lastly, at long last, music, and often, the sound of a friendly voice.”
Dancefloorensick is a co-production of Centre d’Art Contemporain Genève for the Biennale de l’Image en Mouvement 2021 and MACRO –Museo d’Arte Contemporanea di Roma.
NAVATA 2
Nkisi
Dj-set
Nata in Congo, cresciuta in Belgio, ha iniziato a usare il nome Nkisi dopo essersi trasferita a Londra nel 2012. Produce brani da club intensi
e potenti, influenzati in egual misura da poliritmi africani, dalla techno hardcore e dai film horror italiani degli anni ‘70.
La musicista e artista visiva è una dei cofondatori di NON Worldwide, un collettivo di artisti sperimentali della diaspora africana. Dopo aver pubblicato diversi EP digitali e in vinile nel corso degli anni 2010, il debutto completo di Nkisi, 7 Directions, è apparso nel 2019 pubblicato dall’etichetta di Lee Gamble UIQ nel 2019 ed è ispirato alla cosmologia africana dei Bantu-Kongo, in particolare agli scritti dello studioso Kongo Kimbwandende Kia Bunseki Fu-Kiau. Nel 2020, la nuova etichetta di Nkisi, INITIATION, si presenta con INT001, un EP di tre tracce che fonde strategie ritmiche di rumore con linguaggi segreti di tamburi provenienti dalle antiche tradizioni Kongo. Nkisi incanala 160+ bpm, percussioni metalliche frenetiche e ipnotizza la pista da ballo in uno spazio trascendentale e ritualistico. I suoi primi dischi, 16 e 21, sono apparsi su Doomcore, l’etichetta di Amburgo gestita da Low Entropy, rispettivamente nel 2014 e nel 2015. Insieme a Chino Amobi e Angel-Ho, Nkisi ha fondato NON Worldwide nel 2015 e ha iniziato a comparire nelle compilation dell’etichetta. Nel gennaio del 2016 ha iniziato a condurre un programma mensile su NTS Radio e ha composto musica per installazioni e spettacoli teatrali tenuti in diverse gallerie di Londra e d’Europa negli anni successivi. La sua prima uscita in vinile, Kill EP, è stata pubblicata da MW nel 2017. Durante l’anno ha anche curato il festival annuale del Wysing Arts Centre di Cambridge, intitolato Opaque Poetics. Il suo EP Dark Orchestra è stato pubblicato dall’impronta Arcola di Warp, da tempo inattiva, dopo la sua ripresa all’inizio del 2018.
ENG Born in Congo and raised in Belgium, Nkisi chose her name after she moved to London in 2012. She produced powerful, intense club music, influenced by African poly-rhythm, hardcore techno, and Italian horror cinema from the 1970s.
The musician and visual artist co-founded NON Worldwide, a collective of experimental artists from the African diaspora. After the release of several digital Eps and vynils over the last decade, her 7 Directions appeared for Lee Gamble UIQ label in 2019. The work had been inspired by Bantu-Kongo cosmology and by scholar Kimbwandende Kia Bunseki Fu-Kiau’s studies. In 2020, Nkisi released INT001, a three-track EP that mixes noise rhythmic strategies with secret drum languages, again from Kongo tradition. Nkisi channels 160+ bpm, frenzied metallic percussions, and hypnotizes the dancefloor into a transcendental, ritualistic space. Her first two records, 16 and 21, have been published by Doomcore in 2014 and 2015 respectively. With Chino AMobu and
Angel-Ho, Nkisi founded NON Worldwide in 2016. Also in 2016, she started hosting her radio show on NTS Radio and composed music for installations and theatre shows in London and elsewhere in Europe. Her first vinyl, Kill EP, came out for MW in 2017. In the same year, she curated the annual festival at Wysing Arts Centre in Cambridge: Opaque Poetics.
sabato Saturday h. 20-02
CUBO
Andrea Belfi
Drums & electronics
Batterista, compositore e musicista sperimentale italiano di base a Berlino, ha costruito negli anni un linguaggio sonoro estremamente personale facendo interagire un essenziale set di batteria con un altrettanto minimale set elettronico e miscelando così la complessità timbrica dei suoni acustici con le infinite possibilità offerte dai supporti digitali. In questi anni Belfi si è guadagnato un’importante reputazione internazionale per le sue performance dal vivo, tanto energiche quanto ipnotiche e immersive. Nel 2019 è stato invitato da Thom Yorke ad aprire i concerti del Tomorrow Modern Boxes tour in Europa e Nord America. Ha collaborato, in studio e sul palco, con artisti del calibro di Nils Frahm, Mouse on Mars, Jóhann Jóhannsson, Mike Watt, Circuit des Yeux e David Grubbs. Ha suonato alla Philharmonie de Paris, Montreux Jazz Festival, The Greek Theater (Los Angeles), Unsound Festival (Cracovia), Barbican Center (Londra), Issue Project Room (New York), CTM Festival (Berlino), Fondazione Prada (Milano). I suoi ultimi dischi, l’LP Ore (per la londinese Float Records) e l’EP Strata, hanno consolidato il suo percorso artistico e catturato nuovi fan, tra cui influenti critici e addetti ai lavori come Mary Anne Hobbs, Gilles Petterson e Sasha Frere-Jones. A marzo 2023 esce il suo nuovo album, intitolato Eternally Frozen, una serie di composizioni per ensemble di ottoni, percussioni ed elettronica. ENG An Italian drummer, composer, and experimental musician in Berlin, Andrea Belfi built, over the years, a very personal sound language by making a bare-boned drum set and electronic music set interact, thus mixing the complex timbre of acoustics with the infinite possibilities of the digital. Lately, Belfi earned some international reputation for his live performances, as energetic as they are hypnotic and immservice. In 2019, he had been invited by Thom York to open concert programme Tomorrow Modern Boxes tour
in Europe and North America. He cooperated, both in studio and on stage, with such artists as Nils Frahm, Mouse on Mars, Jóhann Jóhannsson, Mike Watt, Circuit des Yeux, and David Grubbs. His latest records, LP Ore (Float Records) and EP Strata, consolidated his art and earned him new fans, including influent critics and professionals such as Mary Anne Hobbs, Gilles Petterson, and Sasha Frere-Jones. Upcoming in March 2023, his new album Eternally Frozen, a series of composition for brass, drums, and electronics.
NAVATA 1
Mellina Boubetra
Danza
Ha iniziato a ballare in un centro sociale della francese Colombes, sua città natale. Ha scoperto l’hip-hop in giovanissima età e con il suo insegnante Mohamed El Hajoui ha creato il duo Jazz Rock e Locking Second souffle, che debutta nel 2006. Dopo aver studiato biologia per diversi anni, decide alla fine del 2015 di dedicarsi totalmente alla danza. Inizia con delle battles all style e gradualmente si muove verso la creazione. Si è unita alla compagnia Des pieds au mur di John Degois per lo spettacolo De bois et... nel 2016. Nel 2017 ha collaborato con Andrew Skeels per lo spettacolo teatrale Finding Now e nel 2018 con la compagnia Dyptik per Le Cri.
ENG Boubetra took dancing at a community centre in her hometown of Colombes, France. She discovered hip-hop while very young, and with her teacher Mohamed El Hajoui created duo Second souffle, debuting in 2006. After biology studies, she consecrated her life to dance in 2015, both in performance and creation. She joined John Degois’ company Des pieds au mur to perform in De bois et… in 2016. In 2017, she worked with Andrew Skeels for theatre show Finding Now, and in 2018, with company Dyptik for Le Cri.
CUBO
Tolouse Low Trax Electro
«La primitività nella mia musica è legata a qualcosa di semplice, e questo non deve essere necessariamente minimal. La musica che rimane incompiuta contiene un momento di bellezza, un velo di segretezza. Lavoro in modo molto semplice: preferisco ridurre le mie possibilità. Le limitazioni offrono molte libertà». L’etica di Tolouse Low Trax, alter ego di Detlef Weinrich, si traduce nelle sue molteplici uscite su etichette come Idle Press, Infiné, Karaoke Kalk, Kunstkopf, Neubau, Themes For Great Cities, Antitote o Córto, Cities, Antitote o Cómeme. Il produttore tedesco non è di certo un nuovo arrivato nella scena: ancora membro attivo della band Kreidler, è l’uomo che sta dietro al famigerato Salon des Amateurs di Düsseldorf, storico club della scena indie elettronica. Le sue produzioni come Tolouse Low Trax esplorano l’eleganza afro-barocca attraverso arpeggi oscuri, l’ipnosi a rilascio lento trasforma i generi in scenari sfocati in cui
ci si perde facilmente. Quando si vuole tornare indietro, è troppo tardi… ENG “The primitiveness in my music comes from something simple, yet not necessarily minimal. The music that is left unfinished contains a moment of beauty, a veil of secrecy. I work in very simple fashion: I prefer to circumscribe my possibilities. Limits offer many freedoms.” The ethics of Toulouse Low Trax, a.k.a. Detlef Weinrich, shows in the many releases published by Idle Press, Infiné, Karaoke Kalk, Kunstkopf, Neubau, Themes For Great Cities, Antitote o Córto, Cities, Antitote o Cómeme. The German producer is no newcomer: still a member of Kreidler, he is also behind the infamous Salon des Amateurs in Düsseldorf, a historical club of indie electronic music. His productions as Toulouse Low Trax explore Afro-baroque elegance in murky arpeggios, slow-releasing hypnosis, and blurred sceneries. The moment you want to turn back, it’s too late already…
NAVATA 2
Orchestre Tout Puissant
Marcel Duchamp
Tropical postpunk, afro avantpop
Nata a Ginevra nel 2006 su impulso del contrabbassista Vincent Bertholet, l’Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp è inizialmente un sestetto (“gruppo rock con marimba”, lo definisce Bertholet) il cui nome intende omaggiare le orchestre africane (che spesso, un po’ pomposamente, si autodefiniscono onnipotenti) e l’arte dada, fondendo così uno spirito ecologista e una programmatica ritrosia a schemi, convenzioni ed etichette di genere. È nel 2016, in occasione dei dieci anni del progetto, che arriva la decisione di allargare la band. Nel corso del tempo la line-up si stabilizza a 12 elementi: doppia sezione ritmica, contrabbasso, due marimba, due violoncelli, violino, fiati, chitarre. L’Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp ha all’attivo cinque album in studio, di cui il penultimo e il terzultimo prodotti da John Parish (PJ Harvey). Il loro ultimo disco, We’re ok but we’re lost anyway (uscito ancora con Bongo Joe Records) è stato accolto da una vera e propria ovazione da parte della critica (4° posto della classifica 2021 di Blow Up, nei top 50 di Rumore e al 6° posto dei dischi world per Il Giornale della Musica ), menzionato anche da Gilles Petterson come una delle migliori uscite nello scorso anno.
albums under their belt, two of which have been produced by John Parish (PJ Harvey). Their latest, We’re ok but we’re lost anyway has been universally acclaimed by the critic, with Gilles Petterson listing it as one of the best releases of last year.
CUBO
DANCEFLOORENSICK CHAPTERS 4, 5, 6
Riccardo Benassi Performance
NAVATA 2
Deena Abdelwahed Dj-set
Dopo gli inizi in una band jazz e molteplici interventi nella scena elettronica di Tunisi, la produttrice e DJ Deena Abdelwhahed si è trasferita in Francia nel 2016. Ha firmato per l’etichetta parigina InFiné e ha pubblicato due EP, Klabb (2017) e Dhakar (2020) e un album intitolato Khonnar (2018), acclamato da diversi media internazionali come Pitchfork e The Guardian. Le sue esplorazioni musicali tentano di recuperare gli elementi che compongono la diversità della musica araba, traendo ispirazione dalla dance elettronica influenzata dalla Club music e dall’attuale scena avanguardistica e sperimentale. Ha co-prodotto il brano an itch che compare nell’ultimo album di Fever Ray, Plunge e ha prodotto diversi remix di Bachar Mar-Khalifé, Flore, Domenico Torti e Afrika Bambaataa, tra gli altri. Ha anche collaborato con la comunità della danza, chiamata da Alexandre Roccoli a scrivere ed eseguire la musica per Weaver nel 2017. Deena Abdelwahed si è esibita sul palco di diversi festival ed eventi di fama come il Sonar Festival, per due volte, Les Dunes Electroniques in Tunisia, il CTM Festival di Berlino, il Dekmantel di Amsterdam, il Dour festival o il Mutek Festival di Città del Messico e club come la Concrète e il Dehors Brut di Parigi, il Berghain di Berlino e il Mutabor di Mosca, tra gli altri.
ENG
Founded in Geneva in 2006 from an idea of double bassist Vincent Bertholet, the Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp started as a sixsome (a ‘rock band with marimba’, said Bertholet) whose name pays homage to African orchestra (which often call themselves, a bit too pompously, ‘almighty’) and dada art – the fusion of ecologic spirit and avoidance of pre-existing conventions and labels. In 2016, for the project’s tenth anniversary, the band expands: a total of twelve elements including double rhythmic section, a double bass, two marimbas, two cellos, violin, winds, guitars. Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp has five studio
ENG After her first experiences in a jazz band and in the electronic music scene of Tunis, producer and DJ Deena Abdelwahed moved to France in 2016. She released two Eps, Klabb of 2017 and Dhakar of 2020, and an album, Khonnar of 2018, for Parisian recorder InFiné. Her musical explorations try to recover those elements of Arabian music diversity while also taking inspiration from electronic dance, club music, and the modern avant-garde and experimental scene. Abdelwahed co-produced track an itch in Fever Ray’s latest album, Plunge, and remixed tracks by Bachar Mar-Khalifé, Flore, Domenico Torti, and Afrika Bambaataa, among others. She also worked with dancers: Alexandre Roccoli chose her to compose and perform music for his Weaver of 2017. Deena Abdelwahed performed in several festivals and events like the Sonar Festival, Les Dunes Electroniques in Tunisia, the CTM Festival in Berlin, the Dekmantel in Amsterdam, the Dour Festival, the Mutek Festival in Mexico City, and clubs like the Concrète and the Dehors Brut in Paris.
musica
La religione personale
Breathe è il nuovo lavoro discografico di Fabio Accardi, quinto album da leader del batterista barese che esce a tre anni di distanza da Precious, concept album dedicato alla Madre Terra e a tutti coloro, come Greenpeace e WWF, che hanno fatto della difesa della sua biodiversità una missione.
La tracklist è costituita da sei composizioni originali, tutte scritte da Accardi, a cui si aggiungono una splendida versione strumentale di Daydreaming dei Radiohead ‘cantata’ dal contrabbasso di Giorgio Vendola e dal sax di Gaetano Partipilo, condotta tutta in crescendo con momenti di forte coinvolgimento, ma che altrove prende sfumature più fusion, oltre ad una versione di Nature Boy di Eden Abhez, interpretata intensamente dalla voce di Serena Fortebraccio, conterranea di Accardi.
Un album, quello al centro del concerto del 4 febbraio alla Fenice per il ciclo Jazz& di Veneto Jazz, che vuole essere un’esortazione a “respirare profondamente” per meglio sintonizzarsi con le frequenze della Natura, con il proprio Io e con un proprio Dio.
Collaboratore di Stefano Bollani, Paolo Fresu ed Enrico Rava, oltre che di moltissimi altri mostri sacri della scena jazz, Accardi è stato ospite di alcuni dei festival più prestigiosi, come il Northsea Jazz Festival, l’Umbria Jazz, l’Umbrella Jazz Festival di Chicago, oltre che in tour al fianco di Toquinho e Chiara Civello.
ENG Fabio Accardi’s latest record, Breathe, is his fifth production, released five years after Precious, a concept album dedicated to Mother Earth. Breathe includes six original tracks, all authored by Accardi, plus an amazing instrumental version of Daydreaming by Radiohead, ‘voiced’ by Giorgio Vendola’s double bass and Gaetano Partipilo’s sax. The record also lists an original arrangement of Eden Abhez’s Nature Boy, performed by Serena Fortebraccio. Accardi will perform at Fenice Theatre on February 4 as part of the Jazz& programme of Veneto Jazz.
Fabio Accardi | Breathe 4 febbraio Teatro La Fenice www.venetojazz.comPrimo della classe
Alla Fenice, il migliore interprete
Polistrumentista e compositore, Chris Potter viene spesso citato da critici e musicisti come il migliore sassofonista del suo tempo, uno dei rari personaggi in grado di segnare un’epoca con il proprio passaggio.
Il 4 marzo, con Edward Simon al piano, Scott Colley al basso e la batteria di Nasheet Waits, palcoscenico migliore della Fenice non poteva essere scelto per presentare al pubblico italiano il suo Circuits, lavoro del 2020 in cui melodie inconsuete si muovono su fraseggi pieni delle più disparate influenze, sostenute da un tappeto elettronico in cui il gruppo riesce a districarsi con eleganza e sicurezza.
Da ormai più di due decenni la creatività illimitata di Potter ha entusiasmato critici, musicisti e fan, che lo acclamano come uno dei più influenti saxofonisti e innovatori attualmente in circolazione. Chris Potter si è distinto fin da giovanissimo sulla scena internazionale per una creatività poliedrica, un virtuosismo del tutto naturale e un’intensa capacità d’improvvisazione. Per questo viene ascoltato con uguale ammirazione tanto dai cultori della tradizione quanto dagli amanti delle ricerche contemporanee. Con Circuits, Potter fa ritorno al ritmo, riecheggiando la musica della sua epoca underground e mescolando un vibrante panorama sonoro di elettronica e melodie con indimenticabili e sorprendenti giri di frase, il tutto suonato con energia implacabile.
ENG Chris Potter is a composer and poly-instrumentalist, often cited as the best sax player of his time and one of the few to leave his mark on a whole epoch. On March 3, Potter will perform at Fenice
Theatre with Edward Simon at the piano, Scott Colley at the bass, and Nasheet Waits at the drums to present his latest work, Circuits of 2020: atypical melodies build upon full-bodied phrasing of diverse ancestry, sustained by a synthesized sound wall. For over two decades, Potter’s limitless creativity excited critics, fellow musicians, and fans. Circuits marks Potter’s return to rhythm, underground sound, and a vibrant panorama of electronic music.
In assenza di stelle
«Altro che aperitivo, ci siamo bevuti il Pianeta e gireremo un video mentre esplode il Pianeta», così si esprime Cristina Donà in Distratti, prima canzone dell’album deSidera, ultimo uscito e undicesimo della sua lunga carriera. Concretizzato grazie a una felice operazione di crowdfunding e realizzato in parte durante il lockdown, il lavoro alterna momenti aspri a slanci più poetici, mentre l’artista introduce tematiche ecologiste che aggiungono una nota universale al filo narrativo. Così almeno in superficie, perché il concept sotterraneo rimane intriso di quelle visioni intimiste e introspettive che da sempre contraddistinguono i suoi testi. E in questo caso l’esplorazione di Cristina Donà si concentra sul “desiderio” e sui sentimenti, struggenti e vitali, che ne derivano. Un desiderio che, ricondotto alla sua essenza etimologica dalla grafia del titolo ( deSidera, “mancanza di stelle”), guarda alla condizione umana così come all’esistenza del singolo individuo, alle forze che guidano le sue scelte e alle pulsioni che danno senso alla sua quotidianità. deSidera arriva al culmine di una carriera iniziata nei ‘ruggenti anni ’90 dell’indie-rock italiano’ e consolidatasi attorno a scelte artistiche più inclini a cercare una dimensione musicale originale che a rincorrere un facile successo commerciale.
La formazione capeggiata dal percussionista
Enrico Morello che sarà ospite del Fondaco dei Tedeschi il prossimo 16 marzo vede coinvolti alcuni fra i più creativi e apprezzati musicisti jazz in Italia, ossia Francesco Lento alla tromba, Daniele Tittarelli al sassofono e Matteo Bortone al contrabbasso.
Con Cyclic Signs Enrico Morello, classe 1988, debutta discograficamente pur essendosi già distinto da diversi anni come uno dei batteristi più talentuosi della sua generazione, avendo collezionato collaborazioni di primo piano come la militanza nel New Quartet e nel sestetto Special Edition di Enrico Rava, oltre ad importanti esperienze anche sul piano didattico che lo vedono impegnato come docente della prestigiosa Siena Jazz University. Il riferimento al moto ciclico enunciato nel titolo è ribadito in tante parti del lavoro, dalla grafica della copertina all’inserimento periodico di brevi brani totalmente improvvisati dentro il corpus di composizioni, tutte firmate da Morello, fino al titolo dell’ultimo pezzo, The End Is the Beginning, dove fa capolino la meccanica ripetitiva del carillon. Un’opera prima che rivela pienamente le qualità di Morello, sia nella scelta felice dei musicisti che nel tenere una linea stilistica ben sorvegliata, aperta ai contributi preziosi dei singoli e vitalizzata da una molteplicità di stimoli.
SantinDall’album di esordio La Tregua (Targa Tenco 1997) fino ai più recenti ( La quinta stagione, 2007; Così vicini, 2014, Ginevra Di Marco & Cristina Donà, 2019) l’artista lombarda ha continuato a ossigenare una vena creativa ricca di sfumature, facendo affidamento su una voce incisiva e intensa, messa al servizio di testi dal notevole impatto emotivo e di impianti sonori costruiti attorno al costante accompagnamento della chitarra. Accostata spesso dalla critica a P.J. Harvey per l’attitudine rock e la raffinatezza delle composizioni, Cristina Donà ha saputo intrecciare una ricca rete di collaborazioni in Italia e all’estero, ricevendo apprezzamenti da artisti del calibro di David Byrne, Eric Wood e Robert Wyatt. A definire i suoi esordi sarà però soprattutto la collaborazione con Manuel Agnelli. Il leader degli Afterhours, da sempre attivo nella valorizzazione di nuovi talenti della scena indie, è stato al fianco dell’artista in qualità di produttore, arricchendo i suoi primi lavori sul fronte degli arrangiamenti e setacciando nuove opportunità di promozione oltre confine. Con un repertorio in equilibrio tra rock, folk e jazz, i brani che le rimangono più cuciti addosso sono alcune ballate ( Settembre, L’aridità dell’aria, Goccia ) che parlano di esperienze condivise, di emozioni vissute intimamente e di paesaggi reali o interiori inondati di una dolce malinconia, trasportata dalla sua voce delicata e capace di sorprendenti armonie: «È tempo di ripulire il pensiero, è tempo di rinunciare al veleno, è tempo di dominare il fuoco, è tempo di ascoltare davvero». Marisa
Una varietà di ispirazioni che si sviluppano attraverso i brani offrendo agli strumentisti coinvolti gli stimoli per deviare dal tracciato, allacciando connessioni reciproche fresche e spontanee che generano paesaggi sonori multiformi e inattesi.
Enrico Morello 16 marzo Fondaco dei Tedeschi www.venetojazz.com
deSidera, nuove storie di universale quotidianitàPhoto Fabio Lovino © Francesca Sara Cauli
musica
Il suono delle parole
Una tournée teatrale che passa dal Teatro Corso di Mestre il 24 marzo e prende il nome dal nuovo album di inediti, Sono un figlio, apprezzatissimo da critica e pubblico. Artista a tutto tondo, per questo nuovo tour Ron ha voluto dare la possibilità di esibirsi sul suo palco ad alcuni giovani autori e cantautori che hanno collaborato all’album, come Giulio Wilson e Santoianni.
Protagonista di alcuni dei più grandi eventi della musica in Italia (solo per citarne due, il tour di Banana Republic con Dalla e De Gregori e il Fab Four Tour con De Gregori, Pino Daniele e Fiorella Mannoia), Ron predilige da sempre la dimensione live, scegliendo di portare questo spettacolo in teatro con arrangiamenti essenziali che faranno risaltare testi che sono riflessi del periodo che l’autore sta attraversando, caratterizzati da una qualità compositiva raramente riscontrabile nel panorama musicale contemporaneo.
Per mettere in luce la narrazione dello spettacolo Ron ha scelto di avvalersi della collaborazione autoriale del regista Stefano Genovese: il risultato è uno show ‘confidenziale’, corrispondente ad un album molto intimo, in cui l’artista racconta di sè ma anche di tutto quello che gira intorno a noi, con un linguaggio semplice ed empatico. Per la prima volta sarà possibile ascoltare dal vivo molti brani del nuovo album, assieme ovviamente alle canzoni più popolari e amate che Ron ha regalato alla musica leggera italiana tra cui Joe Temerario, Vorrei incontrarti fra cent’anni, Anima, Il gigante e la bambina, Chissà se lo sai, Una città per cantare, Non abbiam bisogno di parole, Piazza Grande, con autentiche chicche proposte raramente dal vivo ma molto richieste dal pubblico, come nel caso di Al centro della musica, Per questa notte che cade giù, Io ti cercherò
Ron 24 marzo Teatro Corso-Mestre www.amceventi.it
La voce della terra Ana Maza, omaggio in musica
Virtuosa della voce e del violoncello, Ana Carla Maza è nata a Cuba mentre Wim Wenders girava Buena Vista Social Club e ha mosso i primi passi sul palco a 10 anni, per poi crescere velocemente a livello internazionale.
Dopo il successo del suo album solista La Flor, firma lei stessa le composizioni per il quartetto del suo nuovo album, Bahia del 2022, tributo al quartiere de L’Avana dove ha trascorso la sua prima infanzia, entrando in contatto con uno strumento versatile, capace di renderla: «Un’avventuriera e una pioniera. Mi piace il violoncello perchè posso suonarlo come un basso jazz degli anni ‘50 o come un arco di un concerto classico».
Suoni cubani e brasiliani sono sotto i riflettori di un album in cui ritmi come Tango, Huayno e jazz si uniscono per disegnare un mondo di sensibilità e speranza. Voce soave, pizzicati percussivi e archetti leggeri: la violoncellista, elegantemente accompagnata da un trio jazz, dispiega una gamma di colori ed emozioni, alternando carezze e tempeste.
Ana Carla ha iniziato a suonare il violoncello a 8 anni e ha calcato il palco per la prima volta a L’Avana appena due anni dopo. A 13 anni ha preso parte a un album con il progetto Carlos Maza en Familia e a 14 ha suonato per l’album Quererte. Nel 2012 si è trasferita a Parigi per studiare al Conservatorio e ha iniziato una carriera in solo che l’ha portata a esibirsi in tutta Europa e incontrare il violoncellista Vincent Segal, che è stato per lei fonte di grande ispirazione. Nel 2016 ha pubblicato Solo Acoustic Concert, interpretando le tradizioni musicali della sua infanzia, dalla bossa nova brasiliana all’habanera cubana, attraverso un più ampio vocabolario musicale e nel 2020 ha pubblicato La Flor. Entrambi gli album includono ritmi latini, brani pop, armonie jazz e tecnica classica. Bahia, uscito a febbraio 2022, è un altro passo nel suo viaggio musicale.
Un lavoro che è favoloso mix di violoncello classico e voce, che attinge a son cubano, samba, bossa nova, tango, jazz e chanson. Si apre con Habana, città dove è nata 26 anni fa in una famiglia di musicisti – il padre Carlos Maza, acclamato pianista cileno, e la madre Mirza Sierra, chitarrista cubana. Il brano che dà il titolo all’album è un’ode al distretto de L’Avana dove ha passato la sua infanzia e a cui sono legati i suoi ricordi, tradotti nella pazzesca sensazione di Cuba che trasmette la sua musica. L’album viaggia attraverso l’America Latina: Huayno si basa sul ritmo e la danza Quechua del Peru, Todo Irá Bien, scritto durante il lockdown, attinge al son cubano mentre Astor Piazzola al tango, ed è stato composto per quartetto in occasione del centenario del compositore argentino.
Woody was a punk rocker Dropkick Murphys, travolgenti tradizioni
I Dropkick Murphys tornano in Italia, domenica 5 febbraio al Palazzo del Turismo di Jesolo, per recuperare la data annullata l’anno scorso. Aspettare un anno è però valsa la pena visto che nel frattempo hanno pubblicato il loro undicesimo album, This Machine Still Kills Fascists. Il titolo richiama non a caso la celebre scritta che Woody Guthrie aveva sulla chitarra: con le dieci tracce del disco, Ken Casey e compagni hanno musicato altrettanti testi inediti del padre della musica folk di protesta. L’avevano già fatto in passato con alcune canzoni (su tutte ricordo I’m shipping up to Boston inserita nella colonna sonora di The Departed di Scorsese), ma in questo lavoro hanno fatto un ulteriore passo verso la tradizione registrando in acustico e con marcate influenze country. Il legame della band con la famiglia Guthrie dura da molti anni, al punto che Casey è stato tra i pochissimi a poter consultare l’archivio privato, da lì la rivelazione dell’abbondante materiale inedito da poter mettere in musica. Nora, figlia di Woody, appare anche in una canzone e il nipote partecipa suonando. Le radici dei Murphys sono ben presenti, senza snaturarsi: in Cadillac, Cadillac si sentono i Clash, All You Fonies è un inno “Oi” da cantare a squarciagola, Two 6’s Upside Down è trascinante puro country; insomma, 30 minuti davvero molto divertenti. Classico esempio di band che va assolutamente vista live: sette elementi, quasi una piccola orchestra, che sanno benissimo come stare su un palco e tenere in pugno il pubblico, trasmettendo empaticamente la propria enorme energia, tanto che difficilmente qualcuno riesce a star fermo durante le loro esibizioni. Ma non basta mica! La data di Jesolo si preannuncia come un autentico minifestival. A far compagnia ai bostoniani ci saranno infatti anche i Pennywise, forse meno conosciuti dei Bad Religion ma autentiche leggende del punk rock californiano anni ‘90. E ancora gli australiani Rumjacks, con chiare origini e riferimenti irlandesi, al punto che la loro An Irish Pub Song è diventata popolarissima durante i St.Patrick’s day. Infine la chitarra acustica e le ballate di Jesse Ahern, anche lui da Boston, a ricordarci come l’eredità di Woody sia attitudine sempre attuale. Sergio Collavini
INDIRIZZO SPERIMENTALE
Candiani Groove ritorna al Centro Culturale di Mestre con sette attesissimi concerti, consacrandolo come luogo prediletto per la sperimentazione e spazio cittadino per eccellenza della musica contemporanea: la rassegna musicale promossa dal Settore Cultura del Comune di Venezia, quest’anno con la direzione artistica di Veneto Jazz, è ripartita il 28 gennaio con il fotografo del jazz Pino Ninfa, il cantante funk Boris Savoldelli e il sassofonista Massimiliano Milesi in una performance nata dall’incontro tra la ricerca musicale e l’espressione artistica della fotografia.
