protolettere, interpunzioni grafiche e belle speranze - mensile gratuito numero 8 anno II gennaio 2013
Simone Lucciola - Foto di Enrica De Nicola
S.H. Palmer Antonio Tentori Alda Teodorani Gianluca Liguori Simone Lucciola Federica Lemme Katia Ceccarelli Luca Lampariello
dove siamo editoriale
Tempo fa [http://issuu.com/verderivista/docs/ verdequattro] scrivevamo che Simone Lucciola è uno dei padri putativi di VERDE: ci piace il modo in cui nel corso degli anni ha saputo adattare una rassicurante nicchia – mai ostentata a resumé di comodo – ad attitudine all’estremo, totale per ogni suo frammento ed espressione, e ci piace SEMIAUTOMATICA, la sua nuova rubrica che, a partire da questo numero, troverete ogni mese su VERDE. Gianluca Liguori, intanto, ci concede un racconto che è la terza parte di una narrazione cominciata tempo fa su carta, proseguita il mese scorso su rete e che continuerà prossimamente in spazi diversi e sempre nuovi. Nuovi autori, nuovo anno, nuove idee: non ci siamo mai sentiti meglio, mentre attorno a noi e nei nostri occhi tutto crolla e si ribalta su di sé (è come vedersi). LEGGETE, CONDIVIDETE, SCARICATE, DIFFONDETE!
VERDE
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suicideautop.tumbrl.com
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p.2 Editoriale p.3 TI ODIO POESIA #7: A Dino Campana (Antonio Tentori) p.4 Shottini e mojito, calciobalilla (Alda Teodorani) p.6 Baby thank you (Gianluca Liguori) p.8 Nel Verde (Katia Ceccarelli) p.10 Scrittori inoffensivi (Luca Lampariello) p.12 SEMIAUTOMATICA #1 (Simone Lucciola) p.13 BLITZRECENZION #13: Non c’è pioggia (S.H. Palmer) p.14 FICTIOTEQUE #5: With Ina (Federica Lemme) p.15 The fine art of Living War (S.H. Palmer)
indizi
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PARTNERS IN CRIME
Ti lascio qualcosa di mio ovunque. Prendilo e tienilo con te ancora un po’, ma non per sempre.
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for ANOTHER PART OF THE WORLDWIDE D.I.Y. CONSPIRACY
VERDE è un mensile elettrocartaceo autoprodotto e gratuito di protolettere, interpunzioni grafiche e belle speranze a cura di Pierluca D’Antuono e Alda Teodorani. Contiene poesie, racconti brevi, racconti lunghi, rubriche, musica, illustrazioni, fotografie e grafica. Ogni mese on-line (issuu.com/verderivista) e cartaceo a Roma. Progetto grafico e impaginazione di Elena Bortolini. Per info distribuzione e invio materiale: verderivista@gmail.com (lunghezza e formato da concordare) issuu.com/verderivista www.facebook.com/verderivista verderivista.blogspot.it
Francesca Woodman, Senza titolo, 1973
Antonio Tentori Resuscita alla fulgida attesa lei esce fuori dal disegno l’occhio alza vele iridescenti mute tempeste d’amore Ma chi chi ha dato il segnale chi alla finestra terribile splende che la vita squilla nel porto illividito feroce la vampa e qualcosa senza ragione improvvisa si ferma
TI ODIO POESIA
A Dino Campana
Antonio Tentori, negli anni Ottanta, ha pubblicato poesie in diverse riviste, tra cui Contrappunto e Versicolori. Il suo unico libro di poesie è Finestra sulla notte (Piovan Editore, 1987). VERDE
