n. 29 numero 2 - anno XIV
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luglio-dicembre 2013
La latenza pedagogica The pedagogical latency
La nascita di un figlio disabile The birth of a disabled child
Disagio scolastico in presenza di minorazione visiva
Discomfort in school when there is a case of visual impairment
Quando la disabilità diventa disagio When disability becomes uncomfortable
Reflecting® e formazione degli insegnanti sui DSA
Reflecting® and Teachers’ training on the learning disabilities
Accogliere e integrare gli alunni diversamente abili
Welcoming and integrating school children with disabilities
Dizionario di Pedagogia Clinica Clinical Pedagogic Dictionary
n. 29
Autorizzazione Tribunale di Firenze Decreto 4868 1° marzo 1999 Periodico semestrale Anno XIV n. 2 luglio-dicembre 2013
Editore: ISFAR srl Fondatore e Direttore responsabile: Guido Pesci Direzione, Redazione, Amministrazione: ISFAR - viale Europa, 185/b 50126 Firenze Tel. e Fax 055 6531816 E-mail: info@isfar-firenze.it Web: www.pedagogiaclinica.com www.clinicalpedagogy.com www.pedagogisticlinici.com www.isfar-firenze.it Progetto grafico Senza Filtro Firenze Traduzione a cura di Francesca Martini Printed in Italy: Tipolitografia It.Comm. srl via di Ripoli 50/r Firenze
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O I R La latenza pedagogica - Viaggio verso i luo- Pag. 4 ghi nascosti della formazione / The pedagogical
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latency - Journey to the hidden places of the training di Gerardo Pistillo
La nascita di un figlio disabile: l’impatto del- Pag. 8 la famiglia / The birth of a disabled child: the impact on the family di Maria Mirella Gangeri
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Direttore responsabile e scientifico Guido Pesci
Disagio scolastico in presenza di minora- Pag. 11 zione visiva / Discomfort in school when there is a case
Quando la disabilità diventa disagio: per- Pag. 14 corsi educativi in famiglia e a scuola / When
Segreteria di redazione: Valentina Benoni Degl’Innocenti Sergio Gaiffi Marta Mani Simone Pesci
M
disability becomes uncomfortable: educational paths for family and school di Francesca Cartellà
Reflecting® e formazione degli insegnanti Pag. 16 sui DSA - Il lavoro coi gruppi. Esperienze a confronto / Reflecting® and Teachers’ training on the learning disabilities. Groupwork. Comparing experiences di Nicola Corrado
O
Accogliere e integrare gli alunni diversa- Pag. 24 mente abili: oltre la comunicazione per aprirsi alla relazione / Welcoming and integrating school children with disabilities: beyond communication towards relationship di Antonio Viviani e Carmen Torrisi
Dizionario di Pedagogia Clinica / Clinical Peda- Pag. 27 gogic Dictionary
S
Comitato scientifico: Valentina Benoni Degl’Innocenti Sandro Cappellin Nicola Corrado Elena Gaiffi Sergio Gaiffi Eugen Galasso Gerardo Pistillo Marta Mani Simone Pesci Claudio Rao Maria Raugna Lucia Sarais Stefania Turini Antonio Viviani
of visual impairment di Lavinia Garufi
ANPEC Tribune / ANPEC Tribune
Pag. 28
Echi della stampa / Echoes from the press
Pag. 32
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La latenza pedagogica - Viaggio verso i luoghi nascosti della formazione di Gerardo Pistillo
La pedagogia clinica è una branca disciplinare della pedagogia generale il cui scopo principale è di educare (dal lat. exducere, “trar fuori”, “far emergere”) e aiutare la persona in difficoltà ad avere Cura di sé: a trovare dentro di sé le risorse necessarie per raggiungere un livello di autonomia sempre più elevato. L’obiettivo è di consentire alla persona di pervenire ad una condizione di salute, di armonia, di benessere generale e di equilibrio psicofisico. Il pedagogista clinico, con metodi e tecniche proprie, rivolge la sua azione preventiva a persone di ogni età, con qualunque tipo di disagio psicofisico; siano esse bambini con disordini comportamentali e di apprendimento; adulti con disarmonie a livello cognitivo, affettivo e socio-relazionale; anziani con difficoltà psichiche e motorie ecc. Ciò che caratterizza questa nuova scienza, inoltre, è la vastità del suo campo di azione. In qualunque ambito istituzionale, essa interviene, oltreché nei casi di difficoltà individuale, nelle situazioni di conflittualità che possono riguardare la coppia, la costellazione familiare e i gruppi sociali. In quanto scienza educativa, la pedagogia clinica riscopre il senso profondo della pratica clinica,
riappropriandosene e sottraendola al dominio esclusivo della scienza medica. Se fin dai tempi di Ippocrate (V-IV sec. a.C.), clinica, klinikè (tèchne) (“arte relativa a chi giace a letto”) stava ad indicare la relazione che si stabiliva tra chi non stava bene e chi si prendeva cura, e la modalità con la quale questa cura avveniva per giungere ad conoscenza e ad un processo di cambiamento dell’altro, significa che anche il pedagogista clinico, che si prende cura di una persona, individua nel setting pedagogico lo spazio idoneo che gli consente di “chinarsi” e di “flettersi” nei rispetti della persona sofferente coinvolgendola in un rapporto continuo di ri-flessione e di esplorazione tridimensionale, globale ed olistica, di se stessa. La parola “clinica” deriva infatti dal greco klinikè (tèchne) (“arte relativa a chi giace a letto”) e sta ad indicare, sin dai tempi di Ippocrate (V-IV sec. a.C.), il rapporto esclusivo che lo specialista instaura con la persona curvandosi sul suo “letto” (da klino), al fine di conoscerla nei suoi aspetti più reconditi: “mettendo a fuoco” ed esplorando in profondità la sua storia di vita intesa come storia unica e irripetibile. Il pedagogista clinico individua pertanto nel setting pedagogico lo
spazio idoneo che gli consente di “chinarsi” e di “flettersi” ai piedi del letto della persona, coinvolgendola in un rapporto continuo di ri-flessione e di esplorazione tridimensionale, globale ed olistica, di se stessa. L’azione clinica del pedagogista pone dunque al centro della relazione educativa la storia di vita della persona, nella convinzione che l’approccio clinico debba configurarsi innanzitutto come analisi in profondità della sua autobiografia, con l’obiettivo di promuovere in essa l’attitudine ad avere Cura di sé, a rileggere e a riscrivere il canovaccio della propria esistenza in piena autonomia, in vista di nuovi orizzonti esistenziali. Da questo punto di vista, essa si configura come “clinica” proprio perché consente, attraverso un lungo percorso anamnestico (dal gr. anàmnesis, “ricordo”, “reminiscenza”), di narrazione e racconto, il passaggio da ciò che è visibile, manifesto, superficiale, esteriore della storia di vita della persona a ciò che è invece invisibile, nascosto, profondo e interiore; da un livello di a-stanza ad uno di substanza (dal lat. substanzia, “ciò che sta sotto”); dalla trasparenza all’ essenza; in definitiva, da un livello di evidenza ad uno di latenza.
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La consapevolezza che ogni storia di vita sia da intendersi come romanzo di formazione personale (Bildung), quale mediazione continua e rielaborazione teatrale degli eventi di vita – siano essi tecnicamente intesi come “formativi” o, all’opposto, come “evenemenziali” – è del tutto evidente. D’altronde ogni esistenza (dal lat. ex-sistentia, “stare fuori”) è sostanzialmente viaggio, vagabondaggio perenne, in cui ogni passo è vita e ogni passo è morte, ma pur sempre novità e proiezione; “esperienza” (dal lat. ex-perior) nomadica, de-situante, i cui significati sono destinati ad affiorare ogni volta nel linguaggio individuale; cammino perenne in cui ogni essere umano “prende forma” e si tra-sforma. La storia di formazione di ogni persona (dal gr. prosopon, “maschera”), quotidianamente impegnata in recitazione spontanea sul palcoscenico della propria vita, può essere dunque intesa come un lungo processo di edificazione: di continua decostruzione e ricostruzione di sé. Una metafora in grado di mettere in luce la dimensione cunicolare e buia, impensata e aggrovigliata delle formazione; ruvida e complessa, visitabile ed esplorabile, che fa da contraltare alla dimensione apparente, alla facciata liscia e semplice dell’“edificio formativo”. Si evince così, a questo punto, il compito supremo della pedagogia clinica: effettuare una
diagnosi (dal gr. diàgnosis, “riconoscere attraverso”) per giungere ad esplorare i “mattoni” (dal lat. lateres) interni che costituiscono le (sub)stanze e i “luoghi interiori” dell’edificio autobiografico di ogni persona. Si tratta di una dimensione “nascosta” (dal lat. lateo) e profonda, da considerarsi come “rifugio” (latebra), come “luogo protetto e appartato” che sta a latere rispetto a ciò che è fenomenologicamente visibile, che ha una sua specifica “lateralità” (latus) e profondità rispetto a ciò che, da un punto di vista comportamentale, è osservabile dall’esterno. Una dimensione che sarà traducibile in termini di disponibilità e di potenzialità latenti, conoscibili e attivabili. Definire cosa sia la latenza pedagogica, pertanto, è il compito preliminare che conferisce senso ad ogni approccio pedagogico che voglia definirsi “clinico”. Uno scambio proficuo e una sintesi creativa tra la pedagogia clinica e la clinica della formazione ci consentirebbe una tematizzazione dell’oggetto di studio in questione. In tale ottica, la latenza rinvierebbe a quel dispositivo simbolico di elaborazione, cuore e nucleo generativo profondo della propria storia di formazione, attraverso cui ogni persona, filtra, decodifica e interpreta, rielaborandolo, ogni evento di vita vissuta. Un codice pedagogico personale, dunque, in grado di determinare una strutturazione
La consapevolezza che ogni storia di vita sia da intendersi come romanzo di formazione personale… di significato contingente, particolare e irripetibile della propria esistenza. Una tale idea di latenza ci impone una analisi ulteriore relativa alla complessità crescente, labirintica, del mondo interiore della persona e alla sua stratificazione nei seguenti livelli tra di loro interconnessi. La latenza cognitiva, in particolare, concerne il “codice cognitivo” a partire dal quale la persona attualizza ogni volta una categorizzazione e classificazione dell’esperienza di vita. La latenza affettiva riguarda invece la fantasmatica inconscia e il funzionamento del “codice affettivo” attraverso cui la persona proietta i modelli interiorizzati attualizzandoli nei legami personali. La latenza emotiva rinvia al “codice emotivo” attraverso cui ogni persona gesti-
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sce i propri vissuti e alle modalità secondo cui li veicola in direzione di una azione comportamentale positiva. La latenza referenziale (o contestuale) ci rimanda alla comprensione del “codice sociale” attraverso cui la persona, a livello intersoggettivo, viene direzionata nei rapporti interpersonali all’interno del proprio contesto di vita. La latenza resistenziale rinvia infine al “codice analitico” attraverso cui la persona riesce a filtrare criticamente gli eventi di vita, a smascherarne, attraverso una lettura impegnata, acuta e critica, i dispositivi interni. L’azione clinica in pedagogia assume dunque estrema rilevanza in ambito educativo proprio per questa sua propensione a promuovere un lavoro di scavo interiore nella persona. In quanto tale, essa riesce a svolgere la sua azione maieutica consentendo di dedurre gli aspetti latenti della storia di vita della persona e di tradurli su di un piano di visibilità immediata, riassumendoli in quell’enorme bagaglio di disponibilità e potenzialità latenti che occorre ad ogni individuo ad accrescere la propria area potenziale di sviluppo e a divenire sempre più resiliente. Un percorso clinico che consente alla persona di direzionarsi verso una Cura di sé autentica e globale, consistente nella definizione attiva del proprio progetto (dal lat. pro-iacio, “gettare avanti”) di vita e nella prevenzione dei pro-
…sollecitata ad intraprendere un lavoro autobiografico di rilettura e di riscrittura di sé. pri disagi attraverso una sorta di praemeditatio malorum. Essa sarà così sollecitata ad intraprendere un lavoro autobiografico di (ri)lettura e di (ri)scrittura di sé, di analisi interminabile, di continua tras-formazione e riorganizzazione sistemica di sé nel proprio ambiente di vita. Se si assume questa visione come chiave di lettura dell’apprendimento, d’altronde, ci si accorge come ogni processo di conoscenza – da intendersi come en-attivo, ossia come azione incarnata, emergente cioè da uno sfondo relazionale sistemico – rinvia sempre a dinamiche latenti che necessitano di essere costantemente estrinsecate in vista di una maggiore consapevolezza di sé. L’azione clinica in pedagogia, proprio in quanto processo volto a slatentizzare potenzialità e disponibilità tenute bloccate nella sofferenza, consente dunque di
lavorare alla continua ridefinizione della propria autobiografia, all’interno di un processo ermeneutico in cui ogni vissuto deve essere ri(ac)cordato e ri-assunto all’interno del progetto ultimo della propria esistenza. La figura del pedagogista clinico, la sua centralità assoluta nel percorso di educazione di ogni essere umano, il senso profondo della sua azione maieutica – magistrale e ministeriale insieme –, volta a far emergere abilità, disponibilità e potenzialità latenti della persona, ricollocandola “al centro” della propria esistenza nella direzione del progetto di vita e della Cura globale di sé, risuona nelle dolci note della frase seguente, da cui pure emerge la preziosità, nella società complessa e caotica in cui viviamo, di un’azione autenticamente educativa rivolta su misura di ogni singolo essere umano: “Il maestro che cammina all’ombra del tempio tra i discepoli non elargisce la sua sapienza, ma piuttosto la sua fede e il suo amore. E se davvero è saggio, non vi invita ad entrare nella dimora del suo sapere, ma vi guida alla soglia della vostra mente” (Gibran K. 1999, p.113). Solo a quel punto, al di là di ogni argine o barriera, “la sorgente sotterranea della vostra anima dovrà venire alla luce e scorrere mormorando verso il mare. E il tesoro della vostra infinita profondità sarà rivelato ai vostri occhi” (ibidem p. 115)
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Bibliografia
... pedagogista clinico, la sua centralità assoluta nel percorso di educazione... ...il senso profondo della sua azione maieutica magistrale e ministeriale insieme...
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Summary The “journey to the hidden places of training” of the clinical educator offers to Pistillo the opportunity to get back on the definition of “clinical” and “clinical action” recognizing and focusing on the individual with the aim of promoting the tendency to care for himself/herself. Different educational actions aim at solving the inconvenience and are carried out with operational procedures designed for a comprehensive care of oneself. The author demonstrates all the latent aspects of a person’s life, the enormous wealth of availability and potential that are necessary to increase his/her potential area of development and become more resilient.