Il 12 febbraio sale sul palco uno dei maggiori fenomeni della musica brasiliana di tutti i tempi, Yamandu Costa, con la sua chitarra a sette corde, strumento particolare usato in Brasile principalmente nel choro e nel samba. Nella sua musica un “mix” di stili che creano interpretazioni di rara personalità.
Appuntamento il 24 febbraio con la musica del gruppo di Enkhjargal Dandarvaanchig considerato tra gli ambasciatori musicali del suo Paese, la Mongolia: canta alla maniera khomii, una speciale tecnica di canto “di gola” in cui le tonalità fuori dalla scala sono modulate nello stesso tempo in cui viene cantata la melodia di base (diplofonia). È un virtuoso del morin khuur, uno strumento con due sole corde in crine di cavallo, suonato come un violoncello. Matteo Mancuso è al Candiani l’11 marzo, artista poliedrico che nella sua musica riesce a spaziare dalla chitarra classica a quella elettrica, sulla quale ha sviluppato una personale tecnica esecutiva interamente con le dita, che gli permette un linguaggio musicale molto originale.
Il duo Bartolomey e Bittmann chiude la programmazione di marzo il 18 del mese, immerso nello sviluppo di un repertorio progressive esclusivo per strumenti profondamente radicati nella tradizione della musica classica.
L’ALTRA METÀ DEL SUONO
ldi Katia AmorosoNon insegue le mode
il Palazzetto Bru Zane. Il tema della compositrici è infatti tra i cantieri della ricerca scientifica della fondazione veneziana fin dall’inizio dell’attività, nel 2009. Una parte del frutto delle ricerche e delle riscoperte viene presentato in un ciclo dedicato alle donne che per svariati motivi non sono rimaste o neppure entrate nei repertori musicali di teatri e stagioni concertistiche. Così, la rassegna si compone come di consueto di varie novità, in ambiti diversi della filiera musicali: da produzioni internazionali a uscite editoriali fino alla registrazione discografica, tutti progetti che completano il festival veneziano Compositrici! che dal 1° aprile fino all’11 maggio consente al pubblico di ascoltare una nuova pagina del repertorio musicale classico. Un festival che si fa occasione per raccontare le vicende umane di donne che hanno attraversato storie e vicissitudini spesso complesse per riuscire nel loro intento e seguire la propria passione. Infatti, benché nell’Ottocento alle donne non fosse proibito comporre, il contesto generale restava decisamente poco propizio. Il Conservatorio di Parigi apre le porte a entrambi i sessi sin dalla sua fondazione nel 1795, ma le classi teoriche (armonia, contrappunto e fuga, composizione) sono rivolte esclusivamente ai maschi fino agli anni Quaranta dell’Ottocento. Le donne sono incentivate a studiare il pianoforte o l’organo, la composizione rimane un tema lontano dalla loro formazione, costrette quindi a rivolgersi a insegnanti privati. Questa limitazione alla sfera privata non c’è solo nel campo dell’istruzione. Crescendo nell’élite sociale, le compositrici si scontrano con i pregiudizi
dei loro contemporanei: le si vuole madri e padrone di casa, senza altre occupazioni. Fare del proprio talento una professione è ritenuto incompatibile con il ruolo che la società attribuisce loro, soprattutto se borghesi e aristocratiche. Molte autrici del XIX secolo sentono così il bisogno di travestirsi o di conservare l’anonimato nel pubblicare le loro opere: alcune si firmano come maschi (una Marie-Foscarina Damaschino che diventa Mario Foscarina), altre usano forme neutre o ambigue (come Ch. Sohy e Mel Bonis), o addirittura si nascondono dietro una lettera puntata, come Sophie Gail,“Mme Sophie G.”. Le compositrici rimangono naturalmente lontane dalle sedi musicali più prestigiose, teatri lirici e le sale da concerto, per accontentarsi di spazi più intimi e privati. La romanza, la mélodie, i pezzi per pianoforte, opere e musica da camera, la letteratura pedagogica costituiscono le voci principali dei cataloghi di queste artiste. Esiste però anche qualche caso in cui le donne osano oltre le piccole formazioni. Basta guardare il catalogo delle opere di Augusta Holmès, con i suoi poemi e drammi sinfonici o la sua Ode triomphale, che conta ben 1.200 esecutori. Parallelamente alla rassegna di concerti, Bru Zane Label, la casa discografica del centro di musica romantica francese, pubblica un cofanetto di 8 cd completamente dedicato alle autrici dell’Ottocento francese, un excursus tra generi e forme firmato esclusivamente da donne, per aggiornare (finalmente) le playlist di musica classica.
Le vicende umane di donne che hanno attraversato storie e vicissitudini spesso complesse per riuscire nel loro intento e seguire la propria passioneCompositrici! 23 marzo-11 maggio Palazzetto Bru Zane, Scuola Grande San Giovanni Evangelista bru-zane.com
Palazzetto Bru Zane pays no mind to fads. They have been working on music composed by women ever since they opened business in Venice in 2009. Part of their research and rediscoveries has been included in a programme dedicated to women who, for different reasons, didn’t keep their place or were never included in the repertoire of theatres and concert seasons. Palazzetto Bru Zane’s programme, Compositrici!, will run from April 1 to May 11, and is the story of the lives of women who followed their passion for music. While in the 1800s women weren’t banned from making music, they didn’t exactly find a welcoming environment, either. The Paris Music Conservatory has always been open to women since its inception in 1795, but not for musical theory classes (harmony, composition). Women were steered towards the piano and the organ, and those few who pushed for an education in composition had to resort to private tutors. On top of that, women of higher social classes were expected to run the household and assume a matronly role within the family. For these reasons, many women chose to publish their work under a male pseudonym, a non-descript mononym, or initialized their name. Hence, we may see a Marie-Foscarina Damaschino signing her pieces as Mario Foscarina, or some Ch. Sohy, some Mel Bonis, and one Sophie G. who didn’t want to reveal her family name – Gail, we know that now. The natural environment ended up being, for them, intimate and private spaces. Romanzas, mélodies, piano music, chamber music, and educational literature were the preferred areas of interest for these professionals, given the circumstances. There have been exceptional cases, though, where these composers dared go beyond music for small ensembles: take Augusta Holmès’s Ode triomphale, for example, needing in excess of a thousand performers. Aside from their concert production work, Bru Zane Label released a collection of eight CDs entirely dedicated to female musicians in nineteenth-century France, an overview of different genres and forms signed exclusively by women. A very welcome update to our classical music playlists.
classical
PALAZZETTO BRU ZANE COMPOSITRICI! CONCERTI
ARTISTI DELL’ACADÉMIE DE L’OPÉRA NATIONAL DE PARIS
Le donne, forse, compongono mélodies in modo diverso dagli uomini? Sicuramente no. Ma allora perché non fare mai ascoltare i loro lavori? Sembra davvero che sia giunto il momento di studiarne meglio il percorso e di far rivivere le loro opere, a teatro, in concerto, su disco. Presentando questi nuovi modelli del passato, Palazzetto Bru Zane si sforza di partecipare alla costruzione di un futuro più equo e più vario, vocazione che è stata da sempre centrale nell’attività dell’istituzione musicale di San Polo. La collaborazione tra il Palazzetto Bru Zane e l’Académie de l’Opéra National di Parigi si concentra quest’anno sulle mélodies delle compositrici romantiche. Questo concerto, che è proposto anche all’Opéra National di Parigi, ne è il coronamento e anticipa il Festival Compositrici! proponendo Mélodies di Jaëll, Chaminade, Sohy, Bonis, Viardot, Strohl e Boulanger.
ENG Do women compose mélodies differently from men? Certainly not. So why don’t we listen more to their work? It seems the moment has long come that we study their contribution and make their art live again – at theatre, at concerts, on records. Palazzetto Bru Zane will introduces us to these models from the past to build a more equitable and diverse future. Their collaboration with the Académie de l’Opéra National in Paris will focus, this year, on female Romantic composers and their mélodies
8 marzo h. 19.30 | Palazzetto Bru Zane
LA RISATA È DONNA!
Chi ha detto che i grandi comici del muto siano stati solo uomini? Accanto a Charlot, Buster Keaton, Harold Lloyd e Stanlio e Ollio, brillava anche la stella di Mabel Normand (1892-1930), regina della commedia che creò comunque un precedente indimenticabile per quel che riguarda l’affermazione della creatività femminile al cinema. Durante il suo periodo agli studi Keystone, poi, Normand fu anche sceneggiatrice e regista di diversi film in cui recitava addirittura Charlie Chaplin. Il cine-concerto propone un inedito incontro tra artiste: alcuni film diretti e interpretati da Normand, accompagnati dal vivo da musiche pianistiche di compositrici romantiche francesi come Cécile Chaminade, Mel Bonis e Louise Farrenc, eseguite dal pianoforte di Gabriele Dal Santo ad accompagnare il relatore Marco Bellano. La conferenza sarà seguita da una degustazione di vini de La Laguna nel bicchiere.
ENG Who said that great comedians of the silent age were all men? Charlie Chaplin, Buster Keaton, Harold Lloyd, Laurel and Hardy had a great female colleague, Mabel Normand (1892—1930), a queen of comedy and a trendsetter for female creativity in cinema. Normand has also been a screenwriter and director. This concert/film soirée is the meeting of artists: films by Normand accompanied live by piano music by female French Romantic authors like come Cécile Chaminade, Mel Bonis, and Louise Farrenc.
16 marzo h. 18 | Palazzetto Bru Zane
DUO LUPERCA
Opere per violoncello e pianoforte di Farrenc, Bonis, Grandval e Boulanger sono eseguite nell’anteprima del Festival dal Duo Luperca, formato da Aurélienne Brauner al violoncello e Lorène de Ratuld al pianoforte. Le due artiste si sono incontrate al Conservatorio Nazionale di Musica e Danza di Parigi durante i loro anni di studio, ma è stato dopo un concerto nel 2011 che hanno deciso di impegnarsi in una profonda collaborazione, formando un duo. Insieme, si sono specializzate nell’esecuzione di brani per violoncello e pianoforte del romanticismo tedesco (Beethoven, Brahms, Schubert, Schumann), del repertorio russo (Rachmaninoff, Prokofiev, Shostakovich) e della musica francese, a cui sono particolarmente affezionate, con particolare attenzione alla scoperta di opere e compositori poco conosciuti dal pubblico, talvolta dai musicisti stessi.
ENG Pieces for piano and cello by Farrenc, Bonis, Grandval, and Boulanger performed by Aurélienne Brauner (cello) and Lorène de Ratuld (piano). The two musicians met at the Paris National Conservatory for Music and Dance as student, but it was only in 2011 that they decided to perform together as a duo. They specialize in German Romantic music (Beethoven, Brahms, Schubert, Schumann), some Russian repertoire (Rachmaninoff, Prokofiev, Shostakovich), and some French, especially less-known authors.
23 marzo h. 18 | Palazzetto Bru Zane
classical
OPERA
LA STORIA E IL SEGNO
Il 4 marzo riprende il percorso interrotto durante la pausa natalizia per l’ottava edizione della Stagione dei Concerti all’Auditorium Lo Squero, realizzata in collaborazione con Asolo Musica – Veneto Musica.
Johann Sebastian Bach resta uno dei fil rouge di questa rassegna, con l’ormai imprescindibile presenza di Mario Brunello e il suo progetto con il violoncello piccolo, oltre ad altri artisti che affronteranno la letteratura del grande maestro di Eisenach: Gile Bae al pianoforte con il Concerto italiano e L’Arte della Fuga con le viole dell’Accademia Strumentale Italiana.
Altri ospiti ‘residenti’ sono i componenti del Quartetto di Venezia, che proporranno la prima parte dell’esecuzione integrale dei Quartetti di Beethoven, oltre che uno speciale omaggio a Gian Francesco Malipiero per i cinquant’anni dalla sua morte.
Il 4 marzo è proprio il Quartetto di Venezia a dare il via alla programmazione 2023 con i Quartetti di Beethoven: entriamo nel laboratorio delle sperimentazioni più audaci compiute dal compositore, operate nella purezza polifonica di quattro registri strumentali perfettamente omogenei. Qui forma, fantasia ed espressione si combinano in perfetto equilibrio.
Il 25 spazio invece all’Accademia Strumentale Italiana e a Die Kunst der Fuge di Bach, raccolta che costituisce un vero e proprio saggio di arte del contrappunto, esplorando sistematicamente tutte le possibilità offerte da un semplice tema in re minore elaborato secondo diverse tecniche compositive, come, ad esempio, la variazione e il rovesciamento speculare degli intervalli.
Puro Verdi
Ernani, scritto da Giuseppe Verdi con libretto di Francesco Maria Piave, tratto dal dramma Hernani di Victor Hugo, ebbe la sua prima rappresentazione assoluta alla Fenice il 9 marzo 1844, ottenendo un grande successo. Ernani è considerata la più bella opera giovanile verdiana, quinta in ordine di composizione, insieme a Nabucco e Macbeth
La trama dell’opera, che si svolge nella Spagna del 1519 racconta la passione di Ernani, il bandito sotto le cui mentite spoglie si nasconde il nobile Don Giovanni d’Aragona, per la giovane Elvira, promessa sposa al vecchio zio Don Ruy Gomez de Silva e amata al contempo perfino dal re, Don Carlo, futuro imperatore. La musica è puro Verdi, con cori travolgenti, arie appassionate e concertati emozionanti. La vicenda di tre uomini che corteggiano un’unica donna offre a Verdi l’occasione di esplorare le qualità espressive di tre tipi di voce maschile: tenore, baritono e basso. Con Ernani Verdi realizza un quadro scenico più complesso, non si ha più la sensazione di cesura tra le varie scene, ma si registra una maggiore unitarietà. La musica è, forse, tra le più belle che Verdi abbia composto. Solo il preludio iniziale comincia con una tromba che riprende il tema del giuramento di Ernani e siamo già in piena tragedia. La bellezza di questa musica è l’alternarsi di melodie dalla forza prorompente, come il famoso coro del III atto Si ridesti il Leon di Castiglia, a melodie molto liriche, come Vieni meco, sol di rose o la solennità del terzetto finale Ferma, crudele, estinguere. Verdi rappresentava la coscienza morale del suo tempo e conosceva nel profondo le questioni legate all’onore. All’interno del complicato intrigo che coinvolge i protagonisti, la forza motrice dell’opera va ricercata nella difesa e nella ricerca dell’onore; la tragedia è infatti determinata dal lato oscuro insito nell’animo umano che si dimostra incapace di comprendere tutte le implicazioni dell’onore, dando più importanza all’apparenza piuttosto che alla sua sostanza. I protagonisti, infatti, sono schiavi delle proprie passioni e dei propri interessi e, nel voler perseguire i propri fini, disattendono il concetto stesso di ‘onore’. Dal 16 al 28 marzo alla Fenice viene proposto un nuovo allestimento realizzato in coproduzione con il Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia, con la regia di Andrea Bernard e Riccardo Frizza a dirigere Orchestra e Coro. F.M.
Pure ENG Verdi
An adaptation of Victor Hugo’s drama Hernani, Verdi’s Ernani, composed on a libretto by Francesco Maria Piave, debuted to public acclaim at Fenice Theatre on March 9, 1844. It is considered the best opera of Verdi’s youth, together with the Nabucco and Macbeth. The opera is set in fictional 1519 Spain, and is the story of the passion of Ernani, an outlaw and false identity of Don Juan of Aragon, for Elvira, who is betrothed to her elderly uncle Gomez de Silva, and is loved by no less than Don Carlo, the future Charles V. The music is pure Verdi – a whirlwind of choir, passionate arias, and emotional concertos. Three men courting one woman allow Verdi to work with the expressive modalities of male voice: tenor, baritone, and bass. A very uniform opera, the several scenes flow naturally one into the next. What is great about the music is the alternating of powerful melodies and lyricism, and the solemnity of the final trio Ferma, crudele, estinguere Verdi represented the moral conscience of his time, and knew all about honour. His three protagonists, though, are enslaved by their passions, and end up letting go of the very idea of honour.
La corte diffusa
I musicisti italiani, assieme alla qualità della musica che li accompagnava, sono stati un pregiato genere d’esportazione nell’Europa della modernità. Venivano contesi dalle corti più prestigiose. Possiamo ricordare Jean-Baptiste Lully (in origine Giovanni Battista Lulli, di Firenze) alla corte francese del Re Sole, Giovanni Paisiello in Russia e in Francia, Antonio Salieri alla corte asburgica, Luigi Cherubini prevalentemente in Francia. Domenico Cimarosa successe nel 1787 a Giuseppe Sarti (già maestro di Luigi Cherubini) presso la corte di Caterina II di Russia, a San Pietroburgo. Il contratto triennale scadde, e Cimarosa intraprese il viaggio di ritorno. Dopo un breve periodo a Varsavia, raggiunse la capitale dell’Impero Asburgico accolto festosamente dal suo ex protettore, l’Imperatore Leopoldo II, già Granduca di Toscana. A Vienna, Cimarosa viene nominato Kapellmeister e affiancato a Giovanni Bertati, nominato recentemente poeta di corte. Da questo connubio tutto italiano, in un ambiente di assoluto privilegio, nasce la principale opera di Cimarosa: Il matrimonio segreto. L’opera va in scena al Burgtheater il 7 febbraio 1792 (due mesi dopo la morte di Wolfgang Amadeus Mozart) e replica nella musica la vivacità colorata delle intricate intenzioni che circondano il fatto: il matrimonio già celebrato tra Paolino e la figlia del suo padrone, Carolina. Un successo subitaneo che non abbandonerà più l’opera di Cimarosa, entrata stabilmente in repertorio. Il matrimonio segreto è alla Fenice dal 10 febbraio, dirige Alvise Casellati per la regia di Luca De Fusco.
Andrea Oddone Martin
ENG Italian musicians have long been renowned for their compositions, and were a prime ‘export commodity’ in eighteenth-century Europe. Louis XIV employed Jean-Baptiste Lully, born Giovanni Battista Lulli in Florence, the Russian court had Giovanni Paisiello, the Habsburg Antonio Salieri, and Luigi Cherubini worked extensively in France. Domenico Cimarosa worked at Saint Petersburg and later in Vienna, where he was hired as Kapellmeister at the time when Giovanni Bertati was the court’s poet. The Italian pair gave birth to Cimarosa’s most famous opera: The Secret Marriage. The opera debuted at the Burgtheater on February 7, 1792. Its lively music complements the colourful vicissitudes that make up its plot. The Secret Marriage (Il matrimonio segreto) will be performed at the Fenice Theatre on February 10.
Ogni cosa a suo tempo
È stato un anno piuttosto interessante, il 1816. Con prontezza astuta, Johann Nepomuk Mälzel batte “sul tempo” Dietrich Nikolaus Winkel e brevetta a proprio nome l’invenzione di Winkel: il metronomo. Uno dei primi compositori ad usare il marchingegno per segnare il tempo è Ludwig van Beethoven. Nel 1816, Beethoven compone l’Op. 101, la prima delle cinque Sonate pianistiche che sconvolgeranno il linguaggio musicale proiettandolo nella modernità. Ad esempio, quando Richard Wagner ebbe modo di ascoltare la Sonata Op. 101 eseguita dal suocero Franz Liszt, vi scorse l’ideale di quella “melodia infinita” cui aveva sempre anelato nella sua opera. Nel 1816, il fisico inglese David Brewster inventa il caleidoscopio. Il 20 febbraio del 1816, presso il Teatro Argentina di Roma va in scena la prima dell’opera più brillante e caleidoscopica dell’epoca: Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini. Al tempo, numerose opere erano già state realizzate sul libretto di Beaumachais. Per rispetto all’opera precedente del maestro Giovanni Paisiello (del 1782), Rossini modificò il titolo in Almaviva, o sia l’inutile precauzione. Precauzione inutile, una claque sostenitrice del vecchio maestro Paisiello fece della prima un fiasco. Ma fin già dalla prima replica, Il barbiere di Siviglia di Rossini riscosse il meritato e duraturo successo, guadagnandosi lo status di miglior opera comica. L’intreccio, la comicità, la verve musicale, la celebrazione dell’astuzia di Figaro va in scena dall’11 febbraio alla Fenice, dirige l’orchestra Renato Palumbo per la regia di Bepi Morassi. Andrea Oddone Martin
ENG The year 1816 had been quite an interesting one. Johann Nepomuk Mälzel beat Dietrich Nikolaus Winkel ‘on a fraction of time’ and patented the metronome – which was Winkel’s invention. One of the first composer to make use of the machine was Ludwig van Beethoven. in 1816, Beethoven composed his op. 101, the first of five piano sonatas that revolutionized the language of music and ushered in modernity. Also in 1816, Englishman David Brewster invented the kaleidoscope. In Rome, at the Argentina Theatre, the most brilliant, kaleidoscopic opera of the time debuted: The Barber of Seville by Gioachino Rossini. At the time, many other operas had been composed on Beaumarchais’ libretto. Out of deference for Paisiello’s opera, Rossini tentatively titled his Almaviva, o sia l’inutile precauzione. Paisiello’s claque boycotted the premiere, but since the second performance, Rossini’s piece was universally acclaimed as the best comedic opera ever.
Il barbiere di Siviglia 11, 15, 17, 19, 21 febbraio Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it
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classical CONCERTI
A me gli occhi
Fenice e Malibran, nuove direzioni
Da fine febbraio a fine marzo, si articola in tre diversi appuntamenti la Stagione che la Fenice dedica ai concerti sinfonici in compagnia delle bacchette più celebri al mondo, provenienti da ogni latitudine.
Jonathan Philip Darlington a febbraio, Federico Guglielmo e Donato Renzetti a marzo portano tra Fenice e Malibran pagine memorabili della tradizione musicale, per concerti adatti alle orecchie dei più fedeli appassionati come dei più giovani neofiti.
Jonathan Darlington debutta il 25 e 26 febbraio alla testa dell’Orchestra e Coro del Teatro La Fenice: la prima parte della serata sarà dedicata a Wolfgang Amadeus Mozart, con l’esecuzione dell’ouverture della Zauberflöte e il Concerto n. 20 in re minore KV 466, nel quale spiccherà il talento solistico del pianista Davide Ranaldi, vincitore nel 2021 della 37. edizione del Premio Venezia; la seconda parte sarà invece integralmente dedicata al Requiem op. 48 per soli, coro e orchestra di Gabriel Fauré, che vedrà la partecipazione del soprano Hilary Cronin e del baritono Armando Noguera. Maestro del Coro Alfonso Caiani.
Particolarmente interessante il Concerto n. 20 in re minore per pianoforte e orchestra KV 466 : da un lato, il modo di gestire il dialogo serrato tra solista e orchestra va nella direzione di un trattamento chiaramente sinfonico; dall’altro, l’atmosfera cupa e drammatica che avvolge la composizione, pur con la presenza di figurazioni brillanti, ci pone di fronte a una sorta di concerto-dramma, dove opera italiana, teatralità e virtuosismo si combinano a regola d’arte. Violinista dallo stile “Splendido, coinvolgente, vibrante” (Gramophone), Federico Guglielmo è attualmente considerato uno dei massimi virtuosi italiani dello strumento, con una ricca carriera concertistica in Italia e all’estero e numerose pubblicazioni e partecipazioni discografiche.
Il 3 e 4 marzo Guglielmo propone un repertorio che comprende Francesco Maria Veracini ( Ouverture n.6 in Sol minore ), Johann Georg Pisendel ( Concerto in Re maggiore JunP I.7 ) e Antonio Vivaldi ( Le quattro stagioni, Concerto n. 1 in Mi maggiore, Op. 8, RV 269 La primavera, Concerto n. 2 in sol minore, Op. 8, RV 315 L’estate, Concerto n. 3 in Fa maggiore, Op. 8, RV 293, L’autunno Concerto n. 4 in fa minore, Op. 8, RV 297 L’inverno ).
Il 24 e 26 marzo arriva alla Fenice Donato Renzetti, ‘semplicemente’ tra i direttori d’orchestra italiani più affermati nel mondo. In programma la Sinfonia del Mare di Gian Francesco Malipiero e Messa di Gloria per soli, coro e orchestra di Puccini, con il tenore Giorgio Berrugi e il baritono Simone Del Savio.
Concerti 2022-2023
25, 26 febbraio; 3, 4, 24, 26 marzo Teatro La Fenice e Malibran www.teatrolafenice.it
FOCUS
Il britannico Jonathan Darlington, protagonista alla Fenice il 25 e 26 febbraio, ricopre la carica di direttore musicale emerito alla Vancouver Opera dal 2018, dopo aver completato con grande successo un periodo di quasi vent’anni nel ruolo di direttore musicale. Ha guidato quest’innovativa compagnia in un repertorio che spazia da Mozart a Verdi, Puccini e Strauss, a Tan Dun e Jake Heggie. Sia in teatri che in sale da concerto ha diretto un imponente numero di ensemble di fama mondiale, tra cui recentemente Vienna Philhamonic, Staatskapelle Dresden, Orchestre National de France, Konzerthaus Orchester Berlin, Royal Philharmonic Orchestra, Paris Opera Orchestra, Orchestre de la Suisse Romande e Orchestre de Paris. Esibizioni di successo degli ultimi tempi sono state quelle alla Neue Stimmen, alla Vancouver Opera ( Cavalleria rusticana ), al Lake Tahoe Festival, Hamburg Staatsoper ( Fledermaus ), Oslo Ballet Opera Paris Ballet Opera.
Agli inizi della carriera ha lavorato come sostituto di Myung-Whun Chung alla Paris Opera dal 1991 al 1993, dirigendo Le nozze di Figaro, Das Lied von der Erde, Die Zauberflöte. Ha anche guidato il gruppo operistico sperimentale Arcal dirigendo una straordinaria serie di produzioni avanguardistiche di The Turn of the Screw, L’Ormindo, Orlando, Le Pauvre Matelot, Così fan tutte. Come direttore musicale della Duisburger Philharmoniker dal 2002 al 2011 ha indagato un vasto repertorio sinfonico che gli ha fatto aggiudicare i prestigiosi premi Köhler-Osbar Stiftung e Deutsche Musikverleger-Verband.
classical RASSEGNE
Un posto nella storia Le nuove rotte
Trieste Film Festival, trentaquattresima edizione. L’inaugurazione del Concorso Lungometraggi avviene con Il boemo, anteprima italiana che vedremo al Giorgione di Venezia il prossimo 22 febbraio, selezionato dalla Repubblica Ceca agli Oscar 2023 e che la critica ha elogiato al suo apparire al 70° San Sebastian International Film Festival.
Diciamolo subito, finalmente un vero film. Il regista Petr Vaclav, ironico, sorridente e caustico, aperto alla battuta con il pubblico, mi guarda apparentemente disorientato quando gli chiedo quale delle scene abbia amato di più. Mi racconta di tutti gli anni di ricerca per la costruzione del film, animato dall’intenzione «di raccontare la storia di un uomo che sentiva l’esigenza di vivere la vita a modo suo, di diventare qualcuno e auto realizzarsi. Ho cercato di inserire nel film le sue migliori arie, mostrando vari aspetti delle sue doti come compositore». La storia raccontata è infatti quella di Josef Myslivecˇek, per due decenni compositore tra i più acclamati nelle corti italiane del 1700, ma poi da allora totalmente dimenticato. Musiche quindi tutte filologicamente da ricostruire ed eseguite per il film a piena orchestra dal Collegium 104 di Praga.
Primo merito: la colonna sonora è una vera e propria restituzione culturale.
Delle sue numerose opere solo Il Tamerlano e L’Antigona in versione ridotta sono state riprese a Praga in tempi non lontanissimi. Di più, le arie al tempo erano cantate da castrati e di gran moda erano i soprani di coloratura, ovvero capaci di eseguire una serie di ornamenti virtuosistici su una parola o una sillaba. Quindi difficili oggi.
Secondo merito: Vaclav ha messo all’opera le star più virtuose del panorama internazionale, da Philipe Jarrousky, Raffaella Milanesi, Emöke Barath, Juan Sancho e la grande Simona Saturova, specializzata nella arie mozartiane, che presta la voce alla storico soprano Caterina Gabrielli.