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Shottini e mojito, calciobalilla Alda Teodorani In aereo, tornando, mi sentivo strano nella mia camicia rossa, la bandana nera coi teschi a brandelli, mi sentivo uno zombie. Anna in quella situazione sarebbe andata fuori di testa, avrebbe cominciato a dire che la hostess la stava osservando. Avrebbe proseguito guardandosi intorno con quei suoi occhi vacui, acquosi. Chissà perché mi dà questa impressione, sarà perché sono grigi oppure perché lei ha sempre un po’ di febbre. È come guardare negli occhi un cadavere. Tornavo dalla mia isola, dopo qualche mese passato solo a scrivere, a deprimermi e a bere, anestetizzandomi ogni sera e crollando vestito sul letto, dove buttavo giù qualche idea sulla tastiera del portatile, per poi accorgermi la mattina dopo che durante la notte la batteria s’era esaurita. Word recuperava poche righe, giusto per darmi un indizio che avevo cominciato a scrivere un buon racconto… la sera prima. Ora nel cervello non ne restava VERDE
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traccia e mi sforzavo, fissando quelle righe e rileggendo un titolo un po’ lungo, di capire dove volevo andare a parare. Riprendevo a scrivere con quelle poche tracce, intontito. Se spostavo leggermente la schiena e mi piegavo in avanti, c’era come un’onda che partiva dalla nuca e spumeggiava su, fino alla fronte, mi attanagliava in una morsa di dolore e poi scompariva appena cambiavo posizione. Anna mi ha telefonato dopo un paio di giorni dal mio arrivo, dopo un mio sms. So per certo che avrebbe voluto chiamarmi, se ne sarà stata in ufficio a guardare il cellulare poggiato sulla scrivania, si sarà giurata che avrebbe aspettato una mia telefonata, poi alla fine si è detta che era una stronzata e proprio in quel momento le ho inviato un messaggio. Vorrà leggere quel che ho scritto sull’isola? Spero di no, non è il genere di roba che piace a lei. Mi ha dato appuntamento
all’Economica, ci siamo fermati a mangiare qualche antipasto: fiori di zucca fritti, supplì, crocchette di patate, abbiamo diviso una pizza, la solita pizza sottile, tipicamente romana, l’aroma della cottura al forno mi invadeva le narici, avrei voluto essere di nuovo solo e poi pensavo che invece sull’isola avrei voluto, in molte occasioni, essere esattamente dove mi trovavo ora, in una sera di tardo settembre talmente caldo che pareva agosto, con la folla degli studenti che passava sul marciapiede pieno di buche, i bengalesi con strani occhiali di plastica che si fermavano al tavolo, la faccia già rassegnata al tuo No grazie. Più tardi,vicino alla sopraelevata, ci siamo ritrovati in un piccolo parco dove alcuni ragazzi giocavano a pallacanestro in un campetto, contrariamente alle mie previsioni: avrei detto che avrebbero dato il via a una partita di calcio vedendoli arrivare, ma in effetti erano troppo alti e avevano i capelli troppo lunghi. A bordo campo c’erano dei calciobalilla dove i ragazzi giocavano con movimenti fluidi, stranamente in silenzio, non sentivo nemmeno il rumore della palla.
