Brigante novembre 2014

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l’Editoriale

classe politica che, sentendosi in perenne campagna elettorale, privilegia l’annuncio sfavorendo gli interessi del Paese; dall’altra, di una concezione tutta giacobina che si illude di trovare una soluzione affidando alle norme le sorti dell’economia reale. Ad aggravare la situazione, la pesantezza di un gravame ideologico irrisolto che guarda romanticamente e retoricamente alla lotta di classe di fine ottocento, in un triangolo ottuso (e inconcludente) che colloca il Moloch dell’articolo 18 tra il cateto della politica, quello degli industriali e l’ipotenusa del sindacato. Per sintetizzare: la crisi del lavoro, direttamente collegata a quella dell’economia, viene affrontata da una classe politica inesistente, da quel che resta di un’industria localizzata al Nord e ridotta a vivacchiare di commessa politica, e da un sindacato, la FIOMCGIL, i cui iscritti sono costituiti da un quasi 60% di pensionati e dai metalmeccanici che, con la FIAT (oggi FCA) fuggita a cercare sostentamento nei dollari di Obama e di Wall Street, rappresentano una forza lavoro non più assimilabile alla realtà. Un triangolo delle Bermu-

da che ha lasciato il Paese in mutande. Il concetto di lavorare ad un’economia che funzioni regolarmente, offrendo così alternative diverse a chi venga licenziato dalla propria azienda, sembra non sfiorare nessuno dei contendenti in campo. In questo scenario da pura rappresentazione di una realtà virtuale, che allungando a dismisura i tempi di un intervento serio e mirato continua a logorare un sistema economico già ampiamente compromesso, l’unico a rischiare sul serio è il Sud, come confermano i disastrosi dati diramati una decina di giorni fa dallo SVIMEZ. Il Mezzogiorno, sì, quella terra che avrebbe numeri e possibilità per salvare sé stesso e quell’Italia che, da perfetta colonia, ha mantenuto per oltre centocinquant’anni. Davanti alla Televisione, che a reti unificate li inonda del verbo renziano, attoniti e increduli al nunzio dell’imminente soluzione della crisi (visibile solo col binocolo), mi sembra di sentirli i nuovi briganti meridionali, chiedersi: “Jobs Act?”, rispondendosi ironicamente alla Federico Salvatore con un deflagrante: “Azz!”.

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Adesso gli imprenditori non hanno più scuse per non assumere”. Questa la dichiarazione di Matteo Renzi durante la conferenza stampa convocata per diramare i dettagli della “Legge di stabilità” e di quel tormentone televisivo e politico che è diventato lo “Jobs Act”. Ultimo in ordine di arrivo, in quanto qualcosa di simile lo avevano già detto Mario Monti ed Enrico Letta dopo aver approvato norme e decreti che, però, nulla di nuovo avevano provocato nell’asfittico mondo del lavoro attuale. Ma è davvero questo il tema? Certamente, no. Vengo da una famiglia di imprenditori e so per esperienza diretta che più l’azienda tira, più produce ricchezza, più ha bisogno di assumere per razionalizzare il lavoro e non perdere produttività. È per questo che, dall’ottica di chi affronta il variegato ed impegnativo quotidiano di un’azienda, ossia cercare di portare a casa lo stipendio per sé e per i suoi (operai ed impiegati), certe dichiarazioni vengano considerate come vere e proprie provocazioni. Tanto più gravi se da persone per le quali “lavoro” o “impresa” non sono altro

G INO G IAMMARINO

che mere definizioni sofistiche. Quindi, tanto per gradire, cominciamo col precisare che gli imprenditori non sono alla ricerca di scuse per non assumere, bensì di nuove nicchie di mercato nelle quali trovare linfa vitale. Faccio un esempio pratico. Se un governo decidesse di favorire l’ambiente (e dunque il turismo) decretando la fine delle automobili alimentate a gasolio e a benzina attraverso rottamazione o vendita del parco-vetture verso altri Paesi che le richiedono, si aprirebbe una nuova frontiera economica semplicemente capovolgendo la richiesta di un mercato attualmente bloccato. La nostra classe politica, invece, mentre i piazzali delle fabbriche automobilistiche sono pieni di esemplari invenduti, continua a procedere per assurdo confondendo la valle con il monte del problema, rappresentato da un universo economico entrato in una profondissima crisi di sistema. Di contro, le rappresentanze sindacali degli operai, che già non stanno lavorando, scioperano: è surreale.

Si tratta di un errato approccio alla questione, figlio, da una parte, di una


Sommario

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In questo numero...


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Editoriale

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Il focus Allarme sud tra burocrazia e dati disastrosi L’addio In pricipio fu Fiat oggi Fca L’analisi C’era una volta il Made Italy La riflessione Il fattore umano come cura La fiera Oltremare: dai giochi alla pesca Il convegno Rating Advisory nuova frontiera dell’economia? L’impresa Garby: investire curando l’ambiente La politica Il protagonismo dei popoli Gli indipendentismi L’altra Europa e la voglia di reagire L’identità Capua. “La Tradizione come Madre” Il turismo Nelle terre dei briganti La leggenda ‘O munaciello nel sud italia Il congresso Tracce normanno sveve nel meridione La gastronomia L’arte culinaria napoletana trionfa Il cinema E fuori nevica arriva al cinema La scoperta Un’inedita pellicola di Peppino De Filippo sull’Europa Il teatro Circo de los horrores Il trionfo Matera ce l’ha fatta: sarà capitale culturale europea La lettura Libri e cazzotti La storia La controrivoluzione di Firenze “capitale”

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novembre 2014 DIRETTORE RESPONSABILE GINO GIAMMARINO VICE DIRETTORE SIMONA BUONAURA HANNO COLLABORATO: ENRICA BUONGIORNO GABRIELLA DILIBERTO ADRIANA DRAGONI ETTORE D’ALESSANDRO HARRY DI PRISCO ANTONIO GENTILE VALENTINA GIUNGATI GERMANA GRASSO MAURIZIO MEROLLA ROSI PADOVANI RAFFAELE SANTILLO CARLA SCHIAVO CANIO TRIONE PAOLA VONA CARLO ZAZZERA SERGIO ZAZZERA

Piazza Stazione Centrale Piazza Garibaldi, 136 - 80142 Napoli www. il br igan te.it info@ ilb rig ant e.com Tel. 081 19339716 PROGETTO GRAFICO FRANCESCO CARDAMONE FOTOGRAFO CIRO ANDREOTTI

STAMPA ARTI GRAFICHE NAPOLITANO NOLA (NA)

La rivista è stata chiusa il giorno 3 Novembre alle ore 14:00 Autorizzazione Tribunale Napoli n. 5159 decreto 22/11/2000 AN NO 14 - NUME R O 4 2


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DISASTRO SUD:

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COSA ASPETTATE A FARE QUALCOSA?

reoccupa non poco il rapporto Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno) per l’anno 2014 che disegna un Paese che stenta a ripartire ma che registra purtroppo una differenza di reazione, sia occupazionale sia produttiva, tra Nord e Sud. Nel caso del Mezzogiorno infatti i dati parlano della peggior crisi economica del dopoguerra che rischia di essere sempre più paragonabile alla Grande

SERVIZIO A CURA DI SIMONA BUONAURA

Depressione del 1929. Gli effetti della crisi si sono fatti sentire anche al Centro-Nord, e non certo per colpa del Sud; ma anche l'area più forte del Paese rischia di non uscire dalla crisi finché non si risolve il problema del Mezzogiorno, in quanto una domanda meridionale così depressa ha inevitabili effetti negativi sull'economia delle regioni centrali e settentrionali. Morti che superano le nascite, imprese che falliscono, agricoltura in ginocchio specialmente nelle zone

della Terra dei Fuochi, migranti verso il Nord ma anche verso l’Estero che anticipano una pagina dolorosa che narra di una desertificazione che da qui ad un certo numero di anni potrebbe ridisegnare le sorti di un popolo che non merita di scomparire o essere sostituito da stranieri. La domanda è delle più semplici e banali ma chissà per quale motivo da anni viene ascoltata ma non sentita da chi dovrebbe fare qualcosa per questo Sud martoriato ed abbandonato e che viene

preso in considerazione solo per esempi negativi e per ribadire che è una zavorra per il Paese. Cosa aspettate a fare qualcosa? Quali speranze dare ai nostri figli? Possiamo augurarci che tra 100 anni rileggendo queste drammatiche pagine i nostri discendenti potranno dire “Ma davvero?” o dobbiamo immaginare che sprezzanti e ormai disperati inveiranno dicendo “Maledetti perché non siete intervenuti quando ancora c’era qualcosa da fare”!

Di seguito alcune dichiarazioni a caldo sui dati rilasciate da esponenti della politica, imprenditoria ed associazioni di categoria, abbiamo ritenuto opportuno piuttosto che riportare le singole e inquietanti criticità che sono evinte dal rapporto annuale, e che facilmente troverete sul sito dell’associazione ma anche nei tanti articoli usciti, riportare alcune delle tante parole che sono seguite dopo la giornata di studio promossa dallo Svimez. Rimarranno le solite parole? Vorremmo tanto dire di NO ma glissiamo con un CHISSÀ in modo ottimistico.

Teresa Bellanova (Sottosegr. Ministero Lavoro e Politiche Sociali)

Invertire la rotta si deve, e si può. Poliespansive, tiche degli attrazione investimenti, qualità occupazionale, possono e devono essere gli obiettivi comuni e condivisi per Governo e Regioni in un periodo di tempo ragionevole, investendo, e non solo spendendo , i fondi

europei in modo mirato e soprattutto con obiettivi certi, perseguibili, certificabili. La fotografia che, ancora una volta e con puntualità terrificante, la Svimez ci restituisce del Sud deve lasciare il passo all’urgenza di un’azione che non può più aspettare. Qui non si tratta di invocare politiche per il

Sud, confermando l’idea di un territorio separato e, causa gli smottamenti, estraneo al sistema-paese. Se anno dopo anno non abbiamo fatto altro che certificare un bollettino di guerra è evidente che negli ultimi decenni più di qualcosa non ha funzionato”.


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Monsignor Nunzio Galantino, (Segretario generale della Cei)

“Le valutazioni contenute nel Rapporto Svimez ancora una volta mettono in evidenza come dopo

50 anni il nostro Paese sia profondamente diviso, una divisione che penalizza tutto il Paese, non solo il Mezzogiorno. La Chiesa italiana da

Claudio Albonetti (Pres. Assoturismo Confesercenti)

Assoturismo ribadisce che è ora di finirla di penalizzare il turismo in Italia invece quando dovrebbe essere una delle leve del ritorno alla crescita. Proprio mentre il Ministro Franceschini si prepara ad incontrare i ministri europei illustreremo proposte precise e che posso-

Pippo Callipo (Callipo Group)

Il Rapporto Svimez 2014 certifica scientificamente l’allarme che noi imprenditori lanciamo, inascoltati, da un pezzo. Sono sicuro che passato il clam o r e

no riportare l'Italia fra i maggiori mercati turistici nel mondo, dando risposte importanti anche alla profonda crisi del Sud". "Pil negativo nel 2014 e nel 2015, mortalità che supera la natalità, desertificazione economica stanno devastando le regioni del sud che sembra sparito, e non da oggi, dalla agenda poli-

mediatico, si tornerà a disconoscere le gravi criticità del Mezzogiorno, in attesa magari che il sistema imploda. Condivido l’intenzione del sottosegretario alla presidenza del consiglio, Graziano Delrio, che intende togliere “la facoltà alla Calabria di gestire il programma garanzia giovani perchè non è possibile che con 14.000 iscritti non abbia fatto ancora nessun colloquio”.

tempo si appella alla responsabilità sia dei rappresentanti istituzionali che di tutti i rappresentanti della società civile, affinché la questione del Mez-

zogiorno venga posta al centro dell'attenzione come grande questione nazionale”.

tica e di Governo. Non siamo più neppure davanti alla solita rappresentazione di due Italie sempre più lontane per il semplice fatto che, secondo lo Svimez, il Sud sta sparendo, con uno spopolamento nei prossimi decenni di oltre quattro milioni di abitanti”.

Ma, a mio avviso, occorre ben altro. Se le istituzioni nazionali non hanno la forza né la volontà di dare una mano alle espressioni positive di quest’area del Paese, ma addirittura - come sta accadendo anche in questa circostanza che vede la Regione Calabria al voto il 23 novembre - si favoriscono i noti trasversalismi che si costituiscono per gestire le risorse pubbliche e non nell’interesse della popo-

lazione, come può cambiare la condizione del Mezzogiorno? Se lo Stato non ha la forza di imporre la legalità e rendere consapevole il voto dei cittadini e tutto viene lasciato in mano delle vecchie classi politiche, che controllano i partiti ed il voto, allora è meglio prima commissariarle e poi chiuderle queste Regioni che sono diventate il nemico numero uno dei cittadini onesti”.


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OSTAGGI DELLA BUROCRAZIA Una Bari chiusa dalle tasse

dati diffusi dallo SVIMEZ raccontano di un Sud in pesante sofferenza e desertificazione, abbiamo deciso perciò di fare un giro a Bari per toccare con mano la situazione dell’impresa in città, accompagnati da una firma che i nostri lettori ben conoscono: Canio Trione. Nel percorrere il centro, la prima cosa che colpisce è il numero di saracinesche abbassate, con su incollati i disperati ed imploranti cartelli “Affittasi” logori ed ingialliti dal tempo. La domanda nasce spontanea: “se adesso gli imprenditori non hanno più alibi per non investire, come mai qui c’è il deserto?” “Perché la burocrazia delle amministrazioni locali, esosa e farraginosa, è in guerra con i cittadini” – ci spiega Trione mentre ci apre le porte di una birreria chiusa da due anni: il “Parsifal”. All’ingresso un simpatico finto ponte levatoio accoglieva i clienti che, una volta all’interno si ritrovavano catapultati in pieno medioevo: tavolacci in legno, armature e spade fedelmente riprodotte ed appese ai muri, stemmi di contrade… insomma, un bel po’ di soldi investiti che adesso sono lì ad impolverarsi.

“Aprire un’attività a Bari è un fatto impedito, vietato! Per ogni passo c’è bisogno di chiedere una decina di permessi e autorizzazioni di vario genere: gli imprenditori sono scoraggiati, spaventati. I permessi non vengono dati e viene impo-

sto all’eventuale gestore di pagare un fiume di soldi

di permessi che nel frattempo si sono moltiplicati

per ottenere delle carte di cui non avrebbe alcun bisogno, ma la legge glielo impone. Dunque le attività si chiudono e non si riaprono, ma non c’è neanche il desiderio di aprirle: non è più un’impresa, ma una maledizione”.

Di che cosa stiamo parlando, da quanti anni è chiuso questo locale e di cosa parliamo in termini economici? “Nel nostro caso, come in moltissimi altri, questo è un locale che ha sempre avuto tutto in regola, è aperto da vent’anni. La

insieme ai costi che, tra consulenze, varie ed eventuali, oggi arrivano a 50.000 euro. Spendere tutti questi soldi per avere dei permessi è una questione di civiltà e si rifiuta. Poi ci sono le attività che sono aperte, ma, per continuare a lavorare, sono taglieggiate quotidianamente dai tanti orpelli come l’IMU e li vanno a misurare nei locali per vedere quanto è grande e poter erogare la tassa sul rifiuto e tutti gli altri balzelli: quindi il senso di proprietà e titolarità di un’attività viene completamente stravolto. La realtà è una:

vecchia gestione ha chiuso e la nuova avrebbe bisogno di rifare una serie

se vuoi continuare a fare l’imprenditore, devi soltanto pagare”.

