n. 32 numero 1 - anno XVI
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gennaio-giugno 2015
ATTI Congresso Mondiale Quarantennale della pedagogia clinica
IL DIVENIRE DELLA PEDAGOGIA CLINICA
Scenari e prospettive professionali in aiuto alla persona Firenze 25-26 Ottobre 2014 Palazzo dei Congressi
PRIMA SESSIONE
n. 32
Autorizzazione Tribunale di Firenze Decreto 4868 1° marzo 1999 Periodico semestrale Anno XVI n. 1 gennaio-giugno 2015
Editore: ISFAR srl Fondatore e Direttore responsabile: Guido Pesci Direzione, Redazione, Amministrazione: ISFAR - viale Europa, 185/b 50126 Firenze Tel. e Fax 055 6531816 E-mail: info@isfar-firenze.it Web: www.pedagogiaclinica.com www.clinicalpedagogy.com www.pedagogisticlinici.com www.isfar-firenze.it Progetto grafico Senza Filtro Firenze Traduzione a cura di Francesca Martini Printed in Italy: Stylgrafica Cascinese viale Etruria 1/A Cascina (PI)
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Apertura dei lavori
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Una finestra sull’intervento di aiuto
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Mediterraneo: dalla cultura teorica alla cul- Pag. 17 tura pratica. Una buona prassi nell’ambito della disabilità
Creating spaces of learning and communi- Pag. 31 ties of practices to support teachers and children with difficulties in the Greece of crisis: the Inclusive Resilient vs Medical Model
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Direttore responsabile e scientifico Guido Pesci Segreteria di redazione: Valentina Benoni Degl’Innocenti Sergio Gaiffi Marta Mani Simone Pesci
Training of educators in transition: what Pag. 35 competences for tomorrow’s society?
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Alfabetizzazione nel periodo prescolastico e Pag. 40 scolastico nell’area bilingue in Slovenia: il contesto, la progettazione, la prassi Promoting Mental Health a program for Pag. 46 social and emotional learning in Sweden Preparation of special education teachers Pag. 49 in Serbia
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The obstical faced education for disabled Pag. 53 persons Approche clinique pédagogique: une révo- Pag. 55 lution dans le secteur du Handicap au Sénégal La persona “funzionante” esempio positi- Pag. 57 vo in un contesto di conflitto L’inclusione nella scuola brasiliana e la di- Pag. 69 slessia
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Comitato scientifico: Valentina Benoni Degl’Innocenti Sandro Cappellin Nicola Corrado Elena Gaiffi Sergio Gaiffi Eugen Galasso Gerardo Pistillo Marta Mani Simone Pesci Claudio Rao Maria Raugna Lucia Sarais Stefania Turini Antonio Viviani
Quality of life for people with profound Pag. 24 multiple disabilities: an outcome of the quality of pedagogical support
BES e DSA troppa sanità poca pedagogia Pag. 72
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APERTURA DEI LAVORI Buongiorno. Apro in qualità di presidente i lavori del congresso mondiale Il divenire della Pedagogia Clinica-Scenari e prospettive professionali in aiuto alla persona, che si inserisce tra le iniziative di Aspettando EXPO 2015, e che solennizza il quarantennale della Pedagogia Clinica. Fa da sfondo a questo evento la città di Firenze che ne ha dato i natali e che vi accoglie con ampio riconoscimento. Mi corre l’obbligo di ringraziare tutti i presenti e tutti coloro che hanno contribuito a raggiungere questo obiettivo, tra questi tutti i componenti della segreteria organizzativa e scientifica ANPEC-ISFAR, il dottor Giuseppe Raimondi coordinatore di Aspettando EXPO 2015, la delegata internazionale dell’ANPEC e dell’ISFAR Suor Michela Carrozzino, grazie alla quale abbiamo l’opportunità di avere qui tra noi molti dei rappresentanti delle nazioni estere, il professor Federico Bianchi di Castelbianco e i colleghi Sami Basha e Eugen Galasso anch’essi di grande aiuto nell’individuare specialisti di altre nazioni del mondo.
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Un grazie alle Istituzioni che hanno riconosciuto e dato credito patrocinatore all’iniziativa, tra cui il Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano, il Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi, e i patrocini del Ministero della Sanità, del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del Ministero degli Esteri, del Ministero dello Sviluppo Economico, il Patrocinio della Regione Toscana, della Provincia di Milano, della Provincia di Firenze e del Comune di Firenze, oltre alla concessione dell’esonero del Ministero della Pubblica Istruzione, dell’Università e della Ricerca per il personale della Scuola. Particolarissimo il Patrocinio di EXPO 2015 che sostiene i principi pedagogico clinici su cui si basano i presupposti necessari ad una vita migliore per quanti non hanno sufficienti opportunità nutrizionali fisiche ed affettive e sono frenati negli apprendimenti e nelle relazioni. Ho adesso il dovere istituzionale, personale e morale di richiamare la vostra attenzione su uno degli scopi di questo congresso: La celebrazione del quarantennale della pedagogia clinica. Un anniversario che non vuole essere una commemorazione di rito, ma la memoria di un avvenimento importante le cui radici hanno trovato terreno fertile qui in Firenze nel 1974, anno in cui io, la prof.ssa Anna Pesci e il non più presente professor Edo Bonistalli, spinti dal desiderio di forgiare una nuova scienza, una pedagogia positivamente creativa, pratica e concreta, capace di compensazione sociale, si decise la costituzione della professione del Pedagogista Clinico in alternativa all’Ortopedagogista che soffriva di un orientamento sanitario e che, specie per noi fiorentini, aveva assunto più il significato di pedagogista dell’orto. Il quarantennale chiederebbe una lunga esposizione documentativa, ma le tantissime pubblicazioni su questa scienza mi consentono in questa occasione di essere breve e lasciare così spazio agli interventi che seguiranno. Dal 1974 la Pedagogia in Aiuto alla Persona (perciò clinica), in opposizione ad ogni criterio di intervento settoriale, rieducativo e riabilitativo, alla concezione patologico-terapeutica focalizzata sul deficit orientata ai criteri del separatismo, della cultura sensoriale e dell’ortopedia psichica, ha saputo trovare, appellandosi alla scientia magna dell’arte educativa, un proprio spazio culturale e scientifico, ordinare contributi pratici e attuativi per favorire il compimento di un armonioso sviluppo globale della persona nel ripristinare in sé nuovi equilibri e nuove disponibilità allo scambio. Nell’intento di sviluppare una pedagogia così positivamente creativa, siamo stati guidati dalla necessità di andare sempre più in profondità, la ricerca e la sperimentazione hanno garantito una costante e progressiva evoluzione metodologica e tecnologica fino a trovare ampie risposte educative dai riflessi positivi sul piano della realizzazione. Questo nostro congresso vuole far conoscere come il pedagogista clinico sia orientato ad affinare nell’uomo tutte le sue potenzialità, arricchire le possibilità conoscitive, sviluppare l’efficacia con un’operazione di soggettivazione i cui valori siano soddisfatti dalla stima di sé e dei propri bisogni sociali; per questo far progredire la collettività e muovere verso un futuro di speranza. Una traccia espositiva accompagnata da video sul fare nel dare del pedagogista clinico ci verrà offerta all’apertura della prima sessione dalla Professoressa Marta Mani. Adesso procediamo con i saluti delle Autorità La presenza dei rappresentanti delle Istituzioni oggi è assai compromessa per il Forum del PD (Partito Democratico) alla Leopolda qui a Firenze. Ci onora però con la sua presenza in rappresentanza del Sindaco del Comune di Firenze Dario Nardella, il dott. Massimo Fratini, Presidente della Commissione alle Politiche Sociali e della Salute, che ringrazio per la sua partecipazione che mi onora come cittadino fiorentino, così come onora la città di Firenze che ha dato i natali alla scienza pedagogico clinica e alla nostra professione e che saluta con cortesia quanti giungono da tante nazioni del mondo.
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Massimo Fratini Buon giorno a tutti. A vedervi così, è un colpo d’occhio entusiasmante, siete davvero tanti. Colpisce la quantità ma anche la provenienza, so che venite da tanti paesi del mondo, in questa occasione del Congresso Mondiale dei Pedagogisti Clinici e credo che sia un’occasione unica per me, per salutare voi. Io sono molto sensibile ai problemi educativi, sono stato educatore per tanti anni e mi sento vicino a voi. Sono onorato di portare il saluto del Sindaco di Firenze che non è potuto essere presente. Oggi è una giornata molto particolare, non solo per gli impegni politici che citava il presidente Pesci ma anche per attività istituzionali non indifferenti; Firenze in questo momento è un fermento di tante attività, di tante cose nuove, bollono in pentola decine di iniziative. Nonostante ciò volevo portarvi il mio saluto, ci tenevo a dirvi che sono rimasto molto colpito dal titolo del vostro congresso, perché normalmente i congressi che hanno a che far con la cura, con la medicina, con l’attenzione all’uomo…, nel titolo esprimono delle certezze della serie “si fa così”, oppure “noi siamo questi”, cioè l’identità di ciò che noi siamo è nel titolo. Mi piace molto che il vostro titolo non sia un titolo definitivo, è un titolo che mi rispecchia, che rispecchia il mio modo di essere e di sentire, cioè quello del divenire, il divenire non è una certezza assoluta è qualcosa in evoluzione, che nasce e che vuole arrivare sempre più in alto e in questo caso al servizio della persona, è un po’ come dire abbiamo delle radici vogliamo delle ali per volare e questo è il vostro divenire che a me ha davvero entusiasmato molto perché è al servizio della persona. L’altro termine che colpisce è “servizio alla persona” nella sua completezza, non ad una parte della persona o servizio settorializzato in ambiti. Oggi si usa parlare degli uomini, delle donne… per categorie… i bambini, gli anziani, gli affamati, i disabili, ma difficilmente si sente parlare dell’unità della persona. Credo che questa sfida sia davvero il segreto del vostro essere Associazione. Prima parlavo con il vostro presidente e diceva che questa è la vostra caratteristica importante, è un working in progress che non ammette verità eterne inconfutabili, ma che diventa costruire giorno dopo giorno la vostra attività umana e professionale. Aiuto alla persona vuol dire stare dalla parte delle persone che si rivolgono a voi e in questo caso comunque in tutto il suo essere e non solo per quello che rappresenta in quel momento. Ho visto poi inserire il vostro programma nell’EXPO 2015 e anche questo mi ha colpito molto, Nutrire la persona non è soltanto il nutrimento del cibo, ma anche dal vostro punto di vista assume un significato molto particolare perché va verso una vita migliore, verso uno sviluppo della persona sempre più importante; quindi vi occupate di prevenzione, di aiuto e di recupero, appunto l’integrità della persona. Io sono felice che abbiate scelto Firenze come sede per questo Congresso Mondiale. Firenze ha una vocazione alla mondialità e non soltanto perché storicamente ha avuto, diciamo, l’arte come strumento portante, ma anche perché negli ultimi decenni, da La Pira in poi, Firenze ha sempre avuto questa vocazione internazionale a cercare di coinvolgere e far sintesi su tutte le tematiche che hanno a che far con l’uomo, con l’arte, con il territorio, con la cultura. Firenze è un luogo ideale per ospitare questo vostro importante congresso. Io vi invito a visitare Firenze, non tanto ai 150 fiorentini presenti tra voi, perché i fiorentini hanno l’occasione di tornarci, ma mi rivolgo alle altre mille persone. Se stasera avete dieci minuti andate in giro per Firenze, vedrete che è una città accogliente non solo perché c’è il più alto concentrato al mondo di opere d’arte per metro quadro, e che opere d’arte! ma soprattutto perché è una città accogliente, abbiamo la zona pedonale più grande d’Europa; intorno al Duomo c’è un mondo da scoprire. Sedetevi ai nostri ta-
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volini, mettetevi a parlare con i nostri fiorentini, troverete un luogo magico, universale e poi avrete voglia di tornarci. Io vi invito a ritornare, magari con le vostre famiglie, i vostri figli, troverete qualcosa che serve per l’appunto a nutrire interiormente le persone, è l’obiettivo che vi siete dati, quindi Firenze come l’occasione di nutrimento della persona. Io vi auguro buon lavoro e grazie di ciò che state facendo e della missione che state portando avanti. Grazie. Giuseppe Raimondi Tra le autorità il dott. Giuseppe Raimondi Coordinatore del Progetto Aspettando EXPO 2015, che ci introdurrà meglio nel contenuto del Progetto EXPO. Innanzitutto un grazie al nostro presidente Professor Guido Pesci che ci offre questa grandissima opportunità. Io sono veramente emozionato nel vedervi qui, cosi numerosi. Un benvenuto a tutti. Desidero esprimere, in qualità di pedagogista clinico e di coordinatore del Progetto Aspettando EXPO 2015, proprio questa mia particolarissima e irripetibile emozione nel vedere nel Quarantennale della Pedagogia Clinica, qui presenti tante altissime autorità del mondo della scienza, della cultura e della politica, dibattere sul tema di questa rassegna internazionale e che è il Divenire della Pedagogia Clinica, cornice in cui si inserisce, come diceva il presidente, l’Esposizione Universale di EXPO 2015 Nutrire il pianeta energia per la vita, e in particolare Nutrire la persona che ne è il suo presupposto e correlato specifico, ma anche l’oggetto del nostro Progetto. L’Esposizione Universale di Milano, dice la pubblicità “è una festa con 7 miliardi di invitati”, dicono che ci sarà il mondo e noi con lui, aggiungiamo noi. Ora però noi siamo qua in occasione del nostro Quarantennale, in occasione della nostra festa, siamo tantissimi, e, pur senza la pretesa di contare sette miliardi di invitati, l’obiettivo della pedagogia clinica è comunque di muoverci, giorno dopo giorno, l’uno nella mano dell’altro, con la nostra sensibilità, con la nostra emozione, con la nostra gioia, con la nostra energia sempre rinnovata; la fiducia del vivere ci accompagna anche con il nostro amore ricambiato, accettato come segno di riconoscimento del nostro valore dell’uomo verso l’uomo e con l’uomo. Penso che questo sia il valore del nostro pianeta, questa è l’energia per la vita. Bene, per tutto ciò Aspettando EXPO 2015 Nutrire la Persona e il Divenire della pedagogia clinica, rappresentano un unico indissolubile corpo per un unico percorso dell’uomo, della persona in tutti gli ambiti e gli aspetti della vita.
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Affronteremo e si affronteranno quindi qui in questa nostra rassegna internazionale tutti i temi del divenire della pedagogia clinica intrecciati anche alla nutrizione della persona e che aprono nuovi scenari nell’esplorazione dell’uomo e della sua vita di relazione. Ebbene, prima però di passare a introdurvi il Progetto di Aspettando EXPO 2015 Nutrire la persona, e che ci ha visti già impegnati nel Congresso Nazionale di Milano del 9 novembre 2013, se me lo permettete vorrei esprimere qualche breve considerazione sul divenire della pedagogia clinica. Il professor Guido Pesci, nostro presidente, luminare esploratore delle radici della pedagogia clinica, così riferisce: La pedagogia clinica è una nuova e più comprensiva scienza nata da un complesso organico di conoscenza proveniente da diversi campi di studio e di ricerca. L’accezione di clinico in estensione alla pedagogia definisce la finalità educativa come un’azione umana in aiuto alla persona e al gruppo. La pedagogia clinica ha una sua specifica competenza che trova nei fondamenti epistemologici i criteri di validità del sapere scientifico e con le scelte ausiliarie ad esse garantisce nuovi equilibri nell’uomo e nella società. Questa scienza ha acquisito metodi e scientificità clinica recuperando dalla pedagogia sperimentale, integrati da strumenti e modalità attuali. Procedimenti capaci di previsione e di verifica, di comprensione dei problemi o dei fatti con cui rilevare ogni potenzialità, abilità e disponibilità dei soggetti che richiedono un aiuto educativo. Per la pedagoga clinica la conoscenza di ciascun individuo è la condizione essenziale dell’opera educativa poiché essa deve adattarsi ai bisogni e alle possibilità di ogni persona. Osservare l’individuo significa tener conto della sua complessità, della sua globalità psico-fisica quindi comprenderlo. Dunque, per il professor Guido Pesci l’uomo è la questione pedagogica per eccellenza in quanto il modo di concepire la pedagogia clinica è strettamente legato al modo di intendere l’uomo, la sua stessa natura e il suo posto nel mondo. Rubo un po’ le parole da Arnold Gehlen, antropologo e filosofo per dire che la pedagogia clinica può esprimersi anche attraverso la ricerca filosofica, intesa come osservazione, lettura e raccolta dei risultati in una nuova e rinnovata visone dell’uomo, della vita e del mondo. Ma che sia anche capace di raccontare la condizione dell’uomo contemporaneo e la possibilità di una determinazione responsabile della propria natura. Se però la pedagogia clinica vuole occuparsi del tema uomo in modo adeguato, allora è necessario, altresì importante la domanda in modo altrettanto adeguato, in modo che i problemi di cui è risultata evidente l’insolubilità, come ad esempio il problema mente/corpo, non compaiono per nulla o restino ai margini. La domanda fondamentale allora è: da dove viene l’uomo anziché che cosa è l’uomo, e se poi la pedagogia cinica vuole mettere a punto e applicare ogni dispositivo pedagogico per mezzo di nuovi e propri metodi, tecniche, tecnologie sull’uomo a partire dalla sua nascita e lungo tutto il percorso della sua esistenza, allora è necessario una buona definizione dell’uomo intesa come entità unitaria e non duplice, come un organismo certamente particolare ma da determinare, da partire da un unico punto di visto mediante un principio, una chiave interpretativa che sia in grado di evitare la scissione di una realtà psichico-spirituale da una parte e una fisico- materiale dall’altra. Allora si tratta di rintracciare una soluzione mediante la quale la consistenza fisica e le prestazioni psichiche dell’uomo possono essere spiegate in maniera soddisfacente por poi poter pensare opportunamente e poter procedere ai rimedi per i suoi disagi. Ritengo che nell’ambito di questi nostri lavori congressuali e con il vostro contributo scientifico emergerà la soluzione e la risposta a questa domanda fondamentale. Bene, ora come coordinatore del Progetto Aspettando EXPO 2015 passo a riassumervi le linee generali. Con la dottoressa Alessandra Obinu e la dottoressa Michela Diani, abbiamo pensato di dare vita ad un progetto che avesse al centro del nostro pianeta la persona come suo naturale correlato la persona innanzi tutto e la persona sopra a tutto. La persona si pone attraverso i suoi bisogni specifici insieme all’accoglienza di questi bisogni che, spesso inascoltati finiscono con il diventare dei disagi. Il progetto Aspettando EXPO Nutrire la Persona ha pertanto in questa sua visione come obiettivo principale quello di informare-formare l’uomo come entità individuale e soggettiva ad una educazione di sé e del proprio corpo, poi in secondo luogo ha come obiettivo anche quello di favorire un viaggio nel proprio
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mondo individuale e sociale e stimolare una presa di coscienza consapevole e responsabile delle proprie abitudini, dello stile di vita e del proprio comportamento alimentare. Attenzione qui non si tratta di voler condizionare le scelte della vita della persona, ma solo di offrire un’occasione di riflessione su di sé, sul proprio ruolo sociale stimolando quelle risorse interne spesso del tutto inascoltate per questo inaccessibili. L’alimentazione e la nutrizione della persona sono i due aspetti fondamentali di questa riflessione, di questo viaggio e di questa presa di coscienza sulle abitudini e stili di vita, ma l’alimentazione e la nutrizione rappresentano anche due aspetti fondamentali della vita biologica in generale, fin dalle origini e questo perché l’energia della vita è legata ai suoi processi e alla loro evoluzione quindi anche all’evoluzione della nostra vita che a sua volta è legata alla nutrizione e all’alimentazione come in un circolo, un sistema chiuso dove gli elementi biologici, biochimici ed energetici sono tra loro interrelati e regolati in una sorta di cabina di regia dal nostro cervello. Bene di questi processi noi qui e ora ne siamo l’espressione e il prodotto finale come fenomeno attuale sia sotto il profilo biologico ma anche culturale e sociale. Nutrire il pianeta all’energia per la vita vuole trattare della innovazione della cultura, delle tradizioni, della creatività, dell’educazione, tutte legate al settore dell’alimentazione, del cibo, della nutrizione del corpo e della persona. Quindi la persona è al centro della nostra riflessione. Si vogliono proporre questi temi alla luce degli scenari globali e dei nuovi problemi focalizzandoli sull’asse principale del diritto alla vita ma anche e, soprattutto, sull’asse di una corretta alimentazione, sana, sicura e sufficiente per tutti gli abitanti della terra. Orbene la proposta rilevante del nostro progetto Aspettando EXPO 2015 è quella di utilizzare i mesi mancanti per l’apertura di EXPO 2015 per aprire un ampio dibattito con i grandi scienziati con i cultori delle varie discipline, con i rappresentanti delle varie istituzioni pubbliche e private per affrontare le tematiche dell’alimentazione e della nutrizione della persona. L’ambizioso programma pertanto è quello di arrivare a rappresentare alcuni punti fermi sul tema quali quello dell’educazione e di una corretta alimentazione sempre più necessaria perché correlata al problema che sta diventando sempre più grave ed esplosivo per le grandi malattie sociali della nostra epoca, tumori, obesità, anoressia, patologie cardio vascolari e psicosomatiche. Gli obiettivi principali del progetto saranno quindi da un lato valorizzare le pratiche educative che permettono di prevenire e pervenire alla soluzione di queste malattie, poi educare ad una sana e corretta alimentazione per favorire nuovi stili di vita, in particolare per i bambini, gli adolescenti, i diversamente abili e gli anziani; valorizzare la conoscenza delle tradizioni alimentari come alimenti biologici, culturali e etnici, infine valorizzare corpo e cibo come espressione di cultura e veicolo di socializzazione e comunicazione. Il progetto Aspettando EXPO 2015 Nutrire la Persona, in questa ottica si propone di sensibilizzare la popolazione sulle tematiche dell’educazione all’alimentazione e per raggiungere questo obiettivo si articola attraverso due strumenti principali e fondamentali, uno strumento da utilizzare nei mesi mancanti all’apertura di EXPO 2015 che si attiva promuovendo convegni, conferenze pubbliche, tavole rotonde sul territorio, e uno per attività di sensibilizzazione sull’argomento, coinvolgendo docenti universitari e professionisti esperti sulle tematiche salute e benessere, e diversi potranno essere gli workshop a tema, progetti di educazione sulla corporeità da condurre nelle scuole superiori della Provincia di Milano coinvolgendo l’assessorato competente. L’altro strumento invece da svolgersi durante l’Esposizione Universale EXPO 2015 è quello di lanciare uno sportello di ascolto pedagogico clinico chiamato spazio libero; questo lo considero un vero e proprio fiore all’occhiello Si tratta in questo caso di un sevizio rivolto ai visitatori, un momento di ascolto, incontro, formazione, confronto su nutrire la persona. Sportello di ascolto pedagogico clinico, uno spazio fisico ed emotivo atto ad accogliere i bisogni specifici espressi dalla persona e a proporre strategie di aiuto volte a promuovere il benessere globale. Questo progetto quindi, cari colleghi e partecipanti, è una opportunità per tutti, facciamolo nostro tutti insieme, e con il vostro contributo di ampia collaborazione, il Comitato Scientifico del Progetto Aspettando EXPO 2015, nella mia persona e delle colleghe Alessandra Obinu e Michela Diani, è a vostra disposizione.
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Claudio Rao Autorità di spicco per la categoria professionale il dott. Claudio Rao, presidente dell’EURO-ANPEC, Federazione Europea delle Associazioni dei Pedagogisti Clinici. Intanto un ringraziamento al prof. dr. Guido Pesci per quanto ha fatto fa e farà per la nostra professione e professionalità e un saluto a tutti i partecipanti. Quando mi hanno detto che vi avrei portato solamente il saluto dell’EUROANPEC di cui mi onoro di avere la presidenza sono rimasto un po’ deluso; avrei voluto più tempo per illustrarvi il ruolo di questa Federazione Europea a favore della professionalità dei Pedagogisti Clinici del vecchio continente. Qualche parola a chi ancora non lo sapesse, cos’è l’EUROANPEC. Nata nel 2004 la Federazione Europea delle Associazioni Nazionali dei Pedagogisti Clinici, è volta a garantire a tutti i pedagogisti clinici una formazione equipollente ed aggiornata per far circolare le informazioni tra le associazioni dei vari paesi e favorire la libera circolazione dei pedagogisti clinici nei paesi dell’Unione in conformità alle direttive europee. Un programma ambizioso e molto complesso che mette in gioco le relazioni con le amministrazioni nazionali dei paesi membri dell’Unione Europea o dello spazio economico europeo, spesso con normative molto diverse. Attualmente l’EUROANPEC ha tre succursali, nata a Bruxelles, conta una sede in Francia e una in Italia. Le comunicazioni avvengono per via informatica, principalmente in lingua francese e il continuo e regolare contatto con l’ISFAR ne tutela la scientificità e ne garantisce la qualità. Sostanzialmente l’EUROANPEC nata 10 anni fa per la tutela professionale della categoria, si sta evolvendo verso una supervisione europea degli standard e una riqualificazione della professionalità di professionisti e associazioni di vari paesi. A suo nome auguro a tutti voi un proficuo e illuminante lavoro. Grazie
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PRIMA SESSIONE I paesi del mondo a confronto su formazione professionale e orientamenti operativi per nutrire positivamente la persona Moderatore: Marta Mani
Pedagogista Clinico, Psicomotricista Funzionale, Docente ISFAR-Formazione Post-Universitaria delle Professioni
Suor Michela Carrozzino Delegata internazionale per l’ANPEC Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici e per l’ISFAR Formazione Post Universitaria delle Professioni
Monika Seifert Pedagogista, Docente di Educazione In-
clusiva all’Università Cattolica di Berlino
Elias E. Kourkoutas docente di Educational Psycology,
Division Department of Primary Education, Università di Creta
Elena Tanti Burlo docente di Psicologia Clinica e Educazione Inclusiva, Università di Malta
Colin Calleja docente di Pedagogia Università di Malta Barbara Baloh Dottore in Linguistica, docente di Didat-
Nenad Glumbic Facoltà di Educazione Speciale e Riabilitazione, Università di Belgrado
Muowffak Alkhafaji Head Iraqi Alliance for Disability-IADO
Oumar Diop dit Elhadj Coordinatore Handicap For-
mEduC/ CRPH-Centre de Ressources pour la Promotion des Droits des Personnes Handicapées
Basha Sami Docente di Pedagogia e Scienze dell’Educazione, Palestine Ahliya University - Betlemme / Palestine
tica della lingua e letteratura slovena, Università del Litorale, Facoltà di studi educativi di Capodistria, Slovenia
Monica Nicola Psicopedagogista, Psicomotricista, Docente Istituto Brasiliano di Medicina e Riabilitazione IBMR, Rio de Janeiro - Brasile
Örebro University, School of Health and Medical Science
terapeuta dell’età evolutiva, Logopedista
Birgitta Kimber Educatrice Speciale, Insegnante, PhD
Federico Bianchi di Castelbianco Psicologo-Psico-
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Una finestra sull’intervento di aiuto Marta Mani
Pedagogista Clinico, Psicomotricista Funzionale Docente ISFAR-Formazione Post-Universitaria delle Professioni Firenze, 1974, questa è la data in cui Guido Pesci assieme ad altri ortopedagogisti riuniti in un cenacolo presso il Centro Studi Antiemarginazione, decidono il passaggio dall’«Ortopedagogia» alla «Pedagogia clinica», ciò spiega perché oggi si solennizza il quarantennale. Si tratta di una evoluzione esponenziale di una scienza e di un professionista che si è inserito appieno nel panorama delle professioni intellettuali, con un’ottica di innovazione e di sviluppo della conoscenza scientifica, impressa da significativi contenuti, il cui potere è sostenuto dalla preparazione specifica e specializzata che eleva costantemente il livello di questo specialista a vantaggio delle esigenze da soddisfare, per la tutela dell’utenza e per il bene collettivo. Del divenire di questa scienza, di questa professione e di quanto la ricerca e la sperimentazione hanno potuto offrirci fino ad oggi possiamo rintracciarlo nei contenuti del video dal titolo Una finestra sull’intervento di aiuto che vi presento e che auspico sia per tutti voi fonte di riflessione ed elaborazione. Dal video Archivio ISFAR ANPEC La pedagogia clinica è la scienza di una educazione che si pone l’obiettivo di conoscere la persona attraverso una attenta analisi, e di aiutarla con metodologie adatte a renderla protagonista del proprio cambiamento. Inseguendo il principio della globalità l’analisi per la conoscenza della persona si riferisce all’individuazione delle Potenzialità Abilità Disponibilità (PAD) e delle aree di “educabilità”, e si attua con una procedura idonea a conoscerne ogni caratteristica e ogni manifestazione di condotta. I primi passi hanno inizio con l’accoglienza basata sulla spontaneità e cooperazione in un clima «simpatetico» ispirati al metodo Reflecting®. Occasioni di uno stare insieme in un ambiente organizzato che richiede un letto su cui far distendere la persona, un divanetto per sostare l’uno a fianco dell’altro, una parete attrezzata su cui lasciare traccia e un tavolo di cristallo indispensabile per instaurare una autentica relazione di scambio, o altrimenti uno spazio atelier diversamente corredato per accogliere piccoli gruppi. Il pedagogista in aiuto alla persona (clinico) deve essere capace di leggere all’interno di una situazione interattiva ogni repertorio semiotico e ogni produzione segnica, impegnarsi in un’analisi di tipo esplorativo e decifratorio delle fondamenta fenomenologiche, interazionistiche e didattiche; egli, nel riconoscere la persona ricca di risorse, analizza l’integrità e l’adeguatezza dell’efficienza e le cause dell’insuccesso. Deve opporsi perciò ai limiti delle singole manifestazioni, agli elenchi dei sintomi e ai sistemi di classificazione dei disordini e alle constatazioni di gravità del deficit secondo particolari “rubriche”. La verifica delle PAD Potenzialità, Abilità e Disponibilità è garantita con proposte esperienziali adatte a raccogliere indicazioni utili per promuovere un valido intervento di aiuto e si articola su un processo
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dinamico sequenziale che prevede l’Analisi Storica Personale, l’Analisi dell’autonomia e coscienza di sé, l’analisi dell’espressività grafica e cromatica, delle abilità espressivo verbali, dell’espressività motoria, delle abilità e disponibilità ad apprendere, oltre ad un’analisi attraverso l’utilizzo dei test. Alle modalità di accoglienza e ai progrediti criteri per la verifica delle PAD seguono conseguenti azioni orientate ad efficaci interventi. Ricerche sperimentali condotte dal Centro Studi Specialistici Kromos, Istituto di Ricerca e sperimentazione dell’ISFAR, hanno originato tecniche innovative rivolte a fronteggiare i tanti elementi di problematicità e complessità. L’elevato numero di nuovi metodi tecniche e strumentari protetti da marchio registrato viene acquisito durante la formazione della professione ed offre un valido contributo alla pratica pedagogica. Le esperienze motorie e ritmiche coniugate al suono-rumore sono orientate a facilitare la relazione e lo scambio comunicativo espressivo corporeo e verbale. Altre opportunità indirizzate al ritmo, al suono e al movimento, alle abilità distributive tonico-muscolari, appercettive e cinestetiche sono inseguite per riconoscere il valore del gesto ed acquisire una capacità a lasciare segni in campo vuoto e su parete attrezzata. Controllo del gesto grafico e rinforzo delle capacità di rappresentazione polisegniche trovano ampliamento e potenziamento nel rintracciare il Punto Egoico e da esso il Codice Gestuale Corporeo. Altre conoscenze ed esperienze sono perseguite attraverso l’enunciazione di una topografia corporea in relazione all’asse, la presa di coscienza dei punti di contatto e di singoli settori corporei fino a giungere con coreografie posturali in attenzione a se stessi, al proprio tono ed equilibro, ad una rappresentazione di sé in cui poter vivere ed esprimere i valori attivi di esperienze esploratrici. Il dialogo corporeo orientato ad offrire aiuto agendo sul tono muscolare e sul piacere tattile trova risposte utili in metodologie che permettono di liberare la persona da ogni stratificazione tensionale, premessa per ottimizzare il controllo di sé e sviluppare una conseguente capacità di rapporto con gli altri. Uno fra questi metodi è il Discover Project che, per mezzo di contrazioni e decontrazioni muscolari, oltre a promuovere la percezione propriocettiva, è orientato alla ricerca connotazionale dello schema corporeo, della disponibilità del proprio corpo a nuove capacità di adattamento all’ambiente. Con il metodo Trust System, basato su mobilizzazioni ritmiche e monotone, adatte a regolare il tono muscolare e ad assumere una maggiore abilità interpretativa e valutativa delle senso-percezioni, si permette alla persona di conquistare la calma psicofisica, sentirsi in una condizione di agio nel proprio corpo percepito come globalità, assicurarsi il controllo distributivo di sé e godere di uno stato di calma, di serenità e di fiducia; un dialogo corporeo capace di intessere percezioni vive che informano e sostanziano del piacere e della conoscenza, fondamentali per far affiorare quel sentirsi e parteciparsi e vivere con padronanza la propria immagine. Una modalità di azione con stili di scambio dialogico-tattili ci giunge dal metodo BodyWork che prevede esperienze di relazione adatte a favorire nella persona disponibilità ad abitare positivamente il proprio corpo, generando il piacere di aprirsi al mondo esterno. Esperienze tattili che alimentano vissuti appercettivo-comunicazionali, capaci di liberare il soggetto dagli stati di tensione e da tutto ciò che frena e inibisce, permettendogli così di riconquistare un’intima tranquillità emotiva e una diversa disponibilità nei rapporti di relazione.