Ovunque c’era un’aria surreale, ma forse era solo il rumore del traffico che copriva tutto. Più su, abbarbicato al fianco della collina, un chiosco vendeva alcolici. Ho resistito alla tentazione di bere, questa è un’altra vita. Anna aveva dato appuntamento qui ai suoi amici. Erano già arrivati, avevano l’aria un po’ esaltata di chi pregusta qualcosa di bello che sta per succedere. Io in testa avevo già la sensazione di una catastrofe imminente. Sergio stava troppo distante da noi, sembrava che pensasse ad altro. Mary e Anna hanno iniziato a parlare di politica e di notizie da telegiornali, ho cercato di farmi spiegare qualcosa ma non ho capito molto. Il cielo cupo si stava abbassando, un po’ più veloce di quanto avrei voluto. Tutti sorridevano, bevendo birre e mojito, la serata si stava accendendo. Mi sentivo disfatto e inutile. Ho detto: «Andiamo?» e mi sono avviato verso il parcheggio. Guidavo e la rabbia mi invadeva piano, come un batterio che avessi preso da qualche parte tra la gente seduta nel parco. Quella sera non ho scritto niente. VERDE
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Baby thank you Gianluca Liguori La giraffa creola mi tiene per la mano e mi conduce in un vicolo buio. Ci fermiamo davanti a una porticina, è nera; la giraffa prende il telefono. I’m here, dice, e dopo qualche secondo, clic, si apre la porta. Davanti a noi un atrio enorme. Ci sono delle scale e, poco sotto, un’altra porta. Entriamo ancora, poi attraversiamo un corridoio semibuio. Mi sorride e dice di non preoccuparmi. Comincio a preoccuparmi. Alla fine del corridoio siamo in un cortiletto. Da un balcone al primo piano un omaccione nero e ingioiellato come quelli che si vedono solo alla tivvù ci dà una voce e fa il gesto di salire. La giraffa mi prende per la mano e tira. Arrivati davanti alla porta c’è il tipo che ci aspetta. Si fa chiamare Flower, dubito sia il suo vero nome. La tipa chiede quanta erba voglio. Flower ne offre cinquanta sterline. Affare fatto. Mi passa una bustina. Tiro fuori il piccolo malloppo dalla camicia e pago. Lui sorride. La giraffa gli dice qualcosa nell’orecchio, lui va in un’altra stanza e torna con un mazzo di chiavi. Flower ci saluta sorridendo coi denti luccicanti. Una volta fuori, mi avvio verso la porta d’uscita, ma la giraffa dice di seguirla per le scale. Saliamo una rampa e ci troviamo in un altro cortiletto. Guardo su: il cielo è limpido, stranamente argenteo. La giraffa mi tira per la VERDE
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mano fino a una porta blu, infila la chiave nella toppa, poi dice: ready for paradise? Le sorrido e le tocco il culo. Le chiedo: drinks? Don’t worry, mi bacia sulla fronte. Entriamo, ancora scale, ho del tutto smarrito il senso dell’orientamento; infine ci troviamo in un grande salone, in fondo c’è una porta: entriamo in una camera da letto. Dice di spogliarmi e aspettare. Dopo qualche minuto torna con una bottiglia di Veuve Clicquot e due flute. Sono già nudo. La giraffa stappa la bottiglia e riempie il bicchiere. Brindiamo. Poi comincia a baciarmi sul collo, sui lobi, mi infila la lingua nell’orecchio; ho l’impressione che mi stia solleticando il cervello. Sono onde e brividi, il cazzo sta esplodendo. Lei si china e lo prende in bocca. È il suo lavoro. La sua lingua saetta sopra e sotto il glande. Chiudo gli occhi. Era questo il paradiso di cui parlava. Vengo. Lei mi sorride e dice qualcosa che non comprendo. Le sorrido anche io. Settecento sterline, mi dice mentre mi dà il resto. In quel momento mi ricordo dei soldi nelle mutande. Per fortuna ho ancora i calzini. Mi chiede dove ho preso tutto quel denaro. Le dico della vincita e della scommessa. Non ne avevo mai parlato a nessuno. È la prima volta che vado con una puttana. Se non fosse per le settecento
