1 - Via Vai dei Piccoli - Febbraio 2019

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N.1 - FEBBRAIO 2019

Supplemento al Settimanale Via Vai n.5 dell’8 febbraio 2019 COPIA OMAGGIO

DEDICATO AI GENITORI E AI BAMBINI DA ZERO A TREDICI

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Sommario

n. 1 - 2019 febbraio /marzo Direttore:

Flavia Micol Andreasi micolandreasi@gmail.com

Caporedattore Carlotta Ravanello Carlotta Ravanello

Elena Montecchio

carlotta.ravanello@gmail.com

Redazione e Grafica redazione@viavaideipiccoli.it

M.Chiara Ghinato

Natascia Pavani

Flavia Micol Andreasi Mariachiara Ghinato Elena Montecchio Natascia Pavani Carlotta Ravanello Progetto grafico Mariachiara Ghinato chiaraghinato@gmail.com

Franco Ravanello

Roberto Samiolo

Stampa Grafiche Nuova Tipografia Corbola (Ro)

Il Viavai dei Piccoli supplemento al Settimanale Via Vai Reg. Tribunale di Rovigo n.1/94 del 9/2/94 Direttore Responsabile: dr. Flavia Micol Andreasi Promo Studio Editore Rovigo. Via Sacro Cuore 7 tel. 0425.28282 cell. 329 6816510 info@viavainet.it

Promo Studio Comunicazione grafica e pubblicità

Concessionaria pubblicità PROMO STUDIO snc adv@viavaideipiccoli.it

Franco Ravanello franco.ravanello@gmail.com

Roberto Samiolo samioloroberto@gmail.com

hanno collaborato: Desiree Cobianchi, Paola Chiereghin; Mariangela Berardi, Gloria Birolo, Antonio Caserta, Maurizio Fantinato, Roberta Marangoni, Emilia Mazzetto, Guglielmo Meschia, Coi Momok, Raffaele Peretto, David Polezzi, Rossella Rizzi, Carlotta Tognin, Gaia Zanzottera. si ringraziano: le edicole e le farmacie per la collaborazione

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PARLIAMONE 12. 14. 16. 28.

Un genietto in famiglia Competizione La sincerità sempre L’educazione affettiva

L’INTERVISTA 30. Un padre in attesa

ATTIVIAMOCI 04. 10. 40. 42.

Dove nascono le giostre Frittelle di pane Cre-attiviamoci Origami

LIFE STYLE 08. Carnevale e le maschere polesane 38. Come organizzare bene l’armadio dei bambini

CENTOSTORIE 28. Forte come il coraggio 32. Proposte di lettura 36. La più bella storia d’amore

STAR BENE 20. 21. 22. 24. 26.

Attenti al muco Visione e sport Questi problemi vanno risolti Skin Prick Test Allattamento e falsi miti


il potere di una Scheggia

Chissà da quanto tempo...

Un vaso di ceramica bianca con piccole rose rosse decorate. Una ceramica di manifattura francese con i manici a forma di foglie dorate, alta 30 centimetri con l’imboccatura stretta. Indubbio il valore economico. Più importante, però, quello affettivo.

Non mi fu facile prendere sonno quella notte. Quelle schegge nella loro leggerezza avevano avuto un effetto dirompente in me. “E’ solo un vaso!”. ContInuava a ripetere mio marito. “Un vaso vecchio oltre 100 anni. Può ben accadere che si rompa un manico, in 100 anni, non credi?! E poi, da quanto tempo non lo degnavi di uno sguardo …?”

In poco più di un chilo di pregiato materiale, c’era tutta la storia della mia famiglia. Apparteneva infatti a mia mamma. E prima di lei, a mia nonna. Prima ancora alla mia bisnonna. Era entrato nella mia casa il giorno del mio matrimonio, posizionato sulla mensola più alta della mia libreria in salotto. Anche mia mamma lo teneva in un salotto, come mia nonna e credo anche la mia bisnonna.

editoriale

Micol Andreasi direttore

C’era un vaso.

Negli anni è sempre rimasto dov’era, come tutte quelle cose importanti della vita che pensiamo non debbano cambiare mai. Così nella sua rassicurante immobilità, la sua presenza, nel mio salotto, mi era diventata scontata, indifferente. Capita anche questo nella vita… alle cose importanti … Un giorno, mentre passavo l’aspirapolvere in salotto - atto del tutto prosaico nella quotidianità di una donna - proprio sotto il tappeto di fronte alla libreria, con mia grande sorpresa, trovai uno dei manici dorati di quel vaso prezioso e qualche scheggia. Mi ribollì il sangue. Da oltre un secolo la mia famiglia possedeva quel vaso. Nulla era mai accaduto che lo mettesse in pericolo. Mi era stato donato perché ne avessi cura. Come era potuto accadere? Chi era stato? Com’era possibile che non me ne fossi accorta? Ho raccolto le schegge ed il pezzo di manico. Ho appoggiato tutto sul tavolo, mentre con lo sguardo cercavo di capire cos’era successo davvero al mio vaso. Non era più al suo posto. Qualcuno lo aveva spostato sul mobile di fronte, sempre in alto. E nemmeno di questo mi ero accorta!

Che rabbia quelle parole. Che ne sapeva lui! Non era mica un pezzo della sua storia! Per giorni ho cercato invano di capire di chi fosse la colpa. Che razza di persona poteva fare un gesto così? Colpire il vaso, farlo cadere e nascondere i cocci sotto il tappeto. Tacere. Rimuginai parecchio. Poi la decisione di usare la colla più potente che avevo in casa e provare a riattaccare quel manico e quelle schegge al vaso. Non venne un lavoro perfetto. Mi accorsi che non sarebbe mai stato come prima. Era diverso. Tenni per qualche giorno il vaso sul tavolo, giusto il tempo utile a fare asciugare la colla. Ma in quel tempo, chi entrava in casa notava sul tavolo il vaso e ne elogiava la bellezza. Allora, io raccontavo la storia lunga oltre 100 anni. Poi mostravo la frattura e come l’avevo aggiustata. Era la storia della mia famiglia e di me. Una sera di inizio primavera lo riempii di fiori. Mi resi conto che fino a quella sera non avevo mai apprezzato veramente il vaso. Lo avevo solo conservato come in un sacrario divenuto negli anni muto e senza voce. Ora so che quelle schegge furono necessarie al mio vaso per tornare ad avere un ruolo da protagonista nella mia casa e soprattutto furono utili a me per tornare a fare memoria di 100 e più anni di affetti. 3


ITINERARI Musei Storici

dove nascono

Museo della Giostra e dello Spettacolo Popolare Piazza G.Matteotti, 85 Bergantino RO aperto ore 9.00-12.00 dal lunedi al venerdi sabato e domenica su prenotazione: 0425 805446 345 0011003 museodellagiostra.it

Una mostra imperdibile GIOSTRE! storie, immagini, giochi Rovigo, Palazzo Roverella 23 marzo -30 giugno 2019

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le gioStre Tutto ha inizio quando sembrava non ci fosse altra speranza che andarsene, emigrare. Negli anni Venti del Novecento, la vita in Polesine era davvero dura: la disoccupazione era elevatissima. Malattie come il colera, la pellagra, falcidiavano la popolazione. Era il 24 aprile del 1929, a Bergantino, il penultimo comune della provincia di Rovigo prima del mantovano, si festeggiava la fiera di San Giorgio, il santo patrono. Nella piazza fu allestita la prima autopista. Nonostante la crisi e la povertà, per salire su quella giostra c’era la coda. Una fila lunghissima di bambini, ma anche di adulti. Nessuno rinunciava all’emozione di una vertigine. Quell’autopista ed il successo con cui fu accolta dalla gente del posto, decretarono l’inizio di un nuovo corso per la storia di Bergantino e del Polesine tutto. Fu l’inizio di un sogno, quello dello ‘spettacolo viaggiante’. Tutto cominciò per la geniale intuizione di tre meccanici di biciclette di Bergantino: Umberto Bacchiega, Umberto Favalli e Albino Protti. Al tempo riuscire ad incassare i soldi per un lavoro era molto difficile. Quando andava bene, bisognava aspettare anche un anno intero. Fu allora che al Bacchiega ed al Favalli vennero in mente le giostre. E la


archivio Mario e Rita Giacomelli

cosa che balzò immediatamente alla loro attenzione fu che chi vi saliva era obbligato a pagare in anticipo. Alla scuola regia di Arti e Mestieri di Castelmassa, i tre appresero le nozioni essenziali di meccanica. Poi cominciarono a disegnare e a progettare. Per comprare il materiale necessario si indebitarono enormemente. Come ogni grande impresa, anche la loro richiese una dose massiccia di coraggio, spirito di sacrificio e costanza, che, per altro, avevano in abbondanza e ne avevano molta anche le loro donne che vollero affiancarli. A casa le donne preparavano dolci e biscotti da vendere alle fiere e con gli uomini si spostavano su quei carretti scomodi e lenti dentro cui trasportavano gli spettacoli viaggianti, di paese in paese, di fiera in fiera, finché la stagione concedeva loro ancora un qualche raggio tiepido di sole. E quando, durante la seconda guerra mondiale, molti uomini furono costretti a par-

tire per il fronte, loro, le donne di Bergantino, con determinazione, continuarono l’attività di famiglia, permettendone la sopravvivenza. Bacchiega, Favalli, Protti avevano creato un mestiere con cui vivere dignitosamente. E nel tempo furono in molti ad imitarli. Erano i “ giostrai”, i fabbricanti di sogni… In un arco di tempo breve, a Bergantino, a Melara e a Calto, nacquero molte aziende produttrici di giostre. Molte altre famiglie continuavano a portare in giro le giostre, non più con i carretti, ma con evoluti caravan. Insieme, negli anni, quelle famiglie e quelle aziende sono diventati i pilastri del distretto industriale della giostra che comprende cinque province venete: Treviso, Padova, Vicenza, Verona e Rovigo appunto. E’ qui che si produce oltre l’80% delle giostre di tutta Europa pa e gran parte di quelle esportate nel mondo.

