n. 19 numero 2 - anno IX
Poste Italiane spa - spedizione in abb. post. - D.L. 353/93 (convegno L. 46-04) art. 1 comma 1 - DCB
luglio-dicembre 2008
Tornare a scrivere in corsivo Go back to write in italic
L’approccio medico e pedagogico clinico alla malattia cronica intestinale (Morbo di Crohn) Medical and clinical pedagogical approach to the chronic intestinal disease (Crohn's disease)
Future Special Educators in Australia Future Special Educators in Australia
Il pedagogista clinico in un Centro di Formazione Professionale A clinical pedagogist inside a Professional Training Centre
Progetto Goya Goya Project
n.19
Autorizzazione Tribunale di Firenze Decreto 4868 1∞ marzo 1999 Periodico semestrale Anno IX n. 2 luglio-dicembre 2008
Editore: ISFAR srl Fondatore e Direttore responsabile: Guido Pesci Direzione, Redazione, Amministrazione: ISFAR - viale Europa, 185/b 50126 Firenze Tel. e Fax 055 6531816 E-mail: info@isfar-firenze.it Web: www.pedagogiaclinica.com www.clinicalpedagogy.com www.pedagogisticlinici.com www.pedagogisticlinici.eu www.isfar-firenze.it Progetto grafico Senza Filtro Firenze Traduzione a cura di Valentina Benoni Degl’Innocenti Printed in Italy: Tipolitografia It.Comm. srl via di Ripoli 50/r Firenze
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O I R A Direttore scientifico Guido Pesci
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L’approccio medico e pedagogico clinico alla malattia cronica intestinale (Morbo di Crohn) / Medical and clinical pedagogical approach to the chronic intestinal disease (Crohn’s disease)
Future Special Educators in Australia / Future Special Educators in Australia
Il pedagogista clinico in un Centro di Formazione Professionale / A clinical pedagogist
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Comitato scientifico: Valentina Benoni Degl’Innocenti Sandro Cappellin Mauro Carboni Elena Gaiffi Sergio Gaiffi Eugen Galasso Liliana Luccini Marta Mani Simone Pesci Claudio Rao Maria Raugna Lucia Sarais Alberto Sedini Stefania Turini Antonio Viviani
Tornare a scrivere in corsivo /
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Segreteria di redazione: Valentina Benoni Degl’Innocenti Sergio Gaiffi Marta Mani Simone Pesci
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Direttore di redazione Anna Pesci
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inside a Professional Training Centre
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Progetto Goya / Goya Project
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ANPEC Tribune / ANPEC Tribune
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Echi della stampa / Echoes from the press
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Recensioni / Book reviews
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Novità editoriali / News editorial
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Tornare a scrivere in corsivo di Giuliana Ammannati
Noi pedagogisti clinici torniamo a segnalare una tappa involutiva nella storia del grafismo di moltissimi giovani, i quali hanno notevoli difficoltà ad esprimere liberamente se stessi nel comportamento della scrittura corsiva. Ci interroghiamo sulle cause e ci sentiamo in obbligo di segnalare alla scuola e agli educatori il rischio che le giovani generazioni stanno correndo. I risultati della nostra ricerca (durata 10 anni su un campione di 1000 studenti), sulla modalità di scrittura da parte dei giovani, attestano che un’alta percentuale di studenti tra i 14 e i 19 anni, circa il 45% non scrive in corsivo, ma preferisce farlo in stampatello; per questi giovani, oltre alla difficoltà di non riuscire ad essere se stessi c’è la questione della omologazione che passa anche come modalità di scrittura. Scegliendo lo stampatello minuscolo l’alunno si esprime parzialmente, non sa rappresentarsi nel suo spazio segnico-grafico, per riconoscersi ed accogliersi senza paura. La ricerca ha evidenziato che a scrivere in “script” sono i giovani più fragili, i ragazzi che hanno maggiori timori e insicurezze, quelli che si perdono nel “si dice” della massa, quelli che si copiano tra di loro,
che non riescono ad interagire nel gruppo classe e con gli insegnanti quelli che non sanno manifestare la loro personalità a rischiare un atteggiamento acritico nei confronti della realtà, della quale finiscono per essere solo spettatori passivi e mai protagonisti attivi. Dietro il non utilizzo del corsivo vi è anche una motivazione profonda: i ragazzi temono il giudizio dei propri compagni, non vogliono venire allo scoperto, hanno paura di differenziarsi e caratterizzarsi. Il corsivo, che è diverso da persona a persona, soprattutto quando è letto da altri rivela paure e insicurezze e l’omologazione della scrittura permette ai giovani di rimanere nel gruppo che diventa un nascondiglio, usare solo lo stampatello è una menomazione della loro espressività, è la rinuncia ad essere incisivi e autentici e l’abbandono di tale scrittura a favore dello stampatello maiuscolo e minuscolo costituisce un assottigliamento della personalità e una grave rinuncia, quella di un patrimonio personale, irripetibile e unico. L’utilizzo dello stampato maiuscolo anche nella propria firma, denota un impoverimento dell’intera Italia che si va sempre più conformando a nazioni
europee, con il rischio di perdere gran parte della sua creatività, che invece dovrebbe essere salvaguardata e incrementata, oggi più che mai rispetto al passato. Anche il rapporto degli insegnanti con la scrittura dei propri allievi non è facile, tanto che spesso capita di sentir dire dai ragazzi che sono gli stessi professori di italiano e di latino a pretendere lo stampatello; così, per rendere leggibile la propria grafia, molti di loro hanno ritenuto opportuno, come hanno dichiarato per iscritto, di adottare lo stampatello per presentarsi
…non scrive in corsivo, preferisce farlo in stampatello…
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bene e andare incontro alle richieste dei docenti, che ancora mantengono in atto una pedagogia adultistica nei confronti dei propri alunni. Con ciò non contestiamo la necessità che i ragazzi siano invitati a scrivere meglio, ma occorre riflettere che la svalutazione di un comportamento, come quello della scrittura, comporta anche la svalutazione dell’alunno. L’obiettivo dell’educatore è invece quello di far parlare di sé il ragazzo, di permettergli di raccontarsi esprimendo anche la paura di crescere, le ansie, le emozioni, senza dover indossare delle maschere. Occorre perciò considerare la scrittura come la comunicazione specifica della singola persona, una lingua il cui alfabeto è costituito anche dal percorso e dal
parenza all’essere, alla persona considerata nella sua interezza. Da questo punto di vista saper scrivere in corsivo è una conquista, non un punto di partenza dato per scontato e acquisito una volta per tutte, è una conquista del soggetto liberato che si esprime in tutte le sue forme di intelligenza, nelle sue emozioni, con le sue fragilità, con le sue paure nel confronto con gli altri. Bisogna perciò tornare a scommettere sul corsivo. Quest’ultimo rivela l’identità del soggetto, le sue potenzialità relazionali e affettive. Corsivo significa arte, creatività e fantasia; caratteristiche che hanno accompagnato i nostri più grandi artisti nel corso dei secoli. Se non si valorizzano questi elementi si rischia di non dare la giusta attenzione alle persone e di far fallire una delle più
solco lasciato dalla penna, dal movimento, dalla disposizione delle parole nello spazio, per vedere come la persona si percepisce e si rappresenta attraverso il gesto grafico. Si tratta di cambiare punto di osservazione, di passare dalla ap-
importanti missioni educative della scuola italiana. Per questo noi pedagogisti clinici abbiamo l’intenzione di porre l’accento sull’importanza del comportamento grafico spontaneo, essendo consapevoli che la personalità si manifesta nella sua
individualità e unicità e che il grafismo racconta le fasi dello sviluppo del singolo soggetto in formazione; perché le esperienze di un ragazzo anche se simili a quelle dei suoi pari sono sempre personali e uniche. In questo modo possono essere compresi in tempi utili eventuali difficoltà cognitive, e disagi emotivi, relazionali e affettivi. L’attività grafica, come comportamento espressivo, è portatrice di una valenza diagnostica pronta per essere utilizzata dal pedagogista clinico, il quale riesce a prestare attenzione ad aspetti trascurati e che invece sono fondamentali per favorire la crescita e lo sviluppo dell’intera personalità. Strettamente connessa con la valenza diagnostica è la valenza pedagogica della attività grafica; il gesto grafico è una attività motoria spontanea complessa e coordinata, e insieme al gioco è uno strumento di formazione della personalità. Nella pre-adolescenza, quando ha inizio la fase post-calligrafica, si ha l’acquisizione graduale di una scrittura sempre più personale e unica.
…fluenza e personalizzazione della scrittura…
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Dopo i 10-12 anni aumenta l’efficienza con maggiore fluenza e personalizzazione della scrittura; ebbene proprio in questo periodo assistiamo, invece, in Italia e in Europa ad una sorta di involuzione della grafia mentre dovrebbe essere il contrario; infatti il corsivo viene addirittura abbandonato a favore dello “script” e questo oggi in Francia, in Svizzera e in Germania accade fin dall’ultima classe della scuola primaria di primo grado. Si assiste quindi, a nostro avviso, nella quinta organizzazione psico-sociale, dagli 11 ai 14 anni, quella che Erikson chiama identità, ad un vasto fenomeno di dispersività, che consiste proprio nel confondersi con gli altri nel gruppo e la scrittura in stampatello mette in luce note-
La scrittura è l’arte dello scrivere e della libertà del movimento…
volmente la dispersività che c’è tra i giovani e la difficoltà a formarsi una identità ed una personalità. Facciamo presente inoltre che i soggetti che hanno difficoltà grafo-motorie continuano ad averle anche col passare degli anni per questo è necessario un intervento preventivo, per permettere al bambino di superare presto le difficoltà e acquisire maggiore scioltezza del gesto grafico, in quanto strumento di formazione motoria del carattere e della intelligenza. Dominare il movimento è indispensabile al bambino per raggiungere la maturazione psicomotoria intellettuale e affettiva. Attraverso le esperienze di controllo del movimento grafico il soggetto avrà la possibilità di rendere stabili molti collegamenti cerebrali. Per questo lo scarabocchio e il disegno danno al bambino la possibilità di sviluppare i prerequisiti del leggere e dello scrivere. La scrittura è l’arte dello scrivere e della libertà del movimento e per arrivare a questo il bambino ha bisogno di esprimere il suo mondo interiore, le sue emozioni senza subire forzature e imposizioni da parte dell’adulto. Infatti l’eredità genetica ci ha dotati di talenti emozionali che determinano il nostro comportamento, ma i circuiti cerebrali interessati in questo processo sono estremamente plastici. Il carattere non è predeterminato. Gli in-
segnamenti emozionali che apprendiamo da bambini, dalla famiglia e dalla scuola, plasmano i circuiti cerebrali preposti alle emozioni, rendendoci più o meno abili a gestire gli elementi fondamentali della intelligenza emotiva. L’infanzia e l’adolescenza offrono grandi opportunità per stabilire le inclinazioni emozionali essenziali che governeranno la vita di un bambino e di un ragazzo in fase di apprendimento emotivo-comportamentale. Il più importante contributo che la pedagogia possa dare allo sviluppo del bambino, sostiene Gardner, è aiutarlo e guidarlo verso un campo nel quale i suoi talenti naturali vengono potenziati e soddisfatti. L’insegnamento razionale-emotivo presuppone però, condizioni atte a favorire l’iter comunicativo, l’uso di un linguaggio idoneo, il porsi dal punto di vista del bambino, l’empatia, l’ascolto, l’interazione, e soprattutto il modello educativo positivo che l’adulto deve offrire. La scuola dell’infanzia è il luogo ideale ove esprimere attraverso il gioco e il disegno le proprie emozioni e il proprio vissuto, sul quale si fondano tutte le esperienze ludiche e didattiche, mediante le quali nel bambino si strutturano l’autonomia e l’iniziativa; si ha la capacità di essere spontanei, di fantasticare, di essere creativi e liberi nel comportamento.
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Si ampliano i limiti spazio-temporali imposti dalla percezione e si sviluppa l’intelligenza rappresentativa, per questo nella scuola dell’infanzia si possono e si devono favorire il più possibile attività che permettano di interiorizzare e di vivere fluidamente il gesto grafico. Potremmo, inoltre, considerare l’attività grafica spontanea, quella attività che consente di liberare il movimento, scaricare e sublimare l’aggressività. La scuola dell’infanzia ha perciò il compito di sviluppare tutti i prerequisiti indispensabili per l’apprendimento della scrittura e della lettura, apprendimenti che saranno poi attuati e consolidati nella scuola primaria di primo grado; perché se nelle prime classi non si agevola il bambino alla distinzione e alla scrittura in corsivo, esso si orienterà in rapporti intuitivi e sceglierà la modalità di scrittura più comoda. Infatti il corsivo non nasce se non è stato interiorizzato completamente. Il bambino conquista la competenza grafo-motoria attraverso un percorso che parte dai grafismi fino ad arrivare al disegno geometrico. Sarà proprio questa condizione a permettergli di giungere alla produzione della scrittura in modo fluido e personalizzato. Quando ciò non avviene, ma si fa intraprendere al fanciullo un percorso forzato, nel quale il gesto grafico manca di vissuto e si
prospetta come una riproduzione standard nel foglio, o come una richiesta imposta dell’adulto, può accadere che, il grafismo prima e il grafema poi, risentano di questa forzatura. Ciò può dare origine a vere e proprie difficoltà della codifica scrittoria fino al punto di non comprendere la scrittura. Per questo l’alunno può adottare la strategia dello “script”. Scrivendo le lettere come i libri stampati, egli pensa di comprendere meglio e di far capire meglio quello che scrive, ma in questa modalità pensata l’energia dello scrivente e le sue emozioni sono già bloccate. Sviluppare e potenziare le abilità di scrittura nella scuola elementare è quindi indispensabile per il conseguimento di un obiettivo comportamentale e educativo fondamentale quale quello della personalizzazione della scrittura, obiettivo che deve essere perseguito anche nelle scuole successive. Purtroppo tale obiettivo oggi è molto trascurato. Si tratta di una grave disattenzione della scuola, che comporta molti rischi dal punto di vista educativo e della crescita psicologica e sociale della persona in formazione. Per questo noi pedagogisti clinici torniamo a porre l’accento sulla importanza della scrittura personale e diciamo che la scrittura va liberata. Il corsivo è il tocco unico della persona. Con la scrittura corsiva viene fuori
Il corsivo è il tocco unico della persona… quel tocco, quell’affinamento della sensibilità del soggetto. La differenza tra il mio modo e il modo di Maria di scrivere “cielo” è personale; è la differenza che è personale, caratterizzata da piccole note che la personalizzano con quella emozione che mentre si lascia traccia viene fuori, forza, nervosismo, fragilità, piacere, disinteresse. La scrittura corsiva aiuta a liberare il soggetto. Questo tocco che può sembrare sbagliato (come appare oggi agli occhi di tanti che si rifugiano nello stampatello) è venuto fuori dall’inconscio. Nell’inconscio di ciascuno sono depositati tutti i vissuti personali, unici e irripetibili della persona. Quindi lo scritto può rivelare la difficoltà di esprimere se stessi in questa unicità, soprattutto quando esso appare omologato e pensato identico a quello di altri individui; questo significa, an-
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che, che il delicato meccanismo che favorisce la personalizzazione della scrittura, e quindi dello sviluppo armonico dello scrivente, può bloccarsi per implicazioni personali e sociali. Noi pedagogisti clinici vogliamo tornare a dare la giusta importanza al corsivo e al movimento, se si fa una scrittura eccessivamente pensata perché non abbiamo conseguito l’abilità del gesto, l’energia dello scrivente è già bloccata. Il gesto grafico non è programmato, il gesto non è pensato, è così come si è in quel momento quando si scrive; così quello che si è viene fuori. Ecco che arriva un segno, come quando un bambino fa un disegno meraviglioso, il corsivo diventa allora scrittura liberata, è libertà del movimento, è scrittura viva. Per questo motivo il pedagogista clinico può agire con interventi specifici ed offrire alla scuola itinerari educativi idonei per il recupero delle abilità grafo-gestuali, aiutare il giovane a superare eventuali difficoltà relazionali, spesso dovute al timore del confronto, può rintracciare gli ostacoli che impediscono il passaggio a conquiste ulteriori, a crescite successive, e rendere il suo intervento mirato ed efficace avvalendosi dei metodi BonGeste, Prismograph® e InterArt® adatti al conseguimento di questi importanti obiettivi educativi. Nel percorso pedagogico clinico realizzato al fine di
aiutare i soggetti che mostravano maggiori difficoltà e maggiori tensioni, ho utilizzato le tecniche desunte da questi metodi, perché era necessario favorire la creatività, educare al bello, agevolare il linguaggio, la lettura e la comunicazione, per fruirne anche nelle relazioni interpersonali. A questo proposito i ragazzi che hanno riconquistato il corsivo mi hanno spiegato di stare molto meglio perché è scattata in loro una molla interna. Si è potuto verificare che, alla ripresa del corsivo, è seguita una maturazione della personalità, una capacità di espressione e relazione con gli altri che sembrava persa. Noi pedagogisti clinici oggi vogliamo lanciare un appello, quello di liberare la scrittura, di liberare la persona. È questa la sfida da lanciare alle istituzioni per aiutare ogni soggetto al tota-
le recupero delle sue potenzialità, della sua piena espressività e armonia.