sterline sembrerebbe un’amante rimorchiata in una notte fortunata. Ma a me dei soldi non frega niente, e poco manca che mi innamoro. Ada non mi aveva mai fatto un pompino. Bea me li faceva, ma non era brava. Le chiedo se ha una cartina, e quando risponde di no mi accingo a preparare uno svuotino. La giraffa gioca intanto con una mano col mio pisello, con l’altra prende il flute e beve in un sorso lo champagne, poi riempie di nuovo il bicchiere. La giraffa è una pantera è una stella è un mondo ignoto è la bellezza è la grazia è. Le poggio lo spinello sulle labbra. È erba di prima qualità, ha un odore fortissimo. Mentre fumiamo beviamo ancora un flute a testa. Poi lei si alza e mi mette la fica in faccia. Lick, dice. Obbedisco. La giraffa ha la fica larghissima. Ha una clitoride enorme, è quasi quanto il mio mignolo, mi entra in bocca e mi sembra di fare un pompino a un cazzetto. Scendo attraverso le labbra e risalgo, mi aiuto con un dito, ma ho l’impressione di muoverlo nel vuoto. Infilo un secondo, un terzo dito, ma niente. Tiro fuori la mano e stringo il pugno, e l’infilo dentro. Gioco con la lingua sul cazzetto e faccio dentro-fuori col pugno, roteandolo di tanto in tanto. Mi sento estraneo da me stesso e dal momento, non so chi sono. Sono qui e potrei essere ovunque, in nessundove. Non ho mai visto una cosa così. La fica della giraffa è un mostro spaventoso, decido di affrontarla. Quando alzo la testa la giraffa ha in mano un preservativo, è arancione, fosforescente. Me lo mette. Noto il mio cazzo fosforescente
brillare riflesso in uno specchio che non avevo notato prima. Vado per montarla ma lei si gira e si mette in ginocchio. Allunga le mani per aiutarmi e se lo infila. Mi muovo, ma non sento niente, come non fossi dentro. Wait, le dico e mi distacco. Lei lo riprende in mano e mi aiuta, questa volta mi sa che le sono dentro. Le stringo i fianchi, chiudo gli occhi e colpisco in maniera più decisa. Vengo subito, e come vengo sento come il cazzo liberato da una presa. Sospetto che mi stringeva il cazzo tra le dita, ma non oso dirlo. Temo di esser stato raggirato, ma ho timore di reclamare. Lei ha appena riempito di nuovo i due flute e sta sbriciolando dell’altra erba. La giraffa mi dice che sono strano, che devo stare attento ad andare in giro con tutti quei soldi. Poi facciamo ancora sesso, ma non ho voglia. Finito lo champagne, va a prendere un’altra bottiglia. Ne beviamo metà, fumando ancora un po’. La giraffa ha due occhi a spillo, rossissimi. Farfuglia cose e ride. Mi addormento così. Quando mi sveglio trovo un biglietto. Dice di uscire prima che sia buio. Poi più sotto, dentro un cuore disegnato male con inchiostro nero, una scritta: Thank you. Il racconto nasce come naturale prosecuzione dei racconti Baby Dolly (pubblicato nell’antologia di Zero91 “Biglietto, prego”) e Baby don’t worry (pubblicato su «TornoGiovedì» www.tornogiovedi.it/2012/11/baby-dontworry/) e continuerà da qualche altra parte. Gianluca Liguori, nato a Battipaglia nel 1982, fondatore di Scrittori precari (www.scrittoriprecari. wordpress.com) e redattore di Frigidaire e Il nuovo Male. Ha fatto parte di TerraNullius, PrecarieMenti e Scrittori Sommersi. Ha esordito con il romanzo Dio è distratto (Npe 2007, Tespi 2008).