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ITINERARI Musei Storici

UN MUSEO PER LO SPETTACOLO VIAGGIANTE

Nella piazza principale di Bergantino, a due passi dalla chiesa parrocchiale c’è il museo della Giostra. Esempio unico in Italia, allestito all’interno del settecentesco palazzo Strozzi, venti anni fa, il museo di Bergantino è il cuore di una comunità, di cui racconta l’impresa straordinaria, allargando lo sguardo alla storia dello spettacolo viaggiante dalla sua preistoria fino ai nostri giorni. Appena varcata la soglia d’ingresso uno specchio deformante ci proietta in un altrove di fantasia. Il percorso si sviluppa dapprincipio su uno stretto corridoio a ricordare il labirinto, che fu il primo esempio di gioco e divertimento viaggiante della storia. Un touch screen di nuova generazione ci racconta la sua origine e l’evoluzione. I giochi e gli spettacoli cari agli antichi romani ci accompagnano verso la sala dove lo spettacolo viaggiante ha inizio. E’ la sala del Medioevo. Alle pareti sono esposte le rappresentazioni delle antiche fiere, mercati in

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cui era possibile vendere a acquistare qualunque cosa, ma serviva arte, quella di attrarre l’attenzione. Ecco che i mercanti si attrezzavano di tamburi o strumenti musicali, improvvisavano gag, si trasformavano in cantastorie, saltimbanchi, quando serviva anche cavadenti, maghi capaci di leggere il futuro… altre volte si facevano accompagnare dalle maschere. Così tra una vendita ed un acquisto la fiera/mercato si caratterizzava sempre di più per essere un luogo di svago e divertimento dove prendeva forma la commedia dell’arte e cominciavano ad avere un gran successo anche i burattini. Dalla fine del ‘700, anche gli spettacoli circensi con i cavalli si confermavano occasioni imperdibili. Da sempre, il fascino dello spettacolo viaggiante è fissato dalle note dei piani a cilindro azionati a molla e trasportati sui carretti. All museo di Bergantino ce n’è una collezione pregiatissima. Funzionano tutti e dopo averli caricati è impossi-

bile resistere alla festa. C’è uno spallone di inizio ‘800 e persino un piano a cilindro a orchestra. Veniva posizionato nelle sale da ballo. Oltre la sala della musica, una scala buia conduce al piano superiore. Quando la si attraversa si accendono delle luci rosse scenografiche che illuminano i volti appesi alle pareti. Sono lquelli della donna cannone, dell’uomo con tre gambe, del fachiro, della donna giraffa… Esseri eccezionali che nello spettacolo viaggiante trovavano il loro spazio per guada-


gnare qualcosa e sopravvivere, diventando appunto attrazione irrinunciabile. Raggiunto il primo piano ci accoglie una serie ricchissima di modellini di giostre fabbricate e brevettate proprio a Bergantino.

Si accede di seguito alla stanza della memoria del territorio. Vi sono raccontate le vite di Bacchiega, Favalli e Protti delle loro mogli e delle loro famiglie che dal 1929, inseguendo la sopravvivenza, hanno realizzato un sogno, di cui l’Italia intera va fiera. L’ultima sezione del museo è uno sguardo sull’alta tecnologia delle giostre prodotte oggi a Bergantino ed esportate in tutto il mondo. (Di questa realtà tanto entusiasmante e ricca racconteremo presto molto di più ndr). Sono il professor Tommaso Zaghini, bergantinese doc, studioso, curatore dei contenuti del museo e direttore dello stesso e la dottoressa Elvia Arcellaschi ad averci accolti a Bergantino e guidati lungo un percorso entusiasmante e folle insieme.

Quando torniamo al pianterreno abbiamo l’impressione di aver fatto un viaggio nella fantasia, e nel tempo, ma soprattutto di aver incontrato una parte di Polesine che con la sua intraprendenza, il coraggio e l’energia allegra e positiva ha ancora molto da insegnare. Reportage a cura di Micol Andreasi 7


LIFE STYLE

foto di Francesco Sprocatti

Il periodo festoso del Carnevale culminava nel mese di febbraio con svaghi e divertimenti collettivi, andando a vivacizzare pomeriggi e serate nei centri urbani, nei paesi e nelle borgate.

tradizioni

e r ca n vale e le maschere polesane

a cura di

Raffaele Peretto Archeologo

R.Pere tto

Per l’area medio-bassa polesana era frequente incontrare il Bombasin, una singolare maschera zoomorfa, che vagava isolata, al guinzaglio del suo domatore-accompagnatore, o faceva da battistrada a cortei di burloni in altri stravaganti abbigliamenti. Il Bombasin poteva rappresentare vari tipi di animali, vagamente intuibili da come veniva elaborata la testa, spesso sagomata con pelli di coniglio, alla quale si applicava un ampio mantello per coprire il portatore mascherato. Rispetto all’asino, al drago, alla capra, prevaleva la figura del toro. Un particolare accorgimento consentiva di far sbattere ripetutamente la mandibola con la mascella, che essendo entrambe di legno, originavano un cupo frastuono, rendendo ancor più minaccioso l’aspetto della maschera. Questo originale travestimento, in uso nelle nostre zone fin ai primi anni

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Cinquanta del secolo scorso, era sicuramente espressione di tradizioni piuttosto arcaiche, legate a feste campestri europee e presentava analoghi richiami in aree ben lontane dal nostro Polesine, dalla Spagna all’area alpina, dalla Romania alla Scandinavia. Nella nostra più recente versione locale aveva sviluppato la primaria finalità di andare per le case a questuare generi alimentari per poi condividerli e consumarli in allegra compagnia. Il Bombasin, infatti, si spostava sempre accompagnato da un ristretto numero di compagni: non mancava mai il bovaro, suo domatore, che lo teneva al guinzaglio e con il pungolo lo stimolava nel proseguire il cammino o lo tratteneva dal suo estroso comportamento di rincorrere donne e bambini; al seguito facevano parte anche due o tre suonatori, normalmente


turno squadre di giovani si cementavano nell’arrampicarsi per raggiungere quanto posto in palio; l’impresa non era semplice, in quanto l’albero era stato ben unto con grasso e, pertanto, la presa di mani, braccia e gambe per salirlo era ben difficile. A fatica e dopo vari tentativi era il lavoro di squadra a raggiungere l’obiettivo: i componenti, abbracciando il lungo palo, sviluppavano una colonna umana con i piedi di uno sopra le spalle dell’altro. Gioco frequente era anche quello della rottura delle pignatte, vasi di terracotta, chiusi con un canovaccio e dal misterioso contenuto, che venivano legati su una pertica debitamente sospesa dal terreno. I vari concorrenti, bendati e muniti di un bastone, avevano un certo numero di possibilità per cercare di colpirli e, rompendoli, prendere quello che ne ph F.Sprocatti

All’approssimarsi del mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima, i raduni collettivi in piazza e in luoghi pubblici o privati, un tempo più diffusi e frequenti di oggi, rendevano vive le feste che si organizzavano per chiudere nella massima allegria il tempo del Carnevale. Oltre ai caratteristici carri allegorici, spesso allestiti da gruppi di giovani, assemblando su semplici carretti o rimorchi, ridicole scenografie con materiali di recupero, venivano organizzate feste da ballo con orchestrine ed anche gare con quei giochi tradizionali caratteristici di sagre paesane in altri periodi dell’anno. Spesso non mancava l’albero della Cuccagna, un lungo palo di legno, ben fissato nel terreno, alla cui sommità, legati ad un cerchio metallico, penzolavano prodotti mangerecci, in particolare salami, bondiole, polli. A

FRACANÀPA

con chitarra, fisarmonica o violino. Il gruppo si fermava nei cortili, nelle piazze, per strada, dando vita ad un concertino festoso. Il Bombasin ovviamente teneva banco, saltellando ripetutamente sempre sotto il controllo del bovaro, facendo tintinnare campanelli e svolazzare vistosi nastri colorati fissati alle spalle del mantello. Anch’io lo ricordo tanti anni fa venire a farci visita nella casa di Fenil del Turco. Ero bambino, con mio fratello verso sera l’ho visto con i suoi compagni danzare e cantare sull’aia. Mio padre consegnò alla combriccola una bottiglia di vino, mia madre porse un’offerta in denaro e fu il Bombasin a portarsi di scatto verso di lei, aprendo la spaventosa bocca da cui uscì una mano a prendere repentina la banconota.

usciva: andava bene se si trattava di una gallina viva, del solito salame, di un dolce…ma potevano anche uscire cenere, acqua, gatti, topi e altro! Anche il tempo del Carnevale giungeva presto al termine. Secondo alcune testimonianze tramandate oralmente da anziani, per la sua fine un fantoccio che lo rappresentava era destinato ad una sorte che richiamava quella della Vecia. In questo caso il cosiddetto Re del Carnevale veniva sottoposto ad un burlesco processo che si concludeva sempre con la sentenza di condanna: poteva essere sotterrato o gettato in un fiume. Si iniziava così il periodo penitenziale della Quaresima, che per la radicata fede, unitamente alla sofferente situazione economica, la gente contadina affrontava nel pieno rispetto in preparazione alla grande festa pasquale della Resurrezione, coincidente con il progressivo, rinnovato risveglio della natura e della potenzialità produttiva della fertile campagna.

BOMBASIN

l nome locale dato al Bombasin forse deriva da bombasina, stoffa di cotone (chiamato in dialetto bombaso) con la quale veniva confezionato il mantello che copriva la persona travestita. In tempi recenti questo travestimento è stato riproposto da Adriano Salvagnin di Adria, che, coinvolgendo familiari ed amici, si esibisce in incontri e feste.

Un’altra maschera polesana, non specificatamente carnevalesca ma legata alla Commedia dell’Arte e al teatro dei burattini, è Fracanàpa. Rappresenta un personaggio con un grande naso (canàpa in dialetto sta per naso), porta un cappello tricorno, è di aspetto curato con marsina scura e vistoso panciotto rosso o giallo, parla scandendo di tanto in tanto le sillabe e storpiando qualche parola. Fa gruppo con i più noti burattini Fasolin e Sandron.

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ATTIVIAMOCI facciamo insieme

a cura dello chef

frittelle di pane

Maurizio Fantinato docente di Enogastronomia presso l’Istituto Alberghiero “G.Cipriani” di Adria (Ro)

Ingredienti:

500 gr. di pane raffermo di qualunque tipo 150 gr. di latte 150 gr. di zucchero 100 gr. di farina 60 gr. di pangrattato 60 gr. di burro 3 uova 1 scorza d’ararancia 1 scorza di limone 1 bustina di vanillina zucchero a velo olio per friggere cannella uvetta o mela o pera

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Festeggiamo il Carnevale con la ricetta della nonna Ecco a voi una ricetta facile facile per festeggiare il Carnevale senza sprechi!!! In questa ricetta è d’obbligo il riciclo: non si utilizza il pane fresco Io l’ho imparata da mia nonna quando ero molto piccolo e la ripropongo ai ristoranti in questo periodo dell’anno. So che piace tanto. Ha un sapore buono, di cose semplici e tanto affetto.

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Come prima cosa spezzettate il vostro pane raffermo e immergetelo nel latte tiepido per farlo ammorbidire (serve circa un’ora). Aggiungetevi, nella stessa ciotola, le uova sbattute, lo zucchero e a vostra scelta l’uvetta (che avrete prima lasciato ammorbidire in una tazza di acqua tiepida), oppure i pezzetti di mela o di pera. Unitevi anche la cannella, la farina, il pan grattato ed il burro fuso. Mescolate bene. Poi aiutandovi con due cucchiai (qui ci vuole abilità), formate delle palline e immergetele nell’olio che nel frattempo avete messo a cuocere in un tegame. La temperatura ideale dell’olio per frittelle croccanti fuori e morbide dentro è 175 gradi. Bastano pochi minuti nell’olio e le palline prenderanno un colore dorato. Tiratele fuori e passatele velocemente sulla carta assorbente. Poi rigiratele sullo zucchero semolato mescolato allo zucchero a velo. Per ultimo date una spruzzatina di cannella. Per stupire i vostri amici potete anche servirle con della panna montata, ne esalta il sapore!

fotoricetta

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PARLIAMONE educare/crescere

Paolo aveva imparato a contare a 4 anni ed a 5 sapeva già fare le addizioni.

