n. 27 numero 2 - anno XIII
Poste Italiane spa - spedizione in abb. post. - D.L. 353/93 (convegno L. 46-04) art. 1 comma 1 - DCB Firenze
luglio-dicembre 2012
Vieni avanti dislessico Come on, dyslexic
Un’esperienza sul CDL infermieri An experience on the degree in nursing
The shared custody and educational project
Pedagogia Clinica e Tarantismo: un intreccio possibile! Clinical pedagogy and Tarentismo (ta-rentisme): a possible union!
L’atelier educativo dei Gruppi di Parola The educational workshop of the Communication Groups
Il pedagogista clinico “scende in campo”
n. 27
Autorizzazione Tribunale di Firenze Decreto 4868 1° marzo 1999 Periodico semestrale Anno XIII n. 2 luglio-dicembre 2012
Editore: ISFAR srl Fondatore e Direttore responsabile: Guido Pesci Direzione, Redazione, Amministrazione: ISFAR - viale Europa, 185/b 50126 Firenze Tel. e Fax 055 6531816 E-mail: info@isfar-firenze.it Web: www.pedagogiaclinica.com www.clinicalpedagogy.com www.pedagogisticlinici.com www.pedagogisticlinici.eu www.isfar-firenze.it Progetto grafico Senza Filtro Firenze Traduzione a cura di Francesca Martini Printed in Italy: Tipolitografia It.Comm. srl via di Ripoli 50/r Firenze
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O I R A
Vieni avanti dislessico / Come on, dyslexic
Pag. 4
di Guido Pesci
Un’esperienza sul CDL infermieri / An expe- Pag. 10 rience on the degree in nursing di Cristina Neretti
M
Pedagogia Clinica e Tarantismo: un intrec- Pag. 17 cio possibile! / Clinical pedagogy and Tarentismo (tarentisme): a possible union! di Cristina Pedali
L’atelier educativo dei Gruppi di Parola / The Pag. 22
M
Comitato scientifico: Valentina Benoni Degl’Innocenti Sandro Cappellin Nicola Corrado Elena Gaiffi Sergio Gaiffi Eugen Galasso Gerardo Pistillo Marta Mani Simone Pesci Claudio Rao Maria Raugna Lucia Sarais Alberto Sedini Stefania Turini Antonio Viviani
di Elisa Pavoni
educational workshop of the “Gruppi di Parola” di Andrea Demelas, Patrizia Idile, Clotilde Merlin
Il pedagogista clinico “scende in campo” / Pag. 25 The Clinical Pedagogist “take the field” di Walter Siragusa
Il pedagogista clinico incontra il progetto Pag. 26 “Nati per leggere” / The pedagogist clinic meets
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Segreteria di redazione: Valentina Benoni Degl’Innocenti Sergio Gaiffi Marta Mani Simone Pesci
L’affido condiviso e il progetto educativo Pag. 15 condiviso / The shared custody and educational project
“Nati per leggere” di Chiara Miccadei
Relaxologie clinique®
Pag. 27
di Claudio Rao
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Direttore responsabile e scientifico Guido Pesci
ANPEC Tribune / ANPEC Tribune
Pag. 30
Echi della stampa / Echoes from the press
Pag. 34
Recensioni / Write up
Pag. 36
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n. 27 - luglio-dicembre 2012
Vieni avanti dislessico! di Guido Pesci
La viva esaltazione espressa dalla frase dei genitori al momento che il figlio va per la prima volta a scuola “Andrai a scuola! Imparerai a leggere, a scrivere e a far di conto!” e che rendeva bello e inebriante il momento, oggi è adombrata dall’intima preoccupazione che quello stesso figlio sia un “dislessico”. Piero, Giovanna, Paolo... prenderanno, pur senza ricevere il battesimo, questo nuovo nome. Piero non sarà più Piero, ma un dislessico. Giovanna non sarà più la stessa Giovanna, ma una dislessica (piccola variazione al femminile). E Paolo? Speriamo abbia miglior sorte. Un serio rischio per molti scolari, visto che il tasso percentuale che li distingue aumenta ogni mese, a conferma che viviamo in una società sempre più morbigena, ossessionata dal sottoporre a test i bambini nella scuola per selezionarli e classificarli a partire già dai quattro anni di età. Al clima di angoscia dei genitori in attesa del verdetto, fa eco l’apprensione dei figli che, sottoposti a prova, attendono trepidanti la valutazione, interpreti della paura di essere riconosciuti “incompetenti” e definiti dis-lessici, di divenire perciò corpi separati, speciali, diversi, come altri che conoscono o di cui sen-
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Prima, per offendersi, i ragazzi dicevano: “ma che sei handicappato?!” Oggi si dicono: “ma che sei dislessico?!”
…divenire perciò corpi separati, speciali, diversi… tono parlare. Sofferenze e traumi che si trapiantano nel processo maturativo con l’effetto di ritardare lo sviluppo delle funzioni autonome dell’Io e di strutturare una personalità fragile e non auten-tica. La situazione, così inquietante, è stata resa possibile da specialisti relegati ad un criterio sanitarizzante e associati al sordo conformismo dell’opinione che il dislessico è un malato, adattati a utilizzare in ambito scolastico strumenti diagnostici quantizzanti per individuare i soggetti “affetti da dislessia” e collocarli in una nosografia-classificatoria. Una caccia al deficit, segnale di una obnubilazione del ricordo di una storia recente, quando con
l’aiuto dei test, anche gli specialisti di ieri, usando coefficienti e gradi per misurare quantitativamente le possibilità degli scolari, ottennero il risultato di un massiccio incremento di classi differenziali che iniziarono a riempirsi fino ad affollarsi di bambini che per diversi motivi non avevano superato quei test. È un chiaro segnale di una politica che non fa altro che rinnovare la prassi del dépistage che ritenevamo superata già negli anni Settanta, quando un bambino che non riusciva a tener il passo degli altri e si dimostrava improduttivo in una scuola concepita in senso produttivistico, si riteneva diverso. Una diagnosi che ha il sapore di voler identificare il difettoso e che, con l’abuso dell’attestazione di dislessico, torna a radicarsi in Italia, sostenuta da una politica i cui effetti lasciano interdetti ed offrono un giustificato formulario per l’elaborazione di sospetti. Batterie per misurare e classificare Test e batterie di test, criteri metrici e valutazionali contro cui,
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Una diagnosi che ha il sapore di voler identificare il difettoso e che, con l’abuso dell’attestazione di dislessico... onorando lo studio dinamico del soggetto, si è battuto il Vygotskij, che sosteneva: “…occorre constatare la gravità della disarmonia di sviluppo aggravato dal deficit e di comprendere ogni momento della vita trascorsa e le esigenze di essere sociale. Si tratta di dover studiare il soggetto non solo come fenomeno organo-genetico, conoscere, ogni suo aspetto sociogenetico e psicogenetico. Significa cioè non studiare il deficit, ma il portatore di un certo deficit. […] Il soggetto il cui sviluppo è aggravato da un deficit è solo un soggetto sviluppato in modo diverso e sul quale non gravano solamente le
cause organiche, ma anche, ed in particolare la degradazione della posizione sociale, l’anormalità sociale, tanto che possiamo dire che non il deficit in se stesso decide le sorti della personalità, ma le sue conseguenze sociali, la sua realizzazione socio-psicologica” (Vygotskij, 1986, pp. 10-11). Nonostante questi principi che dovrebbero prevalere in psicologia, tante sono le batterie utilizzate per sottoporre a prova, per definire e valutare l’efficienza. Metodi di graduazione, di proporzione, di misurazione, di scale e di cifre, fenomeni formulati in schemi più/meno, legati ad una concezione puramente aritmetica dei disturbi, variazioni quantitative basate su presupposti negativi da cui non è possibile strutturare idonee meto dologie di intervento, se non con un’azione curativa. Misurazioni quantitative che si fermano a problemi di superficie, capaci solo di adattarsi al deficit, di convenire alle carenze del soggetto anziché battersi contro di esse. Anche per il Vygotskij (1986) chi opera dei dépistage in base a sistemi di classificazione dei disordini secondo particolari “rubriche”, non può che procedere con interventi patologico-terapeutici adattati all’ortopedia psichica e alla cultura sensoriale, indirizzati solo al separatismo e al silenzio grottesco fino a perdere di vista il confine tra l’am-
...occorre constatare – diceva Vygotskij – la gravità della disarmonia di sviluppo aggravato dal deficit e di comprendere ogni momento della vita trascorsa e le esigenze di essere sociale... 5
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maestramento e la vera educazione, tra l’educazione e l’approccio zoologico dell’allievo. Quel trattamento che, sulla base della diagnosi, della presa in carico e del progetto riabilitativo, ha ritenute fino a ieri insostituibili le schede-aspirina, e che oggi a quelle mute schede aggiunge, con hardware e software, stimoli sensoriali visivi e uditivi, continuando ad obbligare gli allievi a sostare in una postazione differenziale, fermi davanti ad un monitor per ripetere esercizi. Un criterio separatista, connotabile come anti-pedagogia e da non accogliere tra i prin-cipi della psicologia. Una diagnosi qualitativa Un bambino osservato dal punto di vista qualitativo reclama attenzione sulla catena di metamorfosi e di proprietà che lo distinguono, alle evoluzioni che lo rendono una persona complessa: perciò chiede che vengano conosciute le sue potenzialità, le abilità e le disponibilità; uno studio dinamico, non limitato alla constatazione della gravità del deficit, ma che includa l’analisi dei processi compensatori-sostitutivi, integrativi e correttivi dello sviluppo e del comportamento,
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di prendere in considerazione ogni sua esigenza di essere sociale. Una diagnosi condotta in costanti e varie occasioni di interazione in un quadro di empatia con l’allievo per una osservazione sistematica, perseguita durante l’iter educativo, per connotare distintamente gli effetti ritardanti o ostacolanti il processo maturativo e ogni aspetto caratterizzante le forme di comportamento e di apprendimento (Pesci, 2004).
Se si vuole che l’educazione non sia soggetto a una pericolosa azione generalizzatrice o sia suffragio di criteri classificatori, è all’insegnante che, avendo rispetto a ogni altro specialista il vantaggio incontestabile di stare a contatto con gli allievi e di assisterli in tante manifestazioni di vita, deve essere riconosciuto il ruolo professionale per condurre una diagnosi pedagogica e procedere alle scelte di strategie educative e integrative per aiutarli ad apprendere. Un inse-
gnante che abbia sviluppato abilità diagnostiche per comprendere l’eterogeneità dei percorsi di vita dell’allievo e che sappia apprendere dalla polisimmetria causale-dinamica e dalle sfaccettature prismatiche della sua personalità; che non indugi sui limiti, ma muova verso le radici dei disagi, che sia pratico a svolgere un’analisi della sua volontà, del suo aspetto emotivo, della sua fantasia e del suo carattere. Una scuola in cui gli allievi imparino a leggere L’insegnante sa che ciascun allievo si presenta con una propria individualità, un personale ritmo di crescita, differenziate intelligenze, carattere e temperamento, modi diversi di essere e di rappresentarsi, e lo accoglie per proseguire, con un conseguente orientamento metodologico didattico, l’azione educativa. Egli è consapevole che l’operare senza tener conto dei processi di sviluppo intellettivo-affettivo degli scolari, delle loro possibilità e funzioni in via di formazione, significherebbe agire senza il giusto rispetto verso l’uomo che viene formandosi, ed è obbligato a trovare per ogni allievo stimoli mo-
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tivazionali ad apprendere che rispettino le funzioni deputate alla comprensione e all’assimilazione per raggiungere il grado di evoluzione e di maturazione necessario. L’insegnante sa bene che il bambino potrà dare risposte idonee negli apprendimenti quando avrà affinate le percezioni cinestetiche e la loro associazione con i dati visivi e sviluppata la maturazione nervosa, tonicoemozionale e affettiva; né gli sfugge che la tappa della discriminazione percettiva si risolve
Percorsi educativi e didattici idonei a sostenere, sollecitare, rafforzare, sviluppare e soddisfare le esigenze dell’allievo,
da 3 a 7 anni, periodo transitorio e di preparazione alla vita in cui vi è un’evoluzione parallela e coordinata della percezione dello spazio e della percezione del corpo proprio, e sa anche che se le tappe hanno una tale forbice è perché non tutti i soggetti all’età di quattro, cinque o sei anni, sono pronti ad apprendere le materie curriculari. Se preparato, riconoscerà gli ostacoli e sarà capace di rintracciare i tortuosi itinerari, per agire in modo corretto e produttivo, per fornire le forze, le tendenze, le spinte a favorire reazioni positive, superare o integrare le abilità, gli interessi e le motivazioni. Percorsi educativi e didattici idonei a sostenere, sollecitare, rafforzare, sviluppare e soddisfare le esigenze dell’allievo, indirizzare utili interventi preventivi e, nel caso se ne presenti la necessità, precoci, tempestive azioni educative. Una pratica educativa che non esclude e differenzia i più deboli, sostanziata da una molteplicità di esperienze capaci di rendere l’apprendimento del leggere un atto educativo rispettoso dei ritmi di apprendimento e dei bisogni educativi dell’allievo e non un puro e semplice mezzo tecnico utilitaristico, esposto a stimoli di compensazione infinitamente vari ed estremamente originali per lo sviluppo della creatività, percorsi per generare tendenze psichiche, desideri, fantasie e sogni.