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Katia Ceccarelli, Nel Verde
Katia Ceccarelli, nata a Roma, attualmente risiede a Conegliano. Si laurea in lingua e letteratura russa a Bologna nel 1996. Dal 2001 al 2005 vive a Milano dove lavora nell’ambito dell’editoria e dei servizi museali. Si occupa di culture dell’immagine come autrice di testi e artista fotografa collaborando con varie realtà della carta stampata e del WEB. Dal 2005 è presente nell’archivio artisti della Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia. È autrice di Lolite, saggio di costume e immagine pubblicato da Nuovi Equilibri/ Stampa Alternativa. http//www.koshka.it http://signoracarlomagno.blogspot.it/ http://www.lomography.it/homes/koshka
Scrittori inoffensivi Luca Lampariello Inoffensivo: che non può né deve urtare la suscettibilità di alcuno. La punta del coltello incide la pelle creando sinuosi profili di lettere che si deformano in macchie di sangue. A Roma, alle sedici di un lunedì pomeriggio, di fronte a una grande libreria del centro, una folla inorridita si è trovata davanti il cadavere orrendamente deturpato dello Scrittore. Il corpo nudo, sistemato su una sedia a rotelle, stava davanti alla vetrina dove erano esposte le copie del suo ultimo romanzo: Le infinite incisioni del cuore. Tra la finestra e la scrivania siedono due uomini. Uno, l’Uomo Immobile, ha la parte sinistra del volto paralizzata, e si tampona continuamente il filo di bava che gli scende dall’angolo della bocca con un fazzoletto bianco. L’altro, l’Ispettore Capo, ha la testa pelata e suda così tanto che la sua camicia azzurra è tappezzata da gore tonde e scure. Entrambi stanno osservando con attenzione l’uomo che siede di fronte a loro, sulla trentina, molto magro, capelli ondulati e sguardo un po’ assente: il Colpevole. Dalla finestra entra una scialba luce bianca. Sui presenti è calato un silenzio spesso e invalicabile, per circa cinque minuti. Gli sguardi si cercano, si aspettano, si sfidano e VERDE
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poi fuggono. Finalmente, l’Ispettore Capo sbuffa e si lascia andare indietro sulla poltrona girevole. «Va bene. Partiamo dall’inizio. Come ha conosciuto V.Z.?» «Già detto. Teneva un corso alla mia università.» «Di cosa trattava?» «La scrittura e i romanzi nell’era digitale.» «Interessante?» «Aria fritta.» «E i romanzi di V.Z.? Le piacciono?» «Si può fumare qui?» «Chiaro che no.» L’Uomo Immobile raccoglie il filo di bava appena in tempo. Non ha ancora parlato. I filamenti di saliva sembrano l’unica cosa viva in quel corpo. «Mi sembra ovvio che i romanzi di V.Z. non mi piacciono. Sono artifici di uno scrivente. Buoni per accalappiare lettori da supermercato.» «E questo, per lei, è un buon motivo per uccidere?» «Può esserlo. Ma non si tratta solo di questo.» «Ah, no? Mi è venuto un pensiero, e voglio condividerlo con lei. Immagini uno studente fuori corso, molto fuori corso, potremmo dire un disoccupato. Questa persona vuole fare lo scrittore, pubblica qualche racconto on-line, scrive per piccole riviste, e intanto lavora al romanzo della sua vita. Ma
ecco che gli capita di conoscere lo Scrittore di successo. I due cominciano a frequentarsi. Lo Scrittore invita l’aspirante nella sua casa al mare. L’aspirante scrittore vive nell’ammirazione e nell’invidia fino al punto in cui la seconda prevale sulla prima. L’aspirante scrittore vede allontanarsi la prospettiva di gloria e non ce la fa più a vivere all’ombra dello Scrittore. E così…» «… diventa un macellaio» conclude l’Uomo Immobile, rivelando la sua voce per la prima volta. Come un lamento strascicato. «Un quadro credibile, ma che non corrisponde al vero.» «Ah, no?» «Già. La mia, signor Ispettore, non è stata invidia, ma volontà di agire. Quell’uomo era incapace di agire. Badava alle vendite, ai premi, alle comparsate in tv. Era uno scrittore inoffensivo.» «E allora? È forse un peccato?» «Oh, sì, Ispettore. Al momento attuale è un gravissimo peccato. Lo sa che mentre lo incidevo, minacciava di querelarmi? Di passare per vie legali? Si può essere più codardi?» «E quindi lei ha deciso di…» «… incidere l’incipit dell’ultimo Luca Lampariello, 1982. Siena. Liceo Classico. Università e Cinema. Teatro. Associazioni. No associazioni. Viaggi. Master. Collaborazioni quasi gratuite e gratuite. Recensioni. Tutto si assottiglia. Ricerca editore per primo romanzo. Sposato. Ha un gatto.