Giulia a 8 anni era appassionata di racconti fantastici e leggeva un libro dopo l’altro.

Francesco a 10 anni era velocissimo a risolvere le espressioni.

un genietto in famiglia Paolo, Giulia, Francesco

D.Pole zzi

a cura di

David Polezzi psicologo e psicoterapeuta, professore a contratto presso l’Università di Padova e docente presso l’Istituto Miller di Genova

Alcuni chiamano questi bambini “genietti”, altri li definiscono “curiosissimi” e altri ancora li descrivono come “piccoli intellettuali”, ma in realtà sono plusdotati.

role o frasi e dopo poco dicono di essersi accorti che il figlio era in grado di leggere da solo. Prima alcune parole semplici, dopo parole più complesse e poi frasi intere. Alcuni I plusdotati sono quei bambini che bambini iniziano così a leggere in auhanno un’ intelligenza molto supe- tonomia le loro favole preferite quando non hanno ancora compiuto riore alla media e sono circa 2 su 100. 6 anni. In altre parole, quando a questi bambini viene misurato il quoziente intel- Nell’esperienza di molti insegnanti c’è lettivo (QI), essi mostrano delle abilità spesso il ricordo di qualche bambino di ragionamento decisamente elevate rispetto ai bambini della loro età. Tecnicamente, il QI medio è pari a 100 e la maggior parte dei bambini ha un punteggio che oscilla fra 85 e 115. Dunque, un bambino che abbia un punteggio di 118 è già un bambino con delle abilità di ragionamento medio-alte. I plusdotati ottengono punteggi dal 130 in su. Di solito, i genitori raccontano di essere rimasti sorpresi per la curiosità insaziabile dei loro figli o per la quantità di informazioni che ricordano. Spesso i genitori ricordano

come già durante gli anni della scuola dell’infanzia, loro figlio chiedesse spesso come si leggessero alcune pa12


particolarmente brillante, che impara con molta facilità e sembra sempre curioso di apprendere qualcosa di nuovo. Verrebbe spontaneo immaginare che per bambini così vivaci del punto di vista intellettivo, la scuola sia l’ambiente ideale. In realtà, non è del tutto esatto. Per molti plusdotati, infatti, a scuola ci sono momenti in cui possono apprendere cose nuove, alternati a tanti altri momenti di noia, durante i quali devono continuare ad esercitarsi su qualcosa che già sanno fare. Gli insegnanti, pur comprendendo la voglia del bambino di apprendere nuovi concetti, sono costretti a riprendere spesso i vecchi argomenti finché tutti i bambini della classe non li hanno ben compresi. Non è raro che un bambino plusdotato sia molto motivato nei primi anni della scuola primaria e sempre più annoiato con il passare degli anni.

Se a scuola la curiosità è molto forte, a casa certamente non si spegne e i plusdotati sono pronti a porre una valanga di domande. E’ senza dubbio importante per i genitori rendersi conto che la voglia di conoscere e di imparare è un naturale bisogno del bambino a cui è doveroso rispondere. Se un bambino è appassionato di pianeti, la soluzione non è quella di incoraggiarlo a giocare a calcio come

fanno i suoi coetanei, piuttosto è importante rispondere alla sua sete di curiosità ed aiutarlo a condividere con altri bambini questa sua passione. Per ogni genitore di un plusdotato c’è un compito molto importante da portare a termine, cioè quello di aiutare il bambino a sviluppare appieno le proprie capacità trasformandole in un talento. Un bambino

plusdotato, seppur molto intelligente, non è un adulto in miniatura e ha quindi bisogno della guida dei genitori o degli insegnanti per apprendere nuovi concetti, aumentare le proprie capacità ed imparare a condividerle con gli altri. Seguendo questa logica, l’Unione Europea ha iniziato ad occuparsi dei plusdotati già dalla fine degli anni ‘80, raccomandando tutti gli Stati di adottare delle leggi che permettano a questi bambini di essere capiti ed alla scuola di essere sufficientemente elastica da rispondere anche ai loro bisogni. In Italia, si stanno muovendo adesso i primi passi per il riconoscimento di questi bambini. L’Ordine degli Psicologi ha di recente promosso un libro dal titolo “E se mio figlio fosse un genio?” per divulgare questo argomento fra genitori ed insegnanti.

QI medio: QI=100

plusdotati: QI=130 e più

I plusdotati sono bambini molto intelligenti, saremmo altrettanto abili noi adulti nel capirli? 13


PARLIAMONE educare/crescere

a cura di

Desiree Cobianchi Psicoterapeuta familiare e coordinatrice La Fiondina

compe

tizione

sana abitudine o cattivo esempio?

D.Cobia nchi

La competizione nei bambini è un elemento di cui spesso si discute. C’è chi ritiene sia una sana abitudine, che stimola nel bambino voglia di fare e portare a termine qualcosa, legata alla soddisfazione personale, e chi invece la considera dannosa per lo sviluppo del bambino, che si vede “giudicato” in caso di fallimento. La competizione in età pre-scolare non è un elemento sempre insito nel

bambino: alcuni la sviluppano naturalmente mentre altri vengono sollecitati a formarla. A questa età le attività del bambino sono essenzialmente “giochi strutturati” che dovrebbero avere il solo scopo di divertire e formare varie competenze motorie e cognitive. Sempre più spesso, tuttavia, si iniziano attività sportive dai 3 o 4 anni, con relative gare e competizioni che, se per i bambini dovrebbero ancora essere vissute come “gioco”, talvolta per i genitori sono vissuti in modo differente. È questo atteggiamento a creare l’ansia da competizione nel bambino e ad impedirgli di vivere serenamente l’esperienza sportiva o collettiva.

Ridurre tutto al risultato non è mai una cosa positiva per il bambino, che perde di vista tutto ciò che di costruttivo deriva da attività di squadra o dalla spensieratezza del momento. Diversamente, in età scolare, è più frequente che nel bambino nasca l’istinto

di “arrivare primo”, essendo sempre sollecitato da ciò che lo circonda e dall’atteggiamento dell’adulto, ed è in questa fase che il deve imparare a tollerare la frustrazione e accettare la vittoria dell’altro. Ultimamente invece vi è una tendenza ad eliminare ogni tipo di frustrazione secondo la formula del “vinciamo tutti”; se da una parte è vero che incentrare tutto sul risultato sia controproducente, dall’altra il bambino, nel suo essere complesso e in formazione continua, non va considerato eccessivamente fragile e bisognoso di essere protetto da tutto ciò che lo circonda. Un approccio troppo protettivo può infatti essere dannoso per il suo sviluppo emotivo. Provate a immaginare un bambino al quale non viene mai fatta provare una frustrazione o una sconfitta: crescerà incapace di far fronte alle difficoltà della vita e penserà che tutto ciò che capita di negativo derivi da una sua incapacità personale. 14


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Un ruolo chiave è quello del genitore, che deve insegnare al figlio che a scuola, così come nello sport, si può anche sbagliare, ma l’importante è imparare a reagire positivamente

Il ruolo del genitore è essenziale soprattutto nel dare l’esempio: il bambino cresce per imitazione e, oltre al gruppo dei pari, il principale soggetto di imitazione è proprio il genitore, che egli vive come esempio da seguire, nel bene e nel male.

La giusta via di mezzo (e qui entra in gioco il concetto positivo di competizione) sta nell’imparare a tollerare gli insuccessi, capendo che dagli errori e dai fallimenti si può solo imparare a far meglio.

I fatti di Gela di qualche tempo fa ci insegnano come siamo spesso noi a creare nei bambini i presupposti per trasformare la competizione da sana a negativa: due mamme che si picchiano per avere il posto migliore alla recita del figlio non può che trasmettere l’idea che tutto ci è dovuto, a discapito degli altri e giustificando la violenza verbale e fisica; i genitori che insultano l’arbitro o i giocatori durante le partite dei figli, insegneranno loro che abbiamo sempre ragione, che il denigrare l’altro è giusto e che la sconfitta non è contemplata se non distruggendo l’immagine altrui, delegando la responsabilità e le proprie colpe sugli altri.

Attenzione, non si deve pretendere che il bambino non sia triste o non si arrabbi di fronte alla frustrazione, poiché lo sfogo delle emozioni è un momento positivo in cui si capisce che il bambino tiene a ciò che sta facendo; questo diventa però disfunzionale se totalizzante, cioè se il bambino non si consola e si sente completamente sopraffatto dalla negatività dell’esperienza. Sta quindi al genitore aiutare il figlio a reagire e superare paure, difficoltà o ostacoli che gli si presenteranno, inevitabilmente, nel corso della vita.

Ricordiamoci sempre che noi adulti siamo lo specchio dei nostri figli, e se vogliamo che crescano indipendenti, sicuri e rispettosi dobbiamo noi per primi mostrarci tali ai loro occhi.

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la Sincerita`

PARLIAMONE educare/crescere

La sincerità è necessaria anche quando la verità è difficile da dire e può far male. a cura di

Roberta Marangoni Psicologa e psicoterapeuta

Sempre

Fare i genitori, si sa, non è compito semplice, per quanto ci si possa documentare e chiedere consigli, il “mestiere” di genitore si impara sul campo giorno dopo giorno. Costruire la fiducia di base e promuovere il senso di sicurezza

R.Mara

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ngoni

Un compito fondamentale che i genitori hanno nell’accompagnamento alla crescita dei figli è favorire la costruzione della fiducia di base e promuovere il senso di sicurezza che renderà il bambino un adulto che crede in sé stesso, negli altri e nella vita. Ecco che la sincerità con i figli diventa fondamentale, in quanto è un ingrediente base in qualsiasi rapporto di fiducia. La sincerità è necessaria anche quando la verità è difficile da dire e può far male, ad es. quando i genitori hanno deciso di separarsi o c’è qualche lutto in famiglia o il bambino è stato adottato, ecc. La menzogna e il segreto indeboliscono il rapporto di fiducia tra genitore e figlio, considerando anche il fatto che i bambini, anche piccoli, sono molto sensibili nel cogliere gli stati d’animo dei genitori, e “comprendono” quando c’è “qualcosa che non va”, anche se non sanno spiegare cosa. Se è importante essere sinceri con i propri figli, è di fondamentale importanza il modo in cui la verità viene co-

municata: il linguaggio deve essere adeguato all’età del bambino e l’adulto dovrebbe cercare di affrontare i propri conflitti e stati d’animo connessi alla situazione critica da comunicare; tali conflitti, se non risolti, portano ad una comunicazione opprimente per il figlio. Comunicare la verità nel modo più appropriato e adeguato all’età.