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Il metodo si avvale di stimolazioni per risvegliare il piacere di sentirsi, dare figurazione ad ogni settore corporeo e raccoglierne una geografia e topografia corporea. Si tratta di preziosi effleurages, parole tattili, che sollecitano sensazioni efficaci in un dialogo con funzione socializzatrice e arricchente di esperienze emotive e modalità adattive. Il Touch Ball, altro metodo scaturito dalla ricerca e dalla sperimentazione, prende il nome dalla palla sonora brevettata, la palla vibro-cromatica, usata come intermediario per garantire alla persona la conoscenza e la consapevolezza del proprio corpo. Con il Touch Ball, il pensiero, l’influsso emotivo e l’intreccio nell’esperienzialità corporea accompagnano il processo di materializzazione del Sé in termini di immagine e di identità. Espressioni dichiarative verbali, frasi descrittive, affermazioni indirizzate a creare messaggi positivi, engrammi notificatori verbali, pensieri e convinzioni sono rintracciati da un processo cyberclinico di retroazione, che ha efficacia nel modificare azioni e manifestazioni nel soggetto. Le tecniche del metodo CyberClinica assai bene riescono a sviluppare immagini positive fino a far ritrovare il coraggio, la volontà, la stima, la fiducia e una nuova determinazione. Lo sviluppo della creatività per il pedagogista clinico è garantito da tecniche che si rintracciano nel metodo InterArt e che predispongono all’espressività di sensazioni, emozioni, sentimenti, a tutto ciò che suscita, incanta, meraviglia. Arte quale segno, ritmo, testi realizzati con linee, tratti, macchie, colori, con movimenti creativo-corporei o trasformando la materia amorfa fino a dotarla di un’anima. L’arte, vissuta come spazio, tempo, flusso, abilità e disponibilità a percepire e creare diviene nel metodo forza generatrice di entusiasmi, di piaceri e di nuovi intimi interessi. Attività espressive artistiche che traducono ciò che è vita e testimonianza di essa, ciò che è forma o figura riprodotta nell’ambiente. Impulsi che incitano, stimolano, simboli che offrono la base per molteplici possibilità espressive; cristallizzazioni di forme significative o simboliche che nascono dal sentimento e si traducono in medium espressivi dal valore maieutico. Metodo l’InterArt, che consente di cogliere, individuare, sentire, partecipare e maturare utili nutrimenti caratterizzanti ogni aspetto che rappresenta la vita. Alla formazione dell’uomo non potevano mancare le immagini narrative di contenuto fantastico o realistico, e le immagini in evoluzione, linea di congiunzione fra pensiero e sentimento, fra sentimento e azione. Immagini che, attraverso un moto emozionale e affettivo, producono nella persona idonee progettazioni da cui trarne materiale propulsivo per la propria evoluzione.
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Mediterraneo: dalla cultura teorica alla cultura pratica. Una buona prassi nell’ambito della disabilità. Michela Carrozzino fsmp
Delegata internazionale ANPEC Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici e ISFAR Formazione Post-Universitaria delle Professioni Premessa I lavori si aprono con una relazione di ampio respiro che ricorda come tutti noi operiamo in circostanze dove ormai è consuetudine ordinaria l’incontro di molte religioni, molte etnie, molte discipline. Di fatto tutti svolgiamo la nostra missione educativa nell’ambito di diverse culture, intendendo la parola cultura come «tutto ciò che attiene il modo di vivere delle persone» (E.T. Hall, 1959, 8). Il contenuto teorico e pratico di questo contributo è frutto di un confronto con molti Paesi realizzato attraverso incontri più che decennali organizzati dall’Associazione Mediterraneo senza handicap. Questa dizione «senza handicap» non significa Mediterraneo senza persone disabili – sappiamo, infatti, che la disabilità appartiene alla condizione umana – ma viene utilizzata «per indicare la volontà di un’azione concreta ed unitaria verso l’abbattimento di ogni tipo di barriera: mentale, sociale, culturale, architettonica e fisica»1. Mediterraneo senza handicap mira a far nascere una mentalità nuova verso i tanti mondi della disabilità. E lo fa creando occasioni di scambio nel più ampio raggio possibile. I vari Congressi che si sono svolti a partire dal 2001 hanno avuto, infatti, come finalità quella di creare spazi di espressione, ascolto e confronto; favorire, così, l’incontro di realtà profondamente differenti e promuovere il dialogo interculturale a livello allargato. Non dobbiamo mai dimenticare che la promozione del dialogo si fonda sull’accoglienza della diversità e sul riconoscimento di quest’ultima come una ricchezza da valorizzare; si basa sulla convinzione che il poter lavorare insieme, facendo convergere le varie conoscenze, esperienze e competenze, rende più qualificato il servizio alle persone disabili. Mi piace la definizione di dialogo come lo spazio dell’amore dell’uomo verso il suo simile. Esso ha un ruolo importante poiché offre la possibilità di sostenersi l’uno con l’altro, «di progredire insieme e riconoscere le diverse identità in modo costruttivo, sulla base di valori universali condivisi»2, così come si è M. Carrozzino, P. Ruffinatto, a cura di, Dignità e cittadinanza reale della persona con disabilità, Nuove Frontiere, Roma, 2009, p. 47. La parola “handicap” non rientra più nel linguaggio ufficiale mondiale e ciò è noto ai più. Ma allora perché l’Associazione ne conserva il termine? Il dibattito intorno al linguaggio e alla terminologia da adottare quando ci si accosta al mondo dei disabili è tutt’oggi ancora molto acceso. Le parole, infatti, veicolano precisi significati ed esprimono dei giudizi. Alcuni vocaboli nella prassi hanno acquisito un contenuto semantico negativo e dispregiativo o finiscono per favorire l’identificazione di una persona con la sua disabilità. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), con la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF), ha riconosciuto il rischio che alcuni termini possano rivelarsi stigmatizzanti. Alla luce di quanto essa dichiara si può affermare che il termine “handicap” non è adatto a esprimere il concetto di disabilità nella sua completezza. La disabilità, infatti, è l’incontro tra la persona e l’ambiente, cioè lo svantaggio (riducibile o aumentabile) relativo alle condizioni del contesto socio-culturale di riferimento. La parola “disabilità” diventa, così, un termine “ombrello” che identifica le difficoltà di funzionamento della persona sia a livello personale sia della sua partecipazione sociale. 2 Cfr. Ministri degli Affari Esteri del Consiglio d’Europa, Libro bianco sul dialogo interculturale. Vivere insieme in pari dignità, Strasburgo, 7 maggio 2008, p. 5. 1
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espresso il Ministero degli Affari Esteri a Strasburgo nel 2008. Inoltre, il dialogo «è indispensabile per la costruzione di un nuovo modello sociale e culturale […], che permetta a tutti quelli che vivono nelle nostre società culturalmente diverse di godere dei diritti umani e delle libertà fondamentali»3. In questi Congressi internazionali sono stati affrontati temi sulla disabilità che funzionano da asse portante. Il primo Congresso, dal titolo Mediterraneo senza handicap, è stato realizzato nel 2001 ad Hammamet (Tunisia). In quella sede i partecipanti chiesero all’unanimità di rendere questo tipo di incontro duraturo nel tempo. Successivamente nel 2003 a Lisbona (Portogallo) si è parlato di Una nuova cultura della disabilità; nel 2007 a La Valletta (Malta) Verso un nuovo umanesimo: etica e disabilità4; nel 2009 a Marsiglia (Francia) Dignità e cittadinanza reale della persona con disabilità5 e nel 2012 a Madrid (Spagna) I paradossi della disabilità. Autonomia Capacità Dipendenza6. Stiamo preparando il VI Congresso che si svolgerà a Milano nell’ottobre 2015 dal titolo Uguaglianze difficili e mondi della disabilità. Ogni evento internazionale ha registrato la partecipazione di oltre 300 rappresentanti, ha ottenuto il Patrocinio e la collaborazione di varie istituzioni governative, ministeri, organizzazioni, associazioni, università italiane ed estere, l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica Italiana e quello del Paese ospitante. Una coralità di approvazione che indica l’importanza delle tematiche trattate. Tutte le attività dell’Associazione vengono organizzate con la consapevolezza che è necessario superare i confini etnici, religiosi e nazionali perché l’esigenza di cercare risposte concrete a favore delle persone disabili non riguarda una sola cultura o una sola nazione, in quanto «ogni impegno per le persone con disabilità è un impegno per tutti i cittadini, perché la disabilità è una possibilità della condizione umana»7. È per questo che Mediterraneo senza handicap permette, da un lato, il confronto tra numerosi Paesi, e dall’altro riunisce, in accesi dibattiti culturali, anche professionisti operanti in diversi settori: educatori, pedagogisti, psicologi, personale socio-sanitario, docenti universitari, filosofi, teologi, politici e numerosi rappresentanti di associazioni. Tutti si trovano a dialogare e a confrontarsi anche con le autorità pubbliche e religiose. Tali incontri servono a creare e a sviluppare reti di relazioni sia a livello internazionale che locale, ma anche fra professionisti di diversi contesti culturali. Ivi, p. 53. Cfr. M. Carrozzino, P. Ruffinatto, a cura di, Verso un nuovo umanesimo: etica e disabilità, Comas grafica, Roma, 2007. 5 Cfr. M. Carrozzino, P. Ruffinatto, a cura di, Dignità e cittadinanza reale della persona con disabilità, cit. 6 Cfr. M. Carrozzino, P. Ruffinatto, a cura di, I paradossi della disabilità. Autonomia Capacità Dipendenza, Nuove Frontiere, Roma, 2012. 7 M. Carrozzino, P. Ruffinatto, a cura di, Dignità e cittadinanza reale della persona con disabilità, cit., p. 7. 3 4
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Mediterraneo ed educazione I Paesi dell’area euromediterranea, che in questi anni hanno condiviso la loro prassi pedagogica, hanno sviluppato fin dal secolo XX un sistema di norme e servizi che promuovono e garantiscono il diritto all’educazione della persona disabile. In particolare, in ogni Paese sono stati raggiunti alcuni traguardi: – sul piano legislativo, il principio del diritto dei disabili all’educazione; – sul piano dell’insegnamento e della ricerca in educazione speciale, la necessità di approfondire e sviluppare i problemi educativi delle persone disabili, garantendo negli ordinamenti didattici universitari percorsi di formazione specifici per gli addetti ai lavori; – sul piano politico e organizzativo, il superamento dell’idea della separazione-segregazione nelle scuole speciali, nella direzione della costruzione di sistemi d’integrazione e d’inclusione a 360 gradi. Ciò che ne ha reso possibile la realizzazione è proprio lo sguardo educativo sulla disabilità, ovvero la visione prospettica ed evolutiva sulla persona, attenta ad individuare i potenziali di sviluppo umano, sempre presenti anche laddove c’è il deficit. In definitiva l’educazione è un atto che costruisce le condizioni e le relazioni necessarie affinché fioriscano le capacità della persona. In questo modo si pongono anche le condizioni della sua emancipazione e libertà. Il Mediterraneo rappresenta simbolicamente il concetto di educare. Esso è definito «mille cose insieme» ma, con l’esperienza maturata nel corso degli anni, possiamo ben dire che il Mediterraneo è «mille differenze insieme»8. Così come lo è un atto educativo, il quale si compie su un crocevia di religioni, di popolazioni e culture differenti. Però, per non stare semplicemente a guardare ma per vivere le «mille differenze» è importante concretizzare il concetto di accoglienza. Accogliere le differenze significa prima di tutto credere che ogni persona umana può generare valore e questa mentalità contribuisce a sviluppare l’incontro tra diritti e doveri di ciascuno. Gli studi realizzati hanno messo in luce che la storia e l’antropologia, la sociologia e le tradizioni, la medicina e la pedagogia di questa aerea geografica delineano un credo pedagogico (tanto per usare un linguaggio di Pestalozzi e di altri) con elementi universali e comuni tali da poter essere assunti da tutti quei popoli che riconoscono che ogni essere umano è una persona. Su questa base si sviluppa l’intervento educativo della persona umana. Infatti l’uomo con la sua dignità, con le sue uguaglianze difficili e i suoi mondi individuali è tale in ogni capo del mondo. All’educatore rimane il compito di trovare tecniche e metodologie proprie per rispondere al vasto panorama dei bisogni educativi dell’individuo, nei diversi contesti ambientali. E per riuscire a fare questo è necessario una formazione che punti sulla crescita delle competenze e la qualificazione professionale connessi a una capacità di stabilire relazioni attive ed efficaci. Credo pedagogico del Mediterraneo I Paesi euromediterranei, a seguito di particolari processi di tipo storico, politico, istituzionale e culturale, sono pervenuti a una grande conquista di civiltà per ciò che riguarda i diritti fondamentali delle persone con disabilità. Se analizziamo l’area mediterranea ci troviamo di fronte ad una cultura in cui ogni persona reclama uno spazio per poter esserci. È la cultura dell’incontro, del sapere e del dialogo. È lo snodo delle civiltà più diverse. Il Mediterraneo è il mare delle battaglie. È lo spazio del commercio e del traffico di ricchezze, poche o tante che siano. È il luogo della competizione e della pretesa di cittadinanza. È il posto dove tutti vogliono essere protagonisti. Nel Mediterraneo non si può vivere senza accorgersi che l’altro esiste, 8
F. Braudel, Il Mediterraneo: lo spazio la storia gli uomini le tradizioni, Bompiani, Milano, 1987, p. 7.
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aldilà di ogni distinzione di razza, credo religioso, condizione sociale. È la riva che incanta con i suoi colori del sole e del mare e quindi nutre di positività i passeggeri che vi passano. È la spiaggia dove tutti vogliono approdare, a costo di rischiare di rimetterci la vita, per non rinunciare alla speranza di prendersi una manciata di felicità. Da tutto ciò che il Mediterraneo rappresenta nasce un manifesto pedagogico che racchiude in sé elementi educativi universali e comuni, condivisibili da tutti quei Popoli che riconoscono ogni essere umano come persona umana. In ogni persona vi è una «impronta di nobiltà»9. La persona umana, a qualunque livello viva la sua diversità, è preziosa già nella sua corporeità, e non solo nelle sue funzioni intellettuali e spirituali. Ha una dignità incommensurabile che le deriva per il semplice fatto di essere persona umana. Nessuno perde dignità e valore perché poco funzionale e/o non efficace nelle sue prestazioni. La persona vive di relazione e in relazione. È un essere sociale che ha bisogno di riversare il suo cuore in quello del fratello. Si nasce tre volte10: come persona umana, come essere sociale, come figlio di Dio. Quindi ogni progetto di vita non può fare a meno di essere centrato sulla persona, corpo e anima. Ma la persona è sempre inserita in un contesto ambientale, intendendo per ambiente la condizione di gruppo, di famiglia, di società. Capita anche di scontrarsi con le barriere ambientali che ostacolano e frenano il buon operare, lo sviluppo e la libertà della persona. Anche in queste situazioni, però, non ci sono scusanti perché i saggi dell’educazione affermano: «Quando una persona ha una voglia vivissima di bene rompe tutte le barriere»11. Tutti sono educabili: «se non si può infondere il fosforo nei cervelli mancanti si può sempre migliorare la condizione di vita»12. Il concetto di educabilità esprime l’elevata fiducia che si ha nella persona con le sue possibilità e nell’utilità dell’intervento educativo che concorre a trasformare le capacità in abilità. Ogni persona possiede un potenziale che le permette di crescere. Per questo è un dovere valorizzare le «capacità pur limitatissime» di ciascuna. L’educatore deve «ingegnare se stesso per cavare (estrarre) il meglio possibile»13, portando ogni giorno «novità» nel suo ufficio (attività). Ciascuno è chiamato a reagire in modo sano e positivo di fronte agli eventi duri e traumatici. Ci sono eventi e calamità che non dipendono da noi, ma provocano la nostra libertà. Se non abbiamo alcuna responsabilità in ciò che semplicemente ci capita, siamo invece responsabili per l’uso che facciamo di quanto ci è capitato. Ciò significa che nessuna circostanza, per quanto dolorosa, elimina la nostra libertà ma rende ancora più vero il fatto che gli esseri umani hanno bisogno di buone relazioni per saper far fronte alle situazioni più difficili e disastrose. Ogni individuo ha diritto di cittadinanza nella terra in cui vive. Ogni persona è chiamata a godere della propria libertà ma ogni libertà impone il rispetto dell’altro: di una persona, di una storia, di una tradizione. Questo modo di vivere educa alla pace e genera pace. Non si può vivere nell’indifferenza verso l’altro perché apparteniamo alla famiglia umana e siamo tutti fratelli. Nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale. Nessuno può sentirsi dispensato dall’assumere un comportamento tenace e costante nel sostenere, educare e includere nella società il fratello più fragile e con meno capacità. Tutti hanno diritto a nutrirsi di pane, di umanità, di istruzione e di spiritualità. Educare è opera di mano, di mente e di cuore. Tutti hanno diritto alla felicità intesa come piacevolezza dello stare al mondo con la propria fragilità e L. Guanella, Vieni Meco (1883, 1901), in Opere, Volume III, Centro Studi Guanelliani, Nuove Frontiere, Roma, 1998, p. 272. Cfr. L. Guanella, Andiamo al paradiso (1883), in Opere, Volume III, cit., p. 506. 11 L. Guanella, Massime di spirito e metodo d’azione (1888-1889), in Opere, Volume IV, cit., p. 24. 12 L. Guanella, in «La Divina Provvidenza», Volume II, Numero X - Luglio 1903 - N. 7, Nuove Frontiere, Roma, 1983, p. 52. 13 L. Guanella, Scritti per le Congregazioni, in Opere, Volume IV, cit., p. 443. 9
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debolezza, malgrado ogni menomazione e condizione di declino. L’amore alla vita rende capaci di accogliere la sofferenza e spinge ad andare sempre «oltre» per passare dal mondo dell’io al mondo del noi. Chi fa il più per le persone deboli e fragili meglio veglia sugli altri. La parola solidarietà esiste anche in ambito educativo. Indica molto di più di qualche intervento sporadico per la crescita della persona in difficoltà, ma esige un comportamento volitivo (deciso) e duraturo del prendersi cura dell’altro. Una buona prassi nell’ambito della disabilità Partendo dalla convinzione che una buona teoria non è mai sterile, diventa ancor più necessario il passaggio dalla divulgazione accademica alla prassi. Lo dimostra la risonanza dei Congressi internazionali presentati in più sedi nazionali e non (cfr. www. mediteraneosenzahandicap.org). Significativa da più punti di vista la giornata di studio svolta nel Mediterraneo orientale: “Da Marsiglia a Gibuti” (2010), con la partecipazione di rappresentanti di governi, ambasciatori e responsabili delle poche associazioni esistenti dei Paesi africani limitrofi tra cui Egitto, Etiopia, Yemen, Somalia e la stessa Gibuti. Il fatto che questi Paesi si siano ritrovati a discutere su un tema specifico Dignità e cittadinanza reale della persona con disabilità non ha solo offerto un’importante possibilità di confronto su valori universali condivisi, ma ha permesso loro di poter guardare come edificare l’ambiente delle città africane grazie all’utilizzo di nuovi strumenti. In sede congressuale, infatti, è stato presentato il modello di costruzione di una città senza barriere architettoniche. A questi territori che devono creare da zero il loro ambiente urbanistico (scuole, edifici, abitazioni, etc.) è stata data loro l’immagine di una città a misura d’uomo; un esempio di come costruire ambienti che facilitano il movimento della persona anziana, del bambino e della persona che si sposta con gli ausili. Accanto a questo tipo d’informazioni è stato fatto un discorso più strettamente pedagogico. Sono stati presentati una serie di metodi universalmente riconosciuti. Sicuramente è stata un’occasione propizia per ribadire che oltre a favorire momenti di riflessione, di studio e di confronto, è necessario promuovere e sollecitare servizi educativi concreti nei confronti delle persone disabili. Infatti, quando le conoscenze cadono in terreno pedagogicamente fertile e creativo esse generano quasi naturalmente progetti concreti. L’esperienza fatta conferma l’importanza di moltiplicare «buone prassi attraverso la diffusione di buona cultura»14. Questo è quanto è avvenuto a Gibuti con l’organizzazione del Laboratorio di Educazione e riabilitazione senza frontiere. Il progetto si è realizzato in più fasi e si sono previsti una serie di interventi differenziati e multisistemici. Si sono presi in considerazione: la scuola dove esisteva, l’abitazione che, a dire il vero, presentava pochi di quei requisiti che noi occidentali attribuiamo al concetto di casa, la strada e il laboratorio da noi strutturato. 14
M. Leonardi, in M. Carrozzino, P. Ruffinatto, a cura di, Dignità e cittadinanza reale della persona con disabilità, cit., p. 9.
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Sono state coinvolte differenti figure professionali, coordinate da un pedagogista clinico, il quale è riuscito a ricondurre i vari interventi (educazione, riabilitazione, alfabetizzazione, processi di autonomie, partecipazione sociale...) in un unico Progetto di vita esistenziale che riguardava ogni singolo bambino. Interessante la modalità con la quale ci si è mossi. È stata realizzata un’indagine preliminare, tuttora incompleta, non facile da eseguire per la condizione dei disparati villaggi, e finalizzata a conoscere la tipologia e il numero dei bambini disabili presenti nel territorio. Ne sono stati registrati 384. L’équipe costituita da educatore, medico, terapista, insegnante, pedagogista clinico e un’assistente, ha avviato un intervento a favore di circa 200 disabili (con un’età compresa tra gli 8 mesi e i 30 anni) nell’area di tre località: Ali Sabieh, Obock, Tadjourah. Come priorità si è puntato a coinvolgere personale locale dando loro una prima formazione. Sono state individuate alcune figure di educatori e/o di persone che avessero almeno una preparazione di base. In questa zona non sempre il personale ha seguito studi simili a quelli occidentali. Comunque, si è scelto di puntare con priorità a voler preparare e formare persone appartenenti alla comunità locale, disposte a farsi carico del lavoro di educazione, abilitazione, riabilitazione e cura delle persone con difficoltà. Si è allestito anche un laboratorio dove le stesse mamme sono state aiutate a entrare in relazione con i loro bambini. Alcune di esse si sono anche esercitate a praticare elementari tecniche di stimolazione ai piccoli. Queste le prime tappe attraverso le quali si sono create le basi per aprire sul territorio di Gibuti infrastrutture idonee ad accogliere e a prendersi cura delle persone disabili. È in atto, a Gibuti un progetto di scuola inclusiva: non organizzazione di luoghi speciali per i bambini con difficoltà, bensì la stessa scuola sistemata e programmata in modo da poter dare una risposta educativa a tutti. Una scuola che non ignora la difficoltà dell’alimentazione. Si è pensato anche ad elaborare un programma con attività volte ad insegnare ai bambini a coltivare orti in fazzoletti di terra approntati appositamente e il tutto facendo in modo che gli stessi bambini, tornando a casa, potessero essere aiutati dai genitori. Ma questa parte del Progetto non ha avuto grandi risultati perché è venuto a scarseggiare l’elemento principale: l’acqua. Tuttora la supervisione del Progetto di scuola inclusiva è affidata ad un pedagogista clinico, coadiuvato da altre figure professionali, tra cui anche un terapista della riabilitazione. Per la supervisione si utilizzano i nuovi strumenti online con cadenza bimensile, mentre due volte all’anno ci si reca sul posto soprattutto per continuare la formazione teorica e pratica del personale coinvolto. Negli ultimi anni Mediterraneo senza handicap ha avviato anche una collaborazione con la Nigeria e il Congo, Paesi dai quali è stata avanzata una richiesta di aiuto per la realizzazione di servizi rivolti alle persone con disabilità. Gibuti, Corno d’Africa, fanno parte del Mediterraneo orientale ma Nigeria, Kurdistan iracheno, e addirittura Congo e Senegal sono nomi che hanno poco a che fare con l’area mediterranea. In realtà, alla luce di quanto finora affermato, risulta evidente che il legame che può intercorrere tra loro è quello di poter condividere il decalogo del Manifesto pedagogico. Del resto per natura il Mediterraneo ha la sua singolarità nell’essere un “grande progetto” di rapporto con l’alterità. Si possono mettere in parallelo: come questo mare è un bacino di incontro e di vita aperto a tutti i popoli così, simbolicamente, l’associazione Mediterraneo senza handicap non può esimersi dall’accogliere coloro che ad essa si rivolgono, sia per partecipare a un dibattito culturale, sia per chiedere aiuto nella realizzazione di un progetto operativo. Riflessione finale È importante condividere ricerche scientifiche ed esperienze, modelli organizzativi e tecniche, favorendo la crescita della qualità dei servizi erogati. Questa necessità, però, non è valida solo a livello locale e naziona-
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le, ma anche a livello internazionale. Dal punto di vista legislativo l’importanza della cooperazione internazionale, infatti, è riconosciuta dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità15, dove si precisa di «facilitare e sostenere la formazione di capacità di azione, anche attraverso lo scambio e la condivisione di informazioni, esperienze, programmi di formazione e buone pratiche di riferimento; di agevolare la cooperazione nella ricerca e nell’accesso alle conoscenze scientifiche e tecniche» (art. 32). Alla luce di tutto ciò in questi anni l’associazione Mediterraneo senza handicap, attraverso le iniziative proposte e realizzate, si è molto impegnata per costruire, consolidare e allargare una rete di rapporti tra i Paesi dell’area mediterranea, tra istituzioni, enti pubblici e privati, coinvolgendo il mondo dell’associazionismo ma anche quello culturale e universitario, rappresentato da persone che lavorano, a diverso titolo, nel settore della disabilità. La sfida di Mediterraneo senza handicap, rimane quella di cercare di diffondere una nuova cultura affinché si possa imparare a leggere la disabilità con uno sguardo “nuovo”. Questa visione rinnovata deve stimolare delle buone prassi di cui servirsi nel formulare progetti e programmi per le persone disabili, a livello locale e internazionale. Il punto cardine è avere il coraggio di «guardare la disabilità con occhi nuovi». Questo sarà un modo per contribuire all’eliminazione di tutto ciò che ostacola la cittadinanza reale delle persone con disabilità e per richiamare le coscienze alla consapevolezza che spetta alla comune responsabilità costruire una società in cui sia possibile vivere insieme, in pari dignità.
BIBLIOGRAFIA F. Braudel, Il Mediterraneo: lo spazio la storia gli uomini le tradizioni, Bompiani, Milano, 1987. M. Carrozzino, P. Ruffinatto, a cura di, Verso un nuovo umanesimo: etica e disabilità, Comas grafica, Roma, 2007. M. Carrozzino, P. Ruffinatto, a cura di, Dignità e cittadinanza reale della persona con disabilità, Nuove Frontiere, Roma, 2009. M. Carrozzino, P. Ruffinatto, a cura di, I paradossi della disabilità. Autonomia Capacità Dipendenza, Nuove Frontiere, Roma, 2012. L. Guanella, La Divina Provvidenza, Volume II, Numero X - Luglio 1903 - N. 7, Nuove Frontiere, Roma, 1983. L. Guanella, Opere, Nuove Frontiere, Roma, 1999. Legge 8 novembre 2000, n. 328, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Ministri degli Affari Esteri del Consiglio d’Europa, Libro bianco sul dialogo interculturale. Vivere insieme in pari dignità, Strasburgo, 7 maggio 2008. OMS, Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute, Erickson, Trento, 2002. ONU, Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, 2007. 15
ONU, Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, 2007.