…alla ripresa del corsivo è seguita una maturazione della personalità…
Relazione presentata al Convegno su “Il pedagogista clinico, una risorsa di fronte alle emergenze sociali”, tenuto a Genova il 20 ottobre 2007
Summary Giuliana Ammannati underlines the school’s regression in these last years. One of the points of view that is particularly compromised is the italic writing; in the most of schools the deletion of possibilities to do experiences with this important organazing-makeable and representative opportunity of own personality is to go to the writing’s homologation in block capitals with small letters. The choice of this written and the ending of a spontaneous graphic behavior impoverishes every person’s development and not allows to truly declare himself to the other. The outcomes of this writing’s obligation are sustained and described from Ammannati in her research
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L’approccio medico e pedagogico clinico alla malattia cronica intestinale (Morbo di Crohn) di Domenicantonio Comparato* e Paola De Santis**
Negli ultimi anni sta via via crescendo la consapevolezza scientifica dell’importanza che i fattori psicosociali rivestono nell’eziopatogenesi della malattia. Anche i fenomeni di somatizzazione, definiti come la ‘tendenza a sperimentare e comunicare il malessere psicologico sotto forma di sintomi fisici ed a richiedere per essi l’attenzione del medico’, sono divenuti molto più frequenti. È evidente, alla luce delle ricerche, che per avere un quadro completo della malattia occorre tenere conto di tutti i fattori possibilmente coinvolti soppesando il contributo relativo di ciascuno di essi sulla persona. Pertanto si rendono necessari, in ambito internistico, valutazioni combinate, che consentano di determinare, qualificare e quantificare le variabili psicosociali, considerando, appunto, che molte patologie mediche e molte sintomatologie non riconoscono una causa organica specifica e vengono, pertanto, classificate come disturbi funzionali, secondo una procedura per esclusione che lascia spesso perplessi.
Nella nostra esperienza, abbiamo privilegiato un approccio alla persona in un tutto unitario, dove la malattia si presenta come sintomo al livello organico e come disagio al livello psicologico, prestando attenzione non solo alla manifestazione fisiopatologica della malattia, ma anche all’aspetto emotivo che l’accompagna. In quest’ottica possiamo distinguere malattie per le quali i fattori biologici, tossico-infettivi, traumatici e genetici hanno un ruolo preponderante e malattie per le quali i fattori psicosociali ed emotivo-affettivi sono determinati. Così, non perdendo mai di vista l’unità psicosomatica della persona, abbiamo indagato, valutato e seguito attraverso un approccio pedagogico clinico, coadiuvato da quello medico, sia persone con patologie ben documentate, sia persone per le quali la sintomatologia non era supportata da elementi biologici e clinici. Il pedagogista clinico accanto al medico, grazie alle sue competenze specialistiche e le sue tecniche specifiche, elabo-
* Dr. Domenicantonio Comparato - Medico Chirurgo, Specialista in Medicina Interna, Ecografista multidisciplinare, docente SIUMB ** Dr.ssa Paola De Santis - Pedagogista clinico
…privilegiato un approccio alla persona in un tutto unitario… ra una propria diagnosi che insieme a quella del medico specialista contribuisce alla elaborazione di una strategia mirata. Così l’osservazione e le indagini obiettive da parte del medico hanno lo scopo di individuare le possibili noxe che sottostanno ad una determinata patologia. L’osservazione pedagogico clinica e la successiva diagnosi, oltre a dare un importante contributo per la conoscenza della storia personale e sociale della persona ha la principale funzione di identificare e di rendere coscienti, attraverso il colloquio clinico/ anamnestico, eventuali disagi fisici, sociali e affettivi, rapportabili ed in certi casi responsabili di una manifestazione sintomatologica. Ne consegue che, in questa collaborazione, lo scopo
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della diagnosi pedagogico clinica sarà quello di conoscere la persona in ogni suo assunto, per elaborare strategie educative idonee al superamento della situazione o dell’evento vissuti come difficoltosi o come fonti di disagio. Quindi l’osservazione, in questa prospettiva, non è mai occasionale e/o soggettiva, ma scientifica ed intenzionale al fine di selezionare e rilevare le situazioni da osservare e quindi quelle su cui intervenire. L’iter procedurale di selezione ha seguito alcune costanti che ne determinassero lo spessore scientifico, sia pure con alcune variazioni ed aggiustamenti richiesti, di volta in volta, dal soggetto. La persona è stata ricevuta preferibilmente singolarmente, ad eccezione dei minorenni ed in quelle situazioni in cui si è ritenuto, almeno in prima istanza, funzionale far partecipare al colloquio un familiare di accompagnamento. Una prima fase, consistente generalmente in un incontro, gestita dal medico internista, ma sostenuta dalla presenza congiunta del pedagogista clinico, è consistita nell’ascoltare dettagliatamente i motivi clinici del consulto, interrompendo l’esposizione spontanea, solo quanto necessario, per avere maggiori dettagli e meglio inquadrare i sintomi riferiti. La presenza del pedagogista clinico in questa fase è risultata in-
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dispensabile sia nell’accoglienza, alla persona preliminare al colloquio clinico, sia in qualità di osservatore nella fase immediatamente successiva, dello stesso incontro, dedicata alla raccolta anamnestica e clinica, distinta in familiare, fisiologica, patologica remota e patologica prossima, al fine di una quanto più possibile dettagliata acquisizione di dati riguardanti l’intero vissuto clinico della persona. In questo incontro della durata di circa sessanta minuti, il clinico ha eseguito sistematicamente un esame obiettivo completo, comprensivo di tutti gli organi
Una prima fase gestita dal medico internista, ma sostenuta dalla presenza congiunta del pedagogista clinico…
ed apparati esplorabili (esame dell’habitus costituzionale, della postura, delle mucose, della cute, ricerca di eventuali linfoghiandole patologiche superficiali e profonde, percussione ed auscultazione del torace e del cuore, valutazione neurologica preliminare e tutto quanto si è reso funzionale ad un’accurata diagnosi). Successivamente, in base agli elementi emersi dall’anamnesi ed alla valutazione obiettiva, sono stati realizzati esami di approfondimento per poi individuare una annessa idonea terapia. Tale evenienza, però, si è verificata in presenza di patologie evidenti, sia di tipo medico che chirurgico, ed in quelle situazioni in cui il medico internista ha ritenuto che il trattamento mirato della condizione morbosa, identificata in maniera inequivocabile, potesse risolvere completamente la problematica. In alcuni casi il medico stesso ha richiesto al pedagogista clinico un approfondimento che la persona poteva o meno accettare. La presenza del pedagogista clinico in queste due fasi si è mostrata tangibilmente importante ed in alcuni casi addirittura preziosa. Nella fase di accoglienza il favorire la creazione di un clima empatico, in cui si percepisca come elemento fondamentale la considerazione “incondizionata” della persona, scevra da ogni giudizio soggettivo in senso stretto, e il rispetto e la condivi-
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sione del problema ha facilitato l’apertura critica della persona nei confronti del suo problema. In questo clima è stato possibile “dare il giusto peso” alla malattia, non solo per ciò che essa determina e comporta da un punto di vista oggettivo, ma anche, e soprattutto, per il modo in cui il soggetto vive se stesso in rapporto ad essa. È così che il riflettore viene puntato sull’importanza del fattore soggettivo nell’andamento e nell’eventuale ed auspicabile risoluzione clinica e/o sintomatologica. Questo perché anche malattie e sintomatologie valutate nella pratica medica come marginali possono essere vissute come gravose ed eccedenti le proprie capacità di adattamento, costituendo così un’importante fonte di disadattamento e contribuendo a volte, all’insorgenza di disagi di tipo affettivo relazionale. È la situazione, per fare un brevissimo esempio, di una ragazza di 17 anni, carina ed estroversa, che a causa di un fastidioso herpes labialis stava modificando inconsapevolmente il suo stile di vita, fino addirittura ad evitare completamente ogni tipo di contatto sociale, compreso il non andare a scuola, con evidente compromissione di molti aspetti del suo mondo emotivo-affettivo. In casi come questi il pedagogista clinico ha svolto il ruolo fondamentale, attraverso il Reflecting utilizzato anche in sede
anamnestica, di accompagnare e condurre la persona nel cammino di coscientizzazione e di una conseguente “guarigione”, che non corrisponde necessariamente e meccanicamente alla scomparsa della sintomatologia, anche se come “effetto collaterale” è proprio questo che è avvenuto. Il pedagogista clinico ha assunto la funzione specialistica di rendere la sintomatologia una occasione di crescita, nella consapevolezza che l’individualità della persona è quella che fa sì che ognuno trovi dentro di sé, con un percorso adeguato, le risorse per raggiungere lo stato di salute, inteso non solo come benessere fisico, ma al pari mentale, sociale ed emotivo, elementi questi fondamentali che solo insieme, in un’armonica compenetrazione, concorrono a costituire lo stato soggettivo della persona. Il contributo del pedagogista clinico nello studio medico, quindi, ha svolto quella indiscutibile funzione educativa nell’offrire alla persona la possibilità di individuare, scoprire e potenziare le capacità, e nel caso specifico, le risorse che ognuno ha dentro di sé, che in particolari condizioni vengono private della loro energia, al fine di fare trovare una strada verso il miglioramento, una ricomposizione della propria vita. La Pedagogia Clinica, una pedagogia del dare nel fare, ha messo in primo piano la soggettività della malattia o della sintomatologia, al di là degli
aspetti biologici che l’hanno determinata, quindi l’esperienza della stessa al livello personale, le sue implicazioni psicologiche e le conseguenze sociali dell’essere “malato”. L’approccio pedagogico clinico nello studio medico ha identificato come primo obiettivo la complessità della persona malata, arricchendo l’indagine e l’intervento medico con la comprensione totale del significato della malattia. Poiché la malattia è un trauma che interrompe modificando, nei casi migliori temporaneamente, la cadenza della vita personale e imponendo alla persona una revisione del passato e nel contempo incertezza riguardo al futuro, appare evidente di come l’azione pedagogico clinica permetta
…arricchendo l’indagine e l’intervento medico con la comprensione totale del significato della malattia. 11
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di raggiungere un ritrovato equilibrio mente-corpo, una diversa e nuova progettualità. In questa esperienza, inoltre, abbiamo avuto modo di osservare la malattia della persona come “soluzione” fisica, come strategia volta a mantenere un legame con una parte di sé, quella fisica, in grado di resistere al dolore morale, alla insoddisfazione derivante a volte dal dover “essere sempre all’altezza”, o da altri eventi che accompagnano inevitabilmente il crescere e l’essere nella vita. Emerge, quindi, e del resto è scientificamente assodato, come in realtà in ogni persona vi sia una stretta interdipendenza di almeno tre dimensioni biologica/ psicologica/sociale. Lo star bene non significa assenza di malattia, ma uno stato di equilibrio psicologico e sociale che si può ottenere anche in presenza di una patologia (OMS). Benché non siano ancora del tutto note le cause etiopatogenetiche delle malattie croniche intestinali, è ormai dimostrato in letteratura scientifica, che eventi stressanti di tipo fisico ed emotivo possano portare non solo ad un aggravamento della sintomatologia dolorosa, ma anche alla frequenza di ricomparse di recidive. D’altro canto la stessa malattia cronica intestinale, in particolari soggetti e situazioni può determinare importanti stati di disagio, ansia, modificazioni dell’umore determinati da brusco ed inevitabile cambiamento del-
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lo stile di vita, dei rapporti familiari, nell’ambiente lavorativo, cambiamenti in generale sociali. La malattia di Crohn è una malattia cronica, spesso non guaribile, una condizione più o meno stabile, noxa praticamente irreversibile. Malattia di Crohn La malattia di Crohn, fa parte delle “malattie croniche intestinali”. È più comune nei paesi industrializzati ed in Italia ha una prevalenza 50-55 casi per 100.000 abitanti. L’incidenza della malattia di Crohn è aumentata progressivamente negli ultimi 50 anni stabilizzandosi negli anni ’80. L’ età di più frequente presentazione è inferiore ai 20 anni (tra i 15 e 25 anni è la più frequente causa organica di dolore addominale ricorrente) ed è lievemente più frequente nei maschi. È probabile inoltre che la malattia di Crohn rappresenti una malattia poligenica con penetranza inferiore al 100%. Il rischio stimato della malattia in chi ha un parente affetto da Crohn è infatti maggiore di 17-35 volte rispetto la popolazione generale. Il rischio stimato per i figli di pazienti affetti da Crohn è del 10 % e nei gemelli omozigoti la concordanza è del 50 %. Si presume siano coinvolti i bracci corti dei cromosomi 16, 11 e 5. Nel nostro lavoro, riportiamo la descrizione di due persone giunte alla nostra osservazione per
un inquadramento internistico ed ecografico nonché per eventuali presidi pedagogico clinici. Le persone incluse nello studio (N.P. età 40 anni con malattia di Crohn del colon e G.L., 35 anni portatore di Crohn esteso a più segmenti del piccolo intestino), sono stati successivamente “arruolati” in quanto per una serie di motivazioni cliniche e laboratoristiche, non erano in prima istanza trattabili con farmaci corticosteroidei o immunosoppressori (se non in fase di acuzia): tale condizione ci ha consentito di poter valutare i risultati dei presidi pedagogico clinici, in assenza di interferenze farmacologiche degne di rilievo. Il pedagogista clinico in una prima fase ha potuto svolgere il suo aiuto accompagnando il soggetto, e in alcuni casi insieme alla famiglia, nell’iter diagnostico. Uno specialista che ha permesso alla persona di fronteggiare con consapevolezza il percorso offrendole l’opportunità di intervenire sulla sua stessa struttura percettiva sulla quale si basano le rappresentazioni ed i comportamenti soggettivi. La Pedagogia Clinica, pedagogia del concreto, pratica, applicata, realmente adatta ad incidere sul vissuto della persona ha una duplice finalità: la comprensione dei processi individuali che costituiscono la complessità di ogni individuo e quindi l’aiuto alla persona. L’approccio clinico della Pedagogia perciò riunisce
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… l’opportunità di intervenire sulla sua stessa struttura percettiva sulla quale si basano le rappresentazioni ed i comportamenti soggettivi. in sé i due significati stessi dell’educazione: il condurre fuori nella direzione dello svelamento del sé ed il prendersi cura di sè. L’attenzione pedagogico clinica verso la globalità, la complessità e l’originalità della persona impone l’interesse per il mondo dell’emozionalità, degli affetti, delle aspettative, dei sentimenti dei soggetti con cui lo specialista si troverà ad operare. Con le persone che vivono freni, disagi e difficoltà il pedagogista clinico ha il compito di “restituire al soggetto un totale, personale
ed autentico linguaggio, la possibilità di prendere coscienza del proprio corpo, delle proprie emozioni, sensazioni ed espressioni. Il pedagogista clinico, perciò, assume strategie educative volte ad allontanare il timore, la paura, la rassegnazione del soggetto, per far posto alla fiducia, al coraggio di raggiungere nuove aspettative, motivazioni e atteggiamenti” (Pesci G., Pedagogia Clinica, in ‘Babele’, S. Marino, n. 6, aprile-giugno 1997, p. 15). Così il pedagogista clinico già attraverso il colloquio clinicoanamnestico, condotto mediante Reflecting®, ed esperienze di tipo immaginativo con tecniche specifiche che gli sono proprie, ha fornito a tali soggetti una opportunità di riflessione, che partendo dalla situazione contingente è giunto con naturalezza e fluidità, al riflettere tout court su se stessi, fino a raggiungere la consapevolezza dei meccanismi soggettivi che determinano certi stati d’animo e quindi, attraverso questa, ritrovare in se stessi le proprie soluzioni, così da agevolare in prima istanza il riconoscimento di sè come persona per poi progredire verso una crescita personale nella libertà, scoprendo e sviluppando le proprie potenzialità. Il dato fondamentale comune rilevato in questi incontri, per le persone con M.C.I., è una normale e maggiore attenzione preoccupata sul proprio corpo. Corpo che in molte situazioni di-
venta parte di sé problematica, fonte d’ansia, elemento di instabilità. La malattia, ed in particolare nel nostro caso la malattia di Crohn, può diventare un evento che interrompe il normale senso della vita di una persona, rappresenta una condizioni di crisi che determina cambiamenti sia di tipo fisico che psicologico. Il colloquio, in questa direzione, orientato all’ascolto ci ha permesso di entrare in modo più completo nella storia della persona di capire e far capire cosa personalmente la malattia significhi sul piano emotivo e come poi venga percepita sul piano cognitivo. I sintomi vengono così percepiti non solo come segni di una malattia con cui convivere, ma inscritti nella biografia della persona, in modo da verificare la frequenza della sintomatologia in relazione al vissuto della persona. Fermarsi al solo aspetto organico della malattia, così come i soggetti fino al quel momento avevano avuto la possibilità autenticata e riconosciuta, nulla ci dice della malattia vissuta. In questa direzione il percorso pedagogico clinico, previsto sia a seduta singola che a piccoli gruppi, ha rivestito l’obiettivo fondamentale di condurre l’individuo a ri-conoscersi, a ri-struttrarsi, a ritrovare se stesso al di fuori della malattia, vivere ed individuare un nuovo centro che appunto non sia la malattia stessa. Aiutare il soggetto ad acquisire la capacità di affrontare il problema.