La capacità dei bambini di “sopportare” la verità dipende infatti dalla capacità degli adulti di gestire il dolore e i conflitti connessi a tale verità. Se il genitore coinvolge troppo profondamente il figlio nei propri problemi, nei cambiamenti di umore, nei dubbi, il bambino svilupperà un esagerato bisogno di vicinanza affettiva, si sentirà in dovere di “fare qualcosa” per aiutare il genitore, nei casi estremi si può verificare un’inversione dei ruoli. Se al contrario il genitore fa il possibile per risparmiare al figlio il confronto con i problemi, il bambino non acquisirà la consapevolezza che lo stress e i problemi sono parte della vita quotidiana e ci si deve impegnare attivamente per risolverli. Come si deve comportare un genitore? Un genitore dovrebbe parlare al proprio figlio con sincerità e con chiarezza, in modo tale che il bambino sappia con certezza cosa sta per accadere o sia accaduto e sia così in grado di tenere sotto controllo le proprie paure.


anche di fronte al dolore Ad es. nel caso di una separazione non è sufficiente dire al proprio figlio che i genitori si separeranno, occorre anche parlargli apertamente dei suoi sentimenti ( “Capiamo che ti stiamo dando un dolore e ci dispiace tantissimo. Ora tu ti senti triste e anche arrabbiato con noi, è normale che sia così”). E’ necessario dire al bambino che non ha nessuna responsabilità e spiegargli le conseguenze concrete della decisione dei genitori (dove abiterà, con chi, quando potrà vedere un genitore o l’altro, come sarà organizzata la sua quotidianità, ecc…). E’ importante inoltre rassicurare il bambino sul fatto che potrà continuare a volere bene sia alla mamma sia al papà e che verrà mantenuta la relazione con entrambi i genitori. Ciò che invece non deve essere fatto è

Permettete ai figli di esprimere liberamente le loro emozioni.

coinvolgere il figlio nelle questioni di coppia dei genitori. Permettere al proprio bambino di esprimere apertamente le proprie emozioni, anche se sono negative e fanno sentire in colpa, è l’unico modo per dare forma ad una comunicazione profonda e proficua. Il dolore, sia nei bambini, sia negli adulti, può essere superato solo se è accettato, e diventa il “motore” per lo

sviluppo di nuove forze. Se si permette al proprio figlio di parlare liberamente del proprio stato d’animo e si ammette con lui che la tristezza, la paura, la rabbia, la disperazione sono pienamente giustificate, lo si protegge da disturbi e patologie e gli si insegna ad affrontare situazioni problematiche che, prima o poi, la vita presenta.

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PARLIAMONE educare/crescere

Quanti modi ci sono per educare all’affettività i ragazzi? E parlare di affettività significa anche affrontare la questione della sessualità?

dr Antonio Meo referente Teen Star per Rovigo

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L’educazione AFFETTIVA per una giovane stella Tra i tanti programmi di educazione all’affettività ed alla sessualità, uno è proprio il Teen Star. Teen come teen-ager. Star come stella. Giovane stella, capace di essere luce se, con consapevolezza, riesce a realizzare ciò che è davvero. L’immagine che contraddistingue questo programma è infatti una stella a 5 punte. Cinque come le dimensioni esistenziali della persona di cui il programma tiene conto: Fisica, Emozionale, Intellettuale, Spirituale, Sociale. Il programma è stato ideato negli anni ’80 dalla dott.ssa Hanna Klaus docente presso la George Washington University e attualmente diretto dalla Prof.ssa Pilar Vigil ginecologa e biologa docente della Pontificia Università Cattolica del Cile. Prevede percorsi per le diverse fasi dell’età evolutiva: bambini, adolescenti e giovani e anche per i genitori. Prevede inoltre workshops formativi per genitori, insegnanti, educatori, personale medico e paramedico. Il dottor Antonio Meo, pediatra, è referente del programma TeenStar per Rovigo ed insieme ad una decina di tutor ( educatori, insegnanti, medici, volontari, formati alle modalità del Teen Star) è impegnato a promuovere il metodo come occasione di crescita e di consapevolezza affettiva tra i giovani in Polesine.


A quale bisogno vuole rispondere Teen STAR?

Il bisogno di scoprire la bellezza di una relazione affettiva vera e profonda, in cui la sessualità è una dimensione fondamentale, che per essere vissuta pienamente deve essere collegata alla gratuità del dono ed alla capacità di trasmettere la vita. I tutor Teen STAR cercano di aiutare i ragazzi a scoprire questa bellezza, in un mondo che invece preferisce ignorarla e tende a fare di ogni relazione una merce di consumo. I ragazzi non possono scoprirlo da soli?

In alcuni casi si. Nella maggior parte però è necessario essere affiancati da chi ha conoscenze adeguate e sa parlare loro con chiarezza ed in modo incisivo. Il tutor non travasa semplicemente le sue informazioni, ma sollecita, invita a riflettere. Spinge i ragazzi a cercare oltre la superficie un significato più autentico, non soggetto alle mode. E lo fa con il gioco. Così riesce a parlare ad ogni età. Il Teen Star ha percorsi adatti ai bambini della scuola primaria, ai preadolescenti e agli adolescenti, per ogni tipologia di età ha contenuti e metodi adeguati.

Lo studio fornisce un Servizio di consulenza, diagnosi, riabilitazione nel vasto campo della neuropsicologia/psicologia, neuropsicomotricità e logopedia attraverso l’applicazione di una specifica metodologia, basata sulla ricerca scientifica più avanzata dell’assessment, prevenzione, potenziamento e riabilitazione delle disarmonie dello sviluppo, dei disturbi di apprendimento e ritardi di linguaggio. Il Centro Polo Apprendimento di Rovigo opera con la diretta supervisione della prof.ssa Daniela Lucangeli e della prof.ssa Elisabetta Genovese

E le famiglie?

Nella buona riuscita del programma sono fondamentali. Spesso sono proprio i familiari a riferire che i ragazzi, frequentando i corsi, migliorano nelle relazioni familiari, acquistano maggiore autostima. Concetto fondamentale quest’ultimo per vivere la relazione, ogni forma di relazione, da protagonisti ed in modo responsabile. E’ così che la capacità di scelta si affina in consapevolezza e autentica libertà. Di quale consapevolezza sta parlando?

La consapevolezza che l’attrazione fisica è uno dei tanti aspetti di una relazione affettiva. E se per i maschi il più delle volte è totalizzante, nella maggior parte dei casi per le femmine non è così. In loro prevalgono emozioni e sentimenti che hanno bisogno di esprimere, verbalizzare, veder ricambiati. Comprendere come siamo fatti, come funzioniamo a livello fisico, ma anche emotivo e psicologico, comprendere le rispettive differenze tra maschi e femmine è un buon modo per costruire un dialogo sincero, per non ferirsi. E anche per scegliere, non subire, il momento in cui vivere l’intimità del primo rapporto. Essere consapevoli significa comprendere la differenza tra innamoramento ed amore. Il primo centrato su se stessi, su ciò che si prova. Il secondo, invece, aperto all’altro, alla differenza, accogliente e generoso. Non più centrato sulle emozioni del sé, ma sul volere il bene dell’altro. E il bene della persona riguarda tutte le dimensioni del suo essere, tutte le punte della stella. Educazione sessuale, ovvero?

Educare a capire che la sessualità non si limita all’intimità fisica, ma comprende tutto ciò che fa di Mario un uomo e di Maria una donna: il loro modo di agire, di pensare, di sentire, di relazionarsi. Modi diversi, ma complementari. Così intesa, la sessualità è sempre fondamentale nell’amore. Anche nell’amore più spirituale.

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STAR BENE Il Pediatra

ATTENTI

AL MUCO

Tempo di raffreddori, riniti e di tossi che non vogliono finire. E noi mamme pronte con la macchinetta per l’aerosol. Ma funziona davvero? Lo chiediamo al dottor

Antonio Caserta Pediatra di famiglia

Quando è utile fare l’aerosol al nostro bambino?

E se di notte russa tanto da avere il sonno disturbato?

Bella domanda, soprattutto perché ho l’impressione che troppo spesso venga utilizzato impropriamente e quindi non apporti alcun beneficio alla salute del bimbo. L’aerosol è infatti una terapia utile per l’asma, la bronchite asmatica, la laringite o il laringospasmo. In tutti gli altri casi si tratta solo di terapia di supporto, non risolutiva del problema. E ciò vale anche nei casi in cui si debbano trattare bimbi piccoli che non possono prendere i mucolitici classici per via di bocca. Aggiungerei inoltre una precisazione circa il modo di somministrare un aerosol: la mascherina deve rimanere attaccata al viso del piccolo paziente. Oltre i 2 centimetri di distanza il vapore perde la sua efficacia.

Può esserci un segnale indiretto di una ipertrofia delle adenoidi. Una diagnosi più precisa la si può fare con una Rinoscopia, ovvero un esame che consiste nell’inserire attraverso le narici una canula con una piccolissima telecamera capace di rilevare lo stato di salute delle adenoidi. Solo a quel punto si può prescrivere una cura.

E nelle riniti, ovvero quando il catarro non vuole proprio scendere dal naso?

In questi casi più efficaci sono i lavaggi nasali, fatti bene però, con siringhe apposite e fisiologica. Se la rinite è cronicizzata ed il muco non vuole proprio sciogliersi, allora è bene sostituire la fisiologica con l’acqua termale di Sirmione o di Abano. L’acqua di mare o ipertonica è da preferire alle precedenti quando dobbiamo trattare bambini molto piccoli che soffrono di bronchiolite o quando il muco ha raggiunto i bronchi. In ogni caso è sempre opportuno consultare il pediatra di famiglia, soprattutto se le secrezioni hanno un colore giallo-verdognolo, se dopo 7 o 10 giorni il problema non si è risolto o se compare la febbre. 20

Cioè l’intervento chirurgico di asportazione?

Non necessariamente. Sarà lo specialista Orl, di concerto con il pediatra, a valutare il caso. L’intervento diventa necessario solo nei casi in cui il bimbo fatichi a respirare e soffra di apnee notturne. Se però il bimbo ha superato l’età più critica, ovvero il passaggio alla scuola materna, lo specialista può prevedere una terapia diversa che alterni cicli di aerosol, l’uso di cortisonici, mucolitici e/o antibiotici e se necessario sedute termali. Queste ultime sono sempre da consigliare nei bimbi che hanno più di 5 anni e che in conseguenza ad una ipertrofia adenoidea abbiano sviluppato una forma di ipoacusia, cioè il catarro è passato dal naso alle orecchie ostruendole. E’ importante non sottovalutare mai l’ipoacusia che nei più piccoli può essere causa anche di un tardivo sviluppo del linguaggio. Esistono sistemi di prevenzione?

