La parola ai giovani n.10 - Anno 2013

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#ascolto #prossimità #annuncio #parola #eucarestia #comunità #racconti #testimonianze

La Parola ai giovani SUPPLEMENTO A LA VOCE DEI BERICI NUMERO 38 DEL 6 OTTOBRE 2013

Editoriale

Appunti di metodo

Si riparte! Ma... come? Siamo all’inizio di un nuovo anno pastorale. Chiedo a me stesso e a ciascuno di voi: con quale spirito incominciamo? Sentiamo dentro di noi la carica profetica e l’entusiasmo evangelico che papa Francesco sta scatenando in ogni suo incontro, in ogni suo gesto, in ogni suo discorso? Oppure ci accontentiamo di essere nei suoi confronti degli spettatori soddisfatti, che riescono soltanto ad applaudire ma che rimangono comodamente seduti, senza che la Parola di Dio riesca a cambiare di una virgola il nostro cuore, i nostri atteggiamenti, le nostre scelte? Dovremmo chiedere al Signore occhi nuovi e uno spirito nuovo per tornare alle nostre occupazioni quotidiane con un po’ di linfa vitale, con la voglia di fare le cose di sempre in modo nuovo, creativo, costruttivo, evitando due estremi pericolosi: il pessimismo e la superficialità. Quest’anno La Parola ai giovani propone sostanzialmente la stessa tipologia di articoli ricollocati in una cornice più precisa, che prevede quattro aree: 1. Ascolto e Prossimità 2. Annuncio e Parola 3. Eucarestia e Comunità 4. Racconti e Testimonianze Sono i quattro passaggi fondamentali che abbiamo individuato alla conclusione del Sinodo dei Giovani, quei passi che diventano necessari per ogni comunità e per ogni credente che abbia a cuore la consegna della fede cristiana alle nuove generazioni. Vi sorprenderà ritrovare nell’articolo di pag. 2 alcune grandi sintonie tra la storia della pastorale giovanile vicentina e le provocazioni che papa Francesco ha dato quest’estate a Rio, durante la Santa Messa celebrata con i vescovi, i presbiteri, i religiosi e i seminaristi. Il suo triplice invito ad ascoltare i giovani, ad aiutarli nell’itinerario formativo che li porta a diventare discepoli-missionari, a promuovere in loro e nella comunità cristiana la cultura dell’incontro, è un appello molto forte a riprendere i nostri impegni pastorali di sempre con una grande certezza: chi si lascia plasmare dalla Parola, chi si prende cura della propria vita interiore, chi coltiva un dialogo di amicizia con il Signore non sarà mai ripetitivo o noioso. Ci sarà sempre dentro di noi una freschezza contagiosa. Buon anno pastorale a tutti! don Andrea Guglielmi

Settimanale di informazione della Diocesi di Vicenza

Direttore responsabile: Lauro Paoletto Testi a cura di: Ufficio Diocesano per i Giovani Impaginazione a cura di: la Voce dei Berici Piazza Duomo n. 2 - 36100 Vicenza telefono: 0444-226556 sito web: www.vigiova.it

Pastorale Giovanile

Un tempo da... “perdere”

Se la pedagogia non si prende qualche rischio M. Paoletto, pag. 2

In God we tunes “Non è bene che l’uomo sia... dispari” A. Guglielmi, pag. 4 Buio in sala Ogni tanto ci vuole un lieto fine A. Graziani, pag. 5 Dalla cattedrale di San Sebastiano, durante la Gmg di Rio de Janerio, papa Francesco ci ha lanciato tre “input” che possono aiutarci a ripartire con le attività ordinarie della Pastorale giovanile nelle nostre comunità.

Community Una fede scritta insieme

(pag. 2)

Connecting the dots

pag. 6

a cura di Andrea Frison

Impossibile fare a meno del pomodoro Uno degli aneddoti circolati all’indomani della nomina a Segretario di Stato Vaticano, descrive mons. Pietro Parolin come un appassionato di pomodori. La notizia è stata confermata anche dalla madre, Ada, la quale ha affermato che mons. Parolin «vivrebbe di pomodori». Il pomodoro è arrivato in Europa dopo la scoperta delle Americhe. Il primo carico arrivò in Spagna nel 1540 con Hernàn Cortès, di ritorno dalla spedizione che, tra le altre cose, sterminò gli Aztechi. Originariamente, il pomodoro, è nativo dell’America centrale, del Sudamerica e della parte meridionale dell’America settentrionale. Wikipedia dice (e nessuno sembra averla contraddetta) che gli Aztechi chiamavano il

pomodoro “xitomatl” e che con il termine “tomatl” indicavano una serie di frutti dalla polpa sugosa (vi dice niente la parola “tomato”?). In Italia, il pomodoro arrivò nel 1596. Nel Belpaese trovò un clima favorevole e, con il tempo, il suo aspetto passò dalla originale colorazione dorata (da qui il nome “pomo d’oro”) al rosso acceso che siamo abituati a vedere fin da bambini negli orti di casa. Da allora il pomodoro è un elemento fondamentale della cucina italiana, da nord a sud. Si è inserito così bene che pare impossibile che gli italiani abbiano potuto averne fatto a meno per tutti quegli anni! La cucina italiana difficilmente sarebbe arrivata dove è arrivata senza il po-