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Il colloquio clinico anamnestico individuale, poi, è diventato esso stesso momento fortemente significativo i cui contenuti sono divenuti elementi di riflessione al fine non solo di consentire alla persona di “stare” su se stesso e con se stesso, ma di riflettere e lavorare sui propri temi, sulle proprie dichiarazioni in un’atmosfera di grande autenticità ed accettazione dell’altro. In questi momenti molto spessore dialogico hanno rivestito i silenzi nel loro senso connesso alla riflessione ed alla rielaborazione personale dei vissuti. L’intervento pedagogico clinico è proseguito con esperienze corporee per mezzo di metodi percettivo corporei quali Touch Ball®, Discover Project® e Trust Sistem®, tecniche che trovano nelle stimolazione e nelle impressioni sensoriali ampie sorgenti di conoscenza, capaci di messaggi ed informazioni, al fine di favorire una preziosa dialettica corporea utile allo sviluppo di una relazione più profonda e significativa con se stessi. La finalità principale di queste tecniche esplorative è quella di facilitare l’evoluzione dei processi naturali che portano ad una nuova consapevolezza di se stessi. Operando sul fisico, infatti, è possibile sentirsi, ascoltarsi e abbandonarsi a quella dimensione in cui i confini del corpo vanno ben oltre quelli definiti dalla coscienza, raggiungendo, in un certo senso, uno stato di abban-
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dono dell’attività razionale. Così apparentemente il protagonista principale è il corpo impegnato ad incrementare le risorse naturali già presenti nella persona, ma in realtà si tratta di un intervento di tipo totale perché partendo dalla tattilità è in grado di generare contemporaneamente effetti sia di ordine biologico, energetico, emotivo, relazionale ed immaginativo e coinvolgere così la globalità della persona. Attraverso tali effetti il soggetto ha potuto instaurare un dialogo tonico con il proprio corpo e con se stesso, che lo ha condotto non solo ad una maggiore consape-
volezza di sé, ma ad una rielaborazione emozionale positiva, a sentirsi a proprio agio, a ritrovare, così, la possibilità di esprimersi, di recuperare una propria identità corporea, quel corpo non più subito, ma agito nella piena consapevolezza del proprio linguaggio, elementi che hanno, alla luce dei risultati ottenuti, condotto la persona a distanziarsi criticamente dalla malattia e a rielaborare per sé, dalla esperienza vissuta di un corpo malato quella di un corpo fonte e generatore di piacere, recuperando l’unità psicofisica a sostegno dell’integrità della persona.
…generare contemporaneamente effetti di ordine biologico, energetico,emotivo-relazionale ed immaginativo e coinvolgere così la globalità della persona. Lavoro presentato in occasione del Convegno di Matera - 7 ottobre 2006 “Il pedagogista clinico in aiuto alla persona”.
Summary A doctor and a clinical pedagogist display in this work their collaboration to give help to many people that are affected by Crohn’s disease. A demonstration about how is possible to combine two different professional abilities to offer opportunities of physical recovery and emotional readjustment.
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Future Special Educators in Australia di Micaela Becattini
In Australia gli studenti con disordini e disabilità sensoriali, fisiche e intellettuali, sono inclusi nelle classi ordinarie da poco tempo. Il diritto degli studenti diversamente abili di essere inseriti in una “classe inclusiva” anziché raggruppati in un ambiente isolato, è stato, anche in Australia, il maggior interesse messo in evidenza da educatori, politici e ricercatori degli ultimi tempi ed è stato dimostrato che una scuola efficace con insegnanti preparati determina i risultati e i successi degli studenti. I bambini con difficoltà di comportamento sono spesso considerati essere tra i più difficili da inserire nelle classi regolari e gli insegnanti si preoccupano delle ostilità riguardanti inappropriati comportamenti. Non sorprende quindi che i disordini comportamentali siano identificati come un fattore di ritenzione degli insegnanti alla professione in un importante momento proprio quando invece la richiesta è più alta dell’offerta. Alcuni dei comportamenti oppositivi e sfidanti manifestati dai bambini sono stati considerati come significative componenti stressanti per gli insegnanti. Diversi studi sottolineano infatti quanto, anche per
insegnanti di lunga esperienza, questi comportamenti siano fattori di stress e burnout, evidenziando inoltre la relazione tra burnout e self-efficacy. La Self-efficacy, quale insieme
di qualità personali, atteggiamenti, valori e azioni ecc. è la credenza dell’individuo nelle sue abilità di portare a termine le azioni per realizzare con succes-
so una specifica richiesta in uno specifico contesto ed è anche pensata come mediatrice tra la conoscenza dell’individuo, le abilità e il suo comportamento. È stato evidenziato che gli insegnanti con un forte senso di self-efficacy sono più disposti a inseguire goal sfidanti, ad avere una maggior perseveranza e ad essere più elastici in condizioni avverse; inoltre è stato considerato come indicatore di buona volontà nell’includere studenti con disabilità nelle classi. Chiaramente questo diventa un importante prerequisito per la pratica delle classi inclusive, ma percezione e realtà sono spesso questioni separate, e mentre gli insegnanti riportano che si sentono fiduciosi, questo poi non si riflette nella pratica; infatti lamentano insufficienze, affermando che “non sono creativi”, che “sono stonati” o che “hanno 2
I bambini con difficoltà di comportamento sono tra i più difficili da inserire nelle classi regolari… 15
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piedi sinistri” e nutrono forti sentimenti, forse negativi, nei confronti di bambini con disabilità in generale, o hanno paura della propria inabilità nel trattarli in modo efficace. Gli insegnanti hanno bisogno di maggiori conoscenze, oltre che sui disordini e disagi, sulle reali necessità dei loro allievi, sulle manifestazioni e sui comportamenti e su come affrontarli per strutturare programmi finalizzati e mirati ad aiutare ciascun bambino affinché possa raggiungere successi. Insegnanti equipaggiati con effettive pratiche educative e abilità sono sicuramente più capaci ad individuare e gestire i veri bisogni degli studenti e quindi affrontare le diverse e critiche situazioni. Dare loro il motivo di sperimentare un più creativo approccio, la possibilità di superare disagi socio-relazionali, rafforzare autostima e valorizzare le loro potenzialità, è solo attraverso questo “nuovo status”, che potranno apportare un significativo cambiamento. Questo potenziamento professionale può essere raggiunto solo attraverso un personale accrescimento, accettazione, esperienza, riflessione e riconcettualizzazione. A tal fine il dipartimento di educazione della mia città ha messo a disposizione delle scuole una lista di specialisti da contattare per rispondere con più offerte formative. In qualità di libero professionista, pedagogista clinico, coordinatrice e responsabile di un cen-
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tro ricreativo per bambini con disabilità tra i 5 e i 18 anni sono stata chiamata dalle scuole. Oltre a dirigere il centro, collaboro con il Dipartimento della Salute, le scuole, i servizi sociali e organizzo percorsi formativi personali e professionali. Quello che ho previsto in queste formazioni e che viene offerto con i workshop pedagogico clinici, non è una semplice risposta al complesso problema dei comportamenti difficili, ma è una base di valori, di suggerimenti pratici, di strategie per promuovere un durevole cambiamento che minimizzi gli effetti negativi dell’inclusione; un percorso mirato su un approccio olistico, centrato sulla persona e sul supporto al comportamento positivo, che offra diversi tipi di conoscenza, adattabilità, flessibilità, fiducia in se stessi, iniziative e lavoro di gruppo. Oltre ad usare metodologie e strategie specifiche, gli insegnanti avranno modo, per mezzo di queste esperienze, di esplorare tutte le abilità comunicative, emozionali e percettivo-corporee. Poiché la maggior parte dei partecipanti cercano risposte alle loro inadeguatezze e alle loro difficoltà, uno dei principali scopi è quello di identificare e potenziare le competenze che vengono richieste ad un insegnante di sostegno nelle classi inclusive come, rintracciare una propria autodeterminazione, autostima ed individuare e rafforzare proprie potenzialità, assumere poi abilità nel conoscere i reali
Oltre a dirigere il centro, collaboro con il Dipartimento della Salute, le scuole, i servizi sociali e organizzo percorsi formativi personali e professionali. bisogni dello studente, nel saper valorizzare tutti i tipi di talenti che gli studenti mostrano alla classe, nel collaborare in stretta connessione con genitori, altri insegnanti e terapisti, essere più flessibili ed avere una alta tolleranza alle ambiguità. Gli insegnanti che vengono indirizzati al mio centro devono frequentare attività specifiche di esperienze pratiche per dieci giorni e partecipare attivamente a sei
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ore di workshop o atelier. Durante le attività i partecipanti, seguiti e supportati da uno staff specializzato, acquisiscono pratici modalità di interazione e sperimentano i diversi canali comunicativi. Quello che viene supportato è un approccio multisensoriale che vede attivamente coinvolti tutti in un contesto professionale favorito dalle tecniche del metodo InterArt® e supportato da quell’importante e prezioso elemento quale è l’arte, o meglio, le arti. Un’area in cui non c’è né il giusto né lo sbagliato, ognuno può nella spontaneità esprimere i propri pensieri, sentimenti, emozioni, idee, fantasie ecc., dare forme in libertà permettendo l’esplorazione dell’immagine corporea, di una piacevolezza tattile e della relazione tra parte e tutto,
… permettendo l’esplorazione dell’immagine corporea, di una piacevolezza tattile e della relazione tra parte e tutto…
pensare ed agire in modo creativo circa le variazioni sui temi e far sì che il gruppo si possa aprire ad una interazione che può generare una eccitante esperienza di apprendimento. Includo in questo percorso, anche una introduzione del concetto di movement education, (Edumovement®), che prevede attività pratiche realizzate per mezzo di spostamenti nello spazio, gesti e movimenti ed ogni opportunità di esperienza cinestetica che assume il valore di dichiarazione e di espansione oltre che di espressione, alla quale l’intero gruppo risponde in una atmosfera solidale, coesa, non minacciosa, neutra. Gli elementi fusi in questo percorso, come la memoria, il processo sensoriale e la sequenza permettono una fluida transizione all’esplorazione coinvolgendo il gruppo a considerarsi un tessuto ricco di intese e scambi. Nel workshop sono previste inoltre esperienze tratte dai metodi Musicopedagogia® e MPI (Memory Power Improvement), con
la lettura di brani di prosa e composizioni poetiche, ossia l’utilizzo di specifici libri che aiutano a migliorare la comprensione, accrescere capacità analitiche e discernitive, trovare una maggior abilità di adattamento a rintracciare strategie e soluzioni. Il successo di questi workshop è largamente correlato all’interazione del gruppo e alle dinamiche del gruppo che si generano e che diventano la chiave per riflettere su bisogni e sentimenti riguardanti i bambini con i quali gli individui andranno a lavorare.
… trovare una maggior abilità di adattamento a rintracciare strategie e soluzioni.
Summary Future Special Educators, this is the title of the Micaela Becattini’s article, a colleague who is trained by ISFAR and practises currently her profession in Australia. The written’s contents relate the training of support’s teachers, a formation that give them securities and certainties thanks to clinical pedagogy’s methods and techniques. A scientific and technical contribution who has found a great praise for its efficacy from Health Department and social services. Not theoretical expositions, but a real training realized inside atelier with the use of a multisensory approach and exchange’s opportunities in a dynamics of groups which have offered a occasion to learn and reflect.
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Il pedagogista clinico in un Centro di Formazione Professionale di Lucia Sorrentino
La Formazione Professionale è da sempre considerata la “Cenerentola” della scuola anche se i riferimenti normativi, come la legge quadro risalente al 1974 e i diversi tentativi di riforma, dalla legge “Berlinguer” al d.lgs “Moratti”, fino ai più recenti interventi delle ultime legislature, hanno coinvolto il settore formativo dandogli una più adeguata collocazione e valorizzazione. La sua gestione è demandata dallo Stato alle Regioni ed è diversa, come sono diverse le Regioni. Nella Formazione Professionale la situazione che si incontra è diversa dall’ambito scolastico; uno dei fattori costituitivi le differenze è la presenza di persone di varie età, con molteplici motivazioni. Pertanto, non è difficile trovare nella stessa aula la ragazza ventenne con la sola licenza media, la persona adulta sposata e con famiglia a carico così come la persona laureata. Ed è proprio in questa realtà, così complessa, ma estremamente dinamica, che hanno trovato applicazione quei principi ispiratori della pedagogia clinica. Alcuni di questi quali, “azioni educative, opportunità di crescita personale, stimoli al cambiamento, stabilità emotiva”, hanno sostanziato il mio progetto presentato alla Regione Sicilia. Il principio ispiratore, fondato
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sul concetto secondo il quale ogni singolo individuo debba essere valorizzato ed aiutato nella sua ricerca verso l’equilibrio e l’armonia, ha fatto da sfondo al percorso formativo in un Corso per raggiungere la qualifica di Operatore Sociale in cui erano stati inseriti due ragazzi diversamente abili. I due giovani, con un’attestazione pressoché simile, erano diversi in tutto specie nell’aspetto caratteriale: uno era dominante, l’altro gregario. L’obiettivo principale è stato quello di occuparsi, oltre che dell’aspetto didattico-pratico, anche di quello psicosociorelazionale, in quanto i corsisti, per il lavoro che avrebbero poi svolto, dovevano essere in grado di operare con persone in difficoltà, così che la presenza in questo corso dei due ragazzi diversamente abili, diventava un buon banco di prova per tutti. Dopo un periodo di osservazione in compresenza con i formatori dei vari moduli, gli incontri formativi hanno previsto un precorso individualizzato e inoltre un programma facilitato per i due ragazzi avente come obiettivi quelli di integrazione, formazione, recupero, sviluppo e potenziamento di abilità, motivazione, percezione, conoscenza
…ogni singolo individuo debba essere valorizzato ed aiutato nella sua ricerca verso l’equilibrio e l’armonia… e coscienza di sé. Per quanto riguarda gli aspetti relativi all’integrazione e alla relazione, questi sono stati raggiunti utilizzando la risorsa “gruppo”; infatti sono stati organizzati dei laboratori che traevano spunto dalle varie esperienze fatte durante il percorso formativo. L’iter corsuale prevedeva inoltre una parte teorica svolta prevalentemente in classe e l’altra pratica da svolgersi fuori presso enti convenzionati, quali una Casa di Riposo per anziani e il Policlinico Universitario della città.