Prima Mario Monti, poi Enrico Letta. Oggi anche Matteo Renzi si esibisce in quella che è diventata una classica degli ultimi esecutivi italiani: “Gli imprenditori non hanno più alibi per non investire con il jobs Act”. È vero o non è vero? Gli imprenditori cercano degli alibi o cercano di creare posti di lavoro? “Dico sempre che per ogni posto di lavoro, quindi per ogni 1000 euro, 10.000 euro che l’imprenditore paga al proprio dipendente, lui se ne mette in tasca altrettanti. Questa è la regola, diversamente non assumerebbe. Gli imprenditori non hanno bisogno di alibi per assumere o non assumere dipendenti, però, non devono essere costretti a delle gimcane burocratiche che ne impediscono le attività. Per quanto riguarda la politica, è evidente che uno che fa il Presidente del Consiglio senza essere stato votato ha dei problemi con la democrazia: fino a quando ci sarà una situazione del genere, nella quale la politica parla da sola e la gente rimane ferma fino a che qualcuno non le dica che ha il permesso di lavorare, non usciremo mai dalla crisi. Insomma, se non cesseranno queste condizioni di divieto all’inizio di nuove piccole imprese, che sono le più importanti -non solo in Italia- per ogni sistema economico, fino a quando questo blocco non verrà rimosso, non ci saranno nuove occupazioni”.


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Poco confortati, continuiamo il nostro giro ed incontriamo Sabino Strambelli, titolare di due negozi di abbigliamento uomo e donna attivi dal 1956 sotto l’insegna “Samuel”... “Il problema non è solo nella città di Bari, ma è nazionale –ci dice subito Strambelli– ed esiste da oltre trent’anni. A creare difficoltà sono principalmente le tassazioni, alle quali aggiungiamo anche i fitti non controllati. Ma alla base di tutto si trova un profitto che non c’è più: viene tutto prelevato dallo Stato soprattutto sui corrispettivi. Noi paghiamo già il 22 per cento di IVA attuale, ho sentito che arriverà nel giro di due tre anni al 25. Non so quale sarà il nostro futuro. Queste segnalazioni dovrebbero arrivare al nostro Ministro, al Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, soprattutto a chi dovrebbe difenderci, al dott. Carlo Sangalli che è il presidente della Confcommecio e sta a Roma, dovrebbe muoversi un po’ di più per i nostri interessi nostri. Oggi un commesso nei magazzini costa a noi circa 3.000 euro e a lui gli vanno in busta 1000 euro”. Gli ultimi tre governi hanno detto che, grazie ai loro provvedimenti, gli

imprenditori non avevano più alibi per non assumere: è vero questo o l’alibi lo cercano loro? “Dove sono gli imprenditori? Li abbiamo distrutti, sommersi da tante tasse. Quali sono i presupposti per andare avanti? Si incassa dieci e otto dobbiamo darli allo Stato; come si fa? In tre anni lo state vedendo cosa è accaduto. All’origine anche la lira e la conversione con l’euro: problematiche che ormai sono più concrete negli ultimi dieci anni. I problemi sono tanti e vanno affrontati da chi di dovere in maniera concreta, sentendoci di più, chiamando i vecchi commercianti, i vecchi imprenditori.

Chiedetevi perché i negozi chiudono, dobbiamo andare alla radice del problema. Non si può chiudere un’azienda dopo sessant’anni di lavoro, dove c’è una clientela fidata. Dovrebbero muoversi molto di più gli addetti ai lavori, in maniera più concreta e senza chiacchiere a vuoto”.

Incontriamo, infine, Patrizia Guglielmi, che lavora nel negozio “La via Lattea” di via Piccinni, calzature per bambini, ed una

ossessione per i Vigili Urbani: “Lo viviamo sulla nostra pelle ogni giorno, siamo sempre circondati dai vigili urbani che si materializzano dal nulla con multe selvagge che non fanno altro che far scappare i clienti dai negozi: di questi tempi! Penso non sia quello il metodo per aumentare il senso civico delle persone. Addirittura con queste telecamere neanche affiancano le macchine per dire di andar via: lampeggiano a distanza e dopo scattano le foto senza assicurarsi neanche del motivo per il quale una persona sta ferma in doppia fila. Ho visto scendere un ragazzo disabile dalla autovettura: non è giusto vedere la telecamera che fa la multa. Qui si avvicendano le amministrazioni, da poco se n’è insediata un’altra e

il Focus

non posso ancora esprimere un giudizio. Mi auguro ci siano delle iniziative che possano incentivare l’affluenza delle persone sia nel centro come in altre zone della città”.

Riprendiamo la via di casa. E mentre chiacchieriamo sulle vicende dei Vigili Urbani, chiedendoci quanto ci fosse di vero nelle parole di Patrizia, mi accosto un attimo in doppia fila per fare un prelievo al Bancomat, lasciando il fidato operatore Ciro nell’auto. Mentre torno velocemente al mio posto vedo nella macchina che sta passando una vigilessa che scrive il suo bravo verbale. Stamattina l’autonoleggio ci ha inviato la fattura di una multa presa a Bari: cara Patrizia, ti chiediamo scusa per aver dubitato di te…(g.g.)


l’Addio

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PER CHI SUONA LA CAMPANELLA G IOVANNI MARINO

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iato alle trombe, entrino le squadre! Con questo grido, tormentone di Febo Conti, iniziava “Chissà chi lo sa?” programma prodotto dalla RAI quando l’emittente nazionale faceva quel “servizio pubblico”

oggi demandato a Michele Santoro. Altri tempi, altra televisione. La fortunata trasmissione era partita nel settembre 1961, giusto cento anni dopo la conquista del Sud da parte della soldataglia piemontese in camicia rossa, e nel pieno del boom economico italiano. Allora dal Sud si emigrava

con il miraggio di trovare un alloggio che non fosse vietato ai cani ed ai meridionali, e di entrare nella FIAT dell’avv. Agnelli che, con montagne di cambiali, vendeva alla colonia meridionale, secondo il progetto originario del suo conterraneo Camillo Benso,

Conte di Cavour, le sue 500, 600, 850, ma anche 1100 e 1500.

Spocchiosa e rampante in Italia, dove aveva appena finito di nutrirsi della casa savoiarda, la fabbrica piemontese non aveva lo stesso successo in Europa, dove la sua credibilità era sotto lo zero, con i

saloni dei suoi concessionari semibui e deserti. Altri tempi! Oggi la FIAT non esiste più, è stata soppiantata dalla FCA, moderna versione della celeberrima canzone “Tu vuo’ fa’ l’americano”, che tradotto in linguaggio di imprenditoria servoassistita si legge: “finito di succhiare le risorse dello Stato italiano, adesso cominciamo con quello statunitense”. Ed eccoli, felici e sorridenti, Marchionne ed Elkann ritratti all’apertura di Wall Street con il rito della cam-

nicazione, non si sia impressionare lasciato decretando subito il ribasso del titolo FCA, e le agenzie di rating non si siano mosse di un millimetro dal loro giudizio piuttosto stagnante sulle politiche economiche del gruppo. Insomma, più che suonare la famosa campanella di Wall Street, il 13 ottobre è sembrato a molti che ad essere “suonati” siano stati proprio loro. Si conferma una tradizione juventina secondo la quale

panella, ad avallare la propria nuova americanità fiscale ed economica, assurgendo al ruolo di simboli dell’Italia alla riscossa. Peccato che il mercato americano, nonostante la pompa magna della comu-

il giudizio degli arbitri internazionali, appena si esce dalle italiche mura, diventa assai severo. Fortunatamente Conte è andato via: altrimenti avrebbe già gridato al complotto…


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rmai non si sa più cosa sia il Made in Italy!

“Qualcosa che viene prodotto in Italia”, diremmo tutti noi. E questo è certamente vero se acquistiamo una mozzarella di bufala dal caseificio del nostro paese. Non è così se invece chiediamo il prosciutto di Parma. Per via della scarsa disponibilità di materia prima (cioè di maiali vivi) le imprese del Nord che producono e commercializzano il prosciutto di Parma in realtà vendono prodotti tedeschi; e quando le nostre Autorità di vigilanza e antifrodi tutelano quei prodotti (che recano il marchio made in Italy) tutelano materia prima tedesca. E questo per un business che vale decine di milioni di pezzi!!! èassolutamente assurdo ma non c’è da meravigliarsi: anche il latte necessario

l’Analisi

IL MADE IN ITALY AL PROSCIUTTO CANIO TRIONE

alla produzione di molto formaggio del Nord (quello che viene magnificato sulle reti televisive…) viene d’oltr’Alpe così come i vestiti, il mobilio, e così

settentrionale, che beneficiano sui mercati di tutto il mondo della mitica immagine del cibo italiano, spesso, nella realtà, vendono prodotti di serie B

via… In queste condizioni, cosa sia rimasto in giro per il mondo di cibo e prodotti italiani è tutto da verificare. La nostra politica è riuscita a distruggere anche questo. Due certezze si impongono immediatamente. Primo: le produzioni massive della grande impresa

cioè frutto di produzioni estere, più industriali che agricole. Secondo: gli unici che con sacrificio (divenuto già da tempo vero e proprio eroismo) ancora producono su scala modesta il vero prodotto italiano sono gli imprenditori meridionali. Sappiamo che, nonostante questa realtà, i brutti, gli

ASCOMER

sporchi e i cattivi per la nostra politica siamo noi: contro le nostre imprese si applica la lettera della legge antifrodi con puntigliosità maniacale. Registri cartacei e virtuali vengono imposti a contadini dalle mani callose mentre i contabili ormai naufragano nella immensità, contraddittorietà ed intellegibilità delle incombenze burocratiche ed amministrative distribuite senza ritegno a carico di tutti i nostri produttori. Nello stesso tempo accade che a Montecitorio, in Commissione parlamentare antifrodi, un produttore di insaccati “made in Italy” dichiari apertamente di utilizzare materia prima di provenienza nord-europea senza che questo produca alcuna reazione proprio da parte dei parlamentari in ascolto e pagati proprio per difendere meglio il “made in Italy”. Nessuna sanzione, indagine o reprimenda. Nulla!

DAL MADE IN ITALY CHE LATITA…AL MADE IN SUD CHE LOTTA

L’ a s s o c i a z i o n e AS.CO.MER. (Associazione per il COnsumo tra i MERidionali), nasce con lo

scopo di riunire imprenditori del Sud che vogliono fare rete realizzando un indotto di imprese e consumatori meridionali uniti e vincenti. Il Sud non ha infatti bisogno di importare prodotti provenienti dal

Nord: ci sono materie prime e risorse, mancano però delle leggi che possano fare in modo che il mercato cresca e che chi decide, nonostante tutto, di rimanere al Sud e portare avanti le proprie idee abbia anche un apparato giuridico ed economico che lo sostenga. L’associazione prova a fare questo: ovvero creare un condotto che metta in relazione questi imprendi-

tori che tra loro possano fare rete relativamente alle loro prestazioni. In questo modo la domanda e l’offerta trovano una risposta di mercato ancor prima che il prodotto finale sia realizzato e la filiera, diventando così più corta, può offrire al consumatore finale l’opportunità di usufruire di un prodotto totalmente made in sud e ad un prezzo vantaggioso.


la Riflessione

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MALASANITÀ, TROPPI TAGLI O POCA PROPENSIONE ALLA MISSIONE?

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ono sempre più frequenti casi di cronaca che riportano notizie in cui un paziente si sia presentato, per qualsivoglia sintomo, in pronto soccorso , sia stato poi mandato a casa dopo controlli o cure e poi sia morto di lì a poco. Ultima in ordine temporale, almeno mentre stiamo scrivendo l’articolo, è una donna di 35 anni che si era presentata al pronto soccorso per dolori addominali, è stata curata, poi dimessa ma in serata il malore le ha provocato la morte. La parola passa alla procura che dovrà decidere se disporre o meno l'autopsia. Questo è un dato che oltre a spaventare dovrebbe far riflettere perché se è vero

che, come lamenta da diverso tempo il personale medico, i turni in pronto soccorso ed in reparto sono massacranti e che mancano le risorse per coprire a dovere una turnazione che dia lucidità nell’espletamento del loro lavoro; se è inoltre vero che certe volte l’ansia dei parenti del paziente possa in qualche modo ritardare o intralciare il lavoro del personale medico e paramedico nelle loro funzioni è anche vero e sacrosanto che nel momento in cui si decide di intraprendere questa professione bisogna tenere sempre a mente il giuramento di Ippocrate fatto all’atto della proclamazione e che quindi si deve tener conto che la propria è una missione ed ogni paziente ha il diritto di

essere curato nel migliore dei modi non solo dal punto di vista medico ma soprattutto da quello umano. Non entrando nel particolare della vicenda riportata della quale sono in corso tutti gli accertamenti del caso che sanciranno se ci siano o meno responsabilità dirette della struttura nel decesso, quello che forse oggi manca in qualche, speriamo solo in qualche, ospedale o ricovero è il buon senso, l’amore verso il prossimo, la comprensione del dolore di una persona che si è recata lì per essere curata a dovere, e della sofferenza che i parenti possono provare in quei momenti, a seconda della gravità del caso. Quello che forse manca è la consapevolezza che

SIMONA BUONAURA

una vita umana non può essere trattata come un pezzo di ricambio di un meccanico, come una cartuccia terminata di una stampante, come un prodotto che presenta delle problematiche. Questo non fa bene alla società perché il dolore e la sofferenza meritano rispetto e comprensione ed in certi casi, anche in quelli più gravi, una parola di conforto o un sorriso invece di paroloni medici o incuranza e fastidio nel dover ripetere questa o quella terapia potrebbero far tanto perché la vita, o la morte, farà comunque il suo corso ma il professionista ha perso l’occasione di dimostrare umanità al di là del referto medico ed al di là della patologia del paziente!


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la Fiera

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OLTREMARE A NAPOLI

Dalla pesca ai giochi d’acqua CARLO ZAZZERA

l mare come risorsa e non come barriera. È questo l’obiettivo che vuole raggiungere il nuovo salone Oltremare, la cui prima edizione è stata organizzata alla Mostra d’Oltremare dal 25 ottobre al 2 novembre. Un’esperienza nuova per la città, che tende a far conoscere l’elemento meno sfruttato ma più presente in tutta la regione, con una convergenza tra i vari settori che ne possono garantire lo sviluppo. Nell’ambito del salone uno

all’abbigliamento tecnico per la pesca e alle aziende che producono strumenti e barche da pesca. Questo settore è un traino naturale per la cultura del mare. La pesca è un istinto dell’uomo e tutto quello che ruota intorno a questo mondo serve per svilupparlo, oltre ad essere un ottimo elemento per incontrare la natura e il mare con serenità. Viviamo un’epoca in cui i giovani sono portati a chiudersi al mondo esterno, mentre la pesca, la subacquea e la nautica

spazio fondamentale è stato occupato dal mondo dei giochi acquatici, uno dei modi più semplici e immediati per avvicinare al mare giovani e meno giovani. Un’offerta completa che, come ci ha spiegato uno degli organizzatori, Gino Finizio, è servita per attirare appassionati e curiosi: “All’interno del padiglione 10 della Mostra d’Oltremare era presente tutto ciò che è legato ai giochi acquatici, dal diving alla pesca di superficie, dalla traina alle scuole di apnea, fino al windsurf,

aiutano ad aprirsi all’esterno e a scoprire una grande ricchezza del nostro golfo”. Quanto il mare possa essere importante per la Campania lo ha spiegato molto chiaramente il presidente dell’ente Mostra d’Oltremare, Andrea Rea: “Il mare è una parte di economia importante della regione e della città. È un pezzo di storia e cultura del territorio e un elemento indispensabile per l’economia e per la sua ripresa. La Mostra d’Oltremare riprende il percorso

del marecon un evento che possa crescere nei prossimi sei anni e che sia importante non solo per i napoletani. Il mondo della

frequenta apprezza sempre di più questo ambiente affascinante, dinamico e pieno di emozioni”. Per la prima volta, inoltre, il

pesca e degli sport di mare rappresenta la declinazione e la prospettiva per l’utilizzazione delle barche, che non servono solo per prendere il sole ma sonoil mezzo per conoscere terre e mari e per confrontarsi con loro. Questo salone è importante per il mondo della nautica perché veniamo da una crisi e perché il

salone Oltremare ha portato nell’ambito di una fiera di questo genere le università del territorio, che sono uno degli anelli della filiera del mare che in questi anni sono mancati per permettere uno sviluppo complessivodella principale risorsa del paese, ancora purtroppo non valorizzata a pieno, ma pur sempre con ampi

mare, pur essendo molto vicino a noi, è sconosciuto a molti. Il mare è un’opportunità e un piacere e chi lo

margini di sfruttamento anche in un periodo di crisi economica come quello attuale.


il Convegno

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RATING ADVISORY IN SOCCORSO DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

e piccole e medie imprese italiane, soprattutto al Sud, risentono, com’è inevitabile, dell’attuale pesante crisi economica. Portare avanti un progetto imprenditoriale o anche solo riuscire a dargli vita, significa intraprendere un percorso a ostacoli da cui non tutti escono indenni. L’unico modo per avvicinarsi alla risoluzione del problema è affrontarne l’aspetto pratico senza perdersi in sterili concettualismi.