Terzo merito: la ricchezza delle location, da Venezia, Genova, Thiene, Palermo, dei chiostri, palazzi arredati, dei costumi e della scenografia, e qui i produttori mi confermano dolenti gli ingenti investimenti necessari. Un fatto curioso mi ha colpito: alcuni usi e costumi, talvolta stereotipi, di quel secolo vengono infatti fortemente evidenziati. Chi legge le cronache del tempo ad esempio riporta i lamenti degli spettatori di teatro non nobili in platea, che vedevano cadere rifiuti dai palchi nobiliari, o la carenza dei servizi igienici nelle regge o ancora la dissolutezza in alcuni ambienti aristocratici veneziani (Casanova insegna, senza scomodare De Sade) piuttosto che l’uso di teschi contro il malocchio a Napoli. Anche questi luoghi comuni sono nel film, ma insieme ad una più raffinata ricerca sul vestiario, sui giochi, sulla vita quotidiana del tempo. Ottima interpretazione dell’attore protagonista Vojtech Dyk, scelta non convenzionale, data la sua origine di cantante in gruppi jazz rock, bravissime fra gli altri Barbara Ronchi, Elena Radonicich e Lana Vladi. Loris Casadei
Il Teatro del Parco Bissuola a Mestre, dopo i lavori di restauro che ne hanno recuperato gli ambienti tra il 2019 e il 2020, si è configurato in questi mesi come spazio culturale tra i più vivaci, con una programmazione che ha assunto di volta in volta le forme più disparate ospitando spettacoli teatrali, concerti di musica contemporanea e sperimentale, laboratori capaci di coinvolgere le fasce più trasversali della popolazione di una zona troppo spesso rimasta in letargo, lontana dai centri nevralgici di aggregazione e sviluppo socio-culturale.
Il prossimo 25 marzo è la musica classica a ritagliarsi spazio da protagonista, precisamente con il Quartetto Fauves formato da Rita Mascagna e Pietro Fabris ai violini, Elisa Floridia alla viola e Giacomo Gaudenzi al violoncello, in un programma che comprende Black Angels di George Crumb e il Quartetto in re minore D 810 La Morte e la Fanciulla di Schubert.
Il Quartetto Fauves si è formato nel 2011, venendo chiamato da subito come ospite di rassegne, festival e istituzioni musicali di prestigio in Italia come I concerti del Quirinale e La stanza della musica in diretta su Rai Radio Tre.
L’interesse della giovane formazione per i diversi stili esecutivi si esprime in un repertorio che spazia dalla scrittura a quattro voci rinascimentale fino alla musica contemporanea. Inoltre, rivestono un’importanza particolare la ricerca e la divulgazione di opere e musicisti italiani meno noti. Con il Progetto Cirri, il Quartetto Fauves ha dato la prima esecuzione in tempi moderni e realizzato la prima registrazione assoluta dei Sei Quartetti per archi Op. 13 di Giovanni Battista Cirri (17241808), pubblicata dall’etichetta svizzera Unit Records e distribuita da Deutsche Harmonia Mundi.
Le musiche di Giovanni Battista Cirri sono state presentate in Asia durante il tour Cirri to China, un ciclo di concerti monografici che ha toccato Cina e Thailandia.
Luci della ribalta
Ritmo incalzante Musikàmera, quantità e qualità
Il febbraio di Musikàmera si apre sotto il segno del barocco con la giovane mezzosoprano francese Lea Desandre, vincitrice del prestigioso Opus Klassik nel 2022 come Female singer of the year, impegnata insieme con Thomas Dunford, l’Eric Clapton del liuto – come l’ha definito la BBC – nell’esecuzione di Laissez durer la nuit, un programma di musica vocale del Seicento francese alla corte di Luigi XIV (8 e 9 febbraio). Alla voce “pianisti illustri” troviamo il francese Michel Dalberto, unico musicista vivente ad aver inciso tutta l’opera pianistica di Schubert (22 e 23 febbraio), e Roberto Prosseda, che si esibirà con il pedal piano, strumento in voga nella prima metà dell’Ottocento che consiste in un secondo pianoforte appoggiato a terra sotto al primo e munito di pedaliera come quella dell’organo, su musiche di Mozart, Schumann, Alkan e Liszt (12 marzo). Giovane fuoriclasse è la ventiquattrenne pianista franco-albanese Marie-Ange Nguci: porta sul palco delle Sale Apollinee un interessante programma che partendo dal diciassettesimo secolo di Froberger, si sviluppa poi nel Novecento di Prokofiev, Ligeti, Ravel e Rachmaninov, di cui si celebra il centocinquantenario della nascita (28 febbraio). Altra solista di fama è la violinista tedesca Antje Weithaas, vincitrice del Concorso Kreisler di Graz nel 1987 e del Concorso Bach di Lipsia nel 1988, in duo con la violoncellista Marie Elisabeth Hecker con brani di Glière, Beethoven, Ravel e Kodály (19 e 20 marzo). Dopo l’apertura di Stagione con il Quartetto EOS a gennaio, torna protagonista la formazione principe della musica da camera con l’inglese Quartetto Albion, con musiche di Mozart, Bartók e Schubert (5 e 6 marzo). Il 17 marzo l’appuntamento è in Sala Grande, con uno dei concerti più attesi della Stagione: per la prima volta Musikàmera ospita un’orchestra da camera, l’Orchestra da Camera di Mantova, uno degli organismi più importanti d’Italia nel suo genere che ama definirsi un “gruppo cameristico allargato”, vincitrice nel 1997 del prestigioso Premio Abbiati assegnato dalla Critica Musicale Nazionale. Si esibisce insieme ad Andrea Lucchesini (pianoforte), Marco Rizzi (violino) e Simonide Braconi (viola) in un programma interamente dedicato a Mozart: due concerti per pianoforte e orchestra e la splendida Sinfonia concertante K364 per violino, viola e orchestra. La varietà di appuntamenti testimonia un ricco programma che nel suo complesso mira ad affrontare un arco cronologico e un panorama stilistico esteso e articolato, coinvolgendo un ventaglio di organici il più ampio possibile. Stagione di Musica da Camera 6 marzo Teatro Toniolo-Mestre
www.musikamera.org
Confinare la musica di Ennio Morricone in un genere è come cercare di imbrigliare il vento, semplicemente impossibile oltre che fine a se stesso. Sarebbe molto più comodo rinunciare alle catalogazioni quando ci si trova davanti a linguaggi di questo livello, in ambito musicale ma non solo, per godersi la bellezza pura e semplice senza voler per forza metterci sopra un’etichetta, catturarle in una definizione.
Il 6 marzo l’Orchestra da Camera Accademia di Santa Sofia e il flauto di Andrea Griminelli si avvicinano all’opera di due giganti delle colonne sonore come Nino Rota ed Ennio Morricone con uno spirito il più possibile libero da orpelli canonici, per celebrabre l’innata capacità di far procedere a braccetto musiche e immagini che hanno fatto la storia del cinema italiano di tutti i tempi, nel mondo intero.
Concerto per archi Rota Suite: Amarcord, 8 e mezzo, La dolce vita, La Strada, Il Padrino ; Western Suite: C’era una volta il west, Giù la testa, Il buono, il brutto e il cattivo, Mission, Nuovo Cinema Paradiso, C’era una volta in America : canzoni che rimandano a film, pellicole legate a doppio filo a queste melodie, un rapporto biunivoco che non si spezza mai in cui un registro espressivo sarebbe irrimediabilmente monco senza l’altro, maledettamente incompleto, semplicemente non più lo stesso inimitabile capolavoro.
Per l’appuntamento della Stagione di Musica da Camera il Toniolo si affida ad Andrea Griminelli: accostatosi al flauto all’età di dieci anni, studia con i leggendari Jean-Pierre Rampal e Sir James Galway, che lo definisce “il più grande flautista salito alla ribalta della scena musicale da tanti anni”. Davide Carbone
IL VUOTO OLTRE LA GIOVENTÙ
La giovinezza, quella dolce ala che si porta via tutto. Anche il tuo cuore
Alexandra del Lago
Palcoscenico sostitutivo in attesa del completamento dei lavori di rinnovo del Goldoni, il Teatro Malibran dal 23 al 26 febbraio accoglie in scena la pièce teatrale La dolce ala della giovinezza, un’opera di Tennessee Williams nella traduzione di Masolino d’Amico sul tema della giovinezza e del declinare umano. Una storia di grande attualità. Il gigolò Chance Wayne torna nella sua città natale in Florida con Alexandra del Lago, star del cinema ormai in declino. Chance vuole cercare di riprendersi ciò che aveva lasciato nella sua giovinezza per inseguire successo e ricchezza: Heavenly, il suo primo e unico amore. L’autore di quest’opera è il drammaturgo americano Tennessee Williams e la pièce è nota al grande pubblico soprattutto grazie all’adattamento cinematografico di Richard Brooks del 1962, che aveva fra gli interpreti Paul Newman e Geraldine Page. Nella produzione di Fondazione Teatro della Toscana, la protagonista femminile è Elena Sofia Ricci, nei panni di Alexandra, la diva giunta al tanto temuto tramonto, con un partner gigolò, interpretato da Gabriele Anagni. La regia è affidata a Pier Luigi Pizzi che ha curato anche le scene e i costumi, con le musiche originali di Stefano Mainetti. I due protagonisti sono accompagnati sul palco dagli attori Chiara Degani, Flavio Francucci, Giorgio Sales, Alberto Penna, Valentina Martone, Eros Pascale, Marco Fanizzi e Max Odierna. Pizzi ha dichiarato tutto il suo fascino per la straordinaria abilità di Williams nel costruire personaggi femminili al limite del delirio e sull’orlo dell’abisso. Alexandra del Lago è infatti alcolizzata, depressa e soprattutto in fuga da quello che crede l’insuccesso del suo ultimo film. Cerca disperatamente un rimedio alla solitudine tra le braccia di un gigolò, giovane e bello, attore fallito in cerca di rilancio, ma destinato a una triste fine, una volta perduto il suo unico bene: la gioventù. Elena Sofia Ricci sostiene di «essere innamorata di Williams e dei suoi personaggi», del quale questo è il quinto ruolo femminile che interpreta. La sua attenzione è sempre più rivolta verso testi meno indagati, ma che contengono tematiche esistenziali che riguardano tutti. Per Elena Sofia Ricci il personaggio di Alexandra è tra i ruoli più difficili della sua carriera, «perché si tratta di interpretare un’attrice e quindi una persona che recita: non è soltanto una donna che mostra le sue nevrosi, il pubblico non sa mai quanto in quel momento stia recitando o invece quanto sia vera... Neanche io lo so, io stessa mi chiedo se lei, attraverso la sua arte e la sua maschera di attrice, stia raccontando davvero una verità». I profili dei due protagonisti sono statuari, ma al contempo evanescenti a causa dell’uso di sostanze stupefacenti, dell’abuso di alcool e di un ego talmente smisurato che oscura la loro esistenza. Nessun valore ha importanza, tutto è calpestato pesantemente dalla ricerca ossessiva del denaro e del successo, in un andar declinando costante e continuo a causa della disattenzione mediatica che diventa un problema di vita assoluto. Un vero e proprio dramma esistenziale in cui queste due anime sono corrose dal desiderio di ritrovarsi negli altri: «lo schermo è uno specchio limpido», dice Alexandra ricordando la vita sul set. E nel declino “l’eterna” giovinezza è il solo vero appiglio, il luogo a cui far ritorno per trovare pace. «Dove posso andare più in la della gioventù?» si chiede sempre Alexandra. Un’opera teatrale che porta a una profonda riflessione sull’essere giovani e sulla maturità, spettatori o protagonisti, ci si perde quasi tra finzione e realtà. Ma la giovinezza passa inevitabilmente, il baratro è in agguato per tutti e in scena si presenta in tutta la sua mostruosità, laddove non ci si pone nessun limite alla ricerca disperata di emergere.
UNA POLTRONA PER DUE... TEATRI
Compiere 400 anni è un traguardo per un Teatro, ma al contempo una nuova ripartenza. Il Teatro Goldoni, giunto a questo anniversario con una storia ininterrotta di successi, rappresentazioni, autori, grandi attori e giovani talenti (promossi proprio dal teatro stesso), incredibili scenografie, si concede una pausa per rendere sempre più contemporaneo il suo aspetto non solo nei contenuti ma anche nella forma. Il primo febbraio 2023 hanno preso il via i lavori di restyling del Teatro Goldoni: nuove poltrone, con la rivisitazione del modello di “poltrona Goldoni” e un’attenzione particolare alla linea e al comfort, impianto audio e manutenzioni straordinarie, lavori strutturali e fondamentali per la sicurezza del Teatro e del suo pubblico realizzati grazie all’intervento del Comune di Venezia per far diventare il Teatro una delle sale modello della prosa italiana. Inoltre, particolare attenzione sarà data al tema dell’accessibilità, garantendo spazi adeguati alle persone con disabilità.
A Venezia, città un tempo dei teatri – se ne contavano più di 26, tra pubblici e privati, nel XVII e XVIII secolo –alla chiusura di un teatro se ne apre un altro: grazie alla collaborazione con il Teatro La Fenice gli spettacoli della stagione 2022/2023 sono trasferiti temporaneamente al Teatro Malibran, che ritorna a una fitta programmazione di prosa oltre che di lirica e di musica, a partire proprio da La dolce ala della giovinezza, in scena dal 23 al 26 febbraio, con Elena Sofia Ricci e la regia di Pier Luigi Pizzi. Continueranno, invece, a essere ospitati al Goldoni in completa sicurezza gli appuntamenti dei laboratori nella sala prove e la biglietteria del Teatro, aperta al pubblico durante tutto il periodo dei lavori.
Un rinnovamento che sarà un’autentica rifondazione! Appuntamento con il nuovo Goldoni a settembre 2023 per l’inaugurazione della stagione 23/24, un teatro in completa sicurezza, più accessibile a tutti, più comodo e con una livrea all’altezza della storia che lo ha attraversato.
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Lo sguardo oltre Argento vivo
«La ricerca del senso del teatro inizia quando ci si avventura in territori umani spinti dalla necessità di una propria, originale, identità culturale. Dove il palco si nutre della stessa vita concreta. Nel tentativo di comunicare attraverso l’isolamento, artistico e geografico; il carcere e le sue barriere. Forzare un limite, l’assenza di libertà che frantuma gli assiomi attraverso il Teatro per diventare rigogliosa mietitura. Ricominciare a sognare un nuovo uomo e imporlo alla realtà. Una forma visionaria di comunicazione distillando un linguaggio ricostruito all’ombra di un pregiudizio: lo spirito e la fantasia non hanno sbarre che contengano ma, soprattutto, siamo certi che siano gli Altri i prigionieri condannati ad un perimetro? I nostri limiti, le paure, il bisogno di affermazione sociale, la cecità verso il prossimo; rendere visibile il non palpabile, l’inconsapevole: un’utopia culturale di cui Armando Punzo e la Compagnia della Fortezza sono le fulgide incarnazioni».
Questa la motivazione data da Stefano Ricci e Gianni Forte, direttori del settore Teatro della Biennale, nell’assegnare il Leone d’Oro alla carriera dell’edizione 2023 ad Armando Punzo (Cercola – Napoli, 1959), regista, drammaturgo, attore e fondatore per l’appunto della Compagnia della Fortezza, a cui ha dato vita nel 1998 nel Carcere di Volterra, e ad oggi riconosciuta come prima e più longeva esperienza di lavoro teatrale in un istituto penitenziario. In trentacinque anni di lavoro con la Fortezza, composta oggi da circa ottanta detenutiattori, Punzo ha messo in scena oltre quaranta spettacoli, tra cui Marat-Sade, I Negri, I Pescecani ovvero quel che resta di Bertolt Brecht, Hamlice, Santo Genet, Beatitudo, Progetto Naturae, molti dei quali, dopo il debutto in carcere, sono stati in cartellone nei maggiori festival e teatri italiani.
Già ospite della Biennale Teatro nel biennio 1999/2000 con uno dei suoi primi progetti esterni al carcere, quest’anno Armando Punzo torna a Venezia ad inaugurare il 51. Festival Internazionale del Teatro, giovedì 15 giugno con la prima assoluta di Naturae, sviluppo e approdo di un ciclo durato quattro anni, secondo una pratica cara al regista che porta a maturazione le sue creazioni attraverso studi preparatori, laboratori, fasi di ricerca, spettacoli.
Per la prima volta alla Biennale Teatro, FC Bergman, collettivo belga costituito dagli attori/registi/artisti Stef Aerts, Joé Agemans, Thomas Verstraeten e Marie Vinck, è stato nominato Leone d’Argento dai Direttori ricci/forte. «Con le loro creazioni – si legge nella motivazione – gli artisti fiamminghi FC Bergman, ispirandosi al cinema, alla letteratura e alla storia dell’arte, amalgamando un’estetica pittorica e l’uso di una tecnologia molto avanzata con i grandi racconti allegorici-medievali-biblici, plasmano un originale linguaggio di teatro-danza-site-specific, poetico e al tempo stesso irriverente, che rilascia una sensazione di sconcertante disagio nello spettatore. Utilizzando riferimenti, simboli e immagini profondamente radicati nella cultura e civiltà occidentale, sfuggendo alla dittatura del punto di fuga dei teatri all’italiana con prospettive organizzate in vorticosi tableaux vivants e riservandosi un margine d’imprevedibilità e improvvisazione, gli FC Bergman flirtano con i limiti del fattibile, creando delle apocalittiche favole moderne, spesso senza parole ma di sorprendente forza plastica e potere evocativo, focalizzandosi così sull’Uomo – combattuto tra il desiderio esistenziale di trascendere i propri perimetri e la paura di un cambiamento –seguendolo nelle sue commoventi odissee che si metamorfizzano poi in tragicomiche disavventure».
Pluripremiato e acclamato da pubblico e critica internazionali, il collettivo, fondato nel 2008 e dal 2013 in residenza presso il Toneelhuis di Anversa, ha in breve tempo sviluppato un linguaggio teatrale unico, al contempo anarchico, caotico, visivo e poetico. Le loro produzioni, spesso site-specific, raccontano un’umanità in difficoltà ma comunque desiderosa di lottare. Alla 51. Biennale Teatro FC Bergman va in scena il 17 giugno, con la prima nazionale di Het Land Nod ( La terra di Nod ), lavoro magistrale dall’impressionante impatto visivo, che sfida lo spazio tradizionale del teatro prendendo ispirazione dal Museo Reale delle Belle Arti di Anversa, di cui riproduce in scena l’intera sala Rubens con i maestosi dipinti del pittore fiammingo, per raccontare la storia avvincente di questo luogo, delle opere che custodisce e soprattutto di quelle anime inquiete e rassegnate che lì cercano conforto e rifugio.
theatro
IL LATO OSCURO
Colpi di scena
Gleijeses si misura con il capolavoro della Regina del giallo
Inserito nel progetto Il teatro nella citta un triennio di iniziative culturali, spettacoli, performance ed eventi a Venezia, trasformata in un unico grande palcoscenico in occasione dei 400 anni del Teatro Goldoni, il ciclo di letture sceniche Venire, a Venezia. Dodici percorsi e qualche incrocio è ospitato nell’Aula Magna dell’Ateneo Veneto, il 4 e l’11 febbraio e il 4 e il 25 marzo, sempre alle ore 19.
Con le allieve e gli allievi dell’Accademia
Teatrale Carlo Goldoni, Paolo Puppa porta in scena il proprio testo, Venire a Venezia, scritto nel 2000 e recentemente ristampato da La Toletta Edizioni.
Un veneziano da tempo trapiantato negli States, fa ritorno in laguna per girare un cortometraggio sul problema dell’acqua alta, e per realizzarlo intervista dodici concittadini, scelti tra le sue vecchie conoscenze.
I veneziani coinvolti, rassicurati e persuasi che le loro interviste circoleranno solo negli Stati Uniti, si lasciano andare a confidenze alquanto inusuali, rivelando segreti, ansie e frustrazioni. Quello che ne emerge è un corale ritratto di una Venezia molto diversa da quella romantica, dalla bellezza abbacinante che ammiriamo nelle cartoline, ma una città piuttosto esausta e quasi intimorita di tutto. I monologhi tratti dal volume sono stati portati in scena per la prima volta nel 2004, al Teatro Goldoni, e poi riproposti in giro per il mondo, affidati anche a interpreti famosi. Tradotti in inglese e in francese, nel 2013 i monologhi hanno ottenuto il premio “Veneto dell’anno” andando in scena a Johannesburg, Sud Africa, in una comunità italiana. Spesso – come in questo caso – li porta alla ribalta l’autore stesso, Paolo Puppa.
Venire, a Venezia. Dodici percorsi e qualche incrocio 4, 11 febbraio; 4, 25 marzo Ateneo Veneto www.teatrostabileveneto.it
All’inizio era un semplice racconto di venti pagine scritto da Agatha Christie nel 1925 e pubblicato sulla rivista «Flynn’s Weekly» con il titolo Traitor’s Hand. Nel 1953 Witness for the Prosecution diviene una pièce teatrale di strepitoso successo, che dopo la prima londinese al Winter Garden debutta a Broadway, dove rimane in cartellone per 654 rappresentazioni consecutive. Qualche anno più tardi, nel 1957, il grande Billy Wilder ne trae un film che ottiene sei candidature agli Oscar. Interpreti indimenticabili Charles Laughton, Tyrone Power e una Marlene Dietrich che ben identifica, parole della Christie, «la donna pallida e tranquilla, ma che al processo si staglia come una figura di assoluto rilievo contro il fondo cupo dell’aula. Era simile a un fiore tropicale». Un paio di annotazioni curiose vanno qui fatte. In pri-mis, la scrittrice spesso nei suoi racconti permette ai colpevoli di sfuggire in-denni alla giustizia, un finale ovviamente non ammesso in America negli an-ni ‘50 in pieno maccartismo imperante; per questo il film contiene una varia-zione di non poco conto rispetto al testo originario. Da notare poi lo strano ri-tuale del pince-nez dell’avvocato, teso a capire dagli occhi dell’imputato se colpevole o innocente. È uno dei tanti rimandi alla passione della Christie per la magia, disseminata invisibilmente in tutti i suoi racconti. Nella propria au-tobiografia la scrittrice afferma: «Una serata a teatro spicca nella mia memoria in modo particolare: la prima di Witness for the Prosecution. Posso dire con certezza che è stata l’unica prima serata che mi sia piaciuta».
Numerosi i remake fatti o annunciati. Nel 2016 Ben Affleck avrebbe dovuto dirigere un nuovo adattamento con Nicole Kidman, uscì invece la miniserie televisiva britannica The Witness for the Prosecution, con regia di Julian Jar-rold.
Le ultime riprese londinesi dello spettacolo teatrale pre-pandemia hanno pure avuto grande successo e si sono tenute in una vera aula di tribunale con ampio coinvolgimento di pubblico.
Una versione italiana non poteva essere tentata da altri se non da Geppy Glei-jeses, allievo prediletto di Eduardo De Filippo, da 50 anni sulle scene italia-ne e internazionali. Sue le note di regia: «Il gioco non verte sulla psicologia dei personaggi, quanto sulla perfezione del meccanismo. Non concede tregua alla tensione, affonda come una lama di coltello affilatissima nella schiena di chi osserva». Il pubblico è invitato a partecipare in vari modi. Sei spettatori sono chiamati ogni sera a fungere da giurati, come nelle riprese londinesi e come nel Processo a Gesù, altra pièce teatrale che Gleijeses ha diretto al Qui-rino di Roma nel 2022. In scena molta attenzione ai dettagli; ad esempio lo stenografo processuale utilizza una vera macchina da scrivere del periodo, precisamente del 1948, per riprodurre il tipico ticchettio. Il regista, peraltro at-tore da una vita, si identifica nel ruolo del classico capocomico di tradizione italiana, «un ruolo impegnativo, in cui non devi preoccuparti solo della tua parte, ma sorvegliare che tutto funzioni in scena: i vizi e i vezzi, le virtù e i limiti della recitazione dal vivo», e accetta la definizione di accentratore. Tra gli interpreti Giorgio Ferrara, che esce dal suo ruolo di direttore di festival e di regista per interpretare il personaggio chiave del plot, l’esperto avvocato detective Sir Wilfrid, Vanessa Gravina, coraggiosa nell’affrontare i ruoli più difficili della storia della drammaturgia, da Antigone a Lisistrata, da Caterina di Padova de La bisbetica domata ad Anaïs Nin, e l’affascinante attore sici-liano Giulio Corso, già interprete de Il Paradiso delle Signore, ma anche del musical Rapunzel e dell’ultimo Grease Loris Casadei
Eravamo quattro amici…
Tra gli interpreti più attesi di questa stagione, Stefano Accorsi va in scena al Teatro Toniolo dal 28 febbraio al 5 marzo, con Azul. Gioia, furia, fede y eterno amor, scritto e diretto da Daniele Finzi Pasca, una produzione Nuovo Teatro in coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana, di cui Accorsi è direttore artistico. Azul è uno spettacolo dalle tinte fiabesche, sospeso fra sogno e semplicità, fra amicizia, fragilità, passione, tifo, musica e colori. In una città dominata dalla passione per il calcio, quattro amici, quattro bizzarri personaggi, fanno i conti con le rispettive vite, tentando di ricostruire una serenità infranta grazie al conforto dei ricordi e alla forza di un’amicizia inossidabile. Li tiene uniti la folle passione per la squadra del cuore che seguono ogni domenica allo stadio, dove i quattro, fatti di materia semplice come il pane, si lasciano travolgere da una furia che li sconquassa. Il calcio diviene qui metafora della vita, specchio dell’esistenza,
La frangibilità dell’essere
Ci sono film che nascono in uno stato di grazia: azzeccano la trama, intercettano i giusti fenomeni sociali, indovinano il cast, il ritmo, le battute, tutto. È indubbiamente il caso di Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, che non solo è stato campione d’incassi nel 2016 e si è aggiudicato due David di Donatello (Miglior Film e Miglior Sceneggiatura) e tre Nastri d’Argento (tra i quali quello per la Miglior Commedia), ma è anche recentemente entrato nel Guinness dei primati della storia del cinema come pellicola che ha avuto più remake nel mondo: ben 24 con la versione islandese, l’ultima uscita in ordine di tempo. Ora questo film cult diventa anche un attesissimo spettacolo teatrale, diretto dallo stesso Genovese, che firma così la sua prima regia sul palcoscenico. Saranno Dino Abbrescia, Alice Bertini, Marco Bonini, Paolo Calabresi, Massimo De Lorenzo, Anna Ferzetti e Valeria Solarino a portare in scena Eva e Rocco, Cosimo e Bianca, Lele e Carlotta, e Peppe e la deriva imprevedibile che una semplice cena tra
come precisa Accorsi in un’intervista, «un grande giocatore non deve avere paura di tirare un calcio di rigore perché, proprio come accade nella realtà, sempre si vince e si perde, si soffre e si gioisce. Questo è un tema universale».
Azul è un amalgama di gioia, amarezza, ironia, è una storia che parla di umanità, di vita, ma sconfina nella dimensione onirica, nel fantastico. «Credo siano clown i personaggi che popolano le mie storie –scrive Finzi Pasca nelle note di regia – dato che sussurrano, inciampano, ridono e si
commuovono. Sono fatti di cristallo, di burro e di zucchero e con un colpo di vento si trasformano in giganti. Ho avuto la fortuna di incontrare Stefano Accorsi, Luciano Scarpa, Sasà Piedepalumbo e Luigi Sigillo, attori carichi di umanità, mestiere e passione. Con loro è stato facile dare vita a questa piccola rapsodia dedicata a quanti non si danno mai per vinti».
Azul. Gioia, furia, fede y eterno amor 28 febbraio-5 marzo Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
loro, amici di lunga data, porta con sé, nel momento in cui decidono per gioco di mettere sul tavolo i cellulari e condividere con gli altri il contenuto di ogni telefonata e messaggio in arrivo da quel momento in poi. Tradimenti, passioni, strani regali, incidenti, sottintesi fino a quel momento taciuti travolgono la sala da pranzo come un fiume in piena: la trovata spensierata nata per passare una serata diversa diventa un gioco al massacro, gli amici scoprono di non conoscersi come credevano. Anzi, di essere proprio dei “perfetti sconosciuti”, ognuno con una vita segreta (ben) protetta da una SIM che improvvisamente inizia a rivelare tutto… o no?
Livia Sartori di Borgoricco
Perfetti sconosciuti
14-19 marzo Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
theatro SPETTACOLI
Segreti esplosivi Un istante d’infinito
Vincitore di due David di Donatello, del Premio speciale della Giuria al Tribeca Film Festival e di cinque Nastri d’Argento, Mine Vaganti è tra i film più famosi di Ferzan Ozpetek. E ora proprio questo film, co-sceneggiato insieme a Ivan Cotroneo, diventa una pièce teatrale, presentata al Teatro Toniolo dal 24 al 29 marzo. È lo stesso Ozpetek a trasportare a teatro sia l’umorismo che l’emozione di Mine Vaganti, catturando tutto lo spirito del film nella sua prima regia teatrale. La disfunzionale famiglia Cantone rivive attraverso i volti di Francesco Pannofino, Iaia Forte, Erik Tonelli, Carmine Recano, insieme a Simona Marchini, Sarah Falanga, Mimma Lovoi, Francesco Maggi, Luca Pantini, Edoardo Purgatori. Come nel film, la storia si focalizza sul coming out di uno dei figli di una famiglia campana, proprietaria di un pastificio.