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Durante la fase teorica sono state utilizzate simulate in cui tutti si sono messi in gioco; l’obiettivo era riuscire a capire l’effettiva attitudine al ruolo e, in questo, i due giovani si sono ben distinti: uno era più disponibile a calarsi nel ruolo, l’altro più schivo e taciturno tendeva a non farsi coinvolgere troppo. Nell’interazione con gli ospiti della Casa di Riposo l’approccio con le persone da parte dei due diversabili inizialmente non era adeguato poiché uno tendeva a non ascoltare l’anziano che in quel momento accudiva, mentre l’altro lo bersagliava di domande delle quali non ascoltava nemmeno le risposte. Anche nelle attività che richiedevano una collaborazione non vi era sincronismo né quando i due ragazzi lavoravano tra di loro né quando lavoravano con altri compagni di classe. Successivamente ebbero l’opportunità di verbalizzare le loro esperienze e le giornate svolte precedentemente furono smontate in tante piccole unità lavorative, ognuna delle quali fu analizzata in ogni sua parte: il momento in cui entravano in reparto, le modalità di accoglienza, di accettazione, di accudimento e di ascolto fino ad essere capaci nell’assolvere a piccoli, ma preziosi compiti ricreativi come fare assieme una passeggiata sia dentro che fuori la struttura (il mercato, i negozi, i giardini), leggere il giornale o partecipare ad un evento culturale. Tutto questo
ha trovato occasione di collaborazione ed è stato approfondito prima individualmente con i due ragazzi e poi tutti insieme con il gruppo classe. Una volta interiorizzate e fatte proprie alcune tecniche, esse sono state messe in pratica quando dalla Casa di Riposo i corsisti sono stati spostati al Policlinico dove anche i momenti più difficili, sono stati
… alcune tecniche sono state messe in pratica quando dalla Casa di Riposo i corsisti sono stati spostati al Policlinico dove anche i momenti più difficili…
meglio gestiti grazie al bagaglio di esperienze apprese durante il percorso precedente. Il fatto sorprendente fu quando, al mattino, arrivati in reparto dopo essersi riuniti assieme alla caposala per assegnare ai ragazzi e alle ragazze i diversi compiti, uno dei due giovani non c’era poiché andava a salutare i degenti, chiedeva loro come avessero passato la notte e se avessero delle necessità e con semplicità portava una parola di allegria. Era un piacere vederlo lavorare da solo in autonomia, prima ancora che qualcuno gli dicesse cosa fare. Anche l’altro ragazzo, sebbene le sue abilità fossero diverse, riusciva a capire e a sentire i bisogni dell’altro. Terminata l’esperienza del tirocinio esterno i corsisti sono rientrati in classe per concludere l’ultimo periodo corsuale. Ultima fase del nostro percorso formativo è stata la verbalizzazione in classe dell’esperienza complessiva, risultata per ciascuno valida e proficua. Il riscontro da parte delle istituzioni ha avvalorato una nota positiva da parte del reparto al Direttore Generale sull’andamento del corso che ha ritenuto interessante e produttivo. L’aspetto maggiormente significativo per tutti è stato vedere i due ragazzi perfettamente integrati lavorare in sinergia sia con il personale ospedaliero che con i compagni e a fine corso ricevere ed offrire l’offerta di volontariato presso lo stesso reparto dove avevano svolto il tirocinio.
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Tutto ciò a dimostrazione concreta che il contesto sociale si muove prima della risposta istituzionale. In genere nel settore socio sanitario lavorano figure professionali “normativizzate” ovvero figure di cui una legge o un decreto ha già stabilito tutto, la tipologia dei percorsi formativi, materie, numero di anni, scuole o università dove conseguire il titolo, numero delle ore di tirocinio, eventuali esperienze pregresse, lasciando poco o nessuno spazio per quei titoli conseguiti presso istituzioni private, anche se queste sono regolarmente riconosciute e godono di fama non solo nazionale, ma anche internazionale. Pertanto chi vuole lavorare nel settore pubblico scuole, ospedali o istituzioni sociali oppure nel mondo giudiziario deve possedere specifiche qualifiche previste dalla legge che ne regolamenta il settore. Capita, però, che, fra le competenze di una figura e l’altra, si aprano delle falle nella rete degli interventi e come accade da più di trent’anni a questa parte, per esempio, questi sono occupati da figure come quella del pedagogista clinico il quale non si propone come alternativa, ma come possibilità. Il pedagogista clinico quindi nella Formazione Professionale, può trovare posto non solo nella didattica e/o nei diversi momenti del percorso formativo con il gruppo classe (al momento dell’accoglienza, alla gestione dei rapporti tra corsisti,
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attività di sostegno individuale e di gruppo, valutazione della motivazione e sostegno della stessa, orientamento, comunicazione facilitata ecc.), ma anche all’interno della struttura formativa come elemento sinergico tra colleghi o come punto di riferimento per gli utenti che si rivolgono ai centri di formazione per consulenze, e definizione del loro progetto pro-
fessionale, mettendo quindi a disposizione non solo competenza e professionalità, ma anche strumenti e metodologie. Il pedagogista clinico, inoltre, nelle varie fasi di costruzione del bilancio delle competenze può aiutare la persona ad acquisire consapevolezza delle proprie capacità ed una nuova disponibilità nella conoscenza di sé.
Il pedagogista clinico nella Formazione Professionale trova posto non solo nella didattica e/o nei diversi momenti del percorso formativo con il gruppo classe, ma anche all’interno della struttura formativa come elemento sinergico tra colleghi o come punto di riferimento per gli utenti… Summary Lucia Sorrentino shows what the clinical pedagogist can realize in a Professional Training Centre. A synergetic element between colleagues and an important point for who want go in these centres for professional advices, projects definition in which there are clinical pedagogist’s instruments and methods; these considerable aspects represent the great success of this professional category.
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ISTITUTO SUPERIORE FORMAZIONE AGGIORNAMENTO E RICERCA
Formazione Post-Universitaria delle Professioni FormazionE ESTIVA
Vacanze studio Formazione Pedagogista Clinico La formazione si svolge dal 12 luglio al 26 luglio 2009 e dal 12 luglio al 26 luglio 2010. Sono previsti inoltre 5 week-end in una delle sedi formative più vicine al domicilio ECM CREDITI FORMATIVI PER MEDICI CHIRURGHI, PSICOLOGI E EDUCATORI PROFESSIONALI (SNT-SPEC/2) 50 NEL 2008 Destinatari La formazione è rivolta a laureati (laurea specialistica/magistrale e lauree Vecchio Ordinamento) in Pedagogia o Scienze Pedagogiche, Psicologia, Medicina e Chirurgia, Scienze dell’Educazione (classi di laurea 56/S e 65/S), Filosofia (classi di laurea 17/S, 18/S e v.o.). Per altre lauree sarà valutato il curriculum. Possono iscriversi al corso anche coloro che sono in attesa della discussione della tesi nelle suddette materie, i quali dovranno essere comunque laureati al momento della verifica finale e di ciò dovrà essere data idonea autocertificazione. L’ISFAR è l’unico Istituto autorizzato dall’Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici (ANPEC) – costituita con Atto Pubblico il 28 marzo 1997 e registrata a Firenze il 16 aprile 1997 al n° 2423 – a rilasciare il certificato di una specifica formazione per l’ammissione all’Associazione e l’iscrizione all’Albo Professionale di natura privatistica dei Pedagogisti Clinici (artt. 6-8 Statuto ANPEC). La formazione promossa dall’ISFAR è riconosciuta anche dall’Amministrazione Scolastica ed è valutata nella Graduatoria Permanente Insegnanti di ogni ordine e grado (Articolo 66 C.C.N.L. Scuola e artt. 2 e 3 della direttiva n° 90/2003 del Ministero della Pubblica Istruzione prot. 20402 del 25 ottobre 2007). Al personale insegnante la formazione, oltre alla titolarità per l’iscrizione all’Albo, è certificata come Corso di Specializzazione in Pedagogia Clinica.
Prospetto della formazione Il percorso formativo, di tipo intensivo, per Pedagogista Clinico include incontri in aula e in atelier, performance tecnico-professionali, preparazione di ausili, partecipazione a iniziative scientifico-culturali, compilazione e discussione di una tesi finale. Detta discussione avverrà davanti ad una commissione formata da rappresentanti dell’ISFAR Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca e dell’ANPEC. I contenuti son identici a quelli della formazione ordinaria Quota di iscrizione: E 155,00 Quota di frequenza: due rate da E 1638,00 ciascuna Orari: ore 9-19 Tesi: Gennaio 2010, sede per la discussione: ISFAR Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca, Via del Moro 28 Firenze (a 100 mt. dalla stazione ferroviaria di S.M. Novella) Sede, Calendario e docenti della formazione Montevarchi: Meeting Place, Via Caposelvi 77 (30 km. da Firenze). Tale sede è raggiungibile solo con mezzi propri, taxi o, dagli alberghi convenzionati e dalla stazione ferroviaria, con navetta prenotabile presso la segreteria al costo di E 12 a/r al giorno. I calendari completi e i docenti della formazione possono essere consultati visitando il sito www.isfar-firenze.it
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Formazione Post-Universitaria delle Professioni Formazioni
Aggiornamenti e abilitazioni
Certificato Europeo Pedagogisti Clinici Certificat Européen pedagogues clinicien
SPECIALISTA SUPERVISORE ANPEC Sede e date per l’Italia Firenze, 8-9-10 maggio 2009 Al Certificato Europeo e alla Formazione per Specialista Supervisore ANPEC possono concorrere: • i Soci ANPEC, in regola con le quote sociali, che hanno conseguito il titolo, senza rinvii di tesi, dopo il febbraio 2003 e che svolgono da almeno un anno la libera professione. • i Soci ANPEC, in regola con le quote sociali, che hanno conseguito il titolo prima del febbraio 2003, soddisfatto l’Aggiornamento Professionale (Art. 7 dello Statuto e decreto CD 2 maggio 2005) e che svolgono la libera professione da almeno due anni. Idoneità Il CEF è ottenuto a seguito di una riconosciuta idoneità formativa. La verifica della formazione avverrà per mezzo di esami scritti e orali: • Primo giorno, verifica scritta: esemplificazione di una diagnosi e di un conseguente intervento di aiuto (la prova avrà la durata di sei ore) • Secondo giorno, esami orali sui test, sui contenuti dei libri e delle dispense che sostanziano la disciplina • Terzo giorno (mattino), esami orali sui test, sui contenuti dei libri e delle dispense che sostanziano la disciplina Gli esami di idoneità dei candidati italiani si terranno davanti ad una Commissione di tre membri, fra cui il Presidente dell’Associazione Europea. Il parere della Commissione sull’idoneità del candidato è insindacabile. Al termine delle verifiche, ai candidati idonei, verrà consegnato l’Attestato di
Iscrizione all’Albo Europeo dei Pedagogisti Clinici Specialista Supervisore ANPEC Nel pomeriggio del giorno 10 maggio 2009 i Pedagogisti Clinici italiani che hanno conseguito l’Attestato di iscrizione all’Albo Europeo possono frequentare un corso, senza oneri di spesa, per acquisire l’Attestazione di Specialista Supervisore. Lo Specialista Supervisore ha l’obbligo di seguire un aggiornamento specifico ogni tre anni. Quota di iscrizione: E 420,00 (IVA compresa) Orario: ore 9-13 / 14,30-17. Non sarà ammesso alcun partecipante oltre l’orario di inizio indicato. Tutti i candidati devono rimanere a disposizione fino alle ore 17. Sede Firenze: ISFAR Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca, Via del Moro 28, 50123 (a 100 mt. dalla stazione ferroviaria di S.M. Novella).
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Formazione Post-Universitaria delle Professioni Formazioni
PSICOMOTRICISTA FUNZIONALE “Scuola Jean Le Boulch” Sede e data di inizio Firenze, 14-15 novembre 2009 ECM CREDITI FORMATIVI PER IL 2008: 50 PER PSICOLOGI, TECNICI DELLA RIABILITAZIONE PSICHIATRICA, EDUCATORI PROFESSIONALI richiesto accreditamento PER TERAPISTI DELLA NEURO E PSICOMOTRICITÀ DELL’ETÀ EVOLUTIVA, TERAPISTI OCCUPAZIONALI, FISIOTERAPISTI, TECNICI DI NEUROFISIOPATOLOGIA Destinatari La formazione è rivolta a laureati (lauree di primo e di secondo livello o lauree del Vecchio Ordinamento) in Scienze Motorie (classi di laurea 33, 53/S, 75/S e 76/S), Pedagogia o Scienze Pedagogiche, Psicologia, Scienze e tecniche psicologiche (classe di laurea 34), Medicina e Chirurgia, Scienze dell’Educazione e della Formazione (classi di laurea 18, 56/S e 65/S); Terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, Tecnici della riabilitazione psichiatrica, Terapisti Occupazionali, Educatori Professionali, Fisioterapisti; per altre lauree sarà valutato il curriculum. Possono iscriversi al corso anche coloro che sono ancora in formazione nelle suddette discipline, i quali dovranno essere comunque laureati al momento della verifica finale e di ciò dovrà essere data idonea autocertificazione. L’ISFAR è l’unico Istituto autorizzato dall’Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici (ANPEC) – costituita con Atto Pubblico il 28 marzo 1997 e registrata a Firenze il 16 aprile 1997 al n° 2423 – a rilasciare il certificato di una specifica formazione per l’ammissione all’Associazione e l’iscrizione all’Albo Professionale di natura privatistica dei Pedagogisti Clinici (artt. 6-8 Statuto ANPEC). La formazione promossa dall’ISFAR è riconosciuta anche dall’Amministrazione Scolastica ed è valutata nella Graduatoria Permanente Insegnanti di ogni ordine e grado (Articolo 66 C.C.N.L. Scuola e artt. 2 e 3 della direttiva n° 90/2003 del Ministero della Pubblica Istruzione prot. 20402 del 25 ottobre 2007). Al personale insegnante la formazione, oltre alla titolarità per l’iscrizione all’Albo, è certificata come Corso di Specializzazione in Pedagogia Clinica.
Psicomotricista funzionale “La formazione dello psicomotricista funzionale deve rispondere ai bisogni educativi dell’individuo ossia alla concezione funzionale dell’educazione intesa come sviluppo della persona per mezzo del movimento […] Approntata sul mosaico funzionale, l’azione educativa ha come obiettivo la realizzazione di una persona che sappia eseguire un movimento che conviene in ogni caso particolare, un modo di essere efficace sull’ambiente con una azione giusta nel momento adatto” (art. 10 Statuto ASPIF). Prospetto della formazione Il percorso formativo include incontri in aula e in atelier, performance tecnico-professionali, preparazione di ausili, partecipazione ad iniziative scientifico-culturali compilazione e discussione di una tesi finale. Area teorica: Psicomotricità funzionale • Contributi della neuropsichiatria • Contributi della psichiatria • Neurofisioanatomia • Kinesiologia • Ausili della psicologia • Ausili della pedagogia Area tecnica: Psicomotricità funzionale in acqua • Tecniche distensivo-corporee • Psicomusica • Langage Danse • Coreografia Corporea • Ergotonia Area personale: Psicocorporeità Dialogica • Tonematica Comunicazionale • Dinamica Cinesico-Gestuale • Dinamiche relazionali Quota di iscrizione: E 155,00 - Quota di frequenza: sei rate da E 485,00 ciascuna Orari: ore 9.00-13.00 / 14,30-17.00 Sede per la discussione di Tesi Firenze: ISFAR Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca, Via del Moro 28, 50123 (a 100 metri dalla stazione ferroviaria di S.M. Novella) Al termine del percorso verrà rilasciato il Certificato di Formazione per Psicomotricista Funzionale Sede, Calendario e docenti della formazione La sede, il calendario completo e i docenti della formazione possono essere consultati visitando il sito www.isfar-firenze.it
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Bullismo
DISEGNO ONIRICO
il fenomeno, la diagnosi e le strategie di intervento
Sede e date Montevarchi (AR), dal 24 al 30 agosto 2009
Sedi e date Firenze, 16-17-18 gennaio 2009 Milano, 27-28 febbraio e 1 marzo 2009 ECM: crediti formativi 13 per il 2008 Destinatari: Psicoterapeuti, Psicologi, laureati in Psicologia, Pedagogisti Clinici.