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Quality of life for people with profound multiple disabilities: an outcome of the quality of pedagogical support Monika Seifert
Pedagogista, Docente di Educazione Inclusiva Università Cattolica di Berlino Il mio intervento avrà a che fare con la parte delle persone che è spesso dimenticata nelle discussioni sull’inclusione e sulla partecipazione: le persone con profonde disabilità intellettuali che non possono parlare per se stesse. Molte di loro hanno deficit sensoriali o fisici parzialmente accompagnati da comportamenti oppositivi o malattie mentali. La situazione di queste persone è stata analizzata in uno studio europeo commissionato dall’Unione Europea (The specific risk of discrimination, 2008), di cui 12 stati hanno partecipato allo studio. Il risultato mostra che le persone con disabilità profonde sono il gruppo di cittadini maggiormente escluso nell’Unione Europea. Dato che non c’è un vero servizio di inclusione loro spesso passano la loro vita nelle istituzioni. Un’altra ragione per la discriminazione è la “percezione di una persona con profonda disabilità come incapace di assumere nella vita ruoli tradizionali e socialmente accettati” (vol. 1:4). Questa percezione accresce il pregiudizio e le attitudini negative contro questo gruppo di persone e le loro famiglie. Durante il mio lavoro all’Università di Colonia e di Berlino ho realizzato differenti progetti di ricerca sulla situazione degli adulti con profonde e multiple disabilità. Uno dei nostri argomenti principali era quello di trovare risposte su come la pedagogia potesse contribuire a migliorare la qualità della vita di queste persone. 1. La qualità della vita come obiettivo Internazionalmente il concetto di qualità della vita (QOL) è conosciuto come il concetto chiave per sviluppare e valutare sostegni, servizi e politiche per individui con disabilità intellettuali. In un costrutto multidimensionale influenzato da fattori personali e di ambiente circostante, ci sono componenti soggettive e oggettive, ma è principalmente la percezione dell’individuo che riflette la qualità della vita di cui fa esperienza. È basata sui bisogni dell’individuo, sulle scelte e sul controllo. La misurazione tiene conto di un approccio ecologico, che vede l’individuo che interagisce con ciò che lo circonda. Ci sono otto punti chiave importanti che interagiscono fra loro: - Benessere emotivo (sicurezza, ambienti stabili e prevedibili, feedback positivo) - Relazioni interpersonali (affiliazione, affezione, intimità, amicizia, interazione) - Benessere materiale (proprietà, possesso impiego) - Sviluppo personale (educazione e abilitazione, attività intenzionali e tecnologie assistenziale) - Benessere fisico (salute, mobilità, benessere, nutrizione) - Autodeterminazione (scelte, controllo personale, decisioni e obiettivi personali) - Inclusione sociale (supporto naturale, ambiente integrato, partecipazione) - Diritto (privacy, proprietà, processi giusti, e ambiente liberi da barriere)
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In conseguenza a fattori soggettivi l’idea della qualità della vita varia fra differenti persone (variabili inter e intrapersonali). Perciò il contesto per l’individuo deve essere creato in accordo con i bisogni, gli interessi e i valori dell’individuo. Fino ad ora non ci sono molti studi che riguardano la qualità della vita delle persone con disabilità multiple e profonde (PMD). Una spiegazione per questa attenzione limitata può essere trovata nel motivo che una valutazione della qualità della vita per questo preciso gruppo è una materia complessa e difficile. Ricercatori in Belgio e Olanda hanno realizzato uno studio con un questionario speciale per misurare i componenti oggettivi della qualità della vita delle persone con disabilità multiple. I risultati sono basati su un “approccio delega” che coinvolge tre tipi di informatori per ogni persona: 1) un membro della famiglia o un amico 2) un membro dello staff di supporto diretto 3) un membro dello staff di supporto indiretto (lo scienziato comportamentale, il terapista). Il valore di usare un “approccio delega” è discusso e controverso, molti ricercatori hanno cercato di valutare questo approccio facendo una comparazione fra le risposte dei delegati sulle persone che possono rispondere per se stessi con le risposte date dai soggetti stessi. In alcuni di questi studi, le risposte date dalle persone con disabilità intellettive riguardo la propria condizione di vita sono profondamente discordanti rispetto a quelle date dai loro prossimi e in altri casi sono in grande concordanza. Il ricercatore americano Schalock sostiene che il metodo di osservazione e osservazione partecipante sia il migliore per misurare la qualità della vita dal punto di vista di persone che non sono in grado di parlare per se stessi. Quando lavoravo all’università di Colonia ho realizzato uno studio sulla qualità della vita di persone con profonda disabilità che vivono nelle istituzioni nella regione tedesca del Nordhein Westfalen. Abbiamo provato ad approcciare la loro esperienza soggettiva e la loro percezione attraverso l’osservazione partecipante – sapendo bene che è impossibile identificare il reale punto di vista di una persona differente dalla prospettiva di un osservatore, il prodotto dell’osservazione riflette solo le impressioni dell’osservatore sulla soggettività dell’individuo. Abbiamo studiato la vita di tutti i giorni di 22 adulti dell’età di 21 fino a 55 anni. Molti di loro vivono in case residenziali speciali per persone disabili o case di cura. La grandezza dei gruppi di partecipanti varia fra 7 e 21 persone, e la composizione del gruppo è per la maggior parte omogenea con un’attenzione al livello di funzionamento. Noi osserviamo la giornata di vita di 22 residenti durante un totale di 800 ore. In questo periodo abbiamo visto situazioni positive, in cui i residenti si sentono bene e altre che si presentano più problematiche con influenza negativa nel loro benessere. In più abbiamo dati in aggiunta all’intervista con lo staff, dall’analisi dei documenti di un questionario che riguarda le condizioni della struttura ad esempio dati del personale, dimensioni e struttura del gruppo, le stanze, lo staff, le attività giornaliere il network sociale e l’ambiente. Ciò nondimeno il nostro studio riporta solo una piccola parte della loro vita. La realtà è complessa. Adesso voglio porre l’attenzione sulla rilevanza del concetto di qualità della vita nel lavoro pratico con persone con disabilità multipla. Io sottolineerò questo dandovi degli esempi tratti dalla registrazione delle osservazioni effettuate nella nostra ricerca a Colonia.
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1.1 Benessere emozionale Qualcuno vive emozionalmente bene quando i suoi bisogni di base sono soddisfatti, ad esempio il bisogno di conoscenza e di appartenenza, il bisogno di comunicazione e di interazione. Le esperienze emozionalmente positive hanno un effetto di rafforzamento sulla nostra auto stima. Ecco un esempio di interazione che è più che una funzione di interazione di base nel contesto di prendersi cura e di supporto. Il professionista si alza dal tavolo del soggiorno e si siede accanto a MSF e le accarezza le mani, naturalmente a MSF piace questo contatto corporeo, ride e sorride al professionista. Il professionista struscia il naso contro il naso di MSF e questo fa aumentare la gioia di MSF, mentre fa questo il professionista parla piano e benevolmente con lei. Una attenzione specifica è necessaria quando si tratta del benessere emozionale di persone con disabilità intellettive e comportamenti oppositivi o disabilità psicologica. Il comportamento di sfida può essere interpretato come un comportamento di profondo disagio nell’interazione fra individuo e ambiente. Questo sorge nei primi dialoghi fra genitori e figli e cresce e si rafforza nelle relazioni instabili o in altre situazioni traumatiche. Questa complessa correlazione mostra l’importanza di un supporto di altra qualità per questo gruppo di persone. 1.2 Relazioni interpersonali Le relazioni interpersonali sono le basi dello sviluppo, del poter credere in se stessi, della stima di se stessi e del benessere emotivo, ci aiutano ad affrontare le difficoltà. Se la tua abilità di comunicazione è limitata è spesso difficile stabilire una relazione. Sei dipendente dalla volontà delle persone intorno a te di comunicare e interagire. Questo comporta il rischio di isolamento. Lasciatemi fare un esempio: Dopo colazione un ospite è seduto nel soggiorno, dove rimane seduto fino all’ora di pranzo senza contatto con nessuno. Emette dei suoni, scuote le mani e sbatte il piede destro forte nella stanza. La rete sociale delle persone con profonda disabilità è molto piccola sono per la maggior parte professionisti e parenti (se ce ne sono). Perciò questo è uno dei più importanti compiti che il supporto pedagogico deve stabilire, mantenere e rafforzare il contesto sociale. 1.3 Benessere materiale Il Benessere materiale è il risultato dell’esperienza di potere chiamare qualcosa come proprio, per avere mezzi finanziari che soddisfano i desideri privati per vivere in condizioni di vita che uniscano i bisogni personali e lo stile di vita degli individui. È molto importante per le persone con disabilità profonda avere possibilità flessibile per prendere attivamente possesso del loro spazio di vita. Secondo questi bisogni necessita: - spazio per diverse esperienze sensuali, per una situazione di cura che rispetti i loro bisogni, la loro privacy e lo spazio per il relax; - aiuto per l’orientamento nello spazio attraverso segni particolari visuali, tattili o acustici che proteggano dal rumore che causa stress, e al sicuro per evitare incidenti o ferite mentre ci si muove da soli e quando si usa l’ambiente circostante (vetri di sicurezza, mobilio robusto); - lo spazio per regolare autonomamente la vicinanza o l’allontanamento dalle persone; - spazio per rafforzare la propria autonomia (ad esempio attrezzare una camera singola); - spazio per muoversi in maniera soddisfacente e non impegnato; - spazio per sfogarsi e sfogare l’energia durante una crisi; - un design architettonico che da una parte aiuta a vivere insieme al vicinato, aiutando l’integrazione e accettazione, e dall’altra che garantisce il diritto e il desiderio di privacy da entrambe le parti. Da non dimenticare le infrastrutture (ad esempio negozi/servizi) e servizi di trasporto che permettono la mobilità possibile a persone con profonda disabilità.
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1.4 Sviluppo personale Le persone con disabilità profonda dipendono dal sostegno permanente che ispira il loro sviluppo, rafforza la loro autonomia e forma la loro identità. Ci sono diverse possibilità nella vita residenziale, a prendere parte ad attività comuni, che sviluppano competenze in settori importanti singolarmente, secondo i singoli interessi e capacità. Questo può aprire ulteriormente lo spazio di libertà e di rafforzamento della fiducia in se stessi. È spesso difficile capire le preferenze, i desideri e i bisogni delle persone. Ecco perché lo sviluppo di capacità comunicazionali è di sostanziale importanza. (Augmentative and Alternative Communication Comunicazione Aumentativa e Alternativa). - Un esempio: Un professionista prende una cartella, in questa cartella ci sono foto di MSA e del suo ambiente, due foto con cibi e bevande, una foto con il bagno, tre foto con la toilette, pannolini e situazioni di sonno, tre foto con giochi. Il professionista mostra a MSA la pagina con i giochi e la incoraggia a scegliere il gioco con cui giocare. 1.5 Benessere fisico Il Benessere fisico è di particolare importanza per le persone con disabilità profonde. La loro salute è spesso debole, l’igiene personale e l’alimentazione richiedono una particolare attenzione; movimento e relax devono essere in un buon equilibrio, la sicurezza per evitare ferite deve essere organizzata. Anche le condizioni di dolore, causate da piaghe da decubito, contrazioni delle giunture, dolori alla schiena o infiammazioni della gola, a volte anche causati dall’utilizzo di dispositivi non correttamente utilizzati, devono essere strettamente osservati. Benessere fisico non è solo il risultato di accordi di cura medica e terapeutica condotti da professionisti. Le ricerche nel campo della pedagogia per le persone con disabilità dimostrano che l’orientamento sulle esigenze individuali nelle interazioni assistenziali creano benessere, pertanto, aspetti sensoriali ed emotivi sono essenziali per il processo di cura. Un esempio dalla ricerca di Colonia Quando si cambiano i pannolini i professionisti cercano di rendere la signora C. pro attiva, e viene invitata dal pedagogista che le prende le mani per tirarsi su in posizione verticale. Quando si pettina, si lascia la signora C. giocare con il pettine. Sente le due estremità del pettine, si gratta la guancia con esso. Le viene dato il phon e la signora ci gioca, lascia che l’aria le vada in faccia si orienta il phon in giro, lo sente, lo tiene al suo orecchio. Mentre si cambiano i pannolini, si pettinano e si asciugano i capelli e il professionista e la signora C. ascoltano la musica. Nei posti residenziali gli ospiti non possono avere esperienza della propria individualità durante il processo di cura. Sono abbigliati con i loro pigiami e pannolini, sono portati nel bagno e lavati da un membro dello staff. Qualcuno viene spogliato nell’ingresso e aspetta nudo fino al turno della doccia. La tenda della doccia chiusa e viene lavato rapidamente. Gli ospiti non possono prendere parte attiva nel farsi la doccia. Nel bagno il membro dello staff li asciuga con un asciugamano, poi li indirizza di nuovo nel corridoio, dove un altro membro dello staff li fa sedere su una sedia e li veste. 1.6 Autodeterminazione Le persone con disabilità profonde, che non possono parlare per se stessi, hanno bisogno di particolare sostegno per sviluppare l’autodeterminazione. La pedagogia per questo aiuta a: – essere in grado di capire le esigenze individuali e di comunicare – scoprire le proprie potenzialità, competenze e capacità, di organizzare la propria vita – soddisfare il proprio affetto e interessi - ottenere il massimo controllo sulla propria vita
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Questa è la filosofia del rafforzamento. Si basa sulla convinzione fondamentale nella crescita individuale di tutti, indipendentemente dal tipo e dal livello della propria insufficienza. Punto di partenza è la volontà dei professionisti di impegnarsi in una relazione dialogica, che dà lo spazio per scoprire come una persona con disabilità profonde sente, quello che lui/lei percepisce, i bisogni, per accettarli e reagire a questi. Le persone con disabilità hanno le opportunità di influenzare direttamente alcune cose della loro vita nei campi elementari, ad esempio nella scelta di cibo e bevande, igiene personale e nelle attività del tempo libero. Esse mostrano la loro approvazione, il loro rifiuto o diniego in vari modi, per lo più non verbalmente attraverso atteggiamenti specifici, ad esempio attraverso suoni, espressione del viso, i gesti e la postura. Ad esempio per la cena ci sono due piatti di cibo semisolido, per la signora L. in un piatto c’è un po’ di stufato (il resto del pranzo di oggi), e in un altro c’è del porridge dolce. Un membro del personale mi dice che la signora L. (che è cieca) a volte preferisce piatti dolci ed è per questo che le vuole offrire entrambe le varietà (...) Un membro del personale comincia a nutrire la signora L. con lo stufato e prende atto della sua reazione, dopo due cucchiai passa alla porridge dolce e la signora sembra illuminarsi. Essere in grado di decidere è strettamente connesso con l’esperienza della propria efficacia; una esperienza che suscita la consapevolezza di avere il controllo della propria vita. Tali esperienze non sono evidenti nella vita delle persone con disabilità profonde. Le loro interazioni con l’ambiente sono per lo più rappresentate da rapporti asimmetrici, con il rischio di portare ad un abuso di potere e violenza (Dederich, 2007: 139). Ecco una scena da una casa di cura, dove il signor U. cieco vive, costretto a letto, con molteplici disabilità. La scena non è straordinaria, accade ogni giorno. Il membro del personale ha preso un piatto con un pezzo di pane tostato con carne fredda e versa il caffè caldo su di esso. Mescola tutto fino a quando non ha la consistenza di un porridge. Poi versa il caffè in una tazza, aggiunge due pillole e aspetta che si sciolgano. Poi va dal signor U. e gli allaccia un tovagliolo intorno al collo [...]. il signor U. apre la bocca immediatamente, ma fa una smorfia dopo il primo boccone, e chiude gli occhi con forza. Il membro del personale impiega parecchio tempo per fargli riaprire la bocca. Quando il signor U. sente il cucchiaio alle labbra di nuovo, chiude la bocca e si rifiuta di aprirla di nuovo. Il membro del personale poi tira il labbro inferiore con le dita, e lo costringe ad aprire la bocca. [...]. Il signor U. emette un lamento. Un altro esempio da un colloquio con un membro del personale in una casa residenziale per le persone disabili con difficoltà di comportamento: Intervistatore: “Come si fa ad affrontare la situazione in cui un paziente è molto scontento della bevanda che gli viene offerta. Diciamo che offrendogli del tè alla frutta capita che diventi aggressivo. Ti arrendi e soddisfi i suoi desideri? - Membro del personale: “Assolutamente no. Devono bere quello che viene servito, a volte faccio il tè nero, ma non dovrei. La scelta non può dipendere dal suo umore dobbiamo dargli quello che vuole solo per farlo contento? Niente da fare”. L’ospite ha 44 anni. Per sostenere le persone con disabilità profonde nel pianificare la loro vita per una maggiore auto determinazione, soprattutto il tempo per iniziare a lavorare e uscire di casa, la Pianificazione Centrata sulla Persona (PCP) e la Pianificazione del Futuro Personale (PFP) si sono dimostrate utili. Questi metodi coinvolgono le persone disabili attivamente per scoprire i desideri individuali e i propri obiettivi, sostenuti da una cerchia di persone, che sono vicino e che cercano di trovare il modo di soddisfare i desideri e gli obiettivi insieme. 1.7 Inclusione sociale L’Inclusione sociale implica, che le persone con disabilità profonde prendono parte nella società come cittadini uguali e che ottengono il sostegno necessario. I membri del personale delle istituzioni e dei servizi rivestono un ruolo fondamentale sul modo di prendere parte in comunità per favorire l’inclusione e il loro concetto di sé professionalmente. Ciò significa che il lavoro finora concentrato sull’individuo ha
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bisogno di un ampliamento della dimensione socio-spaziale per lo sviluppo della comunità. Essi devono acquisire competenze, che supportano i processi che portano avanti l’inclusione. Essi devono “costruire ponti” verso i vicini e altre persone nella zona durante il giorno, in collaborazione con i centri sociali, i club, le comunità religiose e le altre associazioni e località comuni, che danno impulsi per aprire l’infrastruttura locale per le persone con disabilità. Quando questo gruppo di persone dovrebbe essere riconosciuto come persone con ruoli sociali, che dimostrano similarità con persone senza disabilità (nel vicinato ad esempio, o come clienti in un supermercato, o nella condivisione di attività ricreative), e non persone con ruoli, che sottolineano la differenza (ad esempio come i residenti di istituzione, per lo più visto in gruppi), nel migliore dei casi l’ambiente sociale dovrebbe essere stimolato a vivere in una collettività. Come esempio vorrei descrivere una situazione di shopping con un uomo con profonde disabilità multiple. Lui è cieco e non può comunicare verbalmente, ma può mostrare la suo approvazione o disapprovazione attraverso segni fatti con mano. E può percepire e distinguere profumi. La commessa ha imparato questa cosa dagli assistenti dell’uomo in una visita precedente al negozio. In una volta successiva la commessa utilizza questa sua conoscenza e stabilisce con l’uomo un dialogo senza parole che gli dà l’opportunità di prendere parte attiva nella scelta del dopobarba. Il membro del personale dice che vogliono comprare dopobarba per lui. La commessa sorride al signor W. Gli consegna delle strisce di carta [...] diverse fragranze vengono spruzzate sulle strisce di carta e il membro del personale permette a Mr. W. di sentire gli odori uno per uno. Egli non mostra alcuna approvazione o disapprovazione per i primi profumi. Invece cerca di scendere dal deambulatore e cerca di sdraiarsi sul pavimento. Il membro del personale non interferisce. Nel frattempo la commessa sceglie più campioni di fragranze. (...) Di nuovo il signor W. può sentire l›odore di vari campioni, fino a portare un campione più vicino al suo viso tirando la mano del membro del personale verso di lui. Il membro del personale prende questo come un segno che al signor W. piace il profumo. Dice al commesso che hanno intenzione di acquistare questo dopobarba. I contatti con le persone, che non sono collegati ad attività quotidiane professionali o familiari, possono essere la base per una rete di sostegno, in termini di aiuto, e offrono a donne e uomini con disabilità profonde la continuità di un rapporto personale. I volontari possono essere un’apriporta nella comunità, soprattutto per le persone che non possono organizzare i loro rapporti nell’ambiente circostante per conto proprio. Essi possono stabilire contatti e ridurre pregiudizi nei confronti di persone con disabilità profonde. 2. Diritti Una base necessaria per la realizzazione della qualità della vita in condizioni meno favorevoli è il quadro giuridico. È diverso nei vari paesi. Gli Stati Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità sono legati ai principi generali di questa Convenzione. Le persone con disabilità profonde hanno bisogno di sostegno per esercitare i loro diritti. 1. Il ruolo dell’aiuto professionale La maggior parte dei professionisti è consapevole della discrepanza tra le esigenze professionali e la loro realizzazione nella vita di tutti i giorni. Questo li mette sotto grande stress. Lo spazio per un lavoro, che soddisfa le esigenze delle persone con disabilità profonde, è spesso limitato a causa di condizioni insufficienti, ad esempio, solo per dirne alcuni: un gran numero di gruppi di soci, una composizione omogenea dei gruppi, insufficiente personale qualificato, un basso supporto professionale esterno, ampi compiti burocratici... Come fattori particolarmente stressanti nel lavoro quotidiano dei professionisti, possiamo nominare la mancanza di comunicazione con i residenti, gli atteggiamenti aggressivi e il rumore permanente. Il pericolo di burn-out e il turn over dei professionisti. La qualità della vita è strettamente legata con la soddisfazione del lavoro del personale. Un membro del personale la descrive così:
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Più siamo insoddisfatti, più i residenti si comportano follemente o in un modo oppositivo. Si rendono conto molto bene, se qualcuno di noi sta bene, è allegro o insoddisfatto, quando si rivolge scontroso verso di loro, è meno in grado di lavorare sotto stress. Questo atteggiamento li influenza chiaramente. (...) e quando è così, che i membri del personale sono frustrati e non hanno voglia di lavorare, il tutto esplode poi tra gli ospiti. Nonostante tutti questi problemi, molti membri del personale affermano, che essi amano il lavoro impegnativo con le persone con disabilità profonde (Hahn et al. 2004). Nel corso del tempo si sono stabilite relazioni piacevoli per entrambi ad esempio nei casi in cui: – i membri del personale vedono che il loro lavoro ha avuto successo, e questo successo si riflette nel benessere del residente – è possibile stabilire una comunicazione soddisfacente e l’interazione con i residenti. Gli esempi di vita quotidiana nelle istituzioni dimostrano che la qualità della vita dei residenti dipende fortemente dal modo in cui le persone si rapportano con loro. Diverse teorie e filosofie della scienza propongono differenti punti di vista antropologici, essi influenzano le loro azioni e il loro atteggiamento verso persone con disabilità profonde. Alcune domande illustrano le differenze di punto di vista antropologico delle persone che accompagnano e guidano il lavoro dello staff, delle domande illustrano il differente punto di vista: – guardiamo in primo luogo le menomazioni e disabilità della persona - o siamo ansiosi di scoprire l’eventuale potenziale di sviluppo? – siamo soddisfatti nell’interpretare comportamenti oppositivi in maniera speculativa o ricerchiamo episodi importanti nella vita di una persona? – vediamo le attuali condizioni di vita delle persone con disabilità profonde come dato o dobbiamo sviluppare una visione critica per i necessari cambiamenti? È essenziale sviluppare principi guida, per chi conduce il lavoro di questo gruppo di persone e bisogna trovare il modo di applicare questi principi all’interno del gruppo stesso. Questo funziona solo all’interno di squadre, dove i membri collaborano bene e lavorano l’uno con l’altro con rispetto, e in cui l’atteggiamento del management è esemplare. 3. Conclusioni I risultati dello studio di Colonia mostrano chiaramente i passi che sono necessari per il cambiamento e cioè: – consentire alle persone con disabilità multiple profonde di partecipare alla vita comune; – migliorare le condizioni strutturali che influenzano la qualità della vita; – formare il personale nel fornire qualità nell’aiuto; – individuare la cura. La realizzazione della qualità della vita per le persone con disabilità multiple profonde è strettamente connessa con l’atteggiamento di quelle persone che li frequentano che sono responsabili per le loro condizioni di vita: le persone impegnate nelle politiche sociali, i membri di organizzazioni di beneficenza, i servizi e istituti per persone con disabilità, così come i cittadini nelle comunità. Il cambiamento inizia nella mente.
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Creating spaces of learning and communities of practices to support teachers and children with difficulties in the Greece of crisis: the Inclusive Resilient vs Medical Model Elias E. Kourkoutas
Doc. Educational Psycology, Division Department of Primary Education, University of Creta In qualità di direttore di una serie di dipartimenti di educazione speciale per bambini a Creta seguo molti programmi orientati ai bisogni speciali, alle difficoltà socio emozionali e non solo fisiche. In particolare abbiamo un progetto sulla resilienza con l’Università di Brighton, una prospettiva olistica orientata al sostegno delle famiglie dei bambini a rischio e agli insegnanti. Questo supporto permette di espandere i loro ruoli e aiutare gli allievi più difficili e vulnerabili ed evitare così ogni rischio di esclusione. Per tali finalità inseguiamo un modello che privilegia il corpo, l’esperienza corporea ed ogni espressione verbale, creare nel bambino la possibilità di dichiararsi sviluppando la disponibilità all’interazione di scambio comunicazionale, un modello alternativo a quello medico diagnostico descrittivo e non dinamico che nasconde l’intima storia del soggetto distorcendone la visione. Il nostro è un processo pedagogico clinico proprio di una dottrina la cui opera segue quello dello sviluppo della persona nella sua totalità e nei suoi slanci, nelle sue interazioni con l’ambiente con la volontà “garantire l’acquisizione di competenze e abitudini adeguate” (G. Pesci). Il nostro pensiero filosofico è infatti vicino alla concettualizzazione del Dott. Pesci mosso dall’idea “di nutrire la persona” (mentalmente) in ogni suo aspetto che la caratterizza. Nel nostro modello concettuale, le difficoltà che vivono i bambini sono viste come un segno di sofferenza interna o esterna, un fallimento nello sviluppo del loro potenziale, l’incapacità di reagire e gestire le sfide dovute ad una crisi individuale e/o familiare. Da ciò il bisogno di un modello che ci permette di ottenere una visione approfondita delle complesse dinamiche del sistema relazionale del bambino e come esso sperimenta il suo stesso sistema, i cambiamenti e le proprie esigenze. Esempi Clinici Gli esempi clinici a cui possiamo fare riferimento sono in gran numero, qui alcuni esemplificativi: - Un bambino che non è aiutato a superare il dolore per il padre malato e un bambino che fa esperienza
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del divorzio dei genitori, può esprimere la sua rabbia o tristezza o disperazione attraverso un comportamento distruttivo a scuola; – Un adolescente che è intrappolato in un conflitto con i suoi genitori autoritari o indifferenti potrebbe emanare la sua frustrazione e la sua incapacità di soddisfare i suoi bisogni di sviluppo per la creazione di un senso solido e prezioso di sé attraverso un comportamento auto-distruttivo o anti sociale; – Un bambino che non riesce a trovare un posto socialmente prezioso nella sua classe a causa di difficoltà di apprendimento potrebbe sviluppare un senso depressivo di sé o di un atteggiamento aggressivo se viene da famiglie in cui il potere e il comportamento aggressivo sono l’unico mezzo per risolvere i problemi. In questi esempi in cui le conflittualità eccellono si ha conferma che aumenta il tasso di obesità, ciò che sta accadendo durante l’attuale crisi economica della Grecia. La spiegazione si può rintracciare nel fatto che quando i bambini sono sotto stress o hanno una insoddisfazione o insicurezza a causa della mancanza di lavoro dei genitori, il cibo diventa uno sfogo o una compensazione antidepressiva che il bambino adotta per sopravvivere ai sentimenti di abbandono e di disperazione, in risposta alle condotte genitoriali, al loro essere nervosi, depressi o aggressivi; casi in cui il corpo diventa un recipiente dei bisogni del bambino ed i disagi si mutano in comportamenti negativi. Da questi esempi appare chiaro il bisogno di modelli che considerino il disordine non solo come un riflesso della patologia individuale, ma piuttosto come il risultato di sottostante realtà emotiva del bambino e dei processi transazionali tra fattori individuali e contestuali. I modelli medici basati sulla tradizione sottovalutano l’esperienza soggettiva, e de-contestualizzano i problemi del bambino o il suo comportamento problematico. Essi piuttosto si concentrano esclusivamente sui deficit e sui sintomi descrizione-riduzione, e non a esplorare il potenziale impedimento o il miglioramento dei bambini, dei genitori, o le competenze degli insegnanti e le capacità per affrontare le sfide esistenti. Ne consegue che al posto dei singoli trattamenti psichiatrici medici, abbiamo bisogno di sviluppare modelli olistici e multidimensionali che integrano componenti psicosociali sistemiche e individuali, gli aspetti e gli obiettivi, e utilizzano metodologie e strumenti innovativi. Modelli che considerano i bambini, i genitori, e gli insegnanti punti di forza e capacità a promuovere i processi socio-emotivi e le capacità relazionali di tutti i soggetti coinvolti, offrendo uno spazio terapeutico e di relazione e un ambiente di sostegno attraverso una assistenza specialistica. Con questo nostro orientamento ci siamo mossi per promuovere un’osservazione delle necessità e una modalità di intervento riguardante la realtà dell’infanzia, i disturbi e le difficoltà. Ne è scaturito che l’attuale crisi socio-economica ha amplificato e moltiplicato i problemi esistenti e ne ha creati di nuovi. Tra il 12% e il 30% di tutti i bambini in molti paesi europei e statunitensi sono emerse difficoltà socio-emotive, esigenze non soddisfatte e non adeguatamente considerate. I bambini nella scuola elementare con problemi sociali, emotivi e comportamentali hanno tre volte più probabilità di essere sospesi o espulsi rispetto ai loro coetanei; il 50% degli adolescenti con problemi di comportamento vanno fuori dalla scuola. Da ciò la necessità di progettare più efficaci modelli di salute mentale nelle scuole basati su concezioni orientate sulla condotta e sulle emozioni. Oltre a ciò occorre tener conto che i genitori e gli insegnanti sperimentano alti livelli di stress quando hanno a che fare con studenti difficili, o con casi di bambini maltrattati o disabilità gravi e questo impone ai professionisti chiamati a sostenere insegnanti e genitori di aiutarli affinché possano essere comunque di valido supporto nei confronti degli studenti a rischio. Sono professionisti che hanno bisogno di mediare tra bambini problematici o vulnerabili, genitori e insegnanti, al fine di rafforzare i loro legami ed evitare conflitti e attriti. Si è reso indispensabile creare spazi di condivisione delle esperienze, dei Communities of Partnership and Practice (CoPP), dove por-
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tare ognuno la propria esperienza, che hanno dimostrato di poter ottenere un notevole cambiamento nella scuola e nella pratica della psicologia educativa. Molti programmi basati sulla resilienza che si concentrano sulla promozione degli aspetti socio-emotivo per i bambini, con l’obiettivo di utilizzare metodi innovativi per risolvere i problemi, sono stati implementati all’interno di contesti scolastici, e gli interventi basati su Resilienza e Resistenza hanno dimostrato di creare ambienti più protettivi per i bambini di fronte vari rischi (Doll, 2013; Hart and Blincow, 2007; Winslow et al., 2013); così anche altri approcci olistici e sistemici che integrano gli interventi individuali per bambini e adolescenti sono stati riconosciuti come molto promettenti ed efficaci per soggetti gravemente disturbati o disturbanti (Hellenger et al., 2010; Kazdin, 2000; Ogden et al., 2006; Weare, 2005; Weare & Gray, 2003). Un valido contributo è pervenuto anche, ed in particolare, dalle strategie e tecniche di intervento, modelli multisistemici ed eclettici (arteterapia, programmi psicosociali, tecniche psicodinamiche, ecc), multidisciplinari (terapia educativa, linguaggio, arte terapia, lavoro sociale), e integrativo (individuo, famiglia, scuola) (Goldenthal, 2005; Dishion & Stormshak, 2007; Kourkoutas, 2012). Quadro teorico della Resilienza Integrativa (modello psicodinamico) Questo nostro quadro teorico si basa sulle teorie relazionali-psicodinamiche contemporanee (Fonagy et al., 2004; Sroufe et al., 2005), la teoria dell’attaccamento (ad esempio, modelli operativi interni, modelli di attaccamento, schemi di connessione, modelli comportamentali), l’Approccio Sistemico Transazionale (Sameroff, 2004), teorie correlate sul trauma (Greenwald, 2002), Approccio intervento resiliente, positivo e con cognizione (Hart & Blincow, 2007), dati sulla famiglia e contestuali-fattori ecologici (ad esempio il rischio di scuola e fattori protettivi). Quadro delle caratteristiche del nostro modello di lavoro Gli elementi chiave del nostro lavoro sono molto critici: a) Concentrarsi sulle relazioni; b) Concentrarsi sulle emozioni e su come consentire ai bambini di mentalizzare i loro conflitti interni, i sentimenti distruttivi, i traumi di processo e di angoscia, le sfide esterne. L’intervento scolastico per bambini con problemi comportamentali ed emotivi prevede un approccio basato sulla persona e la sua evoluzione, una valutazione dinamica formale e clinica di abilità del bambino in contesti specifici, il focus sul comportamento e sulla funzione socio-emotiva e cognitiva (modelli e schemi). L’inclusione dei genitori e degli insegnanti nel processo di intervento richiede la combinazione di incontri individuali e di gruppo, l’integrazione di interventi psicoterapeutici, consulenza, e tecniche psicoeducazionali. Una complessità di aiuti condotti con particolare attenzione per trovare strategie che consentano ai bambini, ai genitori e agli insegnanti di sviluppare le proprie capacità e potenzialità. Intervento con il bambino: Accettare il bambino nella sua unicità; Stabilire un rapporto rispettoso; Andare oltre il sintomo; Offrire uno spazio protetto; Partecipazione del bambino a situazioni incoraggianti con programmi socio e psico-educazionali. Si tratta di accettare il bambino e stabilire con lui un rapporto di rispetto e di fiducia in uno spazio in cui gli stress, le ansie, le esperienze di rigetto vengono evitate per promuovere opportunità incoraggianti le diverse attività. Aiutare il bambino a far parte del gruppo, capire e dare voce ai suoi sentimenti, contenere ad un tempo quelli distruttivi. Un aiuto al bambino per metterlo in grado di ricollegarsi con la sua realtà interna ed esterna.