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La nascita di un figlio disabile: l’impatto della famiglia di Maria Mirella Gangeri*
Ogni nuova vita che nasce dà inizio ad una sorta di viaggio evolutivo che conduce ogni individuo all’interno di un percorso di crescita. Ogni coppia pensa di avere prima o poi un figlio. Sicuramente sogna un bambino sano, bello, come si è abituati generalmente a vedersi circondati e tutti i genitori si augurano, per i propri figli, il meglio possibile, soprattutto sperano che il loro futuro sia sereno e gratificante sia a livello personale e sociale, che lavorativo. A volte invece la realtà sorprende, è tutta diversa da come ci si immagina. A volte quando quel bambino arriva è bellissimo, ma... non è sano. Quando in una famiglia arriva la disabilità le aspettative rispetto al processo evolutivo dinamico familiare “normale”, subiscono un grande scossone e gradualmente, attraverso un lungo percorso che noi definiamo “di accettazione”, occorre attivare quante più risorse possibili per far emergere ogni capacità che possa consentire di evitare l’avvio di un meccanismo di chiusura e di isolamento che porterebbe altrimenti alla frustrazione ed alla percezione di inadeguatezza sia della famiglia che della persona stessa. Per la famiglia la difficoltà che si crea è entrare nel processo di ac-
cettazione della disabilità e affrontare diverse fasi delle problematiche del figlio disabile, dalle tante visite mediche, alle terapie, alle eventuali operazioni, ecc. L’accettazione di un figlio disabile, il riconoscere di non aver messo al mondo una creatura perfetta, che non crescerà come tutti gli altri bambini, ma che dovrà essere seguito e accudito in tutte le sue fasi di sviluppo, e forse per tutta la vita, diventa un peso considerevole da portare. Resta comunque indiscutibile che la diagnosi, formulata in epoca neonatale o in periodi successivi, rappresenta un momento difficile, con ampie ripercussioni dal punto di vista emotivo determinate anche dalla modalità con cui avviene la prima comunicazione. Qualità e modalità della comunicazione ricoprono un ruolo chiave per la coppia genitoriale. È frequente nei racconti dei genitori il vissuto di abbandono nel momento della formulazione della diagnosi poiché alle famiglie, cui mancano le conoscenze per affrontare l’evento, viene trasmesso un generico messaggio ma poi vengono lasciate sole nella ricerca faticosa dell’intervento possibile.
Sarebbe auspicabile la strutturazione di una rete di intervento seria, pensata ad personam sul disabile, che fornisca informazione, assistenza, cura e protezione nel giusto modo e che aiuti e sostenga la famiglia. In questa prospettiva, si attiverebbero le risorse emotive, co-
L’accettazione di un figlio disabile, il riconoscere di non avere messo al mondo una creatura perfetta, che non crescerà come tutti gli altri...
* Presidente A.GE.DI. onlus Relazione presentata al Convegno ANPEC Reggio Calabria 2012
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gnitive e organizzative necessarie a “elaborare il lutto”. La famiglia è la prima e fondamentale istituzione assistenziale; per la persona disabile grave la vita con i genitori può risultare la più efficace e la più completa delle soluzioni ai propri bisogni, ma sarebbe importante realizzare una presa in carico della famiglia contestualmente all’immissione in un circuito di riabilitazione. Tutto questo ancora oggi non avviene e spesso la famiglia si ritrova da sola a guardarsi intorno per cercare soluzioni che sostengano il percorso di cui solo la prima tappa è l’accettazione. Queste considerazioni emergono costantemente nei nostri incontri di auto-aiuto e a volte diventano riflessioni elaborate per iscritto tra le quali ne abbiamo scelta una in particolare che vorremmo riportare integralmente: “Ogni tanto mi ritrovo a fare i conti con la mia esperienza di madre di una ragazza disabile che oggi ha 32 anni. A 23 anni, alla seconda gravidanza, mi sono ritrovata a percorrere il lungo cammino dell’accettazione della mia nuova realtà. Con grande determinazione, ma anche grazie a Dio, con grande serenità ho voluto sfidare me stessa. Certo non è stato e non è facile, in una società dove ancora siamo chiamati “meno fortunati” o peggio ancora “poveretti”, dove ancora non si riesce a capire la differenza fra servizio e assistenza, dove molti non hanno ancora capito che
la solidarietà è condividere e non solo donare “un obolo” per quietare le coscienze disinformate. La solidarietà, in questi termini, va benissimo per sostenere la ricerca scientifica, o sostenere iniziative di associazioni che lottano per il riconoscimento di alcuni diritti, ma la solidarietà vera è riuscire spontaneamente a pensare come un disabile e rallentare la corsa verso il “successo” (inteso a 360°) e contribuire piuttosto ad abbattere le barriere, soprattutto quelle mentali, che non garantiscono a tutti la stessa qualità di vita. Ritornando al processo di accettazione, i sentimenti che hanno accompagnato me e la mia famiglia, che sono passati dalla vergogna, alla tristezza, alla rabbia, alla disperazione, alla sfiducia in me stessa e negli altri, hanno fortemente fatto emergere l’orgoglio (quello buono) e la dignità, con la consapevolezza che noi disabili (ognuno di noi lo è in maniera più o meno evidente) abbiamo diritto a vivere sereni, a lavorare, ad amare e ad essere felici. La nostra vita non è un film o una soap-opera dove emerge solo qualche aspetto del vivere quotidiano, la nostra giornata comincia al mattino con la voglia di svolgere le normali attività, alzarsi, lavarsi, vestirsi, cucinare, uscire, fare la spesa, accompagnare tutti i figli nella loro crescita, andare a scuola, avere rapporti sociali, fare sport, andare a letto la sera senza avere incontrato durante il giorno le
...noi disabili abbiamo il diritto di vivere sereni, lavorare, amare e essere felici. difficoltà che la cultura attuale ci impone. Insomma basterebbe un po’ di sensibilità, vera solidarietà e servizi per vivere meglio. Tornando alla riflessione iniziale, cioè il “fare i conti con la mia esperienza”, direi che il bilancio è tutto sommato comunque positivo; mia figlia è una persona felice, solare, che ha voglia di stare con gli altri, che non teme il giudizio altrui, anzi ha molta auto-ironia, che apprezza le cose semplici, ma che sa riconoscere a pelle le persone sincere che le vogliono bene senza pietà e senza ipocrisia. Io personalmente credo di essere cresciuta, di essere diventata “grande”: ho avuto una grande crescita spirituale, apprezzo le cose semplici, ma importanti che a volte mi sfuggivano, dò il giusto valore alle cose, ho sviluppato capacità autocritiche e mi impegno sperando di riuscirci, a confrontarmi con gli altri, senza suscitare sentimenti di pietà o compassione. Se la comunità sociale e politica continua a credere di avere capito tutto e non si pone veramente all’ascolto rispetto alle nostre esigen-
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ze per migliorare, definitivamente, la qualità della vita delle nostre famiglie e dei nostri figli, l’interrogativo che quotidianamente ci tormenta difficilmente avrà risposta: cosa sarà di loro dopo di noi? La serenità è sapere che, durante noi e dopo di noi, i figli possano vivere autonomamente una vita dignitosa, ricca di esperienze e di calore umano. Un ambiente familiare dove si possano condividere tutte le emozioni, è sicuramente il sogno di ogni genitore e di tutti coloro che attraverso una serie di esperienze positive hanno elevato la propria consapevolezza a livelli molto alti”. Il “dopo di noi” ritorna sempre, è un chiodo fisso, tanto più doloroso quanto più abbiamo la consapevolezza di vivere in una società che emargina i diversi, siano essi negri, extracomunitari, poveri. Una società che pone come valore universale il danaro e quindi la competizione, la gara, la vittoria a tutti i costi. Una società che va di corsa, dove ciò che non produce ricchezza viene scartato. Una società che non offre lavoro, dove la disoccupazione cresce di ora in ora. Una società triste dove è difficile vivere anche per i cosiddetti “normali”. Davanti a questo sconfortato spettacolo, ti domandi come possa vivere il tuo figlio speciale che non conosce malizia, competizione, arrivismo, sete di potere, ecc.... Ti guardi intorno per cercare qual-
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che struttura che lo possa accogliere quando non sarai più in grado di gestirlo e vedi – tranne che in rarissimi casi – il deserto e ti senti terribilmente solo e disperato. La disperazione aumenta con il passare del tempo perché sei consapevole del fatto che tu invecchi, che senti venir meno la forza fisica, sei sempre più provato psicologicamente e nello stesso tempo, tuo figlio cresce e con la sua crescita aumentano anche i suoi bisogni, le sue esigenze. Tutto questo è reso più drammatico oggi, in Italia, in una società che è sempre più in crisi, più sorda ai bisogni dei più deboli. Davanti a questo scempio, l’unica via d’uscita è rappresentata dall’associazionismo, dal volontariato, dall’auto mutuo aiuto per vivere e condividere esperienze. È importante, infatti, vivere queste sensazioni insieme, condividendo con persone che ti capiscono perché le sentono e le vivono come te. Alcuni problemi che da soli sembrano insormontabili, insieme con gli altri possono essere affrontati ed anche superati. Condividere, in questo caso, segue la logica del noto proverbio: “l’unione fa la forza”.
…una società che pone come valore universale il danaro, la competizione, la vittoria a tutti i costi... ti domandi come possa vivere tuo figlio speciale che non conosce malizia, arrivismo, sete di potere...
Summary The article reports the difficulties which a family may meet after the birth of a disabled child. It also points out how difficult it is for the disabled child find other facilities available to take him/her after the death of his/ her parents, and that makes dispair any tutor. The self-help is considered as the only possible alternative to experience the problem with “people who understand you because they feel it and experience it like you.”
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Disagio scolastico in presenza di minorazione visiva di Lavinia Garufi*
Anche il bambino con disabilità visiva non è esente da disagio scolastico e sociale! La disabilità provoca di per sé un grado di disagio che si differenzia da un individuo all’altro in base a variabili personali come il carattere, e variabili che riguardano il rapporto con il mondo esterno: interazione tra sé e gli altri. È chiaro che la deprivazione sensoriale visiva comporta una serie di difficoltà che, se non affrontate adeguatamente, rischiano di portare ad un disagio sempre crescente che sfocia nell’inadeguatezza, perdita di autostima, tendenza all’isolamento come strategia di fuga da situazioni difficili da affrontare. Il disagio nasce e cresce nell’ambiente che circonda il bambino, sia esso ambiente educativo (che lo guida nella crescita) che ambiente sociale. La famiglia e la scuola, sono le prime agenzie educative che formano il bambino guidandolo verso l’interiorizzazione consapevole dei propri limiti. In genere è dal confronto con i pari che nasce la consapevolezza di essere “diverso”: perché non scrivo come gli altri, non leggo come gli altri, perché impiego più tempo a fare i compiti, i miei libri sono voluminosi ecc…, tanti sono i perché che cominciano ad affollarsi nella mente del bambino minorato della vista quando frequenta la scuola.
Ed è proprio a scuola il bambino disabile visivo comincia a percepire la sua diversità con cui dovrà imparare a convivere. Vorrei fare alcune riflessioni sulla minorazione visiva, così che possano essere più chiare le difficoltà e il tipo di disagio che può affrontare il bambino disabile visivo nel suo percorso scolastico. La minorazione visiva comprende: la cecità e l’ipovisione. Analizzando la cecità possiamo dire che è la mancanza totale della percezione visiva o la percezione del movimento della mano. La condizione di cecità può essere congenita o acquisita, cioè può esserci fin dalla nascita o intervenire ad una certa età per eventi traumatici o per patologie ingravescenti. Nell’uno o nell’altro caso si è davanti a patologie che producono stati di disagio psicologico -emotivo notevoli che, dal punto di vista pedagogico, richiedono differenti modi di intervento secondo le variabili età e modo di insorgenza. Per quanto riguarda la cecità il bambino che nasce cieco, nasce con le stesse potenzialità del bambino vedente. Se l’intervento educativo sarà precoce e centrato sul potenziamento delle capacità senso-percettive residue e immaginativo-motorie, si determinerà la
…a scuola il bambino disabile visivo comincia a percepire la sua diversità con cui deve imparare a convivere. normalizzazione della sua condotta cognitiva. I tempi di apprendimento saranno più lunghi rispetto a quelli del bambino vedente, ma questi si avvicineranno in maniera proporzionale se ci sarà un’azione educativa che inizierà già dai primi mesi di vita e sarà supportata da figure competenti. Se il bambino non sarà sostenuto da un ambiente educativo competente, sereno ed autorevole, rischia un’alterazione dello sviluppo cognitivo relazionale e motorio, nonché di generare delle forme di autointrattenimento certamente per lui più piacevoli di quelle offerte dal mondo esterno, se percepito in maniera caotica e non ordinata. L’incompetenza certamente favorisce il disagio.