Il giovane Tommaso torna nella grande casa di famiglia con l’intenzione di svelare al variegato clan dei parenti chi veramente è: un omosessuale con ambizioni letterarie e non un bravo studente di economia fuori sede come tutti credono. Ma la sua rivelazione viene bruciata sul tempo da una notizia ancora più inattesa e scioccante del fratello Antonio. Tommaso è costretto a rivedere i suoi piani e lottare per la verità, contro un mondo famigliare pieno di contraddizioni e segreti. La famiglia, apparentemente quieta, viene trascinata in una serie di eventi tragicomici degni di una vera e propria Commedia dell’arte.
«La prima volta che raccontai la storia al produttore cinematografico Domenico Procacci, lui rimase molto colpito aggiungendo entusiasta che sarebbe potuta diventare anche un ottimo testo teatrale… –racconta Ozpetek – Oggi, dietro invito di Marco Balsamo, quella prospettiva si realizza con un cast corale e un impianto che lascia intatto lo spirito della pellicola. Certo, ho dovuto lavorare per sottrazioni, lasciando quell’essenziale intrigante, attraente, umoristico, ma quello che il cinema mostra, il teatro nasconde, e così ho sacrificato scene e ne ho inventate altre, anche per dare nuova linfa all’allestimento».
Se cambia la scenografia, il cuore di Mine Vaganti rimane lo stesso: la presa di coscienza, il desiderio di vivere l’amore alla luce del sole e i legami familiari e di coppia, tutti temi cari al celebre regista italoturco, che li affronta qui con una vena comica di grande impatto e un pizzico di drammaticità. Delphine Trouillard
«Andare con il ricordo ad un musical visto da ragazzino è stato il primo moto di questo nuovo spettacolo». Da adolescenti lo siamo stati un po’ Cyrano: innamorati, timidi, goffi, speranzosi, invidiosi dell’amico che piaceva alle ragazze. Nella rilettura del lavoro di Edmond Rostand riproposta in unico atto di Arturo Cirillo emerge proprio questa «commozione per una storia d’amore impossibile e fallimentare, ma non per questo meno presente». L’attore napoletano porta in scena al Teatro Toniolo dal 24 al 26 marzo la sua lettura del noto personaggio, andando a pescare anche nell’immaginario costruito da altri autori in opere diverse. Un excursus che comincia dal musical di Domenico Modugno del 1979 fino ai diversi Cyrano cinematografici della storia del cinema e del teatro: da Gerard Depardieu passando per Carmelo Bene, fino a Gigi Proietti, Le scene sono di Dario Gessati, i costumi di Gianluca Falaschi, le luci di Paolo Manti, mentre le musiche originali sono di Federico Odling, che ha rielaborato anche alcune canzoni rese famose dalla commedia musicale Cyrano di Modugno. Ma ci sono anche canzoni che vanno da Edith Piaf a Fiorenzo Carpi. In scena, al fianco di Cirillo, ci sono Rosario Giglio, Francesco Petruzzelli, Valentina Picello, Giulia Trippetta, Giacomo Vigentini. Lo spettacolo, coprodotto da Marche Teatro, Teatro di Napoli –Teatro Nazionale, Teatro Nazionale di Genova, Emilia Romagna Teatro – Teatro Nazionale.
Sulla scena Cirillo fa scoprire al pubblico un volto nuovo dello spadaccino-poeta francese: il lato più poetico e visionario prevale infatti sul suo ruolo di uomo di spada. Cyrano si destreggia bene con le parole senza però riuscire a fare lo stesso con l’amore, quello provato per Rossana. Il racconto di Cirillo, “teatro-canzone” come lo definisce lui, è surreale e stimolante, in linea con la sua sensibilità di attore-regista con una forte connotazione da Commedia dell’arte. «Cyrano – afferma Cirillo – è come il burattino di Collodi incapace di tagliare i fili manovrati da un burattinaio identificato con la finzione del teatro». Il suo Cyrano è in fondo un uomo salvato dal teatro, in un momento in cui anche il teatro ha più che mai bisogno di essere salvato.
Katia AmorosoLa fine del topo
Appuntamento al parco Prosegue l’indagine di youTHeater sull’identità plurale
Completamente rinnovato e restituito alla città lo scorso settembre, il Teatro del Parco, nel cuore del Parco Bissuola, è diventato un punto di riferimento per un pubblico estremamente eterogeneo, che comprende amanti del teatro, della danza e della musica di tutte le età. La rassegna youTHeater, curata da Farmacia Zooè, Macaco e Live Arts Cultures, offre infatti un’accurata selezione di spettacoli contemporanei che esplorano le potenzialità dei nuovi linguaggi multimediali e multidisciplinari, in una dimensione intima che mette il pubblico in contatto quasi diretto con i performer. Tra febbraio e marzo la rassegna prosegue l’indagine sull’Identità plurale, una riflessione che va oltre l’interrogazione del sé, ma guarda piuttosto all’Io riferito alla natura sociale ed evolutiva dell’essere umano. Così, nel Giorno del Ricordo, 10 febbraio, Teatro Bresci con Anna Tringali porta in scena Foibe. Il ricordo: un doveroso esercizio di memoria che ci riporta alla foiba di Basovizza, simbolo di un eccidio a lungo dimenticato. Da qui parte il racconto della tragedia di migliaia di italiani gettati nelle grotte carsiche alla fine della Seconda Guerra mondiale, tragedia a cui si somma quella di circa 250.000 italiani costretti al doloroso esodo dall’Istria e dalla Dalmazia verso l’Italia: esuli in patria. E nonostante il monito della Memoria, quasi mezzo secolo più tardi, un altro conflitto, altri esseri umani strappati alla propria terra dalla violenza, sono protagonisti di From Syria: is this a child? (25 febbraio) di Nicola di Chio e Miriam Selima Fieno, Menzione Premio Scenario Infanzia 2020. Lo spettacolo narra la vicenda di Giorgia, quattordicenne italiana, figlia di genitori divorziati, vittima di una ‘guerra’ in famiglia, e di Abdo, giovane rifugiato siriano che fa conoscere a Giorgia un’altra guerra, fatta di bombe, missili ed esplosioni sotto cui vivono da undici anni migliaia di suoi coetanei in Siria. La proposta di Farmacia Zooè, R.R. in scena il 24 marzo, ci riporta invece a ritroso nel tempo, nel 1327, anno in cui a Padova nasce Rolandino Roncaglia, trasferitosi a Venezia per vivere come donna: Rolandina, con la “A”. Venditrice di uova e prostituta, Rolandina supera il confine fra i generi compiendo un percorso a tutt’oggi oggetto di discriminazione, in una società in cui il legame tra istituzioni civili e religiose è indissolubile, nonostante i proclami di libertà e laicità. Un monologo impreziosito da riprese e proiezioni dal vivo che condensano nell’immagine di una rosa, la forza e la fatale fragilità di Rolandina Roncaglia. Miracoli metropolitani
In quello che potrebbe essere un futuro distopico, ma neanche tanto, o un presente di una dimensione parallela che riecheggia fin troppo la nostra, si svolge la vicenda di Miracoli metropolitani, all’interno di una carrozzeria riadattata a cucina, specializzata in cibo a domicilio per intolleranti alimentari. In questa sorta di non-luogo sono confinati otto personaggi, una famiglia allargata, una brigata disfunzionale in cui convivono tutti i disagi e le frustrazioni di un’umanità inferocita dalla paura. « Miracoli metropolitani – si legge nelle note di regia di Carrozzeria Orfeo – è il racconto di una solitudine sociale e personale dove ogni uomo affronta quotidianamente quell’incolmabile vuoto che sta per travolgere la sua esistenza. Siamo di fronte al disfacimento di una civiltà, alla dissoluzione delle relazioni e dell’amore inteso in tutte le sue accezioni, all’azzeramento del ragionamento e del vero “incontro” a favore di dinamiche sempre più malate tra le quali un’insensata autoreclusione nel mondo parallelo di internet, pericoloso sostituto del mondo reale». Il mondo, infatti, è un luogo inquietante: fuori imperversa l’allarme di una guerra civile, l’ombra del fascismo si allunga su un Paese allo stremo, e la crisi ambientale sembra giunta al punto di non ritorno, con le fogne ormai sature di rifiuti tossici pronte ad esplodere e a soffocare la vita. Miracoli metropolitani, firmato da Gabriele Di Luca che cura anche la regia dello spettacolo insieme a Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi, è una riflessione potente e coinvolgente sul futuro e sul presente, sulle fragilità umane e sull’importanza di preservare il Pianeta dalla nostra irresponsabile presenza. Chiara Sciascia
theatro SPETTACOLI
Celestiali visioni
Paradiso XXXIII è teatro, è musica, è corpo, è suono, è luce, è visione. È tutte queste cose e il loro superamento, è un’esperienza multisensoriale data da un allestimento crossmediale che attraverso la chiave emotiva cerca di comunicare l’incomunicabile, di raccontare l’irraccontabile: la visione della perfezione e del senso di tutte le cose di fronte alla quale si trova Dante Alighieri nel trentatreesimo canto del Paradiso quando, fallibilissimo essere umano, contempla la perfezione delle sfere celesti. Nel tappeto sonoro tessuto dal musicista e compositore pordenonese Theo Teardo, che ha costruito la drammaturgia sonora dello spettacolo ispirandosi ai primi due accordi di My Sweet Lord di George Harrison, galleggiano le parole di Elio Germano, che non si limita a portare in scena i versi della Divina Commedia, ma diventa Dante in tutto e per tutto. La regia a quattro mani di Simone Ferrari e Lulu Helbaek, registi e direttori creativi di fama internazionale che hanno fatto di audacia, originalità, forte impatto visivo e contamina-
Regina per Regina
In scena al Teatro Verdi di Padova dall’8 al 12 febbraio, Maria Stuarda di Davide Livermore è un’opera rock, ruggente, glamour, trasgressivamente contemporanea – ma filologicamente perfetta nel rivitalizzare la tragedia di Schiller – che con un appeal cinematografico à la Game of Thrones ha saputo conquistare anche il pubblico più giovane, meno avvezzo ai grandi classici. Con la sua regia, Livermore esalta di Schiller i caratteri ricchi di umanità, fragilità e orgoglio femminile delle due regine, Maria Stuarda I di Scozia ed Elisabetta Tudor I di Inghilterra, cugine ma rivali e soprattutto nemiche nel nome della diversa religione. Accentua verso il presente la lacerazione di due donne a specchio, intrappolate nel “gioco di ruolo” delle corti e delle loro ambizioni. Un gioco di ruolo che Livermore sottolinea in modo geniale, con uno stratagemma brillante: ogni sera, solo a sipario aperto si scoprirà chi tra le due straordinarie interpreti, Laura Marinoni ed Elisabetta Pozzi, impersonerà Maria o Elisabetta, affidando al caso, e in questo caso ad una piuma lascia-
zione di linguaggi la cifra della loro visione artistica, è visionaria e impalpabile, trascende il “normale” concetto di teatro o di concerto e si apre al magico e al meraviglioso, suscitando nello spettatore uno senso di continuo stupore. Aggiungono spessore e perfezione all’esperienza la viola di Ambra Chiara Michelangeli e il violoncello di Laura Bisceglia, le luci di Pasquale Mari, le video immagini ricreate sullo sfondo da Sergio Pappalettera e Marino Capitanio, le scene di
Matteo Oioli. Trasportato per cinquanta minuti in un mondo altro, lo spettatore diventa Dante anche lui, sperimenta la meraviglia, il mistero, l’insondabile, e arriva alla fine ad avere una momentanea, sbigottita visione de l’amor che move il sole e l’altre stelle. Livia Sartori di Borgoricco
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ta cadere sul capo delle due attrici da un angelo, un elemento cruciale dello spettacolo. Ad esaltare una messinscena asciutta ed essenziale ma di grande potenza evocativa realizzata da Lorenzo Russo Rainaldi, le luci di Aldo Mantovani e le musiche originali di Mario Conte, vera colonna portante di questa ripresa, eseguite dal vivo dalla musicista genovese Giua, che con la sua chitarra elettrica si divide tra palco e platea, incastonando cori sonori e ballate rock nelle
pause. Dolce&Gabbana, infine, firmano gli abiti delle due regine evocando chiaramente l’epoca storica della vicenda ma con uno taglio fortemente contemporaneo e glam, che porta immediatamente alla mente Madonna e le rockstar dei mitici anni Ottanta. Assolutamente da vedere. C.S.
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theatro
Giuramenti infranti Ostinatamente fragili
Partiamo dalla storia. L’Adagio delle ombre o Regno delle Ombre è il brano più famoso di La Bayadère, rappresentata per la prima volta a San Pietroburgo nel 1877 con coreografia di Marius Petipa e musica di Ludwig Minkus. Bayadere è la danzatrice indiana del tempio, protagonista della storia. L’Adagio venne proposto come pezzo a sé stante sulla scena nel 1902 in onore di Guglielmo II e da allora è divenuto percorso obbligato per ogni star della danza, da Maria Taglioni a Parigi a Nureyev nel 1963, a Svetlana Zakharova con Bolle alla Scala nel 2020. Una versione contemporanea è quella del Nuovo Balletto di Toscana, che ha debuttato al Teatro Romano di Verona nel 2021. La coreografia è di Michele Di Stefano, personaggio quantomai curioso e degno di attenzione. Raffinato intellettuale dai variegati interessi, sin dagli anni ‘80 esplora incessantemente la ricerca sonora e il movimento nella danza e in installazioni ad essa integrate. Leone d’Argento per la danza a Venezia nel 2014, partendo dalla tela Mondo nuovo di Tiepolo, invitava gli spettatori (termine improprio in questo caso) a recarsi su un alto balcone ed esplorare con un potente binocolo due angoli di Venezia dove potevano essere rintracciati i performers, che in mezzo alla folla di turisti, riprendendo spunti dal Tiepolo rivelavano come il gesto è sempre a due vie, momento di contatto, ma anche momento di imbarazzo.
Nel 2000 fonda, con il patrocinio di Carolyn Carlson, il gruppo MK, sigla che richiama MKUltra, un progetto illegale di sperimentazione su esseri umani messo in atto dalla CIA ai tempi della Guerra fredda per influenzare e trasmettere telepaticamente ordini ad ignari soggetti.
Nonostante le spinte fortemente innovative di Di Stefano, il suo Regno delle Ombre è rigorosissimo nel rispettare i ritmi musicali. Dodici ballerini in tuta asettica (per dare risalto ai movimenti), volteggiano, muovono vertiginosamente gli arti, si associano e si dissociano, si toccano e si sfiorano con veloci uscite di scena e altrettanto veloci rientri. «Per me la danza è fuori dal corpo, è una modalità di relazione con l’altro – scrive il coreografo – un dialogo tra l’io e l’altro attraverso proiezioni corporali nello spazio». Lo spettacolo, che chiude la stagione del Teatro di Mirano il 16 marzo, è un intrigante caso di puntuale rispetto di un testo storico con modalità di esplorazione modernissime. Loris Casadei
Una sola notte, sì, che altro? Che serve di più per fermare il tempo nella sua prospettiva pressoché eterna, quando a incontrarsi in quelle ore buie in una città di mare, in un porto aperto, sono due anime altre, per vocazione, professione, destino, eppure specchiate, e per questo reciprocamente attratte da un certo quid comune, da una disposizione pudica, guardinga che accomuna entrambi nel regolare il termometro della propria interiorità vulcanica? Gigi Riva e Fabrizio De André, che appena li nomini vai subito ai solchi vissuti dei loro volti, segnati da vite fragili, sì, e tenaci, timide e raggianti. Due persone, due icone, due leggende, che procedono entrambi esistenzialmente ad andatura alternata, seduti allo stesso tavolo per un lampo, in un raggio di luce notturna che ancora brilla, a intermittenza, negli anni. A rinfocolarla quella notte fonda e luminosa del 14 settembre 1969 sono oggi il nostro amatissimo Federico Buffa e Marco Caronna, che di questa imperdibile narrazione teatrale in scena il 10 febbraio al Gran Teatro Geox, Amici Fragili, è il regista. Buffa è colui il quale in questi ultimi anni ha saputo rinverdire e riattualizzare la grammatica della narrazione affabulatoria attorno alle gesta dello sport, fonte privilegiata per antonomasia a cui attinge da sempre l’universo emotivo popolare. Ha raccontato tutte le icone del Novecento e oltre, da Alì a Diego, dall’immenso e visionario architetto cartesiano Johan Cruyff alla più bella figura umana in movimento aereo che si sia mai avuto modo di vedere nel pianeta terra, Michael Jeffrey Jordan. Ha saputo guardare anche lateralmente, pescando storie, uomini, terre di sport magari non necessariamente epicentriche, ma sempre drammaturgicamente intriganti, emozionanti, restituenti tensioni, suggestioni, tracce di vita oltre il mero dato sportivo. Ma soprattutto sempre connettendole allo zeitgeist, allo spirito dei tempi in cui queste storie si consumavano. Federico Buffa ci piace perché solletica quella tensione a respirare le emozioni vivide di imprese e persone come se fossero il riflesso di ciò che mentalmente ci piace percorrere e vivere giorno per giorno, per combattere la arida prosa del quotidiano. E lo fa maledettamente bene. Poi Faber & Giggirrivvva!!! Ma chi se li perde? M.B.
GIUSEPPE GIACOBAZZI
Il pedone. Luci, ombre e colori di una vita qualunque
Come sarebbe la vita vissuta su di una scacchiera? Lo scopriremo con il nuovo, esilarante spettacolo di Giuseppe Giacobazzi, scritto in collaborazione con Carlo Negri, che racconta come, in una società dove tutti sognano di essere dei pezzi pregiati, brilla il fascino della normalità. Un’ora e mezza di spettacolo, un’ora e mezzo di partita e di monologo comico ma al tempo stesso interiore, che tiene lo spettatore incollato alla poltrona, in attesa della mossa successiva. Il pedone rivela un Giacobazzi sempre più lontano dal cabaret vecchio stile e sempre più vicino alla narrazione propria del teatro comico, in un percorso dove non si abbandona mai la risata, ma che diventa anche strumento di riflessione. 15, 16 febbraio h. 21 | Teatro Toniolo-Mestre
ELEAZARO ROSSI
L’ora di religione
Dopo il successo del tour estivo, il live show di Eleazaro Rossi torna nei teatri di tutta Italia. Uno spaccato comico tra esperienze dirette e satira sociale, che riporta in scena il graffiante umorismo e la verve dell’irresistibile stand-up comedian, fresco del Premio Satira Forte dei Marmi. Messo in pensione il suo primo monologo e dopo la chiusura della prima stagione a Le Iene, Eleazaro presenta adesso L’ora di religione (disclaimer: non è una vera ora di lezione e non ha intenzioni pedagogiche!).
Lo show si fa megafono dei pensieri e del vissuto di Eleazaro, tra esperienze genitoriali, familiari, professionali ed educative, sgretolando bon-ton, etichette e convenzioni della nostra società, mettendo sempre al centro un forte senso di umanità.
16 febbraio | Teatro del Parco-Mestre
MAURIZIO BATTISTA
Ai miei tempi non era così
Siamo sicuri che il passato coincida con l’idea di “vecchio” e il presente con l’idea di un “nuovo” che ci costringe ad arrancargli dietro, fino a farci invecchiare prima del tempo? E chi l’ha detto che la felicità consista in un accumulo di “effetti speciali” o non piuttosto, com’era una volta, dal sapersi divertire con talmente poco che eravamo noi a sentirci speciali? Tra questi punti interrogativi si muove Maurizio Battista, in un precisissimo slalom per non urtare i paletti dell’ipocrisia e dell’ignoranza, issati dall’epoca attuale, coadiuvato dalla musica dei Los Logos, dalle canzoni di Renato Zero e dall’irriverenza del comico Dado, sempre pronto a smascherare inganni e sotterfugi della contemporaneità.
18 febbraio h. 21 | Teatro Corso-Mestre
ANDREA DELOGU 40 e sto
Un folle spettacolo che racconta le donne alla soglia dei tanto temuti “anta”: il giro di boa, la crisi e la rinascita (si spera), la libertà e le battaglie contro i luoghi comuni. Districandosi tra bizzarri pretendenti, traslochi, social, supermercati per single, Max Pezzali, paparazzi, “viaggi, libri auto, fogli di giornale” … Andrea Delogu attinge a piene mani dalla sua vita privata, raccontandosi senza filtri in un esilarante flusso di coscienza. In questo sorprendente viaggio, Andrea si ‘metterà a nudo’ trascinando il pubblico nella sua nuova vita, quella di una quarantenne che, riappropriatasi della propria indipendenza, si metterà in gioco esplorando mode, vizi e ossessioni di questa strana epoca che abitiamo.
24 febbraio h. 21 | Teatro Toniolo-Mestre
FRANCESCO DE CARLO Limbo
Con il suo stile unico e coinvolgente, Francesco De Carlo ripercorre irresistibili vicende ed episodi di vita personale per raccontare l’appartenenza ad un universo contraddittorio. Un viaggio in un tempo sospeso tra nostalgia e speranza, voglia di restare ed esigenza di partire, le chimere del mondo dello spettacolo e il bullismo dei coatti di quartiere. Il comico romano, star del web e del piccolo schermo, torna a calcare i palchi italiani con il racconto di una vicenda personale che gli ha cambiato la vita e lo ha costretto ad affrontare narcisismo e insicurezza, oltre che a fare i conti con un passato difficile che rischia di mettere a repentaglio il suo futuro di sogni e ambizioni.
14 marzo h. 21 | Teatro del Parco-Mestre
VENEZIA-HOLLYWOOD, ANDATA E RITORNO
La
di Riccardo TrioloDiciamolo subito: la Mostra del Cinema ha sempre avuto bisogno dei dollari del cinema americano. Anche quando l’Italia, nella prima metà degli anni Trenta, stava imboccando la strada del protezionismo culturale, il mercato cinematografico americano non smise di essere il primo bacino di riferimento per i distributori italiani, e non solo. La Mostra, nata nel 1932 sulla scia di un certo globalismo economico e culturale e diventata presto la vetrina più importante sulle nuove produzioni cinematografiche mondiali, si scontrerà da subito con le tendenze autarchiche fasciste. Non sarà contento il primogenito degenere di Benito, Vittorio Mussolini, che stava lavorando duramente per intessere relazioni con Hollywood, quando dal 1939 l’affidamento alla neonata ENIC, in regime di monopolio del controllo del mercato distributivo in Italia, porterà al ritiro dal mercato italiano delle principali case di produzione americane. Diventa chiaro a quel punto quanto sia determinante il ruolo dell’industria cinematografica, calamita di ingenti capitali e fulcro di ramificati interessi, nell’assestamento culturale e politico di una nazione. La Mostra nasce come vetrina d’arte, ma è costretta da subito a muoversi in bilico tra politica ed economia, portando in seno la contraddizione – mai risolta – tra sovranismo e globalismo, tra interesse nazionale e capitale globale.
Se a partire dagli anni Quaranta la nascita del circuito d’essai in Francia offrirà alla Mostra un nuovo mercato – e un competitor d’assalto: Cannes – dall’altra gli anni del Piano Marshall segneranno il prepotente ritorno del cinema alleato nel nostro Paese, così come in tutta Euro-
pa, con la conseguente riabilitazione culturale del cinema di genere e di intrattenimento. I festival, ormai teatro di riflessione critica sul cinema, svolgeranno un ruolo chiave per la diffusione di un cinema di intrattenimento ‘ma’ di qualità. Dopo il Sessantotto, questa luminosa medietà è stata inseguita da molti direttori della Mostra – ma non solo, anche di festival europei nati dopo, come Cannes, Berlino e Locarno –; il che ha finito per incidere sulla percezione del cinema americano colto e sulla sua distribuzione nel promettente mercato europeo. L’atlantismo, in piena guerra fredda, avrà nel cinema un partner molto potente. Nel mondo polarizzato di allora, l’influenza esercitata nella cultura di massa dai prodotti americani creerà un consenso popolare decisivo per la stabilizzazione delle tensioni che animavano la società e la politica. Negli anni Ottanta l’irruzione della New Hollywood tra i vincitori del Leone d’Oro con Cassavetes; nei Novanta con Altman; nei Duemila con Lee, Aronofsky, Sofia Coppola, Del Toro, Phillips, Chloé Zhao, fino all’ultimo lavoro di Laura Poitras, All the Beauty and the Bloodshed, quest’anno candidato al premio Oscar come miglior documentario. Al di là dell’Atlantico, Hollywood ha ricambiato la cortesia candidando all’Academy award sempre più film presentati in prima mondiale a Venezia. Un crescendo significativo per le sorti della Mostra, che in un decennio è diventata dominatrice assoluta delle nuove tendenze del “cinema di qualità”, contribuendo in modo sostanziale non solo alla creazione o al consolidamento di un mercato sempre più globale e complesso, ma anche alla definizione di un canone estetico che sembra raccoglie-
Mostra saprà mantenere quello storico equilibrio da Occidente e Oriente che ha contraddistinto da sempre Venezia e la Biennale? Il leone, intanto, è tornato a ruggire
re molte delle istanze produttive e culturali seminate dal dopoguerra a oggi in seno all’industria cinematografica, riabilitando al contempo il ruolo dei festival nell’epoca della crisi delle sale. Un segno inequivocabile a riguardo è la storica visita ufficiale dell’Academy al Lido lo scorso agosto. L’obiettivo dichiarato è atlantista e globalista: Kramer per l’occasione ha infatti dichiarato di voler riunire a Venezia «la nostra famiglia del cinema», mentre Barbera ha salutato l’incontro come «l’inizio di una duratura amicizia», per chiosare poi che «Venezia ha bisogno dell’Academy, ma l’Academy ha bisogno dei festival».
Il cerchio si chiude, quindi, ma su nuovi presupposti. La Mostra – l’Europa – si era già aperta a Hollywood, consolidando il Patto sul piano culturale; ora è Hollywood a riconoscere a Venezia lo status di principale vetrina di film premiati dall’Academy, ponendo di nuovo l’Europa al centro degli interessi culturali americani.
Il vantaggio è molteplice: il neo-atlantismo bideniano porta con sé anche un principio di reciprocità finora inedito e molto promettente. Lo dimostrano le otto nomination agli Oscar 2023 di film presentati in prima qui al Lido (The Banshees of Inisherin, Tàr, The Whale, Living, appunto All the Beauty and the Bloodshed, Argentina 1985, Bardo e Blonde ) con 24 candidature complessive ottenute, che si uniscono ai premi Oscar già vinti da pellicole passate in Mostra: quattro migliori film e sette migliori regie in nove anni. Una partnership che risolve molti nodi sul piano distributivo, a cominciare dal dualismo sala-streaming che vede Barbera e l’Academy promotori di un mercato plurale e aperto. Ora, dati gli scenari internazionali, resta da capire come la Mostra saprà mantenere quello storico equilibrio da Occidente e Oriente che ha contraddistinto da sempre Venezia e la Biennale. Il leone, intanto, è tornato a ruggire.
cinema REVIEW
Fiero delle vanità Regista ex machina
Il cinema di Damien Chazelle oscilla tra i suoi due grandi amori: il jazz (da studente voleva diventare batterista) ed il cinema, appunto. Al jazz ed alla sua ferrea disciplina sono dedicati Guy and Madeline on a park bench, il suo film di debutto del 2009, e Whiplash, del 2014; il cinema (e le sue intersecazioni con il jazz) è invece la materia pulsante di La La Land e del suo ultimo film, Babylon Musica e cinema non sono certo contesti nuovi per Hollywood e dintorni, basti pensare a quanti film recenti hanno per argomento il mondo della celluloide (tutti gli ultimi lavori di Almodóvar, Iñárritu, Tarantino, Fincher…), tuttavia Chazelle non si limita a raccontare storie, tessere trame di una geografia interiore e sentimentale. No, lui è un regista che ama rappresentare epoche storiche. E se in La La land erano il mondo, i colori e l’immaginario del musical americano trapiantato nella Los Angeles contemporanea a dare tono e contesto al tutto, in Babylon porta avanti un’altra delle sue imprese erculee, ossia raffigurare l’ambiente del cinema muto negli anni ‘20 prima dell’avvento del sonoro alla fine del decennio, il passaggio dell’universo-cinema da attività ai margini del mondo produttivo ad industria codificata, con le sue star, le mitologie, le tecniche, i piaceri ed i vizi connessi. Siamo di fronte davvero ad un film colossale, non solo e non tanto per la durata – oltre tre ore –, ma soprattutto per lo sforzo di trasmettere del cinema muto un’immagine debordante, ammaliante, frenetica, immoralmente romantica. Davvero il suo film diventa un inno all’età del jazz, quei pochi anni che si consumarono tra la fine della Prima Guerra e la crisi di Wall Street del 1929. Dieci anni di follia, di incessante ricerca della felicità, di vite ardenti che non arretrano davanti a nulla nella ricerca del successo. Quindi il jazz non può che essere molto presente in questo lavoro come possibile alternativa al cinema stesso che stava cominciando ad impossessarsi anche di questo genere musicale contemporaneo. E ricordiamoci che il jazz è presente proprio nel titolo del film che decretò la fine del cinema muto, quel celeberrimo Il cantante di jazz del 1927 che provocò una vera e propria rivoluzione industriale, economica, sociale, diremmo pure esistenziale in chi in quella macchina di immagini in movimento aveva speso sin lì le proprie energie e le proprie qualità creative. E anche Chazelle non arretra di fronte a niente: la sua macchina da presa riprende di tutto, non si blocca davanti all’osceno, al repellente, all’insostenibile, a tutto ciò che fece di quegli anni anche una delle tante anticamere dell’Inferno di cui è piena la storia del cinema. E davvero ci si crogiola all’idea che Kenneth Anger, il mitico regista di film d’avanguardia degli anni ’60 e autore del seminale Hollywood Babilonia, registro dei vizi, degli scandali e dei crimini che si perpetuarono ad Hollywood dalla nascita del cinema, sia uno degli sceneggiatori del film. F.D.S.