L’Associazione italiana Rating Advisory (AIRA), presentata pubblicamente a luglio presso l’ordine dei Commercialisti di Napoli, nasce, infatti, con l’intento di ridare slancio alle imprese attraverso la figura innovativa del rating advisor, un consulente che possa aiutare concretamente a costruire e pianificare un progetto, facilitandone l’accesso al credito e riducendone i possibili rischi. Nel corso del workshop,

GABRIELLA DILIBERTO

tenutosi il 29 ottobre presso la Camera di Commercio di Napoli, ha avuto luogo un’interessante tavola rotonda in cui i responsabili di banche, imprese, agenzie di rating e consulenti del rating advisory hanno dialogato apertamente con il preciso scopo di chiarire le proprie posizioni e priorità, ma soprattutto con l’obiettivo di abbattere barriere inutili ed essere trasparenti in funzione dei propri interessi.

Mario Bowinkel, presidente dell’associazione AIRA, ha moderato l’incontro riuscendo a fare chiarezza nel confronto tra le parti e spiegando, in modo acces-

sibile a tutti, quanto possa risultare utile, in un momento come questo, il supporto di un consulente specializzato. “L’Aira si pone come punto di riferimento per i consulenti e, quindi, per le aziende, in un modo nuovo di fare finanza e impresa – ha dichiarato -.Credo che oggi per le aziende sia fondamentale fare un salto di qualità.

L’accesso al credito è molto problematico perché legato alle dinamiche di elaborazione di un rating e la figura di un consulente esterno che assista l’impresa in outsourcing può aiutare ad interloquire con

i propri partner bancari o canali alternativi a quello bancario. È fondamentale lavorare su una maggiore strutturazione dell’impresa in materia di gestione finanziaria soprattutto per affrontare al meglio il delicato passaggio generazionale”. Ospite dell’evento, organizzato dall’ordine dei commercialisti e dalla commissione finanza e mercati finanziari,Ciro de Nigris,direttore generale della Banca Popolare del Mediterraneo, ha spiegato quanto sia difficile finanziare una startup: “Capita che ci siano capitali senza idee o idee senza capitali e quest’ultima condizione, purtroppo, è la più diffusa. Lo stresstest della BCE, realizzato nel 2013,ha penalizzato due banche italianema si deve tener conto che altri stati europei,come Germania, Inghilterra, Spagna, sono stati aiutati. Il confronto non era paritario, andava fatto tra paesi messi nelle stesse condizioni. Considerato questo aspetto importante, io credo che


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l’Italia ne sia uscita abbastanza bene”. Ciro de Nigris ha anche suggerito, soprattutto per la situazione meridionale, un tipo di finanziamento nuovo: “Per il Sud c’è questa innovazione rappresentata daiMiniBond, le obbligazioni

emesse dalle banche sui debiti delle piccole e medie imprese e in questo modo si darebbe vita a un circolo virtuoso”. Giosuè Grimaldi, presidente della sede di Napoli dell’Istituto Italiano di Navigazione,ha, invece, sottolineato l’inadeguatezza di molte aziende che giungono impreparate ad alcune fasi delicate: “È importante parlare del passaggio generazionale nelle imprese familiari che detengono la misura del 90% del pilche viene realizzato in Italia. Queste imprese hanno una mortalità elevatissima soprattutto nel passaggio tra la prima e la seconda generazione ed è fondamentale dare consigli su

come affrontare questo passaggio di consegne. Ho lavorato anche con l’università Federico II per individuare le cause di questi fallimenti e la più ricorrente è la mancanza di pianificazione. Il passaggio generazionalenon

capita tra capo e collo - ha continuato Grimaldi -, è una fase della vita di un’impresa.

Dobbiamo dare più attenzione al Sud perché le imprese familiari sono la vera ossatura della nostra economia e questo evento è anche un richiamo alle istituzioni che devono considerare la possibilità di attuare dei sistemi di sostegno per formare nel modo migliore l’imprenditore e prepararlo a queste eventualità”.

A chiarirci le idee sulla funzione del rating, spesso temuto dalle aziende, è stato Fabrizio Negri, responsabile della Cerved Rating Agency:“Il rating

il Convegno

non è una minaccia ma un’opportunità, o meglio l’opinione di un terzo specializzato che permette di comunicare nel giusto modo con una serie di interlocutori, siano banche o fornitori. Una figura come quella di un advisor che aiuta a dialogare con l’agenzia di rating diventa molto utile”. Salvatore Palma delegato del Consiglio ODCEC di Napoli ha, infine, posto l’attenzione sui problemi evidenti del Sud e sulle ipotetiche soluzioni: “Sicuramente la defiscalizzazionepuò dare la possibilità di far avviare lenuove attività con un minimo di abbriviosul piano fiscale, tributario e degli adempimenti. È, quindi, importante da parte del governo centrale o da parte delle amministrazioni locali, quando hanno potestà nel

probabilmente, si può generare nuova imprenditorialità. Noi come categoria siamo la cerniera, l’anello di trasmissione tra quello che è il mondo imprenditoriale, della ricerca, delle università, delle istituzioni e le imprese stesse.

merito, agevolare questo processo che va aiutato anche attraverso una decontribuzione. Così,

La figura del rating advisor va sicuramente a colmare un vuoto”.

Nel territorio meridionale e campano le imprese nascono sulle idee grazie alla genialità che ci contraddistingue, ma c’è una mancanza di capitale che bisogna favorire con l’ingresso di nuovi capitali dal sistema bancario o comunque attraverso altre operazioni che generino un supporto di patrimonio per quelle imprese che, altrimenti, partirebbero svantaggiate rispetto a quelle del restante territorio.


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l’Impresa

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GARBY: OCCUPAZIONE E TUTELA DELL’AMBIENTE VALENTINA G IUNGATI

arby è un’azienda casertana con un progetto ambizioso, creare ricchezza con il riciclo. La mission è offrire servizi commerciali

con cui sono stati avviati molti progetti, una vera alleanza ecologica. L’azienda inoltre è la prima al mondo ad aver realizzato un composter domestico elettronico “NatureMill” per trasformare i rifiuti ali-

per la raccolta differenziata di packaging. Tecnologie innovative assicurano una riduzione dell’80% di volume dei materiali e un processo completo che parte dalla raccolta dei rifiuti sino al trasporto ed infine alla trasformazione in nuovi prodotti. La società vanta una crescita su tutto il territorio italiano nonché partnership commerciali con aziende leader nel mercato europeo. Garby è infatti una delle maggiori realtà nazionali ed europee nella raccolta di materie, vantando un aumento di investimenti del 35% e un’occupazione in crescita al 25%. Trattasi della prima realtà italiana a diffusione concreta e capillare, non solo rivolta alle imprese ma soprattutto agli spazi pubblici, alle scuole, ai comuni

mentari in fertilizzante naturale. Abbiamo intervistato l’Amministratore Delegato di Garby Vincenzo Sparaco.

Un progetto ambizioso che inaugura un nuovo modo di fare raccolta differenziata. Quali sono le peculiarità? «Il progetto Garby ha come obiettivo principe quello di dare valore al riciclo. Il nostro slogan è “il riciclo che vale”. Di fatto i valori che diamo sono più di uno, innanzitutto partiamo dal valore ambientale perché finalmente per il pet, alluminio, e hdpe viene utilizzata una filiera corta che porti il materiale da riciclo direttamente nell’azienda di trasformazione abbattendo la filiera dei trasporti e eliminando fasi inutili e costose della vita di un rifiuto come la gia-

cenza in magazzini di deposito. Abbinata alla coscienza ambientale e al rispetto del nostro ambiente, il nostro progetto ha l’ambizione di avere un ruolo sociale e quindi educativo. Ad ogni conferimento di materiale da riciclo, l’ecocompattatore Garby rilascia uno scontrino con ecobonus spendibili in attività locali e convenzionati, come supermercati, cartolerie, bar, centri estetici, ecc. Avere uno sconto diretto sulla spesa è il primo mezzo per incentivare i cittadini a continuare e abituarsi a differenziare. Un’educazione al riciclo dunque oltre che risparmio e rispetto per l’ambiente». Un’idea valida e concreta che nasce e si sviluppa al Sud, con una filiera tutta Italiana. Il Sud è ancora cantiere di idee vincenti? «Garby ne è il fiore all’occhiello. Come spesso diciamo il nostro progetto di un rifiuto che vale sorge proprio da San Marco Evangelista a Caserta. Una zona che è conosciuta in tutta Italia come “la terra dei fuo-

chi”, dove il problema rifiuti è più grave e meno sentito. Eppure è proprio qui che nasce e si diffonde in tutta la penisola una delle iniziative che guarda ad un futuro sostenibile e più green dando un aiuto diretto ai cittadini, Garby. E di questo ne siamo orgogliosi perché siamo gli unici nella penisola a dare un servizio completo che parte dall’eco-compattatore e arriva direttamente all’azienda di trasformazione. Con quasi 300 ecopoint distribuiti da Nord a Sud e nelle isole, Garby è la dimostrazione che serietà, professionalità e passione nel portare avanti un progetto ricco di valori, alla fine porta sempre a dei risultati importanti. èper questo che vogliamo continuare a diffondere il nostro messaggio anche nelle scuole, oltre che nei comuni e nelle piazze. Coinvolgere sempre più persone e sempre più ragazzi e bambini per condividere con loro la filosofia di Garby ci fa sperare che in ognuno


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di noi possa scattare quel senso civico e rispetto per la gestione del rifiuto e l’ambiente».

In che modo gli enti pubblici partecipano concretamente investendo risorse? «Gli eco-compattatori vengono dati in concessione gratuita ai comuni. L’investimento dell’ente pubblico sta di fatto nello spingere le iniziative che incrementino il riciclo anche nel territorio di competenza. Il loro compito è quello di sposare la filosofia del progetto Garby e comunicarlo ai loro cittadini. È il comune poi a trarre il vantaggio della raccolta Garby per tre ragioni. Primo aumenta la raccolta dei rifiuti, secondo abbatte la spesa per il riciclo della plastica, terzo diffonde un messaggio di educazione alla raccolta differenziata. Vi posso fare un esempio

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con dati alla mano riportandovi l’esperienza di un comune dove Garby è presente da più di un anno. A

Narni in Umbria i due ecopoint installati nelle piazze locali hanno permesso l’incremento del 10% della raccolta di plastica. È stato calcolato che in soli sei mesi nel comune umbro sono state raccolte quasi 6,600 tonnellate di plastica con una media di circa 1100 kg al mese. E questo è uno dei tantissimi esempi. Molto spesso ci capita di dover richiedere un aumento dei turni programmati per svuotare gli eco-compattatori tanta è l’affluenza e l’utilizzo dei cittadini».

Attraverso quali rami il progetto si sta diffondendo e quali direzioni avrà in futuro? «Ad oggi lavoriamo con i concessionari Garby. Il

successo del nostro progetto sta anche nell'efficienza dell'innovativo “sistema a filiera”, il modello operativo che ha dato vita al più vasto network della raccolta differenziata, basato su una capillare rete di concessionari e su aree dedicate al riciclaggio dei rifiuti dotate dei più efficienti eco compattatori sul mercato. Il concessionario, in costante relazione con i valori, la strategia e il personale Garby, opera autonomamente nel proprio territorio di riferimento, promuovendo l’installazione degli ecocompattatori, informando i comodatari sui vantaggi dell’installazione e proponendo sempre la migliore soluzione in relazione alle esigenze espresse. Il concessionario rappresenta il cuore dell’innovativo network del riciclo creato da Garby e si pone come una nuova figura professionale in grado di gestire al meglio il riciclo di plastica e alluminio, dalla raccolta differenziata allo stoccaggio del materiale. Ma non solo. Il concessionario Garby è un vero esperto di eco marketing e supporta il cliente nella realizzazione delle attività promozionali più efficaci. Infine oltre agli eco-compattatori stiamo spingendo in Italia la compostiera domestica elettronica, che trasforma gli

l’Impresa

scarti alimentari in fertilizzante naturale, riducendo drasticamente il processo di compostaggio dell’umido».

Un modello economico innovativo che influenza direttamente il mercato del lavoro. Quali sono le opportunità di crescita ed imprenditoriali? «Oggi il mercato della Green Economy è uno dei settori più interessanti su scala mondiale. In particolare, il riciclaggio e la gestione dei rifiuti rappresentano un mercato ricco di opportunità. A livello globale è in corso una vera e propria “rivoluzione verde” con importanti ricadute occupazionali in diversi settori produttivi. In Italia le opportunità sono addirittura amplificate, il mercato nazionale infatti presenta margini di crescita più elevati rispetto al resto d’Europa, dove gli standard della raccolta differenziata sono in generale più sviluppati. È adesso che è importante cogliere l’occasione Garby! Il progetto infatti oltre a incentivare gli acquisti con buoni sconto spendibili dai cittadini direttamente nelle aree limitrofe, dà la possibilità attraverso la rete di concessionari esclusivi nel territorio di far aumentare direttamente le attività lavorative nel territorio creando nuova occupazione e fonte di guadagno. E quali nuovi business se non quelli legati a obiettivi sostenibili e al green possono decollare velocemente in questo difficilissimo periodo economico?».