* Responsabile Centro Regionale di Consulenza Tiflodidattica, Reggio Calabria
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Spesso il bambino non vedente si ritrova ad essere vittima di un ambiente educativo, sia familiare che scolastico, poco adeguato. Le insegnanti presumono di conoscere i limiti di chi non vede a tal punto da trasmettere questa loro certezza al bambino, determinando una “reciprocazione del limite” (il bambino si convince di non poter svolgere determinate attività proprio perché non vedente). Così il bambino cieco, che nasce con la sola deprivazione sensoriale, si porta dietro disagi o talvolta danni che potevano certamente essere evitati. Nelle scuole è facile incontrare bambini che subiscono l’ansia degli insegnanti che, per paura che si facciano male, ne bloccano l’autonomia; bambini che non partecipano alle attività di laboratorio perché si dice che non vedendo poi non possono “capire”; bambini che non disegnano perché il disegno viene associato al colore e a strumenti che sono solo per vedenti; bambini che non vengono stimolati all’esplorazione, alla scoperta, al piacere di fare. L’ambiente educativo spesso preferisce la staticità, la passività anziché il movimento, l’ascolto e la memorizzazione all’apprendimento concreto, facendo cadere l’azione educativa nel verbalismo che sbalordisce l’adulto e gratifica il bambino non vedente poiché si sente apprezzato e rassicurato, allontanato dal disagio che potrebbe nascere dal confronto con i compagni vedenti. La scuola dei progetti, delle sca-
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denze, degli obiettivi, non lascia tempo all’apprendimento concreto, non sempre conosce strategie e strumenti che possono favorire l’apprendimento del bambino non vedente, poco crea e poco costruisce insieme al bambino. E allora dovrebbe essere informata e formata, dovrebbe avere la capacità di creare una rete multidisciplinare capace di andare incontro al bambino non vedente e guidarlo nel suo cammino. Egli ha bisogno di maggior tempo poiché i canali sensoriali, che usa per la conoscenza, non sono certamente immediati come quello visivo. La sua conoscenza è frutto dell’elaborazione sinergica di vari elementi esperiti, acquisiti e reificati che consentono la creazione della rappresentazione mentale o la ricostruzione immaginativa. Pensiamo alla rappresentazione mentale dello spazio e all’apprendimento del Braille: quanta diffi-
...è facile incontrare bambini che subiscono l’ansia degli insegnanti che, per paura ne bloccano l’autonomia…
coltà per il bambino non vedente! Ovviamente è nella collaborazione tra scuola e famiglia che il bambino può trovare le risposte esaustive che possono dargli la serenità di affrontare un modo di scrivere e leggere certamente più difficoltoso, ed è attraverso l’approccio ludico che riuscirà ad andare avanti e a comprendere che la sua diversità sta solo nell’uso degli strumenti. L’intervento degli insegnanti della classe lo aiuterà a sentirsi parte integrante di essa; il suo modo diverso ma “speciale” di scrivere, potrà essere spunto di un progetto di condivisione con la classe. L’insegnante farà in modo di diminuire il disagio reciproco, incuriosendo i compagni verso questa scrittura fatta di tanti puntini e darà l’opportunità al bambino di imparare la scrittura in nero. Dopo questa prima analisi della cecità analizziamo invece l’ipovisione che si può definire quella condizione limitativa più o meno grave della visione e che a me piace dire: sta tra il vedere e il …non vedere. Gli ipovedenti hanno funzioni visive residue non sempre quantificabili e non sempre sufficienti per avere una buona autonomia. Le patologie che determinano l’ipovisione sono una miriade, spesso difficili da individuare e facilmente soggette a interpretazioni poco adeguate. La funzione visiva è rappresentata in primis dall’acutezza visiva e dal campo visivo (fino a qualche tempo fa non considerato invalidante), a questi si uniscono vari deficit che
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complicano le attività del bambino come ad esempio il nistagmo, l’abbagliamento, la cecità crepuscolare, il contrasto cromatico. In considerazione di ciò, all’ingresso a scuola l’insegnante dovrà fare un’attenta osservazione e valutazione per poter capire come il bambino vede. Non è semplice comprendere le difficoltà del bambino ipovedente e le strategie che lui attua per non mostrarsi tale. A volte viene considerato meno grave di quanto sia, così si richiedono prestazioni più elevate delle sue possibilità. In altri casi, non si tiene conto delle sue capacità residue. Nel primo caso l’insegnante si trova di fronte ad un bambino che si sposta bene nell’ambiente, un bambino che corre evitando bene gli ostacoli, ne deduce, quindi, che quel bambino non ha grossi problemi. Ma è anche un bambino che si muove continuamente e per questo viene confuso per ipercinetico. Il movimento continuo dell’alunno ipovedente avviene perché non può perdere il controllo visivo, egli accentua necessariamente i suoi movimenti esplorativi che gli consentono di controllare lo spazio di cui lui non ha contezza come il compagno che vede. Il suo panorama visivo è limitato e spesso anche poco chiaro, non può controllare con lo sguardo l’ambiente, seguire il movimento di qualcuno, allora si muove per non perdere il controllo visivo. Il suo è un iperattivismo che serve a rinnovare la certezza e la qualità della relazione con l’ambiente. Tutto
ciò diventa per lui molto affaticante. Così sarà più affaticante la lettura. Spesso non riesce ad avere la visione completa della pagina, della riga talvolta della parola con conseguente difficoltà di sintesi della frase e del concetto. Ha bisogno di tanto impegno per decodificare lettere, parole e frasi e magari dopo tanto impegno rischia di non aver compreso la globalità della lettura con conseguenti rimproveri da parte dell’insegnante. Ecco che si creano stati di disagio che mettono a rischio la sua immagine scolastica e la sua autostima. Non conoscere e non comprendere i bisogni del bambino ipovedente porta, inoltre, a favorire una situazione di mimesi che lui stesso attua a rischio di gravi disagi psicologici ed emotivi. Egli intuisce che in famiglia la sua difficoltà visiva è fonte di preoccupazione e impara a simulare una condotta da vedente molto attesa e gratificata dai genitori. Allo stesso modo a scuola tende ad apparire ciò che non è, riuscendo a disorientare insegnanti e compagni e preferisce perdere qualche opportunità di aiuto piut-
tosto che essere commiserato per la sua minorazione. In questo modo il bambino ipovedente vive la sua giornata con tanta ansia poiché è costretto ad aggirare tutte le situazioni che potrebbero scoprirlo. Tutto ciò è logorante e tende ad allontanarlo dalla serenità. Solo se il bambino si sentirà compreso, rispettato nelle proprie esigenze e incoraggiato a sperimentare le sue capacità compensative, potrà ridurre il suo disagio e avvicinarsi ai compagni vivendo serenamente la sua vita di bambino tra bambini.
…il bambino potrà ridurre il suo disagio solo se compreso, rispettato nelle proprie esigenze e incoraggiato a sperimentare…
Summary The author is an adviser to the Centro Tiflodidattica in Reggio Calabria, Italy, and reports how many difficulties the visual impairment involves and if they are not adequately faced, they could lead to a growing uneasiness which would lead to inadequacy, loss of self-esteem, and isolation. Garufi sees an alternative in the education, in an educational intervention focused on the capacity of the development of the residual sensory-perceptual-motor and imaginative capacities. Like this she considers the learning time that, even longer than their peers, they will approach proportionally. Moreover she writes about a series of methodological guidelines for family and school.
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Quando la disabilità diventa disagio: percorsi educativi in famiglia e a scuola di Francesca Cartellà
La mia esperienza come pedagogista clinico nel campo della disabilità si è concretizzata negli ultimi anni arricchendomi umanamente e professionalmente. Affiancare la pedagogia clinica alla disabilità significa compiere un intervento educativo rivolto alla persona, ovvero al suo essere persona, accompagnandola nello sviluppo delle sue potenzialità e sostenendola nel disagio. È grazie all’intervento educativo che la persona può scoprirsi più motivata, più entusiasta, più libera. In tal modo l’approccio pedagogico clinico ben concretizza il senso stesso del termine educazione: esso, infatti, favorisce lo svelamento della persona (da exducere, “condurre fuori, svelare”), attraverso il prendersi cura di lei, intervenendo, ma anche sapendo aspettare. La disabilità è una condizione umana e come tale deve essere accettata, ma non può restare solo come fonte di sofferenza. Sono necessari percorsi che aiutino le persone con disabilità a comprendere e utilizzare le loro potenziali abilità e a diventare soggetti attivi nella società. A volte si pensa che una persona con disabilità fisica e/o psichica non sia in grado di svolgere dei compiti senza nemmeno chiederle di eseguirli. Ci si fossilizza sulle sue lacune e non si punta sul rinforzo o sullo sviluppo delle attività latenti.
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Il disabile è persona, come tale ha una sua identità, autenticità, un suo modo di rapportarsi al mondo. La patologia che lo connota lo rende spesso soggetto di assistenzialismo ma chi se ne prende cura deve sempre mirare ad una forma di autonomia che gli restituisca dignità. Accogliere l’altro significa considerare ogni individuo come persona che deve essere salvaguardata nella dignità, che ha bisogni propri, primari e secondari, derivanti dalla storia soggettiva; è necessario perciò tener conto del modo in cui ognuno vive il tempo e lo spazio, perché queste sono le dimensioni essenziali in cui viene costruita la relazione con sé, con l’ambiente, con gli altri. Accade frequentemente che la disabilità e il disagio di un figlio raccolgano la quasi totalità delle energie delle figure genitoriali, così da non lasciare spazio alla attenzione, alla consapevolezza e alla risposta dei bisogni degli altri membri della famiglia. Questo ostacola o complica inevitabilmente il processo di crescita verso il benessere dei singoli e dell’intero nucleo. Senza dubbio i limiti della persona disabile creano rifiuto, dolore, enorme frustrazione, grande fatica! Questo sperimentano i genitori quando nasce un figlio disabile, questo è ciò che ascolto da loro. Non bisogna far finta di non vede-
re le oggettive limitazioni e i problemi del disabile, occorre una diagnosi approfondita per la conoscenza non solo dei limiti ma anche delle potenzialità, stati d’animo, i valori e le regole individuali. Occorre capire quali sono i reali bisogni di ciascuno, che tipo di aiuto si deve ed è possibile offrire. Aiutare non significa sostituirsi bensì dare appoggio, completamento, incoraggiamento nel rispetto dell’altro e nell’ottica della sua crescita. Dare aiuto ha il significato di armonizzare, completare, trovare le modalità perché ognuno possa avere un ruolo, interagisca, riesca a sentirsi utile per promuoversi nella relazione. Nella mia esperienza professionale lavoro con adulti e bambini dis-abili che quotidianamente devono affrontare situazioni di vero e proprio disagio nel contesto in cui il soggetto si trovano a vivere e svilupparsi. Il disagio relazionale nella scuola può essere tradotto dal racconto della situazione vissuta dalla “piccola ma grande” Alessia.
Disabile... persona che ha una sua identità, autenticità...
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Ho avuto l’occasione di conoscere Alessia due anni fa, quando a causa di un incidente durante una gita scolastica si fratturò una gamba, e fu costretta a rimanere a casa per quasi due mesi; per tale motivo, essendo la bambina “affetta” da una rara sindrome genetica, la sindrome di Marshall-Smith caratterizzata da ritardo psicomotorio, alta statura, età ossea avanzata e compromissione del nervo ottico che causa una ipovisione, mi è stato chiesto dall’Unione Italiana Ciechi di Reggio Calabria (con cui collaboro da diversi anni) di prestare assistenza domiciliare. Alessia è una bella bambina di 10 anni con un corpo che cresce troppo in fretta per via di un iperaccrescimento osseo e certamente la sua statura rispetto ai bimbi della sua età, può essere avvertita come un pericolo. Anche perché lei in classe nel suo banchetto non ci vuole rimanere seduta tutta la mattina, ha voglia di giocare e di comunicare, di richiamare l’attenzione dei suoi compagni facendo uno “sgambetto” che per lei è un gioco. Non tutto le riesce bene, nonostante si impegni tanto e quando avverte di non poter eseguire i compiti assegnati “semplicemente” perché le sue capacità cognitive sono deficitarie rispetto ai suoi compagni, manifesta il suo disagio: si rifiuta di lavorare, gira tra i banchi, a volte piange o vuole andare più volte in bagno. L’insuccesso che sperimenta la piccola Alessia la conduce verso una chiusura in se stessa: così tutte le risorse che sono presenti non vengo-
no attivate in modo giusto. Al disagio vissuto a scuola dalla bambina si unisce il disagio dei genitori che ogni giorno lottano per aiutarla a crescere, pur consapevoli dei limiti, ma fiduciosi nelle potenzialità. Una situazione complessa che pone seri interrogativi. È stato assai importante considerare i genitori una risorsa per l’intervento educativo, “primi esperti” dei loro figli, e renderli partecipi dinamicamente nei progetti di aiuto, l’altra agenzia educativa è la scuola che deve garantire all’alunno disabile una opportuna autonomia, compiere delle adeguate scelte fino a farlo sentire parte integrante del gruppo dei coetanei. La scuola perciò deve offrire una didattica individualizzata, prodotto di una intesa e collaborazione tra insegnanti curriculari e di sostegno, che dal “sostegno unico” saranno da tenere in considerazione i “sostegni distribuiti”, tutta la struttura scolastica deve essere organizzata affinché possa perseguire un modello di “crescita autonomo”. Questi principio e aspettative si conciliano con una audace integrazione e una maggiore intesa
tra le componenti educative che può essere raggiunta con il confronto e l’ascolto. L’integrazione può divenire inclusione solo quando si ha attenzione al progetto di vita della persona fin dall’inizio del percorso formativo e una concezione educativa che miri alla conoscenza di sé, degli altri, alla capacità di operare scelte, di adeguarsi al cambiamento, di lavorare in gruppo. Se si ha consapevolezza della diversità come risorsa, e conoscenza delle esperienze che possono stimolare la crescita espressivo-corporea e psico-affettiva, garanzia di momenti autentici per uno sviluppo funzionale dell’apprendimento. A ciò si aggiunge il riconoscimento dell’importanza della relazione, dello stare bene nel gruppo e nel rapporto con l’insegnante, oltre che la cura degli spazi, dei modi e delle opportunità che facilitano e favoriscano scambi e conoscenze. Il confronto e l’ascolto sono le modalità indispensabili per mantenere tutti i componenti delle agenzie educative in uno scambio che possa alimentare condizioni aggiuntive di intesa e di impegno verso il cambiamento.
Summary “When disability becomes uncomfortable” is the title of a work led by Cartellà who supports the need for essential paths in order to help a disabled to understand and use every functional resource. We need to understand the limitations and the problems, know each individual’s needs in order to help him/her harmonize, complement, find appropriate procedures and we need to ensure that the disabled feels useful and helpful in a relationship. To support this thesis, the author poses some questions. Among these is the problem of the educational roles of school and family for which she is not enthusiastic and so she looks forward to a real change.
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Reflecting® e formazione degli insegnanti sui DSA
Il lavoro coi gruppi. Esperienze a confronto di Nicola Corrado
La campagna di sensibilizzazione delle istituzioni scolastiche ai problemi degli alunni con DSA, sollecitata dall’approvazione della Legge 170/2010 e, per una sua corretta e solerte applicazione, esplicitata dalle susseguenti Linee Guida del 12 Luglio 2011, insieme alla Direttiva MIUR del 27.12.12 sui B.E.S. (Bisogni Educativi Speciali) ha posto il delicato e complesso problema, prima della informazione tout court e poi di una particolare e approfondita formazione degli addetti ai lavori della scuola, senza la quale difficilmente quest’ultima riuscirà a fronteggiare l’annosa piaga che l’affligge: quella dell’insuccesso scolastico e del disagio nello studio di alcuni suoi allievi potenzialmente promettenti e a volte addirittura dotati di particolari talenti, ma che rischiano spesso l’esclusione e l’emarginazione dal regolare processo di apprendimento per problemi di svantaggio di variegata e complessa natura. E questo perché regna in generale nella scuola italiana una scarsa attenzione al disagio nello studio in generale e ai disturbi dell’apprendimento. Talvolta serpeggia anche una distorta informazione circa i disturbi specifici (i cosid-
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detti DSA), spesso aggravata da una lacunosa formazione professionale di alcuni docenti, che, seppur ben preparati e ottimi soggetti detentori di sapere, presentano scarse competenze circa gli aspetti affettivo-relazionali e quindi emotivi dell’apprendimento. “Particolare e approfondita formazione” nel nostro caso non stava a significare ancora una volta frequenza pedissequa da parte dei docenti dell’ennesimo corso di formazione centrato sui presupposti teorici della materia da apprendere. Non significava vedersi passivamente calare dall’alto contenuti disciplinari indispensabili sì sul piano informativo, ma che difficilmente sarebbero entrati a far parte del tessuto affettivo-cognitivo degli insegnanti, se non agìti e “fatti propri” dai destinatari della formazione attraverso il vissuto emotivo di un’esperienza diretta ed esperìti all’interno di una relazione inter-personale, a sua volta resa possibile da un gruppo di confronto e riflessione. Ed infatti “gruppi di riflessione” sono stati chiamati, nei corsi da noi tenuti, i gruppi formati dai destinatari della formazione in servizio, mentre con “modalità reflecting”
è stata designata la strategia messa in atto per sostanziare gli incontri tenutisi nell’ambito del presente progetto condotto assieme alla collega Stefania Laurina negli anni scolastici 2011-12 e 2012-13 nella Scuola secondaria superiore “ISIS A. Torrente” e Scuola dell’infanzia e primaria “5. Circolo- Mitilini” del Comune di Casoria (Napoli). “Il principio generale era che la competenza sui DSA doveva permeare il corpo docente di ogni classe, in modo che la gestione e la programmazione di passi significativi (per es. il PDP) non fosse delegata a qualcuno dei docenti, ma scaturisse dalla partecipazione integrale del consiglio di classe”. Era questo un
…relazione inter-personale resa possibile da un gruppo di confronto e riflessione...