modoro (un immigrato, peraltro, ma questo è un altro discorso). Tolto il pomodoro, pizze e pastasciutte non sarebbero più le stesse. Provate a immaginare la vostra vita senza pomodori: non vorrei essere nei panni di monsignor Parolin! I giovani vicentini che hanno partecipato alla Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro, sono tornati a casa entusiasti. Come raccontano le testimonianze pubblicate in questo numero de La Parola ai giovani, il cuore dei nostri giovani conterranei è stato toccato da un’esperienza di Chiesa “nuova”, profetica, ricca di testimoni, vicina ai poveri e alla vita delle persone. Uno “stile” di Chiesa che papa Francesco sta mostrando al mondo e

che traccia (e traccerà) la direzione delle sue scelte (come la nomina a Segretario di Stato di mons. Parolin, per esempio, o la “consulta” composta da otto Vescovi che rappresentano le diverse parti del mondo). Chi ha conosciuto la Chiesa brasiliana, come i vicentini che hanno partecipato alla Gmg, afferma che le nostre parrocchie e la nostra Chiesa italiana avrebbero molto da imparare da quella esperienza ecclesiale. Chissà, magari capiterà proprio come con il pomodoro: un po’ alla volta quello “stile” di Chiesa importato dal Sudamerica (“quasi dalla fine del mondo”) diventerà anche il nostro. E ci piacerà così tanto che non potremo più farne a meno.


La Parola ai giovani

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#ascolto #prossimità #annuncio #parola

#eucarestia #comunità #racconti #testimonianze

Input

Da segnare in agenda

a cura di don Andrea Guglielmi

Ascolto, annuncio e incontro I tre inviti di papa Francesco A Rio de Janeiro, nella cattedrale di San Sebastiano, sabato 27 luglio nel cuore della XXVIII GMG - papa Francesco celebra l’eucarestia con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i seminaristi. Nell’omelia lancia tre provocazioni che potrebbero diventare anche per noi, all’inizio del nuovo anno pastorale, tre input per ripartire in quella pastorale giovanile ordinaria che si sviluppa nelle parrocchie, nei vicariati, nelle associazioni, nei movimenti, nei gruppi. Il primo invito che accogliamo dalle parole di Francesco è dedicare tempo ai giovani per ascoltarli. “Aiutiamo i giovani. Abbiamo l’orecchio attento per ascoltare le loro illusioni (hanno bisogno di essere ascoltati!), per ascoltare i loro successi, per ascoltare le loro difficoltà. Bisogna mettersi seduti (…). La pazienza di ascoltare! Questo ve lo chiedo con tutto il cuore! Nel confessionale, nella direzione spirituale, nell’accompagnamento. Sappiamo perdere tempo con loro. Seminare costa e affatica, affatica moltissimo! Ed è molto più gratificante godere del raccolto! Tutti godiamo di più con il raccolto! Però Gesù ci chiede che seminiamo con serietà”. Il secondo invito è annunciare il vangelo ai giovani. “Non risparmiamo le nostre forze nella formazione dei giovani! San Paolo usa un'espressione, che ha fatto diventare realtà nella sua vita, rivolgendosi ai suoi cristiani: «Figli miei, che io di nuovo partorisco nel

Mendicanti del cielo Due giorni di spiritualità per giovani, giovani-adulti, responsabili, educatori

Tonezza del Cimone 18-20 ottobre 2013 Questi due giorni di spiritualità sono pensati per giovani e giovani-adulti che hanno già fatto un po’ di strada nel cammino della vita spirituale. L’età minima è di 22 anni.

Giovani italiani alla Gmg di Rio

Il tema del weekend sarà “La preghiera”, un percorso che si snoderà attraverso la scrittura a partire dai Salmi, passando per la preghiera di Gesù per approdare al Padre nostro.

dolore finché Cristo non sia formato in voi» (Gal 4, 19). Anche noi facciamola diventare realtà nel nostro ministero! Aiutare i nostri giovani a riscoprire il coraggio e la gioia della fede, la gioia di essere amati personalmente da Dio (…). Educarli, nella missione, ad uscire, ad andare, ad essere ‘callejeros de la fe’ (girovaghi della fede). Così ha fatto Gesù con i suoi discepoli: non li ha tenuti attaccati a sé come una chioccia con i suoi pulcini; li ha inviati! (…) Spingiamo i giovani affinché escano. Certo che faranno stupidaggini. Non abbiamo paura! Gli Apostoli le hanno fatte prima di noi. Spingiamoli ad uscire. Pensiamo con decisione alla pasto-