Per questo l’obbligo dell’insegnante con i “lenti ad apprendere” è garantire un insegnamento individualizzato, impegnandosi nel fare emergere in ogni piccolo il desiderio di agire correttamente, trovare gratificazione e giusta motivazione, e riuscire con successo. Un insegnamento individualizzato che evidentemente qualcuno, che non è insegnante, confonde con il sottoporre l’allievo ad un insegnamento separato, isolato in un microcosmo, conformato e adattato al deficit, sottraendogli esperienze comuni e le opportunità imitative che lo arricchiscono fino a diventare capacità creative. Una educazione in preordino alla lettura, muovendosi in uno spazio tridimensionale per dare enfasi al piacere e a maggior opportunità di codifica nella conoscenza. Esperienze con cui assaporare il valore dell’immagine e della parola, della “fonetica impressiva” come incentivo fonetico-letterale, dei segni immaginifici e delle unità significative universali figurate, la visualizzazione dell’astratto, l’educazione figurativa, l’organicità musicale nella formazione del rigo ecc. Un insegnamento pedagogico con cui incentivare l’interesse verso il “saper-vedere”, inteso a mutare il gioco visivo adattando l’immagine o l’oggetto a concomitanti processi percettivi, e il “fare-dire”, unità in cui il prius del dire stia nel sentire attuoso, un nesso tra realtà e parola, im-
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portante fulcro di una evoluzione. Crescite esperienziali in atelier assai diverse rispetto ad una valenza biologico-energetica, alla staticità che rende gli allievi inflacciditi, raccolte esplorando esposizioni cinestetiche capaci di raccogliere immagini figurative che si espandono in espressioni fonetiche e in parole, contenuti semantici e vibranti assonanze empatiche. Gli insegnanti preparati a rispondere alle esigenze degli allievi in difficoltà della lettura assai bene conoscono come operare esperienze di gruppo per una definizione di sé-spazio, integrate da altre che obbediscono al simbolismo spaziale, perfezionate dalle sollecitazioni musicali, i ritmi e la durata. Essi ben sanno come integrare il pensiero di chi si limita a sostenere che “la linea conduce lo sguardo”, l’allievo per mezzo di una specializzazione dell’inseguimento dell’occhio con testi scritti su parete, dove può venire tradotta anche l’impulsività polivalente della forma del cerchio, il dinamismo del triangolo, del quadrato, del rettangolo, del Punto Egoico e di ogni Codice Gestuale Corporeo, radici e strutture interiori storicizzate (Pesci e Mani, 2001). Qualità di esperienze percettive che si plasmano in espressioni organizzativo-gestuali, rese visibili dai tracciati proiettati, azioni che divengono ricordo. L’insegnamento pedagogico ben
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conosce anche le vie per incentivare abilità mnestiche, con l’ausilio, tra l’altro, di immagini mentali con coloritura emotiva, di “forme informi”, e come sollecitare interessi rivolti alla linea, forma primigenia dello sviluppo, con i suoi caratteri alfabetici significanti, immagine dei significati, quel muoversi passo, passo verso… come nel camminare, procedendo da un termine all’altro che gli succede. Né sfugge il disagio presente negli allievi con inadeguatezza percettiva, quando vengono posti davanti a tante lettere impresse sull’informe anonimità del foglio, avvolti da un folto ordito di simboli, per questi seguono importanti soluzioni con scritte prospettizzate su pareti attrezzate che, nell’assumere un più intenso sfondo sensorio, stimolano un maggior organico contatto percettivo e che logograficamente esposte in un campo così esteso per essere tradotte richiedono di “camminare sul rigo”, di sviluppare un ampio inseguimento dell’occhio per accompagnare l’ordito delle figurazioni o delle sagome, fino a tradurre il significato narrativo, dichiarativo, descrittivo delle parole contestuali in espressioni gestuali, in costruzioni simboliche con il corpo, abbinate ad un variare tonematico, al ritmo e al canto (Pesci e Pesci, 2006). L’ampiezza del loro saper fare nel dare tanto caro a Canevaro, continua in parole e frasi esposte
in un campo tridimensionale la cui lettura può essere eseguita camminando, assumendo posture e orientamenti diversi, come porsi di fianco al testo, seduti a terra o sdraiati, in continuo accomodamento rispetto alla fonte scrittoria, stimoli creativi per incentivare il piacere, sviluppare l’interesse e la motivazione, vincere ogni difficoltà e disagio. Una macrolettura che verrà via via ad essere ridotta nella grandezza per permettere all’allievo di affinare sempre più le abilità decodificatorie di simboli alfabetici di grandezza normale, ed incentivare le disponibilità nel leggere rispettando una personale visività del ritmo figurativo, diverse posturalità, attenzioni educative vigili al rispetto della formazione integrale della personalità (Pesci e De Alberti, 2004). Tante occasioni per un intervento di prevenzione e una azione educativa autentica e rispettosa, orientata solo agli interessi della persona-allievo, che contempli un’applicazione pratica e sistematica di diverse strategie valide per riempire l’Io di soddisfazione e di entusiasmo. Attività ricreativo-demiurgiche che possono essere condotte nella scuola in situazioni di piacere e di scambio in dinamica fra le varie componenti gruppali, luogo in cui compito degli insegnanti è quello di “insegnare ad apprendere” a tutti gli allievi che vi partecipano, specie quelli
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che manifestano delle difficoltà, esigenze pedagogiche soddisfatte in opposizione ai principi della settorialità degli interventi, senza che gli allievi (i dislessici) siano costretti davanti al computer con programmi compensativi, riflesso di una cultura sensoriale, referenziati da una
…compito degli insegnanti è quello di “insegnare ad apprendere” a tutti gli allievi che vi partecipano, specie quelli che manifestano delle difficoltà…
distratta politica succube del principio che la terapia debba avere nella scuola il diritto di cittadinanza. Le esemplificazioni di ciò che è capace di realizzare un insegnante preparato, paladino dell’integrazione, in quotidiana sofferenza contro il conservatorismo e ogni pseudocultura asservita, in opposizione alla scuola emarginante, e in rivolta contro ogni restaurazione, riteniamo non sia comparabile. Ne è esempio un saper rispondere con “qualità” ad una diagnosi “qualitativa”, linea guida per una scuola che non trascura le esperienze di cooperazione e di integrazione sociale, idonee per aiutare gli allievi in difficoltà a muovere verso un futuro di speranza. Questo suggerisce che sia la scuola primaria per prima a correre in aiuto di chi è ostacolato ad apprendere che, certo, non è
un malato e che sia resa obbligatoria la scuola dell’infanzia per attuare precocemente una prevenzione senza esclusioni. Nell’attesa, ci sentiamo di sollecitare tutti al rispetto della persona.
(Articolo apparso in Rivista Nuovi Orizzonti n. 4/2010)
…un saper rispondere con “qualità” ad una diagnosi “qualitativa”...
Summary This paper focuses on the problem of dyslexia and, in particular, on the easy labeling certifications which determine a psychological and social marginalization of those who experience difficulties in the process of scholastic learning. According to the Author, too often professionals engage in exclusively quantitative assessments which can prove misleading: in fact, these assessments are based on systems of classification for the disorders which are intended to delineate pathological-therapeutical interventions and may result in idle separatisms. This type of approach risks losing track of the boundaries between training and authentic formation, between education and a “zoological” approach to the student. After a preliminary analysis of the current situation in Italian schools from the perspective of the psychological, social and educational implications, the Author sketches a model for a teacher who sets out to define a personalized intervention in relation to the class. Such an intervention is meant to help overcoming the learning difficulties in the scholastic context.
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Stile di apprendimento e stile di docenza: un’esperienza sul Corso di Laurea Infermieri di Cristina Neretti
Da sempre interessata al tema della didattica, il lavoro progettuale di insegnamento del Corso di Laurea – Infermieristica Generale II – sede di Imola AA 2010-2011 condotto all’Università, si è caratterizzato di un metodo che con consapevolezza attingesse e contenesse più stili di docenza, tenendo conto dei principi relativi ai processi di apprendimento e alla formazione riflessiva, rintracciati nelle basi solide di ricercatori e autori che hanno affrontato evidenze scientifiche centrate su la maieutica socratica, la teoria andragogica, il Metodo Reflecting e il PBL. È stato scritto ancora poco in riferimento alla formazione riflessiva, P. Honey e A. Munford, nel 1986 sul “ciclo di Kolb”, successivamente, nel 1993, Schön, si è occupato della riflessione nella professione; M. Knowles, nel 1996, ha effettuato ricerche sull’apprendimento degli adulti, e ha approfondito l’argomento con la collaborazione di Elwood F. Holton III e Richard A Swanson. G. Pesci e S. Pesci, nel 2003 e 2005, hanno elaborato il metodo “Reflecting” per stimolare la riflessione nell’interlocutore; infine L. Gamberoni, G. Marmo, M. Bozzolan, C. Loss, O. Valentini, nel 2010, hanno approfondito il tema
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dell’apprendimento riflessivo. La formazione universitaria ha lo scopo di accrescere le conoscenze teoriche e le capacità di ricerca degli studenti. Il professionista del futuro dovrà possedere competenze trasversali e specifiche altamente qualificate. Dunque, il formatore dovrà lavorare su diversi livelli: conoscenze - abilità - valori e convinzioni - comportamenti - identità. Didatticamente, si evince che gli interventi formativi devono essere progettati in modo diverso a seconda dell’area su cui si vuole centrare l’attenzione. L’obiettivo del mio studio osservazionale si è concentrato sul processo di apprendimento degli studenti del Corso di laurea per Infermieri.
Accrescere le conoscenze teoriche e le capacità di ricerca degli studenti.
Le finalità complessive del progetto si sono sviluppate nello: 1) Stimolare il pensiero critico dello studente 2) Sperimentare sul campo diverse metodologie didattiche 3) Correlare stili di docenza, stili di apprendimento e valutazioni curriculari finali degli studenti. Obiettivi In questo studio ho osservato e valutato l’apprendimento degli studenti (qualitativo e quantitativo) allo scopo di stimolarne il pensiero critico e favorirne l’apprendimento. Durante il mio insegnamento ho adottato, al fine di agevolare il passaggio dei contenuti da programma, diverse metodologie didattiche. Mediante l’accertamento iniziale dello stile di apprendimento degli studenti e la valutazione in itinere e finale dei contenuti, ho studiato, inoltre, la relazione tra gli stili di docenza e quelli di apprendimento. Il periodo di studio è stato pianificato della durata di un anno (da marzo 2011 a febbraio 2012) suddiviso in due momenti principali: - in aula (dal 23/03/2011 al 26/05/2011) per totali 27 ore - in sessione di appello estiva, autunnale ed invernale.
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Materiali e metodi Il campione dello studio è costituito da 62 studenti del primo anno accademico 2010-2011. L’età media del campione è di 21,94 anni, con un indice di varianza di 19 anni. Il 50% del campione è rappresentato da femmine italiane; il 39% da maschi italiani; l’11% da femmine di altre nazionalità. Durante le lezioni in aula, sono stati utilizzati differenti metodologie didattiche: a) Metodo didattico deduttivo: utilizzo slide con colori e immagini b) Metodo didattico induttivo: racconti/allegorie/poesie tratti di film/visione filmati c) Metodo didattico storico temporale: lettura articoli attualità d) Metodo didattico: pianificazione scritta/orale di casi clinici in simulata. Sono stati somministrati agli studenti i seguenti strumenti: - Questionario Stili di Apprendimento dello studente - a cura della Cattedra di Psicologia del lavoro Università di Bologna Dott.ssa Cinzia De Angelis (materiale elaborato sulla base del lavoro di Kolb “Ciclo sequenziale dell’apprendimento” riformulato da P.Honey e A. Munford, 1986): è costituito da 80 affermazioni. Lo studente deve leggere attentamente ogni affermazione e pensare a quanto sia vera per se stesso. - Questionario Valutazione Conoscenze iniziali (composto di tre parti):
a) Questionario Valutazione Conoscenze Primo Blocco È costituito da 10 domande con tre possibilità di risposta, di cui solo una è quella corretta. Le domande sono riferite al primo blocco di programma didattico: Modello funzionale gestione e mantenimento della salute; Modello funzionale sonno e riposo; Modello funzionale sessualità e riproduzione. b) Questionario Valutazione Conoscenze Secondo Blocco È costituito da 23 domande con tre possibilità di risposta, di cui solo una è quella corretta. Le domande sono riferite al secondo blocco di programma didattico: Modello funzionale ruolo e relazioni; Modello funzionale valori e credenze; Modello funzionale percezione di Sé. c) Questionario Valutazione Conoscenze Terzo Blocco È costituito da 15 domande con tre possibilità di risposta, di cui solo una è quella corretta. Le domande sono riferite al terzo blocco di programma didattico: Modello funzionale di coping e tolleranza allo stress; Modello funzionale cognitivo percettivo. - Scheda di Autovalutazione ad ogni fine lezione in aula (in allegato) Permette allo studente di riflettere in itinere sugli obiettivi cognitivi, relazionali e gestuali
del suo percorso di apprendimento. - Questionario Autovalutazione Percorso Apprendimento (in allegato) Permette allo studente di riflettere sugli obiettivi cognitivi, relazionali e gestuali al termine del suo percorso di apprendimento. Risultati e conclusioni Il 46% del campione è rappresentato con “stile di apprendimento riflessivo”; il 27% “pragmatico”; il 12% “teorico”; l’8% “attivo”: Alla luce dell’identificazione delle diverse modalità di stili di apprendimento all’interno dello stesso gruppo di studenti (con prevalenza dello stile riflessivo per 28 studenti, e pragmatico per 15 studenti), ho provveduto a modulare lo stile di docenza (diversi stili all’interno della stessa giornata di insegnamento). All’inizio di ogni “blocco di insegnamento modelli funzionali” è stato somministrato un pre-test delle conoscenze, seguito da un post-test (prova uguale al pretest) al termine degli insegnamenti in aula.
Identificazione delle diverse modalità di stili di apprendimento 11
n. 27 - luglio-dicembre 2012
STILE ATTIVO
Preferisce l’azione, apprende meglio dalle esperienze quando ci sono nuove situazioni e problemi; si avvantaggia di simulazioni, esercitazioni che mettono alla prova e che sono ritenute difficili (fase 1: esperienza e azione).
STILE RIFLESSIVO
Preferisce prendere il tempo necessario per pensare e agire. Viene messo in difficoltà da metodi sbrigativi e poco rigorosi. Impara meglio dalle esperienze se incoraggiato a controllare, a riflettere sulle attività, ha tempo di rivedere cosa ha fatto e può prendere una decisione (fase 2: la riflessione).
STILE TEORICO
È interessato a scoprire concetti, predilige le argomentazioni logiche e metodologiche strutturate. Impara meglio dall’esperienza quando gli si propongono attività nelle quali si ricercano relazioni, hanno possibilità di fare domande, sono intellettualmente provocati (fase 3: la valutazione).
STILE PRAGMATICO
Ha bisogno di un legame fra l’aspetto concettuale e l’attività pratica che svolge. Impara attraverso esempi oppure problemi concreti da risolvere. Impara meglio dalle esperienze c’è un legame chiaro tra l’esperienza e la soluzione di un problema, possono provare tecniche con una guida (fase 4: la pianificazione).