CORSO DI APPROFONDIMENTO PEDAGOGISTI CLINICI SU NUOVI METODI E NUOVI MATERIALI Firenze, 31 gennaio - 01 febbraio 2009
Trainers: Prof. Dr. Guido Pesci, Prof. Marta Mani
AGGIORNAMENTO PEDAGOGISTI CLINICI Obbligatorio per tutti gli iscritti all’Albo formati entro il febbraio 2003 Firenze 23-24-25-26 aprile 2009
Trainers: Prof. Dr. Guido Pesci, Prof. Marta Mani
CONSULENZA TECNICA E PERITALE PRESSO IL TRIBUNALE Sedi e date Catania, 13-14-15 marzo 2009; Firenze, 19-20-21 giugno 2009 ECM: crediti formativi 23 per il 2008 Destinatari: Psicologi, laureati in Psicologia, Pedagogisti Clinici
PSICOMOTRICITÀ IN ACQUA Sede e date Montevarchi (AR), dal 22 al 26 luglio 2009 ECM: in attesa di crediti Destinatari: laureati (lauree di primo e di secondo livello o lauree v.o.) in Scienze Motorie (classi di laurea 33, 53/S, 75/S e 76/S), Pedagogia o Scienze Pedagogiche, Psicologia e Scienze e tecniche psicologiche (classe di laurea 34), Medicina e Chirurgia, Scienze dell’Educazione e della Formazione (classi di laurea 18, 56/S e 65/S); terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, tecnici della riabilitazione psichiatrica, terapisti occupazionali, educatori professionali, fisioterapisti. Per altre lauree sarà valutato il curriculum.
ECM: in attesa di crediti Destinatari: laureati (laurea specialistica/magistrale e lauree v.o.) in Psicologia, Pedagogia o Scienze Pedagogiche, Scienze dell’Educazione (classi di laurea 56/S e 65/S). Per altre lauree sarà valutato il curriculum.
PSICODRAMMA OLISTICO Sconto per Pedagogisti Clinici 20% Firenze 2-8 febbraio 2009 Destinatari La formazione è rivolta a laureati (laurea magistrale e lauree vecchio ordinamento) in Psicologia, Pedagogia o Scienze Pedagogiche, Scienze dell’Educazione (classi di laurea 56/S e 65/S). Per altre lauree sarà valutato il curriculum Trainer Dott. Sabina Manes Psicologa, psicoterapeuta, Presidente dell’Ass.ne Culturale J.L. Moreno. Nota specialista, ha ideato e condotto numerose trasmissioni radiofoniche e televisive RAI: “Psicologia dell’infanzia”, “Il bambino e la psicanalisi”, “L’altro bambino”, “La biblioteca di Alice”. Ha pubblicato: “I racconti della Rustica”, Guaraldi 1973; “Leggere per fare”, Giunti 1977; “Lavoro minorile”, Savelli 1977; “L’altro bambino”, Nuova ERI 1981; “Come essere più intelligenti”, Mondadori 1987; “La mamma è una farfalla, papà un delfino”, Mondadori 1993; “83 Giochi psicologici per la conduzione dei gruppi”, F. Angeli 1997; “68 Nuovi giochi per la conduzione dei gruppi” F. Angeli 1993; Giochi per crescere insieme, F. Angeli 2007.
I programmi dei corsi possono essere scaricati dal sito www.isfar-firenze.it www.isfar-firenze.it
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Progetto Goya di Katia Caterina Coppoletta
Nel progetto, approvato ed effettuato in una scuola, la pedagogia clinica è stata elemento unificante e ispiratore. Essa lo ha, infatti, intersecato e completato, non solo nella sua idoneità educativa, ma anche nella sua finalità umana, in un contributo indispensabile. Il “Progetto Goya” è un percorso oltre il pregiudizio, nato da un incontro tra lo stile pedagogico-clinico, la riflessione filosofica, la dimensione psichiatrica, la scuola, e, trasversalmente, il Museo Guggenhgeim di Venezia. Si è realizzato con la collaborazione della Prof.ssa Mirella Tonellotto, che ha messo a disposizione il laboratorio di Plastica dove siamo stati accolti, e dove il percorso si è attuato con la partecipazione di un gruppo di 8 persone, tra i 21 e i 60 anni, seguite da un’equipe di psicologi ed educatori presso il Dipartimento di Salute Mentale dell’ULSS 17 di Monselice. Fulcro di questo lavoro, che ha voluto essere un investimento di speranza nel futuro e un’anticipazione di senso, sono stati 13 alunni volontari delle classi terze, quarte e quinte di una scuola superiore, l’Istituto d’Arte “Corradini” di Este, in provincia di Padova, chiamati ad essere tutor e a sperimentare in prima persona un percorso di accoglienza e di solidarietà, oltre lo stigma. Ne
è nato un dialogo tra ambiti diversi, un parlarsi in una prospettiva che cerca alleanze. “Non confini, ma bordi”, quindi, in un viaggio intrecciato e condiviso fatto insieme ai giovani, in vista, non solo di una visione unitaria e integrata dei saperi e degli approcci, ma anche di una conoscenza che si converte in azione e in condivisione. L’intervento ha voluto sensibilizzare gli studenti attraverso un’educazione dei sentimenti e un affinamento della condizione di empatia, intesa come concreta esperienza condotta alla luce di quello stile nutritivo proprio dei principi pedagogico- clinici. Si è trattato di uno scendere concreto in “trincea”, di una conferma sperimentale, fortificata da competenze scientifiche, di quella via della comunicazione e del dialogo che accomuna le scienze
…una conoscenza che si converte in azione e in condivisione.
dell’uomo e che trova nella pedagogia clinica una forza innovativa e unificante. Il contributo della Pedagogia Clinica: l’integrazione dei saperi e la ricerca della complementarità per recuperare una visione d’insieme. Fin dal primo momento la pedagogia clinica mi è sembrata inserirsi nel vivo del dibattito contemporaneo sulle scienze dell’uomo, in grado di raccoglierne e stimolarne istanze centrali, prima tra tutte quella di coniugare i saperi e gli orientamenti. In essa ho trovato la capacità di rinnovare la relazione tra le esperienze reali dell’uomo e il suo sapere, in un modello operativo e costruttivo che, puntando su una visione olistica e unitaria, si mostra capace di guardare alla persona nella sua totalità e irripetibile unicità. C’è, infatti, qualcosa nella Pedagogia Clinica di così vitale nelle relazioni, negli approcci, che va oltre il suo essere un intervento di aiuto per chi vive un disagio: si tratta di uno stile di vita e di un orientamento capace di dare valore al contatto umano, all’ascolto e che, proprio per questo, costituisce una svolta umana e culturale, che va al di là di una peculiarità clinica. Su questo volevo richiamare l’attenzione dei giovani. Essa porta
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con sé un progetto di ampio respiro in un’epoca caratterizzata, sempre più, nelle relazioni umane, da una straniante “liquidità”, per dirla con Zygmunt Bauman (Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2003). L’attenzione alle nuove conquiste scientifiche e, contemporaneamente, la capacità di tararle sull’uomo, nel rispetto della sua dignità, fa della pedagogia clinica una risorsa della società. Essa ridà senso a un approccio umano in un’epoca che, a volte, ne sembra lontano e lo innerva con i contributi che arrivano dalla ricerca scientifica, radicandosi in un punto di intersezione tra le discipline umanistiche e quelle
…li rielabora, li integra in modo autonomo e originale, li apre alla verifica scientifica e alla sperimentazione… 22
scientifiche. Non a caso, sue alleate sono, la filosofia, la letteratura, le scienze biologiche e mediche, l’arte; suo è il campo educativo che dell’interrogarsi sull’uomo ha fatto, fin dall’antichità, il proprio centro. Essa trova in molti campi del sapere opportunità di riflessione, stimoli, strumenti teorici per definire il suo percorso, ma li rielabora, li integra in modo autonomo e originale, li apre alla verifica scientifica e alla sperimentazione. Dall’habitus scientifico nasce il bisogno di un atteggiamento che prenda le distanze da forme di vago intuizionismo o di generica improvvisazione, che raccolga e sistemi i dati empirici, tuttavia il modo di gestire questi dati viene posto al centro di una nuova visione dell’uomo. La pedagogia clinica si accosta ai contributi indispensabili delle neuroscienze, della scienza medica, della psicologia, ma non si ferma ad essi, cercando una visione complessiva e unitaria. Suo compito è cercare alleanze, collaborazione con altre figure professionali, in una prospettiva di apertura e comprensione, in grado di rompere il muro dello specialismo e della settorialità e di aprire, anche da un punto di vista epistemologico, la via della complementarità. Essa si pone davanti alla persona in un rapporto clinico ed educativo, non asetticamente analitico. Non si tratta di descrivere freddamente, ma di avvicinarsi all’orizzonte di senso di ognuno. Ecco
perché fin dall’inizio si insiste sulla necessità di parlare di “persone”, non di casi né di pazienti e questo non è solo questione di termini, ma di sostanza più profonda. Il mio essere pedagogista clinico ha significato trasmettere questa sensibilità che punta sulla simpateticità, sull’avvicinamento umano e sull’ascolto attento e sollecito. La dimensione in cui si muove il pedagogista clinico è, infatti, fondamentalmente quella dialogica: il suo prendersi cura di chi soffre significa prestare attenzione, prima di ogni cosa, al suo bisogno di essere accettato e riconosciuto. Nel suo intervento di aiuto a fianco di chi manifesta un disagio, il pedagogista clinico si fa custode e stimolatore di risorse interne, volte a far crescere l’autostima, la fiducia in sé e a migliorare la qualità della vita. Non si potrà mai comprendere chi ha bisogno di aiuto, finché ci si comporterà come soggetti distanti e lontani che considerano le persone come oggetto di un’indagine fredda. Non è del pedagogista clinico lo stile anatomico del dottor Tulp, nel famoso quadro di Rembrandt né uno sguardo ad angolo retto, incapace di cogliere l’integrità e l’unità di ogni essere umano. Il centro di tutto non è l’asettica descrizione, ma il com–prendere che indica l’atto del tenere insieme, della trepidazione, dell’avvertire sensibilmente, spesso anche al di là delle parole. È questo lo stile che ci ha accompagnato, nel lavoro di èqui-
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pe che abbiamo realizzato in tutto il percorso di questo progetto. “Uscire dentro e entrare fuori” Il progetto nasce nell’ambito di una riflessione filosofica, che, con le parole di Soren Kierkegaard, (S. Kierkegaard, Postilla conclusiva non scientifica, in Opere, a cura di C.Fabro, Sansoni, Firenze, 1972) vorrei indicare come ricerca di una “comunicazione di esistenza”. Era il grande filosofo danese, considerato ispiratore dell’Esistenzialismo e, in particolare, di quel grande pensatore e psichiatra che è stato Karl Jaspers, (K. Jaspers, Genio e follia, Raffaello Cortina ed., Milano 2001) a criticare i filosofi sistematici che costruivano un “bel castello” e poi vivevano nel “fienile”, come incapaci a “reduplicare” nella vita ciò che dicevano a parole. Invitava a non interrompere la relazione vivificante che ci deve essere tra la filosofia e la vita, ricordava l’esempio di Socrate e rivolgeva la sua attenzione al singolo, nella sua unicità irripetibile, con tutto il suo carico di “timore e tremore”. Scriveva testi come “Briciole di filosofia” (S. Kierkegaard, Briciole di filosofia, in Opere, op.cit.), “Postilla non scientifica” (op.cit.) e legava il suo nome ad un interrogativo intimo e continuo che è l’“Aut– aut” (S. Kierkegaard, Aut aut, Mondadori, Milano, 1956). Una filosofia, quindi, capace di scendere nel cantiere della vita e di
prendere le distanze da quel gusto intellettualistico che avrebbe spinto René Magritte, in un’opera del 1936, “Il lume filosofico”, a ironizzare su un mondo mentale ripiegato su se stesso, come quello di un fumatore prigioniero della sua stessa pipa. Partendo dai principi pedagogico clinici in aggiunta ai valori espressi da questi filosofi ho potuto programmare un progetto legato a una “prassi interiore” e ad “un’apertura all’altro”, ad una filosofia del concreto. L’occasione di conoscere il Centro diurno del Dipartimento di Salute Mentale dell’Ospedale di Monselice, dove gli ammalati sono seguiti con cura e attenzione anche attraverso una pratica di “arte-terapia”, mi ha avvicinato alla psichiatria e, in particolare all’impostazione fenomenologica ed umana. Questa opportunità ha visto coinvolti gli studenti della scuola. Partiti da quell’antico concetto di àgape su cui richiama l’attenzione il Prof. Pesci, si trattava di impegnare i ragazzi in un percorso oltre che teorico, previsto dal programma scolastico, anche pratico; teorico, come riflessione su quelle prospettive che da Erasmo fino all’Esistenzialismo, dall’Ermeneutica fino a Foucault, che più volte con la sua “Storia della follia” (M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, 1963) è stato il nostro punto di riferimento, sono state capaci di rivedere le visioni
totalizzanti sull’essere e sul pensiero e che, senza confluire nell’irrazionalismo (come può essere facile che avvenga) hanno fatto della ragione uno strumento più vasto e ospitale, pronto a cogliere gli aspetti più carsici e in penombra della nostra esperienza; pratico, come accoglienza, dimostrazione di aver “compreso” e di saper rendere vivo e attuale quanto si è studiato. Il nome che gli abbiamo dato, progetto Goya, aveva implicito un piccolo auspicio: così, infatti, come il grande pittore spagnolo era ritornato alla luce e ai colori tiepoleschi nell’ultima sua opera, dopo la solitudine spirituale e le immagini nere e visionarie della “Quinta del sordo”, così noi ci siamo avvicinati a chi vive esperienze di forte disagio psichico, di deragliamento, come ci ha detto un’ammalata un giorno, nella speranza di tentare una risalita e una piccola via verso la luce. Così il gruppo di otto persone, è stato accolto assieme ai giovani e agli accompagnatori nel laboratorio di plastica dove si lavora la creta, la cartapesta e si fa uso di materiale povero reinventato e trasformato. Lo scopo è stato quello di “nutrire la vita” per rinsaldare quei legami comunicativo-relazionali attraverso un’esperienza di simpatia e vicinanza e, contemporaneamente, far fluire liberamente le emozioni attraverso un’esperienza creativa, in una maieutica di sentimenti. Non c’è, infatti, solo una creatività
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straordinaria, ma, intensa, forte, espressiva, una creatività ordinaria che dice il vissuto di ogni uomo e che, come tale è unica, inedita, originale: questo dimostra la pedagogia clinica che ha nel metodo Interart® una delle sue tecniche più significative e che della creatività vede la forte risonanza riparatrice. Ogni percorso attraverso l’arte può favorire, infatti, una crescita dell’autostima, contribuendo a far trovare un equilibrio e può indicare una via di libertà e di narrazione di sé, in grado di portare fuori da automatismi che bloccano. Gli studi di Schopenhauer (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Bari, 2008, 13a ed.) di Merleau-Ponty (M. MerleauPonty, Fenomenologia della percezione, Ed. Il Saggiatore, Milano, 1965) di Gadamer (H. G. Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, Milano, 1983) sul carattere catartico e liberatorio dell’arte, che i ragazzi conoscono, perché parte fondamentale del programma di studio, hanno trovato una conferma e un loro radicarsi in un’esperienza etica di solidarietà. Durante il percorso del progetto Goya abbiamo incontrato il Museo d’arte moderna di Venezia che cercava la collaborazione delle scuole in un programma dal titolo “A scuola di Guggenheim”. L’opportunità è venuta da una mostra che il museo veneziano ha dedicato a Dubuf-
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fet, (Informale, Jean Dubuffet e l’arte europea, 1945-1970, Catalogo Peggy Guggenheim Collection, mostra a Modena dicembre 2005-aprile 2006) padre dell’Informale, che, nella produzione creativa di chi viveva un disagio psichico, vedeva un’espressione “immediata e primaria”, assolutamente disinteressata, e, pertanto, genuina, di “affermazioni di sé, imprevedibili e del tutto inventate sia nel mezzo che nella loro ispirazione” (op. cit. pag 30). Nonostante più della metà delle opere che collezionava fosse prodotta da ammalati gravi, sottolineava che “non si trattava di un’arte da psicopatici”, come a confermare un profondo rispetto per ogni persona, colta nella sua unicità, al di là di ogni inquadramento o classificazione. Abbiamo aderito all’iniziativa con un percorso intitolato “Oltre lo stigma con Dubuffet” e previsto la visita con i ragazzi alla mostra dedicata a Dubuffet e successivamente tutti insieme con i nostri ospiti la visita al museo di Venezia… Incontrarsi, uscire! Capita, infatti, a chi ha un disagio psichico, come ricorda una formula adottata per indicare questa difficile condizione, che si “esca” per entrare “dentro”, all’interno di strutture che, nonostante non siano più i vecchi manicomi, vivono pur sempre una sorta di isolamento; non “uscire dentro”, quindi, ma “entrare fuori”, entrare nella scuola,