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Intervento con la famiglia: Valutazione della dinamica nella costellazione familiare; Sostegno familiare a lungo termine; Lavorare con le emozioni negative dei genitori, sfidando le idee stereotipate sulle condotte del figlio; Aiutare i genitori a sviluppare e individuare situazioni che promuovono stabilità; Favorire atteggiamenti realistici e prospettive positive nel cambiamento; Migliorare la capacità dei genitori a riconoscere il punto di vista del bambino. Si impone con ciò di fare un lavoro con le famiglie stando dentro le problematiche per capire cos’è che crea lo svilupparsi di situazioni difficili; un sostegno per comprendere ogni valenza delle emozioni negative e aiutare le famiglie a sviluppare delle strategie e assicurare una comunicazione efficace con il proprio figlio. Intervento con gli insegnanti Lavorare con le emozioni negative degli insegnanti e le loro stereotipie comportamentali; Riconoscere i problemi degli insegnanti in presenza di bambini con disturbi o difficoltà; Aiutare gli insegnanti a comprendere la psicologia del bambino; Rafforzare le loro intuizioni e conoscenze; Porre l’accento sull’elaborazione di strategie specifiche; Enfatizzare l’importanza e la validità delle relazioni tra gli insegnanti e i genitori; Superare la resistenza degli insegnanti di lavorare in modi alternativi; Includere gli insegnanti in incontri con le famiglie; Aiutare gli insegnanti a capire le dinamiche familiari che sono fonti del disturbo o del disagio. Gli insegnanti trovano un aiuto dagli specialisti di psicologia infantile rivolto a superare ogni possibile confusione o incapacità di traduzione di ciò che genera il comportamento inadeguato del bambino. Un sostegno agli insegnanti anche per aiutarli a capire quali siano le ripercussioni di una famiglia incapace di gestire adeguatamente i propri figli, e trovare perciò risorse nel creare opportune relazioni. Come si vede non sono i servizi psichiatrici a dovere avere accesso nella scuola, poiché l’approccio necessario non è un approccio sanitario, bensì un approccio che nel promuovere la resilienza e l’inclusione richiede modelli di educazione orientati su una prospettiva olistica.
University of Crete
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Training of educators in transition: what competences for tomorrow’s society? Elena Tanti Burlo
Docente di Psicologia Clinica e Educazione Inclusiva Università di Malta
Colin Calleja
Docente di Pedagogia Università di Malta Comincerò con una storia a tutti noi piacciono le storie. Prima di tutto parleremo di come mai ciascuno di noi abbia iniziato il percorso di vita che ha fatto e credo che probabilmente tanti di noi potranno rispondere “perché abbiamo trovato qualcuno che aveva fiducia nelle nostre abilità”, nel nostro futuro. Io fino ai nove anni ho frequentato tre diverse scuole a Malta, questo perché a sei anni non riuscivo a leggere né a scrivere. Durante l’anno condotto nella prima scuola alle lamentele sollevate mia madre ha detto alle suore “io la porto qua, è il vostro compito farla leggere e scrivere”, ma le suore più tardi hanno detto che io dovevo ripetere l’anno, la risposta di mia madre, dettata dalla sua saggezza, è stata “se non avete avuto la capacità di insegnarle quest’anno cosa farete di diverso il prossimo anno, fate le vostre cose da sole perché mia figlia non ritornerà”. Allora sono andata alla seconda scuola che era un po’ difficile e da lì in una terza scuola, dove mi hanno accolta e c’era una suora Sister Lee che era una persona di un certo ottimismo e mi ha dato fiducia perché lei aveva fiducia in se stessa e nelle sue capacità e io credo che tutti noi abbiamo una piccola storia così da raccontare e che trova nel valore della fiducia reciproca ogni conseguente risposta. Vogliamo parlare del training, parliamo della formazione degli educatori e quali competenze sono richieste agli educatori, agli insegnanti del futuro. Un bambino senza un’educazione di alto livello è un bambino che non ha futuro, quindi è assolutamente necessario che diamo ai nostri bambini un’educazione con intensità qualitativa. Questa è l’idea generale della mia relazione, parliamo di competenze, delle diverse modalità di apprendimento da seguire per i singoli bambini. Ci soffermeremo sul ruolo degli insegnanti, sullo stress e le difficoltà che incontrano, la necessità di una disponibilità all’ascolto e di un atteggiamento positivo, sostegno e valorizzazione. Per quanto riguarda le competenze dobbiamo essere molto attenti a non restringerle, a non limitarle, bisogna verificare che gli insegnanti abbiano le competenze necessarie per far fronte alle classi e incoraggiarli a sviluppare le loro competenze; bisogna quindi vegliare e non essere riduzionisti. Le buone pratiche ci insegnano che non dobbiamo limitarci alla semplice verifica che i ragazzi abbiano dei buoni risultati a scuola. Non dobbiamo scordare che ci sono degli aspetti del comportamento umano che sono
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più facili da percepire che da insegnare, non c’è uno standard che è accettato universalmente e non c’è una definizione universale di competenza, si obbliga di passare da un’analisi del comportamento a un’analisi olistica e socio costruttivista. Il ruolo dell’insegnante, è quello di realizzare i sogni di coloro che imparano, i sogni degli studenti diventano realtà e noi, per questo, stiamo lavorando molto sui testi di John Hattie, sull’apprendimento visibile, ovvero in quanto insegnanti dobbiamo vedere l’apprendimento attraverso gli occhi degli studenti e cercare quindi di aiutarli a diventare degli studenti attivi nell’apprendimento. Quindi bisogna essere consapevoli dell’impatto delle pratiche dell’apprendimento e dei risultati ottenuti dagli studenti. Cos’è che fa la differenza nell’apprendimento? Dal grafico si può vedere che le parti più piccole, la casa, i compagni, contribuiscono al 5 %, alcuni ragazzi hanno una scuola con spazi ottimi che è una cosa importante ma in realtà conta per il 5% o 10% nei risultati finali, del resto ne ho avuto conferma dalle immagini di suor Michela in Africa qui al congresso, si nota che non ci sono delle scuole belle, ma la comunità è molto più solida rispetto ai nostri paesi. Anche noi quando siamo stati in Africa ci siamo accorti che l’inclusione è parte importante della loro vita molto più di quello che succede nei nostri paesi, noi abbiamo la tendenza opposta tendiamo a dividere più che a includere, le scuole hanno un certo ruolo, ma statisticamente si riduce ad un 5% -10% massimo, e il ruolo degli studenti è predominante. Quindi importante è capire chi è lo studente, qual è il suo ambiente a casa, da dove viene e quali sono le sue aspettative e di questo il riscontro è del 50% sui risultati e il 30% è determinato dagli insegnanti. Alcuni studi dimostrano che se prendiamo un bambino che ha avuto risultati per tre anni di fila con un buon insegnante questo bambino ha delle ottime possibilità ed è molto probabile che abbia successo nel futuro e che vada bene a scuola e questo è aumentato nei casi in cui ci sono bambini che hanno tre insegnanti buoni uno dopo l’altro. Un altro studio ha comparato due bambini uno con un buon insegnante e uno con un insegnante mediocre, hanno iniziato allo stesso livello di capacità e con un ambiente di provenienza simile, solo che uno di questi bambini aveva un insegnante buono e i risultati molto migliori rispetto all’altro che aveva l’insegnante mediocre. Questo riguarda molti dei sistemi educativi, sembra esserci una sorta di mantra, un rapporto comune, Sahlberg è il guru dell’educazione in Finlandia, era il direttore capo del ministero dell’educazione e adesso gira il mondo e parla del successo del sistema che lui chiama il fenomeno GERM ovvero un’educazione considerata rivoluzionaria. Secondo questo sistema bisogna standardizzare l’educazione, dare priorità alle materie più importanti e cercare di ridurre o limitare i rischi, modello nelle scuole che in realtà è molto simile al modello aziendale, ma sappiamo perfettamente che il modello aziendale non funziona nella vita scolastica. Vi dò un esempio, nel mondo aziendale se un lavoratore non è produttivo viene licenziato, nelle scuole non si può fare. Questo tipo di modello sta permeando il nostro sistema educativo, sono di ritorno dagli USA, sono andato in delle scuole in cui ho visto sistemi molto rigidi, basati prettamente sul sistema aziendale e devo dire che mi ha molto spaventato, si usano computer a iosa e qualsiasi azione fatta dagli insegnanti viene
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registrata, c’è un’enfasi eccessiva sull’idea del successo e soprattutto bisogna essere sempre responsabili di quello che si fa. Se dovessi darvi un esercizio da fare, vorrei che adesso pensaste a questi vari punti: - aspettative studenti - discussione in classe - feedback - abilità degli insegnanti - imparare a leggere - imparare insieme agli altri - i compiti. In base a questa lista mi concentrerò sui primi tre punti. Le aspettative degli studenti: gli studenti hanno aspettative molto alte rispetto al loro successo, e questo è l’elemento più importante nella riuscita, nel successo di uno studente. Hattei dice che se consideriamo lo 0 come punto di partenza allora tutto funziona, quindi anche attività come urlare o battere i piedi per terra possono funzionare, qualsiasi cosa che facciamo in un’aula ha un effetto, produce un effetto, quindi se prendiamo lo 0 come punto di partenza non ci serve per capire come funziona il sistema nella sua interezza, bisogna invece guardare da 0,4 in su e questi sono gli elementi che hanno veramente un effetto sul sistema educativo e vi invito a considerare il fatto che comunque le aspettative degli studenti sono il primo elemento. Per quanto riguarda le discussioni in classe queste sono molto importanti con 0,82 punti, creare un ambiente di dialogo in classe aiuta gli studenti a migliorarsi, ma in realtà questo è quasi proibito e sappiamo che al contrario può avere un effetto molto positivo. Dobbiamo dare un riscontro agli studenti che esso sia positivo, ma anche costruttivo, può essere una critica, ma anche un invito a ripensare a quello che si sta facendo, all’efficacia che potrebbe avere nel sistema educativo. Un’altra delle pratiche molto comune nelle scuole degli Stati Uniti è quella di decidere quando uno studente deve ripetere l’anno e questo è assolutamente non efficace (-0,13%), e sono perfettamente d’accordo con questo risultato dell’inchiesta perché anche io, personalmente, ho dovuto ripetere un anno e non mi è servito assolutamente a niente, è servito solo a discriminare. Queste liste le potete trovare nel libro di John Hattie “L’apprendimento invisibile” “Invisible learning” e vedete quali sono gli aspetti che producono effetti soddisfacenti e il programma che può realmente aiutare gli studenti nel loro sviluppo perché rispetta lo sviluppo di ogni individuo. In una ben costruita programmazione il ruolo dell’insegnante non è semplicemente quello di aiutare gli studenti a raggiungere il loro potenziale, gli insegnanti devono aiutare gli studenti ad andare oltre questo potenziale devono eccederlo quindi bisogna essere molto ambiziosi, bisogna chiedere ai ragazzi, quale è il voto che ti aspetti da un esame? lo studente ti dirà quale è il voto che si aspetta ma se molto spesso quando riesce meglio ottiene un voto più alto questo lo incoraggia moltissimo. Come possono contribuire gli insegnanti a migliorare l’apprendimento? Prima di tutto bisogna migliorare la qualità dell’insegnamento e non come percepito dall’insegnante ma come percepito dagli studenti stessi, ovvero come gli studenti percepiscono il metodo di insegnamento. Bisogna cambiare le aspettative degli studenti riguardo agli insegnanti, è stato provato che quando gli insegnanti si aspettano molto dagli studenti, gli studenti ottengono migliori risultati. Bisogna lavorare molto sulla valutazione, sull’apprendimento e sugli studenti stessi, bisogna che gli insegnanti siano aperti che si sorprendano, bisogna migliorare l’ambiente nella classe e concentrarsi sul modo in cui gli insegnanti articolano il loro discorso e che siano molto chiari sui criteri di successo e sui risultati da ottenere e bisogna anche che incoraggino lo sforzo. Quando ci rendiamo conto che gli studenti hanno fatto uno sforzo particolare e li incoraggiamo allora stiamo imparando a fargli avere successo, bisogna incoraggia-
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re tutti gli studenti e tutta la classe ad essere partecipe. Mi concentrerò solo su alcuni aspetti fondamentali per l’insegnamento: la passione, promuovere un linguaggio positivo, creare ambienti sicuri in cui gli studenti siano consapevoli del fatto che possono fare errori e che questo va benissimo perché impariamo dai nostri errori, fare in modo che gli insegnanti possono avere un riscontro, promuovere il principio di riccioli d’oro ovvero procedere per piccole fasi. L’elemento fondamentale nello stabilire la salute, la ricchezza e la felicità nella vita adulta non sono i risultati accademici, ma un sistema scolastico che eviti di spingere i nostri studenti fino all’esagerazione, fino allo stress. Ovviamente agli insegnanti stiamo chiedendo molto, il loro è un lavoro stressante, e quello che ci chiedono è il bisogno di formazione, di seguire corsi, specie per bambini con necessità speciali, formazioni per insegnargli a lavorare in un ambiente multi culturale, questo grafico viene da uno studio fatto da Italis che mostra le richieste degli insegnanti, dove al primo posto abbiamo la richiesta di preparazione per insegnare a studenti con difficoltà particolari. Molti insegnanti ci chiedono di aiutarli. A proposito è stato condotto a Malta una ricerca che si è basata sulla domanda: Qual è la cosa più difficile da gestire? Ne è emerso un quadro in cui si adombra la parte amministrativa, la gestione del lavoro, ma pure l’incapacità degli insegnanti di passare da un atteggiamento negativo a uno positivo, ciò che richiama Victor Frankle appunto sulla psicologia positiva, che ci rende abili di pensare al futuro e adattabili. Invece di dire che cosa non funziona dobbiamo capire che cosa funziona per poter aiutare gli altri, possiamo aiutare gli altri a sviluppare un sistema positivo e questo è fondamentale. Per concludere ci sono dei fattori protettivi che possono aiutare gli insegnanti a superare le esperienze difficili e dolorose, associate allo stress e all’esaurimento, e incidere favorevolmente anche sui ragazzi. Questi sono fattori efficaci, che i ragazzi abbiano la sensazione di essere parte di un gruppo con relazioni significative, essere più abili a sviluppare la capacità di risolvere i problemi a livello sociale ed amministrativo e avere la capacità di raggiungere dei risultati. La qualità dell’inclusione, afferma Salvatore Soresi dell’università di Padova, non dipende dai bambini ma dagli altri e noi facciamo parte di quegli altri, quando si parla di inclusività bisogna fare attenzione anche al fatto che i bisogni speciali tendono a minacciare il successo scolastico. Dobbiamo incoraggiare il successo, l’ottimismo, la resistenza, dobbiamo avere la possibilità di dare questi valori agli studenti. Soresi e altri hanno trovato quattro tipi fondamentali di insegnanti e del loro atteggiamento verso gli studenti: Pessimisti e scoraggiati 35% Moderatamente positivi 27% Molto positivi 21% Assolutamente pessimisti e completamente insoddisfatti 17% Dobbiamo essere attenti ai primi e gli ultimi perché sono coloro che tendono a sabotare il sistema e nelle nostre scuole elementari stiamo facendo invece una selezione degli studenti, stiamo dividendo quelli più bravi, intelligenti, da quelli meno bravi, alla faccia dell’inclusione.
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Che cosa dobbiamo cercare negli insegnanti futuri, dobbiamo cercare le caratteristiche prima durante la loro formazione o dobbiamo farlo durante il loro lavoro. Come dobbiamo cambiare il loro atteggiamento, possiamo chiedere quanto sono pessimisti, ma è difficile avere una risposta; dobbiamo guardare allo sviluppo professionale continuo e in realtà bisogna esseri sicuri di fornire il supporto adeguato per evitare che gli insegnanti arrivino all’esaurimento. Questa è una diapositiva interessante, ai tempi di oggi abbiamo bisogno di scuole, competenze professionali degli insegnanti, flessibilità, condivisione delle responsabilità, partecipazione, e perché no sentimenti positivi e utopia (Soresi) e credo che bisogna essere capaci di sognare in modo di dare un servizio migliore per aiutare i ragazzi ad imparare meglio. Vorrei cogliere l’opportunità di parlare di un seminario che si terrà a Malta a luglio che si chiamerà Let me learn e parleremo di un procedimento che si basa su come imparano i bambini e su come impariamo noi, e così possiamo usare il nostro potenziale per un apprendimento migliore.
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Alfabetizzazione nel periodo prescolastico e scolastico nell’area bilingue in Slovenia: il contesto, la progettazione, la prassi Barbara Baloh
Doc. Università del Litorale Facoltà di Studi Educativi Capodistria Slovenia La società di oggi è il risultato di cambiamenti sociali economici, politici, religiosi e culturali, dovuti a processi migratori che hanno portato mutazioni permanenti nel linguaggio e nella mappa culturale dei paesi. La diversità storico-culturale è segnata da un largo numero di minoranze etniche con cultura propria, propri valori e costumi, religioni, linguaggi e tipi di comportamento. Se vogliamo trasformare le società multiculturali e sviluppare una coscienza interculturale bisogna rispettare e accettare le culture differenti fin dalla prima infanzia. La cultura è comunque connessa in maniera inseparabile con il linguaggio che ne trasmette il senso e il significato, imparando una lingua noi ne apprendiamo anche il background culturale sostenuto dalla conoscenza della grammatica e dall’acquisizione di abilità di comunicazione. Il ricercatore sloveno Nives Zudic sostiene che più un individuo ha sviluppato un’attitudine verso la diversità culturale, più sarà sensibile e maggiormente capace di capire ed accettare l’ambiente interculturale in cui sulla base dell’esperienza personale forma il suo atteggiamento verso la diversità e conserva la relazione di tutti i fenomeni. In questo modo riesce ad applicare la conoscenza acquisita a tutti i livelli e a tutti i tipi di diversità culturale, e conservare lo stesso atteggiamento verso tutte le forme di diversità, indipendentemente dal tipo di cultura con cui si confronta. Il 2008 è stato dichiarato l’anno del dialogo interculturale, un programma a cui ha preso parte anche la Slovenia che divide l’area con due comunità nazionali autoctone (italiana e ungherese), e un gran numero di immigranti principalmente dalla ex Yugoslavia, e dalla Romania. Dalle ricerche del Migrant Integration Policy Index (MIPEX) che esamina in che misura le politiche di integrazione sono di fatto integrative, la Slovenia si classifica nel 2007 e nel 2011 al 18° posto fra i 31 partecipanti. Fra i sette criteri del MIPEX è sull’educazione che la Slovenia si classifica peggio, ma nonostante questo ci sono alcuni esempi di buone pratiche in cui si è tenuto conto di principi interculturali. Dopo essere arrivati in Slovenia, anche la prima generazione di immigranti bambini, quelli con la lingua madre diversa dallo sloveno e che non sono nati in Slovenia sono entrati nel sistema educativo sloveno senza che le istituzioni tenessero conto della nazionalità e lo stato legale dei genitori immigrati (persone con permesso temporaneo, rifugiati, in cerca di asilo politico, residenti con residenza temporanea o permanente, cittadini degli altri stati dell’unione europea, sloveni rimpatriati e lavoratori migranti appena tornati in Slovenia) o la loro conoscenza dello sloveno come lingua.
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L’integrazione dei bambini immigrati è governata dalle seguenti leggi e documenti: - Elementary School Act (1996-2007-2012) permette ai bambini immigrati di imparare la lingua e la cultura slovena (un corso di sloveno come lingua ufficiale del paese) e di consolidare la loro lingua e cultura madre. - Norme in materia di test e di prove di valutazione e di grado di progressi degli studenti nella scuola base (2008) che concede ai bambini immigrati una valutazione in un periodo di transizione di due anni. - Strategia di integrazione dei bambini migranti e gli studenti delle scuole di base e secondarie nel sistema educativo della Repubblica di Slovenia (2007) - Linee guida originali per l’educazione dei bambini stranieri in fase di pre-scolastica e istruzione scolastica (2009). - Revisione delle linee guida per l’integrazione dei bambini migranti in fase di pre-scolastica e istruzione scolastica. - Carta Bianca sull’Educazione nella repubblica della Slovenia (2011). - Bozza del Programma Nazionale per la Politica sulla Lingua 2012-2016 (2012). Le ricercatrici slovene Mojca Peček e Irena Lesar considerano l’integrazione dei bambini immigrati (e di altri gruppi minoritari di studenti) nel sistema educativo sloveno come un tipo di integrazione necessaria, basata primariamente su un criterio di tipo fisico o geografico. Dal punto di vista del “diverso” la maggioranza si attende che il soggetto si adatti, assimilandosi, all’interno del sistema scolastico esistente e all’interno della cultura di maggioranza, invece le ricercatrici propongono un’idea di scuola orientata all’inclusività, che reagisca in maniera costruttiva alla diversità degli studenti e permetta loro di fare esperienza di integrazione sociale e di opportunità alla partecipazione. L’ufficio governativo per le Minoranze Nazionali (Informazioni generali sulla comunità etnica Rom nella Repubblica Slovena) stima il numero dei Rom che vivono in Slovenia fra le settemila e le diecimila unità, rappresentando quindi lo 0,5% della popolazione totale. La totalità di loro riceve istruzione all’interno del sistema scolastico. Come dichiarato dagli esperti che hanno preso parte allo Studio Nazionale di Valutazione sul Rendimento degli Studenti Rom nella scuola di base la popolazione Rom in Slovenia non è omogenea, ma varia al suo interno in rapporto alla disponibilità all’integrazione nella società slovena e al livello di integrazione già raggiunto. Fra il novero dei documenti legislativi e programmatici nell’ambito dell’educazione Rom che si sono dimostrati efficaci, i cui primi esempi sono del 1991 (Costituzione della Repubblica di Slovenia), vorremmo citare i due più recenti. Il primo è Strategie per l’educazione Rom nella Repubblica slovena che prevede l’inclusione dei bambini Rom nell’insegnamento prescolare, l’impiego di assistenti Rom, l’adattamento dei contenuti dei programmi educativi, la formazione professionale continua per i docenti e per gli educatori professionisti, un ulteriore supporto finanziario da parte del Ministero dell’Educazione, classi eterogenee e vari tipi di sostegno all’apprendimento. Il secondo è il Programma Nazionale di Provvedimenti per i Rom per il periodo 2010-2015, che prevede un aumento delle iscrizioni nei programmi educativi, l’utilizzo di assistenti Rom, l’inclusione anticipata nel sistema educativo, l’inclusione nel sistema educativo prescolare, l’acquisizione di conoscenze sulla cultura Rom, il contrasto dei pregiudizi, l’istituzione di una rete di sostegno all’apprendimento, ecc. Considerando la legislazione esistente noi possiamo un’altra volta porre la questione dell’integrazione o dell’inclusione. Nelle aree bilingui e nelle aree etnicamente miste della Repubblica della Slovenia comunque l’educazione interculturale e l’apprendimento della lingua hanno una lunga tradizione. Legalmente questa area è regolata dall’ “Atto di regolazione Diritti speciali dei membri delle comunità etniche italiana e ungherese-in materia di istruzione (2001).” L’apprendimento dello sloveno nelle scuole in cui l’italiano è la lingua dell’istruzione, risale al tempo dell’istruzione italiana nell’area slovena, cioè all’anno scolastico 1874-1875.
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L’acquisizione precoce delle competenze di comunicazione in una lingua diversa dalla lingua madre ha senso solo se si consente l’uso discente nel contesto e in diversi ambienti sociali e se il metodo di apprendimento è adeguato per il gruppo. In questo periodo il percorso educativo basato sul gioco didattico è il più appropriato, in quanto permette l’attivazione di dinamiche motivazionali altamente produttive e per come si origina nel mondo del bambino. Nella zona bilingue e culturalmente mista dell’Istria slovena i modelli di comportamento linguistico sono acquisiti attraverso numerosi contatti sociali nel quadro di un ambiente sociale più ampio e con il supporto di mezzi di comunicazione. È proprio dalla comunicazione linguistica che dipende la socializzazione. Il bambino incontra altre lingue e culture molto presto. Generalmente in questa area appaiono due tipi di precoce bilinguismo: uno che emerge nella famiglia e un altro fuori dalla famiglia vale a dire in modo spontaneo o in maniera organizzata dagli istituti di istruzione. Gli istituti di istruzioni con lingua italiana includono 3 istituti prescolari, 3 scuole di base con rami e 3 scuole secondarie, negli istituti di istruzione italiana nell’Istria Slovena, lo sloveno ha lo status di seconda lingua. I programmi di istruzione con l’italiano come lingua di insegnamento hanno obiettivi definiti dal regolamento sloveno e contribuiscono al mantenimento e allo sviluppo del linguaggio e l’identità culturale dei membri della comunità italiana, soprattutto in materie scolastiche come la lingua e letteratura italiana, geografia e storia; oltre a ciò anche gli orari scolastici e il curriculum per la Pre-School istituzioni sono adatti per i programmi educativi in italiano. Nelle scuole di base e in quelle secondarie lo sloveno come seconda lingua è una materia scolastica. Nelle istituzioni pre-scolastiche con l’italiano come lingua di insegnamento destinata ai soci dell’Associazione Italiana e delle comunità nazionali ungheresi, in Slovenia viene compresa la familiarizzazione con lo sloveno. Gli insegnanti di pre-scuola che introducono i bambini allo sloveno devono avere la conoscenza di entrambe le lingue e possedere le conoscenze professionali e didattiche speciali (Dodatek h Kurikulumu za vrtce na narodno mešanih območjih 2002). Il Consiglio di esperti della RS per la Didattica generale ha approvato nel 2002 l’allegato al curriculum per le istituzioni pre-scolastiche nelle zone etnicamente miste. Le basi giuridiche sono le istituzioni Pre-School Act e la legge in materia di diritti speciali di Utenti delle Comunità etniche italiana e ungherese in materia di istruzione. La legge delle istituzioni Pre-scolastiche stabilisce che “nelle zone abitate dai membri del popolo sloveno e della comunità etnica italiana, e che sono definiti come aree etnicamente miste, in base ad una legge speciale, nelle istituzioni prescolari in cui l’istruzione si svolge, i bambini sloveni devono familiarizzare con la lingua italiana e con la lingua slovena nelle scuole in cui l’educazione è portata avanti in italiano “ (Pre-School Istituzioni Act del 1996, articolo 5). Già a livello prescolare il modello di educazione comincia a svilupparsi, e permette ai membri della comunità italiana la conoscenza recettiva della lingua dell’altro gruppo etnico. Secondo A. Zorman, ai bambini nel periodo di familiarizzazione con la lingua, dovrebbe essere dato il tempo necessario per acquisire la melodia del nuovo linguaggio, capire le parole e messaggi semplici, giocare con voci che cantano, taglio e incollaggio di parole e immagini, raccogliere le parole e inserirle nel loro sistema di valori. Il bambino nel periodo di familiarizzazione deve ascoltare e leggere testi (varie attività relazionate a procedure pre-letterarie) con un linguaggio semplice, comprensibile, piacevole e giocoso, includendo canzoni, rime, conteggio-out, giochi con le dita, testi in prosa e letterari semplici. Si tratta di attività che consentono al bambino che si esibisce anche in lingua madre, di familiarizzare per arrivare ad amare l’altra lingua, essere in grado di rispettare l’altra cultura, i panorami, i valori, le abitudini, ecc.
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ISTITUTO SUPERIORE FORMAZIONE AGGIORNAMENTO E RICERCA® FORMAZIONE POST-UNIVERSITARIA DELLE PROFESSIONI®
SCUOLA INTERNAZIONALE DI PEDAGOGIA CLINICA Fondata sui principi ispiratori formalizzati dal Prof. Guido Pesci nel 1974 Direttore Scientifico: Prof. Dr. Guido Pesci
PEDAGOGISTA CLINICO® PEDAGOGISTA IN AIUTO ALLA PERSONA
Sedi e date di inizio: Cagliari, 10 ottobre 2015; Catania, 17 ottobre 2015 Reggio Calabria, 31 ottobre 2015; Padova, 21 novembre 2015; Milano, 28 novembre 2015; Roma, 5 dicembre 2015; Firenze, 12 dicembre 2015 CHI È IL PEDAGOGISTA CLINICO
Professionista del settore socio-educativo che, grazie a metodi e tecniche di verifica e di intervento proprie della Pedagogia Clinica/Pedagogia in Aiuto alla Persona, svolge attività rivolte a persone di differenti età e con diversificati disagi. Differenziandosi da un modello sanitario, non si concentra sui disturbi e le incapacità, non corregge né cura, non ammaestra né riabilita, ma considera l’individuo nella sua interezza ed ha come obiettivo quello di attivare e valorizzare, attraverso una relazione con matrice pedagogica, potenzialità e risorse. CHE COSA È LA PEDAGOGIA CLINICA
La pedagogia clinica è una disciplina dedicata alla persona, che trova in tecniche e metodologie proprie le risposte necessarie al vasto panorama dei bisogni educativi dell’individuo. Studia, approfondisce e rinnova metodi educativi finalizzati ad aiutare il singolo individuo e il gruppo a crescere in senso armonico per raggiungere nuovi equilibri e nuove disponibilità allo scambio con gli altri. È dunque la scienza di una educazione che si pone quale processo di crescita dell’essere umano, affinché egli possa affrontare con consapevolezza e coscienza le nuove situazioni che gli si presentano nei diversi periodi dell’esistenza. ATTESTATO
Al termine del percorso verrà rilasciato l’Attestato di Formazione in Pedagogia Clinica - Pedagogia in aiuto alla Persona, formalizzata l’iscrizione all’ANPEC Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici, alla SINPE - Società Nazionale Pedagogisti e all’Elenco europeo della Federazione delle Associazioni dei Pedagogisti Clinici (Reg. Unione Europea n. 198364-2004).