Si evince che lo strumento pre test delle conoscenze, seguito dal post test, è valido per misurare quantitativamente i contenuti da programma appresi. Per il primo blocco di conoscenze, si è rilevato un incremento del 28.3%. Per il secondo blocco di conoscenze, si è rilevato un incremento del 28.35%. Per il terzo blocco di conoscenze, si è rilevato un incremento del 20.2%. Alla luce del lavoro di Kolb “Ciclo sequenziale dell’apprendimento” riformulato da P.Honey
e A. Munford (1986), ho valutato la mia parte di docenza (Infermieristica Generale parte A). I risultati nella prima sessione di appello (Luglio 2011) sono stati i seguenti: - n. 3 studenti, su 32 esaminati, hanno superato l’esame con voto 30L/30, collocabili nella “fase di creazione” - n. 8 studenti, su 32 esaminati, hanno superato l’esame con voto 30/30, collocabili nella “fase di crescita” - n. 6 studenti, su 32 esaminati, hanno superato l’esame con voto 26-27/30, collocabili nel-
pre test blocco 1
valore numerico (risposte corrette) 4,82 su 10
valore percentuale (risposte corrette) 48,2
24/03/2011
totale questionari esaminati 52
pre test blocco 2
8 su 23
34.78
14/04/2011
31
7,1 su 16
44,37
post test blocco 1
7,65 su 10
post test blocco 2
14.52 su 23
post test blocco 3
10,33 su 16
pre test blocco 3
Tabella 1. Esiti pre e post test delle conoscenze acquisite
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la “fase di esercitazione” - n. 6 studenti, su 32 esaminati, hanno superato l’esame con voto 24-25/30, collocabile nella “fase di individualizzazione”. Gli studenti, nella sessione d’appello di settembre/ottobre 2011, hanno appreso i contenuti del programma didattico con la seguente valutazione: - n. 2 studenti, su 14 esaminati, hanno superato l’esame con voto 30L/30, collocabili nella “fase di creazione” - n. 2 studenti, su 14 esaminati,
76,5
63.13 64,57
data 31/03/2011 12/05/2011 26/05/2011 26/05/2011
58 44 39 39
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hanno superato l’esame con voto 30/30, collocabili nella “fase di crescita” - n. 4 studenti, su 14 esaminati, hanno superato l’esame con voto 26-27/30, collocabili nella “fase di esercitazione” - n. 2 studenti hanno superato l’esame con voto 24-25, collocabili nella “fase di individualizzazione” Lo studente, appartenente al campione, esaminato (nella sessione di febbraio 2012) ha appreso i contenuti del programma didattico collocabile nella fase di “percezione” (voto 18-19/30) dei contenuti trasmessi. Dal confronto delle tre sessioni d’appello, si evince che il fattore “tempo trascorso” influisce in modo inversamente proporzionale all’acquisizione dei contenuti trasmessi in aula. Il totale degli studenti esaminati negli appelli di “Infermieristica Generale II parte A” è stato di 47 studenti, sul totale del campione (62 studenti). Sono stati distribuiti agli studenti n. 52 questionari di autovalutazione del percorso di apprendimento, e raccolti n. 46. Lo strumento “pre-post test a blocchi” è stato considerato un utile strumento per il 96% degli studenti. Il 73% degli studenti preferisce il ritiro del pre-test, da parte del docente, al termine delle lezioni in aula. Il 76% degli studenti ritiene utile l’utilizzo della “Scheda di Auto-
valutazione” ad ogni fine incontro in aula. I metodi didattici che hanno favorito l’apprendimento agli studenti si sono rivelati: - deduttivo (slide) = 26% degli studenti - induttivo (film – poesie – racconti/allegorie) = 27% degli studenti - per casi (situazioni cliniche – laboratori individuali) = 31% degli studenti - storico-temporale (articoli di attualità) = 16% degli studenti Alla luce di quanto esposto posso evidenziare che: - il pre-post test delle conoscenze è un utile strumento da adottare nella metodologia didattica, e non c’è differenza tra il ritiro a priori o posteriori del pre test, anche se i ragazzi preferiscono il ritiro a posteriori; - la “Scheda di Autovalutazione” si è dimostrata un utile
strumento nella metodologia didattica, anche se necessita di elementi di approfondimento; - si può presumere, ed è importante sviluppare un progetto di ricerca futuro per studiarne la corretta correlazione: Da non sottovalutare, al fine qualitativo nell’apprendimento, è il clima d’aula durante l’insegnamento, gli studenti esaminati nella ricerca lo hanno riscontrato: di partecipazione n. 3 - di rilassamento n. 16 - sereno n. 19 piacevole - di interesse n.11 - informale n. 4 - favorevole all’apprendimento - stimolante - di
Da non sottovalutare il clima d’aula
Stili di apprendimento
Stili di docenza
Pragmatico
Induttivo
Riflessivo Teorico Attivo
Per casi
Deduttivo
Storico-Temporale
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coinvolgimento n. 6 - di curiosità - attivo n. 6 – appassionante accogliente n.2 - divertente n.2 di riflessione n.2 - di simpatia in attenzione e ascolto n.3 – professionale. Alla domanda, “Come mi sono sentito/a durante le ore di insegnamento?”, gli studenti hanno così risposto: stimolato n.3 - interessato n.18 - trasportato dalle lezioni - in ritiro spirituale - coinvolto (anche emotivamente) n.15 - attratto dalla materia - attento n.2 - incuriosito n.2 - appagato intellettualmente - rilassato con mente lucida – curioso - partecipe n.5 - considerato dall’insegnante - a mio agio n.2 - tranquillo n.5 - bene n.7 – migliorato - consapevole di ciò che stavo apprendendo. Meritevoli di attenzione, sono stati i commenti degli studenti: Le letture, poesie e filmati hanno contribuito ad elevare l’attenzione n.6 - Ottime tecniche usate Metodo originale “e penso che abbia trovato la chiave adatta per
La maggior parte del campione si colloca in stile di apprendimento riflessivo 14
approcciarsi a noi adolescenti alle prese con l’università. I modi sono sempre carini ed è sempre disponibile... Mi sono sentita coinvolta e piacevolmente attratta dalla materia. L’ho trovata interessante e le tecniche usate per attirare l’attenzione hanno sicuramente raggiunto l’obiettivo… Il clima è sereno e rilassato, quasi piacevole considerando che nella maggior parte dei casi non si va mai volentieri a lezione, soprattutto quando arriva l’estate.” - “Le letture assolutamente fantastiche!” - “Le letture hanno coinvolto la mia attenzione grazie all’enfasi e alla modalità di lettura.” - “Il docente ha applica-
to un metodo di insegnamento innovativo, brillante, dinamico e coinvolgente... Soddisfatta del corso” - “Molto gentile e carina nei modi di fare” - “Molti erano interessati anche perché c’era un coinvolgimento da parte della prof. Inoltre filmati e racconti alleggerivano la lezione rendendo più attiva l’attenzione.” - “Le lezioni sono diverse dal solito, e più utili. I concetti sono rimasti più impressi” - “È risultato interessante ampliare il classico lavoro didattico con la visione di filmati e la lettura di passi di libri.” - “Grazie prof. per il suo sorriso che ci dona molta speranza e passione!”.
Summary Objective We analyzed the learning and assessment of students enrolled in the first year degree course in Nursing, after applying the principles of reflective teaching, in a period of time equivalent to a calendar year. Method. The sample, 62 students were given four types of questionnaires and two types of self-assessment cards. Results. Most of the sample (46%) is in learning style “reflective”. It also shows that the pre-test knowledge questionnaire (73% of the sample would prefer that the teacher does not withdraw), followed by post-tests are valid instruments (94% of the sample this is useful) to quantitatively measure the content learned from the program (25.6% increase in knowledge of the medium). 76% of the sample found useful self-evaluation form administered at the end of each lesson in the classroom. The teaching methods that have favored the learning of students were distributed as follows: 31% of cases - 27% inductive - deductive 26% - 16% historical / temporal. The total number of students examined in the appeal session was 47 students. In light of the work of Kolb’s “learning cycle sequential” reformulated by P. Honey and A. Munford, the majority of students examined in the summer session has learned the content of the curriculum can be placed with a head during the “growth” of broadcast content, in the autumn session, the prevalence can be placed in both the “exercise” in the winter session of the prevalence can be placed in both the “perception” of the broadcast content. Conclusions. The research that we discuss the correlation between learning and teaching methodologies are, to date, quantitatively reduced. You should increase the number of searches in relation to the assessment / self assessment of the student.
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L’affido condiviso e il progetto educativo condiviso di Elisa Pavoni
Da oltre sei anni è entrata in vigore la legge 54/2006 ( Affido condiviso) che riconosce ai figli il diritto indisponibile di frequentare equilibratamente i due genitori e di essere educati e accuditi da entrambi. Come professionista che opera in sinergia con gli studi legali nell’ambito delle separazioni e divorzi, ho potuto costatare, nella maggior parte delle situazioni incontrate, il permanere di un genitore in una posizione dominante. Il genitore “collocatario”, presso il quale è domiciliato il minore, è investito degli stessi poteri e doveri che prima aveva il genitore affidatario esclusivo. Nei fatti, viene a mancare, pertanto quella simmetria educativa indispensabile per costruire un equilibrio nel nuovo assetto familiare e il conseguente benessere dei figli. In buona sostanza, uno dei due genitori, vivendo con il proprio figlio /figli diventa il punto di riferimento permanente, assumendo concretamente delle decisioni, assolvendo compiti e cure in modo prioritario. Il genitore che non abita con il figlio, di quali spazi educativi dispone per esercitare in modo paritario la sua funzione genitoriale? Per la mia esperienza, non è sempre vero che il genitore non collocatario, si deresponsabiliz-
za rispetto alla suo ruolo genitoriale, piuttosto, si può asserire che gli spazi di educazione e accudimento limitati rendono meno fluido e incisivo l’agire quotidiano del suo ruolo genitoriale. A tal proposito si sottolinea che il vissuto dei genitori non collocatari è spesso caratterizzato da sentimenti di impotenza, frustrazione e vulnerabilità. L’impotenza può generare rabbia e accentuare eventuali conflitti già esistenti nella coppia genitoriale. Sicuramente questo non è auspicabile. Ma come realizzare sul piano concreto della quotidianità il concetto di bigenitorialità indicato dall’affido condiviso? Gli avvocati sono i primi a dover fare i conti con questo interrogativo e a tentare di rispondere, spesso addentrandosi in ambiti pedagogici e psicologici che richiedono formazione e strumenti specifici. Due le ordinanze dei Giudici in linea con la reale finalità dell’Affido condiviso. Una a Trieste, del 28/02/2012 e l’altra a Firenze, del 4/042012. In sintesi l’ordinanza di Trieste ha assegnato in via provvisoria e urgente la collocazione del minore presso l’abitazione di proprietà di entrambi i genitori, i quali si alternano settimanalmente nella funzione di genitore collocatario
con l’eventuale supporto di altri familiari. L’ordinanza di Firenze ha stabilito la domiciliazione del minore adolescente presso entrambi i genitori. In entrambe le ordinanze emerge una volontà di favorire un equilibrio nei sottosistemi relazionali familiari (padre-figlio/ madre-figlio/ padremadre e sottosistema delle parentele) conseguenti alla separazione al solo fine di tutelare il benessere dei figli. Ma l’equilibrio non è “dato”, si conquista continuamente, work in progress, una volta raggiunto si può facilmente perdere, non può essere raggiunto attraverso una formula applicabile in tutte le si-
Simmetria educativa indispensabile per costruire un equilibrio nel nuovo assetto familiare. 15
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tuazioni. Ogni situazione è a sé. È necessario acquisire gli strumenti per conquistarlo e riconquistarlo. Chi può dare ai genitori gli strumenti per costruire il proprio equilibrio nel nuovo assetto familiare? La legge ha già fornito delle indicazioni specifiche di riferimento, si tratta ora di renderle percorribili praticamente. Questa seconda finalità si realizza, dal mio punto di vista, attraverso la realizzazione e la messa in opera del progetto educativo condiviso. Nel mio percorso professionale, in qualità di pedagogista clinico ho riscontrato più volte che sollecitando nella coppia genitoriale un’auto-riflessione sugli aspetti educativi progettuali e valorizzando al massimo i contenuti emersi, si educa la coppia separata o in via di separazione, a disinvestire gradualmente dal ruolo coniugale disfunzionale, ridimensionan-
…sollecitando nella coppia genitoriale
do e limitando i conseguenti conflitti. Attraverso un percorso specificatamente educativo, la coppia genitoriale, è sollecitata a riaprire i canali della comunicazione per elaborare un progetto relazionale e genitoriale condiviso, rispettoso dei bisogni di tutti i componenti del sistema familiare. La messa in opera della progettazione è la traduzione prassica dei contenuti emersi dalla stessa. Tale percorso si configura in un setting ben preciso di incontri, ognuno dei quali con strumenti e fini precisi. Il numero degli incontri varia in base alle particolarità delle situazioni da affrontare, ma la media può oscillare da sei a dodici incontri, distribuiti in un arco di tempo variabile da tre mesi un anno. In questo periodo è richiesta la sospensione momentanea del procedimento giuridico oppure, come sarebbe auspicabile, la collaborazione delle figure legali con il pedagogista clinico per orientare la coppia genitoriale a percorrere la strada della riflessione squisitamente educativa. Non si tratta, per l’avvocato, né di individuare problemi di coppia, né di consigliare percor-
si terapeutici, ma semplicemente di suggerire alla coppia genitoriale uno spazio di riflessione educativa in via prioritaria. Così facendo l’avvocato, svolge un’opera di prevenzione dei conflitti e quindi delle liti giudiziarie, oltre che focalizzare l’attenzione dei genitori sulle loro reciproche responsabilità educative in accordo con i nuovi orientamenti legislativi. Il risultato concreto dell’itinerario educativo intrapreso dalla coppia genitoriale è la stesura del progetto educativo condiviso: le scelte relazionali-educative e gli accordi raggiunti da usare sia come promemoria sia come traccia da “convertire in forma legale” a cura delle figure professionali competenti. Il percorso educativo prevede anche momenti di incontro della coppia genitoriale con il pedagogista clinico dopo alcune settimane dalla stesura del Progetto Educativo Condiviso per valutare in itinere la scelte e le decisioni intraprese ed eventualmente operare modifiche al progetto stesso compatibilmente e in accordo con le norme di diritto sostanziale e procedurale.
un’auto-riflessione sugli aspetti educativi 16
Summary Elisa Pavoni’s professional experience let her give some indications about how it is possible to proceed towards a positive integration in situation of shared custody. She indicates how through an education process, the couple can open again the channels of communication and build an understanding relational project. The results that have been obtained through reflective strategies have shown a significant value.
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Pedagogia Clinica e Tarantismo un intreccio possibile! di Cristina Pedali
Immaginiamo una musica che incalza, un ritmo frenetico che non permette ai piedi di stare fermi. Immaginiamo diversi strumenti che suonano insieme pur riuscendo a restare distinti. Immaginiamo un tamburello che dà il ritmo, un violino che esprime la melodia, una fisarmonica che accompagna e amalgama; immaginiamo tanti strumenti che suonano tutti insieme per raggiungere un unico scopo: scacciare il malessere e far ritornare all’equilibrio perduto. Immaginiamo poi una danza che coinvolge il corpo e la mente, che fa sudare e dimenticare tutti i malesseri. Se siamo riusciti a immaginare tutto questo, siamo entrati nel mondo del Tarantismo, che attraverso la sua musica si prefigge l’obiettivo di uccidere il ragno, di superare il dolore del morso. Il Tarantismo è noto ormai in tutto il mondo per la sua danza caratteristica, al Taranta Pizzica, che oggi viene vissuta come un momento folkloristico, una musica che invita quasi irresistibilmente al movimento, suonata spesso nelle piazze salentine per fare festa nelle sere d’estate. Tuttavia gli albori del Tarantismo risalgono a tempi molto lontani e, lungi dall’essere una danza di gioia, la Taranta Pizzica era un metodo che la gente semplice utilizzava per aiutare coloro che erano
stati morsi dalla tarantola. Di conseguenza, se girando per le stradine dei piccoli centri salentini, ci si imbatteva nel tipico ritmo frenetico della Pizzica, non si era in prossimità di una festa, ma si poteva essere testimoni di un momento di sofferenza che in qualche casa, non senza una buona dose di vergogna, si cercava di affrontare. Risalendo alle origini di questa tradizione popolare, si nota come essa sia ricca di significati e di sensi per niente lasciati al caso, e soprattutto si osserva come la pedagogia clinica si rispecchi molto in alcuni di questi aspetti. Lungi dal considerare il Tarantismo come una scienza, esso può comunque essere considerato come una sorta di antenato della pedagogia clinica, che se indubbiamente fonda i suoi postulati nella ricerca scientifica, tiene anche in forte considerazione la cultura, la tradizione, i contesti nei quali opera, per tenere le proprie radici salde nel terreno. Come afferma il prof. Guido Pesci “si tratta di definire l’evoluzione di fasi e di perfezionamenti attraverso cui siamo giunti fino ad oggi e trovare ragione dei più aggiornati metodi e delle particolari tecniche educative che sono prodromo della Pedagogia Clinica”. Volgere lo sguardo verso il passato, dunque, per trovare ragione del proprio agire, in virtù di un percor-
so che non riguarda solo la persona che in quel momento accogliamo nel nostro studio, ma tutti coloro che nel corso della storia hanno incontrato degli ostacoli da superare, disagi che impedivano di vivere, e che, anche nel passato, hanno trovato chi ha offerto sostegno, accoglienza, con i mezzi che in quel momento aveva a disposizione, ma nel comune intento di far emergere dalla persona, attraverso un percorso di aiuto, le potenzialità che potessero aiutarla a ritrovare un equilibrio che sembrava perduto. Come sappiamo, la pedagogia clinica è una “scienza di indole sociale”, che basa la propria caratteristica di disciplina scientifica sull’evoluzione umana nel corso dei tempi. Possiamo, allora, andare a ricercare parte di queste radici nel Mito del Tarantismo, che utilizzava la musica, la danza ed i colori, per aiutare coloro che venivano identificati come tarantati, perché si riteneva fossero stati morsi dalla tarantola.