romanzo di V.Z. sul corpo dello Scrittore, dopo averlo accuratamente legato, con un temperino. Un pezzo d’arte, ah?» commenta l’Uomo Immobile. Ogni parola che esce dalla metà mobile della bocca sembra parte di una nenia. «Ci ho impiegato sette ore. Meritava un lavoro di assoluta precisione. Volevo che non si potesse più liberare di quelle stupidaggini.» L’Uomo Immobile rompe la sua stasi e si alza dalla sedia, tamponandosi l’angolo delle labbra come se stesse sanguinando. Supera la scrivania di lato e si avvicina al Colpevole. Lo studia con i suoi occhi di vetro. «E poi, il coup de théâtre, eh? Perché non ce lo racconta con parole sue?» «L’ho portato davanti alla libreria-supermercato dove doveva presentare il suo romanzo. Ho tolto il telo bianco che lo ricopriva e l’ho consegnato al suo pubblico.» «Non speri di passare per pazzo.» «Non è la mia intenzione. So quello che ho fatto, e se mi lasciaste libero, lo rifarei, fino a far cambiare idea a gran parte degli scriventi odierni che vogliono pubblicare.» «Ma questo non succederà. Ci penserà la giustizia a impedirlo.» «La giustizia, signor Ispettore, è un concetto molto relativo. Si potrebbe dire che anch’io ho fatto giustizia.» Una goccia di saliva casca sui pantaloni del Colpevole. VERDE
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#1 Lingua cervello animelle collo braciole lombata filetto girello fese sottospalla cosce coratella fegato petto pancia pajata trippa rognoni e taglio reale. Se questo è un uomo. Avanzano un po’ di ritagli per il cane, un’anima sporca per il prete e uno scheletro per il brodo. Amen. *** Ho inveito contro un barbone in un autobus notturno. È vero, ma quello non ero io. Era il mio istinto sviscerato da birra e Redbull, un istinto di finestrini socchiusi e di motore in corsa, di pattumiere ribaltate e saracinesche prese a calci nell’attesa, di odore di vecchio corpo non lavato da forse un mese, nell’incuria estrema riscossa e ricambiata. L’amico che era con me cercava di farmi tacere e non sapeva se ridere o se piangere, preso in contropiede da quella mia inaspettata e imprevedibile esplosione. Il barbone invece è rimasto seduto al suo posto e non ha proferito motto: è sceso compostamente al capolinea e se n’è andato tranquillo per la sua strada, zigzagando bagni pubblici, dribblando fontane. Non ho dubbi a immaginare di avergli fatto pena, con la brutta ferita della mia anima abbrutita e nuda. *** Non vi annoierò con la descrizione di tutti i clochard che ho conosciuto, anche perché le cose che ci siamo detti sono informazioni il più delle volte strettamente confidenziali. Però non posso tacere su una sera imprecisata d’estate del 1999, in cui dopo aver fatto il pieno di Peroni dalle tre del pomeriggio me ne andai VERDE 12 12
a franare mohicano e tutto su un palco allestito per un futuro evento al centro della piazza del paese. C’era gente intorno ma non ricordo chi: e c’era questo tale seduto sulle assi in controcampo che mangiava qualcosa da una latta con una forchetta di plastica per feste di compleanno. Era un biondo macilento abbastanza avanti con gli anni, con grandi occhi azzurro cielo e sopracciglia vistose molto aggrottate. L’abbigliamento trasandato non lasciava dubbi sul fatto che fosse solito dormire per strada con i gatti, ma in ogni caso lui non diceva una parola e non si spostava punto dal suo angolino, e io semplicemente non ero nelle condizioni di attaccare bottone con una stramba apparizione delle due antimeridiane. Qualcuno però prese l’iniziativa e chiese di punto in bianco al tizio chi fosse e come si chiamasse. «Terence», rispose lui con il tipico fischio finale di chi non ha una buona ortopanoramica, e poi tornò a occuparsi del suo pasto. «Il mio nome è nessuno», aggiunse, alzando e riabbassando la testa. In effetti assomigliava in modo impressionante a Terence Hill, e doveva anche avere più o meno la stessa età del vero Girotti. E fu lì che un tossico di passaggio, indispettito da quella reticenza, gli propose di fare a botte. «Se vuoi. Però te faccio proprio male», gli disse Terence senza scomporsi, in un romanesco degno di Celentano in Storia d’amore e de cortello. «Te faccio malissimo, sai?». Poi uscì lentamente di scena e batté in ritirata verso il bar. Desaparecido. (CONTINUA)
BLITZRECENZION
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S. H. Palmer
BLITZRECENZION
Non c’è pioggia
Da qualche parte, oltre l’arcobaleno, il passato è solo passato e – incredibile a credersi – l’orologio ricomincia a muoversi. Da qualche parte, oltre l’arcobaleno, il passato è passato davvero (almeno per questa volta).