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passaggio delle Linee Guida, sopra accennate, in cui si sottolineava la necessità del coinvolgimento totale del corpo docente nelle problematiche dei DSA e nei suoi nodi cruciali e che noi formatori abbiamo tenuto ben presente nella progettazione dei corsi. Se la competenza sui DSA doveva quindi “permeare” il corpo docente e l’acquisizione di tale competenza rappresentava l’obiettivo principale della formazione in servizio degli insegnanti, esso non si poteva raggiungere al di fuori di una formazione i cui contenuti non fossero stati elicitati dal basso attraverso il confronto diretto dei partecipanti ed esperiti sulla propria pelle, all’interno di un laboratorio di riflessione in primis e di ricerca-azione poi. Un laboratorio in effetti che trasformasse i destinatari della suddetta formazione in soggetti attivi nella costruzione del proprio sapere. Si capirà quindi facilmente che, se tali sarebbero dovuti essere i presupposti della nostra formazione sui DSA, il “lavoro su se stessi” che i docenti venivano chiamati a fare non si poteva esaurire nel corso di un numero breve e alquanto compatto di incontri, ma doveva essere diluito in un arco temporale di tempo piuttosto ampio, tale da consentire una sedimentazione dei contenuti emersi e dar vita a quella condizione di agio psico-emozionale, che è la sola a garantire
la serena elaborazione, la comprensione vera delle cose e il reale apprendimento di quanto si offre alla nostra intelligenza. I contenuti del progetto e la modalità Reflecting I contenuti del progetto riguardavano l’introduzione ai disturbi di apprendimento (sia specifici che aspecifici), le definizioni adottate, la loro classificazione, la diagnosi, gli aspetti eziologici, la comorbilità, gli indicatori, la Legge 170 e la sua applicazione, il PDP (cosiddetto Piano Didattico Personalizzato), i vari Format del PDP utilizzati nella prassi, ed infine un Vademecum per il docente da noi redatto, con il quale ci prefiggevamo di rendere il suo intervento didattico più aderente alle esigenze della platea scolastica di turno. Ciò che invece ha avuto un particolare focus attentivo è come (e quanto) abbiamo dovuto lavorare con il corpo docenti affinché si verificasse in esso la permeazione di quei contenuti. Non si poteva affrontare il problema dei DSA con una lezione frontale, semplicemente spiegando loro che cosa fossero i disturbi specifici dell’apprendimento. Questa nozione non sarebbe servita a nulla, perché sarebbe stata percepita come l’ennesima informazione che l’agenda ministeriale regolarmente propina al corpo docente. Né li avrebbe aiutati a crescere in questo campo il conoscere pedisse-
quamente le definizioni approntate dal DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) o quelle dell’ICD 10 (The International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems, 10th Revision). O quelle dell’OMS o quelle ancora della Consensus Conference. Niente di tutto ciò. Occorreva qualcosa di diverso per un professionista che per deformazione professionale, nella maggior parte dei casi, è chiamato a prestare molta attenzione ai contenuti delle sue lezioni, ma un po’ meno alle sue competenze relazionali, molta attenzione al rispetto del programma ministeriale (per paura di non portarlo a termine), ma un po’ meno al rispetto del tempo necessario alla elaborazione e alla acquisizione da parte dell’alunno di un concetto per la vera comprensione delle cose, di cui parla Gardner. Occorreva una riflessione pacata sui vari aspetti del suo lavoro, una riflessione che nascesse dal basso in un contesto gruppale, dove potessero liberamente emergere, frutto anche del confronto nel gruppo, i punti deboli del lavoro docente e anche i suoi personali caratteriali, ma anche i suoi punti di forza, il suo disagio, le sue difficoltà, ma anche la sua creatività. E che non fosse la riunione istituzionale del consiglio di classe, nel quale lui è chiamato continuamente a esercitare il giudizio, o del collegio docenti con i suoi punti all’ordi-
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ne del giorno, nel quale lui è chiamato ad approvare una pianificazione. Nel nostro gruppo di riflessione egli era chiamato invece a sospendere il giudizio, a sospendere la parola confezionata, a sostare su alcuni nodi problematici del lavoro docente, a nutrire il dubbio, a prestare ascolto alle sollecitazioni del gruppo, a rimanere molto spesso in silenzio, a concedersi la possibilità dell’emergere in lui di un conflitto cognitivo, a generare il pensiero. DSA approcci a confronto Una delle maggiori difficoltà che abbiamo dovuto affrontare per poter implementare la formazione nei due istituti citati è stata quella di risolvere il conflitto generatosi tra le differenti visioni sui DSA, quella relativa a noi Pedagogisti Clinici ANPEC, che fondamentalmente siamo portati a prendere le distanze dalle “etichettature a priori” e dal disagio in generale, qui nella fattispecie scolastico, e quella dell’istituzione scolastica, nella fattispecie del legislatore ministeriale sui DSA, che mostra attraverso i suoi articoli e commi legislativi (Legge 170 dell’8 Ottobre 2010) di prediligere un approccio al disagio strutturato su definizioni precise (etichettature) e avvalendosi di interventi protocollari, ben lontani da qualsiasi possibilità di trattare il caso individuale come unico e irripetibile. Chiamati quindi dall’istituzione ad intervenire per aiutarla a risolve-
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re i suoi problemi, ci siamo trovati di fronte alla difficoltà di accettare paradossalmente prima di tutto i suoi strumenti tout court, trovare in un secondo momento una soluzione al conflitto presentatosi, ed in ultimo tentare di veicolare – alla luce di una riflessione collettiva e condivisa del gruppo docenti – una visione del problema DSA, che tenesse conto dei vari punti di vista esistenti, operasse volta per volta una sintesi congrua e indicasse la via più adeguata possibile per intervenire sul caso singolo. È a questo punto che ci siamo sentiti in grado, forti della riflessione collettiva e della volontaria adesione del gruppo docenti ad una soluzione negoziale per l’approccio da utilizzare, di proporre il Vademecum del docente, con i tre possibili approcci finalizzati ad accogliere un alunno con DSA: a) Approccio protesico (in linea con le direttive ministeriali della Legge N. 170 e gli orientamenti dell’AID); b) Approccio ecologico (da noi Pedagogisti Clinici fortemente sostenuto). c) Approccio integrato (la migliore delle soluzioni possibili).
A) Approccio protesico1 (Come comportarsi) 1.STEP Per gli alunni che presentano persistenti difficoltà nello studio, i docenti del Consiglio di Classe attivano una scrupolosa osservazione delle loro condotte di apprendimento, tenendo alto il focus sulle loro abilità procedurali (bisogna chiedersi se queste risultano automatizzate o presentano difficoltà) e sulle loro personali e individuali strategie metacognitive (bisogna chiedersi se gli alunni sono consapevoli del loro metodo di studio, se adottano personali e individuali strategie di selezione, strategie organizzative, strategie di elaborazione, strategie di ripetizione). Se nasce il sospetto che le suddette abilità procedurali e le strategie meta-cognitive risultano deficitarie, i docenti propongono loro determinate prove che fanno capo a particolari indicatori (oppure suggeriscono di effettuare uno screening con il supporto di un esperto e previa “apposita comunicazione alle famiglie”). 2.STEP Per l’alunno del quale si sospetta un DSA, si inviterà la famiglia a procurarsi presso i servizi sani-
Abbiamo definito protesico il presente approccio per la sua caratteristica di protesi didattica da fornire all’eventuale alunno con DSA per bypassare le difficoltà di apprendimento che il disturbo gli pone nel corso dei suoi studi. La protesi, nella nostra visione del problema, risolverebbe sì la sua difficoltà portandolo a compiere dei passi avanti nel suo apprendimento, ma per converso non lo aiuterebbe a fare i conti con le sue difficoltà alla radice, nella prospettiva della consapevolezza e dello sviluppo della sua piena autonomia, che noi riteniamo l’attributo principe di uno studente modello. 1
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tari locali o enti accreditati una diagnosi di DSA. (Legge 170 Art. 3 - comma 1 - Diagnosi2). Dopo aver acquisito la diagnosi di un alunno con DSA, la scuola e i docenti continuano a prestare attenzione ai seguenti punti: 1) Primo passo fondamentale: appropriarsi del problema. Le varie classificazioni diagnostiche dei DSA, pubblicate dai vari enti internazionali quali (ICD10 Asse F81; DSM IV; OMS; Consensus Conference, Raccomandazioni Europee) danno la loro definizione del disturbo, ponendo tutti l’accento su “una caratteristica individuale del modo di apprendere del soggetto”, escludendo qualsiasi deficit di tipo psicofisico e comportamentale. - Perché “specifico”? Perché il disturbo interessa uno specifico dominio (quello relativo agli automatismi, quali la decodifica, associazione grafema-fonema, la coordinazione visuo-motoria, la coordinazione spazio-temporale, un diverso funzionamento delle aree cerebrali deputate alla lettura, alla scrittura e al calcolo) e lascia intatto il funzionamento intellettivo generale. - Perché “evolutivo”? Perché si manifesta in età evolutiva e il
disordine riguarda lo sviluppo di abilità procedurali mai acquisite e mai perse a causa di eventi traumatici. - Perché risponde al “criterio della discrepanza”? Perché, nonostante il livello intellettivo del soggetto sia nella norma e talvolta superiore alla norma, il livello delle sue prestazioni nelle prove di lettura, scrittura o calcolo è significativamente inferiore a quello atteso in base alla scolarità e al citato livello intellettivo. - Perché il soggetto con DSA appare svogliato? Perché il suo cervello lavora 5 volte di più di un normo-lettore. In sintesi che vuol dire essere soggetto con DSA? Significa semplicemente avere “modalità di apprendimento diverse da quelle rigidamente standardizzate nella tradizione scolastica” per cui si necessita di “metodologie didattiche diverse e flessibili”, che rispondano alle diverse intelligenze dei soggetti, così come messo in evidenza da Gardner (Intelligenze Multiple), e di “uno strumentario di apprendimento consono alla peculiarità del soggetto”. Per cui a fronte di un disturbo in sé non grave, ma parzialmente pervasivo, nel senso che interes-
La diagnosi dei DSA è effettuata nell’ambito dei trattamenti specialistici già assicurati dal Servizio sanitario nazionale a legislazione vigente ed è comunicata dalla famiglia alla scuola di appartenenza dello studente. Le regioni nel cui territorio non sia possibile effettuare la diagnosi nell’ambito dei trattamenti specialistici erogati dal Servizio sanitario nazionale possono prevedere, nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, che la medesima diagnosi sia effettuata da specialisti o strutture accreditate). 2
…soggetto con DSA significa avere modalità di apprendimento diverse da quelle rigidamente standardizzate nella tradizione scolastica. sa molte funzioni, o azioni dello studente (vedi impacci motori, grafo-motori, calcolo orale, gestione del tempo, incolonnamento, ecc., cioè in sintesi abilità procedurali), il trattamento deve corrispondere ad una presa in carico globale e, pertanto, si impone come: a. intervento abilitativo individuale (nella sede specialistica opportuna); b. avvertenze per la scuola; c. avvertenze per la famiglia. 2) Evitare il sarcasmo perché ferisce profondamente lo studente con DSA. 3) Sapere che l’ansia in generale, ma ancora di più nell’appren-
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dimento, altera la prestazione. 4) Il docente deve sapere che, quando l’alunno distoglie lo sguardo da lui e continua ad evitare di guardarlo, si difende dall’ansia di intervenire o di essere interrogato. 5) I DSA comportano problemi nell’elaborazione linguistica (ritardo nell’elaborazione). Quando il docente pone una domanda alla classe, gli alunni senza disturbo iniziano ad elaborare la risposta, mentre gli alunni con DSA stanno ancora elaborando la domanda. (Ma, come già detto, non è assolutamente un problema di intelligenza, o di deficit psico-fisico). 6) Distraibilità vs concentrazione La distraibilità = Gli alunni con DSA si distraggono continuamente perché prestano attenzione a tutto, perché tutto attrae la loro attenzione. 7) Il correre rischi Le persone con DSA non amano correre rischi. Molto spesso il comportamento degli insegnanti aggrava questa caratteristica quando fanno pressione sugli alunni o usano il sarcasmo. In questi casi il loro comportamento non è incoraggiante, al contrario – così facendo – i docenti tolgono loro la capacità di correre dei rischi, che sono importantissimi e salutari nel processo di apprendimento. 8) Percezione visiva vs motivazione (guardare vs vedere) Ci sono alcune immagini che si prestano a interpretazioni diverse, a seconda di chi le guarda… Più persone guardano la stessa
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immagine ma vedono cose diverse. Secondo la teoria della percezione visiva della Gestalt, ciascuno di noi percepisce le immagini secondo un proprio pattern psichico interno, cioè secondo la propria struttura psicologica e visione del mondo. E se al primo colpo, guardando l’immagine, vede una figura, difficilmente riesce a vedere anche l’altra insita nella stessa immagine. Questo gli può capitare soltanto dopo un po’ di tempo di osservazione. Ci sono però persone che subito riescono a vedere le due figure quasi contemporaneamente. Un docente, senza volerlo, può creare un forte disagio nell’alunno se lo pressa a vedere e a interpretare secondo quello che lui si aspetta, dicendogli: guarda… guarda meglio…… guarda meglio e dimmi cos’è! L’alunno guarda, ma non vede quello che vede il docente o la maggior parte dei suoi compagni di classe, ma vede un’altra cosa, perché la sua Gestalt è diversa, diventando così vittima di un gioco perverso. La pressione del docente non fa che peggiorare la situazione, perché finisce per incolpare la vittima, pensandolo poco motivato alla sua lezione. In realtà non è così. L’incapacità dell’alunno di decifrare la figura secondo il modello indicato dal docente e condiviso dalla classe non ha nulla a che fare con la mancanza di motivazione, ma molto con la percezione. 9) La comprensione della lettura
(vocabolario vs background culturale) Il principio consolidato e confortato da vecchie teorie sulla comprensione della letto-scrittura di un testo si basa sull’equazione, secondo cui, quante più parole si conoscono, tanto più si comprende il brano intero del testo. Ma la pratica purtroppo smentisce questa teoria. Ciò che rende più comprensibile un brano da parte di un lettore rispetto a un altro è il suo personale background culturale in primis, poi in secondo ordine la sua conoscenza del vocabolario. 3.STEP Misure educative e didattiche di supporto (Legge 170 – Art. 5 – Proposta di strategie didattiche differenziate) 1. Gli alunni con diagnosi di DSA hanno diritto a fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi universitari. 2. Agli studenti con DSA le istituzioni scolastiche, a valere sulle risorse specifiche e disponibili a legislazione vigente iscritte nello stato di previsione del Ministero dell’istruzione, dell’Università e della ricerca, garantiscono: a) L’uso di una Didattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di lavoro scolastico che tengano conto anche di caratteristiche peculiari dei soggetti, quali il bilinguismo, adottan-