… gli albori del tarantismo risalgano a tempi molto lontani. 17
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Il Tarantismo è una forma di religione minore prevalentemente contadina, caratterizzata dal simbolismo della tarantola che morde e avvelena, e dalla musica, la danza ed i colori, che liberano dal morso avvelenato. Fino alla prima metà del ‘900, il Tarantismo era ormai stato classificato come un’espressione patologica (una forma di isteria, una coreomania, o superstizione), e non suscitava più la curiosità e l’interesse da parte degli studiosi. Tuttavia, nel 1961 compare “La terra del rimorso”, uno studio condotto da Ernesto De Martino e da un’equipe di studiosi, che si recarono nel Salento per osservare da vicino il fenomeno, ed eventualmente confutare le teorie precedentemente espresse sul Tarantismo, che ormai lo avevano inquadrato in una precisa quanto ristretta classificazione nosografica. In cosa consiste in Tarantismo La tradizione vuole che la causa del malessere dei tarantati sia un ragno, la tarantola appunto, da cui il fenomeno e la danza prendono il nome, particolarmente aggressivo nei mesi estivi, periodo in cui l’insetto esce dalla propria tana, che costruisce in buchi del terreno ed in cui trova riparo nei mesi invernali, per andare a caccia di prede. Diversi aspetti propri del Tarantismo, tuttavia, hanno condotto a ritenere che le manifestazioni dei tarantati non fossero direttamente connesse con il morso del ragno, e a considerare quest’ulti-
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mo come un simbolo rappresentativo del fenomeno. I “sintomi” che facevano sì che una persona fosse identificata come “tarantata”, consistevano in una specifica forma di grave malessere interiore ed esteriore. Questo malessere che non permetteva alla persona colpita di svolgere le normali attività quotidiane, si presentava anche con mal di testa, dolori articolari, eccessiva stanchezza, fino ad arrivare addirittura ad una forma quasi catatonica, che faceva cadere la persona in un vero e proprio stato di isolamento rispetto al resto del mondo. Il presentarsi del “primo morso” faceva in modo che una persona fosse riconosciuta come morsa dalla tarantola, e sottoposta al trattamento coreutico-cromatico-musicale. Lo stato di malessere generale si ripresentava, poi, solitamente in modo ciclico ogni anno, all’inizio dell’estate in prossimità della festa di S. Paolo. Il culto di s. Paolo fu aggiunto al mito del Tarantismo successivamente, quando con l’avvento del Cristianesimo fu ingaggiata una vera e propria lotta contro i culti pagani, sostituendo le date e i luoghi in cui venivano celebrate questi ultimi, con quelli cristiani. Tuttavia, tale tentativo condusse ad aggravare, soprattutto nelle zone rurali, i disordini psichici in corrispondenza di queste feste, che fino a quel momento avevano contribuito a controllare e reintegrare simili disagi. La vita religiosa delle comunità agricole rurali, infatti,
aveva concentrato questi disordini in date festive legate a momenti particolarmente critici per la vita del singolo individuo e della collettività, vale a dire il solstizio d’inverno, il risveglio primaverile, l’estate e il tempo di inizio del raccolto. L’introduzione delle feste cristiane portò addirittura al rischio che queste stesse fossero sconvolte dall’insorgenza di disordini psichici. Lo strappo fu comunque rimarginato spontaneamente, trovando una mediazione tra bisogno di regolare i disagi ed il cattolicesimo, inserendo, appunto, nel mito del Tarantismo il culto di S. Paolo, cui la gente si rivolgeva per chiedere la grazia ed essere così liberata dal morso e dal veleno ad esso conseguente. Ma cosa avveniva nel momento in cui si stabiliva che una persona era stata morsa dalla tarantola? De Martino descrive con queste parole appassionate il suo primo approccio al mondo dei tarantati: “… ed ecco che percorsi un centinaio di metri nella selva dei vicoletti il concertino diventava sempre più distinto, svelando nel ritmo del tamburello la linea melodica del «ballo del piccolo ragno», cioè della tarantella, l’antica tarantella del Sud nella sua originaria funzione terapeutica […]. Scorgendo un capannello di gente localizzammo subito la casa da cui giungevano i suoni: affrettammo il passo, fummo davanti alla porta, ci facemmo largo tra la gente […] e finalmente di punto in bianco, dal giorno alla
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notte, ci trovammo brutalmente sbalzati in un altro pianeta”. Le povere case dei contadini diventavano dei luoghi cerimoniali: i mobili che arredavano la stanza principale venivano spostati, l’illuminazione consisteva solo di alcune candele, veniva predisposto un letto con il piano inclinato verso il pavimento, in modo che chi vi fosse adagiato, potesse scivolare via più facilmente, senza dover fare ricorso a troppe energie. Un altarino con le immagini di S. Paolo e S. Pietro, era appoggiato alla parete, e la bocca del camino veniva coperta con un panno colorato. Il perimetro cerimoniale, entro cui si svolgeva la danza, era rappresentato da un ampio lenzuolo steso per terra. Tutto intorno venivano sistemate delle sedie per i suonatori, e per coloro che assistevano al rito. L’esorcismo coreutico-musicale, come lo definisce De Martino, si caratterizzava per il ripetersi ciclico di alcuni movimenti, durante i quali la tarantata attraversava diverse fasi del proprio processo di superamento del disagio: una fase iniziale a terra, poi in piedi, quindi una caduta a terra che segnava un intervallo di riposo. Tale ciclo aveva inizio con l’esplorazione musicale da parte dei suonatori, che consisteva nella ricerca del suono o del ritmo che avesse un certo effetto sulla persona. Ogni tarantato, infatti, prediligeva uno strumento, un suono con cui instaurare una sorta di dialogo. Quando la tarantata dava i primi
cenni di essere stata raggiunta dalla musica, avevano inizio i primi movimenti. Il corpo cominciava a muoversi, per poi dare inizio alla fase dell’identificazione con il ragno: imitando le movenze di un animale incapace di stazione eretta, la tarantata strisciava sul dorso, spingendosi poi con le gambe, puntando i talloni sul pavimento, battendo il tempo con il capo. Così veniva compiuto un giro lungo il perimetro. Nell’identificazione col ragno, la donna danzava con esso, anzi era la stessa bestia che danzava. In questa fase del ciclo coreutico, l’identificazione con l’animale mitico si manifesta simbolicamente con l’accorciamento delle gambe, con la rotazione del corpo facendo perno sulla testa, con lo strisciare sul dorso. A questo primo momento ne seguiva un altro di distacco agonistico: ritrovando la posizione eretta, la tarantata percorreva più volte il giro del perimetro cerimoniale, saltellando al ritmo della tarantella. La fase in piedi si basa su tre tipi di passi di sbalzo: saltellato semplice, saltellato doppio e lanciato. Le figurazioni, invece, sono due: da fermo (o quasi) e in movimento. Le figurazioni da fermo, eseguite con passo saltellato semplice, semplice laterale e semplice avanti-indietro e saltellato doppio, danno luogo a figurazioni in cui la tarantata esegue diversi movimenti con le braccia e la testa. Le figurazioni in movimento ripetono quel-
le da fermo con la parte superiore del corpo, aggiungendo, naturalmente, un passo saltellato semplice, doppio o lanciato. I passi stanno a indicare il tentativo di schiacciare il ragno sotto i piedi, che viene rappresentato dal panno colorato, che simbolicamente riflette i colori della tarantola. La conclusione del ciclo coreutico avveniva nella fase in piedi, in cui la tarantata cominciava a eseguire una serie di circoli coreutici di raggio sempre minore, che ben presto si trasformavano in pirolette instabili e si concludevano con un caracollo. Un aspetto interessante da sottolineare è che ad un certo punto i tarantati tendevano a prestare maggiore attenzione ai suonatori, come se gli strumenti avessero un fascino particolare. In questo momento i suonatori assecondavano tale interessamento, avvicinando il più possibile lo strumento alla tarantata, quasi a irrorare beneficamente con il ritmo e la melodia tutto il suo essere. Abbiamo fatto cenno ad un altro protagonista del tarantismo: i colori. Questo aspetto è di fondamentale importanza, così come i tarantati rispondevano alla stimolazione musicale, infatti, erano altrettanto attratti dalla stimolazione cromatica. All’ascolto spasmodico della musica, si affiancava il fissare avidamente lo sguardo su certi colori, così come alla musica sgradita o stonata, corrispondeva un colore ostile, provocatore di impulsi aggressivi e di impeti di collera.
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Nel mito, dunque, le taratole sono associate non solo a certe melodie, ma anche a certi colori, e affinchè il rito vada a buon fine, occorre trovare il colore della tarantola. Questo aspetto era curato appendendo due funi da una parte all’altra dell’ambiente in cui si svolgeva il rito. Da queste funi pendevano panni di vari colori, e la tarantata, nel corso della sua danza, sceglieva il panno colorato su cui far defluire le proprie ambivalenze. Dalla scelta compiuta si poteva risalire al colore della tarantola avvelenatrice. C’erano anche altre modalità di scelta del colore, ma ciò che conta sottolineare è che nel tarantismo il simbolismo cromatico e coreutico-musicale, assumeva la funzione di stimolo evocativo e di deflusso, al punto da poter dire che certi suoni si trasferivano a certi colori, e viceversa, e insieme concorrevano a fondare un determinato orizzonte di ricerca, di ripresa e di liquidazione, rispetto a certi contenuti. Il simbolismo nel Tarantismo Percorrendo la storia del tarantismo, non possiamo fare a meno di notare come ci siano molti richiami alla pedagogia clinica, il ricorso alla musica, l’importanza dei colori, il legame con il corpo che condivide le sofferenze della mente, e man mano che questa si libera, anche quello ritrova la sua armonia, riconquistando una fluidità dei movimenti che sembrava perduta.
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Un’altra importante comunanza tra tarantismo e pedagogia clinica, lo abbiamo più volte sottolineato, è la presenza del riferimento simbolico. Il ricorso ai simboli nella pedagogia clinica è ben noto, i percorsi labirintici, le Immagini Mentali, le Fantasmagorie, le Psicofiabe ne sono solo alcuni esempi. Nel Tarantismo, è il ragno il simbolo per eccellenza, è in esso che possiamo trovare spiegazione di tutto il fenomeno. Ad esso sono legati il simbolo del morso e quello del veleno. Nonostante la gente del posto considerasse i sintomi del tarantismo come la conseguenza di un effettivo morso avvelenato, alcune caratteristiche insite nello stesso Tarantismo, ci fanno escludere questa possibilità: la cadenza annuale dei sintomi, con la conseguente necessità di ricorrere alla “cura”; la frequenza femminile tra i tarantati, che non trovava corrispondenza con una maggiore partecipazione delle donne nel lavoro dei campi; la distribuzione familiare, vale a dire che in una stessa famiglia si potevano riscontrare più
… il ricorso alla musica, l’importanza dei colori, il legame con il corpo…
tarantati; l’età del “primo morso”, cioè la prima manifestazione del fenomeno, tra la pubertà e la fine dell’età evolutiva; la diffusione in un territorio ristretto come la Puglia, ed in particolare nella zona del Salento, sono prove tangibili della necessità di ascrivere il ragno e gli effetti del suo morso in un contesto simbolico. La tarantola, il ragno che viene identificato come “responsabile” del malessere vissuto dai tarantati, è individuata con molta probabilità nella lycosa tarentula, o scorpione, il cui morso dà sintomi simili a quelli descritti nel malessere dei tarantati. Tuttavia non tutte le descrizioni che sono state fatte del ragno, portano al medesimo insetto, addirittura si parla anche di morso di un serpente. Comunque, qualunque sia il ragno o l’animale chiamato in causa, ai fini dell’aspetto simbolico non ha importanza, ciò che conta davvero è che il principio della tarantola come animale mitico, è dato da un ragno che insidia con il suo morso. Il fatto di non poter ricondurre con certezza ad un ragno in particolare, anzi, fa della tarantola un simbolo autonomo. Lo stesso principio vale anche per l’altro simbolo del Tarantismo: il veleno ed i suoi effetti, come pure per il morso. Tarantola, morso e veleno aprono la strada verso l’inconscio, permettendo a ciò che fa male come un morso e che avvelena, di venire alla luce. La tarantola, nella sua funzione di simbolo, fa rivivere le oscure sollecita-
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zioni dell’inconscio, che altrimenti rischierebbero di sommergere la coscienza. Non a caso essa è un ragno che scava la sua tana in cunicoli sotterranei, emerge dal basso, per esternare fuori, in superficie, la propria aggressività, il proprio istinto. La tarantola del mito ha varia grandezza e diversi colori, danza secondo differenti melodie ed il suo morso comunica alla vittima diverse inclinazioni coreutiche, melodiche e cromatiche. Essa ha una propria tonalità affettiva che comunica a chi è oggetto del suo morso, così ci sono tarantole ballerine, canterine, e ci sono anche tarantole tristi e mute che richiedono nenie funebri e canti melanconici. Il veleno della tarantola dura finché essa vive o è estinta la sua discendenza, quindi è possibile che l’effetto del morso ritorni nella stagione successiva. Perché muoia occorre danzare con il ragno, essere lo stesso ragno che danza, identificarsi con esso e allo stesso tempo essere a lui antagonista, cioè sovrapporre il proprio ritmo coreutico con il suo, costringendolo a danzare fino a stremarlo, inseguirlo mentre fugge davanti al piede che incalza, o schiacciarlo e calpestarlo con il piede che percuote il suolo al ritmo della tarantella. Allo stesso tempo, dunque, il tarantato è vittima e carnefice, perseguitato e persecutore, vittima posseduta dalla bestia ed eroe che danza per sconfiggerla.