la Politica

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REGIONI D’EUROPA I POPOLI TORNANO PROTAGONISTI ANTONIO GENTILE

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egli ultimi anni, specie dopo l'accresciuto grado d'integrazione europea, il processo di "regionalizzazione", inteso come criterio di organizzazione degli interessi e delle volontà politiche su base territoriale, si è notevolmente rafforzato, condizionando non poco l'Unione europea. Molte scelte di fondo e molte direttive comunitarie sono state indirizzate verso la valorizzazione delle identità regionali e lo sviluppo delle istituzioni collegate. Partendo dall'Atto unico europeo e con l'avvio delle politiche strutturali, le regioni hanno assunto un ruolo rilevante. Con il trattato di Maastricht del febbraio 1992, che stabilì che "il cammino dell'Europa passa per le regioni", s'istituì come organo dell'Unione il "Comitato delle Regioni", conferendo ai governi substatali ampio riconoscimento e si affermò che i governi nazionali

non erano più i soli rappresentanti degli interessi europei. Emerge, dunque, in questo processo di protagonismo e impegno regionale, la "relativizzazione" degli stati-nazione, che non sono più sentiti come "un dato di natura, ma come una costruzione artificiale frutto di un movimento storico europeo". La mobilitazione regionale, alle ragioni di natura storica, culturale e politica ha aggiunto sempre più quelle di natura economica e sociale, puntando fortemente verso processi di cooperazione interregionale bilaterali e multilaterali. Partendo dai protocolli d'intesa, dai gemellaggi, dalle forme di partecipazione economica e tecnologica, le regioni europee, specie quelle di confine, producono un attivissimo scambio di beni, di servizi, di lavoro, di capitale, di coordinamento infrastrutturale e di trasporti, tutelando, nello stesso tempo i propri interessi di fronte ai governi centrali e agli

organismi internazionali. Molte di queste regioni, che per secoli hanno rappresentato realtà storicoterritoriali organiche, sono state disunite dalle barriere degli stati nazionali e dai numerosi conflitti. Pertanto, queste entità subnazionali hanno cercato collaborazione tra loro su varie questioni, creando delle importanti associazioni interregionali, quasi sempre a carattere transfrontaliero. Le questioni regionali, in particolare modo il processo di trasferimento di funzioni e poteri dallo Stato centrale agli istituti periferici (decentramento, federalismo, devolution…), sono processi politici che hanno attivato numerosi movimenti territoriali che riconducono queste istanze sotto l'egida della difesa e della riscoperta di un'identità. Per regionalismi possiamo, quindi, intendere quei movimenti d'idee e di lotta politica che si richiamano all'identità di un territorio come fonte di elementi cul-

turali primari come la lingua, l'etnia e di valori tradizionali. Questi ultimi trovano forme espressive nella mentalità, negli usi e costumi, nelle religioni, nella letteratura, nelle regole comuni, che nel loro insieme costituiscono una cultura. In pratica "il regionalismo è un'ideologia specifica che traduce territorialità e cultura in un programma d'azione e come ogni altra ideologia politica, ha una gamma di fini politici e culturali da conseguire". La riscoperta e la difesa di un'identità collettiva di una comunità, di un popolo, implicano per prima cosa la capacità dei membri di riconoscersi portatori di caratteri comuni, rielaborando in chiave mitico-simbolica la cultura tradizionale nelle sue varie espressioni, tutelando la propria identità dai processi di omologazione. Se l'autonomia nelle sue varie forme, compresa la secessione, intesa come controllo su un determina-


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19 to territorio, rimane storicamente l'elemento comune di tutti questi movimenti, l'obiettivo di un maggiore sviluppo economico e sociale, unito al controllo delle risorse, rappresenta il fine politico più recente. L’esplosione del “fait régional” ha generato la nascita di numerosi partiti regionalisti che, oramai, sono presenti in tutta l'Unione europea, dilatando sempre più il fenomeno territoriale. I nuovi partiti si sono aggiunti a quelli antichi e autorevoli come il Partido

Nacionalista Vasco, lo Scottish National Party, la Esquerra Republicana de Catalunya, il Plaid Cymru, il Südtiroler Volkspartei, il Partito Sardo d'Azione, l'Union Valdôtaine, l'Unione di U Populu Corsu, fino

alla più recente Lega Nord. Molte di queste formazioni politiche rientrano nell’ALE/EFA (Alleanza Libera Europea), associazione nata nel 1981 con lo scopo di aggregare i partiti regionalisti. Infatti, è proprio l'integrazione europea ad aver rafforzato il ruolo delle Regioni, consentendo loro di inserirsi nei processi decisionali dell'Unione. Tutte le formazioni politiche regionaliste hanno notevolmente accresciuto il loro consenso elettorale, favoriti dalla crisi del confronto ideologico e dall'af-

fermarsi dell'identità territoriale come principale riferimento politico-culturale. La loro crescita, generata anche dall’indebolimento degli stati-nazione, ha determinato in molti casi lo smantellamento dei

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la Politica

vecchi sistemi di partito ritenuti ormai obsoleti e antidemocratici, intercettando la grande voglia di partecipazione presente,

menti di rinnovamento, dall'ideologia del territorio ai nuovi modelli di partecipazione e di autogoverno, dove i cittadini potranno

oggi, nella società civile, e puntando al superamento delle tradizionali divisioni interne alla comunità di riferimento. Rifiutando in molti casi di collocarsi sull'asse destra/sinistra, considerato fattore di divisione nell'ambito delle comunità, i partiti territoriali criticano le forme politiche tradizionali, rispecchiando in un certo qual modo l'eterogeneità della loro base di riferimento, e proponendo nuovi elementi d'aggregazione e di solidarietà. La nuova politica troverà, dunque, nel regionalismo europeo numerosi ele-

verificare in modo diretto l'operato dei loro delegati, rafforzando in tal modo il senso di responsabilità, nell'ottica più generale di una comune identità.

E in tutta questa rivoluzione territoriale, il Sud dell’Italia, può ritrovare la strada della sua autonomia, recuperando identità e forza. L’Europa dei Popoli, delle Regioni storiche, del self-governament, offre all’antico Stato meridionale un’opportunità irripetibile in grado di ribaltare la condizione di subalternità cui lo stato italiano lo ha condannato.


gli Indipendentismi

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IN EUROPA SPIRANO VENTI DI INSURREZIONE E INDIPENDENZA

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ontinuano i nostri approfondimenti sui popoli in gestazione, coloro che in nome della propria identità rivendicano sovranità e indipendenza. Prendiamo spunto stavolta da un episodio di cronaca di qualche settimana fa, il parapiglia scatenatosi durante il match di qualificazione agli Europei di calcio tra Albania e Serbia, dopo che un drone aveva sorvolato lo stadio ed esposto la bandiera della Grande Albania. Questo, l'evento che ha scaturito la reazione accesa di giocatori e sostenitori serbi che hanno dato vita ad una rissa che ha poi portato all'interruzione definitiva della partita. Che la rivalità fra albanesi e serbi non riguardi solo il gioco del pallone era scontato anche prima del fischio d'inizio, ma ciò è stato evidenziato sin da subito dai fischi da parte dei tifosi serbi all'inno albanese. Una reazione così

MAURIZIO MEROLLA

rabbiosa però non avrebbe avuto ragion d'essere se quella bandiera atterrata

sul manto erboso, solitamente calcato dal Partizan di Belgrado, avesse inneggiato esclusivamente allo stato albanese. La 'Grande Albania' o meglio l'Albania Etnica, difatti comprende anche il Kosovo, che pro-

prio dalla Serbia ha dichiarato la sua indipendenza. Non un caso che il grido

della torcida serba che accompagnava gli scontri era proprio “Il Kosovo è Serbia”, canto ascoltato anche quattro anni fa allo Stadio Marassi, dopo che un tifoso italiano aveva provocatoriamente espo-

sto una bandiera kosovara, scatenando un lancio di fumogeni in campo che anche in quel caso era costato la sospensione dell'incontro.

Una vicenda analoga è avvenuta poi qualche giorno dopo a Nizza, in seguito alla partita con il Bastia uscito vittorioso per 1-0. A partita finita il portiere di riserva della squadra corsa ha deciso di festeggiare il successo esponendo la testa mora, la bandiera della Corsica, anch'essa terra di forti identità e ricca di contrasti. Neanche a dirlo, la reazione è stata sempre la stessa: invasione di campo da parte dei tifosi nizzardi e tafferugli. Quella che può sembrare una provocazione, in realtà altro non è che un vero e proprio gesto politico. Quella bandiera corsa è stata difatti sventolata in risposta al divieto di esposizione di vessilli inneggianti all'indipendentismo, imposto dal prefetto di Nizza.


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21 Sempre per preservare l'ordine pubblico, prima della partita casalinga del Bastia contro il Monaco, attraverso un comunicato la federazione vietava l'utilizzo di drappelli corsi, quelli tenuti solitamente dai bambini che accompagnano l'ingresso in campo delle squadre. Non si è fatta attendere la reazione d'orgoglio dell'intero stadio del Bastia che ha sventolato 15000 bandiere della Corsica in barba al comunicato della federcalcio francese. Il calcio quindi viene sempre più usato come amplificatore di battaglie politiche e sociali, data la visibilità, talvolta internazionale, che esso è in grado di offrire. Non un caso che la stessa tifoseria del Barcellona metta spesso in atto coreografie, o esponga bandiere e striscioni per l'indipendenza catalana, argomento all'ordine del giorno in vista del referendum sull'indipendenza del 9 novembre. I tifosi culé ad ogni partita casalinga acclamano l'indipendenza in modo singolare ed evocativo: ogni volta che cade il minuto 17:14 parte il coro “in-inde-independéncia” ed il Camp Nou si colora di giallorosso e questo poiché il 1714 è l'anno in cui Barcellona capitolava alle

truppe borboniche e la Catalogna perdeva la sua indipendenza. Forte dunque l'orgoglio della tifoseria ma anche quello della stessa società che da anni a questa parte propone come maglia da trasferta quella con i colori della senyera, la bandiera catalana. La stessa operazione è stata fatta dall'Athletic Bilbao, la squadra sicuramente più attaccata alle proprie radici, in cui l'intera rosa è composta da giocatori baschi. Proprio un incontro fra queste due squadre suscitò molto clamore in Spagna. Era il 2009 ed in palio c'era la Coppa del Re e l'inno di Spagna fu sonoramente fischiato da tutto lo stadio, episodio analogo a quello della finale di Coppa Italia del 2012 in cui però fu solo la tifoseria napoletana a contestare l'inno di Mameli.

Da Barcellona passiamo dunque a Napoli. Qui il calcio non può essere considerato un mezzo altrettanto efficace per dare visibilità alle istanze identitarie, anche per la rigorosa apoliticità del tifo organizzato, ma vi sono comunque stati isolati episodi di questo tipo, non ultimo la conte-

gli Indipendentismi

stazione alla nazionale italiana di qualche mese fa. Non potendo dunque essere il calcio una buona vetrina dei movimenti autonomisti, questi ricorrono spesso a vie traverse per ottenere risalto mediatico. L'ultimo episodio che molto ha fatto discutere in questi giorni è stato l'arresto dei due indipendentisti che hanno contestato la parata dei bersaglieri a Napoli. I due sono stati arrestati con l'accusa di vilipendio per aver seguito

con una bandiera del Regno delle Due Sicilie il corteo dei bersaglieri fin dentro la Caserma Nino Bixio. Alla fine del corteo, questi sono stati accerchiati dalle forze dell'ordine e poi arrestati. La vicenda è poco chiara, non essendo illegale esporre simboli o bandiere di stati preunitari. A quanto pare poi non vi sarebbe stata alcuna minaccia all'ordine pubblico, né contestazioni plateali da parte dei due uomini e viene quindi da chiedersi cosa potesse avere quella bandiera, messa agli atti come corpo del reato, di così pericoloso. I due dimostranti hanno tenuto a chiarire la nonviolenza del gesto, il cui scopo era quello di far luce sulla “controstoria” dell'Unità d'Italia ed hanno poi reso una dichiarazione

spontanea alle forze dell'ordine in cui sostenevano di non sentirsi cittadini italiani.

Il vento nazionalista, seppur ridimensionato secondo alcuni dopo il referendum perso dagli indipendentisti in Scozia, non sembra arrestarsi, anzi continua a diffondersi. Sarà curioso scoprire che ruolo questi movimenti potranno esercitare in uno scenario come quello attuale, così fragile sia

politicamente che economicamente, e che spazio riusciranno a ritagliarsi entro i propri confini.

Razionalmente questi movimenti dovrebbero essere penalizzati nel contesto politico in cui l'economia è l'unica priorità e le ideologie, così come le identità socioculturali, sono passate in secondo piano. Ciononostante essi non cessano di esistere, bensì evolvono e si diffondono. Essi sono il sintomo del ritorno dei popoli a volersi gestire autonomamente. Con l'auspicio che possano riuscire a sovvertire un sistema governato da enti sovranazionali opachi sempre più padroni e crearne uno alternativo in cui la sovranità di ogni nazione appartenga al proprio popolo.


l’identità

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CAPUA RICORDA I CADUTI AL VOLTURNO OTTENENDO UN SUCCESSO “SPETTACOLARE”

na giornata nel solco della memoria e della tradizione: questo il significato dell’entusia-

smante appuntamento svoltosi Sabato 11 Ottobre 2014 a Capua dove, da ben diciassette anni, l’Istituto di Ricerca Storica delle Due Sicilie, capitanato dal Presidente Giovanni Salemi, organizza questa celebrazione con la stesso entusiasmo del primo anno ma con successo e consolidamento sempre crescente.

Quest’anno la manifestazione, premiata oltre le più rosee previsioni degli organizzatori per numeri e qualità del pubblico, è stata impreziosita dalla presenza di S.A.R. Beatrice di Borbone delle Due Sicilie, che si è detta commossa per l’affetto e le fedeltà che il popolo rivolge ancora

tanto a lei che alla Real Casa. La lunga giornata è cominciata con una breve cerimonia in ricordo di Filippo Ginolfi, Antonio Jaforte e

Federico Quandel: i primi due, ufficiali dell’Esercito delle Due Sicilie (uno maggiore, l'altro capitano d'artiglieria), l’ultimo, appartenente alla nota famiglia di militari Napoletani ed ex allievo della Real Accademia della Nunziatella. Presenti le truppe del Capitano Umberto Schioppa, Comandante del 3° Reggimento Fanteria di Linea “Principe”, il dottor Salemi ha detto alcune brevi parole e sono state deposte delle corone d’alloro.

Il programma è poi ripreso nel pomeriggio, quando alla presenza del Sindaco di Capua Carmine Antropoli, c’è stata la deposizione di una corona d’alloro alla lapide in memoria dei

Caduti con gli alunni del Liceo Musicale “Garofano” di Capua, diretti dal Maestro Antonio Parillo, a sottolineare con i loro strumenti la gravità del

momento. L'allocuzione anche quest'anno è stata affidata allo storico Francesco Maurizio di Giovine, poi, presso la splendida Chiesa di origine longobarda dei S.S. Rufo e Carponio, si è svolta la Celebrazione Eucaristica officiata

da don Francesco Pappadia e concelebrata da don Massimo Cuofano e da don Luciano Rotolo.

Successivamente ci si è spostati nello splendido Museo Campano che ha ospitato la seconda parte dei lavori, aperti dall’esibizione dell’ensemble vocale “Musicanto” del Real Teatro di San Carlo, diretta dal Maestro Giancarlo Amorelli, che ha dato inizio alla sessione di lavori intonando l’“Inno del Re” di Giovanni Paisiello in onore dell’autorevole partecipazione dell’esponente della Real Casa.

I saluti istituzionali sono stati moderati ed introdotti dal giornalista e scrittore Fernando Riccardi che ha poi passato il testimone al nostro direttore Gino Giammarino il quale, insieme ai suoi ospiti Jean Nöel Schifano e Mimmo Falco ha dibattuto sul tema dei lavori, quest’anno rappresentato da "La Tradizione come Madre", infiammando la platea che ha tributato lunghi applausi agli


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interventi degli illustri ospiti. L’attrice Gea Martire, dulcis in fundo, ha inter-

pretato con le sue straordinarie doti teatrali il monologo “Cafone” dedicato alle Brigantesse e che ha riscosso grandissimo successo personale per un’interpretazione sensibile e profonda. Infine, la prof. Matilde Simonetti, vicepresidente dei convegni di cultura Maria Cristina di Savoia sezione Aversa, con il filo di voce rimastole, ha tratto le conclusioni insieme al direttore Giammarino. La serata si è conclusa

con un gustoso momento conviviale presso la Masseria GiòSole, dove gli

ospiti sono stati accolti da figuranti in costume d’epoca che hanno offerto un aperitivo mentre l’ass. Damusa, i cui attori abbigliati dalla costumista Maria Luisa Mariano diplomata alla scuola costumisti teatrali di Roma con Giulia Mafai ed esperta nell'arte teatrale e scenica, hanno proposto un ulteriore momento di intrattenimento teatrale prima della cena. L’assimilazione tradizionemadre è venuta dalla con-

siderazione della doppia funzione materna la quale, nel donare la vita alla propria creatura, attraverso il DNA le trasmette dati genetici accumulati in secoli di passaggio ereditario. Un accumulo di certezze e ansie, paure e sicurezze, conoscenze acquisite in decenni di tramandato scritto, orale, musicale, teatrale, che, riunito in una sola parola, si definisce come “La Tradizione”. Ferma nella sua parte celebrativa, l’organizzazio-

ne, in collaborazione con la nostra testata multime-

l’identità

diale, ha deciso di sviluppare questo filo conduttore proprio attraverso la musica ed il teatro nelle più alte espressioni, riscontrando un incoraggiante gradimento nel pubblico, accorso numeroso e attentissimo, rimasto al proprio posto fino alla fine.