(shanduziopalmer.tumblr.com)
http://www.youtube.com/watch?v=qmVn6b7DdpA
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STORIE NERE BOUTIQUE DI CRONACHE CINELETTERARIE
federlca Lemme
TAMPAX e DTT KANDEGGINA GANGBANG Sturm & Drunk Edizioni, 2012, pp.129, 9,90€ TAMPAX e DDT firmano manifesti poetici, videoclip e racconti degeneranti. Hanno un‘identità che cambia di giorno in giorno perché neppure loro sanno dirvi chi sono e da dove vengono. Sospesi vivono senza direzione teologica e offrono a questa rubrica il loro primo capitolo letterario: «Una sensazione di, una dizione imperfetta dall’impianto in distorsione per abuso, il pacchetto aperto in bilico per cadere, e. Una paranoia. C’è stato qualcuno durante la mia assenza? Una strana dizione dalle casse può passare ma quelle mutandine non sono le mie, di certo non le indosso. Mai. La cenere ruggisce un fantasma che attaccandosi alla saliva cerco di deglutire. Impiccato nella gola rifiuta la discesa. Beat incastrato nega la sinterizzazione. L’apparato digerente contorce i nodi in cui rantola il ricordo legato male. Benedetto sia quel ventre in grado di vomitare. La mancanza di professionalità negli eventi può generare complicanze. Non ci si deve fidare del male fatto gratis, bisogna rivolgersi alla persona sbagliata sempre gentilmente, altrimenti si è fuori dal via, senza i venti, quelli che tirano da questi parti con le narici del cielo tra le nuvole e l’ossido di demenza pronto, partenza, via, andiamo, è ora. Primo stop. Il semaforo lampeggia e ne approfittiamo per tornare vivi. Sorridenti. Il semaforo non lampeggia più ma i neon illuminano un macellaio che seziona corpi con la falsità di uno splatter di serie Z in stile Misfits. Il sangue cola da anime in materiale riciclabile. In tangenziale identiche sere si rivendono sulle cosce come qualcosa di diverso. Nei motel polsi legati dalla biodegradabilità di sacchetti in plastica brillano sugli sguardi lucidati dal monossido di carbonio. Indistinti colori riflettono paesaggi sbiaditi. Troppe lenti tra i canti del mattino con l’aspirapolvere e il rosario da snocciolare, non si sa mai si svegli la santissima influenza della scena di Detroit sempre pronta a invadere con l’ecstasy da filosofo del non detto. L’esistenzialismo è una rottura di coglioni. Come la pipa sporca di Sartre. Magritte aveva presagito che non essere sarebbe stato molto più appariscente di quel gran gangbang poco erotico tra come andiamo e dove andiamo così eretti dentro questo mondo di ubriachi in cui l’unico sobrio ha spento l’ultima danza decente per far posto al rocker pronto a vendersi e svendersi. Gli organi tumefatti dell’Halleluja giacciono nell‘ennesimo remake di Cohen in cui soffiano incensi scaduti. Intingo le dita in un’acquasantiera piena di kandeggina. Intanto che batto. A macchina. Lungo questa statale senza direzione. Senza mutandine di (ma)donne fantasma. Non hai mai creduto nei santi, anche perché se lo avessi fatto mi avresti bruciata. Dopo Giordano e Giovanna, in ordine alfabetico sarebbe toccato a me: Jo Squillo.» VERDE