Per il programma e tutti i dettagli della formazione consulta
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DELLA FORMAZIONE PER PEDAGOGISTA CLINICO Sede e data: Firenze, 19 settembre 2015
PROGRAMMA • La Pedagogia Clinica e il Pedagogista Clinico: la scienza, la professione, l’ANPEC – Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici. • Il percorso formativo: obiettivi ed elementi caratterizzanti • Possibilità lavorative: il Pedagogista Clinico libero professionista, Il Pedagogista Clinico nelle istituzioni. All’incontro sarà presente il Prof. Dott. Guido Pesci Pedagogista clinico, Presidente ANPEC Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici IL SEMINARIO DI PRESENTAZIONE È GRATUITO (i posti sono limitati). Per partecipare all’incontro è obbligatoria la prenotazione effettuabile inviando la richiesta per mail a info@isfar-firenze.it o contattando telefonicamente la Segreteria ISFAR: 0556531816. Orario: 16:30-19:30 Sede Firenze: ISFAR Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca - Palazzo Giraldi, Via del Moro 28 (a 100 mt. dalla stazione ferroviaria di S.M. Novella) SEGRETERIA ISFAR: Viale Europa 185/b - 50126 Firenze - Tel./Fax 0556531816 e-mail: info@isfar-firenze.it - www.isfar-firenze.it (lun.-ven. 9-13/14-18)
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SCUOLA JEAN LE BOULCH
Fondata dai Prof.ri Jean Le Boulch e Guido Pesci nel 1988 Direttore Scientifico: Prof. Dr. Guido Pesci
PSICOMOTRICISTA FUNZIONALE Sedi e date di inizio Bari, 17 ottobre 2015; Catania, 31 ottobre 2015; Alghero, 7 novembre 2015; Milano, 28 novembre 2015; Firenze, 12 dicembre 2015
CHI È LO PSICOMOTRICISTA FUNZIONALE
Lo Psicomotricista Funzionale è lo specialista che favorisce lo sviluppo della persona per mezzo del movimento; il suo intervento educativo, basato sui bisogni e sulle peculiarità di ogni individuo, ha come obiettivo quello di promuovere nella persona di ogni età le potenzialità che le consentano di eseguire un movimento conveniente e adeguato per ogni situazione, un modo di essere efficace sull’ambiente attraverso una azione giusta nel momento adatto. COSA È LA PSICOMOTRICITÀ FUNZIONALE
La Psicomotricità Funzionale, scienza fondata dal Prof. Jean Le Boulch, è un procedimento globale e pluridisciplinare che tiene presenti gli sforzi d’aggiustamento motorio della persona nelle diverse situazioni e contribuisce all’organizzazione funzionale e alla condotta dell’atteggiamento umano, sia che essa sia strumentale o mentale. Si applica sia a coloro che hanno uno sviluppo normale o che presentano disarmonie o sono disabili, e a soggetti di ogni età, con lo scopo di agire sullo sviluppo funzionale della persona al fine di facilitarle l’apprendimento. ATTESTATO
Al termine del percorso verrà rilasciato l’Attestato di Formazione in Psicomotricità Funzionale e formalizzata l’iscrizione all’Elenco degli Psicomotricisti Funzionali ASPIF
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DELLA FORMAZIONE PER PSICOMOTRICISTA FUNZIONALE Sede e data: Milano, 26 settembre 2015
PROGRAMMA: • La Psicomotricità Funzionale e lo Psicomotricista Funzionale: la scienza, la professione, l’ASPIF Associazione Psicomotricisti Funzionali • Il percorso formativo della Scuola “Jean Le Boulch”: obiettivi ed elementi caratterizzanti • Sbocchi professionali per lo Psicomotricista Funzionale All’incontro sarà presente il Prof. Dott. Guido Pesci, direttore scientifico della “Scuola Jean Le Boulch” fondata da J. Le Boulch nel 1988 e condotta dall’ISFAR IL SEMINARIO DI PRESENTAZIONE È GRATUITO (i posti sono limitati). Per partecipare all’incontro è obbligatoria la prenotazione effettuabile inviando la richiesta per mail a info@isfar-firenze.it o contattando telefonicamente la Segreteria ISFAR: 0556531816 Orario: 14:00-17:00 Sede: Milano: Hotel Holiday Inn Milan Garibaldi Station****, Via Bassi 1/a SEGRETERIA ISFAR: Viale Europa 185/b - 50126 Firenze - Tel./Fax 0556531816 e-mail: info@isfar-firenze.it - www.isfar-firenze.it (lun.-ven. 9-13/14-18)
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ISTITUTO SUPERIORE FORMAZIONE AGGIORNAMENTO E RICERCA® FORMAZIONE POST-UNIVERSITARIA DELLE PROFESSIONI®
LA RELAZIONE DI AIUTO CON PERSONE LESBICHE, GAY E BISESSUALI
Sede e date: Firenze, 26-27 settembre 2015 5 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC PROSPETTO DELLA FORMAZIONE La formazione intende fornire ai partecipanti un approfondimento sulle tematiche teoriche e cliniche legate all’orientamento sessuale e alle persone lesbiche, gay e bisessuali (LGB). In particolare il percorso formativo consente di apprendere le conoscenze e le abilità necessarie a condurre relazioni di aiuto con utenti LGB. La conoscenza dei contenuti affrontati durante il corso costituisce una risorsa fondamentale al fine di instaurare una buona relazione, meglio comprendere il disagio riferito e la sua origine, e migliorare le competenze nell’ascolto, accoglienza e sostegno di tale popolazione. DESTINATARI Specialisti ed operatori dell’area sanitaria e socio-educativa (anche in formazione). Quota di partecipazione: Euro 280,00 Sede della formazione: Firenze: ISFAR Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca - Palazzo Giraldi, Via del Moro 28
BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI: STRATEGIE PER L’INCLUSIONE
Sede e date: Salerno, 17-18 ottobre 2015 5 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC PROSPETTO DELLA FORMAZIONE La formazione mira ad approfondire la tematica dei BES in relazione alla definizione dei termini e all’utilizzo di strategie e strumenti per l’osservazione e l’individuazione degli alunni con Bisogni Educativi Speciali, alla conoscenza della normativa in merito e di metodologie di intervento didattico-pedagogico. DESTINATARI Educatori, insegnanti, insegnanti di sostegno, pedagogisti e pedagogisti clinici, psicologi e psicomotricisti funzionali. Quota di partecipazione: Euro 280,00 Sede della formazione Firenze: ISFAR Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca - Palazzo Giraldi, Via del Moro 28 (a 100 mt. dalla stazione ferroviaria di S.M. Novella)
LA COMUNICAZIONE EFFICACE CONTRIBUTI DELLA PROGRAMMAZIONE NEURO-LINGUISTICA NELLA RELAZIONE DI AIUTO
Sede e date: Milano, 20-21-22 novembre 2015 5 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC PROSPETTO DELLA FORMAZIONE Il corso, tenendo presenti i principi ispiratori della Programmazione Neuro-Linguistica di Richard Bandler e di John Grinder, intende fornire ai partecipanti gli strumenti per migliorare le loro abilità comunicative all’interno di relazioni professionali finalizzate all’aiuto alla persona. Grazie ai presupposti teorici della PNL si vuole aumentare l’efficacia comunicativa, relazionale ed operativa dei partecipanti. DESTINATARI Specialisti ed operatori dell’area sanitaria e socio-educativa (anche in formazione). Quota di partecipazione: Euro 300,00 Sede della formazione: Firenze: ISFAR Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca - Palazzo Giraldi, Via del Moro 28 (a 100 mt. dalla stazione ferroviaria di S.M. Novella) SEGRETERIA ISFAR: Viale Europa 185/b - 50126 Firenze - Tel./Fax 0556531816 e-mail: info@isfar-firenze.it - www.isfar-firenze.it (lun.-ven. 9-13/14-18)
ISFAR®
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PROSSIME FORMAZIONI ISFAR
CON CREDITI DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE PER PEDAGOGISTI CLINICI ANPEC IN MODALITÀ E-LEARNING
PEP-REB: PARENT EDUCATION PROGRAM REFLECTING BASED FORMAZIONE A DISTANZA (FAD) 10 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC
SCENARI E PROSPETTIVE PROFESSIONALI IN AIUTO ALLA PERSONA FORMAZIONE A DISTANZA (FAD) 10 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC
AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE: CAMBIAMENTI LESSICALI, METODOLOGICI ED OPERATIVI DEL PEDAGOGISTA CLINICO FORMAZIONE A DISTANZA (FAD) 10 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC IN AULA
PEDAGOGIA CLINICA IN CLASSE: L’INSEGNANTE PEDAGOGISTA CLINICO NELLA SCUOLA
FORMAZIONE ANPEC A FREQUENZA GRATUITA Sedi e date: Salerno, 15-16 settembre 2015; Alghero, 23-24 gennaio 2016; Roma, 20-21 febbraio 2016 10 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC
LA RELAZIONE DI AIUTO CON PERSONE LESBICHE, GAY E BISESSUALI Sede e date: Firenze, 26-27 settembre 2015 - 5 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC
IL PEDAGOGISTA CLINICO A LAVORO CON I GENITORI
FORMAZIONE ANPEC A FREQUENZA GRATUITA Sedi e date: Alghero, 3-4 ottobre 2015; Milano, 5-6 aprile 2016 - 10 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC
BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI: STRATEGIE PER L’INCLUSIONE Sede e date: Salerno, 17-18 ottobre 2015 - 5 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC
LA COMUNICAZIONE EFFICACE: CONTRIBUTI DELLA PROGRAMMAZIONE NEURO-LINGUISTICA NELLA RELAZIONE DI AIUTO Sede e date: Milano, 20-21-22 novembre 2015 - 5 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC
DISGRAFIA E DISORTOGRAFIA
Sede e date: Firenze, 29-30-31 gennaio 2016 - 5 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC
DISLESSIA: DALLA DIAGNOSI ALL’INTERVENTO
Sede e date: Firenze, 26-27-28 febbraio 2016 - 5 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC
DISCALCULIA: DALLA VALUTAZIONE ALL’INTERVENTO
Sede e date: Firenze, 16-17 aprile 2016 - 5 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC
ADHD-DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE/IPERATTIVITÀ: STRATEGIE CLINICHE E DIDATTICHE Sede e date: Firenze, 2-3 aprile 2016 - 5 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC
L’INTERVENTO CLINICO ATTRAVERSO IL DISEGNO E IL GIOCO Sede e date: Milano, 10-11-12 giugno 2016 - 5 CREDITI DI AGGIORNAMENTO ANPEC
Per informazioni e iscrizioni www.isfar-firenze.it SEGRETERIA ISFAR: Viale Europa 185/b - 50126 Firenze - Tel./Fax 0556531816 e-mail: info@isfar-firenze.it - www.isfar-firenze.it (lun.-ven. 9-13/14-18)
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Ciò può essere ottenuto attraverso diversi giochi sociali (giocare senza toccare, giocare con palloncini, giochi di rilassamento, la sedia alla mia destra è vuota, un viaggio in un paese, tutti noi pensiamo, etc.), il cui obiettivo, secondo A. Zorman è quello di arrivare a conoscere se stessi e gli altri e acquisire il senso di appartenenza al gruppo, costruire il clima di coesione sulla base delle differenze e il rispetto alla tolleranza, sviluppare un atteggiamento e una valutazione positiva verso gli altri e verso la diversità. La familiarizzazione con la seconda lingua può stimolare lo sviluppo olistico del bambino a condizione che modalità e contenuti pertinenti siano appropriati in grado di rafforzare nel bambino il bisogno di scoprire la lingua e di creare la consapevolezza delle forme linguistiche, i rapporti e le relazioni. La formazione linguistica sistematica inizia nella scuola primaria, in cui la situazione di apprendimento in sloveno come seconda lingua nella zona bilingue dell’Istria slovena, è uno specifico. Gli obiettivi generali, funzionali ed educativi di sloveno come seconda lingua, le forme e i metodi di lavoro sono orientati ad acquisire le abilità linguistiche, sia grammaticali che di comunicazione, nel testare l’efficienza di competenza linguistica dell’individuo nel suo immediato funzionamento nell’ambiente. La specificità ha le sue origini nella peculiarità del contesto sociale e nella diversità della vita dei bambini che entrano allo stesso livello di istruzione alla stessa età. I bambini inclusi in istituzioni pre-scolastiche con lingua italiana provengono da famiglie con background linguistici molto diversi. La loro lingua madre non è sempre l’italiano, in un numero di casi la famiglia è bilingue (italiano e sloveno o italiano e croato) o esclusivamente slovena, in alcuni casi, non sloveni, né italiani, ma in famiglia sono parlate altre lingue come il croato e il serbo. Le distanze degli obiettivi di istruzione sono quindi diverse con persone diverse e con effetti motivazionali sull’apprendimento delle lingue differenti. La situazione di apprendimento conduce inevitabilmente alla didattica differenziata adattata alle capacità psicofisiche del bambino, alle inclinazioni e conoscenze pregresse, quindi a percorsi differenziati orientati allo sviluppo di nuove conoscenze. Sviluppo dell’alfabetizzazione nella seconda lingua Come accennato in precedenza, nella zona bilingue dell’Istria slovena un bambino può imparare la seconda lingua già prima di iniziare la scuola, da cui parte l’insegnamento sistematico delle lingue. Si può perciò prevedere che in quel momento abbiano inizio anche elementi di alfabetizzazione nella seconda lingua, cioè quelli che hanno origine primaria nel bambino (il bambino ricorda i nomi delle lettere o è in grado di collegare le lettere ai suoni corrispondenti, gioca con sillabe e suoni, è interessato alla lettura), così come quelli con l’ambiente (in particolare la famiglia), i genitori leggono per il bambino e gli parlano, il bambino così ha l’opportunità di entrare in contatto con diversi tipi di materiali stampati, e tutto questo svolge un ruolo importante. Essere alfabetizzati in due lingue significa conoscere diverse rappresentazioni della stessa o di simili realtà. Un dato in due lingue può avere gli stessi/differenti caratteri la stessa/differente lunghezza. L’osservazione di due lingue nelle varianti linguistiche e scrittura stimola la riflessione nella lingua; permette l’osservazione delle immagini sonore di entrambe le lingue, il confronto delle loro rappresentazioni scritte, e la valutazione. Lo sviluppo dell’alfabetizzazione in più lingue a scuola deve funzionare in modo coordinato, il che significa che le metodologie di alfabetizzazione nella prima lingua e nella lingua straniera devono per lo più essere complementari. L’abbinamento di metodologie si ritiene particolarmente importante nel processo di parallela (simultanea) alfabetizzazione nella seconda lingua o nella lingua straniera. Gli approcci allo sviluppo di alfabetizzazione possono essere strutturali (analitico, analitico-sintetico) o semantici (globale). I metodi di alfabetizzazione sono giustificati se permettono agli studenti di osservare la lingua e conoscere i suoi caratteri sistematici.
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Sviluppare le conoscenze in una seconda lingua pone come questione di per sé, l’interrogativo di quando iniziare lo sviluppo della lettura e della scrittura nella seconda lingua. Le opinioni nella didattica e nella metodologia dell’insegnamento della seconda lingua su questo aspetto sono abbastanza distanti. Gli esperti condividono l’opinione che l’insegnamento della lettura e della scrittura in una seconda lingua straniera non dovrebbe iniziare prima che lo studente sia stato alfabetizzato nella prima lingua, la lingua madre. Questa conoscenza o abilità preventiva è di assistenza al bambino nell’acquisizione della seconda lingua straniera, quindi l’insegnante deve iniziare quando le attitudini e le competenze (come la capacità di analisi e sintesi) di base sono state sviluppate al punto che gli studenti posseggano già i requisiti necessari per imparare a leggere e scrivere in una seconda lingua/in una lingua straniera. Il momento favorevole per l’introduzione della scrittura in una seconda lingua/lingua straniera dovrebbe essere nella seconda metà del secondo o terzo anno (nove anni) della scuola di base, quando gli studenti hanno già imparato la lettura e la registrazione di tutti i caratteri. L’inizio dovrebbe essere fatto leggendo con la sottolineatura e copiando parole e frasi brevi (anche lettere importanti, come c, ž, š e dittonghi AJ, oj), e sviluppare queste due abilità continuando ad un livello superiore. Allora è il momento di pensare anche al trasferimento e all’interferenza della prima lingua sulla seconda lingua/lingua straniera. Per quanto concerne l’alfabetizzazione sequenziale in una seconda lingua, la prima lingua fa da supporto. Le procedure trasferite dalla prima alla seconda durante il processo di organizzazione sono l’ascolto differenziato, l’emissione di suoni e l’aggregazione vocale. Con gli studenti più giovani, l’organizzazione andrebbe accompagnata da alcune attività che oltre all’intelligenza linguistica attivano anche quella di tipo spaziale, musicale e corporea-chinestetica. Nelle prime fasi dell’apprendimento, la scrittura funge da supporto, ma deve essere tuttavia sviluppata in un’abilità indipendente. Sarebbe necessario, sin dall’inizio, mirare ad un processo attivo di scrittura, ciò significa che lo studente deve essere condotto da abilità sensoriali ad abilità cognitive e motorie (osservazione, ascolto, memorizzazione, registrazione). Per prima cosa si sviluppa la procedura di scrittura ottico-motoria, ma presto si inizia ad includere elementi auditivi-motori e verbali e conoscenza della grammatica per far sì che lo studente acquisisca l’autonomia per gestire le abilità di scrittura. Oltre al copiare, dobbiamo tenere in considerazione che il discente riceve l’“immagine” di una parola come un tutt’uno, come una struttura con elementi propri. È necessario evitare la copiatura meccanica (lettera per lettera) in quanto tale attività non è d’aiuto. Si raccomanda un approccio contrastivo (la differenza fra fonema e grafema nella prima e nella seconda lingua straniera). Si inizia con la scansione, seguita dalla copiatura cosciente di parole e frasi. Allo stesso tempo gli studenti acquisiscono inconsciamente la sensazione della relazione fra voce e lettera (parola) e ricordano i gruppi tipici (grafemi) di lettere. Durante l’introduzione iniziale alla scrittura, includiamo: - L’ortografia (come maiuscole, sillabe, lettere e abbinamento di lettere tipiche della seconda lingua straniera, le lettere che non compaiono nella prima lingua, accumulo di consonanti); - Analisi degli elementi strutturali in una parola (ad esempio l’esercitazione nella composizione e scomposizione di parole che cominciano con la lettera iniziale o finale di una parola, cruciverba, ecc.); - Registrazione di quanto ascoltato (identificare i suoni e l’abbinamento dei suoni di sillabe, parole, brevi testi, localizzazione di suoni all’inizio, a metà e alla fine delle parole, scrivere con l’aiuto di immagini, ecc.); - Pratica dello spelling (organizzare le parole in ordine alfabetico, esercizi che consistono nel cercare parole in un dizionario per bambini, cercare parole in una serie continua di lettere); - Consolidamento della progettazione grafica di un gruppo di lettere, sillabe e parole (gruppi di lettere una sopra l’altro, sillabe, parole, scrivere sotto dettatura). Quando si passa alla scrittura, abbiamo studenti di fronte a noi che si differenziano per la loro disponibilità e la capacità di questa transizione. Si comprende allora, nelle procedure di alfabetizzazione deadlock di sviluppo e gli errori che si verificano. L’insegnante che monitora i progressi dello studente nello sviluppo di alfabe-
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tizzazione può sulla base di osservazioni, percepire le lacune nelle conoscenze pregresse, prevedere alcune difficoltà fondamentali e il trasferimento negativo nella trasmissione della competenza acquisita dalla madre lingua nella seconda lingua; per ottenere successo l’insegnante deve anche monitorare l’interesse per l’apprendimento della seconda lingua, come è manifestato in ambito familiare, se accettato o rifiutato. Conclusioni Il processo di acquisizione di una seconda lingua straniera è simile al processo di acquisizione della madrelingua. L’ambiente sociale rende questo possibile nel processo di internalizzazione della realtà esterna, la lingua si modella nel proprio sistema individuale. Nelle scuole di base in Istria slovena con la lingua italiana, dove sloveno è la seconda lingua, la conoscenza preventiva, la motivazione per l’apprendimento della lingua, e la capacità di acquisire una seconda lingua sono molto diverse già tra i bambini del primo ciclo di istruzione del
nono anno scolastico di base, e aumentano con gli anni. Questa è la specificità, ma anche lo sviluppo iniziale di alfabetizzazione nella seconda lingua, che nelle scuole con l’italiano come lingua di insegnamento va in sequenza quando i bambini hanno già acquisito l’alfabetizzazione in lingua madre, deve essere adattato. Con lo sviluppo di alfabetizzazione sequenziale in una seconda lingua la prima lingua fornisce supporto. Le procedure adeguate devono essere trovate e possono essere trasferite dalla prima lingua/lingua madre allo sviluppo di alfabetizzazione nella seconda lingua. Un trasferimento positivo delle operazioni mentali prodotte nella lingua madre (italiano) e delle competenze formate nella seconda lingua (sloveno) deve essere sviluppato tenendo conto della struttura dei bambini nella scuola con l’italiano come lingua di insegnamento in Istria slovena e le loro esigenze ad acquisire la seconda lingua.
Università del Litorale Sloveno
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Promoting Mental Health a program for social and emotional learning in Sweden Birgitta Kimber
Educatrice Speciale, Insegnante, Phd Örebro University, School of Health and Medical Science Vi porgo i miei auguri dalla Svezia e dall’Università di Orebro. Lavoro da molto tempo in ambito pedagogico e psicoterapeutico e ciò mi ha spinto a fare ricerca e a concentrarmi sull’apprendimento nei bambini. Lo sfondo di quello di cui parlerò oggi è ciò che possiamo fare sia per la scuola che per la famiglia di bambini disabili che si trovano a vivere la loro condizione spesso accompagnata da situazioni familiari assai compromesse. Ovviamente la scuola, essendo luogo obbligato per quasi tutti i bambini diventa spazio foriero per ogni tipo di intervento e le teorie che soggiacciono ai programmi esistenti riguardano le teorie dello sviluppo Social Emotional Learning SEL provenienti dagli Stati Uniti. Se vogliamo apportare contributi soddisfacenti per ottenere ottimi risultati, ci dobbiamo però attenere ai programmi svedesi che ci danno notizia di risultati molto positivi nello sviluppo, per cui, come ha detto anche Monika Seifert, si può parlare di qualità della vita. Sappiamo che si può fare molto per sviluppare l’apprendimento e lo sviluppo positivo dei bambini, e il programma svedese SET (Social Emotional Training) ovvero il programma dello sviluppo emozionale che ho coniato per allontanarmi dal SEL statunitense, permette di vedere le stesse cose, ma da un punto di vista diverso. Mi scuso se vi riporto qualcosa che può sembrare ovvia, ma quando si tratta di fattori di rischio in realtà non possiamo dimenticare che questi si irradiano a tutti i livelli della vita quotidiana degli individui, delle famiglie, scuola e società. I fattori di rischio possiamo rintracciarli nell’aggressività, negli abusi, nella povertà o nella segregazione, possono sembrare poco pericolosi, ma possono divenire recrudescenti, perciò lavorando nelle scuole è indispensabile mettere in atto tutto ciò che ci giunge dai fattori di protezione che possono aiutarci a eliminare i fattori di rischio. Quando si lavora con i programmi di prevenzione si può lavorare a livello - universale - selettivo - indicativo (programmi molto specifici per coloro che hanno già dei problemi). Io ho lavorato soprattutto con programmi universali e potrebbe sorgere una domanda: -perché? non sarebbe meglio arrivare a livelli molto più specifici per concentrare le risorse dove sono più richieste? Dipende da come guardiamo la questione. Se osserviamo 100 famiglie in media ce ne sono 90 che appartengono al gruppo dei normali e non hanno problemi ovvi, 7 di queste famiglie hanno bambini che sono in situazioni di difficoltà. Ci sono solo 3 famiglie su 100 che hanno bisogno di un supporto particolare. La maggior parte di queste famiglie e i loro bambini avranno sicuramente dei problemi successivamente ma non tutte, più o meno la metà. Quando facciamo un calcolo preciso, se osserviamo il numero dei bambini che avranno comportamenti problematici, 9 di questi provengono da famiglie normali. In conclusione possiamo dire che non è prevedibile quali siano i bambini che avranno dei problemi comportamentali in età adulta e questo vale
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anche per problemi mentali come la depressione, in realtà non sappiamo se la provenienza da un tipo di famiglia o da un altro può successivamente portare a problemi più gravi. Questo è un esempio del sistema svedese abbiamo notevoli problemi con l’alcool, come vedete ci sono i fattori protettivi e i fattori a rischio e i ragazzi di 15 anni bevono moltissimo e hanno però molti fattori protettivi e pochissimi fattori di rischi, per me questo settore qui, cioè chi ha più fattori di protezione che di rischio, sono i più interessanti, in realtà sono i più problematici. È importante quindi rafforzare i fattori protettivi per gli adolescenti. Quando si parla di prevenzione dobbiamo passare dal fattore rischio alla protezione su tutti i livelli. Ci sono molti programmi oggi e questi si basano su delle ricerche specifiche, quando ascoltavo i relatori stamattina mi chiedevo il perché ero qui, e più ascoltavo e più capivo il motivo per cui sono qua, le capacità socio emotive concernono tutti bambini e sono fondamentali nel costruire una coscienza emotiva. Il programma svedese per la formazione sociale ed emotiva (SET) si concentra su cinque funzioni Coscienza di sé Capacità di gestire le proprie emozioni Empatia Motivazione Capacità di gestire le competenze sociali Queste cinque funzioni aiutano i bambini a sviluppare una comprensione di se stessi e degli altri e a costruire la resilienza. Vi parlerò brevemente dello studio che abbiamo realizzato Il programma SET è stato perfezionato dal 1999 al 2000 per la formazione degli insegnanti. Dal 2000 al 2005 gli stessi insegnanti hanno tenuto le lezioni con questo programma due volte a settimana con i bambini di età compresa da 1 a 5 anni, e una volta alla settimana con bambini dai 6 ai 9. Lo scopo dello studio era di descrivere e di valutare in una situazione di vita reale quale impatto potesse avere il SET sulla salute mentale. L’altro obiettivo era di vedere se vi erano conseguenze nei diversi sottogruppi e di migliorare lo strumento per la misurazione della maturità sociale ed emozionale. Lo studio SET in se stesso era sperimentale (due scuole sperimentali e due di controllo), dal maggio 2000, a seguito della compilazione di questionari ripetuti sistematicamente ogni mese di maggio per 5 anni, abbiamo tratto una valutazione quantitativa e qualitativa. Quando si parla di prevenzione si dice che qualsiasi cosa che supera lo 0,20 va bene, è accettabile, quindi all’inizio ci siamo resi conto che i risultati erano piuttosto soddisfacenti per i bambini fra i sette e i dieci anni, eravamo contenti che avessero risposto così posi-
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tivamente, quello di cui non eravamo soddisfatti era che non avevamo avuto alcun successo sui problemi interni, dal grafico sui problemi mentali risulta che in realtà i problemi psicologici erano quelli più difficili da gestire, ma comunque eravamo contenti dei risultati ottenuti riguardo al bullismo. Quando si guardano i risultati dopo cinque anni questi sono migliorati, anche secondo Hattie sono risultati soddisfacenti perché superano tutti gli 0,4 punti. L’unica cosa che ci ha sorpreso è che il programma non ha avuto alcun effetto sulle capacità sociali, ci aspettavamo un risultato contrario. Abbiamo perciò usato un’altra tecnica “curva della crescita e delle capacità sociali” e abbiamo visto che questo modo di misurare che vede connesso l’uno e l’altro aspetto, ha avuto effetti positivi sul consumo di droghe e alcool. Sono state realizzate interviste agli insegnanti i quali hanno dichiarato il loro apprezzamento nei confronti del programma ed affermato che contribuiva a creare un ambiente molto positivo nell’aula. Agli insegnanti (circa 150) è stato anche chiesto di tenere un diario su cui descrivere il loro sviluppo personale. I risultati scaturiti hanno messo in evidenza un reale sviluppo personalogico e professionale tradotto in un ambiente più sereno e con una maggior soddisfacente collaborazione, tutto ciò ha confermato quanto altri studi condotti sia in Svezia che negli Stati Uniti confortano. Ciò che abbiamo potuto evidenziare è che il programma ha necessità di essere adattato alle diverse culture, anche se ci siamo resi conto che il programma svedese utilizzato in Palestina ha avuto ugualmente esiti altrettanto significativi. Avremmo potuto fare molte cose meglio, è difficile applicare la teoria alla pratica. In conclusione i risultati del progetto sono stati generalmente molto positivi. Si può affermare che il programma SET può prevenire problemi mentali dei bambini e degli adolescenti, e che le capacità emotive e sociali così stimolate possono aiutare a costruire la resilienza, ed effetti più forti sull’internalizzazione piuttosto che sull’esternalizzazione. Si è potuto altresì rilevare che alcuni obiettivi del programma hanno chiesto un maggior tempo prima di concretizzarsi anche perché i sottogruppi hanno reagito in maniera diversa all’intervento; un tempo particolarmente più lungo è stato richiesto per verificare gli effetti sull’uso di alcool e droga. Ciò che si può sostenere è che un training sociale ed emozionale può contribuire lo sviluppo di un ambiente di lavoro, migliorare la motivazione nella classe ed evitare il rischio della dispersione scolastica. (Traduzione letterale) Orebro University Sweden
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Preparation of special education teachers in Serbia Nenad Glumbic
Facoltà di Educazione Speciale e Riabilitazione, Università di Belgrado In Serbia, fino alla seconda metà del XIX secolo, l’infanzia non veniva considerata come un periodo specifico del ciclo della vita. La divisione dei ruoli di genere si delineava intorno ai 5 anni di età. I maschi aiutavano i padri nello svolgimento delle attività rurali e artigianali, mentre le femmine si occupavano dei propri fratelli e sorelle più piccoli, preparandosi a svolgere il ruolo di madre. I bambini erano numerosi, ma si vedevano raramente, spesso non avevano un nome e venivano menzionati soltanto in base a delle statistiche (Ristović, 2011). Le nascite e le morti frequenti di un ampio numero di bambini veniva accettato come convenzione sociale, non solo nelle zone rurali, ma anche nella società civile dell’epoca. Un esempio illustrativo è quello dell’altamente istruito dr. Vladan Djordjevic che, con sua moglie, ebbe 23 figli. La maggior parte di essi morì prematuramente. La loro madre era solita confondere i figli sopravvissuti, non riuscendo a determinare con esattezza l’ordine delle loro nascite (Državni arhiv Srbije, 1891). Nella società dell’epoca, prevalentemente rurale, l’istruzione non era considerata come un mezzo di emancipazione personale e sociale. Per questo motivo, la legge riguardante l’istruzione primaria, adottata nel 1882, fu accolta con grande resistenza. La legge esigeva che i consigli scolastici reclutassero nelle scuole almeno la metà dei bambini abili e in età scolare. Questa legge stabiliva che i bambini mentalmente e fisicamente sottosviluppati, così come quelli con handicap sensoriali (sordi e ciechi), potevano essere ritirati dalla scuola. Materiali d’archivio mostrano come i genitori fruissero largamente di questo provvedimento statutario, facendo in modo che i propri figli in salute risultassero comunque disabili così da non doverli mandare a scuola. I bambini ciechi e quelli sordi potevano istruirsi e imparare un mestiere negli istituti di beneficenza costruiti precedentemente, nel 1881. Ne viene fuori, tuttavia, che nell’intera Serbia non vi era una sola persona che sapesse come lavorare a contatto con questa categoria di bambini. Di conseguenza, furono inviati 3 insegnanti presso le istituzioni locali in Germania e Austria-Ungheria allo scopo di acquisire le capacità necessarie per lavorare con questa fetta di popolazione. Sebbene la propria istruzione fosse stata completata con successo, l’apertura degli istituti di beneficenza, a causa dei turbolenti avvenimenti storici della seconda metà del XIX secolo, non si è mai verificata. Fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, solo pochi individui, di solito istruitisi all’estero a proprie spese, lavoravano con i bambini affetti da handicap. Nel periodo tra le due guerre mondiali, gli insegnanti senza alcuna formazione speciale avevano lavorato nelle scuole speciali. Solo nel 1922 il Ministero dell’Istruzione inviò 3 insegnanti a Praga per seguire un corso di specializzazione, della durata di un anno, per lavorare con bambini ciechi, sordi e mentalmente sottosviluppati. Da allora, la preparazione degli insegnanti destinati a lavorare con bambini affetti da inabilità veniva organizzata attraverso l’indizione di corsi specifici (Savić, 1966).
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L’idea di istituire un settore a parte per gli educatori speciali al Pedagogical College si affacciò verso il 1935. Fu strutturato un curriculum, furono fissati dei criteri di selezione e fu stabilito un programma di materie professionali obbligatorie, ma la realizzazione di queste idee avvenne pienamente soltanto 13 anni più tardi. Tra il 1947 e il 1963 fu fondata un’Alta Scuola di Difettologia ed è esistito un Dipartimento degli Educatori Speciali, entrambi confluiti successivamente nella Facoltà di Difettologia nel 1975 (Matejić-Đuričić, Kašić, Dimić, 2005). Durante il terzo decennio della sua esistenza come sezione dell’Università di Belgrado, la Facoltà di Difettologia convertì il proprio nome in Facoltà per l’Educazione Speciale e la Riabilitazione (FASPER). Preparazione degli insegnanti destinati all’educazione speciale a confronto con quella degli insegnanti di istruzione generica I futuri educatori speciali della Serbia completano il proprio percorso formativo presso la Facoltà per l’Educazione Speciale e la Riabilitazione dell’Università di Belgrado oppure presso il Dipartimento di Educazione Speciale e Riabilitazione dell’Università di Novi Sad. I futuri insegnanti di livello K e gli insegnanti che lavorano con i bambini nei gradi più bassi della scuola elementare ricevono la propria formazione presso le Facoltà di Scienze dell’Educazione, mentre gli insegnanti che lavorano con i bambini nei gradi più alti delle scuole elementari e nelle scuole di grado superiore vengono formati nelle Facoltà appartenenti a specifici settori disciplinari. Tutte le istituzioni che si occupano di alta formazione per la preparazione degli insegnanti sono statali. In base all’ottica tradizionalista, le specifiche necessità formative degli studenti con diversi tipi di inabilità possono essere soddisfatte soltanto da insegnanti appropriatamente formati (Kauffman & Hallahan, 2005). Tale attitudine, di norma, conduce ad un maggiore affidamento sugli educatori degli insegnanti speciali per lavorare con bambini affetti da inabilità. Se mettiamo a confronto il corpo insegnanti di una fase prescolare con quello di scuole elementari e secondarie, la maggior parte delle attitudini negative verso l’educazione generalizzata viene manifestata degli insegnanti (Galović, Brojčin, Glumbić, 2014). Essi esprimono spesso paure ed incertezze sul fatto che, a causa della mancanza di competenze specifiche, essi non saranno in grado di affrontare le complesse necessità formative di bambini affetti da inabilità.