Credo proprio di no in questi casi. I bambini solo con il tempo formano la loro biblioteca di anticorpi e quando sono più grandi possono attingere dalla quella stessa biblioteca per far fronte ai tanti rischi del vivere in un contesto sociale e relazionale.


viSione

e sport seconda parte

a cura della dottoressa

Gloria Birolo

ortottista Ottica Toffoli, Rovigo

Nell'articolo precedente abbiamo parlato dell'importanza che svolge il sistema visivo durante le attività sportive, soprattutto dei più piccoli. Per valutare le abilità visive di un bam-

bino è importante che esso sia sottoposto a screening periodici, poiché il suo sistema visivo è in continuo sviluppo. Deve essere controllato lo stato refrattivo, la presenza o meno di difetti visivi, la motilità oculare e la visione stereoscopica; quest’ultima è responsabile della percezione della profondità. Ogni limitazione a carico del sistema visivo può diventare un motivo di difficoltà anche durante le attività sportive.Ogni limitazione a carico del sistema visivo può diventare un motivo di difficoltà anche durante le attività sportive. Vi sono molti modi di suddividere gli sport, in base al tipo d’impegno fisico richiesto, al numero di persone coinvolte e all’ambiente dove viene praticato. Ad esempio, uno sport come il rugby, di contatto, avrà esigenze diverse rispetto a un’attività come il tennis, più individuale. Entrambi, però, hanno bisogno di libertà di movimento e di un campo visivo ampio. Ovviamente l’utilizzo degli occhiali abituali è più difficoltoso durante le attività sportive. Per questo motivo, spesso il genitore sceglie di far togliere gli occhiali durante l’esercizio fisico, in modo da evitare ogni rischio. I difetti visivi sono molto diversi tra loro, in alcuni casi le difficoltà sono più elevate rispetto ad altri. Quando manca la giusta compensazione, anche se il difetto visivo è contenuto, il bambino può sentirsi a disagio poiché limitato nella sua attività. Esistono degli occhiali per lo sport? Certamente, il nostro centro ottico ha selezionato alcune tipologie di montature adatte per le varie esigenze sportive. Esse sono realizzate con ma-

teriali leggeri e resistenti. Il rivestimento interno mantiene l’occhiale aderente al viso e protegge in caso di urto. Sono presenti, inoltre, sistemi di ventilazione nella montatura che eliminano l’appannamento delle lenti. Le lenti oftalmiche utilizzate per questi occhiali hanno caratteristiche ben precise che le rendono sicure in caso d’impatto. Per chi pratica sport in acqua? L’occhialino da piscina graduato è stato introdotto per dare la possibilità di vedere nitidamente anche durante queste attività. Sono confortevoli, ergonomici e studiati per garantire una buona visione dentro e fuori l’acqua. La lente a contatto può essere una soluzione? Le lenti a contatto morbide sono utilizzate anche in età pediatrica, dopo aver consultato il medico oculista. Questa tipologia di correzione deve avere caratteristiche specifiche per essere utilizzata durante l’attività sportiva. Il nostro team di professionisti, attraverso una strumentazione avanzata, seleziona le lenti più adatte per il vostro bambino. Nella pallanuoto, ad esempio, per ragioni di sicurezza, l’occhialino da piscina viene sconsigliato. In questo caso la lente a contatto può diventare un’ottima soluzione. Noi di Ottica Toffoli sappiamo quanto è importante seguire il vostro bambino dopo l’acquisto di occhiali o lenti a contatto per cui dedichiamo la massima attenzione al post-vendita e restiamo a vostra disposizione per consigli e informazioni o anche per una semplice consulto. (Ottica Toffoli piazza Vittorio Emanuele II - Rovigo)

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TRE SU QUATTRO Tre bambini su Quattro dai 6 agli 11 anni presentano una MALOCCLUSIONE, che va dal semplice inestetismo del sorriso ai più complessi problemi di ingranaggio dentale

QUATTRO su cinque Quattro ragazzi su Cinque, dai 12 ai 17 anni presentano un affollamento dentale (denti non allineati)

QUESTI PROBLEMI VANNO RISOLTI !! █ pagina

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Gli Skin Prick Test sono prove allergiche cutanee di semplice esecuzione ed indolori.

STAR BENE Il Pediatra

Perché fare il test?

SKIN PRICK TEST

Le prove allergiche per alimenti sono indicate sin dai primi mesi di vita nei bambini con dermatite atopica moderata-grave e/o con familiarità per allergia, prima dell'introduzione con lo svezzamento di proteine di latte vaccino (se non si assume già latte artificiale), soia, grano, uovo, pesce, arachide e frutta

Test per scoprire le allergie a cura di

Mariangela Berardi Pediatra, specialista in allergologia Ospedale di Vicenza

in guscio, a causa della possibile sensibilizzazione a tali alimenti. Inoltre sono indicate a qualsiasi età in tutti i bambini che presentano una reazione allergica immediata, comparsa da pochi minuti a due ore circa dall'assunzione dell'alimento imputato, caratterizzata da manifestazioni variamente associate fra di loro, quali orticaria, gonfiore di labbra, palpebre, viso e lingua, rinocongiuntivite, dolore addominale, vomito, difficoltà respiratoria, sensazione di svenimento, cambiamento del tono di voce, difficoltà a deglutire. M.Bera rdi

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Le prove allergiche per inalanti (ad es. pollini, peli di animali domestici, acari della polvere) sono indicate dai primi anni di vita soprattutto nei bambini con dermatite atopica, con familiarità di primo grado (genitori e/o fratelli) per allergie e/o con mucosa nasale pallida ed ipertrofia dei turbinati. Sono indicate anche se vi è la comparsa di episodi ricorrenti di broncospasmo e/o sintomi suggestivi di rinocongiuntivite allergica, quali prurito al naso e agli occhi, secrezioni nasali acquose, frequenti starnuti, ostruzione nasale, lacrimazione e/o iperemia congiuntivale, presenti tutto l'anno o in determinati periodi (ad es. in primavera nei bambini allergici alle graminacee). Cosa fare prima del test?

Pochi giorni prima sospendere gli antistaminici che possono alterare i risultati. Non è necessario il digiuno il giorno dell’esame. Come si esegue il test?

Il test si effettua utilizzando per ciascun allergene una goccia di estratto sterilizzato ed una lancetta sterile monouso.

Con la lancetta, penetrando la goccia di ciascun allergene, pungerà, quindi, la cute molto superficialmente senza provocare generalmente sanguinamento né dolore.

• Eseguita la puntura, la soluzione allergenica potrà essere rimossa evitando di mescolare tra loro le varie soluzioni.

• Il test potrebbe causare lieve fastidio e/o prurito. Il bambino non dovrà toccare l’area del test. Si potrà soffiare delicatamente sulla zona interessata per alleviare l’eventuale prurito in attesa della lettura del test.

• La lettura dei risultati avviene dopo 15-20 minuti dall’esecuzione. Se il bambino ha una sensibilizzazione allergica ad uno qualsiasi degli allergeni testati, sulla sua pelle apparirà un “ponfo” (ossia un rigonfiamento cutaneo pruriginoso), del diametro maggiore di almeno 3 mm, con o senza alone di colore rossastro in corrispondenza dell’allergene interessato, destinato a risolversi completamente in poco tempo, di solito entro 30 minuti.

Solitamente i test sono effettuati sulla parte volare dell’avambraccio; nel bambino piccolo o in caso di aree di eczema l’operatore può decidere di effettuarli in altra sede (es. il dorso o la coscia).

Per dimostrare che il test è stato effettuato correttamente, l’operatore applicherà oltre agli estratti allergenici anche due gocce di controllo, una delle quali (istamina) provocherà un ponfo, a conferma della validità del test.

• L’operatore segnerà con una penna i diversi allergeni sulla cute del bambino e deporrà una goccia di estratto allergenico in corrispondenza del relativo segno.•

• Per alleviare prurito ed arrossamento dopo il test si potrà lavare l’area con acqua fredda o applicare un sottile strato di crema a base di cortisone.

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STAR BENE mamme e bebé

ALLATTAMENTO e FALSI MITI 1.Il dolore ai capezzoli è normale, devi farci il callo

P.Chiere ghin

a cura di

Paola Chiereghin Consulente volontaria La Leche League Italia Taglio di Po Che allattare faccia bene alla salute della mamma e del bambino è ormai risaputo. Le mamme di oggi poi, anche grazie al web, hanno a disposizione una infinità di informazioni ma non è sempre facile distinguere quelle scientificamente valide da quelle basate su vecchie credenze. Questo è uno dei motivi per cui, le 125 consulenti de La Leche League Italia, si trovano a rispondere a migliaia di richieste ogni anno. Ma quali sono i falsi miti che più frequentemente ci troviamo a sfatare? Ecco una piccola classifica

Realtà: Dolore e ragadi non sono mai normali! Nei primi giorni di allattamento è normale un fastidio, che dovrebbe passare rapidamente quando il bambino inizia a poppare con efficacia (il tempo di contare fino a 3...); se il dolore diventa più intenso o dura più giorni è probabile che ci sia qualcosa da rive-dere sul posizionamento del bimbo al seno e sull’attacco. 2. Se un bambino non aumenta bene di peso è a causa della bassa qualità del latte della mamma

Realtà: Molti studi dimostrano che anche donne malnutrite possono produrre latte di qualità e quantità sufficienti per allevare un bimbo in crescita. Spesso il basso aumento di peso è correlato ad un’insufficiente assunzione di latte (causata da un attacco non efficace o una gestione scorretta delle poppate) o ad un problema di salute del bambino. 3. Non puoi prendere medicinali in allattamento

La Leche League (Lega per l'Allattamento Materno) è un'associazione di volontariato che incoraggia e sostiene le mamme che desiderano allattare al seno. E’ un’organizzazione internazionale apolitica, aconfessionale e senza scopo di lucro. Fondata negli Stati Uniti nel 1956. Tutte le consulenti de La leche League sono mamme che hanno allattato al seno i loro figli e che si rendono disponibili ad aiutare altre mamme per la normale gestione dell’allattamento. 26

Realtà: Ci sono pochissimi farmaci pericolosi per l’allattamento. E’ opportuno chiedere sempre al medico di valutare se l’interruzione dell’allattamento sia necessaria. In casi dubbi, L'Ospedale di Bergamo, 800-883300, risponde ai problemi di compatibilità. 4. Se rientri al lavoro non potrai allattare

Realtà: Milioni di mamme allattano e lavorano, con grande beneficio di madre e del bambino. E' importante es-

sere sostenute da chi sta intorno, e conoscere altre donne che hanno vissuto o che stanno vivendo la stessa situazione. 5. Dopo 10 mesi il latte diventa acqua

Realtà: Le ricerche hanno dimostrato che il latte del secondo anno è molto più nutriente che nel primo. Anche dopo due anni, o più, esso continua a essere una valida fonte di proteine, grassi, calcio e vitamine. Favorisce uno sviluppo fisiologico del metabolismo e previene malattie metaboliche come obesità e diabete, in misura maggiore quanto più il bambino è allattato. È stato anche dimostrato che la concentrazione delle sostanze immunitarie contenute nel latte materno aumenta man mano che il bambino cresce e poppa meno. 6.I bambini allattati dormono meno

Realtà: la ricerca dimostra che i bambini allattati dormono 17 minuti in meno dei bambini nutriti con formula, ma la qualità del loro sonno - e quella del sonno dei loro genitori - è decisamente migliore L’elenco potrebbe essere ancora molto lungo, per cui vi invitiamo a visitare il sito de La Leche League Italia: www.lllitalia.org, dove potrete trovare tante notizie utili, i nostri contatti, il numero unico nazionale 199432326, che risponde tutti i giorni dalle 8:00 alle 20:00 e le informazioni sugli incontri che si terranno anche a Rovigo, il 23 marzo e il 25 maggio.