In tanta positività ha meravigliato non poco l’assenza dell’amministrazione comunale che, a differenza della Provincia, non ha ritenuto di far partecipare un proprio rappresentante al ricco programma pomeridiano. Un cartellone riuscito nell’intento di attrarre tanti nuovi visitatori nella bellissima cittadina e nel sorprendente Museo Campano, che ringraziamo ancora una volta per la disponibilità dimostrata dalla direzione e da tutte le maestranze nella messa in campo di un così articolato e complesso momento di cultura attiva.

Un ringraziamento particolare è dovuto a Francesco Salemi, la cui abnegazione ha consentito di superare i momenti di empasse che, come in tutte le fasi della vita, non sono mancate neanche questa volta. Ma tutto è bene quel che finisce bene. E Capua non finisce qui.


il Turismo

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I BRIGANTI DI VILLA CASTELLI

a storia è fatta di coraggio e fu il 12 gennaio 1818 proprio nel territorio dei "Castelli", attuale Villa Castelli a cavallo tra le due province di Brindisi e di Taranto, che il prete brigante Ciro Annicchiarico, anche noto come Papa Ciro, fu promotore di una "Repubblica salentina" e fondatore della "setta dei decisi", una società armata in veste repubblicana e massonica, che disarmò i fucilieri reali che si recavano ad Ostuni.

A Villa Castelli opera da due lustri intanto l’associazione “Settimana dei Briganti - l’altrastoria”, presieduta da Rocco Biondi, che è anche direttore editoriale della rivista storico - culturale “Brigantaggio”, con sede nella strada privata intitolata al brigante Pasquale Romano, che ha inteso essere un luogo di dibattiti mirati alla rivalutazione storico-politica del fenomeno delle insorgenze nell’Italia meridionale, con particolare riguardo al brigantaggio. Era questo un fenomeno di massa, che nel d e c e n n i o 1860/1870 ha coinvolto la stragrande maggioranza degli abitanti dei territori appartenuti all'ex Regno delle Due Sicilie. I briganti di quell'epoca, uomini e donne hanno lottato in difesa del-

HARRY DI PRISCO

la loro terra, delle loro famiglie, della loro dignità.

Le forze militari messe in campo contro di loro li condannarono alla sconfitta. « Sono passati 150 anni da quando i Savoia piemontesi invasero ed annessero il Regno delle Due Sicilie ha spiegato Rocco Biondi che allora comprendeva le attuali regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia, oltre a gran parte dell'odierno Lazio meridionale (distretti di Sora e Gaeta) e al Cicolano (distretto di Cittaducale), l'area orientale dell'attuale provincia di Rieti. Molteplici sono gli studi che documentatamente danno vita ad una contro storia del risorgimento. Nuova luce viene gettata su fatti ed avvenimenti che finora erano stati letti colpevolmente solo dalla parte e nell'interesse dei vincitori piemontesi invasori. Interessi economici inconfessati hanno dettato comportamenti che hanno calpestato i più elementari principi del vivere civile. Il Sud fu invaso senza a l c u n a dichiarazione di guerra. Le popolazioni meridionali sono state

calpestate e spogliate della loro dignità umana. Noi meridionali continuiamo a ricordare e a commemorare. Comincia a sentirsi il

diretta da Carmen Mancarella. “Olio, vino e mandorla, paesaggi e sapori della Dieta Mediterranea e Grandi Feste di tradizio-

bisogno di nuove aggregazioni, che superino le tradizionali divisioni tra destra e sinistra per lasciare il posto ad un nuovo sentire: la comune appartenenza al Sud.

ne”, è stato il tema dell’incontro, svoltosi nella prima decade di ottobre nella cittadina salentina dalle antiche tradizioni con l’intento di far emergere le realtà del territorio.

L'obiettivo che ci proponiamo è di sapere chi erano i nostri padri, scoprire per cosa hanno lottato, conoscere i risultati positivi che hanno conseguiti, riflettere sulle loro sconfitte, ma anche studiare le cause e le concomitanze che hanno portato a quelle sconfitte, è necessario e fondamentale sia per prendere coscienza dei valori positivi che devono guidarci per non ripetere gli errori da loro commessi». L’occasione di parlare del brigantaggio in Puglia ci è stata data dall’educational organizzato sul territorio dal Comune di Villa Castelli, in collaborazione con la rivista “Spiagge”

Il Sindaco, Vitantonio Caliandro, un vulcano di idee e di iniziative, in particolare ha ricordato che sul territorio c’è un “mare verde”, fatto di alberi di ulivo, di vigneti e frutteti, che invitano al relax e alla meditazione, in sintonia con i ritmi della terra. Villa Castelli si estende in una zona collinare e buona parte del centro abitato poggia su un orlo di scarpata, tra i colli Fellone, Scotano e Castello. Il corso d'acqua più importante, nasce dalla sorgente del Canale Reale sita in contrada Antoglia, nell'agro di Villa Castelli, detta Fonte Strabone, ma nota nella documentazione antica


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25 come Fonte dei Grani.

La vegetazione si compone di oliveti e querceti alternati a tratti di macchia mediterranea. La gravina, facente parte del parco naturale regionale Terra delle Gravine, costituisce il giardino botanico comunale. Negli anni Trenta la gravina venne superata da un ponte a nove arcate in pietra, realizzato da maestranze locali con l'obiettivo di aprire un nuovo fronte di urbanizzazione alla città. Il sito archeologico più studiato è quello in

secolo a.C., con corredi funerari, costituiti da 200 reperti di ceramica decorata, statuette della dea dell'agricoltura Demetra, oggetti in bronzo, che sono collocati presso il museo civico comunale. Gli scavi hanno identificato nei pressi del sito, resti di un abitato, con possibili tracce di mura difensive in blocchi, datati a dopo la metà del IV secolo a.C. che potrebbe riferirsi ad un villaggio dei Messapi divenuto dopo la conquista da parte di Taranto un avamposto militare.

località Pezza Petrosa, corrispondente al toponimo di Pezza Le Monache, dove è stata rinvenuta a seguito di lavori di trasformazione agraria, una necropoli con oltre trenta tombe, datata al IV-III

È in età normanna che compare per la prima volta negli atti notarili il nome di Castellum Caeje, indicante un territorio fortificato tra Oria e Ostuni, l'attuale Ceglie Messapica, che

il Turismo

comprendeva anche gran parte di Villa Castelli.

vano fiere annuali e nel territorio sono ancora presenti una serie di antichi

Fu nel diciassettesimo secolo che emerge il toponimo Monte Castelli e poi nel diciottesimo secolo Castelli, a cui si è aggiunta la parola Villa, nel senso di borgo, già prima dell'indipendenza da Francavilla Fontana. L'economia del borgo si fondava in quegli anni prevalentemente sulla pastorizia e sull'agricoltura e ruotava intorno a masserie fortificate. Fenomeno importante per le attività commerciali era la transumanza, con lo spostamento di greggi e mandrie dalla Valle d'Itria al Salento attraverso le Murge. In occasione del passaggio dei mandriani si organizza-

tratturi. Anche oggi è viva la tradizione contadina dell’organizzare fiere. La Festa Grande di Villa Castelli, istituita come Comune nel 1926 con la consegna dello stemma araldico, ha avuto luogo tra il primo e il 4 ottobre in onore della Madonna della Fontana e il Cuore di Gesù, tra bande, luminarie, fuochi d’artificio e dolci tipici. La Festa (detta “La festa Bona“) segna la fine della vendemmia e l’inizio della raccolta delle olive. In loco si possono degustare pietanze e prodotti tipici, che fanno della località salentina, il cuore della Dieta Mediterranea.


la Leggenda

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‘O MUNACIELLO «Cenerè’, ué ué! Cenerè’, cucù-setté!»: è così che si presenta al pubblico, ne “La Gatta Cenerentola” di Roberto De Simone, il personaggio del “Munaciéllo”, che appare all’improvviso, emergendo dal buio, per insidiare la protagonista. Di statura e di corporatura minuta, infatti, sempre avvolto in una tonaca da frate, il cui cappuccio gli copre quasi completamente il volto, il “Munaciéllo” ha, fra i suoi passatempi preferiti, quello di molestare le donne, soprattutto quelle giovani, senza farsi scrupoli neanche di fronte a quelle sposate. Omologo maschile della “Bella ‘Mbriana”, sempre ben disposta verso coloro che “frequenta”, egli se ne differenzia per l’alternanza di comportamenti benevoli e malevoli, che assume nei confronti di coloro nei quali s’imbatte: alla disponibilità nel suggerire numeri vincenti da giocare al lotto, e addirittura nell’additare il luogo in cui sono sepolti tesori, egli alterna, infatti, irruzioni notturne rumorose o nascondimenti, e perfino

SERG IO ZAZZERA

distruzione, di oggetti nelle case che visita, facendo spazientire le vittime di questi suoi atteggiamenti. Si narra, anzi, che una di costoro, giunta al culmine dell’esasperazione, avesse deciso di cambiare casa, caricando tutte le proprie masserizie su un carretto; lungo la strada, però, si avvide della presenza del “Munaciéllo”, seduto sul “zi’ Peppe” collocato in cima alla catasta di oggetti, che batteva le mani, canticchiando allegramente: «Jammuncénn’â casa nova!». Per spiegare l’origine del personaggio, la fantasia di Matilde Serao partorì la leggenda, secondo cui, in età aragonese, un neonato minuto e deforme sarebbe nato dagl’incontri clandestini fra Caterinella Frezza, figlia di un ricco mercante, e il garzone Stefano Mariconda, morto in seguito a un’aggressione notturna. La giovane avrebbe fatto indossare al piccolo un abito monacale, che avrebbe contribuito ad attirare maggiormente su di lui, già sfavorito dalla sorte, il dileggio del popolo,

conclusosi col suo assassinio, avvenuto dopo la morte della madre. Da quel momento, il suo fantasma sarebbe apparso qua e là, in diverse case della città, assumendo i comportamenti più sopra riferiti; e di tali sue manife-

stazioni si ha notizia relativamente alle zone della Ferrovia, del Centro antico, di Sant’Eframo Vecchio, di Secondigliano, ma anche della provincia, come la contrada Scanzano di Castellammare di Stabia.


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27 Né Napoli e la Campania costituiscono l’unico ambito di circolazione del personaggio, ché lo si ritrova anche in altre aree, dal Salento, al Foggiano, all’Abruzzo, alla Lucania, dove assume, di volta in volta, i nomi di “Scazzamurrieddhru”, “Scazzamurill”, “Mazzemarill” e “Munachicchje”; e, se in quest’ultimo caso, l’appellativo è simile a quello conferitogli a Napoli, negli altri casi, viceversa, esso contiene un evidente riferimento alla sua capacità di spaventare finanche i Mori – vale a dire, i Saraceni (e sì che ce ne voleva) –, mettendoli in fuga e perfino uccidendoli. Da un’ottica antropologica, poi, sembra legittimo spiegare tale diffusione, mediante l’ipotesi di una possibile “circolazione” della cultura popolare ovvero dell’uni-

versalità del senso comune ch’è alla radice della stessa. A chi, inoltre, dovesse pensare a un radicamento esclusivamente meridionalistico del “Munaciéllo” gioverà ricordare come, addirittura, il tribunale di Torino dovette occuparsi, verso la metà del secolo scorso, del caso di un’abitazione frequentata da quello. In proposito, però, varrà la pena anche di menzionare un caso analogo, portato nel 1927 alla cognizione del pretore di Pomigliano d’Arco, innanzi al quale si discusse della legittimità, o non, della risoluzione del contratto di locazione di una casa, che si era rivelata “abitata” dal “Munaciéllo”. Per inciso, la domanda fu accolta, perché il giudice prestò fede alle testimonianze di un nugolo di donnette, che raccontarono le

bravate di quello in maniera particolarmente convincente (beninteso, per chi era disposto a darvi credito, e non è detto che tutti i giudici debbano essere dotati di razionalità). Dopo la leggenda, però, è giusto dare spazio alla sto-

la Leggenda

ria: ma, insomma, chi era realmente questo “Munaciéllo”? La risposta richiede che il pensiero corra a un’epoca, in cui a Napoli gli acquedotti erano costituiti da lunghi corridoi sotterranei, nei quali l’acqua scorreva e dai quali l’acqua poteva essere attinta attraverso pozzi aperti lungo il loro percorso. Alla manutenzione di questi impianti provvedevano i “puzzare”, uomini che percorrevano a piedi questi corridoi, indossando delle cappe munite di cappucci, per difendersi dall’umidità che vi ristagnava. Non di rado, costoro risalivano le canne dei pozzi, dei quali poc’anzi si diceva, introducendosi nelle abitazioni che n’erano servite e insidiandone le abitanti, i cui mariti erano assenti per attendere alle loro attività lavorative. Poi, gli acquedotti-corridoi furono sostituiti dalle condotte metalliche, che oggi riforniscono la città di un liquido molto simile all’acqua, ma per lo più scarsamente potabile; se non altro, però, ciò è servito a far sparire dalla circolazione il “Munaciéllo”.


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il Congresso elfi è tornata ad essere “Caput Apuliae”. La cittadina lucana ha ospitato il 13 e 14 ottobre la 21esima edizione delle Giornate normanno - sveve, organizzate biennalmente dall'Univer-

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28 ma culturale. Un caleidoscopio di molteplicità, popoli diversi tra loro per religione, indole, cultura, che a partire dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente hanno a lungo convissuto fianco a fianco. Questo contesto estremamente fluida andò a com-

Europa, che si riversarono al di qua dei confini. Con la caduta dell’ultimo imperatore romano d'Occidente Romolo Augustolo (476 d.C.), si assistette allo sfaldamento del potere imperiale, che ora aveva come unico punto di riferimento non più Roma, ormai per-

“Longobardia Minor” che ebbe come centro di potere il ducato di Benevento prima e, successivamente, Salerno. I bizantini continuarono invece a dominare le coste. Intanto la Sicilia era dominio degli arabi. Provenienti dal Nord Africa, di religione musulma-

TRACCE NORMANNO - SVEVE NELLA CAPUT APULIAE PAOLA VONA

sità di Bari. Per la prima volta in Basilicata, le due Giornate di studio hanno portato medievisti provenienti dai maggiori atenei italiani e stranieri a confrontarsi sul tema, tanto antico quanto attuale, dell'incontro tra popoli differenti. “Civiltà a contatto nel Mezzogiorno normanno svevo ed economia, società ed istituzioni”, questo l’argomento delle relazioni presentate nella Sala del Trono del castello melfitano. In particolare, è stata approfondita la situazione del Meridione d'Italia all'arrivo dei normanni, emblematico esempio di amalga-

plicarsi ancor di più con la comparsa dei normanni che, proprio cavalcando dissidi interni, riuscirono a guadagnare spazio e potere. All’arrivo dei primi uomini dal Nord coesistevano una moltitudine di etnie, più o meno radicate, a seguito della frantumazione dei confini del mondo antico. Primi fra tutti i bizantini, ultimo baluardo della romanità nella penisola. Nel 5° secolo l’impero era ormai spezzato in due. La parte occidentale subì l’arrivo di orde barbariche, popolazioni perlopiù provenienti dal nord e dall’est

sa, ma Bisanzio. Fu l'imperatore Giustiniano ad attuare una forte azione di riconquista riprendendo i territori del Sud Italia con la guerra greco-gotica (535-553 d.C.). Le aree sotto il controllo di Bisanzio mantennero a lungo lingua greca e riti legati alla Chiesa ortodossa. La “bizantinizzazione” del Meridione d’Italia fu bruscamente interrotta poco dopo dall’arrivo dei Longobardi, popolazione germanica convertita al cristianesimo. Questi strapparono territori ai bizantini stanziandosi principalmente nell'entroterra, nella cosiddetta

na, vi si insediarono già a partire dal IX secolo, dopo numerose e frequenti incursioni. La dominazione araba dell’ “isola di Allah” durò più di 200 anni. Notevole l’impronta culturale lasciata riscontrabile nei più svariati campi, dal lessico all’architettura, dalle coltivazioni alla cultura materiale.