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ISFAR® ISTITUTO SUPERIORE FORMAZIONE AGGIORNAMENTO E RICERCA®
FORMAZIONI CON CREDITI DI AGGIORNAMENTO PER PEDAGOGISTI CLINICI Il pedagogista clinico a lavoro con i genitori Sede e date: Firenze, 1-2 marzo 2014 - 10 crediti
Pedagogia clinica in classe: l’insegnante pedagogista clinico nella scuola Sede e date: Firenze, 5-6 aprile 2014 - 10 crediti
Gruppo di Supervisione per Pedagogisti clinici Il Pedagogista Clinico in Studio: L’aiuto alla persona di ogni età Sede e date: Firenze, 7-8 giugno 2014 - 10 crediti
Pep-Reb: Parent Education Program Reflecting Based (IN MODALITÀ E-LEARNING) - 10 crediti
Osservazione applicata alla prima infanzia Sede e data di inizio: Firenze, 8 febbraio 2014 - crediti 10 Chiusura iscrizioni: 8 gennaio 2014
Teoria e Tecnica del Disegno onirico Sede e data di inizio: Roma, 8 marzo 2014 - crediti 10
Esperto in Gestione e Conduzione di Gruppi Sede e data di inizio: Firenze, ottobre 2014 - crediti 10
Workshop Asperger e Autismo- Interventi Clinici Sedi e date: Firenze, 1-2 febbraio 2014; Catania, 22-23 marzo 2014 - crediti 5
Workshop Disgrafia e Disortografia Sede e date: Firenze, 1-2 marzo 2014 - crediti 5
Workshop L’Intervento clinico rivolto a persone con Sindrome di Tourette Sede e date: Milano, 8-9 marzo 2014 - crediti 5
Workshop ADHD – Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività: Strategie cliniche e didattiche Sede e date: Firenze, 15-16 marzo 2014 - crediti 5
Workshop L’intervento clinico attraverso il disegno e il gioco Sede e date: Firenze, 27-28-29 giugno 2014 - crediti 5 Segreteria ISFAR: Viale Europa 185/b - 50126 Firenze - Tel./Fax 0556531816 e-mail: info@isfar-firenze.it - www.isfar-firenze.it (lun.-ven. 9-13/14-18)
ANPEC ASSOCIAZIONE NAZIONALE PEDAGOGISTI CLINICI
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PROFESSIONE
MEDIATORE FAMILIARE Ad indirizzo globale Ai sensi della Legge 4/2013 Sede e data di inizio: Firenze, 11 aprile 2014 Formazione accreditata dall’Associazione Mediatori Familiari AIMeF (codice Accreditamento n°228/2013) Formazione riconosciuta dall’Associazione Mediatori Relazionali Destinatari: laureati in Psicologia, Scienze e tecniche psicologiche, Pedagogia/Scienze dell’Educazione o della Formazione, Giurisprudenza, Scienze politiche e Sociologia. Possono accedere anche coloro che sono in possesso del Diploma di Assistente sociale o della Qualifica di Pedagogista Clinico ANPEC. Requisiti minimi di ingresso: Laurea di primo livello; l’esame finale potrà essere sostenuto solo dopo il conseguimento della laurea universitaria. Il corso e a numero chiuso, con un massimo di 27 allievi. Mediatore Familiare: È una professionalità altamente qualificata che opera nel settore della sanità e assistenza sociale. Organizza sedute con genitori separati o separandi nella particolare circostanza di una separazione in atto al fine di mantenere vivo il senso e la pratica della loro responsabilità genitoriale. Aiuta la coppia a trovare, al di fuori del sistema giudiziario, un’intesa nella direzione di una separazione soddisfacente con la premura di salvaguardare l’esercizio della cogenitorialità. Più in generale prende in carico la coppia nella mediazione di conflitti legati alla separazione. Modello globale (Haynes e Buzzi): Secondo il Modello Globale, oggetto della Mediazione Familiare non sono soltanto i conflitti inerenti la separazione/divorzio né solo quelli connessi ai figli, ma anche tutte le conflittualità legate al patrimonio familiare (assegno di mantenimento, divisione della casa ecc.), poiché si parte dal presupposto che le aree siano intrinsecamente legate. È un percorso aperto anche a coppie senza figli e non sposate poiché lo scopo di questo tipo di mediazione è dare alla coppia la possibilità di ritrovare un canale di comunicazione al fine di vivere il momento della separazione nel modo meno traumatico possibile. Con il superamento dell’esame verrà riconosciuta e attestata la Qualifica di Mediatore Familiare che consentirà agli allievi di iscriversi al Registro dei Mediatori Familiari dell’AIMeF. Il programma, Il calendario completo e i docenti della formazione possono essere consultati visitando il sito www.isfar-firenze.it Organizzazione didattica: Il percorso formativo include otto weekend intensivi (venerdì, sabato e domenica) in aula e una giornata dedicata alla verifica finale. Orari: venerdì 10:30-13/14-18; sabato e domenica 9-13/14-16:30 Quota di iscrizione: Euro 186,00 - Quota di frequenza: Euro 1650,00, divisibile in tre rate da euro 550,00 ciascuna. Sede della formazione: Firenze: ISFAR Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca - Palazzo Giraldi, Via del Moro 28 (a 100 metri dalla stazione ferroviaria di S.M. Novella) Segreteria ISFAR: Viale Europa 185/b - 50126 Firenze - Tel./Fax 0556531816 e-mail: info@isfar-firenze.it - www.isfar-firenze.it (lun.-ven. 9-13/14-18)
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CONSULENZA TECNICA E PERITALE PRESSO IL TRIBUNALE CTU-CTP Sedi e date: Catania, 7-8-9 marzo 2014; Firenze, 23-24-25 maggio 2014 Destinatari: Psicologi, laureati in Psicologia (classi 58/S; LM-51; V.O.), in Scienze e tecniche psicologiche (classi 34; L-24) e Pedagogisti Clinici ANPEC. I partecipanti alla formazione saranno inclusi in un elenco di specialisti annualmente aggiornato in siti web. Prospetto della formazione Il percorso formativo è strutturato in modo da permettere l’acquisizione delle competenze teoriche, metodologiche e tecniche e la professionalità necessaria per svolgere convenientemente la consulenza in tutte quelle situazioni di carattere conflittuale per cui è stato previsto un procedimento giudiziario. Le figure professionali di Consulente Tecnico d’Ufficio e di Consulente Tecnico di Parte sono previste e delineate dal Codice di Procedura Civile (libro I - art. 61-64) e dal Codice di Procedura Penale (libro III - art. 220-233). • Il Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) nei processi civili • L’iscrizione all’Albo dei Consulenti Tecnici • Doveri del Consulente • L’udienza di comparizione • Le operazioni e le tecniche peritali • Strumenti di valutazione nella consulenza tecnica • Il Consulente Tecnico di Parte (CTP) • Responsabilità del Consulente e sanzioni • La Consulenza Tecnica nei processi penali • Gli ambiti della consulenza (separazione, divorzio, affidamento, adozione, valutazione del “danno” sul minore ecc.) • Caratteristiche generali della perizia • Tecniche di redazione della relazione peritale • Esercitazioni con supervisione guidata • Stesura e discussione della consulenza tecnica Docente: Prof. Dott. Sergio Gaiffi, Psicologo, Psicoterapeuta, Consulente Tecnico per il Tribunale di Prato Al termine degli incontri verrà rilasciato il Certificato di
Formazione in Consulenza Tecnica e Peritale (CTU-CTP) Organizzazione didattica: il percorso formativo si articola in un week-end intensivo (venerdì, sabato e domenica) Orari: Per la sede di Firenze venerdì 10:30-13/14-19; sabato e domenica 9-13/14-18; Per la sede di Catania venerdì e sabato 9-13/14-19; domenica 9-13/14-16 Quota di iscrizione: Euro 186,00 - Quota di frequenza: Euro 200,00 Sedi della formazione: Catania: Hotel Catania Ognina***, Via Messina 626/28; Firenze: ISFAR Istituto Superiore Formazione Aggiornamento e Ricerca-Palazzo Giraldi, Via del Moro 28 (a 100 mt. dalla stazione ferroviaria di S.M. Novella) Segreteria ISFAR: Viale Europa 185/b - 50126 Firenze - Tel./Fax 0556531816 e-mail: info@isfar-firenze.it - www.isfar-firenze.it (lun.-ven. 9-13/14-18)
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do una metodologia e una strategia educativa adeguate. Nell’individuare le strategie metodologiche e didattiche (strategie didattiche differenziate) il consiglio di classe e/o il team terrà conto di: - tempi di elaborazione - tempi di produzione - quantità dei compiti assegnati - comprensione consegne (scritte e orali) - uso e scelta di mediatori didattici che facilitano l’apprendimento (immagini, schemi, mappe concettuali); b) L’introduzione di strumenti compensativi: - tabelle e formulari (regole matematiche, formule chimiche, elementi di morfologia) - calcolatrice - computer - risorse audio (sintesi vocale, audiolibri, libri parlati) - uso in classe del registratore (o mp3) - uso di cartine geografiche e storiche, meglio se tematiche - PC con programmi di videoscrittura e correttore ortografico - materiale didattico registrato - dizionari multimediali - schemi di sviluppo per l’elaborazione del testo scritto - schemi per la comprensione del testo - uso di mappe concettuali durante le spiegazioni - uso di mappe concettuali durante le interrogazioni o le elaborazioni scritte
- uso dello stampatello maiuscolo e del carattere Arial o Verdana. A tutto ciò si aggiungono le Misure dispensative, che esimono l’alunno da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere, quali: - lettura ad alta voce - prendere appunti - rispetto dei tempi standard - risposte aperte nei test strutturati - verifiche orali non strutturate (tipo domande aperte) - svolgere tutti i compiti assegnati per casa (la riduzione deve essere concordata e non autogestita!) - interrogazioni “a sorpresa” c) per l’insegnamento delle lingue straniere, l’uso di strumenti compensativi che favoriscano la comunicazione verbale e che assicurino ritmi graduali di apprendimento, prevedendo anche, ove risulti utile, la possibilità dell’esonero. 3.Le misure di cui al comma 2 devono essere sottoposte periodicamente a monitoraggio per valutarne l’efficacia e il raggiungimento degli obiettivi. 4. Agli alunni con DSA sono garantite, durante il percorso di istruzione e di formazione scolastica e universitaria, adeguate forme di verifica e di valutazione, anche per quanto concerne gli esami di Stato e di ammissione all’università nonché gli esami universitari.
B) Approccio ecologico A fronte di un disturbo in sé non grave ma parzialmente pervasivo, nel senso che interessa molte funzioni, o azioni dell’alunno (vedi impacci motori, grafo-motori, nel calcolo orale, nella gestione del tempo, nell’incolonnamento, ecc.), l’intervento deve corrispondere ad una presa in carico globale e, pertanto, si impone come: - intervento individuale; - avvertenze per la scuola; - avvertenze per la famiglia. Si tratta di azioni di carattere pedagogico-clinico di tipo preventivo, educativo, di consulenza e formazione di insegnanti e genitori, di intervento sugli ambienti e sui materiali. L’intervento individuale (eseguito in ambito specialistico e quindi non in ambito scolastico) va eseguito su tutte le funzioni esecutive coinvolte nelle difficoltà: motorie, percettive, mnestiche, linguistiche, grafo-motorie, di pensiero, di calcolo, di lettura e scrittura, ed è per questo che si qualifica come intervento ecologico. In tali ambiti si attivano via via funzionalizzazioni tendenti a potenziare le tre dimensioni fondamentali dell’intervento, ovvero: - le successioni nel tempo e nello spazio, le sequenze temporali e spaziali (in quest’ultimo caso da sinistra a destra); - gli automatismi, l’agire automatico, pronto, senza esitazioni, spontaneo, secondo schemi (circuiti, moduli corticali) me-
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morizzati e stabilizzati; - la fluidità, nel senso di giusta velocità, rapido autocontrollo, ecc. In altre parole, si tratta di abilitare al meglio le sequenze d’azione, l’agire in sequenza in ogni espressione, pertanto sequenze motorie in luogo di schemi motori singoli, sequenze percettive, sequenze mnestiche, linguistiche, grafo-motorie, ecc. In quanto alla lettura e alla scrittura, poi, l’intervento non esclude in linea di principio l’analisi delle lettere, la lettura di lettere e la successiva fusione in sillabe e in parole (procedura sub-lessicale, o sintetica) ma, successivamente, tende alla lettura globale dell’intera parola come predizione del significato, favorendo la prontezza dell’avvio, la velocità e la conseguente comprensione del testo. Si tratta, in definitiva, di promuovere nel discente attività che orientano il lavoro abilitativo e di rimuovere errati automatismi di frammentata analisi e fusione di lettere (che costituiscono una forma di lettura distorta, ovvero “non lettura”) con corretti automatismi di lettura globale di parole (più avanti, di enunciati), secondo una visione d’insieme, che procede fluidamente da sinistra verso destra senza interruzioni o inciampi, salvo fisiologiche rapidissime “regressioni”. In effetti questi stessi processi sono quelli che regolano la scrittura normale e, come tali, sono ricercati intenzionalmente, in luogo del lento scrivere lettera
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per lettera. In entrambi i casi, la costruzione di automatismi e processi scrittori e lettori più rapidi conferisce comprensione del testo, brillantezza del pensiero, dinamicità generale ed alta motivazione. C) Approccio integrato (Come comportarsi) Dal momento che l’approccio ecologico (da noi altamente sostenuto) per ovvi motivi pratici e strategici non può essere realizzato in ambito scolastico né delegato esclusivamente alla famiglia dell’alunno in difficoltà e alla sua sfera decisionale, cosa si può implementare delle sue valide intuizioni nella pratica scolastica? Ferma restante l’applicazione delle misure educative e didattiche di supporto, previste dall’art. 5 della Legge 170, i docenti possono tenere presente in primis che, nel fronteggiare i problemi causati dai DSA vengono a trovarsi di fronte a un campo di studio e di ricerca in progress, che in quanto tale li invita ad attivare una maggiore attenzione alla didattica meta-cognitiva e contestualmente a sperimentare nuove vie metodologiche e strategiche nel processo di insegnamentoapprendimento, anche con iniziative di ricerca-azione. In secondo luogo essi possono tener presente che il loro lavoro in questa direzione non andrà perduto, perché “una buona didatti-
ca per un soggetto con DSA è una buona didattica per tutti”. La migliore soluzione appare quindi (laddove si intravveda l’auspicata possibilità di nonprotesizzare completamente le abilità procedurali dei discenti) quella di usare un approccio integrato (l’integrazione cioè dei due approcci precedentemente citati). Tale integrazione mette l’alunno con DSA in grado di risolvere momentaneamente le sue difficoltà scolastiche (…vedi ad esempio difficoltà di calcolo superate con l’aiuto della calcolatrice all’interno di un problema di matematica …) e di vedere così accresciuta la sua autostima, dal momento che egli si sente capace di poter fare. Contestualmente l’auspicata possibilità di non-protesizzare completamente le abilità procedurali dei discenti, ma di implementare in loro i semi di uno sviluppo evolutivo autonomo, cioè che faccia leva essenzialmente sui loro punti di forza e ne potenzi indirettamente i punti di debolezza (per quanto possa essere ancora possibile in relazione all’età e alla disponibilità funzionale dei soggetti), trascina questi ultimi all’interno di un circuito cibernetico virtuoso di crescita, nel quale potranno trovare in un percorso educativo a spirale3 quasi sicuramente la loro futura e matura risoluzione.