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CENTOSTORIE vite in libreria

Forte come il coraggio a cura di

Micol Andreasi

Edito dalla casa editrice Kimerik alla fine del 2018, “Avrei voluto lo zucchero filato” è l’esordio narrativo della rodigina Valentina Borella, educatrice professionale e pedagogista clinica, specialista in comunicazione aumentativa. Si tratta di 121 pagine scritte ad inchiostro ed emozione, veloci da leggere, non sempre facili da digerire, soprattutto quando la tensione emotiva si alza. E si alza spesso, come è giusto che sia in un testo autenticamente sincero come lo sono le pagine di un diario a cui una mamma confessa le sue paure, le sue frustrazioni, le speranze e le disillusioni. Non aspettatevi, però, di leggere il diario privato di mamma Valentina Borella: Avrei voluto lo zucchero filato è altra cosa. E’ la rivisitazione di quelle pagine di cui mai nessuno – così ci dice l’autrice- conoscerà il contenuto, perché confinato in quell’agenda cui Valentina ha dato il nome di Coraggio, e da cui ogni pagina del suo libro ha origine. Coraggio ci vuole a scegliere di diventare genitore. Coraggio ci vuole ad accettare che le cose non vanno sempre come da programma. Coraggio ci vuole a non ritirarsi dalla battaglia quotidiana che un figlio con qualche difficoltà ti obbliga ad affrontare. Coraggio ci vuole a smettere di colpevolizzarsi. Coraggio ci vuole per imparare a vivere nel qui ed ora, senza però lasciare nulla al caso, continuando a studiare, a cercare di capire, a porsi domande per permettere a lui di essere felice anche quando non ci sarai. E ci vuole coraggio anche a rileggere le pagine dolorose della propria vita, a riscriverle perché il mondo conosca non il dolore, ma la strada per uscirne. Così, i pensieri e le emozioni della neo-mamma si incrociano-scontrano, a volte si incontrano con quelli dell’ educatrice professionista, una di quelle che una soluzione, un metodo pratico per restituire equilibrio alle situazioni, li trova per definizione. Per tutti. Ma non per suo figlio, non subito, almeno. E’ allora che entrano in gioco iI ritornello di una canzone o una battuta scherzosa...servono a ricacciare lontano le lacrime e a strappare un sorriso. Pagina dopo pagina, l’autrice ci accompagna con leggerezza ed ironia dentro il suo conflitto, quello tra la Vale-mamma e la Vale-pedagogista, alla ricerca di soluzioni, ma soprattutto di senso per ciò che la vita le ha riservato. Ci consegna cadute e ripartenze, incontri, conversazioni e solitudini. Ci lascia in eredità la testimonianza di una donna che ha compreso che bisogna morire un po’ per rinascere. E bisogna perdersi per ritrovare la strada verso casa, verso il senso che ogni vita ha. “ Quando le mamme dei miei piccoli pazienti vengono da me e a denti stretti e con gli occhi lucidi mi raccontano del loro bimbo, io dico loro che le comprendo. Non lo dico perché ho studiato, ma perché lo so”.

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Valentina Borella

Pedagogista clinica, educatrice professionale, psicomotricista funzionale in formazione, collaboratore del Viavai dei Piccoli, ma soprattutto mamma... Valentina Borella si racconta in un libro intenso e forte

Perché il titolo “Avrei voluto lo zucchero filato”? Perché lo zucchero filato è leggerezza, dolcezza, è festa e persino colore. Chi non lo ha mai desiderato? Perché quando ero incinta pensavo al mio bambino ed al nostro rapporto come ad un meraviglioso ed interminabile zucchero filato. Perché, dopo la sua nascita, e a volte anche oggi, vorrei potermi sentire leggera come quello zucchero, spensierata come in una giornata di festa alle giostre del paese… Quando è nata l’idea di un libro? La scrittura, come la lettura, mi accompagna da sempre. Su un’agenda, una sorta di diario segreto che ho rinominato “Coraggio”, dal primo giorno della gravidanza ho appuntato tutto. Tutto ciò che è bene resti contenuto dentro quelle pagine. Ma più tardi, quando il mio bambino era già inserito nella scuola materna, ed io mi ero finalmente riappacificata con la vita, ho sentito il desiderio di dare forma alla mia esperienza, di raccontarla, di condividerla. Non per sfogare il mio dolore, quello era già stato rielaborato insieme con il senso di inadeguatezza e la paura del giudizio degli altri... Ma per dire e raccontare... Ad un certo punto della nostra storia, ho sentito l’urgenza di invitare chi vive immobile, arroccato alle sue poche o tante certezze, a porsi qualche domanda. E al tempo stesso di rassicurare chi di domande ne ha troppe. Mia intenzione era mostrare, testimoniandolo, che in ogni dolore c’è un senso, degno di essere cercato e trovato. Tu lo hai trovato? Oh si, e non senza fatica! Qual è? Che mio figlio è la cosa più preziosa al mondo. Che devo tutto ciò che sono ora a lui. Per lui mi sono rinnamorata del mio lavoro da pedagogista e da educatore, per lui ho voglia di studiare e trascorrere nottate intere davanti ai libri. Per lui ho voglia di combattere a fianco di tutte quelle persone e famiglie che chiedono città e paesi più inclusivi, capaci di comunicare anche con chi ha “caratteristiche specifiche” diverse dalla maggior parte. Con lui, come ogni mamma, sono rinata nel giorno del parto, e con lui rinasco ogni giorno in cui insieme riusciamo a raggiungere un traguardo, per altri banale, per noi straordinariamente eccezionale. Hai paura? Quale mamma non ce l’ha? Ma ho imparato a guardarla negli occhi la mia paura e a fermarla prima che mi divori e mi impedisca di vedere che oltre a me e suo padre, fuori di qui, da questa casa, c’è un mondo fatto anche di persone accoglienti, generose e capaci di andare incontro al prossimo con competenza e sincero affetto. La scuola e le maestre di mio figlio ne sono la prova. 29


L’INTERVISTA a cura di

Micol Andreasi

STEFANO SGAMBATI scrittore e giornalista

un padre

in atteSa

“Anche un padre aspetta un figlio, ma all’opposto di una madre, non percepisce i movimenti fetali, non perde per un istante il respiro mentre capisce che un altro essere vivente lo abita: in un padre non c’è posto. Né sente la vita che arriva: se la ritrova... “ Si può raccontare l’esperienza della paternità senza cadere nella retorica? Nei cliscé o nei luoghi comuni

Stefano Sgambati sarà ospite della rassegna “Punti di vista” a Costa di Rovigo il 4 aprile 2019 ore 21.00 presso il Teatro M.V.Rossi

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di tanta letteratura? Si può parlare in modo onesto e sincero, senza pudori, della fatica di diventare padri? Ci ha provato Stefano Sgambati nel suo romanzo-memoriale “La bambina ovunque” edito da Mondadori e uscito nel settembre scorso. Classe 1980, papà da due anni e mezzo, scrittore e giornalista di origine napoletana ma romano di adozione, Stefano racconta di sé, della sua lunga gestazione, del lavorio interiore che all’ombra, prima, di una madre in attesa e poi di una meravigliosa neonata, lo ha portato, non senza fatica, alla gioia di sentirsi padre. Senza dare nulla per scontato, con una buona dose di ironia, in una forma curata e ricercata, il libro svela tutto ciò che fino ad ora non era bene dire sulla fatica di diventare papà.

Cosa significa “La bambina ovunque”?

Il titolo iniziale del libro era “L’uomo invisibile”. Avevo posto tutta l’attenzione su quello strano personaggio, protagonista del romanzo, che sono io. Solo quando il lavoro era terminato, ho deciso di cambiare il titolo in La bambina ovunque. Bambina che nella narrazione compare di fatto solo due volte, ma che è comunque onnipresente. E’ nel lessico, nella quotidianità, nei discorsi degli amici, dei parenti, nella pressione sociale. Per tutti i nove mesi della gravidanza di mia moglie e direi anche per molti mesi prima di riuscire a concepire, per tutto l’anno, e forse più, successivo alla nascita, non si è parlato d’altro che della bambina. Il mondo fuori aveva cessato di esistere.


Che cos’è per te questo libro?

Una lunga indagine su di me, sulle mie contrastanti emozioni fino al punto in cui sono riuscito a fare pace con esse e a scoprirmi padre. Il libro è nato dal mio bisogno di indagare profondamente, di comprendere fino in fondo cosa mi stesse succedendo. E’ nato da una situazione complessa e certamente di difficoltà. Sono convinto che siano proprio queste le situazioni in cui nasce la bella letteratura. A cosa ti riferisci quando dici “situazione complessa”?

Alla difficoltà mia e di mia moglie di diventare genitori, all’ansia ed alla paura che ne è seguita. Alle sedute ed alle visite negli ambulatori per la fecondazione assistita, dove io, maschio-uomo-marito-futuropadre, sparivo dietro ai bisogni della futura mamma. Perdevo persino il mio nome proprio. Ero solo “lui”, il passaggio necessario, l’accompagnatore, il marito…invisibile appunto. Intendo anche la complessità di gestire poi la vita che naturalmente cambia quando arriva il pargolo. E non è tutto facile ed immediato, o almeno non lo è stato per me.

Quando sei diventato davvero papà?

Come è cambiata la tua vita, dopo la nascita di tua figlia?

Nel libro la mia storia di padre è scandita in due momenti. Il primo è quello in cui io seguo mia moglie, la accompagno, la assecondo e mi prendo cura di lei. Lo faccio con amore, è chiaro. Non lo faccio, però, con quella partecipazione che è di chi sa dove vuole arrivare. Ho sempre immaginato che nella mia vita futura ci sarebbe stata una famiglia con dei bambini. Ma non sarei oggi un padre se mia moglie non fosse stata tanto forte e determinata nel voler perseguire la strada della maternità anche con la fecondazione assistita. Carolina è madre di mia figlia, ma lo è in parte anche del padre che sono ora. Il secondo momento è quando io comincio a comunicare con mia figlia. Quando, cioè, comincio a conoscerla davvero per quello che è, con la sua identità di bambina, altro da me o da sua madre. Fino a quel momento provavo per lei quell’infinita tenerezza e quel senso di protezione che probabilmente avrei provato di fronte ad ogni cucciolo che mi fosse stato affidato. Ecco, credo che la mia nascita consapevole al ruolo di padre sia cominciata in quel momento.

Ho scelto di non lavorare più da dipendente ma da freelance e da casa e questo indubbiamente mi permette una maggiore autonomia nella gestione della quotidianità. La fortuna è che la tipologia del mio lavoro lo ha permesso. Questa scelta è stata fondamentale per definire e conservare una routine che sia costante nelle nostre vite e soprattutto nella vita della bimba. Carolina infatti lavora come marketing manager per una multinazionale e viaggia per l’Europa almeno 3 o 4 volte al mese. Siamo riusciti a definire il nostro equilibrio familiare nel rispetto dei tempi di ciascuno e delle rispettive professioni. Il tuo prossimo libro? E’ in lavorazione. Non parlerà più di me, ma di una coppia al tavolo di un ristorante, alle prese con la scelta del menu e con un equilibrio da ritrovare...