Dunque, un quadro abbastanza articolato quello del Mezzogiorno prenormanno con queste tre realtà etniche ed istituzionali ben differenti tra loro. A complicare ancor di più la situazione vi erano anche gruppi etnici meno numerosi.


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Come i goti, gli slavi e gli armeni. Vita lunga ebbe la presenza ebraica. Un ricco corredo epigrafico proveniente da diverse catacombe, in primis quelle di Venosa, ne testimonia la consistenza già dal 3° secolo in molte regioni del Sud Italia.

Gli armeni sono attestati dal 9° secolo soprattutto in Puglia e Calabria, e ristretti gruppi di slavi, sul Gargano dalla metà dell'8°. I Normanni seppero farsi strada in questo mosaico di popoli, combattendo a fianco dell'uno o dell'altro, e sfruttando un'abile politica matrimoniale mirata ad unirsi all'aristocrazia longobarda e bizantina. Luogo di partenza delle future conquiste che avrebbero portato all'unificazione del Sud, fu la contea di Aversa.

Fu donata nel 1030 al normanno Rainaldo Drengot dal duca bizantino di Napoli Sergio per l'aiuto offerto contro il longobardo Pandolfo IV, principe di Capua. A fare del Sud Italia un unico regno, con l'eccezione di alcuni territori come il ducato di Napoli (conquistato solo nel 1137), sarà Ruggero II

29 d'Altavilla, incoronato a Palermo nel 1130. Il regno normanno non ostacolò il carattere multiculturale del Mezzogiorno garantendo un “rispetto interetnico” con libertà giuridiche e religiose.

Questo clima di rispettosa convivenza non si perse con l'avvento di Federico II, nipote del grande Ruggero. Con le Costituzioni Melfitane (1231) lo “Stupor Mundi” tese a riorganizzare il Regno in maniera più unitaria e moderna, superando la concezione di stato feudale, continuando a rispettare la tipica multiculturalità.

La Mostra “La mensa imperiale di Federico II” Nel castello delle celebri Costituzioni saranno esposti fino al 31 dicembre materiali ceramici ed invetriati rinvenuti nell'area dello stesso castello di Melfi e da Monteserico (Genzano di Lucania). Le suppellettili vitree melfitane (prima metà 13°secolo), caratterizzate da tecniche di produzione e decorazione islamiche, testimoniano il respiro internazionale dell'ambiente, abitualmente frequentato da Federico II e dalla sua corte, e la

mescolanza tecnologica e culturale che ne sono derivate.

Differente l'analisi fatta sui reperti di Monteserico, di epoca più tarda (fine 13°inizio 14° secolo). I pezzi, di fattura semplice e caratterizzati perlopiù da decorazioni geometriche e cromie rosso-brune tipiche della vicina Capitanata e della Campania, testimoniano un'unica matrice culturale a carattere locale. La mostra è stata realizzata a cura di Rosalba Ciriel-

il Congresso

lo, direttrice del Museo Archeologico di Melfi e dell'archeologa Isabella Marchetta. In vista del 2018, millesimo anniversario della fortificazione realizzata dal bizantino Basilio Boiannes, Melfi si sta preparando ad ospitare altri eventi di portata culturale notevole, primo fra tutti, la presentazione della stampa anastatica del Registro della cancelleria di Federico II (1239-40), andato perduto durante l'incendio di San Paolo Belsito del 1943.


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la Gastronomia

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STALLE E STELLE Sassi o pietre preziose? Orgoglio e pregiudizi

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ROSI PADOVANI

...Ogn'anno, il due novembre, c'è l'usanza per i defunti di andare al Cimitero…

na nuvola di incenso si innalza candida, avvolge, il dolore per qualche minuto si annebbia. Quel fumo si eleva denso, l’odore speziato penetra, stordisce, placa. Sussurri devoti, bisbigli di pensieri e preghiere, suppliche silenti invocano grazie, nella sofferenza altrui si specchia e si immerge la propria. L’ostensorio oscilla, rituali antichi mormorati lo accompagnano, ipnotizza, misticamente accede all’Altra dimensione mentre il sacerdote officia i sacramenti…venerazione e preghiera, unzione regale,

offerta, sacrificio, sulla mensa di Dio. In quella nube profumata, nel mormorio di preghiera, in pochi attimi struggenti tutta una vita si innalza verso un Altro mondo; azioni, sentimenti, battaglie e successi quotidiani, intelligenza, immaginazione, Amore, sussulti e paure, la storia personale, passato e futuro si fondono nella sofferenza, lasciando smarriti, persi. Nostalgia e dolce ricordo, ed ecco un Angelo che si aggiunge alla schiera celeste per accudirci, proteggerci, lenire e prendersi cura di noi…

...Ognuno ll'adda fà chesta crianza; ognuno adda tené chistu penziero... Questa è la vita! 'Ncapo a me penzavo... chi ha avuto tanto e chi nun ave niente! Stu povero maronna s'aspettava ca pure all'atu munno era pezzente?

Così il nostro Principe De Curtis assai più noto come Totò, declamava ‘a Livella, con la sua sottile ironia, raccontando di defunti scandagliava il mondo dei vivi e tutte le loro debolezze.

L’altalena degli onori si culla tra potenti e deboli, ma qualche volta stupisce, e pende dalla parte di questi, perché la sorte riesce ad essere equa e riconoscere talenti e pregi.


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la Gastronomia LA GASTRONOMIA È ARTE NAPOLETANA

LAGANE E CECI Ingredienti: 300 g di farina di grano duro 200 g di ceci secchi 4 cucchiai di olio extravergine d'oliva 200 g di pomodori pelati 2 spicchi d'aglio qualche foglia di basilico sale Lasciate i ceci a bagno in acqua dolce per 12 ore. Impastate farina, acqua e un pizzico di sale, stendete la sfoglia e tagliatele a fettuccine larghe 1cm. Sciacquate i ceci e scolateli, quindi fateli cuocere in una pentola con acqua e senza sale per circa 2 ore rimescolando di tanto in tanto con un cucchiaio di legno, mai con il ferro! Si arrabbiano e si induriscono. Intanto scaldate in una padella l'olio e lo spicchio d'aglio togliendolo quando imbiondisce, aggiungete i ceci, i pomodori, le foglie di basilico e il sale. Lessate la pasta e conditela con il sugo preparato, servite con qualche ciuffetto di rosmarino. Buon appetito!

A proposito di gastronomia non potevamo ignorare una notizia che inorgoglisce la città di Napoli doppiamente dal punto di vista culinario. Infatti la Guida ristoranti Espresso 2015 ha premiato la provincia di Napoli con ben due riconoscimenti ovvero Marianna Vitale premiata come miglior cuoca dell'anno e Mimmo De Gregorio de Lo stuzzichino di Sant'Agata sui due Golfi per la miglior trattoria dell'anno. La Vitale in particolare va segnalata non solo per la giovane età e la grande determinazione che ormai da diversi anni sta dimostrando nel suo lavoro ma anche perché ha aperto un ristorante dal nome Sud a Quarto Napoli. A spiegare perché è lei stessa nella presentazione del ristorante: “SUD è una piccola parola con molte idee. Il sole, il mare, il vulcano, la città, la metropoli, il lago Averno e la montagna spaccata. Duemila anni di storia e più, due milioni di persone e più concentrate in un fazzoletto di terra che è come il coperchio di una pentola dimenticata sul fuoco da qualche creatore distratto. Sud è tutto quello che abbiamo attorno, confuso e splendente, cristallizzato in una officina del gusto: il nostro ristorante, SUD. Dove ogni giorno le idee di SUD sono gli arnesi per ricreare il Sud in una pietanza. Ogni giorno, guardandoci attorno SUD è una piccola idea con molte parole. L’amore e la passione, la furia e la fatica. L’ansia e la gioia, la ricerca e il lavoro. Parole che sono i mattoncini con cui abbiamo costruito il nostro modo di stare nel mondo: il modo di SUD”.


il Cinema

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E FUORI NEVICA!

Da testo teatrale a sceneggiatura CARLA SCHIAVO

ilm bagnato film fortunato. Si, ma stavolta a benedire il nuovo film di Salemme, è stata una cagnolina, quella di Nando Paone. Così l’idea di E fuori nevica, è iniziata con

di 20 anni e l’entusiasmo di ritrovarsi tutti insieme, il quartetto vincente PaoneSalemme-BuccirossoCasagrande è andato avanti, con grande attenzione a limitare gli sprechi. Niente maxi camper e niente auto lussuose per

un pranzo… letteralmente in mutande di Vincenzo Salemme, a casa di Nando Paone, in arte Chico. Nando Paone lo aveva avvertito, ma la cagnolina era così affettuosa nel salutarlo… e Salemme voleva salutarla…si immagini il risultato. Così Salemme raccontò a Paone della sua idea di trasformare E fuori nevica in un film, in una circostanza un po’ particolare… A Paone, affezionatissimo al suo personaggio strampalato, l’idea di portare la commedia teatrale al cinema era piaciuta sin da subito. E così si sono messi a lavoro: riadattare la sceneggiatura, rendendola quanto più cinematografica possibile, girare in tempo record (solo quattro settimane) e distribuire 280 copie del film. E così tra la preoccupazione di riprendere un progetto vecchio

portare in giro gli attori. Per Vincenzo Salemme, questo era un dispendio di denaro. Scenografie molto semplici: una casa, un quartiere, il corso Umberto, Mergellina. E tra semplicità e amicizia si è girato E fuori nevica. I quartetto già collaudato ha dato vita a scene non programmate e perfettamente riuscite come ad esempio quella dell’ascensore. Sul set, l’ascensore si trasforma in una funicolare. Paone dà il là e tutti stanno al gioco. Ed in men che non si dica Salemme decide di tenere la scena. “Il film non ha la pretesa di raccontare Napoli”, ha dichiarato Vincenzo Salemme; ma vuole raccontare la storia di tre fratelli riuniti da un’inscindibile eredità. Prima della sua morte l mamma aveva infatti lasciato in eredità solo la casa. I tre sono

chiamati a riunirsi per ascoltare la lettera scritta dalla madre ed affidata al notaio. La lettera parla chiaro: la casa resterà in eredità a tutti e tre e qualora volessero venderla sarebbe necessaria la firma di tutti. Esilarante è la scena in cui i due fratelli credono che Chico non abbia compreso quanto esposto dal notaio nella lettera… ma… Chico li sorprenderà e ripeterà a memoria quanto esposto dal notaio. Il film resta fedele alla commedia originale….A divergere è il lieto fine. Troppi dei fan di Salemme erano amareggiati dall’esito tragicomico del finale. Alcuni dei sui fan erano arrivati persino a chiedergli se i fratelli potessero resuscitare, racconta Salemme. E così stavolta ha optato per l’happy ending… Vincente anche la scelta della colonna sonora che dà un contributo importante al film. Scritta e cantata da Paolo Belli “Rido” descrive alla perfezione il modus vivendi del popolo partenopeo, con frasi come “Quando la vita è dura, io solo rido” e l’ancora più significativa “mentre piango qui dentro di me io

rido!”. Ed è questo che dovrebbe emergere dai media… “Bisognerebbe demolire lo stereotipo di Napoli e la cronaca dovrebbe cominciare a far capire al resto d’Italia, che Napoli, è una città divisa a metà. Non è solo delinquenza ma anche e soprattutto gente

che lavora duramente per sbarcare il lunario, Napoli è la città di tanti talenti, intellettuali ed artisti”. Questa la riflessione di Maurizio Casagrande, cogliendo l’occasione per ricordare il grande patrimonio culturale napoletano. Tra cui gli autori teatrali più importanti del secolo scorso, come Eduardo De Filippo, Scarpetta, Viviani etc. Casagrande ha inoltre colto l’occasione per ricordare l’importanza del napoletano che andrebbe appreso dai giovani anche come lingua scritta oltre che parlata.


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la Scoperta

L’EUROPA PROFETIZZATA DA PEPPINO Burocrazia e ritardi in un filmato inedito GERMANA G RASSO

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na riflessione sul nostro presente giunge dal passato. Precisamente da un filmato di oltre cinquant’anni fa, dimenticato in un fondo privato, il fondo Iannotta, e restaurato dalla Cineteca Nazionale fotogramma per fotogramma. “Partire è un po’morire” è un cortometraggio firmato da Giacinto Mondaini, con la fotografia di Gianni Di Venanzo e con la partecipazione di Peppino De Filippo e Margit Seeber. I nostri protagonisti si imbattono nella disavventura di una richiesta di un passaporto e di un certificato di matrimonio. Si agitano da un ufficio ad un altro con un numero al collo come corridori di una maratona, si imbattono in sportelli chiusi, in usceri ignavi, in impiegati letteralmente sommersi da pile e pile di documenti e faldoni di certificati, fino a giungere nel limbo della sala d’attesa in cui si distribuiscono inutili

licenze, da quella per i prepotenti, al certificato deficienti, passando per il libretto di circolazione dei grassi. In questo variopinto carosello la mimica di Peppino De Filippo fa perfettamente da spalla alla pungente ironia voluta da Giacinto Mondaini, pittore, disegnatore, umorista, sceneggiatore e scrittore. A noi, “spettatori del futuro”, un “filmetto” – come lo descrive lo stesso Mondaini – così ben costruito e che si scioglie in una speranzosa riflessione sul futuro, lascia l’amaro in bocca. La pellicola, infatti, risale al 1951, poco dopo la fine di un conflitto mondiale, che ha segnato la Storia di tutte le popolazioni europee, periodo in cui si stava lentamente ricostruendo il tessuto statale e burocratico del Paese. In quel caso il difficile contesto storico poteva fungere da attenuante ad una condizione di disservizio burocratico, mal tollerato, sebbene percepito come momentaneo.