All’inizio di Babylon, prima del party-orgia, Diego Calva viene investito da un diluvio di sterco d’elefante. Ciò apre un film dove dominano secrezioni e liquami, racconto della caduta di Hollywood al tempo del passaggio al sonoro. Ispirato alle pagine divertenti ma alquanto fantasiose di Hollywood Babilonia di Kenneth Anger, Babylon manca sovente di accuratezza nella ricostruzione storica – e di accuratezza filologica nei suoi brani di film immaginari. Salvo errore, quando Margot Robbie va a vedere il suo film non c’è accompagnamento musicale dal vivo; inoltre la scena che vediamo è virata, poco credibilmente, in rosso (un giallo o un azzurro tenue sarebbero stato più appropriati). Nella bella carrellata iniziale sui set, il film confonde le condizioni di realizzazione del 1926 con quelle del 1906. Le orge, poi, non mancavano, ma non erano proprio un affollamento assirobabilonese come quella del film (magari!). Tuttavia è importante ricordare che, un po’ come Esterno notte di Bellocchio, Babylon è una rielaborazione artistica e non un saggio storico.
Se guardiamo solo alla sceneggiatura, Babylon è banale: appare articolato ma a esaminarle da vicino le psicologie e gli accadimenti che ne derivano sono fittizie, cartapesta: gato por lievre, come dicono in Spagna. Lo sorreggono le buone interpretazioni (in particolare Margot Robbie). Peraltro, Babylon ha un’energia di messa in scena che almeno in parte compensa la banalità di sceneggiatura. C’è qualcosa di scomposto e di sgraziato, ma Damien Chazelle è un regista dell’eccesso, sia interno che esterno al plot.
Talvolta è francamente deludente: in una scena Margot Robbie deve vomitare addosso a un uomo in una festa e lo fa con un getto enorme e diretto come se fossimo ne L’esorcista, con inevitabile effetto di anticlimax. Altre volte, però, la messa in scena esorbitante riesce a ottenere un effetto quasi ipnotico: l’orgia iniziale, la finta battaglia per la macchina da presa, l’episodio del serpente a sonagli, o una Los Angeles neo-noir memore di James Ellroy. Vi sono buoni tocchi, come quando Margot Robbie esce di scena in modo metacinematografico; o il finale elegiaco sul potere del cinema.
Perché Babylon si gioca su due poli: la critica a Hollywood e l’esaltazione del potere del cinema di materializzare i sogni. Questa contraddizione poteva essere artisticamente produttiva, ma si ha l’impressione che il film non la risolva, e i due poli restano non conciliati.
Giorgio PlacereaniTratto da placereani.blogspot.com
cinema FESTIVALS
VOCI DA DENTRO
Si conclude al Cinema Rossini la rassegna Carta Bianca. Storie orali e visuali dei festival cinematografici, a cura di Marco Dalla Gassa (Università Ca’ Foscari Venezia) e Carmelo Marabello (Università IUAV Venezia - VIU Venice International University)
STEVE DELLA CASA
in conversazione con Maria Paola Pierini (Università degli studi di Torino)
Critico cinematografico, autore e conduttore radiofonico. Dal 1999 al 2002 è stato direttore del Torino Film Festival e dal 2007 al 2013 del Roma Fiction Fest. Dal 1994 è conduttore del programma cinematografico radiofonico Hollywood Party (Radio Tre). Ha curato pubblicazioni in Italia e all’estero e realizzato documentari che sono stati presentati in diversi festival internazionali, vincendo nel 2014 il Nastro d’Argento per I Tarantiniani
8 febbraio h. 18.30
LUCA MOSSO
in conversazione con Miriam De Rosa (Università Ca’ Foscari di Venezia)
Direttore di Filmmaker Festival Milano, che sostiene con contributi produttivi il cinema giovane e indipendente; Presidente del Milano Film Network, che riunisce i sette maggiori festival della città, critico cinematografico per «La Repubblica» e Rai Radiotre. Docente presso l’interfacoltà di Economia-Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e presso la scuola di Nuove tecnologie per l’arte dell’Accademia di Brera.
15 febbraio h. 18.30
ALBERTO BARBERA
in conversazione con i curatori Marco Dalla Gassa e Carmelo Marabello
Nasce a Biella nel 1950. In pochi anni è diventato presidente dell’Associazione Italiana Amici Cinema d’Essai e critico cinematografico per diversi quotidiani e riviste, oltre che in programmi televisivi e radiofonici. Dopo una prima esperienza come Direttore della Mostra Internazionale di Arte cinematografica di Venezia tra il 1998 e il 2002, nel dicembre del 2011 è stato nuovamente scelto dal Cda della Biennale per guidare il Festival, incarico che ricopre tutt’oggi.
1 marzo h. 18.30
Cittadini del mondo Ca’ Foscari Short, gambe solide e idee chiare
Un vento nuovo, comparso nel 2011 e capace in questi anni di dotarsi di un respiro internazionale, curato dagli studenti per gli studenti ma non solo. Con la direttrice Roberta Novielli parliamo del presente e del futuro del Ca’ Foscari Short Film Festival, attesissimo appuntamento diffuso con il cinema più vivo e vivace in città dal 22 al 25 marzo prossimi.
Quali le principali novità dell’edizione 2023 del Ca’ Foscari Short Film Festival? La principale novità nella nostra edizione del 2023 consiste nel numero crescente di partner che si legano al nostro evento. Avremo infatti alcuni nuovi premi assegnati da prestigiosi centri di eccellenza che si aggiungono a quelli degli scorsi anni: per il Concorso internazionale, infatti, si aggiungono il premio alla miglior colonna sonora assegnato da una giuria designata dal Conservatorio di Musica di Vicenza – un’eccellenza negli studi della multimedialità e musiche per film – e il nuovo premio alla miglior sceneggiatura assegnato da Carpenè-Malvolti. Inoltre, il Concorso internazionale Music Video sarà quest’anno premiato da una giuria nominata da Cinit - Cineforum Italiano, a testimoniare una volta di più come cinema, musica e animazione trovino un luogo di incontro ideale nella cornice internazionale veneziana.
Primo festival di cinema in Europa gestito da studenti universitari guidati da una commissione di docenti di studi sul cinema e professionisti del mondo dello spettacolo, il CFSSF ha aperto di sicuro tante strade. Quali i principali aspetti che sentite di voler sottolineare di questi anni di incalzante attività? Nel corso delle sue 13 edizioni, il nostro festival ha fortunatamente trovato sempre nuovi canali per farsi conoscere nel mondo e quindi accogliere un ampio panorama internazionale. Quest’anno, per esempio, abbiamo ricevuto 3015 cortometraggi provenienti da 115 differenti Paesi, moltissimi dei quali di livello altissimo. Per tutti i film selezionati da noi si aprono poi molti percorsi di comunicazione: non solo vengono proiettati in contemporanea al nostro Auditorium in alcune delle più importanti sedi culturali veneziane, ma portiamo una nostra selezione aggiuntiva in giugno presso il Festival della Luce a Spilimbergo e di anno in anno in differenti città nostrane e in Paesi al di fuori dell’Italia. Infatti, negli scorsi anni lo Short ha viaggiato con programmi speciali in città come Roma, Napoli, Bari, Macerata e all’estero a New York, Baku, Mosca, Tokyo. A proposito di quest’ultima città, anche per l’edizione del 2023 ci sarà una distribuzione in alcune sale cinematografiche della capitale nipponica, una partnership avviata con successo lo scorso anno e ora definitivamente consolidata.
Un’ultima nota va sicuramente agli studenti che annualmente collaborano alla costruzione del nostro festival, quest’anno circa 150 provenienti da tutti i dipartimenti di Ca’ Foscari, oltre che dall’Accademia di Belle Arti di Venezia e dallo IUAV. Molti di questi giovani nel frattempo hanno concluso il loro ciclo di studio e continuano a lavorare con noi da volontari, a testimonianza di un coinvolgeimento che va ben oltre il mero aspetto lavorativo.
cinema RASSEGNE
È già domani
Nel 2022 Biennale College Cinema è giunto all’undicesima edizione, predisponendo i consueti bandi di partecipazione.
Il bando Biennale College Cinema-Italia, dedicato a team composti esclusivamente da un regista e un produttore di nazionalità italiana, è rimasto attivo nel periodo dal 24 febbraio al 13 aprile, mentre quello Biennale College Cinema-International, rivolto a team composti da regista e produttore provenienti da tutto il mondo, lo è stato dal 3 maggio al 3 luglio.
È notizia di questi giorni la scelta dei quattro progetti, provenienti da Georgia, Italia, Messico e Ungheria, che accedono alle fasi di realizzazione dei lungometraggi dell’11. edizione di Biennale CollegeCinema.
I quattro team, formati da un regista e un produttore, presentano L’anno dell’uovo (regista Claudio Casale, produttrice Francesca Vargiu, opera prima), Árni (regista Dorka Vermes, produttore Balázs Zachar, opera prima), The Chaos of Silence (regista Nino Shaburishvili, produttrice Tinatin Kajrishvili, opera prima), Lumbrensueño (regista José Pablo Escamilla, produttrice Diandra Arriaga, opera seconda). Dopo il workshop conclusosi il 17 gennaio, a cui i quattro team hanno partecipato, ha preso il via la realizzazione vera e propria dei lungometraggi a micro budget, con il contributo della Biennale di 200.000 euro ciascuno. I quattro film saranno presentati alla 80. Mostra del Cinema di Venezia, in programma dal 30 agosto al 9 settembre.
Prosegue anche l’attività di Biennale College Cinema VR, giunto alla settima edizione, i cui 12 progetti selezionati hanno partecipato al workshop internazionale a Venezia dal 12 al 19 gennaio, con una presentazione a Ca’ Giustinian.
Biennale College Cinema ha il sostegno del Ministero della Cultura - Direzione Generale Cinema, main sponsor dell’iniziativa è Vivendi, assieme al Gruppo Multiversity, cui fa riferimento l’Università Pegaso. Biennale College Cinema si avvale della collaborazione accademica di Gotham Film & Media Institute e del TorinoFilmLab. Direttore è Alberto Barbera, Head of Programme Savina Neirotti.
Una donna per amico
Nel panorama del cinema hollywoodiano, in pieno Novecento, George Cukor ha saputo accendere la forza, il carattere, la dolcezza, la ruvidezza, l’energia dell’universo femminile. Scenograficamente e da un punto di vista narrativo era così attento ad esaltarne la presenza scenica che, nel crogiolo attoriale e dello star system, non era ben visto dall’altra parte di mondo, quella di divi e produttori.
Newyorkese di nascita, giovanissimo si tuffa a capofitto nella messinscena teatrale, a Broadway e poi a Rochester, dove incontra e lancia Ethel Barrymore, Miriam Hopkins, Bette Davis, riconoscendone il carisma. È poco più che trentenne quando lavora alla preparazione di uno dei pilastri del cinema americano, Via col vento, scopre Vivien Leigh e, allo stesso tempo, viene licenziato dal produttore e amico David O. Selznick, accusato di oscurare i ruoli maschili a favore di quelli femminili (una spinta al suo allontanamento dal set pare sia arrivata da Clark Gable).
La vera icona per lui diventa Katharine Hepburn: la dirigerà in otto pellicole, trovando nell’attrice l‘esaltazione di una femminilità che è bellezza, giocosità, intelligenza. E lei, donna forte e outsider del divismo, si sintonizza perfettamente con un modo di fare cinema elegante e mai superficiale, soprattutto quando la narrazione scorre sul filo leggero della commedia. È nel climax lieve dell’happy ending che il cinema classico americano mostra il suo spessore. Di certo hanno questo sapore agrodolce i film di Cukor. Di certo sono così quelli scelti per la rassegna dedicata a lui da Circuito Cinema Venezia.
Se è certamente vero che Donne è un film corale che porta in scena Norma Shearer e Joan Crawford, è anche indubbio che al centro della narrazione c’è il rapporto con le figure maschili.
E se Non tradirmi con me con Greta Garbo ruota intorno all’eterno perno del tradimento maschile, la storia prende senso nell’azione volitiva della donna tradita. E ancora, quando Cukor realizza Il diavolo è femmina con la Hepburn, ha già capito che le donne hanno mille volti nella policromia tra dramma e comicità. Per non dire del sensualissimo Facciamo l’amore che ha fatto scoccare la scintilla tra Marilyn Monroe e Yves Montand, in scena e nella vita. Elena Cardillo
Viva la libertà
Negli ultimi anni, al lavoro dietro la macchina da presa si sono prestate numerose e talentuose registe che in brevissimo tempo hanno affermato il loro nome ben oltre il panorama nazionale, da Alice Rohrwacher a Susanna Nicchiarelli, da Laura Bispuri a Emma Dante, solo per citarne alcune. Prima di loro, più o meno dai ‘90, la professione di regista in Italia aveva iniziato timidamente a sdoganarsi anche in ambito femminile, e i nomi di Francesca Archibugi, Cristina Comencini, Roberta Torre si erano ritagliati velocemente uno spazio di tutto rispetto, diventando comuni anche al grande pubblico. Andando più indietro nel tempo, però, similmente a quanto accadeva per molti altri ruoli, è evidente come la professione di regista fosse prerogativa maschile. Con sporadiche, ma significative, eccezioni. Due di queste eccezioni si sono ritagliate, per ragioni diverse, un ruolo di prim’ordine nel cinema italiano: Lina Wertmüller, scomparsa un anno fa, e Liliana Cavani, che in questi giorni compie novant’anni, a cui la Casa del Cinema dedica un breve omaggio che offrirà certamente spunti per successivi approfondimenti. Spirito libero e provocatorio, la regista ha avuto non pochi problemi con la censura sin dal suo esordio nel 1968, con quel Galileo considerato film anticlericale per aver sviscerato il tema della tensione tra ragione e fede, ritirato dalle sale pochi giorni dopo l’uscita e rimasto invisibile per un lunghissimo tempo.
Nel 1973 arriva la notorietà internazionale con Il portiere di notte, che affronta il rapporto tra vittima e carnefice e che in patria venne vietato ai minori di 18 anni per – pare – una scena di sesso in cui è la donna a stare sopra all’uomo.
Il 1977 è l’anno di Al di là del bene e del male, liberamente ispirato alla vita di Nietzsche e in particolare al triangolo amoroso con Lou Andreas-Salomè e Paul Rée. Inutile dire che anche qui le forbici della censura intervenirono pesantemente, eliminando circa 10’ di film.
Nel 1981 esce La pelle, con Marcello Mastroianni, Burt Lancaster e Claudia Cardinale; per aver affrontato temi scabrosi, ripugnanti e violenti il film venne vietato ai minori di 14 anni.
La carriera di Liliana Cavani continuerà negli anni a venire, incontrando via via sempre meno difficoltà con la censura ma continuando a raccogliere vasti consensi: con Francesco, ad esempio, che vede
Mickey Rourke nei panni – - incredibilmente credibili – del Santo di Assisi, fino a Il gioco di Ripley del 2002, forse il titolo più famoso nonché ultimo lungometraggio da lei diretto. Davide Terrin
C’era una volta… il film di finzione. Film che facevano sognare, che divertivano o che ci tenevano avvinti alla poltrona per la paura. Oggi è un genere che si sottrae al suo scopo di creare sogno, fare spettacolo e si ritrae in angoli residuali, film per bambini, supereroi americani o qualche produzione asiatica fortemente sovvenzionata. Il cinema torna cinema dei primordi, deve mostrare, documentare. Una sorta di “arte epica”, volendo richiamare Brecht. Ma anche un ritorno alle origini.
Il primo filmato presentato, La Sortie de l’usine Lumière dei fratelli Lumière, del marzo 1895, non era una pura ripresa di una uscita di operai dalla fabbrica: il regista era intervenuto raccomandando ai lavoranti di indossare il vestito della domenica, aveva poi accuratamente diviso la maestranza in due sciami, a destra e sinistra, infine aveva introdotto variazioni, come la bicicletta o il guardiano. Dunque, non pura ripresa di un momento di vita reale. La stessa icona del cinema del reale, Nanook of the North di Flaherty (1922), contiene in verità riprese più volte ripetute e migliorate, con la scusante della cattiva qualità della luce. Figura dimenticata John Grierson, con i suoi Drifters (1929) o Housing Problems del 1935. In tempi più recenti Dans la ville blanche di Alain Tanner del 1982, Il grande silenzio di Philip Gröning del 2005 o numerose opere di Agnes Varda. Tutto questo mi viene in mente a Trieste e al suo meritorio Festival, chiamato una volta Alpe Adria. Numerosi film presentati nascono dall’uso di materiale storico, pubblico o privato, inedito, con l’obiettivo di narrare storie individuali o collettive del passato. “Microstorie” potremmo chiamarle, parafrasando Carlo Ginzburg de Il formaggio e i vermi
Fragile memory è forse il più interessante, del regista Ihor Ivan’ko, che riutilizza immagini di uno dei primi cineasti russi, Leonid Burlaka, sperimentatore del cinema popolare ancora prima di Dziga Vertov, quando in piena rivoluzione i film si presentavano nei paesi più remoti su camion (Kino Pravda). Ma intriganti anche i filmati Non Aligned e Cine Guerrillas, Scenes from the Labudovic Reels, nati da una ricerca e rielaborazione delle riprese ordinate dal governo jugoslavo, dal suo Presidente Tito, sui movimenti dei Paesi non allineati, prevalentemente africani e asiatici negli anni ‘60 e ‘70. Progetto diretto da Mila Turajlic, che si sforza di valorizzare il fatto che «la storia veniva costruita durante le riprese, la trama non esisteva prima del film stesso». Il più esemplificativo di questa tendenza è però il corto di Laura Samani L’estate è finita. Appunti su Furio. La regista ha utilizzato pellicole amatoriali provenienti da donazioni di privati all’Archivio di film di famiglia del Friuli Venezia Giulia per costruire, utilizzando alcuni frammenti sparsi, una storia di un amore estivo con l’aiuto di una voce narrante. Documenti veri per un film di finzione. Completo rovesciamento di carte e di teorie. Loris Casadei
cinema
RASSEGNE
Fucina di talenti
La 18. edizione di Cortinametraggio, a Cortina D’Ampezzo dal 21 al 26 marzo, si appresta a sbarcare online grazie a una partnership con The Film Club, la piattaforma multicanale lanciata da Minerva Pictures. A partire da quest’anno, dunque, le opere in concorso –tutti corti italiani di finzione realizzati nel 2022-2023 di durata massima di 20 minuti e appartenenti a ogni genere narrativo – saranno disponibili anche in streaming. Il premio del pubblico, altra novità targata The Film Club, sarà invece decretato dagli spettatori presenti in sala. Il riconoscimento della giuria popolare si affianca ai premi storici assegnati ogni anno da nomi di spicco del panorama cinematografico, scelti tra registi, attori, giornalisti, critici cinematografici, produttori, distributori.
Oltre allo storico concorso, da alcuni anni la kermesse ha arricchito la propria programmazione con una sezione competitiva aperta a tutti i videoclip musicali trasmessi online nei dodici mesi che precedono il festival. A questa si affianca una sezione (Corti in sala) realizzata in collaborazione con Vision Distribution, dedicata a opere di fiction brevissime, di durata non superiore ai 5 minuti. Il corto vincitore sarà proiettato nelle sale nazionali in testa ad un titolo del listino Vision. Il festival dedicato alla cinematografia italiana ‘breve’ ideato da Maddalena Mayneri ha avuto negli anni il merito di funzionare da trampolino di lancio per molti registi che in seguito sono riusciti a imporsi nel panorama nazionale, registi come Paolo Genovese, che vinse nel 1999 con il suo corto e che oggi da regista affermato torna annualmente a Cortina come ospite. Marisa Santin
Verde brillante
Ha preso il via in gennaio, al Cinema Dante di Mestre, la rassegna cinematografica Veneto Green Movie, progetto di educazione visiva e ambientale ideato dalla Veneto Film Commission per le scuole primarie e secondarie della regione, nel segno delle tematiche di forte attualità collegate all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
Realizzato in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale del Veneto, nell’ambito del Piano Nazionale Cinema e Immagini per la Scuola promosso da Ministero della Cultura e Ministero dell’Istruzione, il progetto vedrà il coinvolgimento di 3000 studenti e 200 docenti delle province di Venezia, Padova, Treviso, Rovigo, Verona, Vicenza e incontra le sensibilità e le preoccupazioni delle nuove generazioni per le condizioni ecologiche del mondo futuro, proponendo in orario scolastico 20 proiezioni di opere internazionali che lungo il filo narrativo di importanti autori cinematografici indagano il delicato rapporto fra il genere umano e gli ecosistemi in cui vive, dalla salvaguardia della biodiversità alle criticità del cambiamento climatico.
Sette i film selezionati per fasce d’età dal curatore Gaetano Capizzi, direttore del Festival Cinemambiente di Torino, che offriranno ai ragazzi l’opportunità di condividere domande e riflessioni su alcune delle più urgenti questioni del nostro tempo: Ponyo sulla scogliera di Hayao Miyazaki, Re della terra selvaggia di Benh Zeitlin, Le meraviglie del mare di J-J. Mantello e J-M. Cousteau, The Light Blue Conspiracy di Cosima Dannoritzer, Il bambino che scoprì il mondo di Alê Abreu, Gli orsi della Kamchatka. L’inizio della vita di I. Uravleva, V. Grišin e Dusk Chorus - Based on Fragments of Extinction di A. d’Emilia & N. Saravanja.
«Sui devastanti effetti dei cambiamenti climatici sono le nuove generazioni a dimostrare preoccupazioni, attenzione e sensibilità – spiega Luigi Bacialli, presidente della Fondazione Veneto Film Commission – e questa è una grande occasione per dare ulteriore risalto al loro impegno in difesa dell’ambiente e del pianeta».
Veneto Green Movie
3 febbraio-28 marzo sale cinematografiche del Veneto venetofilmcommission.com
A nuova vita
Sta assumendo i contorni di un’attività stabile la rassegna Classici Fuori Mostra (che non a caso ha assunto il nome di Festival permanente del cinema restaurato), proposta per la prima volta nel 2020 con l’intento di ‘alleggerire’ temporaneamente il primo Festival post lockdown. Aggiungiamo quindi una voce alla breve lista di cose buone nate dalla pandemia. Ora che la sezione dei Classici è tornata nella sua giusta casa settembrina al Lido, possiamo comunque godere annualmente di una rassegna cittadina dedicata a film storici restituiti a nuova vita, curata dalla Biennale in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari e con l’Università IUAV. La formula è questa: il restauro deve essere recente anche se non necessariamente esclusivo (molti titoli presenti sono già passati in altri importanti festival europei); ogni film – in versione originale con sottotitoli – è introdotto da un giornalista, critico o esperto di cinema; alla fine di ogni proiezione il pubblico ha la possibilità di intervenire con domande o commenti. Come sottolinea Alberto Barbera, la rassegna assume un particolare valore «perché offre l’opportunità preziosa di vedere film perfettamente restaurati nelle migliori condizioni a cui possono aspirare: una sala cinematografica adeguatamente attrezzata, la presenza di un pubblico appassionato e attento, la presentazione di un critico che si presta anche a guidare la discussione che fa seguito alla proiezione. Un vecchio schema, si dirà: il quale, tuttavia, non solo non ha perso la sua efficacia, ma sta dimostrando di essere se non la ragione principale, almeno un buon motivo per convincere potenziali spettatori ad abbandonare le comodità della visione domestica per affrontare l’esperienza gratificante della ‘vecchia’ sala cinematografica». L’appuntamento spezza piacevolmente la settimana, ogni mercoledì fino al 17 maggio alle 19 al Cinema Rossini. Si parte il 2 marzo con Il conformista di Bernardo Bertolucci (1979, restauro a cura di Cineteca di Bologna/Minerva Film), con Jean-Louis Trintignant, Stefania Sandrelli e Dominique Sanda. Seguono l’8 marzo la Parigi post-sessantottina e ‘vampiresca’ di Jean Eustache ( La maman et la putain, 1973, restauro a cura di Les Films du Losange) e, il 15 marzo, le ambientazioni ‘acquatiche’ del penultimo film di Andrej Tarkovskij, Nostalghia (1983, restauro a cura di CSC –Cineteca nazionale), co-sceneggiato da Tonino Guerra e girato in Italia fra luoghi di decadente bellezza, come la chiesa sommersa di Santa Maria in Vittorino, le rovine dell’Abbazia di San Galgano e la cripta di San Pietro a Tuscania. La programmazione di marzo si conclude il 29 con Accattone, il folgorante esordio alla regia di Pier Paolo Pasolini. M.S.
La storia del cinema raccontata attraverso il clima e l’ambiente, passando in rassegna i temi, gli autori e i numeri di come l’industria cinematografica stia diventando sempre più verde, dalle produzioni alle sale cinematografiche. Marco Gisotti, giornalista, docente di Teorie e linguaggi della comunicazione scientifica all’Università di Tor Vergata, uno dei maggiori esperti di green economy e comunicazione ambientale, ideatore e promotore dal 2012 alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del premio Green Drop Award, nel suo ultimo libro Ecovisioni, con prefazione di Claudia Cardinale, ha passato in rassegna 150 opere, a cominciare da quello che il grande cineasta Bertrand Tavernier ha definito come “il primo film ecologista mai realizzato”, la veduta “Lumière n. 1035”, Puits de pétrole à Bakou, girata dal cameraman Kamill Serf nel 1896 a Baku, capitale dell’Azerbaijan.
E poi, da Buster Keaton a Metropolis, da Bambi a 2022: i sopravvissuti, dal primo Avatar al più recente Siccità: grandi film e registi che dalla nascita del cinema a oggi hanno raccontato la crisi ecologica e le sue possibili (o impossibili) soluzioni. Non mancano titoli popolarissimi che rivelano pezzi di storia del nostro Paese o inaspettati allarmi come Il ritorno di Don Camillo, dove è raccontata la vera tragedia del Polesine, o 007 Quantum of Solace, dove il James Bond di Daniel Craig deve combattere contro uno spietato speculatore dell’ambiente, fino a recenti film della Marvel nei quali la metafora dell’11 settembre è sostituita dalla preoccupazione per il futuro delle risorse e degli ecosistemi.
Il libro rivolge l’attenzione anche agli impatti ambientali della filiera cinema, dalle produzioni fino all’efficientamento energetico delle sale e ai grandi Festival. «Cinema ed ecologia sono “invenzioni” dell’Ottocento. […] Un secolo dopo l’Europa si è data come obiettivo il 2050 per uscire dalla crisi climatica. – scrive Gisotti – Per arrivare al 2050 avremo bisogno di un cinema dell’ottimismo della ragione, ma che non nasconda la CO2 sotto il tappeto, che sfidi l’ignoranza scientifica ma senza diventare tecnocratico, che abbia la forza della denuncia senza far voltare altrove il suo pubblico, che proponga un nuovo patto fra uomo e natura. Soprattutto di un cinema che non abbia bisogno di diventare dottrina, propaganda o manifesto, ma che faccia quello che ha sempre fatto: intrattenere il suo pubblico. E, intrattenendolo, lasciare che si rispecchi nelle sue ecovisioni».
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cinema
CINEFACTS
a cura di Marisa Santin
BEWARE OF THE BEAR
Con una Giuria internazionale presieduta da Kristen Stewart, i 18 film in concorso alla 73. BERLINALE (16-26 febbraio) spaziano fra diversi generi, temi e provenienze, con un’unica presenza italiana, Disco Boy del regista e sceneggiatore Giacomo Abbruzzese. Il nostro cinema è tuttavia ben rappresentato in altre sezioni: L’ultima notte d’amore di Andrea Di Stefano (Pierfrancesco Favino nel cast); il doc di Mario Martone dedicato a Massimo Troisi ( Laggiù qualcuno mi ama ); Le proprietà dei metalli di Antonio Bigini e Le mura di Bergamo di Stefano Savona, un omaggio alla città divenuta suo malgrado simbolo dei peggiori effetti della pandemia. In attesa del verdetto dell’Academy su The Fabelmans, Steven Spielberg sarà a Berlino per ricevere il Premio alla carriera. Ma la quarta direzione artistica di Carlo Chatrian non tralascia l’attualità, dando spazio a riflessioni sulle proteste in Iran e sulla guerra in Ucraina, a partire dalla proiezione di Superpower, il documentario realizzato ‘sul campo’ da Sean Penn durante le prime settimane di conflitto. Di seguito la nostra shortlist ideale per l’Orso d’Oro 2023.