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CENTOSTORIE libri e racconti

a cura di

Gaia Zanzottera libraia Rovigo

propoSte di lettura QUELLO SPECIALE di C. Lorenzoni - Ed. Illustrata

PAPA’ GUGOL di P. di Paolo - Ed. Bompiani

Un libro come una delicata e leggera poesia, per raccontare la cosa più semplice e speciale che ci sia... un bacio! Se “La forma del tempo” vi è rimasto nel cuore dovete scoprire anche questa piccola opera d'arte della stessa autrice, capace di emozionare con un linguaggio universale e semplice ma potentissimo. Le parole di Chiara Lorenzoni incantano grandi e piccini, accompagnate da illustrazioni sognanti...

Unendo parole e disegni, Paolo di Paolo ci fa entrare nel mondo di Carl, un bambino che vive in una casa vecchia e polverosa ma piena di libri, con i suoi nonni. La sua nuova vicina Emilia invece vive con due genitori ipertecnologici e connessi... ma se ha bisogno di sapere qualcosa la chiede a un certo Papà Gugol che sta nel suo telefonino. Non serve aggiungere altro per capire che questo piccolo ma concentrato libretto è necessario più che mai in questi tempi moderni!

BOY di R. Dahl - Ed. Salani

FIABE FELICI di O. Wilde - Ed. Giunti

Autobiografico ma divertente come tutte le sue storie, “Boy” racconta i cattivi del mondo reale, per metterci in guardia da loro e non credere sempre ai cattivi delle fiabe. Per chi ha amato “La fabbrica di cioccolato”, “Matilde”, il “GGG”... questo libro farà scoprire nuovi lati di uno degli autori per bambini più apprezzati di sempre!

0/5 anni

11/13 anni

7/10i ann

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Meno conosciute delle altre opere, le Fiabe di Oscar Wilde sono reperibili in edizioni con illustrazioni antiche, ma anche in versioni più moderne. Espressione della poetica e dell'estetismo di Wilde, restano dei piccoli capolavori... da avere assolutamente sulla libreria in cameretta!

dai1 2 anni


Q

CENTOSTORIE favole

IL POVERO ISLANDESE E LA NATURA Liberamente ispirato al Dialogo della Natura e di un Islandese di G. Leopardi, 1824

favola di

Coi Momok illustrazioni di

Emilia Mazzetto studentessa Liceo Artistico “Roccati” Rovigo

uesta è la storia di un vecchio islandese che trascorse gran parte della sua vita a fuggire da tutto. Quando era giovane, per molto tempo aveva inseguito il successo ed i soldi. C’era ben riuscito. Ma non era felice. Si era accorto infatti che ad ogni risultato raggiunto ne doveva seguire sempre un altro ancora più importante e poi un altro e ancora un altro… non bastava mai. Si era convinto anche che gli uomini tutti fossero più spesso arrabbiati ed infelici. Assai diffusa era l’invidia, sorella di avidità ed avarizia. Così un giorno decise di cambiare vita. Cercò un po’ di pace nella solitudine del paesaggio della sua bella Islanda. Non gli fu difficile. L’Islanda è davvero poco popolata. Si accorse però che il freddo di quegli inverni gli dava così fastidio da diventargli insopportabile, come il vento e la luce di certe giornate estive. Doveva andarsene. Cominciò allora il suo interminabile peregrinare. Attraversò l’Europa, ma in ogni paese provò fastidio ed inquietudine. Raccontò di aver incontrato popolazioni maleducate ed incivili. Dapprincipio, parve che alcune isole sull’oceano Pacifico gli piacessero molto. La gente era quieta, il cielo era sereno.

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lettura consigliata dai 9 anni

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Ma scoprì presto che quel cielo limpido veniva di sovente tormentato dai terremoti o dai maremoti. Nelle Americhe sperimentò tifoni e inondazioni. Attraversò foreste tanto fitte e spaventose da credere di non sopravvivere. In un’altra terra, che gli dissero essere la culla di ogni civiltà, dove per prime nacquero la scrittura, la ruota, i templi… incontrò solo guerre e sopraffazioni di uomini su altri uomini. Fu allora che decise di andare dove nessun altro uomo fino ad allora era andato, oltre la linea Equinoziale. Si addentrò nel profondo più profondo dell’Africa, sperando, finalmente, di trovare la sua agognata pace. Fu in quel luogo ameno che vide da lontano un busto grandissimo. Immaginò dovesse essere di pietra, a somiglianza di quelle pietre colossali viste molti anni prima nell’isola di Pasqua. Ma avvicinatosi, si accorse che era una forma smisurata di donna seduta in terra, con il busto dritto, il fianco ed il braccio appoggiati ad una montagna. Non era finta. Era viva. Il volto bellissimo e terribile al tempo stesso. Gli occhi ed i capelli nerissimi. Lo guardava fissamente, rimanendo in silenzio. Poi gli chiese: “Chi sei?” “Sono un povero Islandese – rispose l’uomo – e da anni ormai vado fuggendo la Natura. E la fuggo anche ora, per questa terra”. La donna, dall’alto della sua imponenza, lo guardò impassibile, poi aggiunse: “Io sono colei che tu fuggi!”. Impietrito dalla paura il povero islandese tacque. Poi lacrimando mugugnò qualcosa, del tipo: “Povero sventurato! Questa si che di tutte è la più grande disavventura!”. “E perché mai mi fuggi?” – continuò la donna “Perché tu non sei madre buona, ma matrigna cattiva. La peggiore di tutte, crei i tuoi figli e li lasci infelici…” Mentre l’islandese parlava, dalla terra su cui l’immensa donna appoggiava le membra e le mani, continuavano ad uscire fiori, piante, animali di ogni specie, cuccioli, rivoli d’acqua… ogni nuova creatura prendeva poi la propria strada e scompariva sotto gli occhi ancora attoniti e terrorizzati del pover’uomo. La Natura senza scomporsi, chinò leggermente la sua enorme testa verso l’islandese. Non fece altro. E sentenziò: “Io non creo figli infelici. E nemmeno figli felici. Genero le mie creature e le lascio andare per la loro via. Genero le piante, gli


animali, gli uomini, le montagne, i mari, il vento, la pioggia, la neve…anche il terremoto è figlio mio… Io so bene che convivere è difficile. Ma ho dato a tutti ciò che serve per cavarsela e ho dato agli uomini l’intelligenza, le emozioni ed i sentimenti… sono i doni più preziosi. A volte credo di aver esagerato nel preferirli agli altri figli miei. Basterebbe che imparassero ad usarli, i miei doni, per trovare, quella che tu cerchi da anni e che chiami pace o felicità”. Il povero islandese continuava ad ascoltare… “Così – aggiunse la Natura - solo agli uomini è dato poter costruire la loro fortuna, arricchire e gestire la ricchezza in modo tale che nessuno sia tanto povero da soffrire. Solo gli esseri umani possono dare senso alle cose, oltre il soddisfacimento dei bisogni. Sono capaci di costruire ripari sicuri anche per resistere ai terremoti. Ma soprattutto, solo gli uomini possono comprendere il limite tra ciò che è in loro potere e ciò che non lo è, e fermarsi su quel confine. Che è il confine proprio della condizione di ogni creatura”. Secondo alcuni testimoni quando la Natura smise di parlare, l’uomo prese la sua strada e nessuno da quelle parti lo vide più.

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CENTOSTORIE libri e racconti

la piu’

bellaStoria

d’amore

La storia è contenuta all’interno dell’opera di Lucio Apuleio composta nel II secolo: le Metamorfosi o L’asino d’oro. Ha ispirato pittori e scultori in ogni tempo. E’ il racconto di un amore a lieto fine e del suo travagliato percorso di realizzazione.

Antonio Canova

Psiche era una delle più belle fanciulle di sempre, così tanto bella da suscitare l’invidia addirittura della dea Venere. Nel mondo antico vigeva il precetto: mai agitare gli dei, altrimenti son guai! E per la povera Psiche furono guai davvero. Venere, infatti, ordinò al figlio Amore di scoccare una freccia verso la fanciulla per farla innamorare di un uomo di vile condizione. Ma quando Amore la vide, ne fu abbagliato e se ne innamorò. Con l’aiuto di Zefiro riuscì a portare al sicuro Psiche, in un Amore palazzo segreto, lontano dagli occhi gelosi di Venere. Lì, tutte le notti, alla stessa ora, Amore andava ad incontrare la sua bella fanciulla e la corteggiava con ogni attenzione. Psiche, giorno dopo giorno, sentiva crescere in animo un’attrazione sempre più forte per Amore, che per altro non aveva mai potuto vedere alla luce del sole. Questa era la condizione impostale dal giovane per preservarla dall’ira della madre. Ma in Psiche il desiderio di vedere chi fosse realmente il suo innamorato misterioso si fece incontenibile. Così, una notte, munita di una lanterna si avvicinò al letto dove Amore riposava ed inavvertitamente lo scottò con una goccia di olio bollente. Deluso e amareggiato, per il patto tradito, Amore se ne andò. Psiche era disperata, non riusciva a darsi pace. Nel tentativo di ritrovare il suo amore, finì dalla dea Venere, che infuriata costrinse la fanciulla ad una serie di durissime prove. 36

Intanto anche Amore sentiva nostalgia per la sua Psiche e cominciò a cercarla. Arrivò a lei e, con l’aiuto di Giove, riuscì a liberarla dalle torture cui Venere la sottoponeva. La portò sull’Olimpo dove stavano tutti gli dei. I due si sposarono e da allora vissero felici e contenti. Delle tante immagini dell’arte che raccontano la storia di Amore e Psiche, quella in marmo realizzata da un trentenne Antonio Canova alla fine del XVIII secolo e cone Psiche servata, con altre versioni dello stesso tema, al museo del Louvre a Parigi, è quella che ci piace di più. Semivestita, la giovane Psiche è stretta in un abbraccio ad Amore che le appoggia la guancia sulla spalla. Lei con estrema delicatezza sorregge la mano di lui per posarvi sopra una farfalla, che trattiene per le ali con l’altra mano. La farfalla secondo il mito antico è il simbolo dell’anima e la parola greca che la designava era psyché, proprio come il nome della giovane amata da Amore. In un gioco di rimandi, Antonio Canova ci svela il messaggio profondo ed eterno di quella favola d’amore scritta secoli prima: che in ogni relazione d’amore ciascuno dona all’altro la propria anima, ma perché questo dono sia foriero di gioia e duri per sempre, l’anima va educata. Cosa che solo Amore può fare. Buon San Valentino a tutti! di Micol

Andreasi


OPEN DAY sabato 9 febbraio

presentazione nuovo progetto la nostra idea di asilo in natura per bimbi da 3 a 6 anni

ore 9.00-11.30 presentazione ore 10.00

l’aula migliore è Fuori

Educare e apprendere in natura

Un’introduzione

Per educatori ed insegnanti

obiettivi: • sperimentare il contesto outdoor come ambiente d’apprendimento • conoscere i concetti pedagogici di base dell’outdoor education • riflettere sulle competenze dell’educatore nel processo di apprendimento in natura

sabato 23 febbraio 2019 6.00 ore10.00-1

Costo € 40 comprende: la giornata di formazione, materiali didattici e attestato di partecipazione; non comprende il pranzo al sacco.

tel. 340 2680346 (dopo le ore 18) www.cortecarezzabella.com

Famiglie Fuori

Esperienze formative in natura Ciclo primaverile

Incontri per genitori a cura di Claudia Fenzi Pedagogista e Consulente familiare

Tommaso Reato Formatore esperto in apprendimento in natura

attività con i bambini a cura di Corte Carezzabella Fattoria didattica

domenica 19 20 10 marzo .00 2 -1 0 ore10.0

domenica 9 1 7 aprile 20 .00 2 -1 0 ore10.0

Costo Quota genitori: 10 euro (individuale o coppia). Quota bambini: 5 euro a bambino. Comprensivo di piccola merenda bio.