Università di Novi Sad
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Ci sono stati alcuni, modesti tentativi di superare il relativo isolamento dei due sistemi di educazione utilizzando dei corsi integrativi. All’inizio del periodo d’introduzione della Dichiarazione di Bologna del 2006, un programma di studi superiori della FASPER era ampiamente disponibile ai laureati delle cosiddette facoltà finalizzate all’insegnamento. Tuttavia, poiché il numero dei posti stanziati per gli studi superiori, di norma, è inferiore a quello dei candidati interessati, le facoltà hanno cercato di “proteggere i propri studenti”. Pertanto, l’obbligo di superare un test d’ingresso era la condizione per l’ammissione di studenti provenienti da altre facoltà ai programmi di formazione superiore. In questo frangente, la FASPER non costituiva un’eccezione. Altri tipi di corsi integrativi hanno riscosso persino minor successo, inclusi gli alquanto grotteschi tentativi di formare gli insegnanti per lavorare con bambini affetti da inabilità direttamente nelle scuole ordinarie, attraverso dei corsi obbligatori della durata di due giorni. Alcuni autori fanno giustamente notare che una formazione ulteriormente specializzata non condurrà da sola ad un’educazione più appropriata per i bambini affetti da inabilità. Negli studi sulla preparazione degli insegnanti per il campo della formazione generalizzata negli stati dei Balcani Occidentali, Pantić, Closs and Ivošević (2011) puntano ad una limitata comprensione dell’educazione generalizzata, che si focalizza sui bambini affetti da inabilità con un tentativo di eliminare i propri deficit. Il più grande passo in avanti nella formazione dei futuri insegnanti si è compiuto attraverso il modello d’inclusione. In questa maniera, determinate attività d’insegnamento relative al campo dell’educazione speciale vengono incorporate nei programmi di formazione rivolti agli insegnanti per l’istruzione generalizzata. Alla FASPER, d’altro canto, fu operata una forte deviazione nell’ultimo decennio in relazione al precedentemente dominante modello medico di inabilità. Tuttavia, i due sistemi di formazione restano ancora disconnessi, offrendo ai propri studenti competenze completamente differenti. Dopo la laurea, nella pratica perpetra la stessa situazione. Vale a dire, la Legge sui Fondamenti della Formazione (“Gazzetta Ufficiale RS”, No. 72/09) fornisce un grosso incentivo alla formazione generalizzata, cosicché un numero crescente di bambini affetti da svariate forme di inabilità viene incluso nelle scuole ordinarie. Gli insegnanti delle scuole ordinarie esprimono la necessità di lavorare in collaborazione con educatori speciali che operano prevalentemente nelle scuole speciali. Tuttavia, la cooperazione si realizza maggiormente su base volontaria, poiché non esiste un adeguato inquadramento di legge per le assunzioni di educatori speciali nel sistema scolastico ordinario. Abilitazione professionale per gli insegnanti della formazione speciale I requisiti per l’abilitazione professionale degli insegnanti tendono ad essere su base ordinaria o su base concorsuale (Geiger et al., 2014). Gli educatori speciali in Serbia hanno l’obbligo di detenere almeno un diploma di laurea e 240 crediti formativi ECTS acquisiti dopo 4 anni di studio. Le competenze dei laureati, elencate in un’integrazione del diploma, non vengono registrate nella pratica, ad eccezione dell’obbligo di sostenere l’esame di stato. Gli studi di alta formazione durano un anno. In aggiunta agli esami, gli studenti dovranno discutere una tesi di fine master del valore di 60 crediti formativi ECTS. Gli studi di dottorato durano 3 anni. Dopo aver superato dieci esami, bisogna stendere e discutere una dissertazione di dottorato, del valore di 180 crediti formativi ECTS. L’autorizzazione a lavorare nel campo dell’educazione speciale si riceve in base a un tipico modello a se stante, secondo il quale da un educatore speciale non ci si aspetta il possesso di abilitazioni in altre aree di formazione (ad esempio per la scuola elementare o di secondo grado). Secondo un sondaggio condotto da Geiger (2002) negli USA, l’abilitazione per gli educatori speciali era a se stante in oltre l’80% degli stati. Tuttavia, due anni dopo, alcune modifiche apportate alla legge hanno definito il profilo degli insegnanti altamente qualificati. Queste correzioni richiedono la conoscenza dei contenuti dell’insegna-
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mento a livello di formazione elementare da parte degli educatori speciali nelle scuole ordinarie, mentre gli educatori speciali che forniscono istruzione su materie essenziali in scuole di secondo grado necessitano del possesso di un’abilitazione per ciascuna materia di insegnamento. Per parecchi anni, la FASPER ha organizzato corsi per materie essenziali, ma questa pratica è stata abbandonata in quanto le disposizioni di legge in Serbia non permettevano agli educatori speciali di esercitare l’insegnamento della materia. Secondo Barresi e Bunte (1979), i paesi con 6 o più abilitazioni diverse nel campo dell’educazione speciale, vengono considerati come aventi un modello categorico di abilitazione. Se il numero di abilitazioni è inferiore a 6, si parla di modello generico. In aggiunta al modello categorico e a quello non categorico (generico), in alcuni paesi troviamo un modello misto di abilitazione per gli educatori speciali. In relazione a tale distinzione, possiamo concludere che l’abilitazione professionale in Serbia è strettamente categorica. Gli educatori speciali vengono formati per una delle seguenti aree: - Patologia del discorso e del linguaggio (FASPER e Università di Novi Sad) - Invalidità visive (FASPER) - Invalidità uditive (FASPER) - Inabilità intellettuali (FASPER) - Inabilità fisiche (FASPER) - Disturbi comportamentali (FASPER) - Inabilità multiple (Università di Novi Sad) All’Università di Novi Sad, esiste un modulo per l’educazione generalizzata nei primi 4 anni di studi. L’organizzazione categorica continua durante l’alta formazione, mentre l’abilitazione degli studi di dottorato è generica. Recentemente, a Novi Sad, è stato approvato un programma di specializzazione, della durata di un anno, nel campo dell’educazione speciale per la prima infanzia. A questo punto, comunque, non esiste alcuna abilitazione in questo campo o nella pianificazione dell’area di passaggio. Conclusioni Gli sforzi pluriennali per definire nitidamente i confini tra le competenze degli educatori speciali e quelle degli insegnanti di formazione ordinaria nell’istruzione dei bambini affetti da inabilità generano sempre la paura di un fallimento nell’insegnamento, così come una possibile violazione dell’identità professionale. Una sostanziale implementazione del modello sociale di inabilità implica una deviazione radicale rispetto ad un punto di vista tradizionale del deficit, visto come fenomeno inerente a un bambino affetto da inabilità. Distogliere l’attenzione dal deficit individuale focalizzandola verso una questione di barriere sociali è un passo fruttuoso nel pensare oltre, non soltanto riguardo il contenuto di programmi di studio individuali, ma anche per l’intero sistema di formazione degli educatori speciali e degli insegnanti di istruzione ordinaria. Università di Belgrado
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The obstical faced education for disabled persons Muowffak Alkhafaji
Head Iraqi Alliance for Disability-IADO Mi presento... sono il presidente dell’associazione irachena per le persone disabili. L’Iraq è il paese più colpito da guerre e da quello che rimane del post guerra ci sono 25 milioni di mine anti uomo nel mio paese e circa 50 milioni di persone sono state colpite o hanno subito le conseguenze della guerra cominciata nel 91; moltissimi i morti civili e tanti i sopravvissuti disabili. Dopo il 2003 abbiamo ottenuto la libertà di espressione, ma in realtà non si può parlare di vera e propria democrazia e abbiamo pagato un prezzo troppo alto anche per questa libertà. Nel 2005 in Iraq è stata votata una nuova costituzione in cui si dice che il governo iracheno deve assicurare la piena integrazione delle persone disabili nella società (articolo 52). Nel 2007 l’Iraq ha sottoscritto il trattato di Ottawa sulle mine antiuomo in cui all’articolo 5 e 6 viene stabilito come integrare i sopravvissuti delle guerre o le persone che sono state menomate dalle mine. Successivamente in Iraq abbiamo ottenuto la libertà e il diritto di creare delle associazioni non governative, quindi abbiamo messo su la nostra associazione per le persone disabili per proteggerne i diritti e le necessità. Quando si è trattato di formare le persone disabili ci siamo trovati di fronte a molte difficoltà, specie per quanto riguarda la scolarizzazione sia a livello legislativo che esecutivo, fino a che nel 2013 abbiamo sottoscritto le convenzioni sui diritti dell’uomo e la più importante è la CRPD ovvero la convenzione sui diritti delle persone disabili in cui nell’articolo 24 viene riconosciuto il diritto dell’educazione senza discriminazione. Si esige da parte dello Stato di assicurare l’educazione per le persone disabili a tutti i livelli educativi, garantire lo sviluppo, il senso della dignità e dei diritti umani nella società libera, istruzione gratuita che tenga conto dei bisogni speciali. E pure fornire abilità nei rapporti speciali includendo l’insegnamento del Braille per le persone cieche e il linguaggio dei segni per i sordi. Dare lavoro agli insegnanti inclusi gli insegnanti disabili che hanno esperienza. Assicurare l’accesso alle persone disabili ai più alti livelli di educazione. Di fatto esistono ostacoli per l’educazione dei disabili sia per quanto riguarda la scolarizzazione che per le persone laureate, le quali trovano ostacoli ambientali non indifferenti, in un paese come l’Iraq in cui sono molti i check-point e tante inaccessibilità compresi i trasporti pubblici. Tra gli ostacoli ambientali oltre quelli
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architettonici c’è da rilevare anche un numero elevato di allievi per classe e che fa sì che le persone disabili non ricevano sufficienti attenzioni. Tra gli ostacoli tecnici è possibile rintracciare l’insufficiente disponibilità di tecniche per i bisogni dell’educazione speciale per i ciechi, i sordi e i “lenti ad apprendere”; mancanza di tecnologia moderna per l’insegnamento ai ciechi, di mezzi per l’apprendimento della lingua dei segni; mancanza di insegnanti specializzati nella disabilità e di coordinazione per affrontare i problemi dell’educazione dei disabili. Ciò che occorre è l’impegno nel concentrarsi sui servizi da offrire alle persone, sul modernamento delle tecnologie per la riabilitazione, e di facilitare l’integrazione delle persone disabili incentivando il monitoraggio dei risultati ottenuti dal lavoro fatto per individuare le problematiche e le emergenze. La situazione al momento è di grande crisi poiché un numero crescente di insegnanti è stato arruolato per la difesa del paese, molte scuole sono state chiuse o trasformate in ospedali temporanei o di accoglienza di persone evacuate da zone di guerra, e ciò ha creato una scolarizzazione intermittente e non regolare. Auspichiamo e ci battiamo per migliorare la situazione esistente, rigenerare aspettative negli investimenti come quelli proposti nella giornata mondiale per i disabili che si tiene il 3 dicembre di ogni anno e anche il giorno internazionale del Bastone bianco per i non vedenti, adottare rapidamente leggi nazionali che siano in linea con la convezione internazionale in particolare con l’art.24 e facilitare l’adozione degli standard per persone disabili con la costruzione di nuove scuole e centri sportivi. Prima di concludere, alcune soluzioni sono state rilevate durante la conferenza annuale sotto il patronato di Ahmar Haquim, che ha messo l’accento sul problema delle persone disabili e ne ha fatto una priorità, a seguito, solo da due mesi, è stato ottenuto il permesso dal parlamento iracheno di votare per una nuova legge nazionale, l’art.38, che ha creato una commissione nazionale per le persone disabili con la quale stiamo lavorando per offrire e sviluppare una vita più dignitosa.
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Approche clinique pèdagogique: une revolution dans le secteur du Handicap au Senegal Oumar Diop dit Elhadj
Coordinatore Handicap FormEduC/CRPH-Centre de Ressources pour la Promotion des Droits des Personnes Handicapèes Senegal I principi della pedagogia clinica dell’ANPEC sono quelli stessi che teniamo presenti nella nostra organizzazione (vedi, rifletti, agisci) per la comunità di auto-promozione HANDICAP FormEduC e ciò trova ragione di condividere con voi la nostra esperienza. La clinica, nel senso in cui la intendiamo è una metodologia della pratica che instaura una reciprocità tra la conoscenza scientifica in riferimento a un corpus di conoscenze che rende conto di una realtà condivisa fra il sapere e il saper fare, e una condotta di intervento (diagnosi, trattamento in vista di un cambiamento, ritorno alla normalità); non possiamo ridurre queste conoscenze alla semplice etimologia, ovvero ad una semplice lettura dei segni (osservazione di manifestazioni) tradotta stando ai piedi del letto (kliniké, l’assistenza del medico ai piedi del letto), osservazione indotta dal medico in situ o in vivo sul paziente che si trova nel letto e che deve accontentarsi dei soli sintomi, i segni da leggere. La definizione più rigorosa dovrebbe comprendere osservazione e trattamento che la clinica riassume bene in quello che è sempre stato in medicina e in medicina mentale, e qui attraverso la psichiatria tocchiamo le discipline umanistiche, psicologia, antropologia, sociologia, pedagogia... Quella clinica traboccante del suo valore medico e dopo tutto restrittiva, si deve accettare come metodo proprio delle scienze umane, un approccio specifico in psicologia, psicologia sociale, in sociologia e in educazione. La clinica si caratterizza dunque di questo spazio fatto/dato alla persona come soggetto e non come utente/oggetto, ciò che chiede un approccio clinico condotto con una particolare sensibilità verso l’altro, come vuole la pedagogia clinica. Nel settore della disabilità l’adagio dice: “tutto quello che viene fatto per noi, senza di noi, è contro di noi”. Con la costituzione della nostra associazione Handicap FormEduC (Handicap Formazione, Istruzione, Comunicazione e Cultura) in Senegal nel 1999, abbiamo voluto sottolineare l’approccio pedagogico clinico basandoci principalmente sulle persone con disabilità, e sugli altri attori del settore, vale a dire, le associazioni di genitori di bambini disabili, operatori sociali, associazioni di sviluppo e le istituzioni nazionali e internazionali di istruzione e formazione, etc. L’organizzazione della nostra Associazione prevede l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione che comprendono la creazione nel 2003 del CRPH e la creazione e installazione dell’unità formazione in informatica, i corsi di formazione gratuiti in informatica per le persone con e senza disabilità e la creazione di centri regionali di formazione in informatica e di un centro nazionale di telelavoro a favore dei disabili. Tra i diversi impegni i primi studi diagnostici sulle condizioni di vita e i diritti delle persone con disabilità in Senegal (con il sostegno finanziario dell’Ufficio delle Operazioni della Banca Mondiale in Dakar) hanno indirizzato alla creazione di un comitato scientifico multidisciplinare che si è occupato anche del quadro giuridico poiché fino ad allora non c’era in Senegal nessuna legge dedicata alle persone handi-
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cappate, al completamento di lezioni in videoconferenza presso la sede della BM a Dakar con esperti di Washington e di altri paesi del mondo per scambiare idee ed esperienze, workshop interregionali e atelier nazionali indirizzati alle norme architettoniche, agli ausili, i diritti e la promozione della comunicazione sociale. Impegni che sono andati anche ad occupare edizioni per la diffusione dei risultati della ricerca. Come in tutti i paesi del mondo non è la società civile che ha il compito di fare progetti di legge bensì l’esecutivo o il parlamento, non stava perciò a noi farlo, ma per la prima volta in Senegal la legge sull’orientamento sociale è stata proposta da un gruppo civile che ha elaborato a seguito di una ricerca approfondita, un progetto di legge a cui hanno contribuito tre gruppi di lavoro interregionali e poiché in Senegal ci sono 14 regioni, abbiamo diviso il paese in tre parti, il nord, il sud e il centro. I tre gruppi comprendevano rappresentanti di queste aree che con incontri attivi e partecipativi hanno analizzato la situazione, redatta una versione finale della proposta, trasmessa poi alla Direzione per l’Azione Sociale e al Ministero, a seguito di ciò la proposta mutata in legge è stata promulgata. Si tratta di una legge che ha visto, in occasione di incontri di lavoro, ratificata la convenzione relativa ai diritti delle persone handicappate dettata dal comitato speciale delle nazioni unite ONU nel 2006, a cui avevo già partecipato apportando un personale contributo in rappresentanza del Senegal. In conclusione mi sono soffermato sull’approccio metodologico di ciò che voi chiamate clinica pedagogica e come noi l’abbiamo vissuto per la promozione nel Senegal delle persone handicappate, comprendete quindi perché sono qui presente per approfondire le vostre pratiche attività.
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La persona «funzionante», esempio positivo in un contesto di conflitto Sami Basha
Doc. di Pedagogia e Scienze dell’Educazione, Palestine Ahliya University, Betlemme-Palestine Per chiarire innanzitutto quale sia il “contesto di conflitto” in cui si inserisce la mia analisi, torna utile raccontare la storia del villaggio di Emmaus nella Palestina storica, il cui nome risuona abbastanza noto nella cultura e nella storia occidentale e che per me rappresenta un esempio assai indicativo. In questo villaggio, oggi scomparso dalle carte geografiche, una giornata come tante, nei vicini anni ‘60 del secolo scorso, i suoi abitanti furono intimati dai soldati israeliani di lasciare, in poco tempo, le loro case, le loro terre e quanto possedevano. Loro ubbidirono, subendo un forte stress psicologico i cui effetti si sono dilatati per generazioni. L’esperienza di Emmaus è ancora viva, dato che tale genere di situazione continua a ripetersi nella contemporaneità di chi scrive, nella limitrofa area geografica in cui conflitti, dichiarati e non, mettono l’uomo di fronte ad una lotta continua per mantenere la propria identità e per vivere con dignità. Il contesto geografico è quello della Palestina, che è il mio contesto vitale, ma che (pur nella sua unicità peculiare) può essere usato come paradigma di tanti luoghi in cui esistono conflitti sociali, di etnie e religione. In modo oramai scontato, faccio notare che l’attenzione dei Media o dei leader mondiali si rivolge a queste zone solo quando vi succedono fatti clamorosi; mentre viene trascurato il confronto quotidiano con lo stato di tensione e di ansia che crea nell’inconscio rappresentazioni peggiori della situazione stessa. La notizia, data da tre minuti di servizio televisivo, o da due colonne di quotidiano, poco lascia intendere o trasparire quanto grossa sia invece la portata dello spettro di disastri e morte che rende la gente snervata e ne complica la prospettiva di vita normale. La posizione del più debole e la realtà dei fatti poco affiorano. Contesto di conflitto: effetti psicologici Questo, per brevi cenni, il background in cui propongo di sviluppare la nozione positiva di «uomo funzionante», guardando dalla prospettiva psico-pedagogica e rivolgendomi maggiormente alla fascia giovanile della popolazione. Il perdurare delle violenze in Palestina, le restrizioni alla libertà di movimento e l’umiliazione quotidiana a cui il popolo è sottomesso hanno prodotto effetti devastanti sul benessere psicologico degli abitanti, incidendo gravemente sulla capacità di concentrazione e di apprendimento a livello scolastico; e a livello lavorativo vige un costante sentimento di frustrazione e senso d’inutilità. Per cui svogliatezza, incompiutezza nel lavoro, sentimenti passivi provocano effetti incalcolabili: danneggiano irreparabilmente il senso di fiducia negli adulti da parte dei bambini; accrescono la tolleranza alla violenza come strumento idoneo alla risoluzione dei problemi; diminuiscono la capacità di sopportazione e di speranza nel futuro nei soggetti più deboli.
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Anche il sentimento della morte cambia. Quando un popolo è quotidianamente a contatto con la morte che tocca i familiari, o gli estranei o i lontani dal personale circuito, il concetto di morte perde l’impatto di essere un fatto straordinario nella vita di un uomo e viene preso con senso comune. Le stime rivelano che un alto numero di bambini palestinesi è stato direttamente esposto a qualche forma di violenza, mentre si registra un aumento delle violenze in ambito domestico e scolastico, “riflesso” delle pressioni cui genitori e figli sono sottoposti nel corso della loro vita quotidiana. Gravi e numerosi risultano essere inoltre i problemi emotivi riscontrati nei minori: disturbi del sonno, incubi e incontinenza notturna, difficoltà di concentrazione e di apprendimento, aumento dell’aggressività e degli stati di tensione, dei comportamenti a rischio, dei sintomi di stress, di sconforto e frustrazione. Infine, si vive in uno stato di paura, di incertezza e di minaccia permanente. L’unica soluzione si intravede solo nella possibilità di lasciare il paese. Nella fuga, che si può chiamare esilio o emigrazione, ma che è fuga dall’insostenibile. Un’altra soluzione si trova nella necessità di un intervento pedagogico-clinico, che si configura come l’unico capace di far ritrovare il senso della vita, e di togliere spazio alla disperazione e alla cultura della morte e dell’odio. Un interessante ed autorevole studio, condotto da Al-Krenawil e Graham, su giovani scelti da scuole dei campi profughi, in villaggi nella Cisgiordania e nella striscia di Gaza in modo casuale, ha riguardato l’impatto della violenza politica sul funzionamento psicosociale degli individui e delle famiglie1. Attraverso l’uso di strumenti di ricerca2 si è riscontrato un livello significativamente alto di aggressività, di problemi in famiglia e di funzionamento sociale, insieme ad alti livelli di depressione, ostilità, ideazione paranoiche, e di disturbi post traumatici da stress (PTSD). Si è anche rivelato che lo stato economico e il livello di istruzione parentale sono stati legati alla riduzione dei livelli di sintomi di salute mentale e ad un maggiore funzionamento della famiglia. Ci sono state differenze di genere maschili e femminile. L’esposizione alla violenza politica è stata significativamente correlata con la maggior parte delle variabili di funzionamento psicosociale. Ne è conseguito che è difficile per i genitori fornire ai loro figli un vero senso di stabilità, quando loro stessi non ne hanno. I servizi sociali offerti dal governo hanno un ruolo enorme da assolvere, ma si limitano alle esigenze di base. Come si evidenzia dalla statistica, il luogo in cui si riversa la parte maggiore dello stress è l’ambito educativo. È “umiliazione educativa” quella che accompagna i ragazzi nel loro percorso scolastico e non permette loro di sviluppare la naturale capacità di apprendimento e di socializzazione. La testa del ragazzo non è più dentro la classe ma fuori dove c’è rischio e paura, incertezza e minaccia. In poche parole, la popolazione cresce con grossi deficit che riguardano la coscienza della loro dignità, l’autostima, la speranza di costruirsi un avvenire, la stabilità nella vita quotidiana. Questo ci spaventa e ci affretta verso un intervento pedagogico rapido usando tutti i nostri mezzi per dare la possibilità a tanti di ritrovare il senso della loro esistenza e spazzi via la disperazione e la cultura della morte e dell’odio. In Palestina si assiste già alla fase degli effetti del «post conflitto ancora in corso» dato che esso si perpetua da generazioni. Quella che chiamo «confusione antropologica» rende bene l’idea della drammatica esclusione, dall’agenda del potere istituzionale, delle reali necessità dell’uomo. Allargando la panoramica a livello mondiale si vede chiaramente che intervenire in un contesto di conflitto non può essere limitato solamente ad un intervento lampo. Una ricerca condotta nel 2003 da una rivista italiana segnala la percentuale dei paesi liberi in tutto il mondo. Il risultato è stato sorprendentemente positivo. Nel 1972 46% erano i paesi non liberi ed invece nel 2002 sono 1 A. Al-Krenawi1, J.R. Graham, The impact of political violence on psychosocial functioning of individuals and families: the case of palestinian adolescents. Child and Adolescent Mental Health, vol. 17, n. 1, 2012, pp. 14-22. 2 1. Questionario socio-demografico; 2. Questionario sulle esperienze personali e familiari, sui traumi e sull’esposizione a eventi violenti; 3. Brief Symptom Inventario; 4. PTSD Symptom Scale.
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diminuiti al 25%. Nel 1972, 29% erano i paesi liberi ed invece nel 2002 sono aumentati al 46%. Anche i paesi parzialmente liberi sono aumentati più del 4% in tutto il mondo3. Tutto passa all’attenzione dei lettori come un colpo sicuro che ha cancellato decenni di miseria e di prepotenze. Potremmo aggiungervi anche l’Iraq, la Siria, l’Egitto. Invece non mi sembra così semplice. Paesi che adesso consideriamo liberati sono invece in uno stato di grave crisi sociale, politica, economica ed educativa. Si ribaltano i dati se ribaltiamo il concetto stesso di “libertà”. La globalizzazione, che ha permesso di connettere e di fare del mondo un grande villaggio, ha purtroppo rivelato il suo lato negativo e limitante nel voler innestare in un terreno impreparato valori di pensiero acquisiti altrove, nel lungo corso di una storia diversa, trasmettendo solo idee frammentate e superficiali4. Dove sta la vera liberazione? Quali sono le cause del perché non sempre la libertà garantisce la pace, il benessere economico e un’istruzione. Il Vaticano II, dichiara: «L’uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà»5. Ma non c’è libertà e pace, senza giustizia, nel senso più vasto del termine. La libertà è un bene funzionale. Bisogna non cadere nell’errore teorico e pratico di esaltare il concetto di libertà all’interno di un progetto antropologico educativo. La libertà non è una dimora ma è un ponte. Allora da pedagogista mi rivolgo a quella che ritengo l’arma più efficace: la formulazione di un pensiero e di un intervento educativo che prepara al corretto uso della libertà ritrovata e al raggiungimento dell’«equilibrio umano». Intendo il pensiero di un’educazione liberante “contestuale”, ed un intervento pedagogico, capace di costruire una società civile che sappia “auto” rafforzare la propria identità ed essere capace di costruire un personale e autentico progetto di vita. Il conflitto in Palestina, protraendosi da oltre mezzo secolo, presenta un ventaglio di intervento che tocca più generazioni che hanno vissuto e vivono il conflitto ancora in corso. Noi come pedagogisti non siamo chiamati a salvare la persona, nel senso di strapparla da un pericolo, ma “liberarla” nel senso di “disimpegnarla” da una situazione che la opprime o che la assoggetta. È un processo di liberazione dallo stato presente e nello stesso tempo è l’offerta di un avvenire che crei insieme alla persona un progetto ed un’alternativa per vivere positivamente la propria vita. Nessun psicologo, né psichiatra può reggersi su un’analisi che non si colleghi ad un fatto concreto e ad una situazione reale, ossia ad una pedagogia contestuale. Tuttavia in Pedagogia, individuati i disagi e gli atteggiamenti in situazione di stress duraturo e dilatato nel tempo, si può essere capaci di formulare una teoria valida di intervento. A mio avviso una è il citato «equilibrio umano» all’interno di un conflitto, che consiste nel lavorare sul disagio nell’equilibrio e accompagnare alla ricerca della visione ottimista6. Se ci rivolgiamo alla letteratura pedagogica in materia di condizioni disagevoli per lo sviluppo normale di un individuo, possiamo ricorrere ad alcuni esempi autorevoli che dalla loro esperienza hanno sviluppato un pensiero forte e positivo, producendo in alcuni casi una reazione sociale costruttiva. Ad esempio, numerosi sono i pensatori che, vittime dell’Olocausto durante la persecuzione nei Lager, hanno fornito luminose riflessioni emozionali, filosofiche e politiche, che oggi “paradossalmente” possono permettermi di tracciare i caratteri identificativi dell’essere umano funzionante. Ne citerò alcuni, la cui eredità si trova disseminata nel presente contributo. Riflessione psicologica della funzionalità Abraham Maslow e l’ideale di uomo funzionante Maslow nasce in una famiglia povera e prova delle difficili condizioni sociali. La sua funzionalità umana è stata maturata attraverso lo sviluppo dell’attività intellettiva – il libro è stato il suo amico –. Ha diM.D. Martino, Esteri; Stato delle libertà nel mondo, in PANORAMA 15 maggio 2003, Anno XLI. n. 20, pp. 120-125. A. Ferrucci, Per una globalizzazione solidale verso il mondo unito. Città Nuova Roma, 2001 5 GAUDIUM ET SPES, in Documenti del concilio Vaticano II, n 17. p. 187, Paoline, Roma 1981. 6 S. Basha, Diagnosi di un popolo – Il caso Palestina. Un percorso di intervento pedagogico-clinico in un contesto di conflitto, pp. 8-12. in, Pedagogia clinica, Firenze, luglio-dicembre 2006 3 4
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mostrato che la persona umana è capace di realizzare opere buone ed essere positivamente funzionante contro l’odio. È riuscito a produrre studi sulle dinamiche delle emozioni di una vita sana e piena7. Tre punti costituiscono la Magna Carta della cosiddetta Terza Forza: l’esperienza umana che può essere di ostacolo o di aiuto alla nostra funzionalità sui vari livelli; l’accentuazione delle qualità che sono distintamente umane, come la scelta, la creatività, la valutazione e l’autorealizzazione; l’apprezzamento della dignità e del valore dell’uomo che rappresenta l’impegno inteso a sviluppare tutto il potenziale inerente ad ogni persona. Per Maslow è urgente l’esigenza di elaborare una nuova visione dell’uomo in cui si segni uno scatto qualitativo. L’essere umano pienamente funzionante e sano (approccio olistico dinamico) è capace di giudicare meglio le situazioni, non teme il futuro e l’ignoto ma, anzi, lo trova stimolante. La persona funzionante in Maslow esce fuori dall’“egocentrismo” e si dedica ad affrontare i problemi che la circondano. È in grado di stare in solitudine, senza risentirne e senza avvilirsi. È capace di mantenere la calma nelle circostanze più difficili e di stupirsi dell’ordinario. Il suo individuo sano nutre un profondo senso d’identificazione con il genere umano. Ciò non implica una mancanza di distinzioni. Inoltre, gli individui autorealizzati sono profondamente democratici, nel senso che non ricercano il prestigio sociale e l’autorità sugli altri. Ama la compagnia, ma la seleziona per approfondirne la relazione. È una persona che conosce bene la differenza fra il giusto e l’ingiusto, e ha dei modelli etici ben definiti, sebbene siano spesso diversi da quelli convenzionali. Analogamente, il più delle volte guarda ai fini e non si fissa sui mezzi; più esattamente, «considerano come fini molte esperienze e molte attività che, per altre persone sono soltanto dei mezzi». Una delle caratteristiche distintive delle persone “sane” è la refrattarietà a forme di umorismo “cattivo”. Piuttosto, «ciò che considerano umorismo è più che altro vicino alla filosofia. Può essere anche detto umorismo della realtà, perché consiste in gran parte nel ridere degli esseri umani in generale, quando sono sciocchi, quando dimenticano il loro posto nell’universo, quando cercano di diventare grandi, mentre sono piccoli». Senza eccezione, la creatività è una caratteristica di questo individuo sano. Essa non si riferisce necessariamente a un talento speciale, ma «è come se […], essendo espressione di una personalità sana, si proiettasse sul mondo o toccasse tutte le attività in cui la persona è impegnata. In questo senso, possono esserci calzolai, falegnami o impiegati creativi […] È anche possibile vedere creativamente come fanno i bambini». Assai distintiva in Maslow è l’esperienza dell’altopiano: luogo ideale in cui l’uomo si “rifugia” per formulare la sua forza positiva. L’altopiano può essere una condizione di solitudine e di isolamento temporaneo o un ambiento protetto e chiuso, come la famiglia, le amicizie, o la comunità religiosa. Sono luoghi in cui si sviluppa una funzionalità produttiva e propositiva. A patto che non diventi continuativo, caso in cui si ha l’effetto negativo di nicchia. Essere «uomo funzionante» Snodata la parte teorica sulla falsa riga dell’idealità di Maslow, «l’uomo funzionante», che propongo in questo contributo, è colui che è capace di essere produttivo nei diversi campi a cui appartiene: sociale, politico, economico e familiare. È ogni personaggio positivo che trasforma l’approccio alla realtà circostante in direzione non passiva ma propositiva e lungimirante (nonostante si viva sottomessi a delle condizioni psicosociali insostenibilmente pesanti). È colui che sente la responsabilità del ruolo che riveste e ne fa la ragione d’essere per accompagnare alla speranza coloro di cui ha cura. Esistono delle condizioni imprescindibili. Innanzitutto un concetto solido della propria identità. L’identità non è solo l’appartenenza alla propria etnia o alla propria religione o alla propria cerchia professionale o culturale. Ma è – a mio avviso – co7
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E. Fizzotti, M. Salustri, Psicologia della religione con antologia dei testi fondamentali. Città Nuova, 2001.