Oggi quali attenuanti esistono? Non sono sufficienti le annunciate riforme della Pubblica Amministrazione, annunci da campagna elettorale, qualche accorpamento e tanti tagli. A cosa è valsa tutta l’informatizzazione a nostra disposizione, se negli uffici si resta ancora sommersi dalle carte, se ci imbattiamo ancora in sportelli di informazioni chiusi, in sale d’attesa perennemente affollate, in estenuanti file che mettono a dura prova i nervi dei cittadini, in impiegati lenti, non motivati e mai aggiornati? Nel filmato “Partire è un po’ morire” l’idea di una Europa unita – gli Stati Uniti d’Europa come l’America – riscatta le sofferenze di tutti coloro che passano per il limbo della burocrazia. Sfiniti da firme, bolli e certificazioni, i protagonisti decidono di andare a vivere su un albero. “Senza frontiere, senza dogane. Pensa se tutte le nazioni d’Europa si riunissero in un unico popolo

libero e felice”, dice Peppino alla compagna. Ed alla richiesta di scendere dall’albero, risponde: “si sta bene qui, niente firme, niente bolli. Venite anche voi: c’è posto”. Noi, “spettatori del futuro”, sappiamo che per molti aspetti l’idea dell’Europa unita è miseramente fallita, sappiamo che la speranza in una burocrazia snella e funzionale è stata un illusorio miraggio, che l’affollato ufficio comunale è troppo distante dall’Europa, che la volontà di miglioramento deve partire da noi e non andare al traino di altri, anche loro troppo distanti dall’Italia e dal Mezzogiorno. Negli anni Cinquanta era già chiaro che l’economia del Paese non sarebbe ripartita senza un apparato burocratico efficiente. Oggi stiamo ancora al palo. O meglio sull’albero, accanto a Peppino De Filippo. L’Italia, infatti, da quell’albero non è mai scesa.


il Teatro

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CIRCO DE LOS HORRORES : TREMATE LE STREGHE, E NON SOLO, SON TORNATE! ENRICA BUONG IORNO

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osferatu e gli artisti dell’orrore. Il Circo de Los Horrores sbarca a Napoli con il suo seguito di diavoli, mummie, streghe e vampiri. Dopo la tourneè in Spagna, America latina e Stati Uniti , lo spettacolo più innovativo degli ultimi anni arriva anche in Italia, prima a Palermo e poi all’ombra del Vesuvio. Dal 29 ottobre fino all’8 dicembre un enorme tendone da circo nero, all’interno della Mostra d’Oltremare (ingresso via Terracina), ospita saltimbanchi, contorsionisti, ballerine, clown e trapezisti provenienti da tutto il mondo, protagonisti dello spettacolo dell’orrore. Il Circo de Los Horrores nasce a Barcellona nel 2007 dal genio di Suso Silva. Attore e mimo spagnolo con alle spalle studi in arti acrobatiche e circensi a "Benposta-Nación de los Muchachos", all’Institut del Teatre di Barcellona. Premio nazionale del Circo 2003, oltre al riconosci-

mento del Ministero di Educazione , Cultura e Sport, l’artista spagnolo comincia la sua carriera in giro per l'Europa e l'America con il Circo de los Muchachos, ottenendo grandi successi. Nel ’86 fonda la compagnia “Os Paxaros”, con cui fonde teatro e circo sino al 2007 quando crea il Circo de Los Horrores, un mix che unisce la scuola classica circense, con tecniche di teatro e cabaret.

Si tratta di una messa in scena tenebrosa dove Silva interpreta lo spaventoso personaggio di Nosferatu, ispirato al celebre film di Murnau, simbolo del cinema tedesco espressionista. Arriva il trionfo prima in Spagna poi negli USA e in molti paesi latino americani: 1.500.000 di spettatori nel mondo e 280.000 fans su Facebook. “Il Circo De Los Orrores mette insieme artisti da tutto il mondo, Spagna, Mongolia, Italia, Romania – spiega Suso Silva – c’è una trama nello spettacolo

ben precisa ma importanti sono anche i riferimenti: dalla letteratura di Edgar Allan Poe e Stephen King al cinema di Roman Polansky e di Murnau sino ai videogiochi dei quali i ragazzi sono appassionati”. All’ingresso nell’arena, lo spettatore viene accolto da mostri spaventosi che si aggirano tra le poltrone: mummie terrificanti tentano di toccare le persone, suore pazze gridano all’improvviso e folli clown dotati di (finte) seghe elettriche rincorrono i malcapitati.

L’atmosfera è tetra, il rumore della pioggia incessante è rotto solo da qualche urlo e dal rombo dei tuoni. Lapidi, sculture terrificanti sono al centro dell’arena e sul fondo il cancello di un cimitero gotico. Le luci si spengono e lo spettacolo inizia. Satana entra e dopo aver offeso il pubblico introduce il vampiro Nosferatu, protagonista dello show. E poi, una serie di numeri circensi incanta il pubblico. Dalla

vampira che volteggia senza rete sospesa in aria, al pagliaccio Grimo con la sua “sinfonia del fastidio”. E ancora, le contorsioniste mongole, (citazione dal film L’esorcista),la danza degli zombie e il chirurgo che folle si arrampica su una gigantesca struttura in ferro. E poi, giochi col fuoco, prove di forza e volteggi col nastro. Lo show è di grande effetto, nulla è lasciato al caso. Dalla musica, ai costumi sino alla scenografia tutto è rigorosamente in stile horror. Ma è sicuramente il rapporto con il pubblico che caratterizza questo tipo di circo. Gli spettatori vengono invitati nell’arena e si prestano volentieri a partecipare al lancio di coltelli, a giochi di mimo, qualcuno addirittura si cala le brache mostrando il di dietro. Grandi risate e molti applausi per gli artisti. In platea tanti vip e personaggi dello spettacolo: Edoardo Bennato, Patrizio Rispo, la medaglia d’oro olimpica di pallanuoto


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35 Franco Porzio, Alessandro Luckas, Maria Mazza, il regista Francesco Prisco, Gianni Simioli, Sal da Vinci, gli attori di “Un Posto al sole”, Marina Tagliaferri, Marzio Honorato, Alberto

Rossi, Ilenia lazzarin e molti altri. “Il Circo de Los Horrores è un mix tra circo tradizionale, teatro e cabaret – spiega Rafa Gonzales, produttore dello spettacolo – dove il confine tra la paura e le risate è molto labile. È uno show per un pubblico giovane, dai 12 anni in su, che apprezza e segue questo filone e ha fans in

tutto il mondo. Il rapporto col il pubblico è fondamentale e consideriamo Napoli una tappa importantissima ecco perché abbiamo voluto essere qui per Halloween e i dati della pre-

vendita, con 10.000 biglietti già venduti, non ci hanno smentito”. Era una notte buia e tempestosa nel cimitero degli orrori. Tutto inizia così. In lontananza si sente un treno avvicinarsi, tra fischi, vapore e stridìo di freni… Da uno dei convogli scende un singolare passeggero con in mano una valigia. È perplesso ha sbagliato

fermata e ora si ritrova proprio davanti il camposanto. Il malcapitato, infatti, sarà perseguitato da una serie di personaggi terrificanti a cominciare da Nosferatu, anfitrione e cerimoniere

dello spettacolo. Si tratta di una fedele copia dell’originale: due ore di make-up, costumi pieni di protesi (orecchie, denti, naso, lenti a contatto…) ed un’ infinità di trucchi scenici rendono altamente credibile il personaggio, di grande impatto visivo. C’è poi Grimo, il pagliaccio assassino, adora far soffrire le sue vittime, ma in maniera divertente

il Teatro con il suo giocattolo preferito, la ghigliottina; Devora la vampira, dotata di una bellezza malefica, è crudele e spietata, le piace torturare le sue vittime e giocherella con loro mentre beve il loro sangue; la suora macellaia, poi, dietro il suo aspetto da redentrice celestiale nasconde una malevola e spietata psicopatica, adoratrice del diavolo, una strega in abito monacale; Belzebù è il guardiano del Cimitero degli Orrori, carceriere delle bestie più immonde, il suo compito è quello di invocare questi mostri e tenerli a bada.

E ancora, le ragazze possedute che si contorcono fino a quasi smembrarsi e infine le anime possedute, fantasmagoriche creature degli inferi che si aggirano tra il pubblico. Nel finale, il viaggiatore terrorizzato viene morso alla giugulare e si trasforma in mostro: Nosferatu, il vampiro della notte e in un valzer di sangue cala il sipario.


il Trionfo

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LA CITTÀ DI MATERA CE L’HA FATTA: RAPPRESENTERÀ LA CULTURA EUROPEA NEL 2019 Nel 2019, per la prima volta dalla sua istituzione, una città del Sud Italia sarà capitale europea della cultura. Si tratta di Matera che, sconfiggendo la concorrenza di Lecce, Perugia-Assisi, Ravenna, Cagliari e Siena, tra cinque

anni diventerà il fulcro culturale di tutto il continente. Concepito come un mezzo per avvicinare i vari cittadini europei, la ‘città europea della cultura’ venne lanciata il 13 giugno 1985 dal Consiglio dei ministri su iniziativa di Melina Mercouri. Da allora l’iniziativa ha avuto sempre più successo e un crescente impatto culturale e socioeconomico per i numerosi visitatori che ha attratto nelle città scelte. In Italia,

RAFFAELE SANTILLO

dopo Firenze (1986), Bologna (2000) e Genova (2004), finalmente tocca al Sud. Per sapere come si è giunti a questa straordinaria vittoria, abbiamo intervistato il sindaco di Matera Salvatore Adduce, rappresentante del Partito democratico, eletto nell’aprile del 2010.

Sindaco, di chi è stata l’idea di candidare Matera come capitale europea della cultu-

ra? «Nel 2008, un gruppo di ragazzi, in maniera del tutto spontanea ed autonoma, diedero vita all’associazione ‘Matera 2019’. Ben presto furono coinvolte le istituzioni e già nel 2009, la precedente amministrazione guidata dall’ex primo cittadino Emilio Nicola Buccico, diede il via al percorso con l’approvazione di alcune delibere di giunta e consiglio comunale».

Nel 2010 c’è stata la vittoria elettorale della coalizione capeggiata da lei. Quali sono stati i suoi primi provvedimenti? «Appena eletto ho preso in mano la situazione. Abbiamo deciso di fondare un comitato scientifico, diretto da Paolo Verri e nel luglio del 2011 è nato un comitato di scopo formato dal Comune di Matera, a cui è andata la presidenza, dalla Regione Basilicata, che ha avuto la vicepresidenza, dalle Province di Potenza e Matera, dall’Università della Basilicata e dalla Camera di Commercio. Secondo me l’unione della nostra terra è stato il punto di forza che ci ha condotto alla vittoria finale. Infatti, abbiamo coinvolto tutti i 131 Comuni della Basilicata».

Qual è stato il passaggio successivo? «Ad inizio del 2013 abbiamo presentato il primo dossier, insieme ad altre 19 città italiane. Nel novembre dello stesso

anno, una commissione composta da tredici esperti (sette stranieri e sei italiani), ha inserito Matera nel gruppo delle finaliste, insieme ad altre cinque città. A questo punto, abbiamo nominato Joseph Grima direttore artistico. Insieme ad una equipe qualificata, il professionista inglese di origine italiana ha preparato un secondo dossier, in cui ha inserito, tra le altre cose, il programma culturale da realizzare nel 2019».

Arriviamo al momento deciso della scelta: cosa è successo? «Il 7 ottobre scorso la giuria ha visitato Matera. Il 17 ottobre, alle ore 17,50, la nostra città è stata scelta come capitale europea della cultura per l’anno 2019. In quel preciso istante è scoppiata la festa di tutti i lucani e non solo».

Secondo lei, quali sono gli elementi che hanno spinto la commissione a scegliere Matera? «Ci sono due fattori deter-


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il Trionfo

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minanti. Innanzitutto, la grande partecipazione da parte di tutti i cittadini della Basilicata ma anche di altre regioni. Basti pensare che numerose comunità del settentrione della Puglia si sono schierate dalla nostra parte. Importantissimo per il risultato raggiunto è stato il programma culturale presentato alla giuria, oltre all’indiscutibile bellezza della nostra città». Siete pronti ad ospitare un evento di portata continentale? «Non ho alcun dubbio in merito. Ci stiamo preparando al 2019 e lo stiamo facendo coinvolgendo direttamente i cittadini della nostra terra; la gente

L

a designazione di Matera quale ‘Capitale europea della cultura 2019’ è un grandissimo successo per il Sud. Purtroppo, non tutti la pensano in questo modo ed invece di sottolinearne l’aspetto positivo ecco fioccare servizi televisivi che mettono in risalto disfunzioni amministrative e problemi della Basi-

deve essere pronta ad affrontare l’evento». Dunque, il progetto ha una base solida. Avete già stabilito quanto sarà investito per realizzare l’evento? «Qualche mese prima della designazione da parte della commissione, è nata una fondazione, per la quale la Regione Basilicata ha investito 25 milioni di euro e il Comune di Matera 5 milioni di euro. Insomma, la nostra avventura parte da un portafoglio contenente 30 milioni di euro. Avevamo deciso di realizzare il nostro programma culturale indipendentemente dalla scelta della giuria. Ormai la macchina organizzativa è oliata alla perfezione e nessuno ci

poteva fermare. Ovviamente, adesso viene la parte più difficile ed occor-

re definire il percorso da seguire. Ci sentiamo pronti». Su cosa si baserà il programma di Matera capitale europea della cultura? «Saranno indetti bandi e saranno realizzate delle infrastrutture a scopo cul-

I SASSI DI…”STRISCIA”

licata. Emblematico è il servizio mandato in onda lo scorso 21 ottobre da ‘Striscia la notizia’, che documenta con le telecamere l’assenteismo dei dipendenti della prefettura di Matera. Ovviamente, i colleghi del telegiornale satirico più seguito d’Italia fanno benissimo a denunciare queste problematiche. Se proprio vogliamo dirla tutta però qualche dubbio

sopraggiunge sulla tempistica dello scoop televisivo degli inviati Fabio e Mingo; appena quattro giorni dopo la nomina di Matera. Molto probabilmente da anni i dipendenti della prefettura della città lucana ‘truffano’ lo Stato con atteggiamenti indecorosi ed irrispettosi. È giusto metterlo in risalto a poche ore da una vittoria così prestigiosa? Sareb-

turale. Il nostro programma ruota intorno a due cardini. Da una parte il progetto denominato ‘Idea’, da realizzare presso il Sasso Caveoso, per il quale sono stati previsti dei lavori di ammodernamento e ristrutturazione. Attraverso questo progetto racconteremo la storia dell’uomo dalle origini fino ai giorni nostri. Non a caso Matera viene indicata come zona in cui v’è sempre stata la

presenza degli esseri umani. Dall’altra parte, sarà realizzata una piattaforma denominata ‘Open school design’, che coinvolgerà tutti i creativi d’Europa, chiamati a realizzare dei grandi progetti in vista del 2019».

be più opportuno non screditare il nostro Sud anche quando ottiene dei risultati eccellenti grazie alla bellezza del territorio, alla capacità degli amministratori e alla passione dei suoi abitanti. Anche perchè, come dimostrano sovente i telegionrali e le trasmissioni nazionali per parlare male del Sud c’è sempre tempo e spazio!


la Lettura

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LIBRI E CAZZOTTI, AUTOBIOGRAFIA DI UN EDITORE ADRIANA DRAGONI

In occasione della ristampa del libro dedicato alla vita di Tullio Pironti, che potrebbe presto diventare un film, vi proponiamo questa recensione appassionata

I

l volume dedicato alla vita di Tullio Pironti, è intrigante. Ha tanti personaggi. Vi sono quelli noti, importanti, che, visti così, da vicino, come li ha conosciuti lui, hanno un aspetto inedito e sono Federico Fellini, Giulio Einaudi, Lucio Amelio, Andy Warhol, Giulio Andreotti e così via. E c’è anche qualche personaggio ignoto, caratteristicamente napoletano, del tipo (ce ne è ancora adesso ma non come un tempo) “anarchico individualista”, come si definisce don Ciccio ‘a macchinetta, trafficante di accendini, anche di quelli che non si spengono, quelli dei marinai americani. Ma Libri e cazzotti è soprattutto la storia di un personaggio, di Tullio Pironti. Ma, più che parlare

di sé, l’autore parla delle persone che ha incontrato nella sua vita, anzi, soprattutto le fa parlare, in virgolettati che raccontano fatti. Fatti in progetto o fatti già accaduti. Tullio è un narcisista? Si deve dire di no.

Ma se si va nella sede della sua casa editrice a Palazzo Bagnara, lui non c’è quasi mai, c’è il suo ritratto replicato più volte in dipinti e fotografie a iosa, che, messi in fila, potrebbero costituire una biografia o, meglio, un’agiografia per immagini. Il fatto è che Tullio certo si ama molto, come ama molto anche i suoi amici, che descrive con palese affetto. Ama anche i luoghi. I luoghi di Napoli, di Napoli antica. E quella piazza Dante dove c’è la sua libreria, nella quale passa la maggior parte della sua vita.