Il simbolo della tarantola ha pertanto il compito di far defluire e risolvere i conflitti interiori, che “rimordono” nell’oscurità dell’inconscio, ed in qualità di modello culturale, questo simbolo permette di reintegrare i tarantati nel proprio gruppo. In questa prospettiva ognuno danza con il proprio ragno, combatte con il proprio morso, cerca di liberarsi del proprio veleno, facendo rientrare tutto in un contesto che accetta, identifica, in un momento stagionale, il periodo in cui far emergere i morsi non risolti, per poi tornare alla normalità della vita quotidiana. Il pedagogista clinico sa bene cosa sta a significare danzare con il proprio ragno, essere parte di una comunità che accoglie, senza giudizi e senza etichette. Sa bene che la persona non deve essere considerata “malata”, ma che in un tempo più o meno lungo della sua esistenza, può trovarsi ad affrontare delle difficoltà vincibili facendo ricorso alle risorse che ogni persona ha dentro di sé, e che aspettano solo di essere liberate, in quanto si trovano spesso incatenate insieme a quei conflitti e a quelle difficoltà che “rimordono” nell’oscurità.
Possiamo, dunque operare questo intreccio di radici tra una scienza come la pedagogia clinica ed un mito come il Tarantismo, tra una disciplina proiettata verso il futuro ed un fenomeno che ha ceduto il passo alla modernità? Se da una parte il Tarantismo è passato da una dimensione di trattamento terapeutico ad una di folklore e di festa, dall’altra i suoi contenuti ed il suo valore catartico non possono certamente andare perduti, e la pedagogia clinica conserva, forse in modo non volontario e consapevole, questo importante tesoro. Oggi possiamo affermare con più consapevolezza che una parte delle nostre radici di scienza affonda in questo affascinante fenomeno.
…danzare con il proprio ragno, essere parte di una comunità che accoglie.
Summary The author raises the question about how the knowledge of Tarentismo (tarentisme) can be read as possible contributions and integrations to pedagogic-clinic science. She describes the Tarentismo (tarentisme), records every cultural phenomenon and each value suitable to handle pains. Entering symbolism field, about the contributions of rhythm, dance and color, she finds out in this phenomenon the reasons to enlarge the assets of clinical pedagogy in specific cultural contexts.
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L’atelier educativo dei Gruppi di Parola di Andrea Demelas, Patrizia Idile, Clotilde Merlin
L’esperienza dei Gruppi di Parola del tutto nuova per il territorio Nuorese, nasce a seguito della complessità e dell’aumento del fenomeno delle separazioni conflittuali, connessi ai loro riflessi sulla genitorialità, e come tentativo di intervento messo in atto a tutela dello sviluppo del bambino. Il trauma della separazione sembra ancora più grande se non si danno spiegazioni, se manca la comunicazione tra i genitori e i figli: si amplificano le inquietudini, le difficoltà ad esprimersi e l’insicurezza. Cercare di tenere in disparte il bambino durante il sofferto percorso della separazione, nell’intento di proteggerlo dal conflitto che contrappone i genitori, non consente al minore di dare un senso a ciò che sta accadendo intorno a lui pur intuendone la gravità e ciò può provocare sentimenti di confusione, ansia, tristezza, solitudine e talvolta di colpa. Inevitabilmente coinvolti nella separazione dei loro genitori i bambini spesso non riescono ad esprimere i loro sentimenti e le loro emozioni, ed aumentano così le difficoltà nelle intese e nelle relazioni quotidiane in cui sono impegnati. L’esperienza dei Gruppi di Parola si colloca come snodo, come punto cruciale, dopo percorsi di mediazione familiare o come occasione di chiarimento e avvio per
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attivare o risistemare rapporti e interazioni più serene nel gruppo familiare. Ciò che più pregiudica i figli è il perdurare del conflitto prima e dopo la separazione, sentire squalificata e offesa la funzione paterna o materna, vivere in un contesto di violenza verbale e psicologica tra le figure genitoriali. Mamma e papà perché vi siete separati? Perché non tornate insieme? Quando vi vedete non urlate e non vi arrabbiate e state tranquilli e sereni! La gente non dovrebbe andare dal giudice per divorziare e queste cose si dovrebbero risolvere in casa, i bambini dovrebbero scegliere con chi stare!!!! L’esperienza del Gruppo di Parola apre nuove e più favorevoli prospettive per tutta la rete familiare: il benessere del bambino incide direttamente sugli adulti che gli sono prossimi e i genitori e i figli, che hanno condiviso il percorso, manifestano una maggiore comprensione delle difficoltà e migliorano le relazioni parentali. In uno spazio accogliente, che ha sicuramente favorito l’incontro e il contatto, in un clima empatico, garantito dalla supervisione intersoggettiva della professionalità del pedagogista clinico e della mediatrice familiare, si è svolta la prima edizione nella provincia di Nuoro, dei Gruppi Di Parola. Si è potuto riscontrare che il Gruppo
di Parola risulta una risorsa importante, un atelier educativo per soggetti in età evolutiva, uno spazio in cui i bambini possono condividere con altri la propria esperienza e ideare buone strategie di vita quotidiana. Abbiamo voluto offrire, attraverso questa risorsa in attenzione allo sviluppo del bambino e al mantenimento in equilibrio degli stati emotivi, una opportunità di espressione libera in cui i bambini potessero, per mezzo di esperienze derivate dalle tecniche pedagogico cliniche e di mediazione familiare, liberarsi dei disagi emotivi incipienti il loro smarrimento. I bambini, che hanno partecipato con slancio e interesse agli incontri, tramite l’utilizzo sapiente delle varie tecniche, hanno sviluppato originalità e creatività, rivelato e riferito idee e pensieri, manifestato sensazioni, disagi, desideri e speranze rintracciando preziose risorse alle quali poter attingere nei momenti più difficili di incertezze e paure. Il valore significativo di tale progetto stava nel principio solido di garantire loro una possibilità e libertà di comunicazione, cioè poter manifestare ciò che interiormente vivono, sono state infatti le esperienze facilitanti espressioni spontanee e condotte in un clima di piacere che hanno consentito,
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oltre il fluire delle emozioni per mezzo di gesti, parole, disegni, scritture, la possibilità di confrontarsi in un senso di cooperazione, in vista anche delle esperienze successive che avrebbero coinvolto la presenza dei genitori; favorire l’espressione simbolica del vissuto a livello linguistico, narrativo, pittorico, musicale, uscire dall’isolamento e trovare una rete di scambio e di sostegno tra pari per scoprire i diversi modi poi per dialogare con i genitori e per vivere la riorganizzazione familiare. Questo loro spazio, dal forte contenuto simbolico, ha dato l’accesso ad un habitat dove hanno potuto esprimere e parlare con libertà e incontrare entrambi i genitori in un clima di piacere e di gioia per condividere momenti di scambi in intesa e per leggere tutti assieme al termine del percorso la “lettera di gruppo”. Le parole dei bambini, emerse e raccolte nel lavoro di gruppo, sono diventate un unico messaggio, “la letterina”, proposto poi al gruppo dei genitori nell’incontro conclusivo suscitando importanti e vigorose emozioni. Dai dati raccolti da questa esperienza di collaborazione tra pedagogisti clinici e la mediatrice familiare emerge che l’atelier educativo dei Gruppi di Parola svolge un peculiare valore sociale, prospettandosi di ridurre la vulnerabilità dei minori e l’esposizione a situazioni stressanti come la separazione dei genitori, offrire così un’occasione di condivisione con chi si trova a vivere la stessa situa-
zione in un contesto neutro e accogliente. La condivisione sinergica di professionalità diverse permette di poter raggiungere un valido intervento sociale, nell’incoraggiare con la scoperta del proprio vissuto, l’equilibrio della personalità, la percezione di sensazioni celate, per meglio inscriversi in una relazione positiva con gli altri. Si attiva un processo di resilienza che permette di mantenere sempre viva l’energia interiore e la dimensione vitale delle persone, facilitando l’opportunità di affrontare la realtà, muovere verso il superamento dei disagi e facilitare l’affermazione progressiva della personalità. Il pedagogista clinico ben si inserisce in questi obiettivi e, collabora con la famiglia affinché il trauma della separazione sia per i minori più facile da tollerare, supportandoli, nel riedificare al legame genitoriale una prospettiva e riportare il figlio al centro della relazione triangolare con i propri genitori. Unanime l’apprezzamento dei genitori per l’originale e positiva opportunità offerta dal Centro Famiglia Consultorio Familiare di Nuoro, nell’usufruire, oltre che dei Gruppi di Parola, di percorsi di Consulenza ai Genitori
Con lo scopo di ridurre la vulnerabilità dei minori e l’esposizione a situazioni stressanti… e/o di Mediazione Familiare per genitori in via di separazione, separati o divorziati, con lo scopo di poter proseguire insieme con minore ansia e con nuovi strumenti nel loro irrinunciabile compito genitoriale di cura, educazione e crescita dei figli. La sinergia instaurata e la collaborazione tra le professionalità presenti, nel Gruppo di Parola, ha permesso la condivisione ed il raggiungimento degli obiettivi programmati, sollecitando e promuovendo tra bambini e genitori, una ritrovata serenità e una efficace capacità comunicativa in vista di nuove progettualità di vita.
Summary At educational atelier “Gruppo di Parola”, both the clinic pedagogue and the family agent support the family, in order to overcome the shock arises from the couple separation. We particularly help the minors to face the problems that occur when their parents part, offering them a new vision of life, as well as the capacity to plan their own future.
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Il pedagogista clinico “scende in campo” di Walter Siragusa
Si ritiene che lo sport in genere, ed in particolar modo il gioco del calcio sia un valido strumento educativo e formativo, l’eccessiva spettacolarizzazione, l’invadente mercificazione e l’allarmante diffusione di atti di violenza hanno però purtroppo stravolto quelli che sono i cardini della cultura e dell’etica sportiva. Di fronte a questa amara considerazione è necessario un impegno per accrescere e consolidare la consapevolezza di una responsabilità educativa in coloro che operano nel mondo dello sport troppo spesso contenitore di eccessivo agonismo propulsore di conflitti. Non più dimentichi che l’attività sportiva emulsiona anche enormi potenzialità capaci di ge-
…accrescere e consolidare la consapevolezza di una responsabilità educativa 24
nerare nell’individuo generose espressioni di abilità, è a queste che ci rivolgiamo per incentivarle in una dinamica rispettosa e propositiva. Si può tornare così a rimanere affascinati di una pratica sportiva libera da episodi negativi come quelli che ne hanno danneggiato l’immagine ed ogni giorno ci propongono condotte deistrutturanti i valori dello scambio, dell’intesa, della partecipazione attiva in un clima relazionale positivo. Occorre ristabilire un rapporto costruttivo, educativo, formativo e questo dipende dalle modalità con cui l’adulto si propone e prospetta ai giovani l’attività sportiva. Una analisi questa che obbliga a trovare una possibile soluzione che, nel gioco del calcio si vuol perseguire dopo aver avuto ampie conferme dalle sperimentazioni fatte sulla via da seguire per raggiungere questi responsabili obiettivi. La pedagogia clinica, come disciplina che si occupa dell’educazione ben si inserisce in questo compito educativo i cui percorsi sono idonei a favorire lo sviluppo integrale della personalità in relazione alle condizioni psicofisiche di ogni individuo e l’ambiente in cui vive. Il pedagogista clinico per soddisfare questo impegno trova nelle
Le condotte deistrutturanti i valori dello scambio, dell’intesa, della partecipazione attiva… basi scientifiche e nelle proprie abilità professionali quel supporto teorico-pratico opportuno a creare sinergie organizzativocorporee adatte a soddisfare le regole del gioco del calcio. È perciò a questo specialista che possono essere richiesti interventi capaci di promuovere in uno stato di piacere e di rispetti, ogni personale intenzionalità a sviluppare condizioni migliorative nelle diverse occasioni di aggiustamento. Richieste che sono state formulate dalla FIGC con cui è stato stilato un protocollo di intesa* per operare congiuntamente nell’intento di mantenere vivo il piacere del con-
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fronto sportivo nel criterio di cooperazione e di rispetto e conciliare l’apprendimento sportivo con le esigenze relative allo sviluppo del soggetto. Una relazione tra lo sport e l’educazione che deve tornare ad essere un fenomeno culturale libero dagli eccessi della competizione. L’importanza sociale che riveste lo sport deve essere tenuta presente non per il risultato di un allenamento intensivo rivolto alla costruzione di un soggetto campione, bensì assolvere ad una formazione con l’efficacia di migliorare la conoscenza di sé e una padronanza della propria motricità. Uno sport educativo che si avvale dei metodi della pedagogia clinica e che deve tornare a definire e rappresentare con il vocabolo di sport un semplice gioco in cui cooperazione e socializzazione si possano fondere con le funzioni cognitive, condizione di sviluppo e organizzazione della personalità. Caratteristiche che vengono accolte dal Protocollo d’Intesa e che vedono istituito, in uno spazio di coordinamento tra le varie istituzioni, l’ambizioso intento di costruire un’architettura di servizi per la promozione della salute nell’ambito sportivo riducendo i fattori di rischio e preordinando sul territorio una significativa sinergia tra Sport, Famiglia e Scuola. L’impegno della FIGC e dell’ANPEC è bene espresso in una loro intesa da cui traspare il desiderio di lanciare
un messaggio al mondo dello sport, coinvolgendo le famiglie e le istituzioni scolastiche quali parti integranti nel percorso educativo e formativo di ogni minore, al fine di concorrere ad assicurare adeguate risposte ai crescenti bisogni dello sport sociale, della scuola e della famiglia nel rispetto della propria autonomia politica e organizzativa.
…mantenere vivo il piacere del confronto sportivo...
* Il Direttore ANPEC provinciale di Catania dott. Walter Siragusa e il Presidente provinciale della Federazione Italiana Gioco Calcio FIGC di Catania, prof. Carmelo Pergolizzi, firmano il protocollo d’intesa per una comune politica per lo sport.
Summary The article outlines reflections on the necessity to abandon a competitive sport and agonistic for a global training of the individual aimed to live the confrontations and the relationships in psycho-emotional balance. These intentions are supposed to be carried out by the clinical pedagogist in agreement with the Federazione Italiana Gioco Calcio (Italian Football Federation) which aim a different training.