Spiral Approach- Charles A. Reavis, Frank R. Whittacre “Professional Education of Teachers: A Spiral Approach”, University of North Carolina, At Charlotte 28205
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…implementare in loro i semi di uno sviluppo evolutivo autonomo… trascina all’interno di un circuito cibernetico virtuoso di crescita… …un percorso educativo
Bibliografia Bateson Gregory, “Verso un’ecologia della mente”, Adelphi Edizioni, Milano, 1976, pagg. 533 Bion W.R., “Apprendere dall’esperienza”, Armando Editore, Roma, 1972, pagg. 176 Bion W.R., “Esperienze nei gruppi”, Armando Editore, Roma, 1971, pagg. 208. Bleger Jose’, “Psicoigiene e psicologia istituzionale” Libreria Ed. Lauretana, Loreto, 1989, pagg. 336. Corrado Nicola, “Bella senz’anima”, in:”Scuola che cambia” (a cura di G.Pesci e M.Mani), Ed. Magi, Roma, 2011, pag. 165-177. Crispiani Piero, “Dislessia come disprassia sequenziale” Ed. Junior, Azzano S. Paolo (Bg), 2011, pagg. 320 Crispiani Piero, Bitti N., Esposito L.,Fiorillo A., Gulli F., Mignanelli F., “Dislessia-Disgrafia. Azione 2- la Motricità, azione 3-le Percezioni- azione 4- la Memoria” Ed. Junior, Azzano S.Paolo (Bg), 2009, pagg. 80. Grindberg L., Sor D., Tabak E de Bianchedi, “Introduzione al pensiero di Bion”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1993, pagg. 176. Gardner Howard, “Educare al comprendere- Stereotipi infantili e apprendimento scolastico”, Feltrinelli Editore, Milano, 1997, pagg. 302. Lodoli Marco, “Il rosso e il blu – Cuori ed errori nella scuola italiana”, Einaudi, Torino, 2009, pagg. 155. Pesci Guido, Reflecting, Edizioni Scientifiche Magi, Roma, 2003 Pesci Guido, Il manuale di Reflecting, Edizioni Scientifiche Magi, Roma, 2004 Pesci Guido, Il tavolo di cristallo, Edizioni scientifiche Magi, Roma, 2006 Popper Karl, “Tutta la vita è risolvere problemi”, Bompiani - Mi , 2001, pagg. 626. Salzberger I.-Wittenberg, Williams Polacco G., Osborne E., “L’esperienza emotiva nel processo di insegnamento e di apprendimento”, Liguori Editore, Napoli, 1993. Stella Giacomo, Grandi Luca (a cura), “Come leggere la dislessia e i Dsa. Guida base”, Giunti Scuola, Firenze, pagg. 281. Watzlawick P., Helmick Beavin J., Jackson Don D., “Pragmatica della comunicazione umana”, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1971, pagg. 287. Watzlawick P., Weakland John H., Fisch R., “Change – Sulla formazione e la soluzione dei problemi”, Astrolabio, Roma, 1974, pagg. 171.
a spirale per una futura e matura risoluzione.
Summary The author analyzes the content of the campaign which aims at raising the awareness of educational institutions on the problems of children with learning difficulties. He lists the laws and explained a project led by him through which he demonstrated the validity of the training content that were designed to make learning more relevant to the educational needs of the audience with specific approaches and proposals. He thinks it is not necessary to use videos or other means that implement the seeds of an independent evolutionary development based on their strengths and indirectly develop weaknesses.
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Accogliere e integrare gli alunni diversamente abili: oltre la comunicazione per aprirsi alla relazione di Antonio Viviani e Carmen Torrisi
Realizzato a Grosseto tra gennaio e marzo 2013, l’Atelier Pedagogico Clinico “Accogliere per integrare” è stato promosso dal Liceo Statale “Rosmini”; finalizzato al potenziamento delle abilità relazionali, ha coinvolto il personale ausiliario preposto alla cura degli alunni diversamente abili (n. 8 incontri della durata di un’ora e mezzo ciascuno). I collaboratori scolastici, così come previsto dalla normativa di riferimento in materia di handicap, sono chiamati a coadiuvare i docenti, garantendo la cosiddetta assistenza di base per allievi con handicap fisici o sensoriali. In tal senso, assumono particolare rilevanza, gli aspetti correlati al contatto con la persona diversamente abile quotidianamente indispensabili (ad es. supporto nell’igiene, negli spostamenti, nell’assunzione di farmaci) per lo svolgimento delle attività didattiche di sostegno realizzate dall’intero consiglio di classe, il nucleo del PEI (Piano Educativo Individualizzato). Lavorare per offrire aiuto ad allievi dotati di “diverse” potenzialità ed esigenze, richiede una “diversa” dedizione e una “diversa” modalità di con-tatto. Simili interventi indubbiamente possono risultare impegnativi, ma possibili e gratificanti a condizione che
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quanti operano a favore degli alunni diversabili siano provvisti della maturità umana e professionale che non si affida ciecamente al buon senso ma rimane ben salda sui principi etici e legislativoscolastici a tutela della persona. Accogliere e integrare sono atti educativi che presuppongono la precisa volontà di svolgere la propria professione per il bene dell’alunno e non contemplano atti di sostituzione dei compiti e delle azioni che egli può e deve poter svolgere con dignità e autonomia. La diversità può essere maldestramente amplificata quando si sottovalutano le risorse che ogni alunno presenta. L’operatore scolastico ausiliario rappresenta una figura di riferimento, un “custode” capace di assistere prontamente in qualunque frangente. In nessun caso si tratterà di una figura invadente, autoritaria e chissà forse a tratti tirannica, ma di chi sa essere pronto e disponibile nel prestare un’assistenza intelligente ossia incline ad adattarsi adeguatamente alle situazioni che gli si pongono di fronte. Il collaboratore scolastico, una volta chiamato bidello (ora da intendere con accezione riduttiva e negativa) in termini di riconoscibilità sociale è sostanzialmente una figura
in standby. Spesso relegato sullo sfondo dello scenario scolastico, è paradossalmente un attore non protagonista, ancora in attesa che il delicato ruolo ricoperto all’interno dei complessi meccanismi scolastici, sia pienamente apprezzato da quanti beneficiano del suo insostituibile e fattivo contributo. In realtà, se opportunamente formato, il collaboratore può diventare uno degli attori fondamentali dell’organizzazione scolastica insieme ai docenti, agli allievi ed ai genitori. Un professionista che si occupa di tutti gli allievi, dotato non solo di attitudine all’ascolto e all’accoglienza, ma, se adeguatamente formato, attento alla semiotica della relazione, pronto a cogliere ogni sfumatura comunicazionale. Quando aiuta gli allievi diversabili, potrebbe far parte del consiglio di classe allargato (al personale ASL e alle famiglie) in virtù del costante contatto con gli studenti in spazi e tempi diversi da quelli vissuti dai docenti. Alla luce di queste considerazioni, appare auspicabile una nuova prospettiva della figura del collaboratore che, se integrata adeguatamente nel sistema scuola, presenta potenzialità di rilievo per fornire un aiuto ancora più efficace. Gli ausiliari, rappresentano, oltre
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che per i docenti e gli studenti, un punto di riferimento essenziale per le famiglie e gli operatori extrascolastici che a vario titolo, prestano il loro servizio a supporto dell’intera rete di supporto. Questo aspetto evidenzia la fitta trama di relazioni alla base dell’efficienza dell’istituzione scolastica e sottolinea la necessità che ogni individuo non sia soltanto a conoscenza delle proprie modalità comunicative ma che sappia ben implementare uno scambio relazionale. Non si tratta infatti di “mettere qualcosa in comune” (comunicazione), ma di saper sostare in ambiti relazionali sempre più impegnativi (si pensi, ad esempio, al cosiddetto fenomeno del bullismo e, ultimamente, ai BES – Bisogni Educativi Speciali – che includono anche “le abilità diverse”). Nel sistema-scuola, così come sul piano sociale inteso globalmente, la diversabilità ha diritto non solo ad una reale integrazione, ma da una vera e propria inclusione; la capacità di accogliere gli allievi con bisogni speciali determina di conseguenza, la qualità effettiva dell’istituzione educativa. La scuola che accoglie gli allievi diversabili ne valorizza la presenza, fronteggiando le difficoltà relazionali e le incomprensioni linguistiche (verbali e non verbali) che compromettono sia l’apprendimento didattico, sia la socializzazione. Nella progettazione e attuazione dell’evento formativo, sono confluiti sinergicamente i contributi multidisciplinari afferenti la Psico-
logia (informazioni sulle classificazioni delle patologie, per andare comunque oltre una mera classificazione nosografica) e la Pedagogia Clinica, con l’attenzione a nutrimenti globali della persona. Sul piano esperienziale, il laboratorio è stato caratterizzato dalla coesistenza di simulate, drammatizzazioni e rappresentazioni sceniche concomitanti con processi riflessivi. L’offerta di situazioni relazionali dirette e concrete è stata ritenuta funzionale non solo affinché fosse possibile vagliare la tipologia degli scambi ma anche perché il corsista potesse avvertire la necessità di vivere, riconoscere e “aggiustare” le proprie modalità relazionali in tempo reale! Ulteriori opportunità formative individuali, di coppia e di gruppo sono state desunte dal metodo Edumovement® e dalla Pedagogia Creativa; per i corsisti il proprio mondo interiore è diventato più facilmente afferrabile e manifestabile attraverso il movimento educativo del corpo e l’espressione grafica. In congruenza con i fondamenti epistemologici della Pedagogia Clinica, nel setting esente da atteggiamenti direttivi e condizionanti, non sono stati forniti gli attesi pareri e suggerimenti. Dalla dinamicità, requisito prioritario del progetto, è scaturita un’alternativa alla staticità prevista dai corsi di formazione tradizionali. Così i “nostri” ben presto hanno realizzato che le comode poltrone, poste in bell’ordine in aula magna,
avrebbero rappresentato in questa circostanza, solo dei posti di riferimento fisici su cui sostare brevemente all’inizio e alla fine di ogni incontro. Si è trattato, infatti, di punti di appoggio che in realtà, il più delle volte sono stati collocati da subito ai margini dell’aula per lasciare libero lo “spazio fisico”. Nell’aula diventata un luogo d’incontro sicuro, esente da orecchi indiscreti, attraverso il metodo Reflecting®, raccontarsi non è stato difficile; ha rappresentato il posto adatto per liberarsi di quei pesi che a lungo hanno gravato sulla persona nella sua interezza psico-fisica e il luogo dove depositare le proprie zavorre. Il gruppo è apparso “assetato” di attenzione e disponibile alla riflessione; alcuni corsisti hanno raccontato il loro vissuto lavorativo, mentre altri hanno trovato elementi di comunanza in quanto dichiarato, ritrovando-
…è scaturita un’alternativa alla staticità a cui si assiste nei corsi di formazione tradizionale. 25
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si in alcune vicissitudini simili. Tutti hanno sostenuto con fermezza l’importanza del loro ruolo all’interno delle dinamiche scolastiche, soprattutto quando le incomprensioni tra le varie componenti interne ed esterne, richiedono il loro intervento fluidificatore; particolare riferimento è stato fatto alla figura dei genitori che spesso confidano ai collaboratori timori ed ansie. Il clima laboratoriale è stato articolato; a chiusure, inibizioni e blocchi interiori si sono alternati sfoghi, aperture e vere e proprie esplosioni. Lungo il percorso, profonde dinamiche esistenziali hanno favorito un incremento di vitalità attraverso la riflessione. Il gruppo, impegnato nell’ecoscandaglio delle cause del disagio interiore, ha potuto esaminare in autonomia decisionale e attraverso le proprie abilità critiche, i complessi aspetti della relazione con l’altro e vagliare gli effetti di differenti stili comportamentali, in prospettiva intra e interpersonale. La ricerca di migliori equilibri relazionali quindi, è partita da un’autoanalisi autentica e funzionale al rapporto con se stessi e, a ricaduta, con gli altri. Superata la logica della mera denuncia sociale e conclusa la disamina delle inadeguatezze, è emersa l’importanza di porre attenzione alle proprie responsabilità. E seppur lentamente, sono affiorati aspetti positivi riferiti soprattutto a contesti affettivi con gli alunni ed a gesti di solidarietà e mutuo
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soccorso tra colleghi. Le difficoltà umane e logistiche, descritte con indignazione, sono state analizzate e riversate al centro del cerchio costituito da operatori scolastici e formatori ed il fil rouge tematico degli incontri è riassumibile nei concetti-chiave di accoglienza e relazione. Il progetto pedagogico clinico si è avvalso di contributi teorici concernenti la complessa dimensione della diversabilità; offerti attraverso supporti multimediali, appositi dinamismi (verbali, figurativi e filmici) hanno arricchito il percorso formativo e suscitato maggiore consapevolezza civica. L’elaborazione di input introspettivi ha richiesto al gruppo disponibilità e motivazione per procedere alla conquista di “nuovi orizzonti”. Incontro dopo incontro, i retaggi di pregiudizi e di distorsioni cognitive, filtrati dalla rielaborazione,
sono divenuti possibilità e intuizioni costruttive. Superata l’esigenza di sostare sulle criticità del contesto lavorativo, l’iniziale resistenza al cambiamento è andata attenuandosi. Rimossa gradualmente la pesantezza causata da rabbia e frustrazione, il gruppo ha raggiunto uno stato di liberazione e una rinnovata consapevolezza del proprio valore. Nuove intuizioni, nuove percezioni e nuove sensazioni sono divenute prodromo per l’espansione del sé. Migliorate le intese e accettate la diversità degli altri (tempi, modi, bisogni, paure, desideri, abitudini) i corsisti si sono rivelati motivati nell’affinare le doti espressivo-relazionali. È emerso con forza il bisogno educativo che il personale scolastico sviluppi conoscenze e competenze che consentano l’ottimizzazione delle energie personali, in considerazione dell’importanza di evitarne qualsiasi spreco o dispersione.
Bibliografia Pesci G., Pedagogia Clinica. La pedagogia in aiuto alla persona, Torino, Omega Edizioni, 2012. Perri A., Nulla di troppo. Il linguaggio verbale nel Reflecting, Roma, Edizioni Magi, 2013. Dossick J. - Shea E., Pedagogia creativa, Roma, Edizioni Magi, 2002. Summary “Welcoming to integrate” is the objective of the Clinical Pedagogy Workshop, whose experiences are presented here, and were able to highlight how to open the disabled to relationship. To this purpose, the training was attended by school operators, the “janitor” roles that need to regain the ability to provide the disabled with prompt assistance. Many methods of clinical pedagogy came together in the design and implementation of the training event, enabling the team to regenerate themselves with a body of knowledge and expertise that helped optimize their personal energies.