Ingeborg Bachmann –
Reise in die Wüste
di Margarethe von Trotta (Germania, Svizzera, Austria, Lussemburgo)
Dopo Hannah Arendt (2012) la regista tedesca, Leone d’Oro a Venezia nel 1981 per Anni di Piombo, si rivolge nuovamente al genere biografico per raccontare la vita della scrittrice e poetessa austriaca Ingeborg Bachmann, soffermandosi, in particolare, sui suoi viaggi tra Berlino e l’Egitto e sulla sua appassionata relazione con lo scrittore e architetto svizzero Max Frisch.
Le grand chariot di Philippe Garrel (Francia, Svizzera)
Garrel coinvolge la famiglia (nel cast i figli Louis, Esther e Léna) per una storia che parla proprio di legami famigliari. Tre fratelli si danno da fare per portare avanti l’attività del nonno, un teatrino di marionette, dopo la sua morte avvenuta durante uno spettacolo.
Manodrome di John Trengove (UK)
Al suo secondo lungometraggio (dopo The Wound del 2017) il regista sudafricano porta Jesse Eisenberg, Adrien Brody e Odessa Young sul tappeto rosso della Berlinale, per un thriller stile Breaking Bad incentrato sulla figura di un tassista Uber.
Roter Himmel di Christian Petzold (Germania)
Il regista de La scelta di Barbara (Orso d’Argento alla regia nel 2012, nel cast la bravissima Nina Hoss) mette al centro del suo nuovo film un gruppo di quattro amici rimasti isolati in una casa di vacanze sul Mar Baltico, accerchiati da una serie di incendi incontrollati che si stanno minacciosamente avvicinando all’abitazione.
Suzume di Makoto Shinkai (Giappone)
Identificato dalla critica come l’erede artistico di Hayao Miyazaki, appassionato dei romanzi di Murakami, l’animatore e regista Makoto Shinkai prova a doppiare il successo di Your Name (2016), acclamato da critica e pubblico per la bellezza dell’animazione e per il forte impatto emozionale, tanto da aver complessivamente superato gli incassi de La città incantata (dati IMDd).
QUEI BRAVI RAGAZZI
Una generazione che non riesce a cambiare, a invecchiare, anche se cambia e invecchia
Nati nei favolosi anni ‘60, hanno attraversato incredibili stagioni di cambiamento in cui una società conformista e cattolica ha incominciato a demolire pregiudizi e tabù, legalizzando divorzio e aborto. Una generazione segnata dall’impegno politico, dal femminismo, dalla ricerca della libertà sessuale, ma anche dall’eroina. Stiamo parlando dei sessantenni italiani, pervasi da quello spirito libero che li ha accompagnati in gioventù e che non si spegne con l’età che avanza. Non hanno voglia di invecchiare, di arrendersi al tempo; la maggior parte di loro non ricorda certo tristi pensionati in pantofole e maglione di pile. Sono istruiti, integrati, indipendenti, curiosi, pieni di interessi, non sono fermi al «quanto si stava meglio…». Anche se non sono nativi digitali maneggiano il computer quasi come se fosse da sempre cosa loro, pane quotidiano.
A questi irriducibili, diversamente giovani lo scrittore Romolo Bugaro dedica il suo ultimo lavoro, che uscirà a marzo pubblicato da Einaudi: I ragazzi di sessant’anni. Bugaro è un acuto osservatore dell’animo umano. Nei suoi libri indaga i sentimenti con uno sguardo privo di moralismo; la sua scrittura è sempre ancorata alla realtà, riesce a osservare la vita che ci circonda e a raccontarla con estrema precisione, verità, senza mai giudicare, attraverso uno stile semplice, con frasi molto chiare, brevi. Ha saputo narrare benissimo il Nordest con la sua ossessione per i soldi, l’educazione cattolica, le simpatie leghiste, ma anche con la crisi economica che lo ha attraversato, il dissesto esistenziale, l’incertezza, l’instabilità che spesso caratterizzano le vite dei suoi protagonisti.
Romolo Bugaro è nato nel 1961 a Padova. Ha studiato Giurisprudenza e Scienze politiche e oggi esercita la professione di avvocato, occupandosi prevalentemente di diritto societario e concorsuale. Scrittore prolifico, deve il suo esordio all’antologia di racconti Belli & Perversi curata da Pier Vittorio Tondelli. In seguito ha pubblicato saggi e romanzi: Indianapolis (Transeuropa, 1993), La buona e brava gente della nazione (Baldini & Castoldi, 1998), Il venditore di libri usati di fantascienza (Rizzoli, 2000), Dalla parte del fuoco (Rizzoli, 2003), Il labirinto delle passioni perdute (Rizzoli, 2006), Ragazze del Nordest (con Marco Franzoso; Marsilio Editori, 2010), Bea vita! Crudo Nordest (Laterza, 2010), Effetto Domino (Einaudi, 2015) – da cui è stato tratto l’omonimo film con la regia di Alessandro Rossetto –, Non c’è stata nessuna battaglia (Marsilio, 2019). Incontriamo l’autore in attesa della pubblicazione del suo ultimo lavoro.
Chi sono i sessantenni italiani e che sessantenne è oggi Romolo Bugaro?
I ragazzi di sessant’anni sono la prima generazione che è uscita dal tempo, ovvero dal ciclo delle stagioni della vita. Molti dei baby boomers nati negli anni Sessanta come il sottoscritto sono sempre stati, e in fondo lo sono ancora, convinti di non poter invecchiare mai. Da ragazzi ascoltavano Neil Young, viaggiavano con Interrail, giravano con la Vespa e per loro tutto è rimasto così. Una generazione che non riesce a cambiare, a invecchiare, anche se inevitabilmente cambia e invecchia.
Cosa l’ha spinta a occuparsi di questo tema?
La mia vita, la percezione che ho di me stesso.
Lei è un avvocato: come è diventato scrittore? Quanto incide il suo lavoro sulla sua scrittura? Le due attività si contaminano?
Da sempre ho due vite. La mattina resto a casa e scrivo, il pomeriggio vado in ufficio e lavoro come avvocato. Una volta mi pesava, ora non più. La professione di avvocato mi ha permesso di scoprire ambienti e scenari della contemporaneità molto interessanti, che sono poi entrati (ed entreranno ancora) nei miei romanzi. Le due anime hanno fatto pace.
Qual è il libro della sua vita, quello che consiglierebbe a tutti di leggere?
I detective selvaggi di Roberto Bolano. Un capolavoro che resta per sempre con te.
Nel suo passato c’è molta passione politica come militante dell’estrema sinistra. Era solo fascinazione legata a quel preciso momento storico e forse a qualche leader particolarmente carismatico, oppure invece una partecipazione espressione di uno scavo profondo, riflettuto nella sua coscienza? Che rapporto ha oggi con l’impegno politico?
Nel mio caso si trattava sostanzialmente di una fascinazione abbastanza superficiale ed esibizionista, legata a quel momento storico. Per quanto riguarda la politica, sono un semplice osservatore. Trovo peraltro che la classe dirigente di oggi sia molto migliore di quella di ieri, popolata da personaggi come Giulio Andreotti, Salvo Lima, Antonio Gava…
Lei ha analizzato spesso il Veneto e il Nordest in maniera acuta e a volte impietosa. Come vede la situazione attuale di questo territorio cresciuto troppo in fretta?
Vedo una crescita della consapevolezza della gente rispetto ad alcuni temi cruciali, per esempio l’ambiente, e una sostanziale indifferenza rispetto ad altri temi altrettanto cruciali, per esempio la crescita delle disuguaglianze. Luci e ombre.
etcc...
Storia di storie
È un compleanno speciale quello che il Teatro Goldoni ha recentemente festeggiato: 400 anni! Fu infatti inaugurato nel 1622 con il nome di Teatro San Luca o di San Salvador, o ancora Vendramin e Apollo; oggi è il più antico teatro veneziano ancora in attività. Per celebrare questa importante ricorrenza il Teatro Stabile del Veneto e Arteven, in collaborazione con il Comune di Venezia e la Regione Veneto, hanno ideato Goldoni 400. Il Teatro Viaggiante, un triennio di iniziative tra Venezia e la Terraferma, che vede tra gli eventi programmati anche una pubblicazione dello scrittore Matteo Strukul dedicata all’anniversario e al grande commediografo a cui il Teatro è intitolato.
Periodo davvero intenso questo inizio 2023 per Strukul. A breve uscirà nelle sale cinematografiche il documentario Urbs Picta: Giotto e il sogno del Rinascimento, prodotto da Magnitudo Film, con la regia di Francesco Invernizzi, scritto e sceneggiato dallo scrittore padovano con Silvia Gorgi. Subito dopo sarà in libreria il sequel de Il cimitero di Venezia, edito da Newton Compton, romanzo che ha avuto grande fortuna in Italia e all’estero, tradotto in dieci lingue, in cui ritroviamo Canaletto al servizio della Repubblica Serenissima chiamato a indagare su efferati delitti avvenuti a Venezia.
Matteo Strukul è nato a Padova nel 1973. Laureato in Giurisprudenza, dottore di ricerca in Diritto europeo, è docente di Sceneggiatura Interattiva presso Link Campus University di Roma ed è membro della Historical Novel Society.
Cofondatore del movimento letterario Sugarpulp, ha esordito nel 2011 con La ballata di Mila, primo romanzo della fortunata trilogia pulp proseguita con Regina nera. La giustizia di Mila (2013) e Cucciolo d’uomo. La promessa di Mila (2015). Ha abbracciato poi il genere del noir storico, pubblicando La giostra dei fiori spezzati (2014) e I Cavalieri del Nord (2015), imponendosi nel panorama letterario internazionale con la quadrilogia sui Medici formata dai volumi I Medici – Una dinastia al potere (2016), I Medici – Un uomo al potere (2016), I Medici – Una regina al potere (2017), I Medici –Decadenza di una famiglia (2017). Seguono Giacomo Casanova. La sonata dei cuori infranti (2018), Inquisizione Michelangelo (2018), Le sette dinastie (2019), La corona del potere (2020) e, tutti e tre usciti nel 2021, Dante enigma, il libro per l’infanzia Storia di Mila e Il fuoco di Pandora. Nel 2022 ha pubblicato Il cimitero di Venezia, Paolo e Francesca e Tre insoliti delitti
Tradotto in 21 lingue e 40 Paesi nel mondo, Strukul nel 2017 ha vinto il Premio Bancarella con I Medici – Una dinastia al potere e nel 2018 il Premio Emilio Salgari di Letteratura Avventurosa con il romanzo
Giacomo Casanova, lo stesso anno viene riconosciuto “Padovano Eccellente” dal Comune di Padova.
Dal registro pulp degli esordi è passato al romanzo storico, genere che ha saputo rinnovare contaminandolo con toni thriller e avventurosi, affascinando i lettori con vicende complesse e storie mozzafiato, curando in modo perfetto la verosimiglianza, la ricostruzione del tempo, l’ambientazione delle storie narrate. Alla base delle opere di Strukul ci sono un grandissimo studio e una profonda passione per la ricerca storica che si fondono con il suo raffinato talento di narratore.
La sua pubblicazione di prossima uscita sui 400 anni del Teatro Goldoni di Venezia. Come si configura il racconto e quali elementi salienti connotano la storia di questo teatro?
Il Teatro Stabile del Veneto mi ha commissionato per questo importante anniversario la scrittura di un romanzo. Racconterò il periodo a cavallo fra il 1753 e il 1754, quando Carlo Goldoni vide rappresentata presso il Teatro San Luca la sua tragicommedia La sposa persiana in versi martelliani, la quale si rivelò un clamoroso successo al punto da risultare il testo teatrale più rappresentato nel Settecento per numero di repliche. Il trionfo fu tale che il pubblico chiese a Goldoni un primo sequel e dopo averlo ottenuto, fatto più unico che raro, ne
chiese addirittura un secondo. Mi riferisco a Irkana in Julfa e Irkana in Ispaan. Alla base di tanta fortuna vi fu la strepitosa interpretazione dell’avvenente Caterina Bresciani, che ne La sposa persiana peraltro non interpretava la protagonista Fatima, figlia di un ufficiale del Sofi di Persia, ma la sua antagonista in amore, la schiava circassa Irkana. L’interpretazione fu talmente appassionata, il personaggio così spregiudicato e sensuale, da diventare una vera e propria icona. Con un simile risultato si accesero fra le due attrici – Teresa Gandini, prima donna, e per l’appunto Caterina Bresciani – non pochi battibecchi. La maggior freschezza della seconda, la sua proverbiale vis comica, il carisma e molto altro ancora la fecero diventare ben presto la favorita di Goldoni, che con lei dovette avere molto probabilmente anche un affaire sentimentale. Questa predilezione non piacque naturalmente alla Gandini e al di lei marito, il quale pretendeva che sua moglie venisse maggiormente valorizzata. Non mancarono minacce e avvertimenti. Goldoni, del resto, era oggetto di parecchie forme di ritorsione e di invidie a causa del suo successo. Teniamo presente che era da poco arrivato al Teatro San Luca dopo aver goduto di trionfi per cinque anni al Teatro Sant’Angelo di Girolamo Medebach, il quale non gli aveva perdonato il ‘tradimento’ al termine del contratto in favore del San Luca. E ancor meno era stato perdonato da Maddalena Marliani, altra sua prima attrice, storica interprete de La
Locandiera. Al suo arrivo al Teatro San Luca – oggi Teatro Goldoni –il grande commediografo era quindi al centro di svariati intrighi. E di questo stato delle cose ho fatto il nucleo del mio romanzo, che narrerà di un Carlo Goldoni invischiato in un affare di equivoci, passioni e rancori, giocato fra commedia e dramma, a causa di impresari avidi e attrici manipolatrici e sensuali. Il suo rapporto con il Teatro San Luca fu all’inizio assai difficile, poiché le dimensioni del palco erano molto maggiori di quelle del Sant’Angelo e le sue commedie non avevano allestimenti adeguatamente fastosi. Da qui la ragione di ambientare il suo nuovo lavoro in un luogo esotico come la Persia, capace di fornire paesaggi e architetture che avrebbero richiesto scenografie sontuose, in grado di riempire il grande spazio del palco. E infatti, dopo le prime commedie di non particolare successo, La sposa persiana spopolò.
Dopo la trilogia persiana, Goldoni firmerà proprio per il San Luca commedie che rappresenteranno la sua più alta espressione di teatro. Penso a opere epocali come I rusteghi, La casa nova e Le baruffe chiozzotte. Era amatissimo in quel teatro che, non a caso, oggi porta il suo nome. Fu anche il palcoscenico dell’addio quando prese infine la via della Francia. Fu un legame fondamentale, profondo quello che visse con questo proscenio.
Su quali basi ha sviluppato il racconto e più in generale qual è il metodo di indagine storica che solitamente utilizza per la realizzazione dei suoi romanzi?
Normalmente comincio dalla voce dell’autore. Per questo romanzo sto studiando a fondo i Mémoires, giacché in essi è possibile reperire tutte le sfumature della personalità e del carattere del grande commediografo veneziano, la riuscita restituzione delle quali è quanto mai fondamentale per descrivere, far emergere il vero spirito dell’autore e dell’uomo Carlo Goldoni. Iniziare con la voce del protagonista è sempre un passo obbligato per un romanzo di ambientazione storica. Il grande commediografo era generoso, divertente, arguto, gran lavoratore, guascone e pure un discreto libertino anche se, astutamente, egli tende a minimizzare le sue avventure di cuore. Il mio approccio è stato identico a quello utilizzato per la costruzione di altri romanzi, vedi ad esempio Giacomo Casanova, la sonata dei cuori infranti, dal quale è stato tratto il kolossal musical-teatrale per il quale ho scritto tutti i recitativi del libretto d’opera e Red Canzian ha composto le musiche con le liriche di Miki Porru. Anche in quel caso ho letto e riletto Histoire de ma vie di Giacomo Casanova e lo stesso ho fatto con l’epistolario di Michelangelo Buonarroti per il romanzo Inquisizione Michelangelo. Per la tetralogia sui Medici di Firenze ho studiato invece le Istorie Fiorentine di Niccolò Machiavelli. Solitamente poi affianco a queste letture un ricco studio di monografie e saggi. Nel caso di Goldoni testi come quelli di Bruno Rosada, Il Settecento veneziano. La letteratura, di Ivone Cacciavillani, Il
Il nucleo del mio romanzo narrerà di un Carlo
Goldoni invischiato in un affare di equivoci, passioni e rancori, giocato fra commedia e dramma
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MATTEO STRUKUL
Settecento veneziano. La politica, di Filippo Pedrocco, Il Settecento veneziano. La pittura, di Leonardo Mello, Il Settecento veneziano. Il teatro comico, di Silvino Gonzato, Venezia libertina. Cortigiane, amori, avventurieri e intrighi fra Settecento e Ottocento, e il fondamentale La Repubblica del Leone, storia di Venezia di Alvise Zorzi. Giusto per citare i primi che mi vengono in mente. Poi vi sono gli studi in loco, alla Fondazione Cini o alla Biblioteca Marciana, e naturalmente l’andar per calli, campielli, teatri e musei in città. Per capire il Settecento Veneziano mi reco almeno due volte l’anno a Ca’ Rezzonico.
Questo libro troverà altri sviluppi creativi?
Che so, uno spettacolo teatrale o un docufilm?
La mia idea è di scriverlo immaginando un adattamento teatrale; per questo vorrei che avesse il tono di una commedia con qualche tocco di nero e di dramma.
Grande curiosità anche per l’uscita del suo nuovo romanzo, con il ritorno di Giovanni Antonio Canal e delle sue investigazioni. Perché dobbiamo assolutamente leggerlo?
Spero e credo perché è il secondo romanzo di una saga interamente dedicata alla Venezia del Settecento che ha al centro il più grande pittore di quel secolo: Canaletto. I lettori troveranno anche le fornaci per il vetro di Murano, gli Schiavoni, soldati dalmati feroci e fedeli alla Serenissima, il feldmaresciallo Johann Matthias von der Schulenburg, eroe di Corfù e committente di Canaletto, la bellissima
Charlotte e la sua storia d’amore con Antonio, Rosalba Carriera e la pittura di ritratto e poi ancora un sanguinoso intrigo, un assassino spietato, le lotte di potere fra famiglie patrizie, la Riva degli Schiavoni e il Fonteghetto della Farina, la scrittura della luce nelle tele di Canaletto… Insomma, tutta la meraviglia, lo splendore e il sangue della Venezia più bella di sempre.
In questo inizio d’anno esce anche il documentario Urbs Picta: Giotto e il sogno del Rinascimento, un omaggio alla sua città. Quale importanza assumono Padova, Venezia e in generale il Veneto nella sua scrittura, nella sua ispirazione?
Il Veneto per me è centrale. Negli ultimi anni ho dedicato romanzi letterari a Canaletto, Casanova, prossimamente Goldoni e non mi fermerò qui. Ho poi ambientato un intero romanzo nell’800 padovano, La giostra dei fiori spezzati, e un romanzo per ragazzi, Storia di Mila, sull’Altopiano di Asiago. Ora con Silvia Gorgi ho scritto e sceneggiato il documentario cinematografico Giotto e il sogno del Rinascimento dedicato all’Urbs Picta, alla Cappella degli Scrovegni e ai cicli affrescati del Trecento, divenuti nel luglio 2021 Patrimonio Unesco. Il documentario debutterà al cinema a fine marzo. Per me è molto importante che la memoria non vada perduta e che i veneti comprendano l’importanza di una cultura così particolare come quella alla quale appartengono, capace di esprimere alcuni dei più grandi geni di sempre: Canaletto, certo, e poi Guardi, Tiepolo padre e figlio, Tintoretto, Rosalba Carriera, Tiziano, Palladio, Canova, Casanova, Goldoni, Gaspara Stampa, grandi librettisti come Lorenzo da Ponte e Francesco Maria Piave, Antonio Vivaldi, Baldassarre Galuppi, Benedetto Marcello, Mario Rigoni Stern, Dino Buzzati, Emilio Salgari e potrei continuare ancora per righe e righe… I miei romanzi sono fondati sui registri centrali della memoria e dell’avventura. Direi che la Storia e la dimensione del ricordo e della valorizzazione del patrimonio culturale veneto e italiano sono alla base della mia ricerca letteraria. Del resto, Alexandre Dumas scrisse di Richelieu e Margherita di Valois, William Shakespeare di Riccardo III ed Enrico V, perché io non dovrei scrivere di Giacomo Casanova e della famiglia de’ Medici? Naturalmente ciò detto a titolo esemplificativo, scegliendo due tra i più grandi autori di sempre che non disdegnarono affatto, anzi, di raccontare le gesta di grandi figure storiche, non certo per accostarmici, ci mancherebbe.
Lei è letto in moltissimi Paesi nel mondo e racconta la meravigliosa storia del nostro Paese, un mondo fatto di bellezza e cultura, molto lontano dallo stereotipo Italia/Mafia, dalla reputazione di inaffidabilità che spesso ci caratterizza al di fuori dei nostri confini. Al di là del piacere che prova nel raccontare questo inimitabile patrimonio storico-culturale, qual è la finalità prioritaria che si pone con questo tipo di narrazioni?
Come detto il mio impegno narrativo si dispiega in una direzione diametralmente opposta a quella perseguita dalla letteratura di genere, dalle storie da essa raccontate. Ritengo sia importante scriverle, naturalmente, ma penso anche che sia altrettanto irrinunciabile raccontare in modo letterario la grande eredità artisticoculturale italiana, tanto più perché in tutto il mondo il nostro Paese è famoso e venerato per figure come Dante, Michelangelo, Tiziano, Leonardo da Vinci, Palladio. Far raccontare queste storie ad autori americani o inglesi mi pare bizzarro. È legittimo, naturalmente, ma penso che un autore italiano abbia la straordinaria opportunità di affrontare gli studi in modo più autentico giacché conosce la lingua che gli è propria meglio di chiunque altro. Questo è esattamente ciò che faccio. Sono stato ospite in molti paesi per parlare dei miei romanzi – fra gli altri Colombia, Russia, Romania, Serbia, Slovacchia – e sempre ho trovato un amore per l’Italia da parte delle lettrici e dei lettori stranieri a dir poco commovente. Perciò continuerò appassionatamente a percorrere questa direzione, interpretando il ruolo di araldo della cultura italiana nel mondo. È un privilegio per me questo, davvero.
Chi è in assoluto il suo personaggio storico preferito?
Canaletto per la sua incredibile capacità di rivoluzionare la pittura, Michelangelo per essere stato un genio assoluto dell’arte – scultore, pittore, architetto e financo compositore di notevoli rime –, Palladio per essere il più grande architetto della Storia dell’Umanità.
Chi sono i suoi maestri? Quale il suo libro preferito?
Da sempre leggo autori come Omero, Torquato Tasso, Victor Hugo, Honoré de Balzac, Alessandro Manzoni, Jane Austen, Alexandre Dumas, Heinrich von Kleist, William Shakespeare, Friedrich Schiller, Christopher Marlowe, Aleksandr Puskin, Edmond Rostand, Théophile Gautier, Lev Tolstoj, Emily Bronte, Ludwig Thieck, Mihail Sadoveanu, Mary Shelley, Robert Louis Stevenson, Thomas Hardy, John Milton, Henry James, Jack London, Herman Melville, Gaston Leroux, solo per citare i primi che mi vengono in mente. Riguardo ai libri ne cito almeno tre: Il conte di Montecristo di Dumas, Notre Dame de Paris di Hugo e La figlia del capitano di Puskin.
Ama molto sconfinare in linguaggi espressivi altri rispetto a quelli canonici del romanzo: fumetti, videogiochi, la recente pubblicazione di suoi lavori sulla piattaforma Audible, la collaborazione con Red Canzian per il musical su Casanova. Vi è un ambito che ancora non ha esplorato e che attira il suo interesse?
Mi piacerebbe scrivere una pièce per il teatro di grande successo e vedere un mio romanzo adattato per il cinema o la televisione.
Una curiosità. Wikipedia riporta: «Vive tra Padova, Berlino e la Transilvania». Veramente vive anche in Transilvania o fa parte dell’immaginario di un “personaggio” con folta chioma, baffi e barba che sembra uscito dai suoi stessi racconti?
Il mio cognome è di origine transilvana, per via della dominazione austro-ungarica in Veneto. E ho realmente vissuto alcuni mesi in una fattoria in Transilvania. Più in generale sono spesso in Romania, Paese dove i miei romanzi godono di un notevole successo. Quindi è vero, sì, vivo per alcuni periodi in Transilvania.
Elisabetta GardinPENSIERI UMIDI
Polifonia di voci e un unico sguardo – preoccupato – su Venezia. Venezia e l’Antropocene, a cura di Cristina Baldacci, Shaul Bassi, Lucio De Capitani e Pietro
D. Omodeo, collana Barene, wetlands editore 2022, è una guida “galattica” alla città come anello sensibile di un cambiamento radicale, un osservatorio privilegiato dell’Antropocene. Questa guida, composta da diversi autori con diverse esperienze e di conseguenza con forti inclinazioni all’approfondimento e certamente al dibattito aperto, costituisce un mosaico nuovo, illuminante e insieme inquietante di Venezia e della sua Laguna. Che cosa ci raccontano i dipinti della scuola veneziana del nostro rapporto con l’ambiente e gli animali? Cosa rivelano luoghi periferici della Laguna come Porto Marghera e Pellestrina sull’avvento e l’impatto della modernità? Che storie di estinzioni celano prelibatezze locali come il baccalà mantecato? Cosa ci dice il secolare rapporto dei veneziani con l’acqua su altre città minacciate da un clima sempre più ostile?
La guida, corredata da una mappa dei luoghi attraversati, si propone come uno strumento per conoscere la città in modo nuovo. Venezia emerge infatti come un particolarissimo ecosistema a rischio, ma anche come una chiave per comprendere il nostro mondo sempre più vulnerabile. Proprio come una guida affronta capitoli apparentemente classici – Paesaggi d’acqua, Architettura, Cibo, Liberazione Ecologica, Migrazioni, Immersione, Paesaggi d’aria –, ognuno sviluppato a sua volta attraverso una raccolta di reportage letterari e saggi narrativi che restituiscono nella loro versatilità espressiva il ritratto complesso della città contemporanea. Cultura, economia, politica, costume, ambiente, ecologia, il tutto restituito attraverso la testimonianza di professori, scrittori, giornalisti ed esperti locali e internazionali. Diverse voci che compongono un racconto sfaccettato ed eclettico, un mosaico utile e quanto mai stimolante per scoprire prospettive interpretative e letture nuove del nostro tempo in divenire, per capire, approfondendo, qualcosa in più delle mille criticità che ci troviamo oggi a dover affrontare senza più alibi di sorta. Un volume che ci chiede, in conclusione, di reagire. Di provarci almeno.
Venezia e l’Antropocene
Barene, wetlands editore, 2022
L’impronta conservata
«La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale Giorno del Ricordo al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».
Così recita la Legge n. 92 del 30 marzo 2004, al netto di ogni polemica che immancabilmente nel nostro Paese distoglie lo sguardo dal fulcro dell’evento di cui si deve tramandare il ricordo, per imparare dai propri devastanti errori, anche se irreparabili.
Venezia e Mestre si inseriscono nel palinsesto nazionale delle iniziative con eventi che ci riportano a quel terribile biennio 1943-45, quando sul finire della Seconda Guerra mondiale una feroce campagna di intolleranza eliminò fisicamente ogni oppositore di ideologie trasversali.
Tra gli appuntamenti in programma, il 23 febbraio la sede veneziana del Consiglio d’Europa ospita, alla presenza della direttrice Luisella PavanWoolfe, di Alessandro Cuk, Vice Presidente Nazionale A.N.V.G.D e dell’autore Dino Messina, la presentazione del libro La storia cancellata degli italiani. Il 10 febbraio l’Università Ca’ Foscari inaugura nella Tesa 1 del CFZ – Cultural Flow Zone la mostra Venezia e l’Adriatico tra Istria e Dalmazia: storia, cultura e sanità pubblica (XVII-XX secolo), dedicata ai rapporti culturali, sociali e commerciali che intercorrevano tra Venezia, Istria e Dalmazia durante la Repubblica, e come si sono mantenuti dopo la sua caduta, con attenzione particolare rivolta agli scambi culturali, nella stampa e commercio dei libri, e alle pratiche di gestione della sanità pubblica condivise tra i tre luoghi.
Nello stesso giorno, spazio alla conferenza Venezia e l’Adriatico, durante la quale il professor Antonio Trampus conversa con Alessandro Marzio Magno sul suo libro Venezia una storia di mare e di terra (Laterza). Particolarmente vivace il dibattito editoriale, che vede all’M9 di Mestre la presentazione della graphic novel di Stefano Zecchi Una vita per Pola. Storia di una famiglia istriana e all’Ateneo Veneto l’incontro sul libro Pola. Città perduta. L’agonia, l’esodo (1945-47) di Roberto Spazzali, con Edoardo Pittalis a conversare con l’autore. D.C.