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scienza del ruolo che si ricopre, nel senso di responsabilità del ruolo che si riveste nell’ambito in cui si opera, uscendo fuori dall’appartenenza di origine ed entrando nel ruolo che ti fa persona neutra utile a quel determinato spaccato sociale. Si tratta di vestirsi della propria responsabilità, provando ad essere influenti attraverso “strategie” insolite. Altra condizione fondamentale è quella proposta da Martin Buber, uno degli autori a me più cari8. Secondo Buber, la crisi della vita pubblica sta nella difficoltà e nell’incapacità umana di uscire dalla ragione dell’IO. La crisi mondiale che viviamo è unica e drammatica, ma nasconde una sua positività; essa obbliga a porre con decisione estrema il problema dell’uomo e della sua dimora. Essa inoltre, ponendo gravemente in evidenza le difficoltà degli uomini nel costituire e migliorare la dimensione sociale, obbliga a considerare l’urgenza di un’azione educativa capace di condurre gli uomini verso una convivenza più consona alla loro vera natura. L’incontro tra i popoli, che significa incontro con l’altro e con il diverso, impone nuove vie, mai percorse prime, di coabitazione. Una considerazione globale rispecchia, in piccolo, quello che viviamo nella stretta terra del Medio Oriente, con quelle differenze religiose e diverse visioni politiche che diventano conflitto armato. Non è allora richiesto anche al contesto mediorientale la scoperta della positività? Non viene proposta una sfida che sia alternativa all’uso della forza? L’uscire dall’IO verso il NOI si realizza nel quotidiano superamento della chiusura passiva nella «mia» cultura, nella «mia» patria, nella «mia» razza, nella «mia» nazione, nella «mia» religione: la relazione autentica corrisponde all’apertura, il contatto rispettoso e lo scambio fecondo. In un antico lavoro Midrash (Eikhah Rabbah II, 13), si legge: «Se ti dicono che c’è saggezza fra le nazioni del mondo, credi loro. Se ti dicono che la Torah è in seno a queste nazioni, non creder loro». I saggi dei tempi antichi hanno avuto l’intelligenza e il coraggio di riconoscere che se la Torah è la caratteristica di Israele, l’ebraismo non ha il monopolio della saggezza. Il Midrash ci insegna che ci sono saggezze che l’ebraismo non detiene per se stesso e si trovano fuori da se stesso: nelle culture e religioni delle nazioni del mondo. Il rispetto autentico nei riguardi dell’«altro», richiede certamente tolleranza e decenza; ma in maniera più importante, richiede il riconoscere che quest’«altro» è portatore di saggezza, alla quale da soli non possiamo accedere. Pertanto, se oggi desideriamo impegnarci nella trasformazione dell’«insegnamento al disprezzo» in «insegnamento alla stima», facciamo un passo avanti nell’incontro e nella costruzione di una società che allarga il suo concetto di Verità. Si tratta di distaccarsi dalla prospettiva di nicchia per cercare l’altro e incontrare la diversità. Se riflettiamo allargando lo sguardo al mondo, i posti in cui si vive crisi e conflitto sono soprattutto quelli in cui esistono diversità etniche o religiose: Medio Oriente, appunto, ma adesso anche all’Europa dove il diverso entra nel nostro ambiente. La diversità ci spaventa, ci fa chiudere in una nicchia, e spesso i tentativi di avvicinamento ci deludono. La proposta esistenziale buberiana di educare all’incontro richiede la formulazione di una scelta vitale impegnata, il cui fondamento sta nella concretezza dell’uomo vivente e funzionante, nel rapporto esistenziale espresso come relazione. L’uomo, dunque, può essere compreso solo come essere in relazione. Chi vive l’autenticità e la libertà nelle relazioni mette in gioco la totalità dell’essere e costruisce un dialogo autentico. La presenza organizzata nella società dell’uomo funzionante inizia a prendere delle configurazioni più precise nel momento in cui la sua positività si esprime come una sfida. Nei contesti di conflitto, numerosi fattori ostacolano quella creatività e produttività tanto esaltata da Maslow. Uno di questi è quando il popolo non è capace di autodeterminarsi, nel senso di diventare protagonista nel suo contesto. L’essere protagonista è la sostanza di chi non ha paura di fronte all’azione di chi vuole asservirlo. Lui ha il coraggio di non scendere a compromessi. Nella storia dell’umanità, la coscienza collettiva del popolo ha 8
G. Milan, Educare all’incontro, la pedagogia di Martin Buber, Città Nuova, Roma 2000, p.33.
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dimostrato di essere un potente motore di cambiamento nel contesto di conflitto quando è l’etica sociale a prevalere. Essa si alimenta nei movimenti di consapevolezza (soprattutto tra i giovani), in cui esiste il desiderio di cercare alternative: l’essere propositivi e responsabili all’interno della propria società; il mettere in atto il pensiero critico; l’acquisire abitudini positive per tutta la vita. Si apre una dinamica più ampia di azione per l’uomo funzionante quando esso è portatore di valori che testimoniano la presenza attorno a lui di una comunità. Il senso della comunità va valorizzato al massimo. La comunità è la struttura sociale per eccellenza, che accoglie e che lascia spazio alla creatività e all’iniziativa del singolo. Essa è anche detentrice di valori9. Spesso, come in Palestina, esistono delle minoranze che lottano per il mantenimento della propria identità. Quale è il ruolo della minoranza? Innanzitutto conservare il proprio patrimonio storico e culturale. Poi cercare di fermare l’emorragia delle sue componenti più produttive e fervide. Le situazioni politiche ed economiche costringono soprattutto i giovani a lasciare la terra di origine, per trovare una stabilità non disturbata e per condurre una vita normale. Questo fenomeno lascia la comunità in minoranza ancora più sterile con un grosso interrogativo per il suo futuro. L’essere minoranza significa vivere tra una maggioranza portatrice di differenze sociali religiose e culturali. Questo impone alla minoranza delle scelte di sopravvivenza impegnative e coraggiose. Porrei l’accenno sull’impatto sociale. Perché, mentre a livello privato è più facile mantenere la propria identità, la sfida è come incidere nel sociale con scelte etiche divergenti. A volte la minoranza esalta la divergenza dei propri valori pur di sentirsi diversa dal contesto in cui vive. Questo potrebbe dimostrare degli aspetti negativi che comunque esistono. Ma a proposito di minoranza è bene piuttosto confermare le grandi potenzialità insite in essa, come il suo coraggio di testimoniare scelte civili controcorrente che coraggiosamente guardano al futuro. La comunità in minoranza vive la realtà della diaspora. Cosa intendiamo per diaspora? È quella comunità che vive un desiderio perenne di vedere confermata la propria identità in relazione allo spazio materiale, volendo elaborare strategie atte a rafforzare le proprie radici in un contesto politico generale auspicabilmente più stabile e propizio e di esercitare un ruolo culturale e sociale significativo per essere attore rilevante nell’entità politico-istituzionale d’appartenenza. Perciò il termine diaspora, indica una comunità sempre alla ricerca della propria identità. La minoranza si può anche intendere come la portatrice di valori che rifiuta e non giustifica l’uso della forza e della violenza, come – ad esempio – la comunità cristiana in Medio Oriente, che non chiude gli occhi di fronte all’ingiustizia. Spesso la minoranza rappresenta un fondamentale diritto democratico: il diritto al dissenso. La comunità in minoranza può anche essere portatrice di valori riguardanti l’educazione e il sistema scolastico, di cui la maggioranza deve tener conto. Proseguendo nel disegnare la carta di identità dell’uomo funzionante, lui è una persona che lavora alla promozione dell’uomo nella sua globalità10. Per un educatore il modello vitale porta a scoprire la vocazione all’incontro e al dialogo attraverso forme educative di stima e fiducia. La fame d’istruzione non è meno deprimente della fame di cibo. Istruire significa far riprendere fiducia in se stessi, apre le porte all’integrazione sociale e al pensiero critico. Il modello vitale prevede di proporre una formazione istituzionale e curriculare capace di cambiare l’immagine dell’altro che faccia cadere la maschera del nemico e lo sveli come partner a ogni livello. Si tratta di un’educazione al dialogo costruttivo che ci insegna ad imparare dall’altro. Facendo luce sulla realtà del conflitto, Buber porta inevitabilmente a concepire un intervento attivo vitale, fra cui un rinnoS. Basha, Scelte civile e non violenza in Terra Santa. Verso una pedagogia della liberazione, in Per una cultura di pace in Terra Santa, ETS, Milano 2010. 10 S. Basha, Giustizia, sviluppo e pace: dalla Populorium Progressio una proposta educatica per la Palestina, pp, 20-25, in La Terra Santa, Gerusalemme, genn.-febb. 2004. 9
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vamento concreto dell’istituzione per ripensare l’assetto educativo e perché si sviluppi una reale “pedagogia di pace”. Questo non escluderebbe di conseguenza lo scambio di esperienze a livello internazionale, importante per tutti, purché si esca dall’isolamento. La sfida per gli educatori che vivono il conflitto è riuscire a trasmettere modalità e formule educative che, per un verso, conservano le diverse tradizioni e, per l’altro, ne amplificano i punti comuni che portano a far rivivere le nostre origini. L’idea di un modello vitale nella terra di conflitto nasconde un valore aggiunto ad una nuova scoperta del conflitto stesso. Sembra assurdo ma – come spiegato dai precedenti esempi – la crisi e i contesti di guerra possono far scaturire nell’uomo delle spinte positive e una forte volontà individuale e di gruppo. Lo sviluppo (su cui qui rifletto) è quello di un’impresa morale e sociale, in cui la persona umana viene messa al centro dell’attenzione, non come oggetto su cui intervenire ma come protagonista e soggetto attivo e responsabile del proprio futuro. La sfida è ricostruire la struttura della persona umana e la sua coscienza. Si tratta di una guarigione globale della persona. Per cui è un impegno pedagogico ed educativo. È questa anche una mia personale risposta all’interrogativo, posto in precedenza, sul fallimento delle rivoluzioni della cosiddetta “Primavera araba”. La proposta di una concreta educazione alla crescita intellettuale e al progresso, a favore del luogo in cui si vive, e al dialogo, fatto di confronto e comprensione dell’ambito sociale, non deve essere solo appannaggio degli specialisti ma di tutta la comunità: civile, religiosa, e politica. Sia essa frutto della rete educativa. Il modello proposto ha inoltre un altro aspetto. Si rivolge ad ogni uomo di buona volontà che sente la “passione per l’uomo” e non può non sentire l’urgenza di un impegno concreto. Formazione La discussione sull’educazione allo sviluppo del pensiero, come produttività umana (Maslow) e come educazione al dialogo (Buber) mi porta a citare un altro uomo del nostro tempo. È Karol Wojtila, Giovanni Paolo II, che ha contribuito con il suo pensiero al risveglio del suo popolo in forma non violenta, facendo forza sulle energie insite nella sua gente. Il suo ormai noto «Abbiamo bisogno non di muri ma di ponti», rivela l’uso di un termine dall’utilizzo funzionale! L’uomo portatore di valori, di idee costruttive, di valori come la riconciliazione e il perdono (che non classifico come valori di una religione, ma come aspetti propri della componente umana), l’uomo che è capace di liberarsi dall’io e dalla personale sofferenza per aprirsi al noi, è capace di essere “pontefice”, ossia di contribuire – funzionalmente – alla positiva soluzione della crisi. La proposta pedagogica dell’uomo funzionante vuole dare un’interpretazione pedagogica in un contesto di crisi perché si metta in pratica la liberazione, la giustizia, la pace, la non-violenza, e la riconciliazione. Questo metodo è un percorso formativo rivolto ai giovani, ma anche agli adulti che nutrono ancora la speranza del dialogo e dell’incontro. Dal punto di vista educativo non significa solamente acquisizione di informazioni o scienze diverse ma assimilazione dei valori che sono capaci di dare scopi nobili alla vita di ciascuno. Lo scopo per cui vorrei suggerire questo metodo nei nostri contesti, è quello per cui la pedagogia della liberazione vuole sviluppare la situazione sociale concreta, e mirare alla trasformazione della struttura socio-politica per il benessere umano in primo luogo11. L’intervento pedagogico liberante è volto a formare persone libere tramite una liberazione progressiva nel tempo, dando voce all’esperienza personale attraverso uno sguardo al passato che lo formi ad affrontare le sfide dell’attualità12. Il diritto primario alla libertà rappresenta un gesto di dignità umana13. Anche Martin Buber, nel suo descrivere la persona che è in relazione con l’altro, afferma che la libertà 11 J.E. Vecchi, Educazione liberatrice, in J.M. Prellezzo, et al., (Eds), Dizionario di scienze dell’educazione, Elledici, Leumann (To) 1997, pp. 356-357. 12 Ibid., pp.115-117. 13 Z. Trenti, Opzione religiosa e dignità umana, Armando, Roma 2001, pp.187-196.
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esiste nella consapevolezza di essere in relazione con altri solo quando si ha coscienza della propria interiorità14. L’istruzione dovrebbe essere la base per la promozione della democrazia e dei valori civili e sulla strada per la costruzione di una società democratica che invita all’uguaglianza. Sotto tale programma può essere letta a mio avviso una spinta ideale (espressione di un pensiero secolare ma di matrice religiosa) secondo cui l’istruzione è intesa come forma di liberazione della popolazione15. Tale libertà deve essere incarnata nella struttura e nell’esperienza quotidiana dell’uomo. E noi comprendiamo per lo stesso motivo che lo stato delle necessità di libertà ha bisogno di continua verifica in una comunità. La matrice della mia teorizzazione sull’uomo funzionante trova in Paulo Freire una forte convalida16. Le idee di Freire servirono ad alimentare negli educatori popolari un modo di opporsi alle ingiustizie del loro tempo, negli spazi scolastici o nei circoli culturali, anche in tutti gli spazi sociali del distretto, della comunità e del lavoro. Questo movimento acquisì forza e loro riuscirono a fare pressione sul governo brasiliano assai autoritario. La sua teoria e la sua concezione di istruzione partono sempre da un contesto concreto che conduce l’istruzione a pratica della libertà; lo sviluppo umano deve portare naturalmente alla sviluppo e al bene. I popoli che vogliono resistere alla crisi in modo particolare devono rifiutare ogni genere di sfruttamento17. Anche se ogni contesto di conflitto ha delle caratteristiche proprie, condivido due punti del suo pensiero. Paolo Freire non ha abbandonato la sua fede a causa della situazione politica, piuttosto ha tentato di trovare risposte a un potere sempre più autoritario. In questo rispecchia la posizione di chi non rinuncia mai al suo ruolo anzi riesce ad affermare la propria identità. Persa quella non è più possibile contribuire. Poi Freire si è rivolto agli oppressi. E ha affermato con convinzione che la violenza è la reazione ad un’altra violenza più ingiusta: «Come possono gli oppressi non essere violenti se loro sono il frutto di una violenza?»18. Agli inizi del 1900 Buber identificava in specifici fenomeni sociali le cause di influenze negative sulle capacità legislative di un popolo: le regole di mercato mosse da scopi utilitaristici, la “mia” razza, la “mia” nazione, la “mia” opera, come fenomeni dell’individualismo della collettività. Sono problemi dell’uomo con i suoi risvolti etici, che per Buber trovano soluzione solo sotto un’ottica antropologica e qualitativa. Buber si pronunciò proponendo come soluzione al conflitto politico, non l’idea di uno Stato di convivenza, ma di usare la “fantasia”, paradossalmente senza “regole”, nel rapporto con gli altri. Ciò che caratterizza l’uomo funzionante è il suo approccio anti solipsista, ma dialogico. Al primo passo della fantasia deve fare seguito un patto, frutto di relazione, di contrapposizione ed incontro, fino a riuscire a mettersi nei panni degli altri. Anche Martin Buber è l’esempio di chi riesce a vedere nella crisi la positività. È obbligatorio considerare l’urgenza di un’azione educativa capace di guidare e condurre gli uomini e la comunità civile verso situazioni più consone alla natura umana. Conclusioni Saremmo al punto di tirare le fila del nostro discorso. Che caratteristiche ha l’uomo funzionante? È educato a scelte non violente. La non violenza è l’unica via che, pur non garantendo la pace, almeno salvaguarda la dignità dell’uomo. In ogni contesto di crisi, ricercare la pace è una mèta troppo alta, ma c’è bisogno più di tutto di ricercare la dignità di dirsi e sentirsi essere umani. Se il mondo moderno afferma il successo del progresso ma continua a vivere la povertà e l’incapacità di mantenere il diritto del prossimo, del più debole e del più bisognoso, perdura la «confusione antropologica». 14 15 16 17 18
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G. Milan, Educare all’incontro. La pedagogia di Martin Buber, Città Nuova, Roma 2000, p. 33. A. Rosmini, La libertà di insegnare, a cura di A.G. Marconi, Città Nuova, Roma 1978, I, pp. 184-185. G. Moacir, Leggendo Paulo Freire, sua vita e opere, Torino 1995, pp. 2-5. Ibid., pp. 6-10. Ibid., p. 53.
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L’uomo funzionante nutre la speranza. Elio Toaff, altro esempio di uomo che ha vissuto in positivo la sua esperienza nella crisi e nella diaspora, dice: «Se viene meno la speranza, va tutto a rotoli, non si può pensare a niente. Bisogna avere fiducia nell’uomo e nell’umanità. Mi puoi dire che qualche volta siamo stati delusi sia dall’uomo sia dall’umanità, però, se si perde questa speranza non ci rimane che il suicidio…» (Elio Toaff con Alain Elkann, Essere Ebreo. Tascabili Bompiani, Milano 2001). Da educatore e da palestinese mi viene spesso chiesto che soluzioni propongo. Da palestinese potrei a lungo parlare degli impedimenti e del coprifuoco, delle condanne collettive, delle carceri, della gravità della situazione economica e della disumanità dell’occupazione. Da educatore palestinese posso solo dare una risposta, la più difficile da trasformare in scelta politica: è il dialogo, fatto di ascolto, di comprensione delle ragioni dell’altro, che alla fine fa cambiare l’immagine che si ha dell’interlocutore, e lo fa scoprire come partner per la costruzione della società in cui si vuole vivere. In conclusioni due perle di saggezza che provengono dall’Oriente. Due paradigmi di quanto l’uomo sia capace di fare nonostante il dolore e la crisi. La scarpa di Gandhi. Una volta Gandhi, mentre tentava di salire su un treno, perse una scarpa sui binari, tra il treno e la banchina. Tentò di prenderla, ma era impossibile, e il treno stava per ripartire. Così, si tolse l’altra scarpa e la buttò vicino all’altra. Chi era con lui, stupefatto, gli chiese perché mai avesse deciso di buttare anche la scarpa che gli era rimasta, e lui rispose sorridendo: «Un povero che trova una sola scarpa non sa cosa farsene. Buttando anche la mia seconda scarpa, almeno lui potrà gioire del mio paio di scarpe». A cosa serve tenere per sé una scarpa sola? Impariamo a lasciare andare un po’ di quanto ci appartiene, per alleggerire noi stessi e dar beneficio anche a qualcun altro. Non conosciamo chi ne usufruirà. Ma l’esempio lascia intendere di lavorare per una comunità che non conosciamo ma della quale siamo consapevoli e responsabili. Il Kintsugi. Letteralmente significa «riparare con l’oro» ed è una pratica giapponese che consiste nell’utilizzo di metalli preziosi in forma liquida o lacca per la riparazione di oggetti in ceramica frantumati, per
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saldarne assieme i frammenti. La tecnica permette di ottenere degli oggetti preziosi sia dal punto di vista economico (per via della presenza di metalli preziosi) sia da quello artistico: ogni ceramica riparata presenta un diverso intreccio di linee dorate unico ed ovviamente irripetibile per via della casualità con cui la ceramica può frantumarsi. La pratica nasce dall’idea che dall’imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore. Questa è un’immagine che può riassumere lo sforzo dell’uomo che nella rottura e nella crisi può tirare fuori da sé un aspetto nuovo e positivo. Ognuno vive nell’intimo una rottura diversa. La riparazione personale non sarà mai uguale a quello di un altro. Lasciamo spazio alla creatività, all’originalità, all’unicità di ciascun uomo nel risolvere la crisi e nell’adattarsi al contesto di conflitto. Lasciamo spazio all’uomo funzionante di metter “oro” nelle spaccature.
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L’inclusione nella scuola brasiliana e la dislessia Monica Nicola
Psicopedagogista, Psicomotricista Doc. Istituto Brasiliano di Medicina e Riabilitazione IBMR Rio de Janeiro, Brasile In questa prima parte vi espongo la situazione legislativa in Brasile perché possiate avere un quadro più preciso di come si realizzano gli interventi a favore di soggetti in difficoltà, seguirà una informativa sull’aiuto offerto ai bambini dislessici. La Legge dell’inserimento in Brasile, trova il suo inizio e la sua base legislativa nella Costituzione del 1988 (art. 208). Con Legge 7.853 del 1989 viene disposto l’appoggio alle persone portatrici di handicap e l’integrazione sociale. Segue lo Statuto del Bambino e dell’Adolescente del 1990 integrato dalla Dichiarazione di Salamanca del 10 giugno del 1994 sui principi politici e pratiche nell’area delle necessità dell’educazione speciale. Negli anni successivi questa trova suffragi legislativi in: – Capitolo LDB del 1996, sull’Educazione speciale; – Decreto nº 3298 del 1999, regolamenta la legge nº 7.853 del 24 ottobre del 1989 sulla Politica Nazionale per l’Integrazione della Persona Portatrice di Handicap; – Legge 10.172 del 2001, approva il Piano Nazionale dell’Educazione che stabilisce 28 obiettivi e mete per l’educazione delle persone con necessità educativa speciale; – Risoluzione n° 2, dell’11 settembre 2001 che elabora la meta di inserire l’Educazione Speciale nella Educazione Básica; – Integrazione del Decreto n° 3.956 dell’ottobre 2001 che condanna la Convenzione Interamericana, l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro i portatori di handicap (Convenzione del Guatemala); – Risoluzione del Consiglio Nazionale dell’Educazione nº 1/2002, definisce che le Università devono avere nel curriculum dell’educazione una formazione specifica per professori con allievi speciali; – Legge nº 10.436/02 riconosce la Lingua Brasiliana dei Segni come mezzo legale di comunicazione e d’espressione; – Decreto nº 6.571 del 17 settembre 2008 che definisce la necessità di assistenza educativa specializzata e crea una politica nazionale di educazione speciale con prospettive di inserimento. Da questa legislazione si è perseguita in Brasile l’inclusione scolastica, un inserimento che rompe i paradigma che riguardano gli aspetti conservatori nella scuola e contrastano con i sistemi educativi moderni. Questo fa riflettere sulla fissazione dei modelli ideali e crea una nuova identità che affonda nelle diversità. Il potere istituzionale presiede la produzione delle identità e delle differenze e definisce “normale” e “speciale” non soltanto gli allievi ma anche le scuole. Gli allievi della scuola comune sono normali e valorizzati. Gli allievi della scuola speciale sono differenziati in modo negativo.
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Mentre questo sforzo elaborativo di critica viene condotto nell’intero Brasile, la legge sull’Inclusione a Rio de Janeiro (l’unica Legge dell’inserimento nello Stato di Rio de Janeiro – Legislazione Municipale – Legge nº 5348, del 26 dicembre 2011), istituisce il programma di equipaggio nelle piazze pubbliche, nei complessi sportivi e nei luoghi pubblici adattati alle persone portatrici di handicap, ma non nella scuola. Il vantaggio dell’inserimento per tutti avrebbe il significato di provare a convivere con la differenza ciò che porterebbe alla riduzione della discriminazione e un accesso uguale per tutti al sapere. Nel 2007 il PDE-Progetto di Sviluppo dell’Educazione richiedeva una specifica formazione degli insegnanti, stanze con ricorsi speciali e accessi architettonici. Le Sale Speciali di lezione scolastica, sono in aumento, ma manca una politica di formazione di professionisti esperti, mentre abbiamo formazioni post laurea in Educazione Speciale, per lavorare come terapisti e anche come insegnanti di appoggio, ossia una formazione qualificata. L’inserimento nella realtà brasiliana si può dire che va piano piano perché le scuole non rispettano la Legge; accettano l’iscrizione di bambini con handicap senza offrire un programma specifico (adattato) per loro, perché la Legge le obbliga e adesso esiste una multa se non lo fanno. Però non hanno veramente una preparazione per dare ai bambini condizioni di apprendimento uguale agli altri ed è assai frequente trovare figure non abilitate stare a fianco dei soggetti handicappati. E accadono situazioni particolarissime come ad esempio la storia di Isabela una bambina di sette anni, con il 10% di vista. Lei non capiva bene quello che l’insegnante diceva perché non poteva seguire lo scritto sulla lavagna, così Camilla, una compagna di banco diventa l’insegnante di sostegno di Isabela e la vera insegnante l’ha ringraziata per aver offerto il suo aiuto all’amica. Né l’insegnante, né la scuola, avevano la minima preparazione per sostenere Isabela, però la Legge non permetteva che Isabella venisse rifiutata..., quindi sarebbe stata accolta senza alcun aiuto. E ci si domanda, come si fa a costruire una scuola inclusiva? La risposta si potrebbe conoscere, pur semplice: ci vuole un buon progetto pedagogico perciò adattare lo spazio e un investimento nella (capacitazione) formazione professionale. Questa è la situazione più in generale dell’inclusione in Brasile, cosa dire riguardo in particolare alla dislessia? In Brasile la dislessia è trattata con i principi della psicopedagogia, altre figure professionali che trattano la dislessia sono lo psicologo e il logopedista. Per iniziare la terapia c’è bisogno di una diagnosi fatta da uno psicopedagogo insieme a un neuropsichiatra. E c’è da chiedersi, esiste una legislazione specifica per la dislessia in Brasile? No, nessuna politica educativa, siamo ancora agli studi, alle riunioni, ai progetti. Non abbiano numeri statistici di riferimento, né un piano epidemiologico con una comprensione nazionale; dati indiretti dimostrano una percentuale del 4% della popolazione con dislessia. Indicatori precoci secondo il dr. Bevè Hornsby sono: Pre scuola - famiglia che possa avere qualche problema similare ambidestrismo iniziato a camminare tardi difficoltà a denominare gli oggetti pronuncia povera 5/8 anni - difficoltà a riconoscere alfabeto difficolta di riprodurre suoni confusione di lettere difficoltà nella recezione verbale
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Valutazione informale Lettura di parole con senso e senza senso Comprensione del testo Sequenze Memoria Valutazione formale Criteri: età capacità di lettura, scrittura, matematica, ortografia valutazione auditiva/visuale memoria coscienza fonologica. Utilizzo di test Il trattamento si attiene al principio imparare ad imparare e prevede un intervento psicopedagogico nelle diverse aree: dislessia visiva, uditiva, linguaggio, metalinguaggio, percezione… A scuola le attenzioni degli insegnanti sono indirizzate all’uso di metodi multidisciplinari (visuali/auditivi), registro delle lezioni da portare a casa, diminuire la lettura nella lezione diaria, chiedere agli allievi di rispondere in maniera orale e non scritta, dar loro più tempo nella realizzazione degli esami, il permesso per l’utilizzo del computer.
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BES/DSA: troppa sanità poca pedagogia Proposta operativa pedagogica Federico Bianchi di Castelbianco
Psicologo-Psicoterapeuta dell’età evolutiva, Logopedista Nel corso dell’intervento verrà posta l’attenzione sull’ambito terapeutico, in relazione a dati prettamente clinici, presentando un nuovo progetto e approccio terapeutico. Tenendo conto degli aspetti sintomatologici funzionali e della presenza costante delle componenti emozionali, che si manifestano solitamente come forme di insicurezza, inibizione, ansia e caduta dell’autostima, il nostro approccio terapeutico prevede, sempre, un doppio livello di intervento: in ambito psicologico e in ambito strettamente funzionale, e di quest’ultimo parleremo in questa sede. Prendendo in considerazione i processi di apprendimento fisiologici e l’osservazione clinica dei soggetti con alterazione della letto-scrittura abbiamo delineato e attuato un progetto terapeutico che, pur seguendo una linea guida teorica e pratica strutturata, ha come punto di forza una grande plasticità e generatività che consentono una facile adattabilità alle esigenze del singolo soggetto. Le segnalazioni di bambini con difficoltà di apprendimento, reali o presunte, negli ultimi anni hanno avuto un incremento notevole e si deve sempre più spesso ribadire la linea di demarcazione tra norma e patologia, visto che le prestazioni dei bambini in compiti di lettura, scrittura e calcolo si distribuiscono secondo una curva gaussiana in un continuum che va gradualmente da abilità estremamente compromesse ad abilità eccellenti. Nell’ottica di una valutazione globale del soggetto, tutti gli ambiti di sviluppo, di competenze e di potenzialità sono oggetto di analisi per stilare il progetto nella sua globalità e specificità. La nostra primaria esigenza è stata quella di poter intervenire sulle varie aree alterate, o aree di fragilità, rispetto ai prerequisiti e alle specifiche prestazioni di lettura e scrittura, non seguendo i canali e le modalità usuali di apprendimento, al fine di privilegiare nuove forme di scoperta, di conoscenza, di analisi, di interiorizzazione e di automatizzazione, attivando, in modo specifico, nuove capacità attentive e nuovi input motivazionali. Abbiamo ritenuto che il canale da promuovere, come mezzo di «scoperta» prioritaria, fosse quello uditivo; l’ascolto come forma di conoscenza per spezzare la catena di insuccesso e il feed-back negativo che ogni bambino, con difficoltà, ha rispetto alle proprie prestazioni. Spostare l’attenzione del soggetto dal canale visivo a quello uditivo, nei vari ambiti di intervento, come in seguito spiegheremo, ha consentito di raggiungere un triplice obiettivo a breve termine: – attivare nuove capacità di elaborazione e processamento delle informazioni; – impedire la reiterazione dell’errore indotta dalla «sottovalutazione» o «ipervalutazione» da parte del soggetto, del compito analitico assegnato e dall’automatismo alterato innescato; – attivare nuove risorse attentive.