Descrive la piazza di un tempo, le vicine librerie, le trattorie, i tram con il trolley e gli scugnizzi che vi si appendevano. (Non parliamo di come ora un grande architetto, Gae Aulenti, ce l’ha ridotta). Vi è rimasta ancora le sua trattoria preferita, che frequenta ancora, direi per un’abitudine affettuosa. Chissà se c’è ancora lì quel Mario Silvestri, il cameriere che la rendeva, insieme al buon cibo, così piacevole e accogliente.

Parlando di sé, della sua vita sin da bambino e della sua famiglia, Tullio dipinge la Napoli della guerra con i bombardamenti, gli sfollati, la scarsità di cibo, la mamma che recita la novena per il ritorno dei figli portati via da un rastrellamento dei tedeschi. E poi la Napoli del dopoguerra con

la voglia di vivere o di rivivere ancora, di sopravvivere comunque, industriandosi, inventandosi il lavoro e la propria vita. Della sua famiglia parla soprattutto di suo padre, che, mi sembra, costituiva un punto fermo per lui, ragazzo ribelle, con poca voglia di studiare (un singolare trascorso per chi, da editore, è diventato un operatore culturale). Uno scugnizzo comunque industrioso, mai abulico o sfaticato. Era orgoglioso quando suo padre era contento di lui. E ancora oggi sembra attento alla sua approvazione: ti piace questo mio libro, papà?

Libri e cazzotti inizia con il racconto di una sua sconfitta, in un incontro di boxe, che concluse la sua carriera di boxeur di belle speranze. La boxe era


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39 stata la sua passione, poi sostituita da quella per l’editoria. Una passione tira l’altra.

La storia di Tullio Pironti editore occupa la maggior parte delle pagine. È una

storia avventurosa. Ed è motivo d’interesse per il lettore conoscere come nasce un libro, intendo quello già confezionato, con la copertina e tutto. Tullio racconta come dietro ogni libro ci sia non solo il lavoro di uno scrittore,

anche quello dell’editore, dello scopritore, bravo nel captare, a naso, le richieste del momento, la bontà di un prodotto e le possibilità del suo successo commerciale, magari attento alla soffiata di un amico, “guarda, quello è un buon libro, acchiappalo”. Soprattutto in certi periodi, l’editoria ha rappresentato una vera grande passione per Tullio Pironti: è stato benemerito per la diffusione della letteratura straniera, specialmente americana, in Italia, ha pubblicato libri importanti, come quelli del Nobel Naghib Mahfuz, libri-scoop, come Monaco 1972, Il camorrista, The Vatican connection, In nome di Dio. In questa sua autobiografia ci descrive realisticamente il mondo della cultura, che non è sempre un mondo superiore, né un mondo pulito, come si potrebbe pensare.

Ed ecco che racconta quando è stato vittima, nel 1987, di un tranello criminale ordito dalla casa editrice Electa Napoli, quasi un’associazione a delinquere, che lo mandò agli arresti domiciliari.

E racconta quando lo scrittore Tahar Ben Jelloun, dopo aver firmato con lui un contratto per la pubblicazione de L’albergo dei Poveri, che gli aveva commissionato e dopo aver alloggiato in un albergo a cinque stelle sulla costiera amalfitana a spese della sua Casa Editrice, molto scorrettamente lo pubblicò in un’edizione francese e, per un’edizione italiana, firmò un altro contratto con l’Einaudi.

Libri e cazzotti è un libro sincero. O quasi, perché, ad esempio, mente , per imprecisione, quando definisce timido il suo autore. Un timido improbabile, con quella sua imperturbabile faccia da schiaffi, ovvero da cazzotti. Un uomo riservato, piuttosto. E, se timidus significa pauroso, Tullio è il suo contrario. Se, con il coraggio di un gioca-

la Lettura tore d’azzardo, direi, puntò 51 milioni di lire per avere i diritti riservati su un libro di Bret Easton Ellis e fu un successo. Se si mostrò dotato di una prontezza coraggiosa e istintiva quando con astuzia affrontò dei malviventi per difendere il suo amico Joe Marrazzo. Certo ci marcia un po’ quando si definisce così. Certo ci marcia un po’ anche quando dice: mi sfugge sempre l’ultimo traguardo. E sembra se ne lamenti con un tono di autocommiserazione. Invece la sensazione di mancare sempre l’ultimo traguardo, di non completare una vittoria, potrebbe considerarsi una sua forza. Ha raggiunto un traguardo e un altro ancora, ogni sua idea non è mai l’ultima, già gli se ne presenta un’altra, dopo ogni buon libro ce ne è stato un altro e un altro ancora e anche questa autobiografia scritta e prodotta da lui non è un ultimo traguardo, perché adesso gli si prospetta il cinema, con un film intitolato Libri e cazzotti.


la Storia

N

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“LA NOSTRA CONTRORIVOLUZIONE” A FIRENZE NEI FESTEGGIAMENTI DEI 150 ANNI DI CITTÀ-CAPITALE D’ITALIA

ella splendida sala “Luca Giordano” di palazzo Medici-Riccardi, sede del Consiglio provinciale di Firenze, la Delegazione Toscana dell’Ordine Costantiniano di S.Giorgio, in occasione del recente 50° anniversario del Gran Magistero di SAR l’infante Don Carlos di Borbone Due Sicilie, ha promosso venerdì 7 novembre la presentazione del libro del confr.Guido Fineschi Sergardi, intitolato “la nostra Controrivoluzione”. L’iniziativa, che fa seguito ad altri passati eventi culturali organizzati dalla suddetta Delegazione al fine di ricordare le particolari tematiche legate all’identità cristiana ed ai valori dell’antica tradizione, è stata voluta anche per contribuire a sostenere il necessario processo di revisionismo della nostra storia-patria. Non a caso la presentazio-

ETTORE D’ALESSANDRO DI PESCOLANCIANO

ne si svolge presso il prestigioso palazzo che ospitò il Ministero dell’Interno nel 1865, allorquando fu scelta Firenze come capitale d’Italia, di cui sono in corso i preparativi per i festeggiamenti dei 150 anni. La “Controrivoluzione” di Fineschi Sergardi, quale analisi “insorgente” dell’evoluzion e della società civile italiana dal secondo conflitto bellico ad oggi con uno sguardo critico a taluni argomenti cari all’opinione pubblica nazionale (la giustizia, la mafia, la chiesa cattolica, la massoneria, l’islam e la famiglia), ben si inserisce, con le premesse stori-

che-economiche dei presentatori nel quadro delle prossime ricorrenze cittadine.

Va detto, al riguardo, che il pensiero “controrivoluzionario” non è da intendersi limitatamente al solo stereotipo legato al movimento d’idee insorgenti politicomilitar e , nato in reazione alle rivoluzioni politiche europee del XVIII secolo. Questo “logos”,spesso sinonimo di retaggio feudale o di arretratezza intellettuale per la cultura contemporanea, nel suo divenire, comunque, si è pur sempre affermato sulle ciclicità dei cambiamenti societari.

Le stesse opere letterarie del principe Antonio Capece Minutolo(17681838),che sostenne la strenua difesa dei princìpi giuridici delle tradizionali istituzioni del Trono e dell’Altare, a fronte delle violente occupazioni anarchiche del regno di Napoli e da parte delle truppe francesi, rappresentano altra testimonianza di impegno culturale controrivoluzionario.

Questo letterato, come Monaldo Leopardi (padre del famoso Giacomo, autore di saggi d’inizio ottocento sulla difesa della cristianità ed aristocrazia dall’egalitarismo giacobino) o Luigi Taparelli d’Azeglio (sacerdote fratello di Massimo,tra i fondatori di Civiltà Cattolica) e tanti altri nomi o eventi costituiscono esempi di una Controrivoluzione, che ha contribuito alla formazione e sviluppo del paese, seppur dimenticati dai libri scolastici o accademici.


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41 Tra l’altro,la secolare identità cristiana delle popolazioni italiche è stata alquanto trascurata e volutamente non menzionata quale elemento importante di comunione tra i popoli riuniti nel regno d’Italia, a causa dell’atea e liberalmassonica formazione

politica dell’Unità nazionale, motivo per il quale sono rispondenti le analisi dell’autore Plinio Correa de Oliveira nel suo saggio “Rivoluzione e Controrivoluzione”(1959). Costui evidenziò come la Controrivoluzione si sia opposta,quale corrente di pensiero, alla visione metastorica dell’umanesimo ateo, volto ad instaurare nel mondo un regno dell’uomo in opposizione al regno di Dio, come indicato anche da Sant’Agostino nella sua opera “La città di Dio”.

Conseguentemente, se ripercorriamo i primordi della storia risorgimentale del regno d’Italia, che torna così ad essere festeggiata con Firenze-capitale,

non possiamo più dimenticare quel tentato progetto di laicizzazione della società italiana voluto dalla dinastia Sabauda e sua intellighenzia liberal-rivoluzionaria filo-protestante, ben disposta a gettare nel Tevere il cadavere del Papa all’indomani della presa di Roma nel 1870. Re Vittorio Emanuele II quando si insediò il 3 febbraio 1865 con la sua corte piemontese a Firenze, in base alla “convenzione di settembre”(accordo diplomatico di Fontainebleau con l’imperatore Napoleone III), probabilmente era ignaro delle lontane tradizioni e costumanze religiose toscane per le quali in più occasioni storiche si combatté, come già dai tempi della parte guelfa della popolazione locale, per la salvezza dell’altare e non tanto per il trono.

Le settecentesche insorgenze popolari dei “Viva Maria” toscani contro l’occupazione delle truppe napoleoniche è quel fenomeno sociale di Controrivoluzione, al pari del movimento della “Santa Fede” Duosiciliano del cardinale Ruffo, che con le insegne della Santa Croce mosse contro gli usurpatori della cultura illuminista, restando però nella penombra della storia patria. Oggidì dalla moderna e multirazziale città di Firenze ci aspettiamo più attenzione a quel sentito bisogno di revisionismo delle “radici” risorgimentali d’Italia, tanto auspicato da Gramsci che annoverò gli errori, i massacri di popolazioni civili, i misfatti di una certa classe

politica intransigente che amaramente decise la promulgazione della legge Pica(1863) o la legge delle Guarentigie(1871).

Nel periodo di Firenzecapitale(1865-1871) non dimentichiamo, quindi, come il governo monarchico-parlamentare, da questi palazzi, continuò a far applicare fino al 31 dicembre del 1865 le disposizioni di quella norma stragista contro il brigantaggio postunitario nel Mezzogiorno al fine di debellarlo definitivamente. Vani gli appelli a sopprimere detta legge, come quello del deputato della Sinistra Parlamentare Giuseppe Ferrari che già nel 1862 affermò: «Non potete negare che intere famiglie vengono arrestate senza il minimo pretesto; che vi sono, in quelle province, degli uomini assolti dai giudici e che sono ancora in carcere. Si è introdotta una nuova legge in base alla quale ogni uomo preso con le armi in pugno viene fucilato. Questa si chiama guerra barbarica, guerra senza quartiere. Se la vostra coscienza non vi dice che state sguazzando nel sangue, non so più come esprimermi». I tribunali militari con la gestione della giustizia ordinaria e cioè legittimando la supremazia dell’autorità militare sull’au-

la Storia torità civile con lo stato d’assedio, giunsero ad eliminare circa 14.000 briganti o presunti tali (tra cui numerosi reticenti alla leva) oltre a 12.000 tra arresti e deportati. Nel solo 1865,con Firenze già capitale, furono 55 le condanne a morte, 83 ai lavori forzati a vita, 576 quelle ai lavori forzati a tempo e 306 quelle alla reclusione ordinaria.

Sempre dalla Firenze Sabauda si concepì la conquista di Roma,contravvenendo ai citati accordi con Napoleone III,nonché la menzionata legge anticlericale,definita da papa Pio IX “un mostruoso prodotto della giurisprudenza rivoluzionaria”,che portò la soppressione di tutte le facoltà di teologia dalle università italiane, così come il controllo statale dei seminari, la nomina governativa dei vescovi e dei parroci, l’esproprio di beni ed immobili della Chiesa.


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l’Agenda

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Appuntamenti del meridionalista NAPOLI - MESSA PER FRANCESCO DI BORBONE Sabato 15 novembre - ore 19:00 - Basilica di Santa Chiara

Solenne Celebrazione Eucaristica in Suffragio di S.M. Francesco II di Borbone in occasione del 120° anniversario della morte del re delle due Sicilie. Il reverendo Fernando Maria Cornet Priore del Real Circolo Francesco II di Borbone animerà la liturgia il Coro "ARMONIA" di Frattamaggiore (NA), diretto dal M° Luigi Del Prete. NAPOLI – CELEBRAZIONI FRANCESCO DI BORBONE Giovedì 20, Venerdì 21 e Sabato 22 Novembre 2014

E sempre nel 120° anniversario della morte di Francesco II di Borbone, che si concluderanno il 27 Dicembre, data della scomparsa dell’ultimo sovrano del Regno ad Arco di Trento, il Movimento Neoborbonico organizza una articolata tre giorni di eventi. Si comincia Giovedì 20 novembre alle 18:00, alla Fondazione Il Giglio di Napoli, con la presentazione del libro "Delle presenti condizioni del Reame di Napoli" (Thesaurus) di Pietro Calà Ulloa alla presenza dell’avv. Antonio Boccia, dell'editore Lorenzo Terzi, Gennaro De Crescenzo e Marina Carrese. Venerdì 21 novembre, ore 17.30, piazza del Gesù a Napoli, incontro con il Principe Carlo di Bor-

GAETA - PORTICATO GAETANO Dal 1 Novembre 2014 al 31 Gennaio 2015 Pinacoteca Comunale

Il Porticato Gaetano è la più antica manifestazione d’arte che si tiene a Gaeta e la prima edizione si è tenuta nel 1958. Il tema sul quale si sono cimentati gli artisti quest’anno è: Dio alla ricerca dell’uomo - dialogo tra arte e fede oggi; le 73 opere esposte riguardano un ampio spettro del panorama artistico attuale con pitture, sculture, fotografie, assemblaggi e installazioni nelle varie modalità stilistiche e nelle varie intuizioni dei partecipanti.

bone e deposizione di fiori sulla tomba di Francesco II nella Basilica Santa Chiara. Sabato 22 novembre, alle 10:45, Santa Messa presso la chiesa di San Ferdinando di Palazzo (piazza Trieste e Trento) con S.A.R. il Principe Carlo e la Reale Arciconfraternita di San Ferdinando con Marco Crisconio, esecuzione dell'inno nazionale delle Due Sicilie a cura della Fanfara dei Civici Pompieri delle Due Sicilie, commemorazione di Francesco II di Borbone. Dalle 13:00 Visita Privata del Principe Carlo di Borbone ad una struttura assistenziale presso il borgo di Santa Lucia in Napoli a cura della Delegazione Napoletana del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio guidata dal Marchese Pierluigi Sanfelice di Bagnoli. BARI – GET UP! • SVEGLIAMO L’EDITORIA Fino al 22 novembre 2014 Mediateca Regionale Pugliese

Il vasto programma prevede 44 ore di lezioni e workshop gratuiti su grafica, editing, traduzione, ufficio stampa, progettazione e innovazione nell'editoria: al via venerdì 7 novembre GET UP! • Svegliamo l'editoria, un progetto dell'associazione culturale riga quarantadue nato nell'ambito dei Laboratori dal Basso (un'azione promossa da ARTI e Bollenti Spiriti). In programma anche 5 eventi off aperti – come le lezioni – a tutti: incontri, presentazioni e reading in alcuni spazi della città per dialogare con i protagonisti di GET UP!




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