condividere con i giovani e con gli insegnanti, un’esperienza di coinvolgimento umano e creativo. Solo uno stile nutritivo, che sappia far capire quanto si sia accettati e riconosciuti e sappia far sentire quante potenzialità inespresse e risorse ci sono in ognuno, può favorire la comunicazione e la valorizzazione di ogni essere umano. In questo l’arte si rivela una potente alleata, come insegna il metodo Interart. Tutto all’insegna della fiducia, la quale, in fondo, non è altro che un orientamento che si dispiega nella tensione tra presente e futuro, al di là di quello che il passato, anche nei suoi responsi ufficiali più drammatici, dice. Il tutto per aprire un varco che vada, effettivamente, “oltre la siepe”, che è metafora di situazioni che bloccano e che fanno perdere speranza e vitalità. Andare oltre lo stigma. Almeno un triplice stigma, direi: il primo, che porta ad escludere o a guardare con sospetto chi soffre di un malessere psichico, (si usa il verbo essere per indicare la malattia mentale; di ogni altra malattia, se facciamo caso, si dice, che la persona ha qualcosa, non che “è” una malattia. La malattia psichica sembra far coincidere il male con tutta la persona!); il secondo che porta ad utilizzarlo contro se stessi, quando la vergogna, il timore di essere additati, porta alcuni a chiudersi nel disagio, in solitudine e a non chiedere aiuto (penso, in partico-
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lare, all’universo giovanile e ai centri di ascolto che dovrebbero essere più presenti nelle scuole); il terzo, che, come è stato ribadito anche in un convegno di psichiatria, è interno alla stessa psichiatria, che spesso preferisce limitarsi a una visione “encefalografica”. Si è trattato, quindi, di un percorso di consapevolezza, sensibilizzazione e di promozione della salute mentale, oltre che di prevenzione. Il percorso è stato educativo, nel senso di exducere, cioè di condurre “fuori da”, nella convinzione che esistono delle qualità, delle risorse interne che bisogna saper vedere e riconoscere. Si è voluto favorire, in particolare in chi vive un disagio psichico (e non solo quello dichiarato, quindi), un espandersi dell’Io più profondo, per realizzarsi e ritrovarsi in un recupero di risorse e potenzialità. In questa prospettiva, ogni persona è stata messa a suo agio e riconosciuta a 360 gradi. Il concetto di “persona”, è stato affrontato anche attraverso i contributi, più significativi e accessibili ai ragazzi, dei testi pedagogico-clinici, che tanto spazio e attenzione dedicano a questa realtà. Aver cura nei laboratori La cura è il campo della medicina, ma accanto ad essa, soprattutto nel disagio psichico, ciò che conta è l’aver cura, il far avvertire una presa in carico, un sincero interessamento. Mi sem-
bra bella questa frase che rimanda all’idea dell’allegria del naufrago e che è da cogliere non nello spirito della anti-psichiatria, ma di una psichiatria che si rinnova e che, cercando di prendere sempre più le distanze da una visione organicistica e deterministica della malattia mentale, (che, come è stato osservato, sembra costituire una sorta di stigma interno alla stessa psichiatria) tenta di farsi, più vicina ai vissuti degli ammalati, cercando di comprendere e non solo di descrivere. Decisiva è, come insegna la pedagogia clinica, un’esperienza nutritiva, di grande rispetto umano, che dica alla persona quanto valga e la riconosca nella sua unicità. Solo così chi ha una sofferenza può accettare di dire qualcosa di diverso rispetto a ciò a cui lo inchiodano le classificazioni o i verdetti. Occorrerebbe che ogni ammalato potesse beneficiare, oltre che di cure mediche, di tutte le relazioni umane in grado di migliorare la sua esistenza. A questo ci siamo ispirati. L’ospitalità nei laboratori, con la presenza dei ragazzi, ha avuto questo scopo: far veicolare per canali simpatetici e tramite l’espressione creativa, una conoscenza e un rapporto di intese e di scambi necessari a valorizzare ciascuno. Si è guardato alla persona nella sua globalità. I ragazzi, in questa esperienza, sono stati straordinari: hanno agito in maniera del tutto disinteressata e
il loro comportamento è stato improntato a un’attenta sollecitudine. Alla fine di ogni incontro, ognuno, all’interno del gruppo, senza alcuna distinzione tra ruoli, se voleva, poteva comunicare quello che aveva provato. Nessuna attesa, nessun giudizio, nessuna domanda! Il clima è stato sempre distensivo, il conversare intimo e vicino, capace di lasciare spazio anche al silenzio, che si è fatto comunicativo. L’incontro del martedì, inoltre, ha avuto, lo scopo di fare di ogni espressione creativa, un qualcosa in cui essere coinvolti in prima persona. Oltre ad avere inseguiti gli orientamenti del metodo InterArt® e di questi nello specifico utilizzato alcune tecniche che
Decisiva è, come insegna la pedagogia clinica, un’esperienza nutritiva, di grande rispetto umano… 25
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sono diventate l’elemento comune intorno a cui tutto il gruppo, dai ragazzi a noi operatori si è mosso, ci si è ispirati al linguaggio materico, gestuale e segnico di Dubuffet e Pollock, ai suggerimenti di Eugenio Borgna, psichiatra legato alla Fenomenologia che parla di una medicina “etica e gentile”, che usa la parola tenerezza, così desueta nei nostri tempi, che si serve delle parole dei poeti e degli artisti per capire le voci degli ammalati. Si è sperimentato l’uso fluido, pastoso e volumetrico del colore, il lavoro con materiali non convenzionali, come stracci, carta, filo di cotone, pigne, fil di ferro e tutto ciò di “informale” che la creatività può trasformare. Ne sono nate creature fantastiche, sculture totemiche, tele realizzate con lenzuola su cui praticare la tecnica pollockiana del dripping, in cui ognuno provava poi, a rintracciare e riconoscere con piacere e stupore, forme e profili. L’uso del gesso allo stato liquido, che comunemente implica un bagnare e modellare, qui è stato, in alcuni casi, per alcune persone che non avrebbero mai potuto pensare di “sporcarsi”, un accettare una sfida personale forte. Importante è stata, nell’esperienza fatta, il valore della trasformazione. Ogni materiale, anche il più vile, è diventato “altro”, in un processo quasi alchemico di mutazione. Sperimentare questa condizione di metamorfosi ha, nel caso del disagio dell’anima, un risvolto
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psicologico fondamentale. Lavorando nel laboratorio con la cartapesta, si apprende, per esempio, come si rintraccia nelle tecniche dell’InterArt®, che per ricomporre si frantuma, la rottura della carta implica un’attività dinamico-motoria, che può non essere distruttiva, ma capace di rigenerarsi in nuove forme, quasi a suggerire all’anima che si possono trasformare anche le relazioni e le situazioni interne. È come sperimentare per metafora che la rottura è indispensabile per liberare; non si tratta di una rottura distruttiva, bensì di una rottura come elemento di trasformazione che fa comprendere nell’intimo che si possono trasformare le relazioni e le situazioni interne. Ma al centro di tutto è stata sempre la relazione che è la prima cosa che si interrompe quando il dolore è forte. I nostri ragazzi sono stati chiamati a essere tutor e a sperimentare in prima persona un percorso educativo di accoglienza e solidarietà, nella consapevolezza che noi siamo fondamentalmente un colloquio anche quando non si usa la parola. Le esperienze vissute in questo tessuto ricco di trame e di ordito hanno permesso di educare il nostro sguardo a nuove prospettive, a “reimparare a vedere il mondo”, lasciando quasi parlare i fenomeni stessi… in una ricerca di genuinità che era volontà di percorrere un universo in profondità, al di là delle prospettive convenzionali. Un’arte disinte-
ressata, quindi, e proprio per questo, umanissima. È questo lo stesso atteggiamento che è necessario quando vogliamo fondare una relazione autentica che porti veramente al riconoscimento dell’altro. Essere accettati e riconosciuti: ecco è questo il bisogno più urgente di tutti noi, tanto più forte quanto più si avverte un’assenza, un vuoto, che spesso è proprio vuoto di riconoscimento. Solo così, chi soffre può accettare di dire qualcosa di diverso rispetto a ciò a cui lo fissano le cartelle cliniche. Ognuno di noi ha un daimon interno. L’unico modo che abbiamo per riconoscerlo è lo sguardo altrui e se questo sguardo dice disapprovazione, indifferenza, pregiudizio o si concretizza in un tocco di mano sulla fronte, questa energia interna si spegne, come cantava Fabrizio De Andrè, e la persona rischia di dimenticarsi di quella parte d’oro che è viva in ognuno di noi. Un percorso oltre il pregiudizio, quindi, che come tutti i pregiudizi è terribile, ma che nel caso della malattia psichica ha un valore aggiunto perché a essere minacciate sono le certezze dell’io razionale, la sua esigenza apollinea, come, già nell’antichità chiariva Euripide nelle Baccanti (Euripide, Le Baccanti, trad. di E. Romagnoli, Zanichelli, Bologna 1950). È stato Foucault, (op. cit.) l’archeologo del sapere, a rivelare quanto la cultura moderna ha occultato, costruendosi intor-
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no ad un pensiero categoriale e forte, fondato su un Io arroccato su posizioni logocentriche, che ha cercato di escludere ogni zona d’ombra. Proprio per questo la storia della follia non è solo una storia di esclusione. Ed è sempre Goya a richiamare la nostra attenzione su una prigionia non esterna questa volta, ma interna, ancora peggiore: il male oscuro. Se pensiamo all’incidenza della malattia psichica nei nostri giorni, al punto che uno su dieci dei nostri giovani soffre di depressione, possiamo capire quanto pesa l’occultamento di queste zone scoscese e carsiche, nascoste sempre più da richiami luccicanti, tutti efficienza e prestazione…. Riconoscere in questa linea d’ombra un aspetto integrante e complementare del complessivo essere uomo può divenire, come abbiamo fatto con i nostri ragazzi, un percorso di prevenzione e di promozione della salute e può aiutare a trovare le parole per definire gli stati d’animo e per chiedere aiuto, senza che gravi quella vergogna, che altro non è se non stigma contro se stessi e che porta (ce ne accorgiamo nelle nostre scuole!) a ricorrere poco al CIC – Centro di Informazione e Consulenza – per paura di essere additati. Durante tutto il percorso l’avvicinarsi dei giovani a chi ha una sofferenza psichica non è stato lasciato all’improvvisazione o solo all’emozione, ma ad una
conoscenza, consapevolezza e condivisione. I risultati sono stati positivi, l’atmosfera serena e quieta, la ricaduta nella scuola, arricchente e significativa, anche per chi all’inizio aveva manifestato perplessità e resistenze. L’esperienza ci è sembrata veramente “nutritiva”. Nel salutarci, alla fine dei nostri incontri, un nostro ospite ha chiesto esitante: “Ma questo è un addio?”, e con queste parole ha aperto la via ad un’accoglienza che si vuole rinnovare e condividere. La sensazione alla fine di questo percorso, che pure ha portato a contatto col dramma umano, non è uno scoramento, ma all’opposto un’apertura verso una ragione che può farsi più generosa e attraverso cui, come diceva Dubuffet è più facile individuare la via che porta a “trasformare il quotidiano in una meravigliosa festa”. (op. cit., p.32) Ed è proprio una festa quella che abbiamo vissuto nei nostri incontri del martedì ……. che, come ci ha detto una ragazza del gruppo, “ci ha insegnato ad andare oltre”.
…è sempre Goya a richiamare la nostra attenzione su una prigionia non esterna questa volta, ma interna, ancora peggiore: il male oscuro.
Summary The Goya Project has involved a group of boys who go to an Artistic Institute of the province of Padova (Este) and a adults’s group from twenty-one to sixty years of Department of Mental Health in Monselice. Katia Caterina Coppoletta, author of this project, has wanted to create, in a atmosphere full of reception and support, like she sustains, “not boundaries, but borders”, with the purpose to “feed life” to create new relations through a creative, unique and original experience as is art. The techniques of InterArt method have sustained all the project who has seen too a collaboration with the Guggenhgeim Museum of Venice.
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A Congressi, convegni, seminari, incontri… Villaverla (VI) Nella sala Consiliare del comune di Villaverla la sezione provinciale ANPEC di Vicenza con il patrocinio del comune, delle ACLI e del Circolo Operaio Villaverla ha tenuto il 17 aprile 2007 un incontro di approfondimento sul gioco per genitori, educatori ed insegnanti. I lavori hanno avuto come titolo: “Un due tre…giochi con me? I cento linguaggi del gioco.”. Sono intervenuti i colleghi Carla Zanon, Maria Zaupa, Sabrina Germi, Margherita Gallo e il Direttore della sezione provinciale Federica Ciccanti. L’iniziativa ha ottenuto un importante riconoscimento ed una nutrita partecipazione. Milano Successo dei colleghi di Milano. I colleghi della provincia di Milano, coordinati dal dr. Di Paolo, di intesa con l’Amministrazione Provinciale ed in particolare con l’Assessore all’Istruzione Giansandro Barzaghi, hanno portato avanti una complessa iniziativa su “Percorsi di formazione contro il bullismo e per l’affermazione delle buone pratiche”; il progetto ha coinvolto 59 scuole di cui 41 Istituti Superiori e 18 Istituti di Scuola Primaria e Secondaria di Primo Grado. Una programmazione che per radicare sul territorio le esperienze si caratterizza con una prospettiva triennale. Roma Presso l’Hotel Imperiale di Via Veneto, il 23 Gennaio 2008, si è tenuto il Simposio dal tema “Sostegno della persona nell’ottica dell’interdisciplinarietà”. L’incontro è nato dall’iniziativa della Prof.ssa Rosanna Alfieri, direttore del Centro Specialistico di Pedagogia Clinica di Roma e responsabile ANPEC del Lazio. Fra le personalità intervenute: Prof. Guido Pesci, Direttore Scientifico ISFAR che ha illustrato l’importanza di una continua e proficua collaborazione del Pedagogista Clinico con tutti gli altri settori che hanno come obiettivo la valorizzazione dell’individualità della persona, la sua crescita ed il contatto socio-relazionale. Il Prof. V. M. Mastronardi, cattedra Psicopatologia Forense del Dip. Scienze Psichiatriche e Medicina psicologia, I Facoltà di Medicina Università “La Sapienza” di Roma che ha parlato “in anteprima” dello sportello “Salva Mamme” che è nato nella Regione Lazio e che presto sarà estesa a tutto il Paese per arginare le troppe violenze che vi sono in famiglia e troppe volte contro le donne; il Sindaco di Cava de’ Tirreni che con la sua presenza ha
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voluto sottolineare la soddisfazione di avere anche a Cava de’ Tirreni il Corso di Formazione di Pedagogia Clinica; il Prof. Sergio Gaiffi, segretario nazionale ANPEC; il Dott. Luca Alfieri, responsabile scientifico degli incontri del C.S.P.C.; il Dott. Marco Serra della Facoltà di Scienze della Comunicazione. Grosseto Arianna Potenza, nel febbraio 2008, ha tenuto tre importanti relazioni al corso di Formazione per giovani Volontari, intitolato “Amicizia e dintorni”, promosso dall’Associazione Grossetana Genitori Bambini Portatori di Handicap in collaborazione con il CeSVoT (Centro Servizi Volontariato Toscano). Le tre relazioni sono state tenute rispettivamente il 14 Febbraio 2008: Voglia di volare; il 19 Febbraio 2008: L’Atteggiamento come gesto educativo; il 25 Febbraio 2008: La valorizzazione della persona diversamente abile; rivolte ai bisogni legati alla sfera affettiva e relazionale di persone diversamente abili. Ostiglia Venerdì 29 febbraio 2008, ad Ostiglia, le componenti della sezione ANPEC di Mantova (direttore provinciale Giorgia Scacchetti), hanno promosso una conferenza sul tema “L’apprendimento e le emozioni che accompagnano il vissuto dello studente durante il percorso scolastico”, patrocinata dall’Amministrazione Comunale di Ostiglia. I lavori sono stati aperti dal sindaco del Comune di Ostiglia e la conferenza tenuta dal collega Carlo Callegaro. Gli argomenti hanno suscitato un vivo interesse in tutti i partecipanti presentati numerosi. Roma La collega Rosanna Alfieri nel mese di Aprile 2008 ha dato vita e ha reso operativo il Progetto “L’assistenza infermieristica di natura tecnica, relazionale ed educativa in una Unità di Rianimazione, aspetti rilevanti per il paziente ed il caregiver”, dell’Ospedale San Pietro FBF di Roma, nato dall’esigenza degli operatori sanitari che prestano servizio nel centro di rianimazione e che spesso si trovano in difficoltà di fronte ad una realtà dove si è particolarmente esposti a relazioni difficili. Le risorse specialistiche coinvolte sono cinque ricercatori del Servizio Infermieristico e un pedagogista clinico. Fanno parte del Comitato Scientifico i professori Guido Pesci, Direttore scientifico ISFAR e Rosanna Alfieri Pedagogista Clinico, Supervisore ISFAR e i dottori FBF A. C. Marongiu, R. E. Monaco, A. R. Paz-
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e a cura di Antonio Viviani
zaglini, A. Perrone e D. Mura. La presenza del Pedagogista Clinico, come specialista, in questo Progetto di Ricerca, testimonia l’importanza dell’impiego dei pedagogisti clinici in strutture sanitarie grazie alla loro formazione e alle abilità diagnostiche, metodologiche e tecniche acquisite.
ziale per la formazione di un atleta”. Presenti l’Assessore allo sport del comune di Grosseto Paolo Borghi, della provincia di Grosseto Giancarlo Farnetani, l’Avv. Alessandro Capitani presidente del CONI Grosseto, il Prof. Dott. Antonio Viviani e il Prof. Amedo Gabbrielli.