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The Fine Art of Living War S.H. Palmer Puntualmente mi perdo in libreria. Il problema è che non riesco a soffermarmi troppo sui titoli perché ogni libro mi fa venire in mente una persona, una situazione. Qualcuno, qualcosa. Nella libreria dell'aeroporto poi, tutto si amplifica, portando alla mente luoghi e ricordi ancora più soddisfacenti. Anni riassunti in minuti, secondi che durano un giorno intero. Trovandomi di fronte a una versione economica (paperback rosso ciliegia, 10x15) de L’arte della Guerra di Sun Tzu ho pensato a quella persona che non riesco a staccarmi dalla pelle, dalle ossa, dal cuore – il che fa molto Dylan Thomas, e confonde i significati che si mescolano nell’uso contemporaneo dei due emisferi, nella concentrazione con cui strappi ritmicamente dal cosciotto di pollo gli ultimi pezzi di carne. In verità non credo che questa persona leggerebbe per intero il manuale del perfetto samurai, o magari non lo leggerebbe fino alla fine. In verità potrebbe anche leggerlo tutto in dieci minuti, dato che riesce a sorprendermi, sempre, in un modo o nell’altro. Quasi sempre. Sarà lo stile aforistico, la sentenziosità di quelle frasi quasi sempre azzeccate e a volte totalmente avulse dal contesto. Sarà proprio questo il motivo della mia associazione – che lo vuole un po’ generale un po’ cacciatore – la ragione estrema della connessione. O forse è solo qualcosa di quel modo di essere così, come statue di marmo sotto un temporale. La guerra è un concetto affascinante dai risvolti materiali fastidiosi: la tensione umana riesce a cancellare la poesia della nozione di “scontro, bandiera, vittoria,
sconfitta” e Marte – fiero, bellissimo e nato come me i primi di marzo – prende la forma di piccoli generali col riporto, vili e poco virili, che non riescono ad accettare neanche la più semplice delle calvizie. Figuriamoci la più banale delle sconfitte. La guerra è uno stile di pensiero difficile da gestire, ma non si può certo negare che un guerrafondaio sia per sempre (gung-ho style never, never die). Sarà la passione mascherata dal disinteresse (la linea è molto più sottile di quello che si è soliti pensare). Sarà quel modo di guardare fisso l’orizzonte sotto la falda di un cappello: sempre in guardia, sempre all’erta. Sarà quel modo di proteggere la famiglia – sangue, carne, affinità e cervelli – come i lupi della steppa, ciechi a causa del riflesso del sole bianco sulle distese dei laghi ghiacciati che sono costretti ad attraversare. Accettare la guerra dentro di sé è il presupposto principale per cercare di credere nell’esistenza di una pace qualsiasi. O forse è solo un modo come un altro per continuare a dare fastidio al prossimo. (Traduzione dall’inglese Sonia Manduzio) Nata a Brentwood il 3 febbraio 1971,S.H.Palmer è la più giovane e significativa esponente dei DISTRUZIONISTI, oscura avanguardia romana di fine anni Ottanta, nata in seno agli ambienti di estrema destra della capitale, dove Palmer si era trasferita nel 1985. Poetessa, narratrice, autrice di numerosi testi teatrali e di romanzi dai temi controversi (su tutti APOCALYPTICAL MARSHMELLOW CRUNCHERS), dopo aver a lungo lottato contro una insidiosa depressione post-disintossicazione, muore a San Severo il 27 dicembre del 2004, a soli 33 anni.
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Ti lascio qualcosa di mio ovunque. Prendilo e tienilo con te ancora un po', ma non per sempre.