PAROLE a cura di Renato Jona
VOLTA
C’era una volta…
Chi di noi non ha ascoltato questa espressione? Qualcuno se la ricorda, altri l’hanno dimenticata, ma quando la sente ripetere, avverte nuovamente l’atmosfera magica che la accompagnava, legata alla persona che con dolcezza, pazienza e amore, quando siamo stati piccoli, con tanto affetto, forse prima di addormentarci, ci ha fatto fare dolci voli con la fantasia, raccontandoci cose splendide e spesso impossibili, ma per noi evidenti, tranquille, che spesso, con la ripetizione della storia, diventavano addirittura possibili.
Profumi dell’infanzia, momenti di tenerezza così profondi e tenaci, incancellabili, che ci hanno seguito tutta una vita, rimanendo “invisibili”e silenziosi, sul “fondo”, ma pronti a comparire nuovamente nella nostra mente, con dolce rimpianto, facendoci sorridere.
C’era una volta. Ma se ci soffermiamo sul significato che a quel tempo sfuggiva, rimaneva in ombra, era soltanto preludio, oggi scopriamo inaspettatamente che queste semplici 5 lettere contengono in sé una quantità di significati incredibile.
Anzitutto: sono un termine di tempo? Forse, anche. Non sembra comunque che siano una unità di misura di questo. Anzi, per quanto legati al tempo, si riferiscono, a questo, ma in forma generica, imprecisa, comunque passata.
Sì, ma quanto passata? Tanto! Ha contorni sfuocati, ma spesso reali. Sembra che la mente quando si dice “una volta” debba fare una torsione all’indietro, e chiedere di scrutare, ricordare o anche semplicemente immaginare.
Ma proprio “allora” gli avvenimenti cui ci si riferisce hanno avuto luogo, si sono verificati. Quindi spesso l’espressione generica è un modo per sfuggire alla precisione matematica delle date, che non sempre sono così importanti quanto sembra che siano, anche se sembrano talvolta indispensabili per inquadrare un avvenimento.
“Una volta” è un mezzo lessicale per far ritornare indietro il tempo, una sorta di ora legale mentale e sentimentale per riportarci a cose che spesso (non sempre) ci appaiono migliori di quelle della realtà che ci circonda (una sorta di nostalgia?).
Chissà perché, nel ritmo della vita, siamo propensi a consentire che le cose peggiori sbiadiscano prima, inducendoci a rimpiangere “quel tempo passato”, quelle circostanze, magari inconsciamente deformate.
Il passato spesso si ricorda come migliore: le cose si presentavano con maggior semplicità. Quante volte si sente dire: una volta “bastava una stretta di mano” per stringere un accordo. Sì, forse , ma ci siamo scordati però di quelle altre… volte!
Già, ma allora, “volta” non si riferisce solo al tempo, ma può signifi-
care anche ripetizione. Una volta, due volte, qualche volta... Non solo, ma pensate come cambia significato quando si dice: “3 volte più grande”. Il tempo in questo caso non c’entra! E la nostra espressione diventa unità di misura ben precisa. Vuol dire: “somma di tre unità”. E così, siamo entrati nel campo della matematica. E se la via è stretta? Il cartello recita: “passare uno per volta”! E in questo caso le nostre 5 lettere non si riferiscono all’unità di misura, neppure al tempo, ma al modo in cui si deve limitare l’accesso. Non basta! La nostra cinquina si trasforma ancora: riferito ad una strada, volta allude alla direzione delle curve o all’indicazione da seguire per girare il veicolo ad un preciso comando del navigatore. Quante volte contiene la salita allo Stelvio! Ricordate le corse ciclistiche? O quanti bivi nei quali andare in direzione giusta, anziché girare dalla parte sbagliata…
Ma ancora: questa è la mia volta per parlare! (tocca a me). In questo caso contiene un’indicazione, una modalità di procedere, in ordine. Mentre faccio queste considerazioni un thè alla giusta temperatura attende di essere assaporato, di essere bevuto perciò un po’ per… volta, lentamente, come una musica in tazza.
Ma se ci si pensa, i suoi usi non sono terminati: ricordate il significato che oserei definire “direzionale”? Viaggiando, arriverò alla volta della Capitale di una certa nazione.
La nostra paroletta non finisce di stupirci: se mi rivolgo a un ingegnere o a un architetto e penso di parlare per motivi statici o estetici, non è improbabile che lui abbia in mente un tipo di curva a volta, un arco a sesto pieno, quello che noi incompetenti qualche volta chiamiamo genericamente soffitto!
E anche il cielo (forse permaloso?) non ha voluto essere escluso dal nostro discorso: ci offre, scusate se è poco, la volta celeste! Nelle situazioni complesse, talvolta è difficile avere chiara la maniera di arrivare alla tanta agognata soluzione. Poi capita che un espediente, una piccola idea, quasi banale, diventi la chiave di volta per risolvere il problema, consentendoci di giungere a mete agognate o anche insperate.
Ma non vorrei che qualcuno che ci ha accompagnato in questo divertente itinerario di caccia a usi e significati di una sola piccola parola (3 semplici consonanti e 2 vocali!), incominciasse ad avere dei dubbi, sì, dei garbati, inespressi dubbi che, nell’entusiasmo della ricerca e della riflessione, al sottoscritto abbia dato di… volta il cervello!
E se, infine, viceversa, qualche altro lettore, come è lecito che sia, non fosse interessato a questo “gioco”, non si faccia scrupoli, mi scusi se mi azzardo, solo in questa occasione, confidenzialmente a dargli del “Tu” e segua il mio suggerimento: “…volta la pagina!”.
IN CARROZZA!
Nell’epoca dell’alta velocità ferroviaria, pensare di rallentare la corsa per godersi ogni attimo del viaggio è un privilegio per pochi, assai fortunati viaggiatori
di Fabio MarzariSia messa da parte ogni idea di affollamento, caos, approssimazione. Qui si parla di una leggenda sulle rotaie, uno dei treni più affascinanti che mai abbiano percorso le reti ferroviarie europee e oltre: il Venice Simplon-Orient-Express. Nella certezza dell’ineguagliabile stile Belmond, sinonimo di eccellenza nell’ospitalità senza rivali, questo non è solo un viaggio, è l’idea stessa di viaggiare elevata all’ennesima potenza, un pensiero che riguarda il modo stesso di percorrere un itinerario tra due luoghi, quando ogni attimo del movimento è una carezza per l’anima e puro incanto. Nell’epoca dell’alta velocità ferroviaria, che ha unito città distanti tra loro in poche ore di treno, pensare di rallentare la corsa per godersi ogni attimo del viaggio è un privilegio per pochi, assai fortunati viaggiatori, che possono fermare l’orologio per immergersi nel fascino di un tempo antico, quando i chilometri percorsi erano un dettaglio secondario, perché contava l’eleganza e lo stile nello spostarsi tra città diverse. Quando capita di veder passare sul ponte ferroviario e stradale verso Venezia il treno dalle carrozze blu e oro è impossibile restare indifferenti alla sua bellezza, al suo evocare epoche lontane, altri mondi, totalmente diversi dal nostro presente. Stupisce solo non vedere le carrozze trainate da una sbuffante locomotiva, ma la concessione alla “modernità” di un locomotore con i pantografi collegati alla rete elettrica è figlio della modernità e ci può stare. Si deve all’ingegnere belga Georges Nagelmackers il merito di aver cambiato il volto dei viaggi ferroviari in Europa creando il favoloso Orient Express, che dal 1883 collegò Costantinopoli con Parigi e Vienna. Il treno presto diventò il simbolo della belle époque, un’età d’oro per l’Europa che va dalla fine della Guerra Franco-Prussiana nel 1871 fino alla Prima
Guerra mondiale nel 1914. In questo periodo la cultura artistica fiorì impetuosa, si sviluppò il “turismo giramondo” e i ceti medi e alti approfittarono di una rinnovata prosperità e di uno spirito cosmopolita. Tra champagne e caviale, niente era lasciato al caso a bordo dell’Orient Express, la linea ferroviaria di lusso diventata sinonimo di glamour e intrighi. È divertente leggere i racconti di due personaggi le cui testimonianze rappresentano in modo inequivocabile l’atmosfera che si respirava a bordo del mitico treno: Edmond About, romanziere e corrispondente del quotidiano francese Le Figaro, e Henri Opper de Blowitz, corrispondente del Times. Quest’ultimo si divertì a descrivere la carrozza ristorante con «le tovaglie e i tovaglioli di un bianco abbagliante, piegati in modo artistico ed elegante dai sommelier, i bicchieri scintillanti, i vini rosso rubino e bianco topazio, i decanter di cristallo per l’acqua e le capsule argentate delle bottiglie di champagne, che scintillano agli occhi del pubblico, all’interno così come all’esterno». About invece rimase estasiato nello scoprire che «le lenzuola vengono cambiate ogni giorno, una sofisticatezza sconosciuta persino nelle dimore più eleganti». Ogni scomparto, naturalmente, era dotato delle comodità più moderne dell’epoca: riscaldamento centralizzato, acqua calda e bagni privati.
Questo treno è una vera e propria icona Art Déco, con i suoi legni lucidi, la tappezzeria fatta di stoffe preziose e i lampadari originali di cristallo. Nelle undici carrozze letto costruite tra il 1926 ed il 1931 anche i bagni perfettamente restaurati forniscono acqua calda prodotta da piccole stufe, a dimostrazione di come tutto sia il più possibile vicino alla realtà dell’epoca in cui nacque. Le cabine doppie, dotate di comodissimi sedili da cui ammirare il paesaggio, per la notte si trasformano in
allettanti camere da letto con luci soffuse e fresche lenzuola. Le suite sono dei salotti ampi in cui potersi rilassare in modo perfetto, pensando solo ai cambi d’abito per il pranzo e la cena. Gli spazi comuni come la carrozza bar sono avvolti dalle note di un pianista che accompagna i momenti di socialità divertita e compiaciuta mentre differenti paesaggi si alternano dai finestrini. Un capitolo a parte merita la ristorazione, affidata al pluri-premiato chef Jean Imbert, che porta la gastronomia a bordo del treno a livelli stellati, reinventando l’atmosfera del ristorante con un’attenta selezione di prodotti stagionali per proporre momenti di perfezione culinaria in movimento. Viaggiando attraverso alcuni dei paesaggi più spettacolari d’Europa non si può quindi non lasciarsi tentare dalle originali proposte gastronomiche firmate Imbert: dalla colazione servita nel comfort della propria cabina alla cena sofisticata, dal tè pomeridiano agli eleganti canapés offerti durante l’aperitivo nella Carrozza Bar 3674 e poi ancora le prelibatezze, disponibili ad ogni ora, proposte dal “Cabin Service”. Menù sempre inediti che vanno modificandosi con il passare delle stagioni e che vedono protagoniste eccellenze gastronomiche provenienti da artigiani, produttori e agricoltori locali.
Le tratte coperte dal Venice Simplon-Orient-Express sono oltre la tradizionalissima Venezia-Parigi-Londra, la Firenze-Parigi, salendo a bordo nel primo pomeriggio a Santa Maria Novella per risvegliarsi nella capitale francese il giorno successivo, la Roma-Parigi, l’Amsterdam-Venezia. Dal mese di dicembre 2023 sarà attiva anche la suggestiva tratta che unisce Parigi alle Alpi francesi, segnatamente alle più suggestive e rinomate località sciistiche: Albertville, Moûtiers o Bourg-Saint-Maurice, per poi accedere facilmente ai resort di Megève e Mont Blanc, a Courchevel e le Tre valli e a Tignes-Val d’Isère.
Ad agosto è in programma il viaggio iconico per eccellenza da Parigi ad Istanbul, l’unico della durata di 5 notti, che permette ai fortunati partecipanti di visitare storiche capitali austroungariche quali Budapest, i castelli della Romania, fino ad arrivare alla vecchia, fascinosa Costantinopoli oggi Istanbul, per l’appunto. Si preparino i bauli, in carrozza!
www.belmond.com/it/trains/europe/venice-simplon-orient-express/
IL VINO DEI DUE MARI
Da quasi sessant’anni l’Unione Ristoranti Buon Ricordo salvaguarda e valorizza le tante tradizioni e culture gastronomiche del nostro Paese, accomunando sotto l’egida della cucina del territorio ristoranti e trattorie di campagna e di città, dal Nord al Sud.
L’Unione è stata la prima associazione fra ristoratori nata in Italia. A caratterizzare ciascun ristorante, e a creare fra loro un trait d’union, è da sempre il piatto-simbolo dipinto a mano dagli artigiani di Vietri sul Mare su cui è effigiata la specialità del locale, che viene donato agli ospiti. Così come per questi locali si è creata una rete di scambio molto forte basata sulla qualità e bontà dell’offerta, così per un vino, la Malvasia, esiste una storia importante che accomuna luoghi assai diversi e lontani: Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Bosa in Sardegna e le isole Eolie in Sicilia. In queste terre viene coltivata un’uva che produce questo vino leggendario, che metaforicamente scorre nel cuore del Mediterraneo e prende il suo nome dalla penisola greca di Monemvasia, il cui nome significa in greco “luogo con un solo ingresso”, dove si incontrano appunto i mari Ionio ed Egeo.
Un volume di Paolo Tegoni Malvasia, un diario mediterraneo con le immagini di Francesco Zoppi e le mappe illustrate di Lucia Catellani, supportato dall’Unione del Buon Ricordo, racconta storie, memorie, leggende e tradizioni poco conosciute legate alla Malvasia, che da una piccola penisola del Peloponneso, quasi un monolite roccioso di grandissimo fascino poggiato sul mare, partì per essere commercializzato e fatto conoscere al mondo dalla Serenissima Repubblica di Venezia. Marzio Fabi
Pezzi di ospitalità
Tenere in casa un pezzetto dell’iconico hotel Bauer potrebbe configurarsi come una divertente azione di micro “cannibalismo” da interior design. L’opportunità di ammirare ogni giorno un pezzo appartenuto ad un edificio importante che ha fatto la storia dell’hôtellerie mondiale in 142 anni di attività – iniziata nel 1880 – rappresenta l’adesione al mito di Venezia e dei suoi lussuosi alberghi che hanno accolto una schiera di personaggi incredibili, da esponenti di famiglie reali, come Carlo III e Camilla, a protagonisti dello showbiz internazionale, un nome tra tutti, Marilyn Monroe. Dallo stile gotico-bizantino di Giovanni Sardi al travertino modernista di Marino Meo, le facciate del Bauer riassumono un eclettismo in cui tutto è contrasto e combinazione allo stesso tempo, con una stratificazione temporale che caratterizza l’edificio. Oltre 10.000 oggetti divisi in più di 4.000 lotti in un fiorire di stili e forme differenti, dall’Art Déco al barocco, legno dipinto e dorature, millefiori veneziani e i vetri di Murano con i mobili inglesi di Maitland Smith. E ancora i ricchi tessuti in seta di Rubelli, quasi a contenere tutti questi differenti stili e naturalmente porta lume, portes torchères e servizi da tavola, dipinti e ogni accessorio che ha reso celebre l’accoglienza sibaritica del Bauer, che in ogni stanza conteneva un universo unico a testimonianza delle migliori eccellenze artigianali in gran parte veneziane: Rubelli e Bevilacqua, il tappezziere Alessandro Vianello, il maestro vetraio Seguso Vetri d’Arte e i mobili di Bussandri.
L’asta organizzata e promossa da Artcurial si terrà a Parigi dal 24 al 29 aprile con un road show di anteprima al pubblico dei vari lotti a Milano dal 3 al 31 marzo, nel Principato di Monaco dal 6 al 24 marzo e a Parigi dal 19 al 23 aprile. F.M.
The shape ENG of Bauer
The Bauer made the history of international hôtellerie since it opened in 1880, and built the myth of Venetian luxury hotels together with its famous guests, from thenPrince of Wales Charles to Marilyn Monroe. The Bauer Hote l– the building has appealing eclectic visuals, ranging from the Gothic-Byzantine by Giovanni Sardi to the modernist by Marino Meo. To keep in one’s own home a piece of the iconic Bauer Hotel will sound ideal to the cannibalistic interior designer that resides within each of us – and now we can! 4,000 lots of original Bauer décor will be auctioned by Artcurial in Paris on April 24 to 29, anticipated by a preview show in Milan on March 3 to 31, in Monaco on March 6 to 25, and in Paris on the days leading to the auction. Feast your eyes and place your bids on Art Nouveau pieces, gilded wood, Murano glass, English furniture by Maitland-Smith, Rubelli silk, porte-torchères, luxury dinnerware, and every accessory that made the Bauer what it is known for: a model of Sybaritic hospitality.
Tra solide mura I 750 anni di Ca’ di Dio: passato e presente si fondano nella storia
Fa una certa impressione, in un mondo dominato dalla rincorsa al sempre più nuovo, pensare a un edificio con già alle spalle 750 anni di vita che gode di ottima salute e soprattutto offre soluzioni iper-contemporanee per declinare al meglio il soggiorno dei suoi ospiti. L’edificio in questione è Ca’ di Dio, una delle più salienti novità nel panorama alberghiero veneziano degli ultimi anni. Nello spazio di poco tempo infatti ha saputo rivendicare la sua identità, conquistando il favore convinto di un pubblico che ha molto apprezzato la struttura, rendendola un punto di riferimento stabile tra i migliori hotel in Laguna. Ma è necessario tornare al passato per comprendere e contestualizzare la vita intensa di un edificio dalla storia straordinaria. Correva l’anno 1272 e Venezia affrontava un periodo di incertezza, dopo decenni di straordinaria prosperità. Nel 1261 i Bizantini avevano riconquistato Costantinopoli, facendo perdere a Venezia le sue basi commerciali del Mediterraneo orientale. E ancora i Mongoli stavano stravolgendo la geo-politica dell’epoca conquistando e unificando il continente asiatico, dalla Cina alle sponde del Mediterraneo. Fedele alla sua tradizione di accoglienza, Venezia si prodigava nella cura di chi ne aveva bisogno: negli anni 1253-1268 ampliò l’Ospissio Orseolo e, nel 1260-61, fondò le prime Scuole Grandi. Poi, nel 1272, creò un casa – Ca’ di Dio – per accogliere i più bisognosi, ritornando alla vocazione dell’ospedale dei tempi dei Padri della Chiesa nel IV secolo.
Nata come alloggio per pellegrini di passaggio verso la Terra Santa, poi ricovero per donne in difficoltà rimaste sole, Ca’ di Dio nel 1544 fu protagonista dell’intervento di ristrutturazione architettonica commissionato a Jacopo Sansovino. Il priore chiese a Sansovino di ottenere 24 nuove unità abitative più comode e luminose. Ad ogni donna ospitata, alla quale veniva attribuito il titolo di “camerista”, veniva garantita una stanza individuale con cucina e focolare, come attestano le numerose canne fumarie che caratterizzano il prospetto del complesso che da sul rio di Ca’ di Dio. Sopravvissuta alle soppressioni napoleoniche, Ca’ di Dio ha mantenuto la sua originaria vocazione di Casa di Riposo fino alla recente conversione in Hotel. L’architetto e designer Patricia Urquiola, chiamata ad operare quest’ultima conversione, ha ideato gli spazi interni nel rispetto della storia del complesso e in continuo richiamo con Venezia attraverso sfumature e trasparenze, in un gioco fluido di movimenti incessanti, proprio come avviene per l’acqua. Ca’ di Dio ha la peculiarità di avere al suo interno tre corti, che diventano oasi di pace e tranquillità.
È stato coniato il termine “Venessentia”, che esprime in modo efficace l’accoglienza che parte da Ca’ di Dio per invitare alla scoperta dell’unicità della città che la racchiude.
Per celebrare questo incredibile compleanno sono stati creati un menù ad hoc e naturalmente un cocktail. Respectus, in accordo con le tradizioni, i prodotti, i profumi e i sapori, porta l’essenza della cucina in un menù, dove sono protagoniste le emozioni fatte di accoglienza, le storie da raccontare e le passioni da trasmettere. Anfora è un cocktail in grado di evocare al palato e all’olfatto un viaggio sensoriale a ritroso nel tempo fino al 1200, tra melograni, cannella e chiodi di garofano. F.M.
A bite of ENG hospitality
It is quite impressive to know that the building in front of you, seemingly in great shape and quite modern, is over seven hundred years old. The building in question is Ca’ di Dio, literally God’s House, originally established as a pilgrim house for those travelling to the Holy Land, later a hospice for unmarried women. The doors at Ca’ di Dio never quite close, though today, they welcome luxury travellers, with the palace having been recently converted into a high-end hotel. Architect and designer Patricia Urquiola has been tasked with the operation, and her designs respect the peculiar history of the establishment in their continual references to Venetian imagery in transparencies and gradients, a game of liquid, incessant motion, much like water lining the House on its side. Ca’ di Dio has three courtyards within – three oases of peace and tranquillity. The term Venessentia has been coined to signify the trademark hospitality that Ca’ di Dio will offer their guests as they discover the uniqueness of the city. To celebrate this milestone anniversary, the Hotel created an ad-hoc menu and a signature cocktail. Respectus means respect for tradition, produce, scents and flavours, and brings the essence of culinary art into an array of preparations – each carrying forward a story. Anfora is the cocktail that will take you back to the 1200s thanks to its charming notes of pomegranate, cinnamon, and clove.
reservations
VENUES, CLUBS, RESTAURANTS, BACARI
a cura di Fabio MarzariIo sono un autarchico
In un momento storico in cui essere autarchici è tornato prepotentemente in voga, rivendico il diritto di compiere un distinguo importante affermando che essere un “sovranista” alimentare, come nel mio caso, non significa assolutamente essere contrario al superamento altrui delle Colonne d’Ercole dei sapori. Ciascuno faccia come crede, io resto legato ai miei stolidi schemi mentali senza farne motivo di orgoglio patriottico, anzi. Ciò premesso e dato il successo che da sempre le contaminazioni culturali e sociali hanno prodotto, è interessante partire dalla convinzione che ogni tipo di ingrediente, da qualsiasi parte del mondo provenga, potrà essere impiegato e cucinato con elementi altri, in maniera vantaggiosa, come ad esempio spezie orientali e ortaggi nostrani. L’esempio più significativo nel concetto di fusion, molto lontano nei secoli, risale a quando dopo la scoperta dell’America giunsero in Europa patate, pomodori e mais. Naturalmente all’inizio non se ne conosceva il gusto, le possibilità di utilizzo e neppure il modo per trasformare quei nuovi prodotti in piatti commestibili. Nello spazio di poco tempo quei prodotti, così diversi e lontani divennero stabilmente elementi imprescindibili delle cucine nazionali europee. Gli antropologi del cibo hanno dimostrato che non esiste una sola tradizione gastronomica al mondo che non si sia nutrita nel corso dei secoli dell’apporto delle civiltà con le quali è entrata in contatto. Di fatto i diversi patrimoni gastronomici che sono sotto i nostri occhi altro non sono se non il frutto di scambi, commerci e incontri. Se le mescolanze in cucina sono sempre avvenute, con il termine fusion si è voluto descrivere una nuova scuola culinaria che, a partire dalla miscelazione di ingredienti e piatti di provenienze diverse, spesso molto distanti tra loro, ha saputo inventare sapori
TWO MORE
BASARA SUSHI PASTICCERIA
Nel Giappone medievale, i “Basara” erano samurai che non si uniformavano agli usi e costumi della società. La cucina giapponese in questo piacevole locale viene resa in modo accurato, con ingredienti di elevata qualità. Un must per gli appassionati di sushi. È possibile avere anche consegne a domicilio e take-away.
Calle Lunga San Barnaba, Dorsoduro 2687 | t. 0415225955 | basaramilano.it
e abbinamenti inediti. Mentre negli anni ’70 del secolo scorso in Francia si stava affermando la Nouvelle cuisine, negli Stati Uniti, in Australia e Nuova Zelanda, prendevano forma la New World Cuisine e il Pacific Rim Cooking, fenomeni anticipatori della fusion. Parliamo di Paesi caratterizzati da quel mix denominato meltin’ pot, una miscela di razze ed etnie diverse che si trovavano a convivere insieme, spesso anche nelle cucine dei grandi ristoranti. Con numeri certamente diversi, più piccoli ma sempre assi significativi, Venezia rappresenta un ottimo campione statistico per favorire le contaminazioni anche gastronomiche e al di là delle cucine etniche, che propongono piatti tipici di altri Paesi, una koiné nippo-serenissima ha preso vita da un anno a due passi dalla basilica dei Frari, il “bacaro e osteria Koenji”, un angolo inatteso in cui si è creato un punto di contatto e forza tra la cucina tipica giapponese e i piatti della tradizione veneziana. Tutto parte da una folgorazione per Venezia da parte di un giapponese in vacanza in Laguna, impressionato dalla convivialità e dall’atmosfera dei bacari. Da allora scattò l’idea di esportare a Tokyo la cucina e l’abitudine di vivere la tavola che sono usuali a Venezia in due locali: El portego e Il doge, entrambi situati nel quartiere di Koenji-minami. Con un minimalismo assoluto, così il sito web descrive il locale veneziano: “Cucina giapponese e fusion tra cucina giapponese e italiana, prodotta da chef giapponesi”. Con altrettanta sintesi, ma con enfasi, da provare!