Corte Carezzabella, via Marconi 754 - San Martino di Venezze (Ro)


Come organizzare bene l’armadio dei bambini LIFE STYLE Moda Fashion a cura di

Rossella Rizzi consulente d’immagine ed event planner

Care mamme dopo soli pochi mesi di vita del vostro piccolo vi sarete subito rese conto che l'armadio di un bebè aumenta a dismisura complice i regalini di amici e parenti ma soprattutto la crescita veloce e repentina del più piccolo di casa. Ecco perché ci vuole un piano organizzativo per non riempire ripiani e cassetti di capi e rischiare di non riuscire a trovare ciò che serve al momento giusto.

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Per organizzare l’armadio dei bambini vi consiglio di non perdere di vista la praticità e l'ordine che possono realizzarsi facilmente con l'utilizzo di scatole, divisori, etichette e tanta pazienza. Prima mossa: tirate fuori tutto da ripiani, cassetti e appendini e riponete sul letto tutti i vestitini. Dividete i capi per categoria: pantaloni, gonne, magliette e t-shirt, camicie, vestitini, biancheria intima, accessori. Seconda mossa: eliminare il superfluo. Liberatevi di tutti quei capi sgualciti, macchiati o non più utilizzabili per la taglia ormai superata o per usura. Buttate quei capi che proprio non si possono più riutilizzare e tenete, magari in una bella scatola, quelli che invece potrebbero far felice qualche bimbo meno fortunato o qualche fratellino, sorellina o amichetto minori ai quali poter consegnare il bottino. T-shirt e maglioncini prenderanno posto nei ripiani, mentre pantaloni, gonne, giacche, camicette e abitini prenderanno il posto negli appesi per evitare sgualciscano. Per ottenere un effetto energico e stimolante, acquistate le grucce colorate, tutte uguali come forma e della misura per bambini che sono più piccole rispetto a quelle per adulti e disponete

gli abiti per categoria e per colore: sarà più facile individuare per esempio tutte le t-shirt rosse da abbinare ai pantaloni blu, rendendosi anche conto dei colori che acquistiamo di più e quelli di cui siamo carenti, per poter equilibrare lo shopping e spendere in maniera mirata. Acquistare capi in saldo di taglie più grandi sperando di farle indossare al nostro bimbo una volta cresciuto, può rivelarsi una mossa azzardata soprattutto se avete tanti vestiti: rischiate di dimenticarvi di averli nel cassetto e quindi di non metterle per nulla. Meglio comprare un capo alla reale occorrenza, essendo certi di farglieli indossare proprio in quel momento. I cassetti sono il regno dell'intimo: body, slip, canotte e calzini possono trovare ordine in scatoline e divisori, divisi per categoria e sempre per colore. Una volta creato nell'armadio i vari settori, applicate una bella etichetta che potete stampare al computer o scrivere a mano con cosa trovare in quella sezione: sarà un aiuto per i papà che non hanno molta dimestichezza. Gli accessori come guanti, cappellini, sciarpe vi consiglio di tenerli fuori dall'armadio e a portata di mano in una zona vicina alla porta d'ingresso per poterli indossare all'ultimo prima di uscire per andare a scuola o fare una passeggiata. Sarà un'occasione per dare un'ultima occhiata generale e controllare che l'outfit sia ordinato e in armonia per forme e colori. A questo punto, man mano che crescerà, sarà divertente dare libero sfogo alla loro fantasia, lasciandoli scegliere autonomamente i loro outfit ogni giorno: capirete subito il caratterino dei vostri bimbi, fin dalle prime ore del mattino!


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ATTIVAMENTE facciamo insieme

occorrente: • pastelli a cera rotti; • stampini in silicone; • forno elettrico i nuovi pastelli a cera

cre-attivi amoci ! I PASTELLI DI SAN VALENTINO Un'idea utile ed originale per rendere i colori di nostro figlio veramente unici nel loro genere! Talmente belli da far venire voglia di colorare anche a quei bambini che non amano molto farlo.... Ma sopratutto un’idea utile a noi mamme, in senso economico, perchè possiamo recuperare i pastelli a cera: quelli che una volta caduti a terra e rotti diventano inutilizzabili. Come riciclare i pastelli di cera rotti Prendiamo i pastelli a cera rotti e priviamoli della cartina che li avvolge. Mettiamoli negli stampini (Attenzione: verifichiamo che lo stampino possa andare in forno e poi teniamo conto che non potrà più essere riutilizzato per altri scopi perchè rimarrà sporco della cera dei pastelli.) • All'interno della formina posizionare un solo colore oppure colori diversi, per un tocco originale. • Accendiamo il forno a 160° ed inseriamo lo stampino, questa procedura deve essere fatta solo da noi mamme. • Dopo 15 minuti, i pastelli si saranno sciolti. Lasciamoli raffreddare e poi togliamoli dallo stampino. I nostri nuovi colori saranno pronti per essere usati....quindi abbasso la noia e vai col colore...

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PREPARIAMO LA FESTA DEL PAPA’ Non manca molto al prossimo 19 marzo, festa del papà. C’è una miniera d’oro di idee regalo divertentissime

LA CORONCINA DI CARNEVALE

Una fra queste può essere quello di creare il portachiavi decorato a mano fatto con i tappi di sughero. Basteranno i pennarelli o i colori acrilici per creare la faccia del papà e dargli una connotazione scherzosa con alcuni elementi, un gancio a vite che verrà fissato avvitandolo nel tappo.

Come fabbricare una corona con i piatti di cartone. Un cotillon facile e divertente non solo per Carnevale ma anche per qualsiasi altra festicciola.

portachiavi decorato

Occorrente Piatti di cartone bianchi / Forbici / colori / decori Procediamo con la forma più semplice come quella della foto: Pieghiamo in due il piatto e andiamo con la matita a tracciare 4 diagonali. Partendo dal centro del piatto diviso a metà iniziamo a tagliare lungo le diagonali badando bene di arrivare prima del bordo del piatto. Se il nostro papà è un uomo in carriera seduto dietro ad una scrivania perché non regalargli un portapenne realizzato con le mollette di legno. Basterà prendere un bicchiere di plastica resistente ed incollarci con la colla a caldo le mollette di legno colorate a mano dai bambini. Dopodiché apriamo il piatto e con i colori iniziamo a decorare i bordi e gli spicchi che sono risultati. Una volta colorato, apriamo e pieghiamo le punte dei raggi verso l’alto e se si desidera si potranno decorare anche questi con pon pon colorati o bottoni.Ed ecco pronta la coroncina per il vostro bambino!

un portapenne molto speciale

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ATTIVAMENTE

L’arte del piegare la carta

facciamo insieme

L’origami è un ‘arte di origine giapponese (ORI=piegare e KAMI= carta) che insegna modi di piegare la carta, in genere fogli quadrati, per ottenere modelli, bi o tridimensionali, di animali, fiori, figure umane, giocattoli, decorazioni, contenitori, oggetti vari.

Maurizio Giovanni Pizzo

Maestro d’origami, scenografo, disegnatore luci. Collabora ad iniziative culturali ed editoriali inerenti l’origami fin dagli anni ottanta, presentando questa tecnica artistica nella scuola pubblica e in numerosi incontri, corsi, woorkshop, dimostrazioni e performances. Nel 2016 propone a Ferrara “Vie di carta”, corsi e mostra dedicata ai mezzi di trasporto. Nel 2017 partecipa alla Biennale di Venezia, Padiglione Tibet, con “Siate lieti, monaci danzanti” (esposizione ed animazione)Nel 2018 presenta a Rovigo la mostra “”Animalìa” e l’installazione “Little Bighorn”, a Comacchio l’animazione “Cartagioco”.

Per fare origami servono solo le mani e la carta, nessun altro strumento o materiale e si può praticare a qualsiasi età. Le carte vanno scelte con cura, sono come i colori per il pittore Il tipo di carta, la dimensione, la consistenza, il colore, sono da scegliere in base al soggetto che vogliamo rappresentare con la piegatura. Una scatola richiede una carta spessa, una farfallina una carta più piccola e leggera. Esistono in commercio delle apposite confezioni di carta per origami, perfettamente squadrate e di varie misure (da 5 cm di lato fino a 30/40 cm).

A parte la non facile reperibilità di queste carte, è molto più divertente e proficuo cercarsele da sé, formando un archivio sempre più ampio e ricco di possibilità espressive (carta da fotocopia, bianca e a colori, fogli da disegno, carte regalo, carte da pacchi, quaderni, carta forno e infinite altre). Se si piega con precisione e attenzione, i risultati si vedono subito e la carta non finirà di stupirci per le sue possibilità estetiche ed espressive. Oltre ad essere un hobby di tipo artistico - creativo che procura ampia soddisfazione, questa arte trova parecchie utilizzazioni in campi professionali anche molto diversi. L’origami può trovare applicazione nell’insegnamento dell’arte, della matematica e della geometria, nell’animazione, nella scenografia, nell’illustrazione, nell’editoria, nell’arte-terapia e in molti altri ambiti.

LE DOMENICHE DI CARTA 2019 Ideate e dirette dal mestro M.Pizzo sono rivolte ad adulti, ragazzi e bambini che desiderano imparare l’Origami. Calendario incontri domenicali ore 16.30-19.00 10 febbraio Piegare il Carnevale (Arlecchino, Pulcinella, Colombina) 10 marzo Giochi nell’aria (Aquiloni, aerei e oggetti volanti) 14 aprile La Pasqua e i suoi simboli Pulcini, conigli, cestini, anatre, uova... 28 aprile la Festa della mamma Fiori e regali sede: Il Locale, via Miani 38 Rovigo info 3477522547 - 346 5817358 ingresso gratuito Alcuni modelli della Mostra “Vie di carta”

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O R IG A MI Akira Yoshizawa Il maestro giapponese Akira Yoshizawa è l’ideatore del codice di istruzioni grafiche che ha permesso all’origami di diffondersi in tutto il mondo. Il maestro ha indicato una linea d’approccio all’origami estremamente ricca e suggestiva, legata alla filosofia zen dell’osservazione della natura, del rispetto della vita e dello sviluppo di atteggiamenti positivi.

Butterfly In questa pagina proponiamo la piegatura di una sua farfalla, meraviglia di semplicità e bellezza Durante le cerimonie nuziali giapponesi era usanza, e lo è tutt'oggi, attaccare delle farfalle di carta alle coppe di sakè con le quali gli sposi brindano alla felicità della loro unione.

Butterfly Akira Yoshizawa

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TIMBRI FLYER BROCHURE

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STUDIO GRAFICO

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Corbola (RO) Via Battare, 815/591 z.a.

Tel. 0426 45900 info@grafichenuovatipografia.it www.grafichenuovatipografia.it

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