Rozzano Con il supporto del comune di Rozzano (hinterland sud di Milano) Simona Valle ha aperto il Centro di Pedagogia Clinica D.I.N.E.-Dinamiche Interattive nell’Educazione- un evento che ha suscitato un grande interesse. Il centro, ha l’intento di rispondere con efficacia ai bisogni del territorio e promuovere iniziative di prevenzione del disagio. L’occasione della presentazione del D. I.N.E. è stato il Convegno su “L’attenzione alla persona: quando il bisogno è fuori dagli schemi”, tenutosi a Rozzano il 16 aprile 2008. Genova Si è concluso nel maggio 2007 un progetto orientato alle tematiche di accoglienza, condotto da Cristina Rapuzzi, finanziato dalla Regione Liguria e patrocinato dal Comune di Genova. Il progetto ha visto coinvolti 45 giovani (italiani e stranieri) fra 16-18 anni, di un Istituto Tecnico orientato all’accoglienza dell’altro, attraverso la lettura e la gestione delle emozioni. Le tecniche, proprie della pedagogia clinica, sono state utilizzate con lo scopo di stimolare la creatività dei giovani partecipanti e la loro disponibilità a interagire in una relazione di intesa simpatetica. Oltre alle esperienze di laboratorio è stato attivato uno sportello pedagogico clinico d’aiuto alla persona. Anghiari Il fondatore della pedagogia clinica e dalla professione di pedagogista clinico Prof. Dott. Guido Pesci, in occasione dei lavori del Premio Anghiari il 14-15 giugno 2008, che quest’anno ha avuto come tema: “Diversabilmente - Parole, Colori, Suoni” patrocinato dal Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica, dalla Regione Toscana, dalla Provincia di Arezzo e dal Comune di Anghiari, davanti ad un numerosissimo pubblico, ha presentato una relazione su: Integrazione e diversabilità. Grosseto Mercoledi 25 giugno 2008, a Grosseto, si è tenuto un convegno sul tema “La polisportività, elemento esse-
Udine Beatrice Blasutig ha realizzato nell’anno scolastico 2007-2008, un corso di formazione rivolto agli insegnanti della scuola dell’Infanzia e Primaria di primo grado, per rispondere all’esigenza espressa da alcuni Dirigenti scolastici del Medio Friuli, che desse ai docenti strumenti validi e utili alla gestione delle conflittualità che spesso gli alunni agiscono o subiscono, durante la permanenza a scuola. A seguito dei risultati raggiunti e della soddisfazione dei partecipanti è stato richiesto un ulteriore progetto pedagogico clinico che coinvolgesse le famiglie degli alunni dei due ordini di scuola. Un progetto promosso e attivato grazie all’interessamento dell’ASL3 e della Direzione Didattica di Osoppo, mirato ad aiutare i genitori a sviluppare e migliorare la qualità dell’interazione educativa, le competenze interpersonali e le abilità comunicative in famiglia. Vicoforte (CN) Si è tenuta a Vicoforte la Tavola rotonda su “Dipendenza affettiva, codipendenza, stalking, quali strumenti?” organizzata da UCIPEM- Unione Consultori Italiani pre e Matrimoniali e da Genova Mediazione, a cui ha preso parte la Dott.ssa Luisa Susanna Viviani pedagogista clinico e mediatore relazionale.
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Il Resto del Carlino 1 novembre 2007
Nell’articolo dal titolo “È una festa per maschi non emancipati” il parere di un pedagogista clinico sulla ricorrenza di Halloween.
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prie ed altrui idee e al confronto costruttivo e arricchente per edificare una realtà migliore, senza bisogno di trovare capri espiatori a causa dello scontento che soprattutto i giovani hanno attualmente verso la società civile”.
Il Resto del Carlino 22 gennaio 2008
Il Resto del Carlino 2 dicembre 2007
Viene proposto in lettura un lavoro a firma di Giuliana Ammannati pedagogista clinico su: “È la natività che ci fa rinascere”. Nell’articolo di due colonne, a seguito di un’ampia dissertazione sul modo di vivere il significato del Natale, si legge : “… i giovani ci stupiscono, ogni giorno, per la profondità dei loro scritti e per la capacità dei loro sentimenti. Non sciupiamo, dunque, queste risorse; diamo ancora ad essi la possibilità di guardare oltre i limiti del contingente; diamo ai giovani la forma mentale di fare attenzione all’Altro e di mirare all’Infinito per sapere interpretare i reali bisogni dell’uomo e del suo tempo”.
“A Urbino il Papa avrebbe avuto ascolto”: è questo il titolo di un articolo a firma di Giuliana Ammannati pedagogista clinico in cui espone la contestazione al Papa da parte di alcuni professori di Fisica della “Sapienza” e di un gruppo di studenti, in nome della difesa della laicità. La collega torna su questo argomento con la speranza che una maggior riflessione possa aprire le menti ad una diversa disponibilità nell’accoglienza di tutti.
Il Resto del Carlino 20 marzo 2008
Il quotidiano rilancia in un articolo il comunicato ANSA di Giuliana Ammannati del 12 marzo 2008 su “Analfabetismo di ritorno”. Viene esplicitato l’eccesso di cognitivismo e di efficientismo presente nella scuola e analizzato ciò che frena e ostacola un buon apprendimento.
Ansa Grosseto 15 maggio 2008
In casa La Provincia dicembre 2007
Nel trimestrale della Provincia di Milano appare un importante articolo in ben due facciate su “Bullismo, scopriamo le carte”, in cui si fa riferimento all’ANPEC Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici e al contributo dei colleghi milanesi nel condurre interventi utili a favore di sistemi alternativi di relazioni con i ragazzi, necessari per nuovi modelli di intesa e di scambio.
Agenzia Kronos 13 gennaio 2008
“L’annunciata contestazione al Papa in visita all’Università La Sapienza di Roma mette in luce ancora una volta la netta e troppo rigida separazione esistente in Italia tra spirito laico e spirito cristiano”. Lo sostiene Giuliana Ammannati, docente di Filosofia, pedagogista clinico dell’ANPEC, specialista in interventi educativi e comportamentali. “Ciò dovrebbe avvenire – spiega – proprio in un luogo che è il simbolo della cultura, dell’ascolto, del dialogo e dell’incontro tra le diversità. Sarebbe un vero e proprio boomerang per l’Università e la laicità, che in nome della ragione invita tutti, credenti e non credenti, al rispetto reciproco delle pro-
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Famiglia: Studio; genitori diffidenti verso suggerimenti libri - Si dicono disposti a fare qualcosa per “imparare’’ a diventare genitori più attenti alle esigenze dei figli, ma poi accolgono con diffidenza i suggerimenti dei libri specializzati. Quello da cui sono molto colpiti, invece, sono i disegni realizzati dai figli nei quali vengono ritratte scene di vita familiare quotidiana: è da lì, infatti, che i genitori si renderebbero conto delle eventuali loro inadeguatezze comportamentali. È questo il risultato emerso da un’indagine condotta da Guido Pesci e Antonio Viviani. I due pedagogisti clinici e docenti dell’Istituto di formazione post-universitaria delle professioni (Isfar) di Firenze hanno esaminato il comportamento di 392 genitori (154 padri, 238 madri) che avevano dichiarato di essere “lettori di libri e manuali specialistici sulla professione di genitori’’. L’indagine ha messo in evidenza come il 78% del campione esaminato poi, in realtà, si dimostri “diffidente’’ nei confronti delle argomentazioni lette in un libro (perchè “troppo tese a convincere, persuadere o consigliare’’), mentre nell’84% dei casi restano colpiti – e quindi stimolati a cambiare – guardando i disegni realizzati dai figli. “Questo – dicono gli studiosi – stimola gli adulti a riflettere, aiutandoli da soli a individuare eventuali inadeguatezze comportamentali che spesso sono all’origine di contrasti e disaccordi con i figli’’. Le storie raccolte sono state pubblicate nel libro “Il facile mestiere del genitore’’ edito da Magi per la collana “Reflecting’’.
City 16 maggio 2008
Nel giornale viene data notizia della pubblicazione del libro di G. Pesci e A. Viviani “Il facile mestiere di genitore” annunciandone i particolari, il contenuto e le finalità.
Agenzia ANSA-B 2 luglio 2008
Nomadi: pedagogista clinico, anagrafe anche per i rom. - “Uno stato è civile, quando è educante e garantisce la scuola, il soste-
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gno e la genitorialità adulta e responsabile ai bambini che ne sono privi. Ma evitare soluzioni forzate e discriminanti è dovere morale”. Lo sostiene Giuliana Ammannati pedagogista clinico ANPEC (Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici). “Per aiutare i rom a uscire dall’isolamento delle loro comunità – sostiene la Prof.ssa Ammannati – occorre favorirne l’integrazione, anche attraverso una genitorialità consapevole. Il primo passo in questa direzione è l’obbligo di far registrare all’anagrafe ogni bambino nato e ogni nucleo familiare completo delle singole individualità, per assicurare controllo e attenzione ai membri delle comunità, prevedendo nel contempo pene severe nei confronti di quanti volessero mantenere nell’ombra e senza identità la popolazione dell’infanzia che, con la scelta delle impronte digitali, sarebbe comunque tristemente e doppiamente negata”.
Bari Sera 8 luglio 2008
Sul quotidiano con il titolo “Riflessioni sul facile mestiere di genitore” si legge una interessante recensione del libro di G. Pesci, A. Viviani, Il facile mestiere di genitore, Magi Edizioni, definito “un volume originale ricco di immagini che evocano sentimenti diversi”.
Agenzia Kronos 3 settembre 2008
Scuola: pedagogisti clinici, maestro unico non nostalgia del passato. – Ammannati, scelta giusta che risponde a reali bisogni dei bambini. I pedagogisti clinici scendono in campo a fianco del Ministro dell’Istruzione M. Stella Gelmini e difendono la scelta di reintrodurre il “maestro unico”, scelta che risponde ai reali bisogni dei più piccoli. “La scelta del maestro unico da parte del Ministro della Pubblica Istruzione - spiega all’ADNKRONOS Giuliana Ammannati, docente di filosofia e scienze umane - non è un attacco di nostalgia, ma, al contrario, risponde ai reali bisogni dei ragazzi e alla necessità di dare importanza al bambino come persona, nella sua integrità”. “La verità – aggiunge Ammannati – è che molti insegnanti sono impreparati a farsi carico del discorso educativo nella sua globalità. Insegnare tutte le discipline dalla prima alla quinta è sicuramente più faticoso e più complicato. Il docente deve avere gli attributi, ma non è solo questo, secondo la docente, a deporre a favore del maestro unico.” “Gli insegnanti del modulo – spiega Ammannati – sono spesso stressantissimi e in competizione tra loro, macinano tantissimo senza tener conto dei processi di apprendimento individuali creando così una situazione ansiogena dei piccoli”. “I ritmi velocissimi imposti, non consentono ai più piccoli di interiorizzare ed elaborare i contenuti delle nozioni apprese. In questo eccesso di frammentarismo, sia dei saperi che delle competenze il bambino fatica ad arrivare ad una sintesi. A quell’età – precisa – non ne ha gli strumenti”. “Questo modo di fare scuola, non più pedagogico, ma prettamente tecnico e tecnicistico, l’eccesso di cognitivismo, il didatticismo fine a se stesso – secondo Ammannati – una scuola che ignora i processi degli apprendimenti, la mancanza di una idonea educazione emotiva, relazionale-affettiva hanno causato un analfabetismo di ritorno nella scuola superiore”. Insomma conclude la specialista “la didattica è importante, ma deve essere mirata, avere finalità educative”.
a Il Resto del Carlino 11 settembre 2008
Il quotidiano rilancia l’agenzia Kronos del 3 settembre 2008 e argomenta le dichiarazioni di Giuliana Ammannati presentando una indagine sulle posizioni da essa assunte.
Avvenire 12 settembre 2008
A firma di Enrico Lenzi appare nel quotidiano un articolo su “Maestro unico: la polemica non si placa”. Nell’articolo appare l’assunto della collega Giuliana Ammannati in cui “la scelta deve rispondere ai reali bisogni del bambino come persona nella sua integrità” e un ampio dibattito tra vari rappresentanti sindacali e dell’ANCI.
Provincia di Milano ottobre 2008
Nella pubblicazione dell’Assessorato all’Istruzione ed Edilizia Scolastica della Provincia di Milano, è apparsa nell’ottobre 2008 la notizia della convenzione con l’ANPEC per condurre una complessa iniziativa con strategie preventive di intervento “contro il bullismo e per l’affermazione delle buone pratiche” rivolte a promuovere più adeguati comportamenti relazionali. Il progetto “Scopriamo le carte” contro il disagio giovanile e il bullismo, si caratterizza con una prospettiva triennale ed è rivolto a ben 59 scuole.
Il Nuovo Salernitano 19 ottobre 2008
Nel quotidiano viene annunciata l’inaugurazione del secondo Master Post-Universitario dell’ISFAR di Firenze con il titolo “Cava de’ Tirreni tra i maggiori centri italiani di pedagogia clinica”. L’iniziativa si è svolta presso la sala Consiliare del Comune di Cava alla presenza del sindaco Luigi Gravagniuolo e dell’assessore Daniele Fasano che hanno lodato la serietà della formazione. I lavori sono stati introdotti dalla Dott.ssa Rosanna Alfieri responsabile del Centro Specialistico di Pedagogia Clinica di Roma e dal Prof. Guido Pesci Direttore Scientifico ISFAR.
La Città di Cava de’Tirreni 19 ottobre 2008
Nel quotidiano viene data notizia della seconda edizione del Master di Pedagogia Clinica aperto a Cava de’Tirreni. Una seconda edizione sostenuta dal sindaco e dall’assessore all’Istruzione e all’Università che con grande soddisfazione hanno rilevato i buoni risultati dell’esperienza precedente.