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Il pedagogista clinico incontra il progetto “Nati per leggere” di Chiara Miccadei
Il progetto Reach out and Read forma pediatri e lettori volontari per dimostrare ai genitori l’importanza della lettura ad alta voce e prevede la donazione di libri ai bambini. In Italia il progetto nazionale “Nati per leggere” (NPL) promosso dall’Ass. Culturale Pediatri e dal Centro per la Salute del Bambino, ha l’obiettivo di ampliare la pratica della lettura ad alta voce ai bambini fin dal primo anno di vita soprattutto all’interno della famiglia. Recenti ricerche scientifiche dimostrano che leggere ad alta voce con una certa continuità ai bambini in età prescolare: • abbia una positiva influenza sullo sviluppo affettivo e cognitivo dei bambini; • crea l’abitudine all’ascolto; • aumenta i tempi di attenzione; • accresce il desiderio di imparare a leggere; • favorisce il successo scolastico; • è un’esperienza molto piacevole per l’adulto e il bambino; • calma, rassicura e consola; • rafforza il legame affettivo tra chi legge e chi ascolta. Sono venuta a contatto con il progetto NPL nel giugno 2010 come semplice mamma, durante un corso promosso da NPL di Pescara e dalla Coordinatrice
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dell’Asilo Nido frequentato da mio figlio a Pineto (Te). Il corso di lettura animata e ad alta voce vedeva la competenza di due lettrici volontarie della Biblioteca “Di Giampaolo” di Pescara. Oltre al divertimento dovuto a momenti di lettura ed animazione di libri, ho potuto osservare il libro non più come strumento di conoscenza ed acquisizione di concetti o storie, ma come vero e proprio oggetto manipolativo, e si è dimostrato funzionale anche per i bambini da me seguiti. Libri di fiabe flip utilissimi per la motricità fine, libri con immagini da guardare sia al dritto che al
rovescio, libri che danno la possibilità di gettarsi a terra per essere letti, libri con migliaia di inizi per creare storie, libri non libri ma tasselli da costruire, libri “da mangiucchio”, libri “a cavalluccio” etc... All’apprendimento e consolidamento delle mie conoscenze sull’utilità del libro, il progetto Nati Per Leggere mi ha dato la possibilità di riscoprire i piaceri olfattivi, tattili e la possibilità di giocare con il libro e attraverso il libro scoprire gli elementi giocosi che aspettano solo di essere messi in pratica e che trovano nell’intermediario libro un alleato importante.
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Relaxologie clinique® di Claudio Rao
Da qualche lustro ormai il fenomeno crescente ed invasivo dello stress attirava ed attira l’attenzione dei professionisti della salute. Un problema che include vaste fasce della popolazione europea ed occidentale e che coinvolge vieppiù giovani, bambini ed anziani. Questo mi ha portato da alcuni anni, a condurre ricerche e sperimentazioni in ambienti ricchi di spunti terapeutici ed educativi come il servizio svizzero di Psichiatria dell’Ospedale dei Bambini di Losanna o quello di Pedopsichiatria della Clinica St. Jean di Bruxelles, a inseguire la necessità di strutturare tecniche efficaci per specialisti che si propongono in aiuto alla persona.
Confortato dalle sollecitazioni del Comitato Scientifico ISFAR (Istituto Iinternazionale di riferimento della Pedagogia clinica), e dall’impegno profuso all’interno del Centro di ricerca dell’EURO-ANPEC si è venuta configurando e strutturando una nuova metodologia che propone un insieme di tecniche adatte ad ottenere uno stato distensivo e favorire la tranquillità emotiva denominata Relaxologie clinique®. La Relaxologie clinique®, (metodo con marchio registrato depositato all’INPI di Parigi), nasce dall’esigenza di dotare il professionista impegnato nell’aiuto alla persona, di strumenti utili ed efficaci, attraverso un’esperienza formativa ca-
pace di arricchire conoscenze e abilità. La Relaxologie clinique® offre l’opportunità di rintracciare stati di benessere e di tranquillità emotiva, nuove disponibilità allo scambio e alla relazione, perciò adatta a vincere stati di stress, difficoltà emotive, ha inoltre dimostrato efficacia in ausilio ad interventi rivolti alla difficoltà del sonno, dell’addormentamento, nonché difficoltà nell’espressione sessuo-affettiva e pure nella preparazione al parto. Un metodo capace di coniugare una rinnovata coscienza di sé e l’occasione di partecipare attivamente il proprio corpo, opportunità per una crescita verso nuove disponibilità e intese. La formazione per l’acquisizione di tale metodo prevede una definizione teorica accompagnata da sessioni pratiche capaci di dotare lo specialista di abilità che diano certezze e sicurezze nel proporsi con sollecitazioni adeguate al vivere in stati di rinnovato equilibrio. Il metodo verrà proposto anche in Italia e per la sua validità troverà ampio margine di attuazione nella volontà di favorire la persona che chiede aiuto con l’intento di liberarla dalle catene che la frenano e la inibiscono o la rendono inefficace nei suoi propositi.
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Il Giornale dei Genitori e degli Educatori È uscito agli inizi del 2012 con il suo primo numero un interessante “Giornale” dei genitori e degli educatori, figure pedagogiche a confronto che hanno sicuramente ampie necessità di trovare occasioni di intesa per un processo educativo che renda onore, non solo alle diverse agenzie educative ma alla società tutta. Una rivista che potrà contribuire a fare chiarezza sull’utilità di messaggi positivi riconosciuti e perseguiti da ciascuno e che perciò chiede il contributo di tutti, per rintracciare criteri innovativi di uno stare insieme per una società orientata ad arricchire le intese, le collaborazioni, le disponibilità dell’uno con l’altro. La lettura dei contenuti in rivista sarà per ciascuno di utile indirizzo per scoprire la ragione per un abbonamento e come mezzo transitivo delle proprie idee.
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A solo un anno dall’uscita del volume “Psicomotricità Funzionale: Scienza e metodologia” il Prof. Dott. Guido Pesci, didatta formatore riconosciuto da Jean Le Boulch, padre fondatore della disciplina, consegna ai lettori un nuovo lavoro che illustra come si forma e come lavora uno Psicomotricista Funzionale. “Teoria e pratica della psicomotricità funzionale”, infatti, richiama l’attenzione sul contributo scientifico e metodologico del Prof. Le Boulch, portato avanti e continuamente aggiornato dal Prof. Pesci, il quale, in questo testo, ci fa compiere un viaggio con il Maestro: dalla concezione scientifica della Psicomotricità Funzionale si percorre un cammino che ci addentra nelle funzioni e nella globalità della persona, nell’analisi funzionale, nelle strategie di lavoro per poi soffermarsi nella concretezza degli interventi di aiuto, senza peraltro dimenticare la struttura della formazione, garantita dalla Scuola Jean Le Boulch – ISFAR, unica al mondo che può vantare la presenza dei tre didatti riconosciuti con atto olografo dall’illustre professore francese. E questo cammino, al quale ci accingiamo pagina dopo pagina, porta con sé il “clima” e lo stile delle lezioni del Maestro che in Italia e, più specificamente a Firenze, ha visto coronare il sogno di un riconoscimento internazionale. Un volume che assieme al precedente ci permette di “studiare” l’opera di Le Boulch in modo chiaro e conciso, una lettura fondamentale per quanti intendono svolgere la professione di psicomotricista funzionale, ma anche per coloro che beneficiano del prezioso aiuto che gli specialisti formati alla Scuola Jean le Boulch possono dare. Prof.ssa Dott.ssa Letizia Bulli Presidente ASPIF Associazione Nazionale Psicomotricisti Funzionali
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Congressi, convegni, seminari, incontri… Riposto (Ct) Il direttore della sezione di Catania nell’anno 2012 ha stilato un’Intesa tra l’ANPEC e l’Ufficio dell’Assessorato ai Servizi Sociali e Socio-Sanitari del Comune di Riposto per operare sulla prevenzione del disagio di bambini e adolescenti. L’intesa prevede la collaborazione con gli organismi del Sistema educativo scolastico e familiare, per attività di sportello, elaborare progetti rivolti alla formazione del personale docente e agli studenti. Avellino Presso diverse scuole e istituti superiori di Avellino, Gerardo Pistillo è stato chiamato a condurre nell’anno 2012 i “Centri di Ascolto e di Aiuto alla Persona, di Orientamento, di Ricerca e di Educazione”.
Cava de’ Tirreni (Sa) Presso la Scuola Secondaria di I grado “Carducci Trezza” le colleghe Franca Storace e AnnaPaola Capuano hanno aperto per l’anno 2012 uno Sportello di ascolto pedagogico clinico. La proposta è stata capillarmente divulgata ed ha trovato ampia eco. Cairo Montenotte L’Associazione Nazionale ANPEC sezioni di Savona e Imperia in collaborazione con il Comune di Cairo Montenotte e i patrocini di COOPERARCI di Savona, Ortopedia per l’Africa di Genova e l’Associazione Massofisioterapisti, ha tenuto un ciclo di incontri nell’anno 2012 sui temi: “Il bambino di oggi-Nuove difficoltà, “La disabilità-interventi di aiuto e nuove prospettive”, a cui hanno partecipato assieme ad altri specialisti psicologi, psicoterapeuti, medici e docenti dell’Università di Genova, i colleghi Alessandra Obinu, Paola Bonino e Gabriele Olivieri.
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Veneto L’ANPEC regionale del Veneto ha ottenuto il riconoscimento dei corsi di formazione per insegnanti da parte dell’Ufficio Scolastico Regionale nell’anno 2012. I corsi si sono tenuti in Verona,Vicenza, Padova e Treviso. Occasioni attraverso le quali è stata data ampia opportunità per presentare la professione di pedagogista clinico e autenticarla con le abilità esposte.
Roma L’ANPEC è stata accreditata dall’IdO a partecipare all’evento che si è tenuto a Roma il 2 aprile 2012 in occasione della Giornata Mondiale sull’Autismo, presenti alla manifestazione i colleghi Guido Pesci e Marta Mani.
Bisaccia (Av) Il collega Gerardo Pistillo ha aperto presso la Chiesa Cattedrale Parrocchia “Natività di Maria” di Bisaccia uno Sportello di Pedagogia Clinica “EduCare servizio e prevenire il disagio” per l’anno 2012. Importante impegno che ha offerto un concreto aiuto per superare situazioni difficili e di disagio. Livorno In Livorno all’inizio dell’anno 2012 è stata costituita l’Associazione Disturbi Alimentari LIBRA di cui è membro la collega Cristina Cherchi chiamata a svolgere assieme ad altri specialisti, medici, psicologi e psicoterapeuti, interventi utili per quanti soffrono disturbi alimentari. Latina Stefania Salvaggio ha avuto mandato dall’Istituto Majorana di Latina per l’anno 2012 di aprire e condurre uno sportello di ascolto. Una iniziativa che è stata accolta con entusiasmo da genitori, insegnanti e studenti. Grosseto I colleghi Carmen Torrisi e Antonio Viviani assieme al farmacista Rino Saccari hanno dato vita nel marzo 2012 al progetto “Educazione alla salute e al farmaco” promosso dal Comitato grossetano UISP e le Farmacie Comunali Riunite. Una opportunità offerta particolarmente alle persone anziane per metterle in condizione di vivere in un clima di stabilità emotiva ed evitare di assoggettarsi al farmaco. Gli incontri hanno visto impegnati gruppi di persone che con partecipazione attiva hanno maturato orientamenti utili ad un loro “StarBene”. San Giorgio Monferrato Presso la Biblioteca Civica Comunicare di San Giorgio Monferrato si è tenuto un ciclo di conferenze tra cui una del 23 marzo 2012 esposta dal collega Giovanni Rabaglino su “Radici e ali ai nostri figli”. L’eco dei venerdì culturali ha trovato spazio in riviste e quotidiani.
Arcade (Tv) Sono terminati a maggio 2012, ad Arcade, in provincia di Treviso, gli incontri di formazione rivolti agli insegnanti e ai genitori relativi al progetto: “La gestione dei conflitti tra genitori e insegnanti – un aiuto dalla Pedagogia Clinica”. Il progetto è stato realizzato in collaborazione con l’Istituto Comprensivo di Spresiano, dalla collega Gabiella Colautti, tra i temi trattati: “La relazione, la comunicazione, l’affettività, la crescita personale nel gruppo, attraverso l’utilizzo di metodologie e tecniche a marchio registrato proprie della Pedagogia Clinica”. Una esperienza coinvolgente con ampi progressi personali tra le componenti dei gruppi. Catania A Catania l’8 maggio 2012 è stato firmato un Protocollo di Intesa tra la Delegazione Provinciale Federazione Italiana Gioco Calcio (FIGC) della Provincia di Catania, nella persona del suo Presidente Carmelo Pergolizzi, e l’Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici (ANPEC), nella persona del Direttore Provinciale Dott. Walter Siragusa. L’intesa nasce per promuovere l’esperienza e l’attività sportiva come momento di educazione, di crescita e di aggregazione sociale ispirandosi ai valori umani al servizio delle persone e del territorio. Propositi annunciati attraverso i quotidiani. Milano Con il patrocinio del Comune di Milano Consiglio di Zona 5, sabato 12 Maggio 2012, presso la Sala del CAM, si è tenuta la II edizione del Convegno promosso
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ed organizzato da Guris SCS Onlus in collaborazione con AIST Onlus e ANPEC Lombardia su “Irrequietezza motoria, disattenzione e tic dell’età evolutiva”. I lavori sono stati introdotti da Aldo Ugliano, Presidente del Consiglio di Zona 5 e da Angela Lanzi, Presidente della Commissione Politiche Sociali. Un programma nutrito di relazioni su ogni sfaccettatura dei problemi che si rintracciano in questi soggetti e che ne alterano carattere, comportamento e personalità e ogni situazione di relazione con l’esterno. Presenti, oltre al Prof. dott. Mauro Porta, insigne specialista della Sindrome di Tourette, una nutrita rappresentanza di pedagogisti clinici tra cui Castagnetti, Colombo, Valle e Segat, psicologi e membri del Comitato Scientifico AIST di Varese.
Lecco Il 14 maggio 2012 è uscito il gioco in scatola Inventa Fiaba ideato da Claudia Ferraroli. La scatola contiene un libretto di istruzioni indirizzato ai genitori in cui si espone il valore della fiaba e dei suoi significati simbolici. L’opera nasce con lo scopo di potenziare fantasia e creatività nei bambini, fondamentali per uno sviluppo armonico delle loro potenzialità. A seguito del successo ottenuto la collega sta ora lavorando su altre pubblicazioni in collaborazione con il servizio affidi della Provincia di Lecco e con la prof.ssa Costanza Marzotto - docente all’Università Cattolica di Milano. Pressana (Verona) Il 19 maggio 2012 la collega Laura Bandelloni e Pa-ride Maccafani autori del libro “Le bambine perfette-Frammenti di vita fra anoressia e bulimia. Come
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intervenire?” hanno presentato il loro libro presso l’Antica Chiesa dell’Assunta di Pressana. Alla presentazione, davanti a un folto numero di partecipanti, è intervenuta, introducendo i lavori, la dietologa Rossana Robbi.
Latina Il comune di Aprilia nei giorni 2-3-4 giugno ha patro-cinato l’incontro per la formazione e lo studio sul tema “Dopo scuola - Studio e gioco. Vicino ai bambini con DSA”. Presenti gli assessori Luana Caporaso, Fabio Malecchi, Pasquale De Maio, il presidente dell’Associazione Quartiere Grattacielo Antonio Machinè, rappresentanze dell’Associazione culturale La nuova musa Antonella d’Annibale, presidente dell’Associazione Studio e Gioco Eleonora Lucarini, Direttore Istituto Ortofonologia Prof. Federico Bianchi di Castelbianco. Ai lavori hanno partecipato come relatori psicologi, avvocati, docenti e la collega Stefania Salvaggio. Tre giornate intense grazie alle quali sono stati individuati i percorsi da seguire in aiuto ai soggetti con DSA.