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Questo progetto, nato specificatamente per compensare le difficoltà tecniche di lettura e scrittura nei soggetti con disturbo specifico di apprendimento (quindi in assenza di primari disturbi intellettivi, psichici, sensoriali e di deprivazione socio-culturale), è stato applicato, apportando le dovute differenziazioni a seconda dei diversi quadri clinici, anche ad alcuni casi di disturbo dell’apprendimento aspecifico, cioè secondario ad altra condizione patologica. I tre obiettivi a breve termine, precedentemente citati, sono stati raggiunti sia nei soggetti con disturbo specifico di apprendimento (dislessia evolutiva) che nei casi di disturbo aspecifico di apprendimento. Rispetto alla aspecificità ci sembra fondamentale ribadire il concetto espresso da questo termine che, lontano dal voler indicare un’eziologia, è però indispensabile per delineare un elemento clinico di base, ossia la presenza di disturbi primari in ambito psichico e/o cognitivo e/o sensoriale come causa oggettiva ed inequivocabile del disturbo dell’apprendimento che diventa secondario, quindi aspecifico. Il nostro progetto prevede varie fasi di osservazione e controllo: – un primo livello di osservazione in cui stabiliamo la presenza o meno di un disturbo dell’apprendimento; – un secondo livello di osservazione nel quale viene delineato il profilo globale del soggetto in ambito cognitivo, organizzativo, emotivo e comportamentale unitamente a un’attenta analisi dello stato degli apprendimenti, indispensabile per l’inquadramento diagnostico differenziale e l’individualizzazione del progetto terapeutico. I processi implicati nell’attività di lettura e scrittura coinvolgono molte aree e competenze ed è su queste che agiamo in ambito terapeutico, oltre che sull’atto di lettura e scrittura stesso. È indispensabile seguire un percorso lineare e fisiologico per un reale recupero di queste tappe elaborative e per consentire al bambino di appropriarsi di strumenti validi in tempi e modi a lui consoni, al fine di compensare e trovare strategie efficaci per l’apprendimento. Proporre attività ed esercizi di lettura e scrittura, con le modalità solitamente proposte, per esempio nell’iter scolastico, è totalmente inutile se non a volte dannoso. Si incorre infatti, come minimo, nel rinforzare meccanismi difensivi e/o di rifiuto e di disistima. Inoltre non si colmano le lacune in quelle aree che risultano compromesse o alterate. Il processo di lettura e scrittura come atto di codifica e decodifica della lingua pone le sue basi su: – competenze visuo-spaziali; – competenze ritmico-temporali; – competenze fonologiche e metafonologiche; – competenze linguistiche e metalinguistiche; – competenze psicomotorie. Ovviamente fattori come la memoria, l’attenzione e un assetto emotivo funzionale sono imprescindibili. Il nostro intervento è volto a portare il bambino a un corretto e completo processamento delle informazioni, quindi al recupero delle aree deficitarie o di fragilità. L’implicazione fonologica, come fattore correlato al disturbo di lettura e scrittura, soprattutto nella forma di deficit della capacità metafonologica, è riscontrabile con estrema frequenza come pure sono frequenti le alterazioni spaziali e temporali, in relazione a un deficit nel processamento visivo e sequenziale degli stimoli. Per intervenire è stato necessario «destrutturare» meccanismi e modalità analitiche poco funzionali ed è per questo, per esempio, che si è scelto di privilegiare il canale uditivo rispetto a quello visivo. Questo nuovo approccio basato sulla stimolazione uditiva, è risultato appropriato, per esempio, rispetto al recupero di disturbi visuo-spaziali e ritmico-temporali e nello stesso tempo ha attivato la giusta motivazione e attenzione in attività ritenute gravose come il recupero ortografico, fonologico e metafonologico che in seguito andremo a descrivere.
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Come strumento di ascolto abbiamo adottato la tecnologia olofonica che, in fase di registrazione e riproduzione simula il funzionamento dell’orecchio, tenendo conto di come avviene la decodifica dei suoni a livello cerebrale. L’ascoltatore riesce a ricostruire un’immagine sonora tridimensionale, proprio come fanno gli occhi quando si trovano di fronte a un ologramma. Questa tecnologia consente di individuare oltre alla direzionalità della fonte sonora anche la sua vicinanza e lontananza nonché la sua intensità. Il suono olofonico viene percepito come più realistico e consente un più efficace trasferimento anche delle informazioni emotive che si vogliono indurre. Con questa tecnologia si riesce a ricreare una realtà virtuale uditiva che riproduce nella nostra testa, attraverso una cuffia stereofonica, immagini sonore tridimensionali identiche a quelle reali. La sua sorprendente qualità è dovuta a meccanismi psico-acustici con i quali siamo in grado di orientarci, anche a occhi chiusi, nello spazio circostante, localizzando sia la provenienza di una sorgente sonora sia la qualità acustica dello spazio in cui si trova. Infatti, a seconda della posizione che la sorgente sonora ha rispetto alla nostra testa, le nostre due orecchie ricevono segnali diversi tra di loro: all’orecchio più vicino alla sorgente arriva un suono più forte e chiaro, all’altro invece un suono più attenuato, più cupo e in ritardo. Il nostro cervello, in base alla sua esperienza, consente di elaborare i segnali in un’immagine concettuale che si amplia nel tempo alla quale successivamente fanno riferimento tutte le altre esperienze uditive. L’unico limite è che l’ascolto deve avvenire in cuffia, infatti per creare l’immagine sonora tridimensionale il nostro cervello ha bisogno di «sentire» differenze interaurali, che corrispondono esattamente agli stimoli sonori che avrebbero raggiunto i nostri timpani in una situazione reale. Noi riusciamo a registrare o generare con molta precisione i segnali necessari, ma diventa fondamentale, che il segnale corrispondente all’orecchio sinistro arrivi esclusivamente all’orecchio sinistro e viceversa per il destro. Solo l’ascolto in cuffia garantisce questa netta separazione, mentre con gli altoparlanti i due segnali si mescolerebbero in tutte e due le orecchie alterando quindi le differenze interaurali e compromettendo cosi la possibilità di una precisa localizzazione. A livello visuo-spaziale fare perno su tale stimolazione uditiva, correlata a riferimenti spaziali, consente di attivare una nuova elaborazione, senza reiterare errori, in quanto i sistemi di riferimento sono totalmente diversi; a livello di analisi si è passati, infatti, dal sistema visivo, quello solitamente usato, al sistema uditivo. Sfruttando le informazioni spaziali a livello uditivo si procede con l’analisi, l’integrazione e la conversione di tali input a vari livelli di rappresentazione: – motoria: effettuando una sperimentazione attiva delle varie coordinate spaziali (per esempio sfruttando modalità psicomotorie); – grafo-costruttiva: effettuando quindi un’analisi e codificazione visiva; – simbolica: convertendo le informazioni a livello linguistico e metalinguistico. L’ascolto degli stimoli sonori tridimensionali è quindi solo la parte iniziale del lavoro da svolgere in ambito terapeutico in quanto il bambino dovrà lavorare sul piano attivo, iconico e simbolico, a tutti i livelli di complessità, in relazione alle particolari competenze e capacità. Oltre ad attività correlate alla localizzazione spaziale è stato possibile anche un lavoro sull’attenzione e sulla discriminazione uditiva di stimoli sonori di varia natura (rumori, versi animali, suoni derivati da strumenti musicali, fonemi ecc.). Nel concreto sono state effettuate registrazioni olofoniche con le quali è stato montato materiale inedito e originale come strumento di ascolto ed elaborazione. Abbiamo posto attenzione nel produrre stimoli adeguati alle varie fasce di età dal punto di vista motiva-
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zionale ed esperienziale. Sono state realizzate favole sonore tridimensionali, in alcuni casi traendo spunto o adattando fiabe note, ma molte di queste storie sono state ideate per l’occasione. Abbiamo ricreato ambienti sonori tali da evocare situazioni e contesti sociali ed esperienziali differenti come l’ambiente rupestre, cittadino, domestico ecc.; non sono mancati percorsi e giochi sonoro - motori interattivi che hanno inoltre consentito di interiorizzare i passaggi tra le varie aree di rappresentazione e quindi generalizzare i concetti appresi. I bambini hanno sempre avuto un ruolo attivo e l’ascolto è sempre stato proposto come input generativo di apprendimento e scoperta attiva. È stata data la possibilità ai bambini di uscire da schemi rigidi, favorendo creatività e adattabilità ma nello stesso tempo è stato possibile agire, nei casi per esempio di tendenza alla dispersività, sulla finalizzazione dell’attenzione e dell’azione (azione a tutti i livelli: verbale, grafica, costruttiva, motoria, ideativa ecc.) attraverso compiti e percorsi canalizzati. Gli stimoli sonori a seconda delle esigenze sono stati proposti in modo isolato o sono stati montati seguendo precise linee narrative o ludico-costruttive; altre registrazioni ripropongono fedelmente i vari ambienti sonori e sono state effettuate in presa diretta. Le favole sonore sono state concepite come vere e proprie drammatizzazioni; in fase di registrazione abbiamo «rappresentato» i movimenti oltre ai dialoghi e ai rumori ambientali, proprio per consentire la localizzazione e la congruenza narrativa e spaziale. In alcuni casi abbiamo effettuato un percorso inverso cioè abbiamo riunito i bambini in piccoli gruppi e li abbiamo fatti agire liberamente nello spazio, invitandoli a produrre un suono distintivo per ognuno di loro, oppure li abbiamo sollecitati a effettuare delle drammatizzazioni spontanee o su tema assegnato e abbiamo registrato tali happening per poi farli riascoltare e procedere con le attività precedentemente illustrate. Naturalmente se si vuole puntare il mirino sull’obiettivo primario di questa prima fase del lavoro si deve individuare l’ambito visuo-spaziale ma è d’obbligo allargare tale ottica in quanto gli obiettivi correlati a medio e lungo termine, e non meno importanti, sono molteplici: – il linguaggio e la riflessione su di esso; – le sequenze temporali e il ritmo; – la capacità di attesa e di riflessione; – la creatività alternata alla capacità di adattarsi alla richiesta e all’input esterno; – la focalizzazione dell’attenzione. Il divertimento, la scoperta e la sorpresa unitamente a tutti gli obiettivi sopra citati sono stati motivo e oggetto di crescita ma al contempo hanno contribuito a mantenere «attivo» l’interesse dei bambini. Il disturbo dell’apprendimento ha manifestazioni cliniche variabili sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo ed inoltre evolve nel tempo ed è quindi indispensabile che l’iter terapeutico preveda diverse fasi e laboratori focalizzati sulle varie aree e sulle necessità individuali. Per esempio nei casi di marcato deficit ritmico-temporale abbiamo organizzato laboratori mirati al recupero di tale competenza attraverso un approccio di tipo psicomotorio, ludico, grafo-motorio e ritmico-musicale sfruttando i canali percettivi e propriocettivi. In altri casi è stato necessario un intervento in ambito specificatamente psicomotorio per poter poi affrontare ambiti più direttamente connessi agli apprendimenti. Intervento terapeutico per i disturbi di apprendimento (atto di codifica e decodifica) Concetti generali: i bambini devono essere esposti, nell’ambito dell’apprendimento della letto – scrittura, a stimoli linguistici con e senza significato, di difficoltà crescente in relazione alle specifiche difficoltà. Utilizzare la strategia del successo (presentare stimoli da apprendere intervallati da quelli a cui si è certi
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il bambino darà risposta corretta e terminare sempre la seduta con stimoli accessibili). L’analisi visiva deve essere sostenuta sempre da esperienze di tipo propriocettivo, uditivo, psicomotorio, costruttivo, articolatorio. In relazione al quadro diagnostico che verrà delineato nell’osservazione si dovranno, nei vari ambiti terapeutici, percorrere delle tappe secondo le modalità sopra esposte in modo da integrare le varie percezioni e colmare le difficoltà primarie e secondarie. Il disturbo dell’apprendimento può, ovviamente, essere condizionato da più elementi ed il percorso terapeutico ne dovrà tener conto. Il progetto terapeutico deve prevedere: 1) In tutti i casi, un’attività psicologica di base o di supporto 2) Intervento rispetto alla riabilitazione della lettura e scrittura Si dovrà lavorare in assenza e in presenza di significato, a seconda del quadro in atto (dello stadio di apprendimento raggiunto) e dell’obiettivo prefissato, secondo modalità di difficoltà crescente, rifacendosi sempre al principio del successo, sopra menzionato. A seconda del livello raggiunto dal bambino e delle specifiche difficoltà si deve procedere partendo sempre dalla codifica e passare alla decodifica appena è stata superata con successo la fase di codifica del singolo tipo di stimolo. Modello generale di intervento nell’area di codifica e decodifica Quanto espresso in precedenza è il concetto generale a cui fare sempre riferimento. In particolare: - Il punto di partenza per il lavoro di codifica e decodifica sarà indicato dal progetto terapeutico in relazione agli esiti del depistage, si dovranno ripercorrere le tappe base del processo di apprendimento con modalità analitiche anche per i bambini più grandi (quando sono ancora presenti errori fonologici frequenti) per una completa automatizzazione e per destrutturare le atipie che li portano a processi di iperlettura e “affrettatezza” nella scrittura. - I tempi con cui soffermarsi sulle varie tappe saranno appropriati alle singole necessità, si dovrà passare alla tappa successiva solo quando saranno stati interiorizzati i punti di quella precedente. Il lavoro di codifica precede sempre quello di decodifica Codifica: Ascolto – articolazione – riconoscimento tattile (solo per i bambini di prima elementare o seconda in cui si riscontra una alterata o parziale capacità di mettere in corrispondenza grafema-fonema) – codifica scritta su materiale diverso da quello tradizionale (es: tavole di plastilina, sabbia ecc.) o codifica con carta e penna o scrittura direttamente al computer. Nel corso delle sedute, a seconda della motivazione dei bambini, si possono alternare l’utilizzo dei vari strumenti grafici (si possono usare i pennelli a punta grossa, a punta più fina, i pennarelli, la penna o la matita) Decodifica di grafemi e sillabe: Riconoscimento visivo – articolazione – ascolto con localizzazione - riconoscimento tattile (nelle fasi iniziali del lavoro con bambini di prima o seconda o in tutti i casi gravi in cui non è interiorizzato il singolo grafema. In questo caso le lettere saranno poste in un sacchetto a destra o sinistra o dietro al bambino a seconda della localizzazione) - collocazione sul piano del grafema o dei grafemi che compongono la sillaba nell’ordine corretto oppure loro scrittura. Decodifica di non-parole o non-frasi: Riconoscimento visivo – articolazione – ascolto con localizzazione – individuazione della non-parola o
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non-frase tra varie parole collocate a destra o sinistra o dietro il bambino a seconda della localizzazione - codifica con il materiale illustrato precedentemente - articolazione Fusione di fonemi o sillabe: Ascolto – codifica – fusione (decodifica) Per la decodifica: Si userà il carattere stampato maiuscolo, sia per la codifica che per la decodifica nei casi gravi in cui non è ancora definita la strategia alfabetica sub lessicale e nei bambini inseriti in prima elementare o inizio seconda, quando cioè deve essere innestato il processo alfabetico. Passare all’uso dello stampato minuscolo nei casi moderati e lievi in cui il processo alfabetico è innestato anche se alterato. Per la decodifica si deve utilizzare anche il riconoscimento tattile dei fonemi e di sequenze di fonemi, per poi passare all’analisi visiva. (Tale strategia può essere abbandonata quando si lavora sulla parola o sulla frase ma si deve usare ogni volta che si lavora sull’unità minima sillabica). Per la codifica: si devono usare, anche materiali alternativi a quelli classici della scrittura ( penna e matita): plastilina, scrivere con un bastoncino sulla sabbia, incidere tavolette di pongo….. I canali privilegiati, soprattutto per innestare la fase alfabetica (codifica-decodifica diretta fonema - grafema) devono essere: quello propriocettivo – tattile, quello percettivo - uditivo e quello articolatorio. I bambini sia in fase di codifica che di decodifica devono essere sollecitati ad articolare lo stimolo su cui si sta lavorando. Codifica: ascolto – articolo – scrivo / costruisco – riconosco (quindi decodifico e autocorreggo) Oppure nell’autodettato: articolo – scrivo / costruisco – riconosco (quindi decodifico e autocorreggo) Decodifica: riconosco (a livello tattile e visivo) – articolo – nel caso scrivo /costruisco (quindi codifico) e articolo. Il materiale a disposizione è composto da: 1) stimoli per l’organizzazione spaziale (ambienti, favole sonore, giochi ecc..) 2) materiale per la codifica e decodifica linguistica: fonemi sillabe semplici sillabe complesse digrammi parole senza senso con articolazioni rafforzate e non parole senza senso anagrammi ( parole e frasi ). Per come è strutturato il materiale si può liberamente procedere alla fusione di fonemi e sillabe in modo da comporre sillabe, parole e frasi sempre senza senso o con senso ma in modo segmentato (per fare ad esempio un lavoro sulla fusione fonemica o sillabica). È possibile fornire al bambino un ascolto o una visualizzazione dello stimolo (la visualizzazione di fonemi e sillabe, parole e frasi può essere cartacea o si può utilizzare il programma informatico). Gli anagrammi vengono, ovviamente, percepiti come stimoli senza senso; dopo la fase di codifica o decodifica si può procedere ad anagrammarli per ottenere la parola corrispondente. Nel caso delle frasi senza senso il bambino deve porre attenzione al continuum articolatorio ed al ritmo.
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Proposte di giochi Per le attività di codifica si possono usare le griglie come illustrato in seguito e crearne altre all’occorrenza, oltre al materiale relativo al grafismo già illustrato. Per le attività di decodifica si può utilizzare il materiale cartaceo fornito per i grafemi e le sillabe, mentre per le parole e frasi si può utilizzare la visualizzazione della parola sul computer o materiale cartaceo che deve essere prodotto dalla terapista volta per volta (quando sarà pronto il materiale nuovo sarà possibile anche l’opzione di visualizzare tutto al computer). Per le attività di fusione si possono utilizzare i vari materiali a disposizione: letterine di legno utilizzate per il riconoscimento tattile, materiale cartaceo plastificato, scrittura su materiale vario ed alternativo, scrittura con pennelli, pennarelli, penna o matita come precedentemente illustrato. In tutti i casi in cui si rilevano difficoltà di fusione e divisione fonemica iniziare con un training metafonologico che a seconda dei casi può essere svolto in modo esclusivamente orale ma in generale è preferibile associarlo in una seconda fase all’interno della stessa seduta, ad attività di codificazione e poi decodifica. E’ fondamentale promuovere la reciprocità dei ruoli e rendere il bambino parte attiva e propositiva del lavoro. Quindi anche il bambino, deve poter creare parole con o senza significato, quando si è arrivati a questa fase di lavoro (della codifica e decodifica delle parole). Con l’aiuto della terapista si possono sintetizzare al computer, in modo fonemico o sillabico, le parole inventate. Il lavoro di fusione è possibile grazie alla generatività degli stimoli, se si lavora sulla fusione fonetica, essendo l’inventario fonetico completo, mentre per la fusione sillabica ci si deve limitare alle sillabe presenti nella schermata. Dopo un intervento volto al recupero della tecnica di codifica e decodifica, una volta innestata una buona motivazione, sono opportune attività volte al consolidamento e automatizzazione della lettura e scrittura potenziando l’accesso lessicale per quanto riguarda la lettura. Solo la presenza del significato e del contesto dato dalla frase o meglio da un testo, consente il raggiungimento di processi autonomi e automatizzati di lettura. Anche un buon lettore di fronte ad un neologismo deve attuare processi di decodifica (via sublessicale di lettura che risultano più “faticosi” rispetto alla lettura significativa (via lessicale). Pertanto i nostri bambini dovrebbero essere accompagnati e sostenuti in tal ambito, al fine inoltre di acquisire maggiore sicurezza e diminuire l’investimento emotivo, attentivo, e organizzativo nell’atto di lettura. Ogni percorso dovrà essere individualizzato. Disturbo dell’apprendimento di matrice linguistico–fonologica: Area articolatoria. Individuazione, discriminazione, articolazione di fonemi simili e non dal punto di vista acustico e/o articolatorio; Area linguistica. Lavoro di tipo metafonologico, a livello orale: giochi di fusione e divisione fonemica e sillabica (si ricorda che processamenti metafonologici a livello sillabico non sono punto di difficoltà in quanto tale processo è presente anche in bambini prescolari, in quanto il ritmo sillabico è acquisito in via automatica, essendo la sillaba l’unità minima significativa per esempio nel cantato l’intonazione poggia sempre sulla vocale della sillaba piana; invece l’analisi metafonologica a livello fonemico deve essere insegnata, il bambino deve far diventare significativa l’unità minima - fonema che non è di per sé significativo).
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Protocollo linguaggio Il materiale olofonico può essere utilizzato anche per l’intervento terapeutico in caso di disordine fonologico e disturbo del linguaggio espressivo ad integrazione e supporto di modalità e strumenti canonici secondo l’approccio psicomotorio, ludico – simbolico e tecnico – articolatorio. Obiettivi: Implementare capacità analitiche generali e specifiche: – discriminazione uditiva dei fonemi con tratti distintivi simili (quindi frequente bersaglio del disturbo) e dissimili (nei casi di disordine atipico o deviante). – discriminazione parole corrette e scorrette – discriminazione coppie minime – prove di inseguimento uditivo – discriminazione suoni, versi, strumenti musicali. Implementare capacità articolatorie appoggiandosi al lavoro di discriminazione Implementare la memoria fonologica attraverso la presentazione e ripetizione di sequenze di sillabe, parole e neologismi Implementare le competenze visuo – spaziali (area frequentemente carente in caso di disordine linguistico): l’ambito visuo – spaziale (a livello grafico e costruttivo), oltre ad essere un obiettivo è anche uno strumento motivazionale e contestuale per il lavoro prettamente fonologico secondo le modalità e l’approccio psicomotorio e dinamico – creativo e generativo. Pertanto l’area grafica e costruttiva diventano contesto iconico e simbolico in cui inserire un lavoro linguistico (es: il gioco dello schema corporeo può agire contemporaneamente sull’organizzazione linguistica, psicomotoria, grafica e simbolica) Implementare l’organizzazione linguistico – espressiva e recettiva (es: ambienti sonori e favole). Materiale a disposizione: – fonemi e sillabe – parole corrette e scorrette – coppie minime – giochi di inseguimento uditivo – stimoli sonori – storie (contenenti parole scorrette da individuare) – storie (favole tridimensionali) – ambienti sonori (per discriminazione stimoli sonori e denominazione, racconto, memoria ecc…). Il lavoro può essere effettuato in individuale ma ancor meglio in coppia. L’ascolto degli stimoli olofonici, in generale, sarà prevalentemente in campo libero in quanto i parametri di localizzazione della fonte sonora possono esaurirsi con quelli percepiti a destra e sinistra non essendo obiettivo prioritario l’individuazione relativi all’organizzazione spaziale - uditiva (tale modalità deve essere sempre seguita per i bambini piccoli). Con l’ascolto in campo libero il bambino o i bambini possono liberamente muoversi nello spazio e non vengono oppressi dalle cuffie. Con i bambini disponibili e più grandi (almeno 5 anni) si possono proporre gli stimoli in cuffia soprattutto per le favole e gli ambienti. Favole e ambienti sonori possono agire come substrato contestuale per un ampliamento lessicale e sintattico – morfologico, recettivo ed espressivo (racconto guidato e spontaneo). Nei casi di disturbo di linguaggio (ancora in atto dopo l’inserimento in prima elementare) con aspecifico (secondario) disturbo o difficoltà di apprendimento, si può agire contemporaneamente sul codice linguistico – orale e sul codice scritto (sfruttando il materiale fonemi e sillabe e parole anche del materiale
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apprendimento) secondo una gradualità che va in parallelo (codifico ciò che riesco ad articolare correttamente, partendo ovviamente dalle sillabe piane e parole bisillabiche piane). Nota: anche il materiale specifico per l’area linguistica è in via di revisione ed ampliamento. Processo di elaborazione di letto – scrittura a livello orale Disturbo dell’apprendimento di matrice organizzativa a livello spazio-temporale: – grafismo spontaneo e su copia – costruzione, identificazione e discriminazione (visiva e tattile) di stimoli con parametri spaziali assimilabili ai grafemi ma non uguali – discriminazione di stimoli visivi con parametri simili ma opposti spazialmente – analisi e sintesi visiva con stimoli di crescente difficoltà (blocchi logici, puzzle, ecc.) – percorsi grafici con linee continue (grafo - motricità) – sequenze di stimoli grafici e costruttivi (ideazione e discriminazione) – giochi ritmici (a livello uditivo e visivo) – riordino e rielaborazione orale di storie in sequenza – ideazione di sequenze logiche di azioni – lavoro sui concetti temporali semplici e complessi. Progetto di ascolto tridimensionale: – favole sonore, giochi ed altro come da protocollo olofonia. Disturbo dell’apprendimento di matrice psicomotoria e/o inerente la lateralità – esperienze psicomotorie Disturbo dell’apprendimento di matrice visiva – esperienze di organizzazione percettiva Disturbo dell’apprendimento di matrice psichica, in assenza di disorganizzazione – intervento di tipo psicologico o psico - pedagogico e genitoriale. Nuovo tipo di approccio che ha consentito di interrompere la catena di reiterazione dell’errore per mezzo di: – riattivazione del processo creativo – passaggio da un ruolo passivo o oppositivo ad uno propositivo negli apprendimenti – partecipazione nel gruppo classe con il ruolo di studente. Cosa fare: – ingresso a scuola a 6 anni – il processo pedagogico per favorire l’apprendimento deve iniziare a 3 anni fino al primo ciclo della scuola elementare – progetto terapeutico mirato al singolo bambino anziché metodi universali e continue proposte di letto-scrittura.
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BIBLIOTECA PER LE PROFESSIONI
Guido Pesci, psicomotricista funzionale, didatta formatore riconosciuto con atto olografo da Jean Le Boulch, psicologo, psicoterapeuta, pedagogista clinico, reflector, giornalista pubblicista, già docente Università degli Studi di Siena. Direttore scientifico dell’ISFAR® - Formazione Post-Universitaria delle Professioni®, direttore scientifico della “Scuola Jean Le Boulch”, membro del consiglio direttivo dell’ASPIF (Associazione Psicomotricisti Funzionali), elocutoria presidente dell’ANPEC (Associazione NazionaEducazione dell’espressione in Psicomotricità funzionale le Pedagogisti Clinici), membro del consiglio direttivo della SIR (Società Internazionale di Reflecting). Direttore della rivista Pedagogia clinica-Pedagogisti clinici e membro del comitato scientifico della rivista Nuovi Orizzonti. Paola Ricci, psicomotricista funzionale. Docente dell’ISFAR® - Formazione PostUniversitaria delle Professioni®, didatta formatore della “Scuola Jean Le Boulch”, riconosciuto con atto olografo da Jean Le Boulch, trainer della formazione in psicomotricità funzionale di specialisti in Palestina, operatore in Ortho-Bionomy®, insegnante di danze meditative. Vicepresidente dell’ASPIF - Associazione Psicomotricisti Funzionali. Ha al suo attivo un ampio numero di relazioni in congressi e convegni orientati sui principi della psicomotricità funzionale.
Guido Pesci - Lapo Zoccolini
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(IVA INCLUSA)
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MARTA MANI
GUIDO PESCI Marta Mani, pedagogista clinico, psicomotricista funzionale, reflector, docente presso l’ISFAR (Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca). Membro del Consiglio Direttivo Nazionale SIR (Società Internazionale di Reflecting), dell’ASPIF Associazione Psicomotricisti Funzionali) e del Comitato Scientifico e della Segreteria di Redazione delle Riviste “Pedagogia clinica-Pedagogisti clinici” e “Nuovi Orizzonti”. Svolge la sua attività di ricerca e di libera professione presso il Centro Kromos di Firenze.
Guido Pesci
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MUSICOPEDAGOGIA®
Pedagogia in Aiuto alla Persona
Metodo ausiliario della Pedagogia in aiuto alla Persona
Il momento conoscitivo
PEDAGOGIA In AIUtO AllA PErSOnA
Nel presente lavoro viene descritto il metodo Musicopedagogia®, strumento insostituibile e punto di riferimento e di orientamento per un’azione pedagogica in aiuto alla persona. Dimensionato su occasioni-stimolo, solo marginalmente affidate agli strumenti musicali, il metodo afferma e individua le risorse che si rintracciano nel corpo ricettivo e vibrante, nelle impressioni sonore, nei suoni vocalici, nella voce parlata e cantata. Esso, strutturato sul principio della pedagogia attiva, si propone come esempio di progettazione articolata, sostenuta da una particolare enunciazione teorica e da stimolanti esperienze; serio contributo per una modernizzazione dei processi di apprendimento che non trascura l’insieme delle necessità biologiche e sociali. L’autrice mette l’accento sull’importanza di partire dai bisogni della Il momento conoscitivo persona per sollecitare attività concretamente utili, adatte alla sua piena soddisfazione. La ricca esposizione di esperienze riportate nel libro di Mani sarà uno stimolante strumento per chiunque si interessi a integrare e migliorare le proprie capacità professionali.
Musicopedagogia® Metodo ausiliario della Pedagogia in aiuto alla Persona
Marta Mani
Psicocontatto PSICOCONTATTO
Linguaggio verbale e tonematico nel principio sistemico
Metodo ausiliario della Psicomotricità funzionale
Lo Psicocontatto è un metodo capace di promuovere per mezzo di stimolazioni offerte da una palla come intermediario, la soddisfazione al bisogno di raggiungere un equilibrio in un criterio di unità, un accordo tra completezza emotiva e completezza fisica, apporto e contributo esperienziale per raggiungere le sorgenti di conoscenza e di benessere e con esse tornare a vivere la vita con entusiasmo. L’azione lodevole degli autori è di avere raccolto con rigore scientifico la nuova visitazione del metodo Psicocontatto voluta da Jean Le Boulch, metodo che, così riveduto, è di arricchimento della disciplina e della formazione professionale.
GUIDO PESCI - PAOLA RICCI
Anna Pesci - Guido Pesci
Lapo Zoccolini, psicomotricista funzionale, laureato in Scienze e tecniche di psicologia clinica e di comunità, docente presso l’ISFAR-Formazione Post-Universitaria delle Professioni. Trainer e collaboratore presso enti e istituzioni pubbliche e private di area educativa e socio-sanitaria. Svolge la libera professione presso il Centro Kromos di Firenze.
LInGUaGGIO VERBaLE E TOnEMaTICO
Metodo Ritmo Fonico, Metodo Vibro Tattile,
Guido Pesci,Coreografia psicomotricista funzionale, didatta formatore riconosciuto con atto oloMetodo Fonetica, Metodo Linguaggio-Azione grafo da Jean Le Boulch, psicologo, psicoterapeuta, pedagogista clinico, reflector, giornalista pubblicista, già docente Università degli Studi di Siena. Direttore scientifico dell’ISFAR® - Formazione Post-Universitaria delle Professioni®, direttore scientifico della “Scuola Jean Le Boulch”, membro del consiglio direttivo dell’ASPIF (Associazione Psicomotricisti Funzionali), presidente dell’ANPEC (Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici), membro del consiglio direttivo della SIR (Società Internazionale di Reflecting). Direttore della rivista Pedagogia clinica-Pedagogisti clinici e membro del comitato scientifico della rivista Nuovi Orizzonti.
Educaxzione dell’espressione elocutoria in Psicomotricità funzionale
LiNGuAGGio
strategie di intervento
Linguaggio
strategie di intervento
GUIDO PESCI - LaPO ZOCCOLInI
ANNA Pesci - Guido Pesci
Opera di due specialisti che illustrano una metodologia particolare e forniscono la basi per chi intende studiare e praticare la psicomotricità funzionale con l’intento di ripristinare nell’individuo abilità espressivo elocutorie. Una opportunità unica per seguire, momento per momento, la tecnica di intervento con commenti e chiarimenti che accompagnano la trascrizione e mettono in chiara luce le strategie e i meccanismi utilizzati nella pratica. Rivolti all’esperienza, ma anche consapevoli di arrivare a concettualizzazioni più ampie e comprensive, gli autori, hanno sistematizzato ed esposto, con una presentazione viva e attuale, le esperienze che loro stessi hanno condotto come fondamento per il lavoro pedagogico orientato allo sviluppo delle abilità espressive verbali da utilizzare, con approccio sistemico in psicomotricità funzionale.
Metodo ausiliario della Psicomotricità funzionale
Guido Pesci - Paola Ricci
n. 32 numero 1 - anno XVI gennaio-giugno 2015
ATTI Congresso Mondiale Quarantennale della pedagogia clinica
IL DIVENIRE DELLA PEDAGOGIA CLINICA
Scenari e prospettive professionali in aiuto alla persona Firenze 25-26 Ottobre 2014 Palazzo dei Congressi
PRIMA SESSIONE