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In questa rubrica vengono sottoposte all’attenzione dei lettori Autori italiani e stranieri nella certezza che un arricchimento solo se spalanchiamo i nostri orizzonti su un panorama più Herbert Read
Guido Pesci
Education trought art
Pedagogia Clinica - Scienza e Professione
London, Faber and Faber, 1942, traduzione spagnola ”Educaciòn por el arte”, Barcelona, Paidòs Quasi introvabile, quest’opera fondamentale del grande psicologo e pedagogista (dove si può parlare, una volta tanto, di una felice endiadi) inglese, scritta nel 1942 tra i fragori della Seconda Guerra Mondiale, che, per primo, timidamente e al tempo stesso con grande coraggio, s’avvicina alle opere grandi del suo tempo, ritrovando in John Dewey, ma anche nella psicologia della Gestalt (ossia della “forma figurata”, pur se la traduzione è comunque opinabile, migliore comunque di quella di forma formata, con la sua tautologia insistita), in Carl Gustav Jung, in Jean Piaget (Vigotskij, allora, non era noto in Occidente, anzi era quasi totalmente ignoto) la necessità di superare le barriere derivanti da tanti pre-giudizi sull’intelligenza (identificata, all’epoca, solo con l’intelligenza logico-deduttiva di tipo astratto, ma anche semplicemente con la reazione subitanea: input-ouput, insomma, nell’accezione più behavioristica del termine). Fondamentale, quale classico – ma non da tenere in qualche scaffale ascoso, come rudere/soprammobile – che, richiamandosi allo Schiller dei “Briefe zur aesthetischen Erziehung des Menschen” (Lettere sull’educazione estetica dell’uomo) ancora non riletti con gli occhiali marcusiani di “Eros and Civilisation” Eros e Civiltà), riscopre e fa riscoprire ai pedagogisti l’importanza di approcci altri all’educazione e all’istruzione. Ma, si obietterà, oggi il pedagogista clinico, il reflector, altri operatori del settore dispongono di uno strumentario molto più ampio, nel senso di metodiche, tecniche, di referenti teorici allora ignoti. Vero, ma, oltre al testo, che è un malloppo, ma mai un “mattone”, il libro è costellato di disegni che, oltre a rinfrescare-confermare l’uso dei graphonages, servono anche per chi operi fortemente con il disegno onirico, con le tecniche psicodrammatiche (meglio diremmo: dello psicodramma olistico), con InterArt. Disegni reali, non exempla fictiva, sempre corredati da commenti oltremodo accurati, relativi soprattutto alla teoria (e pratica) dei tipi psicologici junghiani, che Read non assume a verità inconfutabile, ma a strumento di lavoro indispensabile. Del resto, quanto poi s’è sviluppato, nel/per il lavoro con la creatività, deriva anche e soprattutto da Read, che non era certo una sorta di sincretista pasticcione, ma un teorico che partiva dalla pratica, didattica e clinica, per proporre un modello che sostenga un modello che “non sia artificiale”, che, con Martin Buber voglia essere “una selecciòn de un mundo factible”, dove l’originale tedesco recita: “eine Auslese der wirkenden Welt”, ossia, per meglio dire “una selezione del mondo fattivo”, più che fattibile, per indicare comunque il suo continuo agire. La pedagogia clinica, ma anche la pedagogia in genere, quindi, non avrà a che fare con stereotipi solo “in vitro”, solo artificiali, ma al contrario con quel “mondo della vita” che spesso il bambino, l’adolescente, l’adulto, l’anziano non si sentono (o magari non si sentono più) di affrontare. Eugen Galasso
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Edizioni Magi, Roma, 2008, pagg. 150 Dopo i tanti libri pubblicati in collana di Pedagogia Clinica delle Edizioni Magi, tra gli ultimi, dello stesso autore, Percorso Clinico e Pedagogista Clinico, non poteva mancare un volume sulla scienza pedagogico clinica. Padre di questa disciplina e autore del libro Guido Pesci riferisce dell’excursus storico e sapenziale di una scienza che si propone oggi come una insostituibile necessità per orientare interventi significativi a favore di persone con difficoltà e disagi. Una disciplina che ha saputo armonizzare i significativi principi teorici su cui si basa con innovative tendenze diagnostiche e l’assetto di nuovi metodi allo scopo di garantire alla persona un inedito equilibrio e una diversa disponibilità socio-relazionale. Dalla disgregazione dell’ortopedagogia, l’autore insieme ad altri suoi collaboratori diede nome e vita ad una nuova disciplina e ad una nuova professione. Il movimento dei pedagogisti clinici dagli anni ’70, si è evoluto tanto da coniugare il sapere con il fare nel dare. Una molteplicità di ricerche ha consentito di raggiungere il conseguimento di tutti i principi con metodi di provata efficacia. Il pedagogista clinico già ricco per la sua laurea specialistica raggiunge, con una formazione post-universitaria, una professione a cui si dà sempre più largo credito e ad un professionista la cui professionalità è garantita dall’ISFAR Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca e sancita dall’ANPEC Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici. Marta Mani
Roberto Castelli - Alberto Sedini
Leopardi e il Reflecting Montedit, Vario D’Adda (MI), 2008, pagg. 237 Il volume si estende su ben 237 pagine ed ha una introduzione di Carlo Vanzini Management Advisor il quale afferma di “aver trovato in questo libro riferimenti di assoluta attualità che, se elaborati con attenzione, diventano linee guida ideali per il management e per l’innovazione di impresa in un mondo in continua trasformazione. Questi spunti fondamentali vengono sviluppati nel volume richiamandosi al metodo Reflecting, disciplina che si sta sempre più diffondendo come strumento di assoluta validità nel processo di formazione e motivazione delle risorse umane”. Agli Autori si deve riconoscere di aver saputo leggere con rigore scientifico ogni aspetto socio-culturale e essersi mossi in un percorso riflessivo sorretto dall’illuminante pensiero di Giacomo Leopardi. Grande interprete del suo tempo, il poeta, ci indirizza con sorprendente attualità a intraprendere nuove vie di rinnovamento sociale. Il Reflecting è visitato come metodo e disciplina che più di altre può favorire un’attività di elaborazione del pensiero che porta l’uomo a muovere verso intenti di raccogliere in se stesso verità nascoste per meglio orientarsi in un processo di promozione delle intese con gli altri. Guido Pesci
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alcune recensioni di testi inerenti alla pedagogia clinica scritti da scientifico e un approfondimento del sapere si possano avere vasto possibile. Rodrigo Munoz Avia
Psiquiatras, Psicòlogos y otros Enfermos Madrid, Santillana, Punto de Lectura Dal punto di vista del genere letterario, è una “novela”, cioè un romanzo, comico (ma non poi del tutto, come vedremo...), satirico, perché attacca le categorie menzionate nel titolo e quelle solo accennate, ma è anche una profonda riflessione sulla vacuità dell’esistere, almeno in questa condizione. Per dirla con una sempre felicissima – anzi sempre più felice, direi – espressione di Guido Pesci, è una rampogna contro le “psicocose”. Contro non tanto psicologi e psichiatri, ma contro quanto quelli esponenti di queste categorie professionali – ma anche contro naturopati, agopunturisti etc. – che eccepiscono su tutto, vogliono sapere tutto del/dal paziente, che gli propinano consigli a ogni piè sospinto, che gli “fanno il lavaggio del cervello” (oggi sappiamo che l’espressione propriamente non ha fondamento scientifico), che gli “rompono l’anima” (ops, la psiche...) con tutto quanto le persone non vogliono sapere/né problematizzare. Il protagonista della “storia”, della fabula, è un venditore d’ascensori, con un cognato “psicologo” pieno di tic e di ossessioni varie, che pretende di curarlo per una reale, ma tutt’altro che grave e comunque solo situazionale parafasia e una presunta “mania/fobia dei bottoni”, in modi, diciamo così, “grotteschi” quanto atipici; poi, però c’è la psicologa dai sette veli (foulards, ma insomma...), ma soprattutto uno psichiatra, di origini palesamente italo-argentine, il dott. Fusilli, sul quale, con “giusta crudeltà”, Munoz Avia, scrittore di formazione filosofica, ma che con questa problematica specifica si è confrontato molto a lungo e con profondità (non per motivi autobiografici, abbiamo forti motivi per supporre, né comunque importerebbe...), non risparmia battutacce sul cognome (un’abitudine ormai “dannata” anche in TV - comunque considerata più che “polically incorrect” che cosa avrebbe detto Totò non sappiamo, con il suo On. Trombetta et similia...). Fusilli, per dirla tutta, è un tanatofobo/un taantomane, che proietta la sua ossessione su tutte le sue vittime (o potenziali o anche reali pazienti, fate un po’ voi!), creando sicuramente sconquassi nella psiche di taluni, ovviamente non di tutti, per es. non del senor Rodrigo Montalvo Letallier, il protagonista della vicenda. Alla fine, poi, tutto “torna normale” (?Prima di tutto bisognerebbe appurare che cosa voglia dire/debba designare quest’aggettivo), nel senso che la sorella torna con il cognato psicologo, non molto “migliorato”, l’esibizionista – non certo metaforicamente – vicino di casa detto Lope de Vega (sic!) vede morire il proprio cane, chiamato (ne dubitavate?) Sexo, finché suo padre gliene compra un altro, cui appioppa (c’erano dubbi ulteriori?) lo stesso nome... Ritorno ad una realtà “folle”, ma certo non più di quella “fantasmata” da Fusilli & Co... Una lettura a tratti inquietante anche proprio quando è più divertente e “comico” (comico anche
senza virgolette lo è certamente, la comicità e humor non sono mai innocente - il “Witz” freudiano lo insegna forever). Da leggere assolutamente, che conferma le tesi del reflecting. Si raccomanda a reflectors, pedagogisti clinici, ma anche alle categorie espressamente nominate sopra, nel libro, di cui si è abbondantemente parlato sopra. Eugen Galasso
Massimo Santoro
Fotobiografic - una tecnica esplorativa per lo sviluppo della personalità Aracne Editrice, Roma, 2008, pagg. 83 Massimo Santoro propone un lavoro che “vuole essere un contributo capace di promuovere dei cambiamenti utili nella persona” e ne dà prova tecnica e metodologica. L’immagine fotografica serve a conoscersi, a scoprire e meglio definire quell’immagine di sé che il soggetto ha costruito nell’arco della propria vita e che col tempo ha perso di vista o è diventata fonte di frustrazione. Attraverso la foto si dà prova di come la persona trovi il modo di tornare a narrarsi e di svelare come si percepisce e come si rapporta. Nel libro si rintraccia lo studio di un soggetto e ciò favorisce il lettore ad acquisire abilità nella conduzione esplorativa del Fotobiografic. Uno strumento di facile utilizzo e di sicuro aiuto per quanti intendono servirsene. Marta Mani
Daniela Anziliero
Il gesto racconta Edizioni Del Cerro, Tirrenia, Pisa, 2008, pagg. 83 L’esperienza della terapia corporea con il movimento rivolta ai pazienti psicotici: così inizia la prefazione al libro stilata da Diego Silvestri. Il lavoro è infatti la figurazione di una esperienza di attività condotte e vissute con l’intento di favorire nuovi e diversi equilibri in soggetti che è più frequente credere non abbiano alcuna possibilità di riuscire nelle loro relazioni organizzative e di scambio. La Anziliero, impegnata nell’offrire opportunità di stimoli per nuove aperture, ci indica il suo modo di “lavorare per temi” e come questo possa essere radice di rinforzo per una struttura emozionale più solida. Il lavoro si conclude con “L’esperienza di una storia con il movimento”, un’avventura in cui il linguaggio del corpo e il suffragio della musica hanno ben promosso una diversa consapevolezza. Valentina Benoni Degl’Innocenti
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Novità editoriali
La pedagogia clinica è una disciplina che ha saputo armonizzare i significativi principi teorici su cui si basa con un complesso organico di conoscenze e competenze innovative indirizzate ai bisogni educativi della persona. Si tratta di principi nuovi e di metodi efficaci la cui origine risale al 1974, anno in cui alcuni ortopedagogisti del Cenacolo Antiemarginazione a Firenze, guidati dal professor Guido Pesci, sostituirono il termine di pedagogista clinico a quello di ortopedagogista dando inizio ad un movimento scientifico professionale. Una scienza che proclama una fondata opposizione a ogni criterio sanitarizzante per generare aiuti a persone di ogni età, con riflessi positivi sul piano della realizzazione pratica e concreta. Un sapere pedagogico clinico e un’azione educativa efficaci e apprezzati, che trovano in queste pagine ampia documentazione.
L’autore sostiene che la maieutica e il «conosci te stesso» sono le due linee fondamentali del pensiero e dell’azione che regolano le relazioni umane nei processi di aiuto alla persona. Un’affermazione che sostiene con l’intento di uscire dal dedalo della confusione fra chi scambia un intervento psicologico con l’argomenare sull’aeterna philosophia dell’umanità e chi conduce terapie e psicoterapie alla maniera socratica, pensando di far «partorire» la persona con domande ed esortazioni, per poi intervenire con la regola del dubbio, con obiezioni e consigli, usando la parola come un farmaco. A queste pratiche «ostetriche» l’autore privilegia principi e prassi di una nuova maieutica, un diverso sapere scientifico, la cui coerenza e il rispetto della persona si rivelano confluiti nella disciplina e nel metodo del Reflecting®, dando prova del fatto che, se si è aiutati a riflettere, è possibile giungere a una comprensione profonda di se stessi. Il Reflecting è un autentico aiuto maieutico che permette di avvertire in sé le contraddizioni, vincere gli ostacoli, maturare autonomamente nella propria interiorità, intraprendere un percorso di conoscenza e consapevolezza di sé. Un travaglio assistito da una «levatrice» che, in alternativa al subdolo abuso della parola, incoraggia la riflessione con una semiologia universale, con cui promuove, agevola, facilita una vita più vera e più libera. Per veicolare e far giungere alla persona questi stimoli e segnali sollecitatori e agire un effetto comunicativo strategico-funzionale, dando avvio a una vasta estrinsecazione di pensieri, è necessario uno spazio sperimentale trasparente e non ostacolante: un tavolo di cristallo.
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Il movimento dei pedagogisti clinici, superata la fase pionieristica degli anni Settanta, ha ormai raggiunto, in Italia e all’estero, un livello di strutturazionale tale da permettersi di avere un proprio Albo europeo. Nel volume vengono illustrati la storia dei pedagogisti clinici, lo sviluppo delle loro teorie e il loro impegno nella ricerca e nella sperimentazione che hanno portato all’attuale definizione di un percorso formativo in pedagogia clinica che attrae un numero sempre crescente di laureati. L’Autore, che è il padre di questa disciplina, si sofferma sui coesi contenuti umanistici e scientifici che alimentano la pedagogia clinica di nuove e/o innovative modalità di aiuto alla persona. Metodi e strategie di intervento, coperti da marchio registrato, che caratterizzano la professionalità del pedagogista clinico e ne sostanziano l’immagine. Il volume comprende saggi sulle esperienze professionali nei settori sociali in cui questa categoria professionale, in grande espansione, si trova a operare.
Pagg. 172
Mauro Carboni
Pagg. 115
Musicopedagogia
Guido Pesci Maria Fiore
Pagg. 368
Pagg. 368
Un colloquio per conoscere significati complessi
Guido Pesci Gloria Mencattini
Autonomia e coscienza di sé
Jean Le Boulch
Pagg. 153
Guido Pesci
Gonnelli-Cioni
Antesignano della pedagogia clinica in Italia
Maria Grazia Dal Porto Maria Grazia Magazzino
La Mediazione Il pedagogista clinico mediatore e formatore
Guido Pesci Marta Mani
Pagg. 127
Prismograph
Pagg. 136
Guido Pesci Simona De Alberti
Educromo
Il metodo pedagogico clinico per vincere le difficoltà di lettura
Jane Dossick Eugene Shea
Pedagogia creativa
Metodo pedagogico clinico per educare al segno grafico
Per una scienza del movimento
Pagg. 156
Pagg. 85
Metodo per favorire l’equilibrio e il piacere
L’educazione del corpo nella scuola del domani
L’anamnesi
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Guido Pesci Simone Pesci
Maria Grazia Dal Porto Alberto Bermolen
La fiaba come risveglio dell’intuizione
Touch ball
Il metodo Memory Power Improvement per il recupero delle abilità mnestiche nell’anziano Guido Pesci Lucia Russo
Pagg. 80
Aiuto alla Persona
Mnesi e invecchiamento
Pagg. 172
Guido Pesci
Percorso clinico
L’esperienza sonoro-musicale come aiuto alla persona nella relazione pedagogico clinica Pagg. 115
Il criterio qualificante una professione, che contempla l’acquisizione di competenze, di produzioni del sapere e di abilità nell’impiego di metodi e tecniche, fa del pedagogista clinico un protagonista ampiamente premiato dalla rilevanza sociale dei suoi interventi specialistici. Egli esercita la professione in studi o centri privati, conduce attività su progetti e convenzioni in istituzioni sanitarie, sociali, scolastiche e giudiziarie ed è in grado di incidere positivamente e con significativi vantaggi sulla società. Nel volume il lettore trova illustrate esperienze concrete, che ben richiamano l’attenzione sulla competenza dei pedagogisti clinici e sugli spazi operativi in cui essi agiscono. Orientati da un ricco patrimonio scientifico e tecnico-metodologico, grazie ai risultati conseguiti, hanno garantito all’intera categoria professionale grandi riconoscimenti in ogni settore, con vasta eco nei mass media.
52 esercizi per i gruppi
Pagg. 168
Guido Pesci Anna Pesci
Pedagogia clinica in classe Scuola materna
n. 19 numero 2 - anno IX luglio-dicembre 2008