Koenji Bacaro e Osteria
Calle Larga Prima, San Polo 2950 | t. 0415243178 www.koenji-venezia.com
OSTERIA AL GIORGIONE DA MASA
Masahiro Homma, per tutti ormai solo Masa, nel suo ristorante propone cicheti giapponesi come i nukazuke, sottaceto giapponese prodotto fermentando le verdure nella crusca di riso e piatti di cucina katei ryori, ossia casalinga, semplice, tradizionale e gustosa del suo Paese, proposta con vini naturali di piccoli produttori innovativi o con sake. Non manca mai il crudo di pesce, dalla ricciola, al tonno, alla volpina. Immancabili anche il ramen e i gyoza, che cambiano anch’essi in base al mercato. Calle Larga dei Proverbi, Cannaregio 4582/A | t. 0415221725 | osteriagiorgionedamasa.com
New exhibitions at SPARC* - Spazio Arte Contemporanea:
08.12.2022 >15.01.2023
Architettura e impegno civile a Venezia, Nani Valle e Giorgio Bellavitis
24.03 > 30.04.2023
Noemi Durighello
Solo show-new paintings
SPARC*- Spazio Arte Contemporanea | San Marco 2828A, Venice Free admittance
Venice Design Biennial
www.veniceartfactory.org | @veniceartfactory
Venice Design Biennial: diffuse design exhibitions in Venice
4th edition
Auto-Exotic
19.05 > 18.06.2023
Applications are now open to emerging independent designers and established brands alike, as well as museums, universities and galleries
www.venicedesignbiennial.org | @venicedesignbiennial
LEA DESANDRE mezzosoprano
THOMAS DUNFORD liuto Musiche di Michel Lambert, MarcAntoine Charpentier, Sébastien Le Camus, Marin Marais, Robert de Visée, Honoré d’Ambruys
“Musikamera“ Ingresso/Ticket € 25 Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 20
giovedì Thursday
ALLE ORIGINI DELLA PAURA
Cince-concerto Marco Bellano relatore Gabriele Dal Santo pianoforte con proiezioni di estratti di film “Carnevale di Venezia 2023”
Ingresso libero/Free entry Palazzetto Bru Zane h. 18
LEA DESANDRE mezzosoprano
THOMAS DUNFORD liuto (vedi mercoledì 8 febbraio)
Ingresso/Ticket € 25 Sale
Apollinee, Teatro La Fenice h. 20 10
venerdì Friday IL MATRIMONIO SEGRETO Opera buffa in due atti di Domenico Cimarosa Direttore Alvise Casellati Regia Luca De Fusco Scene e costumi di Marta Crisolini Malatesta “Stagione Lirica e Balletto 2022-23”
Ingresso/Ticket € 240/132 Teatro La Fenice h. 19 11 sabato Saturday IL BARBIERE DI SIVIGLIA Opera buffa in due atti di Gioachino Rossini Direttore Renato Palumbo
Regia Bepi Morassi Scene e costumi di Lauro Crisman “Stagione Lirica 2022-2023“
Ingresso/Ticket € 230/15 Teatro La Fenice h. 19 12 domenica Sunday UN PIANOFORTE, UN CANE, UNA PULCE E UNA BAMBINA
Concerto laboratorio per famiglie “Carnevale di Venezia 2023”
Ingresso/Ticket € 5 Palazzetto Bru Zane h. 15.30
MATRIMONIO SEGRETO (vedi venerdì 10 febbraio)
Ingresso/Ticket € 209/110 Teatro La Fenice h. 15.30
14 martedì Tuesday IL MATRIMONIO SEGRETO (vedi venerdì 10 febbraio)
INDIRIZZI AL VAPORE Via F.lli Bandera 8-Marghera www.alvapore.it ARENA SPETTACOLI Via Tommaseo 59-Padova www.zedlive.com
Ingresso/Ticket € 280/66 Teatro La Fenice h. 19 15 mercoledì Wednesday IL BARBIERE DI SIVIGLIA (vedi sabato 11 febbraio)
ARGO16 Via delle Industrie 27/5-Marghera argo16.it
Ingresso/Ticket € 230/15
CENTRO CULTURALE CANDIANI Piazzale Candiani 7-Mestre www.venetojazz.com
Teatro La Fenice h. 19 16 giovedì Thursday IL MATRIMONIO SEGRETO (vedi venerdì 10 febbraio)
Ingresso/Ticket € 165/115
Teatro La Fenice h. 19 17
RIVOLTA Via F.lli Bandiera 45-Marghera Fb: Centro Sociale Rivolta
FONDACO DEI TEDESCHI Calle del Fondaco www.venetojazz.com
venerdì Friday IL BARBIERE DI SIVIGLIA (vedi sabato 11 febbraio)
GRAN TEATRO GEOX Via Tassinari 1-Padova www.zedlive.com
KIOENE ARENA Viale San Marco 53-Padova www.zedlive.com
Ingresso/Ticket € 230/15
Teatro La Fenice h. 19
CAFÉ CONCERT Émeline Bayart canto Manuel Peskine pianoforte Chansons accompagnate al pianoforte di Guilbert, Juliette, Joyet, Scotto, Kock “Carnevale di Venezia 2023”
LAGUNA LIBRE Fondamenta Cannaregio www.venetojazz.com
NEW AGE Via Tintoretto 14 Roncade www.newageclub.it
PALAZZO DEL TURISMO
Ingresso/Ticket € 15/5
Palazzetto Bru Zane h. 19.30
Piazza Brescia 11-Jesolo www.azalea.it
18
sabato Saturday IL MATRIMONIO SEGRETO (vedi venerdì 10 febbraio)
PUNTA DELLA DOGANA Dorsoduro 2 www.palazzograssi.it
Ingresso/Ticket € 209/110
TEATRO ACCADEMICO Via Garibaldi 4-Castelfranco Veneto www.venetojazz.com
Teatro La Fenice h. 15.30
CAFÉ CONCERT (vedi venerdì 17 febbraio)
TEATRO CORSO Corso del Popolo 30-Mestre www.amceventi.it
Ingresso/Ticket € 15/5
Palazzetto Bru Zane h. 19.30
domenica Sunday
19
TEATRO DEL PARCO Parco Albanese-Mestre www.comune.venezia.it
BRASSOPERÀ Musiche di Puccini, Verdi, Mascagni, Leoncavallo, Rachmaninov, Morricone, Piovani, Rota “Musica e Aperitivo”
TEATRO LA FENICE Campo San Fantin 1965 www.teatrolafenice.it
Ingresso/Ticket € 30/35 Teatro La Fenice h. 11
TEATRO MALIBRAN Campiello del Teatro 5873 www.teatrolafenice.it
agenda
MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA
TURANDOT di Giacomo Puccini Opera lirica trasmessa in diretta dalla Royal Opera House di Londra “IMG Live” IMG Cinemas Candiani-Mestre
26 domenica Sunday AFTERSUN Regia di Charlotte Wells (2022) “MUBI x Combo” Combo Venezia h. 18
29 mercoledì Wednesday
ACCATTONE Regia di Pier Paolo Pasolini (1961)
Introducono Marco Bertozzi e Miriam De Rosa “4. Classici Fuori Mostra” Multisala Rossini h. 19
INDIRIZZI AUDITORIUM SANTA MARGHERITA Dorsoduro 3689 www.unive.it
AUDITORIUM SPAZI BOMBEN Via Cornarotta 7-Treviso www.fbsr.it
CINEMA DANTE Via Sernaglia 12-Mestre www.culturavenezia.it/cinema
CINEMA GIORGIONE Cannaregio 4612 www.culturavenezia.it/cinema
COMBO VENEZIA Ex Convento dei Crociferi Cannaregio, 4878 thisiscombo.com
EMERGENCY VENEZIA
Isola della Giudecca 212 eventi.emergency.it
IMG CINEMAS CANDIANI
Piazzale Candiani-Mestre imgcinemas.it
MULTISALA ROSSINI San Marco 3997/a www.culturavenezia.it/cinema
VIDEOTECA PASINETTI CASA DEL CINEMA San Stae 1990 www.culturavenezia.it/cinema
mercoledì Wednesday
Mar Mar 01
mercoledì Wednesday
22
ALBERTO BARBERA della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia in conversazione con con Marco Dalla Gassa e Carmelo Marabello, curatori dell’intera rassegna “Carta Bianca. Storie orali e visuali dei festival cinematografici”
MONICA VITTI E MICHELANGELO ANTONIONI, UNA STORIA D’AMORE E DI CINEMA
Reading-spettacolo a cura
dell’associazione Voci di Carta, per raccontare attraverso foto, filmati, interviste e scritti la vita di questa coppia iconica che ha cambiato il
cinema italiano.
Multisala Rossini h. 18.30
FRANKENSTEIN JUNIOR (vedi lunedì 27 febbraio) IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 16.45/19.20/21.20
Videoteca Pasinetti h. 17
02
IL BOEMO Regia di Petr Vaclav (2022) Cinema Giorgione h. 19
giovedì Thursday IL
LA PRIMAVERA DELLA MIA VITA (vedi lunedì 20 febbraio) IMG Cinemas Candiani-Mestre
CONFORMISTA
Regia di Bernardo Bertolucci (1970)
Introduce Sara D’Ascenzo “4. Classici Fuori Mostra”
Multisala Rossini h. 19
23 giovedì Thursday LA PELLE Regia di Liliana Cavani (1981)
lunedì Monday
06
I GUERRIERI DELLA NOTTE
Regia di Walter Hill (1979) “IMG Cult” IMG Cinemas Candiani-Mestre
08 mercoledì Wednesday
“Nella pelle di Liliana Cavani”
LA MAMAN ET LA PUTAIN
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
O QUE ARDE VERRÀ IL FUOCO Regia di Oliver Laxe (2019) “Giornate internazionali di studio sul paesaggio 2023”
Auditorium Spazi Bomben-Treviso h. 17.30
Regia di Jean Eustache (1973)
Introduce Carmelo Marabello “4. Classici Fuori Mostra”
Multisala Rossini h. 19
15 mercoledì Wednesday
NOSTALGHIA
Regia di Andrej Tarkovskij (1983)
26
domenica Sunday ACTUAL PEOPLE Regia di Kit Zauhar (2021)
“MUBI x Combo” Combo Venezia h. 18
Introduce Adriano De Grandis “4. Classici Fuori Mostra” Multisala Rossini h. 19
lunedì Monday
27
mercoledì Wednesday
22
XIII CA’ FOSCARI SHORT Dal 22 al 25 marzo torna
all’Auditorium Santa Margherita per la tredicesima edizione il Festival internazionale di cortometraggi interamente curato dagli studenti di Università Ca’ Foscari. Una tre-giorni di proiezioni, incontri e momenti di approfondimento. Auditorium Santa Margherita :cinema
FRANKENSTEIN JUNIOR Regia di Mel Brooks (1974)
“IMG Cult”
IMG Cinemas Candiani-Mestre h.
16.45/19.20/21.20
28
martedì Tuesday FACCIAMO L’AMORE Regia di George Cukor (1960) v.o. sottotitoli in italiano “L’esaltazione del femminile plurale”
Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30
FRANKENSTEIN JUNIOR (vedi lunedì 27 febbraio) IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 16.45/19.20/21.20
A PLUS A GALLERY
Alyssa Klauer Hannah Tilson
Danilo Stojanovic
Phantom Brush
Fino Until 26 marzo March
San Marco 3073 aplusa.it
OPENING
CA’ PESARO/1
Marco Petrus
Capricci veneziani
11 febbraio February-10 aprile April
Sale Dom Pérignon, Galleria Internazionale d’Arte Moderna San Croce 2076 capesaro.visitmuve.it
OPENING
CA’ PESARO/2
Ileana Ruggeri
Riverberi
11 febbraio February-10 aprile April
Galleria Internazionale d’Arte Moderna San Croce 2076 capesaro.visitmuve.it
CENTRO CULTURALE CANDIANI
Kandinsky e le Avanguardie
Punto, linea e superficie
Fino Until 7 aprile April
Piazzale Candiani, Mestre muvemestre.visitmuve.it
FONDACO DEI TEDESCHI
Roberto Ghezzi solo exhibition
A ˘ quae Naturografie
3 febbraio February-1 maggio May
Fondaco dei Tedeschi, Rialto www.robertoghezzi.it
FONDATION VALMONT
Peter Pan. La nécessité du rêve
Fino Until 26 febbraio February, 2023
Palazzo Bonvicini, Calle Agnello San Polo 2161/A fondationvalmont.com
FONDATION WILMOTTE
Aqua e fogo/L’eau et le feu
Fino Until 9 aprile April, 2023
Gallery, Fondamenta dell’Abbazia
Cannaregio 3560 www.fondationwilmotte.com
FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA
105. Collettiva Giovani Artisti
Fino Until 12 marzo March
Galleria di Piazza San Marco 71/C www.comune.venezia.it
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA
Graziano Arici
Oltre Venezia ‘Now is the Winter of our Discontent’
Fino Until 1 maggio May, 2023
Campo Santa Maria Formosa
Castello 5252 www.querinistampalia.org
GALLERIE DELL’ACCADEMIA/1
Il Rinascimento in famiglia
Jacopo e Giovanni Bellini, capolavori a confronto
Fino Until 12 marzo March, 2023
Campo della Carità, Dorsoduro 1050 www.gallerieaccademia.it
GALLERIE DELL’ACCADEMIA/2
Gianbattista Tiepolo
Circoncisione di Cristo
Fino Until 26 febbraio February, 2023 Campo della Carità, Dorsoduro 1050 www.gallerieaccademia.it
IKONA GALLERY
Isola verso il nuovo museo ebraico
Fino Until 28 febbraio February, 2023 Campo del Ghetto Nuovo 2909 ikonavenezia.com
ISOLA DI SAN GIORGIO
Grandi Installazioni di Venini: Luce 1921 – 1985
Fino Until 9 luglio July
Sala Carnelutti, Fondazione Giorgio Cini www.lestanzedelvetro.org | www.cini.it
MARIGNANA ARTE/1
Aldo Grazzi
Illusioni
Fino Until 18 febbraio February, 2023 Rio Terà dei Catecumeni, Dorsoduro 141 www.marignanaarte.it
OPENING
MARIGNANA ARTE/2
Liberi Tutti
Chapter I
11 febbraio February-4 marzo March
Marignana Arte Project Room
Dorsoduro, 140 A, Rio Terà dei Catecumeni www.marignanaarte.it
OPENING
MARIGNANA ARTE/3
Liberi Tutti
Chapter II
11 marzo March-1 aprile April
Marignana Arte Project Room
Dorsoduro, 140 A, Rio Terà dei Catecumeni www.marignanaarte.it
MUSEO DEL VETRO
Shattering Beauty. Simon Berger
Fino Until 7 maggio May
Fondamenta Giustinian 8, Murano www.fondazioneberengo.org museovetro.visitmuve.it
OPENING
PALAZZO DUCALE
Vittore Carpaccio
Dipinti e disegni
18 marzo March-18 giugno June
Piazzetta San Marco ducale.visitmuve.it
PALAZZO FRANCHETTI
Lee Miller - Man Ray
Fashion, Love, War
Fino Until 10 aprileApril, 2023 San Marco 2847 leemillermanray.it
OPENING
PALAZZO GRASSI
Chronorama
Tesori fotografici del 20° secolo
12 marzo March-7 gennaio January, 2024
Campo San Samuele www.palazzograssi.it
PALAZZO GRIMANI
Inge Morath
Fotografare da Venezia in poi
Fino Until 4 giugno June
Ramo Grimani, Castello 4858 ingemorathexhibition.com
PALAZZO LOREDAN
De’ visi mostruosi e caricature
Da Leonardo da Vinci a Bacon
Fino Until 27 aprile April
Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti Campo Santo Stefano www.fondazioneligabue.it
PALAZZO MOCENIGO
Tramalogie
Donazione Anna Moro – Lin
Fino Until 20 agosto August
Centro Studi di Storia del Tessuto, del Costume e del Profumo Salizada San Stae, Santa Croce 1992 mocenigo.visitmuve.it
PALAZZO VENDRAMIN GRIMANI
Nikos Aliagas
Regards Vénitiens
4 febbraio February-2 aprile April
Fondazione dell’Albero d’Oro San Polo 2033 www.fondazionealberodoro.org
PROCURATIE VECCHIE
The Human Safety Net
A World of Potential
Piazza San Marco 1218/B www.thehumansafetynet.org
I LUNEDÌ DELL’ARCHITETTURA
Tra febbraio e marzo si conclude il ciclo di appuntamenti del lunedì dedicati all’architettura e curati da Paola Placentino, Gianmario Guidarelli e Guido Zucconi. Il tema scelto quest’anno è la capacità di Venezia di rinnovarsi e ripensarsi architettonicamente.
LE RINASCITE DELLA CASA
VENEZIANA
6 febbraio h. 17.30
Relatrice Paola Placentino: Le rinascite della casa veneziana in palazzo tra Cinquecento e Settecento.
IL PALLADIANESIMO NELLA
CAMPAGNA VENETA
13 febbraio h. 17.30
Relatrice Paola Placentino: Il Palladianesimo nella campagna veneta e le trasformazioni della casa-di-villa.
IL CREPUSCOLO DEL NEO-PALLADIANESIMO
7 marzo h. 16.30
Relatore Guido Zucconi: Il crepuscolo del Neo-palladianesimo tra Sette e Ottocento Ateneo Veneto, Campo San Fantin ateneoveneto.org
LE LEZIONI DELLA STORIA
Gli esperti invitati al ciclo di conferenze presentato da Progetto Rialto propongono un racconto con immagini di come e dove si svolgesse a Venezia e nei principali centri mercantili internazionali lo scambio di oggetti aventi un valore artistico particolare.
LINDA BOREAN
7 febbraio h. 16.30
“Non può negarsi alla Pittura un titolo nel commercio”. Mercato e collezionismo d’arte tra Venezia e l’Europa nel Settecento.
ISABELLA CECCHINI
28 febbraio h. 16.30
L’arte con gli occhi dei funzionari. Le licenze di esportazione e il ruolo della Soprintendenza a Venezia: un caso di studio (c. 1920-1930).
CLAUDIA CARAMANNA
7 marzo h. 16.30
I mercanti dei Bassano. Arte e vita in Terraferma.
BERNARD AIKEMA
21 marzo h. 16.30
Mercati d’arte e ‘branding’: Venezia e Anversa a confronto. Gallerie dell’Accademia www.gallerieaccademia.it
LIBRAI ANTIQUARI A VENEZIA
10-12 febbraio
Trenta espositori provenienti dall’Italia e dall’estero offrono ad un pubblico di collezionisti, esperti bibliofili e appassionati della carta stampata un’ampia scelta di incunaboli, stampe e documenti rari, introvabili prime edizioni e una serie monografica di libri antichi veneziani. L’iniziativa è promossa dall’ALAI (Associazione Librai Antiquari d’Italia) e dall’Antica Stamperia Armena, col patrocinio di Comune di Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Ateneo Veneto, RO.SA.M., Nova Charta, Studium e Brunello Cucinelli. Sabato 11 febbraio alle ore 11, Brunello Cucinelli racconta il suo progetto di Biblioteca Universale, su modello di quella di Alessandria, per ospitare fino a 400mila volumi di filosofia, architettura, poesia, letteratura e artigianato, che sta costruendo a Solomeo, Perugia. Palazzo Pisani Revedin, Campo Manin www.comune.venezia.it
PUBLIC PROGRAM
GRAZIANO ARICI. OLTRE VENEZIA
In occasione della mostra Graziano Arici. Oltre Venezia ‘Now is the Winter of our Discontent’ la Fondazione Querini Stampalia presenta un programma di attività per riflettere sul valore dell’immagine nella cultura contemporanea e sul ruolo degli archivi fotografici, a partire dai temi della ricerca dell’autore.
VENEZIA IN FOTOGRAFIA
23 febbraio h. 18
Intervengono: Matteo Ghidoni, architetto; Stefano Graziani, fotografo; Giovanna Silva, editore. Modera Saul Marcadent, ricercatore Università IUAV, Venezia. Alle ore 17 è possibile partecipare ad una visita guidata sul tema dell’incontro.
FOTOGRAFIA E SOCIETÀ
23 marzo h. 18
Intervengono: Mario Calabresi, giornalista; Giovanna Calvenzi, curatrice; Uliano Lucas, fotografo; Toni Thorimbert, fotografo Modera Giuliano Sergio, docente di Storia dell’arte, Accademia di Belle Arti, Venezia. Alle ore 17 è possibile partecipare ad una visita guidata sul tema dell’incontro. Fondazione Querini Stampalia www.querinistampalia.org
HANDS-ON!
Un nuovo ciclo di appuntamenti dedicati a bambini e genitori alla scoperta dell’artigianato veneziano.
GIOIELLI D’ARTISTA
11 febbraio h. 10.30-13/14.30-17
Un laboratorio alla scoperta dei gioielli d’artista con Maddalena Venier e Alessandro Salvadori artigiani dell’atelier Materialmente.
L’ARTE FATTA A CARTE!
18 marzo h. 10.30-13/14.30-17
Si può costruire una scultura con della semplice carta? Scopriamolo insieme a Dario Cestaro!. Collezione Peggy Guggenheim www.guggenheim-venice.it
CASA DELLE PAROLE
La Casa delle Parole torna al Teatrino per nuovi appuntamenti mensili dedicati alla lettura di testi letterari provenienti da tutto il mondo. Ogni mese una selezione di testi viene letta in lingua originale seguita dalla traduzione in italiano.
SENZA
14 febbraio h. 18.30
NUDITÀ
14 marzo h. 18.30
Teatrino di Palazzo Grassi www.palazzograssi.it
IL VOLTO DI VIVALDI
14 febbraio h. 18
Presentazione del libro Il volto di Vivaldi di Federico Maria Sardelli (Sellerio, 2021) Tra pittura, musica e storia una investigazione critica e curiosa sul vero volto del grande musicista. Dialogo con l’autore a cura di Giada Viviani (musicologa) e Myriam Zerbi (storica dell’arte).
Fondazione Ugo e Olga Levi www.fondazionelevi.it
UNA VITA PER POLA
15 febbraio h. 17
In occasione del Giorno del Ricordo, M9 – Museo del ’900 presenta la graphic novel Una vita per Pola. Storia di una famiglia istriana di Stefano Zecchi (Edizioni Ferrogallico, 2022), adattamento a fumetti del suo romanzo Quando ci batteva forte il
cuore (Mondadori, 2018). Insieme all’autore del libro, intervengono il giornalista Edoardo Pittalis e Alessandro Cuk, Presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia – Comitato di Venezia. M9 – Museo del ‘900-Mestre www.m9museum.it
TRANSLATORS IN CONVERSATION
NEVAL BERBER
22 febbraio h. 16.30
Neval Berber (Banja Luka, 1976) studiosa bosniaca ha scritto sulla letteratura di viaggio inglese nei Balcani e su E.M. Forster. Presso l’EURAC di Bolzano, dove dal 2017 insegna inglese, ha coordinato un progetto sulle letterature delle minoranze. Ospite del ciclo Translators in Conversation
Neval Berber conversa con Bianca Tarozzi e Sanja Roic´ a partire dalla raccolta di poesie Il tempo degli spaventapasseri Aula Baratto, Università Ca’ Foscari www.unive.it
DALLA PARTE DEL FUOCO
23-24 febbraio
Le Giornate internazionali di studio sul Paesaggio tornernano “in presenza” a Treviso, nell’auditorium di Palazzo Bomben, e in diretta streaming sui canali video e social della Fondazione Benetton Studi e Ricerche. Il programma, curato da Luigi Latini (direttore della Fondazione Benetton e docente di Architettura del Paesaggio all’Università Iuav di Venezia) e Simonetta Zanon (responsabile ricerche e progetti della Fondazione Benetton), sarà articolato in quattro sessioni: Riti e rappresentazioni, Paradossi, Sotto il vulcano, Coltivazioni Fondazione Benetton Studi e Ricerche Spazi Bomben-Treviso www.fbsr.it
DOPPIO SENSO
25 febbraio h. 14.30
I partecipanti al laboratorio possono fruire di una selezione di dipinti della collezione del museo durante l’esplorazione tattile delle riproduzioni in rilievo condotta da Valeria Bottalico. Dopo la visita, un laboratorio di scultura condotto dall’artista non vedente Felice Tagliaferri aiuta i partecipanti a consolidare l’immagine mentale di una delle opere fruite in museo. Collezione Peggy Guggenheim www.guggenheim-venice.it
JÓN KALMAN STEFÁNSSON
27 febbraio h. 20
Incontro e firmacopie con l’autore Jón Kalman Stefánsson, ospite della Libreria MarcoPolo in occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo La tua assenza è tenebra, edito da Iperborea.
Libreria MarcoPolo, Dorsoduro 2899 www.libreriamarcopolo.com
VENICE FASHION WEEK
30 marzo-2 aprile
Sfilate, presentazioni sartoriali, passeggiate e workshop per gli Atelier Aperti e dibattiti sulla moda etica e sostenibile: dal 30 marzo al 2 aprile torna Venice Fashion Week a per una freschissima spring edition.
Un evento ideato e curato da Venezia da Vivere, che per l’edizione Spring 2023 si arricchisce di Ornamenti : il salone dell’accessorio artigianale con esposti collezioni di cappelli, borse, calzature, creazioni orafe, complementi d’arredo e tessili.
www.venicefashionweek.com
ALL THE BEAUTY AND THE BLOODSHED
di Laura Poitras (USA, 2022)
Leone d’Oro per il miglior film all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, la storia epica ed emozionante della fotografa e attivista di fama internazionale Nan Goldin, raccontata attraverso diapositive, dialoghi intimi, fotografie rivoluzionarie e rari filmati. Fulcro del racconto è la sua battaglia per ottenere il riconoscimento della responsabilità della famiglia Sackler per le morti di overdose da farmaco, precisamente l’ossicodone prodotto dalla loro azienda di famiglia, la Purdue Pharma. Il film intreccia il passato e il presente di Goldin, l’aspetto profondamente personale e quello politico: Al centro del film campeggiano le opere d’arte di Goldin The Ballad of Sexual Dependency, The Other Side, Sisters, Saints and Sibyls e Memory Lost. In queste opere, Goldin ritrae gli amici rappresentandoli con bellezza e cruda tenerezza.
Dal 12 febbraio al cinema
NUOVA CUNK ON EARTH
L’attrice e comica Diane Morgan – che avevamo visto al fianco di Ricky Gervais in quel gioiellino di sottile cinismo che è After Life – è perfetta nei panni di Philomena Cunck, giornalista stralunata e ottusa che va in giro a fare domande (e a non capire le risposte) per realizzare un documentario sulla storia dell’umanità, dall’invenzione dell’agricoltura fino allo sbarco sulla Luna. Divertente, irriverente e molto british
NETFLIX
DA RECUPERARE MODERN LOVE
Basata su una popolare rubrica settimanale del New York Times (tuttora pubblicata, anche sotto forma di podcast), la serie antologica di Amazon racconta in ogni episodio una piccola storia contemporanea sull’amore, inteso nelle sue diverse forme e sfumature. Dopo le prime stagioni ‘americane’ (nel cast anche grandi nomi come Anne Hathaway, Andy Garcia, Dev Patel), sono uscite ora anche le versioni giapponese (ML Tokyo), olandese (ML Amsterdam) e indiana (ML Mumbai). Un piccolo viaggio nelle vite (sentimentali) degli altri.
PRIME VIDEONASCOSTA GIPSY
Jean Holloway (Naomi Watts), una psicoterapeuta che vive e lavora a New York, inizia a intrecciare relazioni pericolosamente intime con persone di cui i suoi pazienti sono ossessionati. A motivarla è il desiderio di aiutare chi le chiede aiuto, ma l’alter ego che lei stessa ha inventato per condurre il ‘gioco’ comincerà a prendere il sopravvento, mettendo a rischio la sua integrità di moglie e di madre. La canzone della sigla è una cover dell’omonimo brano dei Fleetwood Mac, reinterpretato proprio da Stevie Nicks, voce e autrice storica del gruppo.
NETFLIX
Il film è un ritratto d’artista, da parte di un’altra artista. Ciò che mi ha guidato nel progetto è stato il fatto che Nan usasse il proprio ruolo per produrre un cambiamento concreto, andando oltre le belle parole di cui tutti ci riempiamo la bocca. Una cosa piuttosto rara
LAGGIÙ QUALCUNO MI AMA di Mario Martone (Italia, 2023)
Presentato all’ultimo Festival di Berlino, il documentario racconta il genio di Massimo Troisi attraverso contenuti inediti e una raccolta di testimonianze di colleghi e amici dell’attore. Il mito di Massimo Troisi, una figura sempre rimasta viva nell’immaginario del cinema italiano, si rianima nello scorrere delle immagini su quel grande schermo che gli ha dato la gloria, grazie al lavoro di Martone, suo amico e ammiratore, e di Anna Pavignano, scrittrice e sceneggiatrice per dieci anni compagna del regista di San Giorgio a Cremano. Le conversazioni che nascono nel film non sono con persone che Troisi frequentava, ma con artisti che lo hanno ammirato e che inevitabilmente sono stati influenzati dal suo fare cinema. Tra questi Francesco Piccolo e Paolo Sorrentino, Ficarra e Picone, oltre a diversi critici che si sono dedicati allo studio della sua figura, come Goffredo Fofi. Dal 19 febbraio al cinema
THE WHALE di Darren Aronofsky (USA, 2022)
Il film racconta la storia di Charlie, un professore d’inglese che soffre di grave obesità e vive recluso in casa tenendo corsi universitari di scrittura online. Charlie ha perso ogni rapporto con il mondo esterno, compreso il legame con la figlia adolescente, Ellie, che non vede da diversi anni. L’unica persona che frequenta è Liz, l’infermiera che lo aiuta con le medicazioni e le cure. Dopo una diagnosi che gli concede poco tempo da vivere, l’uomo decide di riallacciare i rapporti con la figlia, per cercare un’ultima possibilità di riscatto. Nel frattempo, nella sua vita entra anche Thomas, un giovane membro della New Life Church che tenta di evangelizzarlo. La presenza di nuove persone – e soprattutto di Ellie – nella sua vita lo porterà a scavare nei propri ricordi e nei traumi che lo hanno portato a essere chi è oggi.
Dal 23 febbraio al cinema
EMPIRE OF LIGHT
di Sam Mendes (USA, UK, 2022)
Storia d’amore ambientata nell’Inghilterra degli anni Ottanta che ruota attorno a un vecchio e meraviglioso cinema, sulla costa meridionale inglese. Racconta le vicende di Hilary, una donna che gestisce il cinema, vive da sola e deve fare i conti con la sua salute mentale e la depressione e di Stephen, nuovo e giovane dipendente che sogna di fuggire dalle avversità quotidiane. Hilary cerca di combattere i suoi disturbi con il litio prescritto dal suo medico e intrattenendo una relazione con il suo capo sposato, Donald. Stephen, invece, si ritrova a essere vittima di pregiudizi da parte dei suoi concittadini a causa del colore della sua pelle. Hilary e Stephen trovano un reciproco senso di appartenenza attraverso la loro dolce e improbabile relazione, sperimentando il potere curativo della musica, del cinema e della comunità.
Dal 2 marzo al cinema
IL RITORNO DI CASANOVA di Gabriele Salvatores (Italia, 2023)
Il film narra la storia di un affermato regista italiano che, restio ad accettare lo scorrere del tempo, decide di raccontare il Casanova nel suo ultimo film. Durante le riprese si accorgerà di essere molto simile al personaggio che mette in scena, anche più di quanto potesse immaginare. Nel film si intrecciano due diversi fili narrativi: in uno, l’anziano Casanova viene ospitato da un amico nella campagna veneta dove una degli ospiti è una proto-femminista di nome Marcolina che ha una relazione con un giovane soldato di nome Lorenzo. Per via di un debito di gioco, Marcolina finisce nel letto con Casanova divenendo causa di un duello tra lui e Lorenzo. La seconda storia coinvolge un importante regista italiano che impegnato nelle riprese de Il ritorno di Casanova si innamora e mette incinta una giovane donna che non ha niente a che vedere col mondo del cinema. Dal 30 marzo al cinema
Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero Numero 272-273 - Anno XXVII
Venezia, 1 Febbraio 2023
Con il Patrocinio del Comune di Venezia
Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996
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Direzione organizzativa
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Redazione
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Speciali
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Coordinamento Newsletter e progetti digitali
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Grafica
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Hanno collaborato a questo numero
Katia Amoroso, Elena Cardillo, Loris Casadei, Elisabetta Gardin, Renato Jona, Paolo Lucchetta, Franca Lugato, Andrea Oddone Martin, Giorgio Placereani, Livia Sartori di Borgoricco, Fabio Di Spirito, Valentina Stefanachi, Davide Terrin, Camillo Tonini, Riccardo Triolo, Delphine Trouillard, Luisa Turchi, Andrea Zennaro
Si ringraziano
Chiara Valerio, Adele Re Rebaudengo, Mariza, Augusto Gentili, Giandomenico Romanelli, Pietro C. Marani, Vanessa Carlon, Nikos Aliagas, Massimo Checchetto, Stefano Nicolao, Marina Renato Colussi, Romolo Bugaro, Matteo Strukul, Antonella Lacchin, Mara Bisinella, Francesa De Pra
Traduzioni
Andrea Falco, Patrizia Bran
Foto di copertina
Shattering Beauty. Simon Berger © Savino Cancellara
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