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Dizionario di pedagogia clinica La Redazione
Ogni disciplina scientifica al fine di determinare con la massima puntualità ed esattezza i fenomeni che rientrano nell’ambito delle proprie competenze, oltre a creare un lessico di termini tecnici con significati specifici, ha la necessità di soffermarsi su quelli già esistenti per rilevarne l’inadeguatezza e smascherare la confusione intellettuale, fare chiarezza ed evitare equivoci terminologici che possono incidere negativamente sui progetti di rinnovamento. La lingua si identifica col patrimonio culturale, perciò in presenza di una nuova disciplina ben si giustificano la scelta e la spiegazione di alcune voci al fine di caratterizzare e illuminare. Esse danno fisionomia ai principi e servono non per complicarli, bensì per renderli chiari nel loro diverso impiego. Era naturale quindi che la pedagogia clinica sostenuta dal principio educativo e orientata alla globalità, per essere vitale, non potesse ridursi a un vagheggio di altre scienze e tendesse ad acquisire un linguaggio proprio, un glossario specializzato, alimentato da coesi contenuti umanistici e scientifici, maturato dalle elaborazioni teoriche, dai risultati della ricerca e dalle esperienze di aiuto orientate alla persona. I lemmi che la pedagogia clinica ha ritenuto debbano essere rifiutati o rivisitati, sono in gran numero, tra questi “fase” e “stadio” contrari ad un continuum non tem-
poralmente sezionabile. Anche “scala” e “livello” non sono accolti nella nostra area umanistica poiché sono utilizzati come strumenti di misura, per ordinare secondo una graduatoria fenomeni e dati ottenuti da indagini e per catalogare aspetti settoriali, con la pretesa di mettere a confronto gli individui. Del pari è evitata la voce “profilo”, intesa come rappresentazione schematica di risultati e, pure, “protocollo”, scheda divisa in caselle che devono essere riempite con delle crocette, a fronte di risposte a domande, altresì “bilancio” utilizzato nel senso di “elenco di voci riassuntive” o rappresentazione della persona con curve ascendenti, discendenti o anarchiche. La stessa sorte viene riservata al lemma “esercizio”, ovvero acquisizione di abilità mediante una ripetizione frequente di atti, occasioni di ammaestramento, di un insegnamento avulso da esperienze. In particolare la pedagogia clinica rifiuta le voci prese a prestito da altre professioni. La correttezza, l’onestà e la deontologia professionale degli iscritti nell’Elenco dell’Associazione Nazionale dei Pedagogisti Clinici, impedisce di accogliere il termine “esame” (a cui sottoporre e in base al quale “valutare”), i termini “disturbo”, “trattamento”, “riabilitazione”, “rieducazione”, “caso” e la lista potrebbe continuare. In obbedienza a un criterio scienti-
ficamente fondato i pedagogisti clinici hanno affiancato alla sperimentazione metodologica la messa a punto di un lessico adeguato che comprendesse termini tecnici con significati specifici, indispensabili per esprimere nuovi concetti – elaborati per sfidare i vecchi – e che ha comportato una selezione fra i vocaboli in uso. Sono comparsi pertanto dei lemmi nuovi, essenziali per un solido quadro concettuale di riferimento, una base teorica e metodologica capace di orientare un’azione educativa nella quale riconoscersi professionalmente. Il dizionario di pedagogia clinica è l’esito di tale obiettivo, esso ha la funzione di evitare confusioni terminologiche, rendere chiaro l’impiego dei suoi numerosi lemmi, darne fisionomia e giustificazione al fine di caratterizzarne e illuminarne la specificità. Esso spiega i termini e i concetti chiave della pedagogia clinica divenendo per questo un punto di riferimento sia per la ricerca che per l’aiuto alla persona (clinica). Raggiungere un capitale di lemmi ben definiti costituisce un segnale positivo inequivocabile sullo stato di progresso della disciplina, a conferma dell’enunciato che una scienza è una lingua di genere. La completezza documentaria riteniamo sia un atto di responsabilità nei confronti della comunità scientifica con cui si è voluto condividere il successo ottenuto.
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A Congressi, convegni, seminari, incontri… Nicosia Nella cornice di Nicosia si è tenuto presso il Centro Congressi Cannata il Convegno su “I Disturbi Specifici dell’apprendimento-Interventi nel rispetto della persona”. L’evento, presieduto dal Prof. dott. Guido Pesci ha avuto il patrocinio della Provincia di Enna e del comune di Nicosia, del Comune di Troina, ASL 4 Enna e del MIUR regionale e provinciale. Le interessanti relazioni, anticipate dai saluti delle autorità, hanno avuto il plauso di un pubblico attento che ha occupato ogni posto disponibile nella sala. L’iniziativa ha raccolto non solo l’interesse dei partecipanti quanti in particolare quelli della stampa e dei mass-media che hanno dato l’opportunità di un’eco su tutta la regione. Matera La collega Rosalia Tedeschi ha organizzato e tenuto a Matera, nell’ambito di un percorso formativo attivato dal “Serra Club Matera n. 463” Aggregato alla Pontificia Opera delle Vocazioni Sacerdotali” diretto a studenti della scuola secondaria di 1° e 2° grado, atelier pedagogico clinici a cui hanno partecipato oltre ai ragazzi anche genitori e professori. La validità dei risultati raggiunti ha trovato ampio spazio sui mezzi di informazione. Albenga Si è concluso con una festa e la consegna dei diplomi, il corso di aggiornamento per Operatori di reparto dei Servizi Sanitari che si è svolto presso l’RSA “Domenico Trincheri” di Albenga, condotto dal dottor Gabriele Olivieri, pedagogista clinico. L’interessante iniziativa ha trovato ampi riscontri e ottenuto un grande successo, reclamizzata anche per mezzo di fonti giornalistiche. Città della Pieve La collega Stefania Bruni ha tenuto presso la Libera Università di Città della Pieve il corso di pedagogia su “Ruoli, funzioni, competenze educative di genitori e nonni in un confronto trigenerazionale” con la finalità di aiutare le componenti presenti ad esplorare e capire i bisogni (doveri, aspettative e speranze) e le difficoltà che il ruolo educativo di genitori e nonni comporta durante i cambiamenti associati alle varie fasi della vita. Il percorso ha offerto spunti e suggerimenti pedagogici
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per tutti coloro che, coinvolti in una relazione educativa desiderano arricchire le loro competenze e acquisirne una maggiore consapevolezza. Sempre in Città della Pieve mantiene attivo ogni anno il laboratorio educativo “Le emozioni in gioco” rivolto a bambini dai 3 ai 6 anni e dai 7 ai 10 anni, finalizzato a favorire la crescita emotiva e cognitiva, accrescere la fiducia e la stima di sé, potenziare le capacità individuale. A richiesta dei genitori dell’Istituto Comprensivo di Città della Pieve la collega ha inoltre presentato il Progetto per i bambini della scuola dell’infanzia, “Corporeamente-Conoscere e crescere attraverso il corpo in movimento”.
Napoli La collega Carmen Iovine il 26 settembre 2013 ha presentato presso la sede del Consiglio Regionale della Campania il libro da lei scritto “Guarire dagli attacchi di panico senza psicofarmaci”. La presentazione è stata sostenuta dagli interventi di specialisti diversi, dando così l’opportunità di sostare ampiamente sulla tematica e creando un’occasione di incontro di grande interesse per il pubblico presente. Castellamare di Stabia Presso il Circolo Nautico di Castellamare di Stabia, il 5 ottobre 2013, Carmen Iovine ha presentato il suo libro “Guarire dagli attacchi di panico senza psicofarmaci”. Anche in questa occasione, così come per la presentazione avvenuta a Napoli, assieme a lei, sul tema degli attacchi di panico, si sono espressi molti specialisti. Dai diversi contributi ne è derivato un incontro culturale e scientifico di ampio interesse. Reggio Calabria Francesca Cartellà in occasione della trasmissione di ReggioTV “Dialoghi in studio aperto di personaggi e persone” è stata intervistata dal giornalista Lamberti Castronuovo.
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e a cura di Antonio Viviani
Firenze Il 21 Settembre 2013 la sezione provinciale di Firenze con le colleghe Susanna Calvani, Letizia Checcucci, Carmen A. Grullon, Monica Maressi, Monica Paolini, Vania Rigoni ha partecipato alla seconda edizione di “Bimbi&Natura-La festa per crescere insieme” tenutasi nello storico giardino mediceo dell’Orticoltura. L’evento promosso dal Comune di Firenze e dalla Regione Toscana ha visto coinvolte molte professionalità e associazioni rivolte ai bisogni del bambino e della famiglia. La giornata si è svolta all’insegna dell’informazione, dell’accoglienza e dell’ascolto coinvolgendo i bambini e le loro famiglie in esperienze su “I cinque sensi dell’arcobaleno” e “Osservando il mondo”.
Aprilia Il progetto “Benessere e qualità della vita nella scuola” condotto da Stefania Salvaggio è giunto con ampio riconoscimento al IV anno ed a ciò si è aggiunta l’apertura di sportelli di ascolto in altre scuole, tanto da dover fare richiesta di collaborazione ai colleghi del territorio. Al tempo stesso la Salvaggio ha iniziato la formazione agli insegnanti della scuola dell’infanzia presso l’Istituto Comprensivo IV Circolo di Aprilia. Fano La collega Paola Corradini direttore ANPEC Regione Marche si è attivata per ottenere l’accreditamento dei progetti presentati all’Ufficio Scolastico Formazione della Regione Marche. Tali progetti sono stati accolti e possono essere visionati su Ufficio Scolastico Regione Marche, alla voce Formazione.
Betlemme Il collega Sami Basha, President’s Assistant for Planning and Development Affairs Director of Special Education Program and Center Palestine Ahliya University College – Bethlehem, ha organizzato ed è stato relatore della III Conferenza Nazionale sui programmi di Special Education nelle università palestinesi dal titolo “Persons with Disabilities… ACT, Vision and Implementation for sharing the future” tenuta presso la Palestine University di Betlemme.
Grosseto Antonio Viviani e Carmen Torrisi hanno tenuto presso il Liceo Statale Antonio Rosmini- Liceo linguistico e Liceo delle Scienze Umane il corso su “Accogliere e Integrare gli Alunni Disabili Percorso formativo per i Collaboratori Scolastici inserito nell’ambito delle iniziative di aggiornamento dell’a.s. 2012/13. La finalità del percorso formativo è di acquisire le abilità espressivo-comunicative nella relazione con gli alunni disabili e con quanti concorrono alla loro tutela nell’ambito scolastico ed extrascolastico.
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A Castelfidardo (AN) Sara Pidalà e Paola Corradini hanno partecipato nei giorni 1-2 giugno 2013 all’evento Vita Futura-Futuro & neo mamme a tu per tu con i professionisti del mondo dell’infanzia e del benessere” tenuto presso l’Osteria La Fisarmonica. Si è trattato di Convegni Stand e Laboratori per bambini in cui le colleghe hanno tenuto durante i lavori del Convegno una relazione su “La corporeità nella gravidanza e nell’affettività neo-natale”.
Monza Al Festival delle Famiglie di Monza e Brianza sabato 12 ottobre presso il Pala Iper di Monza si è tenuta la IV edizione a cui ha partecipato la sezione ANPEC territoriale sostenuta dalle colleghe coordinate da Barbara Boffi. Il Festival è un importante evento che coinvolge associazioni, cooperative sociali ed enti locali che sono al servizio della famiglia sia in ambito pedagogicoeducativo.
Grosseto Promosso dal Liceo Rosmini di Grosseto il Progetto No Stress! rivolto al personale scolastico è stato realizzato dai colleghi Antonio Viviani e Carmen Torrisi.
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L’intervento si è avvalso di un approccio multidisciplinare basato su tecniche e metodi attivi, configurato come percorso laboratoriale ai fini di un cambiamento delle disponibilità e delle condotte. Calderara di Reno Proseguono presso la Biblioteca del Comune gli incontri del mercoledì su “La vita, la cultura” a cui quest’anno Arianna Albertarelli si è proposta con delle relazioni sull’educazione in compagnia di animali. Si tratta di una rassegna che ha richiamato nella sede degli incontri un vasto numero di partecipanti, sostenuti nei loro interessi da temi e argomenti diversi e capaci di sostanziare il richiamo e le attenzioni desiderate dall’Amministrazione.
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Catania Walter Siragusa ha condotto una interessante esperienza presso la Società Sportiva “Pro Catania”, una formazione per gli adulti che si occupano di sport al fine di promuovere una cultura intesa a considerare l’atleta nella sua globalità, e come facilitatore e mediatore tra le società sportive, la scuola e la famiglia a trovare vie di cooperazione. Vicenza È nata PedagogiKa la cooperativa sociale tra pedagogisti clinici del Veneto con tre sedi dislocate in Verona Vicenza e Padova, istituita da Federica Ciccanti, Carlo Callegaro e Sabrina Salmaso. I fondatori dichiarano “Abbiamo creato questa realtà perché crediamo che l’unione sia la forza ad oggi necessaria per emergere in questo settore, possiamo infatti realizzare meglio le attività, ottimizzare i costi e dare futuro alla nostra professione”. Ricetto di Candelo (Bi) In occasione del Festival del libro per ragazzi si è tenuto il 25 maggio 2013 un Seminario rivolto ai genitori, docenti e professionisti del settore su “Non sono stupido, non sono pigro… sono dislessico!, a cui ha partecipato con una relazione la collega Francesca Potena. Moderatore dei lavori è stato il dott. Guido Fusano Direttore Neuropsichiatria infantile ASL Biella. Tema della relazione “gli aspetti emotivi e relazionali nei DSA”
Firenze Vania Rigoni assieme ad una nutrizionista e ad una Personal shopper nell’ambito del Progetto “Un vestito per Tutti” ha tenuto presso Mimi Furaha nei mesi di maggio e giugno cinque incontri su: “Un buon incontro”, “Una fatica superabile”, “Spontaneità del corpo”, “Una relazione possibile”, “La bellezza raggiunta” Gli incontri hanno avuto la finalità di promuovere riflessioni sulla persona, il suo corpo, la nutrizione alimentare e interiore e il rapporto “noi con l’altro”. Calitri (Av) Alla Collettiva di Artisti Contemporanei Meridionali EsTetica Gerardo Pistillo oltre che esporre i suoi quadri ha avuto l’opportunità di tenere una conversazione su Pedagogia nomade, Tras-figurazioni. L’evento è stato caratterizzato da proiezioni, dibattiti ed in particolare dall’illustrazione di libri sulla pedagogia clinica tra cui la sua opera “Il corpo in pedagogia clinica”.
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L’INCONTRO La collega Monica Cavaliere e il giornalista Mario Ongaro sono apparsi il 24 febbraio 2013 nella Rivista L’Incontro con un articolo su “Racconto una storia”. Si tratta del resoconto di un’esperienza al Don Vecchi di Campalto rivolta al recupero di persone in difficoltà.
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IN BREVE Nicosia 30 settembre 2012. Oltre 200 pedagogisti di Sicilia e Calabria a confronto. Oltre 200 partecipanti al convegno sui disturbi di apprendimento, organizzato dall’ANPEC, l’associazione nazionale dei pedagogisti clinici. Grande interesse di operatori e addetti ai lavori per un seminario che ha affrontato a 360 gradi la complessa problematica dei disturbi di apprendimento, che hanno una gamma molto vasta e talvolta vengono erroneamente ritenuti riconducibili a ritardi psichici. Individuarli tempestivamente già nella prima infanzia e operare con le corrette metodologie, nella scuola e nelle strutture di riabilitazione, è fondamentale per il futuro dei bambini che ne soffrono. La presenza di convegnisti giunti da tutta la Sicilia e dalla Calabria, conferma come se ai convegni si propongono tematiche attuali e relatori di spessore, sono un elemento di sviluppo del territorio. Di richiamo, certamente, la presenza del professor Guido Pesci, presidente nazionale dell’ANPEC e direttore scientifico dell’ISFAR, Formazione post-universitaria delle professioni, luminare della pedagogia clinica. Il convegno è stato organizzato dalla direttrice provinciale dell’ANPEC Giusy Cifalà. I lavori articolati in due sessioni, hanno esaminato tutta la gamma di disturbi dell’apprendimento di fronte ai quali si può trovare l’operatore.