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e a cura di Antonio Viviani
Calderara di Reno (Bo) Presso la Biblioteca Comunale di Calderara di Reno la pedagogista clinico Arianna Albertarelli, assieme agli psicoterapeuti Marco Lodi e Claudia Parmeggiani ha tenuto un ciclo di conferenze su “La vita, la cultura”. Il 13 giugno 2012, con l’ultima conferenze della collega su “Comunicare con i bambini attraverso l’arte: il linguaggio del disegno” sono conclusi gli incontri che hanno ottenuto vasta eco. Cava de’Tirreni (Sa) Il 17 Giugno 2012 a Cava de’ Tirreni presso il Centro Indaco, alla presenza di un numeroso pubblico, i colleghi Nicola Corrado, Anna Ruocco ed Elena Coretti hanno presentato il libro di Gerardo Pistillo “Il corpo in pedagogia clinica. Ri-flessioni per essere in Forma”. Bisaccia (Av) Il 7 agosto 2012 in Bisaccia presso il Caffè letterario del Castello Ducale Gerardo Pistillo assieme ai colleghi Corrado, Ruocco e Coretti che hanno contribuito all’analisi dei contenuti, ha presentato il proprio libro dal titolo “Il corpo in pedagogia clinica. Ri-flessioni per essere in Forma”. Teramo L’ANPEC di Teramo ha dato il suo patrocinio all’iniziativa del 5 ottobre 2012 promossa dall’Associazione Aiutabile su “Amore, sesso e disabilità”. All’evento ha partecipato come ospite d’onore l’attore Maurizio Mattioli. Roma L’ANPEC, accreditata dall’IdO, a seguito della conferenza stampa del 16 dicembre 2011 presso l’Aula di Montecitorio su “Scuola dell’obbligo e disturbi specifici dell’apprendimento” ha partecipato al XV Convegno Nazionale su “Le dislessie - Il ruolo della scuola nella complessità degli apprendimenti” che si è tenuto a Roma 10 novembre 2012.
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LA SVOLTA
Sul giornale la notizia del protocollo di intesa tra ANPEC e FIGC.
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IL MATTINO
A firma di Luigi Pisano è apparsa sul quotidiano il Mattino la notizia sulla pubblicazione del libro Il corpo in pedagogia clinica scritto da Gerardo Pistillo.
IRPINIA TV
LA SICILIA
Il giornale dà notizia dell’intesa tra l’ANPEC sezione provinciale di Catania e l’Ufficio dell’Assessorato ai Servizi Sociali e Socio-Sanitari del Comune di Riposto.
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Intervista in studio televisivo su come la pedagogia clinica può essere in aiuto nella prevenzione del disagio sociale e del suicidio in particolare, presenti, oltre al collega Pistillo, il direttore del reparto di Psichiatria di Sant’Angerlo dei Lombardi (Av) e una sociologa.
RIVISTA SALUTARE
In rivista si legge un “pezzo” che riporta notizie ed elaborazioni sul libro Il corpo in pedagogia clinica di Gerardo Pistillo.
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a a cura di Marta Mani
IL CAFFÈ DI LATINA
A pagina 30 della Rivista un articolo che annuncia l’iniziativa dell’Istituto Majorana per uno Sportello d’ascolto condotto da Stefania Salvaggio.
IL MONFERRATO
GIORNALE DI SICILIA
CORRIERE MAREMMA
Il giornale Corriere della Maremma in data 28 marzo 2012 dà notizia del “Progetto di educazione alla salute e al farmaco” per il quale sono stati coinvolti i colleghi Antonio Viviani e Carmen Torrisi.
Il quotidiano dà notizia del progetto “Spazio libero” organizzato dalla città di Alcamo e condotto dalla collega Caterina Russo
LA NAZIONE
Sul quotidiano del 29 marzo 2012 appare un articolo dal titolo “Un team per “stare bene”” che dà notizia sul progetto di “Educazione alla salute e al farmaco” promosso dal Comitato grossetano UISP e le Farmacie Comunali Riunite. Il progetto è stato condotto da un team multidisciplinare, il farmacista Rino Saccari e i colleghi Carmen Torrisi e Antonio Viviani.
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In questa rubrica vengono presentati testi di Autori italiani un approfondimento del sapere specialistico oltre che offrire Marcel Rufo
Chacun cherche un père (Ciascuno cerca un padre)
Editions Alain Carrière, Paris, 2009, pages 218
Il professor Rufo, francese di origine italiana, celeberrimo in Francia per i suoi studi e la sua pratica clinica, torna con un suo nuovo libro dal titolo « Chacun cherche un père » (Ognuno è alla ricerca di un padre). Questo neuropsichiatra infantile (pedopsichiatra, in francese) di grande esperienza che attualmente dirige la « Maison des adolescents » all’ospedale Cochin a Parigi è autore di numerosi saggi, alcuni dei quali già presentati in questa rubrica (come « Œdipe toi même! » e « Frères et sœurs, une maladie d’amour »). In questo libro Rufo esprime la sua singolare posizione relativamente al ruolo della figura paterna nella vita dell’individuo. La sua opinione è che sia proprio grazie alle fragilità di questa figura che il bambino riesca a strutturarsi! Partendo dalle proprie esperienze infantili e con aneddoti e digressioni che ne familiarizzano il messaggio senza diminuirne la portata e l’incisività, il prof. Rufo spiega al lettore come nel corso del tempo il soggetto impari a convivere con il suo padre reale senza mai peraltro dimenticare le gesta eroiche che gli ha attribuito nei primi anni dell’età evolutiva. È così che cerca di ritrovarlo in altre figure come in supplenti di padre che lo aiuteranno a rinforzare la fiducia in se stesso. Ciò che emerge è una verità essenziale: la figura paterna è il risultato di un mosaico d’immagini in cui si fondono il reale e l’immaginario. Un mosaico mai veramente completo che spinge ciascuno di noi a cercare la tessera mancante, quella capace di completare il quadro. Claudio Rao
Moshe Feldendenkrais
La saggezza del corpo Astolabio, Ubaldini editore, Roma, 2011, pag. 208
L’importanza del corpo nei processi mentali è ormai unanimemente condivisa da studiosi e ricercatori di formazioni diverse. L’autore di « La saggezza del corpo » ne è persuaso e, fin dal 1964, ne riferisce con convinzione e competenza. Il suo lavoro clinico si basa sull’idea di una relazione inscindibile tra sviluppo motorio e psicosociale dell’individuo. L’intuizione di Feldendenkrais fu che il cervello, nel corso dell’esistenza, fosse in grado di modificare la propria organizzazione e le proprie reazioni grazie all’esperienza e all’apprendimento. Gli scritti pubblicati in questo volume, di rilevante interesse scientifico in diversi campi, comparvero già tra il 1964 e il 1998. In essi
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l’autore spiega come il cervello, ancorché danneggiato, possieda la capacità di cambiare rapidamente, imparare nuove abilità, recuperare funzioni solo apparentemente perdute. Durante l’infanzia, spiega Feldendenkrais, i comportamenti psico-emotivi non vengono solo imparati contemporaneamente a un dato repertorio di movimenti: si integrano concretamente e coerentemente attraverso la muscolatura ad un tutto unico ed articolato. Di interesse rilevante per psicologi e psicoterapeuti (attraverso i suggerimenti sulle modalità applicabili in terapia individuale e di gruppo), ma anche nella pratica dei pedagogisti clinici per la loro sensibilità e formazione. Claudio Rao
Gerardo Pistillo
Il corpo in pedagogia clinica Edizioni Magi, Roma, 2012, pagg. 124 La Pedagogia Clinica ha trovato in questa elaborazione un ulteriore fixage dei principi che la alimentano e che sostanziano i metodi rivolti alla corporeità. Il ventaglio di metodi esposti trova conferme sul loro valido aiuto offerto a persone di ogni età, garantito dal processo di esplorazione, conoscenza ed esperienza di sé, quella dialettica con se stesso che è prodromo di risvegli che permettono all’individuo di proporsi positivamente agli altri in autentica rappresentazione di se stesso. Un corpo con il quale il pedagogista clinico si relaziona con l’intento e la finalità di far rintracciare ogni ostacolo per poterlo eliminare e provocare nel piacere dell’essere garanzie di intesa e di riconquistati equilibri. Antonio Viviani
Laura Bandelloni, Paride Maccafani
Le bambine perfette Cleup, Padova, 2012, pp. 106 Sorprendente. Quasi un lavoro da “bambine perfette”, come le protagoniste di questo libro che racconta in forma letteraria storie di persone reali, frammenti di vita, sospesi tra anoressia e bulimia. Laura Bandelloni, esperta nell’intervento a favore di soggetti con disordini alimentari, ha intrecciato la sua penna con Paride Maccafini, insegnante di lettere e scrittore, il quale ha contribuito a vestire il testo di un abito letterario piacevole e coinvolgente. Il lettore, preso dal richiamo della narrativa d’intrattenimento, è invitato a compiere un percorso all’interno non soltanto del disagio psichico, ma della vita stessa di chi vive storie piene di sofferenza e di speranza, persone che hanno intrapre-
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e stranieri che possono apportare un arricchimento scientifico e un più vasto panorama culturale. so un processo di cambiamento complesso e difficile verso una rinnovata consapevolezza di sé. Il volume è reso leggero dalla “finzione” letteraria che trasforma le persone in personaggi, senza per questo privarli di struttura e di realtà-realisticità, consegnandole al lettore niente affatto come silhouette semplificate bensì come eroine prototipiche di una epica quotidiana e tremenda. Tre storie, tre declinazioni cliniche, per rendere omaggio al coraggio di riconoscere il proprio scompenso e all’impegno che colleghi come Laura Bandelloni profondono nel tentativo sincero di portare un po’ d’aiuto. Simone Pesci
Mirko Magri
Fantastici giochi di gruppo Troll Libri, Vicenza, 2011, pagg.293
Il volume di Mirko Magri segue l’opera magistrale Il Magicoliere uscita nel 2010. Fantastici giochi di gruppo, un libro da cui è possibile trarre un gran numero di orientamenti attraverso i quali poter potenziare la professione di animatore. Giochi di gruppo ricreativi e educativi integrati da esempi pratici, suggerimenti, spunti e riflessioni su come trarne il massimo del vantaggio esperienziale e del piacere ludico. Giochi cooperativi e competitivi capaci di animare abilità, conoscenze ed esperienze e permettere ad ogni partecipante di garantirsi un coinvolgimento idoneo a sperimentare tra le diverse proposte un coinvolgimento per valorizzare la propria vita utilizzando diversi apprezzamenti in una promozione scenica di libertà e di piacere. Marta Mani
Michel Foucault
Le beau danger, Entretien avec Claude Bonnefoy Editions de l’Ecole des hautes études en sciences sociales, Paris, 2011
Una conversazione del più grande pensatore dello scorso secolo, e per ora anche di questo, con il grande poeta Claude Bonnefoy (1929-1979) svoltasi nel 1968 e recuperata fortunosamente e fortunatamente. Nessuna ripetizione di tematiche trattate nelle grandi opere foucaultiane, certo, ma al contrario un novum oltremodo fecondo. Foucault (1926-1984), che già nella monumentale “Storia della sessualità” ci parla dell’equilibrio psico-fisicosociale, non aveva ovviamente idea di che cosa fosse la pedagogia clinica, peraltro già pienamente in atto almeno dieci anni prima della sua improvvisa e prematura scomparsa. Ma anche qui, con il suo approccio “medico” (figlio di chirurgo e nipote di
medici), da storico non solo delle idee ribadisce come ciò che spesso stoltamente viene definito follia non rientra nelle competenze del medico, in quanto mauvaise maladie (cattiva malattia), perché “grosso modo, non ha un sostrato organico o in ogni caso, se è malattia, non è una cui un buon medico possa riconoscere un preciso sostrato organico” (op.cit., p.42). Come si vede, prescindendo qui da riflessioni su Foucault, quale eventuale progenitore dell’antipsichiatria, anch’egli lascia aperta la via per disagi vari (non etichettabili qui, mi appellerei al richiamo giustamente insistente di Guido Pesci contro la retorica delle “psico-cose”) a un approccio di tipo non medico e non farmacologico, dove l’opera del pedagogista clinico e del reflector, più che essere utili, diventano senz’altro indispensabili. Un libretto da leggere e gustare, su cui riflettere, che ci conferma ancora una volta la validità epistemologica di pedagogia clinica e reflecting. Eugen Galasso
Comtesse de Ségur
Ourson
Paris, Gallimard-Folio, 2011, pagg. 210
Nell’eccelsa scrittura della contessa de Ségur, in realtà Sophie Rostopchine, russa (1799-1874), poi divenuta, con il matrimonio, contessa de Ségur, una fiaba che il pedagogista clinico (e non solo) deve considerare: il principe “caché” da povero allevatore, “orsone”, perché ricoperto di peli, per una “maledizione” della strega cattiva, cui fa da contraltare la fata buona, è emblema della persona che aspira a raggiungere la propria autonomia, passando, ovviamente attraverso delle prove, anche dure, anzi aspre al punto che qualcuno potrebbe rinunciarvi. Animali simbolici al limite dell’allegoria, il crapaud, cioè il rospo, il sanglier, cinghiale, che rappresentano la forza del Male, le resistenze “dure”, l’alouette, l’usignolo, che invece “personifica” il Bene. Non meno del bellissimo “Cavaliere nell’armatura arrugginita” (The Knight in the Rusty Armor) di Robert Fisher (edizioni BIS, di prossima ripubblicazione), anche qui il cammino iniziatico, “Ourson” è racconto emblematico della persona che si “sbrina”, si libera dalle incrostazioni personalogiche che la minano nel corso del tempo. Racconto privo di quella fastidiosa zavorra che talora “comprime” l’unica avvertenza; però, a differenza del bel libretto di Fisher scritto alla fine del Novecento, il testo della Ségur è “dark”, ha parti “dure”, quasi violente, la cui lettura non è da proporre tout court ai bambini o meglio è proponibile, ma solo a patto che vi sia sempre l’educatore, il pedagogista clinico, il genitore formato al “facile mestiere di genitore” (un bel libro di Guido Pesci, estremamente efficace, come peraltro ogni sua opera) disponibile a commentare il racconto con chi non ha ancora la capacità di “razionalizzare”. Eugen Galasso
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Pedagogia Clinica L’opera accoglie i contributi della pedagogia clinica, una scienza sorta dal tumulto scientifico innovativo della metà degli anni settanta del secolo scorso. L’accezione di “cura della persona”, data all’aggettivo clinico fu considerata il focus dell’elevazione di questa nuova dottrina, chiamata a rispondere alle esigenze delle persone di ogni età e dei gruppi con interventi di aiuto realizzati per mezzo di attenzioni educative. È una disciplina che ha dato origine alla professione di pedagogista clinico, un professionista che, con il suo patrimonio di conoscenza, di esperienza e di abilità, è adeguato allo sviluppo e al progresso. Sostenuto da propri metodi e da nuove tecniche esclusive, il pedagogista clinico è orientato ad affinare nella persona tutte le sue potenzialità, arricchire le possibilità conoscitive, sviluppare l’efficacia con soggettivazione i cui valori siano soddisfatti dalla stima di sé e dei propri bisogni sociali. Nel volume il lettore trova esposto il ricco patrimonio scientifico e tecnico-metodologico base di un costrutto alternativo rispetto al vivaio di discriminazioni e di risultati deludenti cui assistiamo nella nostra realtà, troppo spesso indirizzata al separatismo, fino a perdere di vista il confine tra l’ammaestramento e la vera educazione.