LA SICILIA Nicosia 29 Settembre 2012. Oggi il convegno ANPEC “I disturbi dell’apprendimento”. Si apre questa mattina alle 9,30 al cineteatro comunale, il convegno sui disturbi di apprendimento, organizzato dall’Anpec, l’associazione nazionale dei pedagogisti clinici. Il convegno è organizzato dalla direttrice provinciale Giusy Cifalà. I lavori, sono articolati in due sessioni, e puntano a esaminare tutta la gamma di disturbi dell’apprendimento di fronte ai quali si può trovare l’operatore. Questi i temi e i relatori: I docenti alle prese con i disturbi specifici di apprendimento, Brigida Morsellino preside “S. Giorgio” di Catania; I disturbi della scrittura, Gisella Marletta, neuropsichiatra; competenze fonologiche e lessicali che non supportano la scrittura, Francesca Russo; Dislessia, Mariassunta Spinelli neuropsichiatra; difficoltà di comprensione del testo, Maria Teresa Amata pedagogista “Oasi Maria SS”, Troina; Conoscenza numerica e calcolo: confronto tra persone con disabilità intellettiva lieve con e senza ADHD, Angela Costanzo pedagogista “Oasi Maria SS”, ADHD e disabilità intellettiva, Anna Torrisi psicologa
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“Oasi Maria SS”; Il Bambino ADHD Sandra Di Paola pedagogista clinico: Andrea Gabriela Lampa specialista in difficoltà apprendimento, handicap, integrazione; Disturbi dell’apprendimento: Francesco Di Blasi pedagogista “Oasi”; DSA: ritardo di linguaggio e ritardo psicomotorio, Antonio Scibona, Contino Maria Carmela psicologo, CSR, Nicosia; Indizi dei disturbi Giusy Cifalà. Relazionano Marta Mani docente Isfar, i pedagogisti Giuseppina Grasso, Loredana Cortigiani, Rosalba D’Accorso. http://www.serraclubitalia.com/2012/12/22/donosenza-reciprocita/ L’articolo a firma di Lino Sabino è pubblicato sul sito “Serra International Italia – Aggregato alla Pontificia Opera delle Vocazioni Sacerdotali” e riferisce degli atelier pedagogico-clinici tenuti dalla collega Rosalia Tedeschi a Matera nell’ambito di un percorso formativo attivato dal “Serra Club Matera n. 463” diretto a studenti della scuola secondaria di 1° e 2° grado. Alle attività ha partecipato un gruppo di circa 90 persone (80 studenti, più alcuni genitori e docenti Matera: dono senza reciprocità Si è concluso il percorso formativo organizzato dal Serra Club di Matera riservato agli alunni referenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado ricadenti nel territorio della diocesi di Matera-Irsina, propedeutico alla partecipazione del Concorso Scolastico abbinato alla seconda edizione del “Premio Letterario Mons. Francesco Saverio Conese”. Il percorso formativo ha perseguito la finalità di mettere tutti i ragazzi partecipanti, anche tramite gli alunni referenti, tutor nella propria classe, in condizione di affrontare la tematica concorsuale dettata a livello nazionale dal CNIS: Alla prima giornata di lavoro, condotta da don Ennio Tardioli sull’interrogativo “Fede: dono o ricerca?” sono seguiti i laboratori “ImmaginAzione” tenuti dalla prof. ssa Rosalia Tedeschi, pedagogista clinico, che ha proposto ai ragazzi di sperimentare un modo diverso di conoscersi, inducendoli ad approfondire il concetto di dono come messaggio di reciprocità. Partendo dalla percezione sensoriale e spaziando dalla cognizione alla trasformazione creativa, i partecipanti sono stati coinvolti in attività di autoascolto e ascolto attivo finalizzate all’ampliamento della sfera personale e all’accoglienza dell’altro. Filo conduttore dei laboratori pedagogico-clinici la lezione magistrale “Dono senza reciprocità” tenuta da Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, nella giornata conclusiva del Festival Filosofia di Modena, Car-
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pi e Sassuolo (16 settembre 2012). Per Enzo Bianchi il vero dono è l’atto di approssimarsi all’altro senza la necessità della reciprocità né l’aspettativa di una qualsivoglia riconoscenza. “Si dona ciò che si è, non quello che si ha”. La prof.ssa Tedeschi ha operato una traduzione pedagogico-clinica del percorso indicato dalla lezione magistrale di Enzo Bianchi: si dona se stessi dando la propria presenza e il proprio tempo, volto contro volto, occhio contro occhio, mano nella mano, in una prossimità il cui linguaggio narra il dono all’altro. Sguardo, parola, gesto, segno – ha affermato la prof.ssa. Tedeschi – definiscono il nostro “essere”, l’unitarietà e l’unicità di ogni persona che può arricchirsi di senso soltanto in relazione agli altri, grazie anche agli altri. L’atelier pedagogico-clinico “Il dono come messaggio di reciprocità” parte dunque dalla lezione di Enzo Bianchi, ma tende oltre: tende ad affinare la sensibilità di chi il “dono” lo riceve. Nei laboratori successivi, “Due ali per volare” ed “Espressioni armoniche”, i partecipanti hanno potuto sperimentare alcune tecniche desunte dai metodi InterArt® e Musicopedagogia® per una migliore interpretazione della espressione della “Fides et Ratio” di Papa Giovanni Paolo II. Utilizzando la similitudine delle due ali con le quali gli uccelli si librano e spaziano nell’aria, la prof.ssa Tedeschi ha spiegato le caratteristiche anatomiche e neurobiologiche del nostro sistema cerebrale che, pur presentando due emisferi preposti a funzioni differenziate, nell’attività globale diventano sincroni, così come sincroni sono i battiti delle ali in volo che portano verso la verità. Le interviste estemporanee di coppie tra i convenuti all’incontro e le attività creative artistiche eseguite individualmente e in gruppo hanno evidenziato come la parte razionale di noi riesce a dimostrare solo ciò che conosciamo, mentre il pensiero intuitivo perviene alle conoscenze indimostrabili che pure sostanziano la vita dell’uomo e, anzi, costituiscono il presupposto della stessa ricerca scientifica. La simbologia delle ali in volo racchiude la complementarietà dell’azione della ragione come libertà di pensiero che dà significato e vigore alla fede. Il percorso formativo si è concluso con il laboratorio di Musicopedagogia® che ha indotto, attraverso la rappresentazione dapprima grafica e poi corporea di “forme sonore”, a sperimentare direttamente l’integrazione degli emisferi
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cerebrali. L’integrazione emisferica – ha spiegato la prof. ssa Rosalia Tedeschi – è sostanzialmente accordo tra le parti, risoluzione dei conflitti interiori, armonia; in una parola: equilibrio psico-fisico. In ambito educativo è doveroso far sì che i giovani possano potenziare l’equilibrio personale, che possano cioè rafforzare la sicurezza in se stessi e la fiducia negli altri, innalzare l’autostima, sentirsi maggiormente aperti al confronto e pronti anche a dare se stessi agli altri senza il timore della perdita o dell’ammanco. Lino Sabino http://albengacorsara.it/2012/11/05/trincheri-festadi-chiusura-del-corso-oss/ http://mediterranews.org/2012/11/albenga-festadi-chiusura-corso-oss-al-trincheri/ Nei due siti si riporta per firma di Claudio Amanzi la conclusione di un Corso dal titolo “Animazione e Relazione nella cura dell’anziano” condotto dal collega Gabriele Olivieri al Domenico Trincheri di Albenga.
RIVISTA SALUTARE Nell’allegato della Rivista Salutare Baby Magazine si legge un articolo sul metodo Metodo Eucalculia a cura del collega Gerardo Pistillo.
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A Abbandono (scolastico). Interruzione definitiva della frequenza scolastica e degli studi con l’allontanamento dalla scuola da parte dell’allievo, (drop-out), e di quanti arrivano alla bocciatura perché hanno livelli di performance scolastiche scadenti o inferiori alle proprie capacità. Due aspetti correlabili alla difficoltà di molti allievi che non si sentono integrati nel gruppo-classe e che si vedono obbligati a stare insieme per un monte ore settimanale imposto, senza che ci siano né un reale scambio comunicativo, né il desiderio di una conoscenza più approfondita. Tali dinamiche determinano un profondo disagio nei soggetti che, per componenti caratteriali e stili relazionali, non riescono a reagire all’esclusione e all’isolamento. Tutto ciò e molto altro impone una ridefinizione della struttura scuola in quanto sede e contesto di vita sociale, di apprendimento e di crescita individuale, una rilettura dei processi formativi realizzabili in una scuola in cui la pedagogia torni ad avere il diritto di cittadinanza e l’insegnante offra all’allievo un’autentica emancipazione. Per generare un mutamento è indispensabile ripensare alla formazione degli insegnanti che, specie nelle scuole superiori dove avviene il fenomeno dell’abbandono, devono farsi promotori di una dialettica relazionale tessuta sulla disponibilità, sull’intesa, sulla fiducia e sul rispetto. La pedagogia clinica, proprio perché impegnata e interessata alla ricerca scientifica e alle mutazioni educative, a conferma che questo cambiamento è possibile, propone una specifica formazione rivolta al personale docente, finalizzata a migliorare le strutture espressive della relazione e a favorire positive situazioni di scambio con allievi e genitori. Il concerto di esperienze richiesto in tale formazione garantisce l’espansione
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di un processo maturazionale verso il raggiungimento di nuove consapevolezze, sicurezze e padronanza, valori idonei per trasferire nei giovani, oltre a conoscenze e saperi, un equilibrio psicoemotivo, una trama parentetica fra il corporeo e i contenuti affettivi ed emozionali interpretati in termini di coesistenza dialettica. Abbattimento tensionale. (vedi Tranquillità emotiva) Abbigliarsi. L’atto di ornarsi tradotto con un effetto estetico, una distinzione enfatizzata del vestirsi in un determinato modo per sentirsi a proprio agio. È un’azione che può soddisfare ogni cura, ogni pratica estetica idonea a testimoniare un’attenzione rivolta verso di sé e favorire rapporti intra e interindividuali. Conquistata una maggiore libertà nei costumi e suffragata la soggettivazione, in quanto sede primaria dell’affettività e del corpo proiezione dell’Io, l’individuo ha generato sempre più nuovi interessi, arricchiti da gusti e pregi dell’abbigliarsi con cui vivere il piacere di piacersi. L’analisi sulla cura della persona nel compiere questa azione, offre grandi opportunità per rilevare ogni informazione, precisarne l’identità personale, le facoltà e le istanze e accedere perciò a ogni sfumatura degli interessi e del manifestarsi, per comprendere quanto sia viva, partecipe di sé e disponibile ad arricchirsi con quanto lo specchio le propone. Abburattamento. Difficoltà dell’eloquio causata da una disarmonia tra l’eccessiva rapidità del pensiero e la non rispondente prontezza nell’esposizione delle parole; disordine rilevabile in persone che hanno un linguaggio verbale frettoloso e tumultuoso.
ANPEC ASSOCIAZIONE NAZIONALE PEDAGOGISTI CLINICI www.pedagogisticlinici.com COLLANA DI PEDAGOGIA CLINICA DIRETTA DA GUIDO PESCI Edizioni Magi - Roma Pagg. 152
Gerardo Pistillo
Pagg. 184
Il corpo in pedagogia clinica
Guido Pesci Marta Mani
Pagg. 172
Guido Pesci Maria Fiore
Pagg. 368
Pagg. 153
Gonnelli-Cioni
Antesignano della pedagogia clinica in Italia
Pagg. 85
Guido Pesci Simona De Alberti
Educromo
Il metodo pedagogico clinico per vincere le difficoltà di lettura
Pagg. 80
Maria Grazia Dal Porto Maria Grazia Magazzino
Pagg. 172
Jane Dossick Eugene Shea
Pedagogia creativa 52 esercizi per i gruppi
Pagg. 168
Guido Pesci Lucia Russo
L’anamnesi
Un colloquio per conoscere significati complessi
Il pedagogista clinico mediatore e formatore Pagg. 127
Maria Grazia Dal Porto Alberto Bermolen
La fiaba come risveglio dell’intuizione
La Mediazione
Metodo pedagogico clinico per educare al segno pratico
Pagg. 136
Formazione e professione
Aiuto alla Persona
Prismograph
Per una scienza del movimento
Guido Pesci
Guido Pesci Marta Mani
Guido Pesci
Guido Pesci
Pedagogista clinico
Percorso clinico
Metodo per favorire l’equilibrio e il piacere
L’educazione del corpo nella scuola del domani
Pagg. 156
Pagg. 115
Touch ball
Il metodo Memory Power Improvement per il recupero delle abilità mnestiche nell’anziano Jean Le Boulch
Guido Pesci Simone Pesci
Pagg. 136
Scienza e professione
L’esperienza sonoro-musicale come aiuto alla persona nella relazione pedagogico clinica
Mnesi e invecchiamento
Pagg. 368
Mauro Carboni
Guido Pesci
Pedagogia clinica
Musicopedagogia
Il pedagogia clinico nelle istituzioni
Pagg. 115
Pagg. 150
Scuola che cambia
Ri-flessioni per essere in Forma
Pagg. 172
Guido Pesci Marta Mani
Pagg. 164
Guido Pesci Gloria Mencattini
Autonomia e coscienza di sé
Guido Pesci Anna Pesci
Pedagogia clinica in classe
Omega Edizioni - Torino Pagg. 255
PEDAGOGIA CLINICA - La pedagogia in aiuto alla persona
L’opera accoglie i contributi della pedagogia clinica, una scienza sorta dal tumulto scientifico innovativo della metà degli anni settanta del secolo scorso. L’accezione di “cura della persona”, data all’aggettivo clinico fu considerata il focus dell’elevazione di questa nuova dottrina, chiamata a rispondere alle esigenze delle persone di ogni età e dei gruppi con interventi di aiuto realizzati per mezzo di attenzioni educative. È una disciplina che ha dato origine alla professione di pedagogista clinico, un professionista che, con il suo patrimonio di conoscenza, di esperienza e di abilità, è adeguato allo sviluppo e al progresso. Sostenuto da propri metodi e da nuove tecniche esclusive, il pedagogista clinico è orientato ad affinare nella persona tutte le sue potenzialità, arricchire le possibilità conoscitive, sviluppare l’efficacia con soggettivazione i cui valori siano soddisfatti dalla stima di sé e dei propri bisogni sociali. Nel volume il lettore trova esposto il ricco patrimonio scientifico e tecnico-metodologico base di un costrutto alternativo rispetto al vivaio di discriminazioni e di risultati deludenti cui assistiamo nella nostra realtà, troppo spesso indirizzata al separatismo, fino a perdere di vista il confine tra l’ammaestramento e la vera educazione.
n. 29 numero 2 - anno XIV luglio-dicembre 2013