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SCUOLA INTERNAZIONALE DI PEDAGOGIA CLINICA
FONDATA SUI PRINCIPI ISPIRATORI FORMALIZZATI DAL PROF. DR. G. PESCI NEL 1974 Direttore Scientifico Prof. Dr. Guido Pesci
L’INTERVENTO PEDAGOGICO CLINICO RIVOLTO A PERSONE CON SINDROME DI TOURETTE Sede e date Milano, 23-24 febbraio 2013 L’ANPEC Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici in collaborazione con il neurologo Prof. Dr. Mauro Porta, Direttore del Centro Malattie Extrapiramidali e Sindrome di Tourette – Istituto Galeazzi di Milano ha messo a punto una formazione esclusiva per i propri iscritti al fine di stilare un Registro di Specialisti idonei a promuovere interventi educativi su soggetti con Sindrome di Tourette. Destinatari: Pedagogisti clinici ANPEC in regola con le quote sociali. Lo workshop verrà attivato al raggiungimento minimo di 14 partecipanti. Programma: • Storia, definizioni e tipi di Sindrome di Tourette • I TIC: definizione, classificazione, fenomenologia. Severità, cronicità, refrattarietà • Tra mente e cervello: disturbi psichici e alterazioni organiche. Organizzazione funzionale del cervello • Epidemiologia e Etiologia: fattori genetici e ambientali implicati nella genesi della sindrome e nel mantenimento/peggioramento sindrome. • Storia naturale e conseguenze della Sindrome di Tourette: modificazione della fenomenologia con il variare dell’età del soggetto. Sindrome di Tourette e vita quotidiana. Tic e social impairment. • Sindrome di Tourette e creatività • Inquadramento nosografico della Sindrome di Tourette. Disturbi psicopatologici associati. Disturbi che possono simulare Sindrome di Tourette. • Il ruolo della famiglia e della scuola. • Il rapporto tra medico specialista, paziente e famiglia. • La diagnosi: La diagnosi clinica: la visita medica, indagine anamnestica, modalità di indagine diagnostica,
l’osservazione e i test per la definizione di specificità e bisogni della persona ○ La diagnosi con la famiglia (referred tic) ○ La diagnosi a scuola. • Strategie di aiuto con il bambino e con l’adulto: La terapia farmacologica: quando, come, perché usare il farmaco. Vantaggi e svantaggi. Sensibilità de diversi fenotipi al trattamento farmacologico ○ La terapia psicologica: quando, come, perché. Vantaggi e svantaggi ○ L’intervento pedagogico clinico: quando, come, perché. Vantaggi e svantaggi. Il soggetto come persona ○ DBS Deep Brain Stimulation ○ Il concetto di successo clinico • Progetti di intervento: L’intervento clinico nello studio professionale ○ L’intervento con la famiglia ○ Progetti clinici a scuola ○ L’intervento nel contesto lavorativo, l’inserimento o il reinserimento lavorativo.
Docenti: Prof. dr. Mauro Porta, neurologo - Istituto Galeazzi Milano Dr.ssa Vera Colombo, pedagogista clinico Al termine dello workshop verrà rilasciato un
Attestato di Formazione
Organizzazione didattica: Il percorso formativo si articola in un week-end (sabato e domenica) Orari: sabato 10,30-13/14-18; domenica 9-13/14-16,30 Quota workshop: Euro 290,00 Sede del workshop: Holiday Inn Milano Garibaldi - Via U. Bassi, 1/a - 20159 Milano (Stazione Porta Garibaldi) Per informazioni e iscrizioni Segreteria ISFAR Viale Europa 185/b - 50126 Firenze Tel./Fax. 0556531816 - e-mail: info@isfar-firenze.it - www.isfar-firenze.it
SCUOLA INTERNAZIONALE DI PEDAGOGIA CLINICA
FONDATA SUI PRINCIPI ISPIRATORI FORMALIZZATI DAL PROF. DR. G. PESCI NEL 1974 Direttore Scientifico Prof. Dr. Guido Pesci
GRUPPI DI SUPERVISIONE PER PEDAGOGISTI CLINICI Gruppo di Supervisione “Il Pedagogista clinico in studio: in aiuto alla persona di ogni età” Date: Firenze, 16-17 marzo 2013 Obiettivi formativi: La supervisione è un supporto specialistico e uno spazio di rielaborazione delle competenze dei professionisti che consiste in un processo di riflessione, apprendimento, valutazione e verifica. Ha lo scopo di fornire un sostegno nella riflessione e nella valutazione dell’agire professionale. Nel gruppo di Supervisione il professionista descrive la sua modalità di diagnosi e di intervento e il comportamento all’interno di quella particolare esperienza di relazione al fine di riflettere sull’efficacia del proprio agire professionale, sulle scelte metodologiche adottate, sugli strumenti utilizzati e di effettuare un monitoraggio costante della qualità delle prestazioni fornite. Il Supervisore dà sostegno al collega e lo aiuta a esplorare le difficoltà incontrate e ad individuare le modalità più adatte per il superamento dell’impasse. Inoltre, compito del Supervisore è aiutare il professionista ad esaminare modalità e tecniche diverse da quelle che sono o possono risultare poco efficaci per il conseguimento degli obiettivi di cambiamento. Destinatari: Iscritti ANPEC in regola con le quote sociali. Le domande di iscrizione verranno accolte in ordine di arrivo e il gruppo sarà chiuso al raggiungimento di massimo 16 partecipanti. Organizzazione didattica: I gruppi di supervisione si articolano in due giornate. Costi: Quota iscrizione: Euro 50. La frequenza è gratuita
CORSO INTEGRATIVO DI REFLECTING® PER L’ISCRIZIONE ALL’ALBO DEI REFLECTOR®
per i pedagogisti clinici che durante il loro percorso formativo hanno già seguito i tre finesettimana sulla materia Data di inizio: Roma, 4 maggio 2013 Obiettivi formativi: La formazione si pone l’obiettivo di preparare i pedagogisti clinici all’uso di modalità di intervento proprie del Reflector per potersi iscrivere all’albo professionale di natura privatistica tenuto dalla Società Internazionale di Reflecting. Destinatari: Pedagogisti Clinici iscritti all’Albo e Colleghi in Formazione che durante il loro percorso formativo hanno già seguito i tre fine settimana sul Reflecting Organizzazione didattica: Il percorso formativo si articola in 4 week-end (sabato e domenica). Costi: Quota di iscrizione: € 200. La frequenza è gratuita. Per informazioni e iscrizioni Segreteria ISFAR Viale Europa 185/b - 50126 Firenze Tel./Fax. 0556531816 - e-mail: info@isfar-firenze.it - www.isfar-firenze.it
ISFAR® ISTITUTO SUPERIORE FORMAZIONE AGGIORNAMENTO E RICERCA® FORMAZIONE POST-UNIVERSITARIA DELLE PROFESSIONI®
ANALISTA DEL COMPORTAMENTO CRIMINALE Data di inizio: Firenze, 16 marzo 2013 Obiettivi formativi: La formazione intende fornire un perfezionamento nell’ambito criminologico per tutti coloro che hanno svolto studi specifici nelle discipline educative, psicologiche, sociali e giuridiche, e che sono interessati ad approfondire le tematiche relative alla criminalità e alla devianza. Destinatari: Il Corso è rivolto a Psicologi e Psicologi in formazione, Psichiatri, laureati in Pedagogia/ Scienze Pedagogiche, dell’Educazione o della Formazione (classi 18, L-19, 56/S, LM-50, 65/S, LM-57, 87/S, LM-85, V.O.), Giurisprudenza (classi 22/S, LMG-01 e V.O.), Sociologia e Servizi sociali (classi 6, 36, L-39, L-40, 49/S, 57/S, 89/S, LM-87, LM-88 e V.O.) e appartenenti alle Forze dell’Ordine. Per altre lauree sarà valutato il curriculum. Possono iscriversi anche coloro che sono ancora in formazione (presentando idonea autocertificazione) e che conseguiranno la laurea entro il momento della verifica finale. Organizzazione didattica: Il percorso formativo si articola in 6 week-end (sabato e domenica). Costi: Quota di iscrizione: € 186 - Quota di frequenza: € 1.200 divisibile in 2 rate da € 600
MEDIATORE FAMILIARE
Corso accreditato dall’Associazione Italiana Mediatori Familiari AIMeF (codice: 186/2012) Formazione riconosciuta dall’Associazione Mediatori Relazionali Data di inizio: Firenze, 19 aprile 2013 Obiettivi formativi: L’obiettivo del percorso formativo è di sviluppare le conoscenze e le competenze necessarie a condurre il processo di Mediazione Familiare. Con il superamento dell’esame finale verrà rilasciato Attestato di Mediatore Familiare che consentirà agli allievi di iscriversi nell’elenco dei Mediatori Familiari dell’AIMeF. Il Mediatore Familiare è un professionista che organizza sedute con genitori separati o separandi al fine di mantenere vivo il senso e la pratica della loro responsabilità genitoriale; aiuta la coppia a trovare, al di fuori del sistema giudiziario, un’intesa nella direzione di una separazione soddisfacente con la premura di salvaguardare l’esercizio della cogenitorialità. Più in generale prende in carico la coppia nella mediazione di conflitti legati alla separazione. Destinatari: Il Corso per Mediatore Familiare ad indirizzo globale è rivolto a laureati in Psicologia, Scienze e tecniche psicologiche, Pedagogia/Scienze dell’Educazione o della Formazione, Giurisprudenza, Scienze politiche e Sociologia. Possono accedere anche coloro che sono in possesso del Diploma di Assistente sociale o iscritti all’Albo dei Pedagogisti Clinici ANPEC. Requisiti minimi di ingresso: Diploma di laurea di primo livello; l’esame finale potrà essere sostenuto solo dopo il conseguimento della laurea universitaria. Organizzazione didattica: Il percorso formativo si articola in 8 week-end intensivi (venerdì, sabato e domenica) in aula + una giornata dedicata all’esame finale. È necessario inoltre l’espletamento di un tirocinio che può essere realizzato in strutture convenzionate o che sono disponibili a stipulare una convenzione. Costi: Quota di iscrizione: € 186 - Quota di frequenza: € 1.650, divisibile in 3 rate da € 550 ciascuna Per informazioni e iscrizioni Segreteria ISFAR Viale Europa 185/b - 50126 Firenze Tel./Fax. 0556531816 - e-mail: info@isfar-firenze.it - www.isfar-firenze.it
ISFAR® ISTITUTO SUPERIORE FORMAZIONE AGGIORNAMENTO E RICERCA® FORMAZIONE POST-UNIVERSITARIA DELLE PROFESSIONI®
CONSULENZA TECNICA E PERITALE PRESSO IL TRIBUNALE CTU-CTP Date: Firenze, 17-18-19 maggio 2013 Obiettivi formativi: Il percorso formativo è strutturato in modo da permettere l’acquisizione delle competenze teoriche, metodologiche e tecniche e la professionalità necessaria per svolgere convenientemente la consulenza in tutte quelle situazioni di carattere conflittuale per cui è stato previsto un procedimento giudiziario. Le figure professionali di Consulente Tecnico d’Ufficio e di Consulente Tecnico di Parte sono previste e delineate dal Codice di Procedura Civile (libro I - art. 61-64) e dal Codice di Procedura Penale (libro III - art. 220-233). Destinatari: Psicologi, laureati in Psicologia (classi 58/S; LM-51;V.O.), in Scienze e tecniche psicologiche (classi 34; L-24) e Pedagogisti Clinici iscritti ANPEC. I partecipanti alla formazione saranno inclusi in un elenco di specialisti annualmente aggiornato in siti web. Organizzazione didattica: Il percorso formativo si articola in un week-end intensivo (venerdì, sabato e domenica)
WORKSHOP 2013 ADHD: Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività: strategie cliniche e didattiche Firenze, 2-3 febbraio 2013
Strumenti per l’identificazione delle difficoltà di apprendimento Firenze, 26-27 gennaio 2013
Disgrafia e Disortografia Firenze, 16-17 febbraio 2013 Padova, 25-26 maggio 2013
Dislessia: Procedure diagnostiche e nuove opportunità di intervento Roma, 23-24 febbraio 2013 Bari, 18-19 maggio 2013
In aiuto al bambino: L’intervento clinico attraverso il disegno e il gioco Torino, 22-23-24 febbraio 2013 Firenze, 21-22-23 giugno 2013
Biodanza: Il movimento per la promozione della salute Firenze, 13-14 aprile 2013 Per informazioni e iscrizioni Segreteria ISFAR Viale Europa 185/b - 50126 Firenze Tel./Fax. 0556531816 - e-mail: info@isfar-firenze.it - www.isfar-firenze.it
Edizioni Magi - Roma La Pedagogia Clinica è una branca della Pedagogia Generale il cui scopo principale è di educare la persona di qualunque età a superare i suoi stati di disagio e ad avere Cura di sé. La sua azione maieutica consiste nel fornire, attraverso il ricorso a un ampio ventaglio di metodi, un valido aiuto alla persona nel processo di esplorazione delle «stanze nascoste» e «latenti» del proprio «edificio formativo», in vista del raggiungimento di uno stato di salute inteso come equilibrio psicofisico. Il presente lavoro si configura come un insieme di riflessioni finalizzate a recuperare il corpo umano nella sua unicità sistemica, quale punto di arrivo della storia di vita della persona e punto di partenza per un percorso di meditazione che consenta a ogni essere umano di trovarsi costantemente «in Forma», impegnato in un interminabile processo di autoformazione. La prima parte del testo risulta incentrata sul recupero dell’essere umano nella sua globalità olistica, la cui costitutiva corporeità risulta essere il centro propulsivo per la strutturazione di percorsi educativi personalizzati e di interventi di aiuto rivolti alla persona in situazione di disagio.La seconda parte del testo, assunto il corpo quale entità attiva e dialogante nella relazione di aiuto, è finalizzata, attraverso un’analisi attenta delle regole applicative tipiche dei quattro metodi dialogico-corporei – Touch Ball®, Body Guido Pesci Guido Pesci Pagg. 184 Pagg. 150 Work®, Trust System® e Marta Mani ® Discover Project –, a un Pedagogia recupero della «clinica», clinica Scuola che quale pratica eminentecambia mente educativa, rivolta a educare (dal lat. exducere, «trar fuori») la persona all’autoconoscenza e alla trasformazione continua di sé.
n. 27 numero 2 - anno XIII luglio-dicembre 2012