Appunti di metodo

rale partendo dalla periferia, partendo da coloro che sono più lontani, da coloro che di solito non frequentano la parrocchia. Loro sono gli invitati VIP. Andare a cercarli nei crocevia delle strade”. Terzo invito: promuovere la cultura dell’incontro. “Si è fatta strada una cultura dell’esclusione, una “cultura dello scarto”. Non c'è posto né per l’anziano né per il figlio non voluto; non c’è tempo per fermarsi con quel povero nella strada. A volte sembra che per alcuni, i rapporti umani siano regolati da due “dogmi” moderni: efficienza e pragmatismo. (…) L’incontro e l’accoglienza di tutti, la

solidarietà e la fraternità, sono elementi che rendono la nostra civiltà veramente umana. Essere servitori della comunione e della cultura dell’incontro! Vi vorrei quasi ossessionati in questo senso. E farlo senza essere presuntuosi, imponendo “le nostre verità”, ma bensì guidati dall'umile e felice certezza di chi è stato trovato, raggiunto e trasformato dalla Verità che è Cristo e non può non annunciarla (cfr Lc 24,13-35)”. Ripartiamo da qui, da questo triplice invito. A ciascuno di voi l’augurio di un nuovo anno pastorale in cui la bellezza del vangelo ci spinga a diventare sempre di più… “discipulos-missionarios”.

Relatore del weekend sarà fratel Michael David Semeraro, monaco benedettino dal 1983. Ha conseguito il dottorato in Teologia spirituale, collabora con alcune riviste e, compatibilmente con le esigenze della vita monastica, tiene conferenze, accompagna ritiri e si dedica alla scrittura di testi apprezzati. Per informazionisu costi e iscrizione, contattare l’Azione Cattolica Vicentina telefonando allo 0444.544599, scrivendo a contatt.aci@acvicenza.it, oppure visitando il sito www.acvicenza.it.

a cura di Mirco Paoletto

Proporre di rischiare per crescere davvero Per molti anni ho fatto l’animatore e ripetutamente mi sono chiesto quale poteva essere il segreto di un’azione educativa efficace, capace di incidere nella parte più profonda e più autentica delle persone incontrate e con le quali ho avuto la fortuna di condividere un pezzo di strada insieme. Qualcuno mi ha suggerito che il segreto di ogni educazione è la relazione. Ci credo, ma non mi basta. Qualcun altro è certo che sia l’amore. Ne sono convinto, lo provo, ma si tratta di una dimensione troppo nobile per declassarla a metodo. Ancora mi hanno parlato di dono, di competenza, di empatia. Tutte componenti essenziali, ma nessuna mi aiutava a capire come far scattare in una persona, ragazzo, giovane o adulto che sia, la miccia del cambiamento, del-

l’auto consapevolezza nella costruzione del sé. È solo “sporcandomi le mani“ e vivendo a contatto con maestri di vita che forse ho iniziato a darmi una risposta, scoprendo l’importanza della “Pedagogia del rischio”. Ognuno di noi si chieda quando ritiene di essere cresciuto nella sua vita. Si chieda quando ci sono stati degli “scatti in avanti” nel suo modo di essere, di sentire e di sentirsi. Scoprirà che è successo realmente quando dentro di sé ha accettato il rischio di affrontare angoli inesplorati e nuovi, svelati dalle sue emozioni, dai sentimenti, dalla ragione. O quando, anche involontariamente, qualcuno lo ha portato ad uscire dal rassicurante e comodo stare nelle cose di tutti i giorni, nelle abitudini, nei sentimenti accomodanti, per lasciare

spazio alle più sfidanti prove del mettersi in gioco, dello sperimentarsi, del donarsi dentro a spazi di relazione nuovi, inediti, sconosciuti. Mi sono convinto che l’energia dell’educare si sprigiona quando abbiamo il coraggio di portare l’educando un po’ più in là di ciò che lo rassicura e gli permette di riconoscersi e identificarsi. In questo senso l’educatore è un grande professionista del rischio, anzi, deve essere un professionista del rischio. Sarebbe interessante chiedersi, come educatori, quanto facciamo rischiare le persone che educhiamo o quanto le proteggiamo, le curiamo, le accudiamo eccessivamente. In fondo ognuno di noi ha imparato a camminare perché qualcuno gli ha permesso di cadere. Siamo diventati responsabili perché qualcuno ha distolto

lo sguardo da noi per lasciarci sperimentare la nostra autonomia. Abbiamo amato veramente quando nella relazione con l’altro ci siamo liberati da tutte le forme di calcolo e di previsione. La pedagogia del rischio richiede un grande esercizio di coraggio: il coraggio non è assenza di paura, ma la consapevolezza che ci sono cose più importanti della paura stessa. Quindi, non limitiamoci nelle nostre attività a proposte tiepide o ripetitive, alla riproduzione dell’identico, all’esplorazione del già noto. Un grande educatore si vede dalla sua capacità di proporre traguardi sfidanti, sempre nuovi, capaci di far percorrere i sentieri che congiungono chi si crede di essere a chi si può diventare. Mirco Paoletto mircopaoletto@gmail.com


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La Parola ai giovani

#ascolto #prossimità #annuncio #parola

#eucarestia #comunità #racconti #testimonianze

Non solo psicologia

a cura di don Andrea Peruffo

Il sentiero dell’interiorità per dare spessore alla vita Oggi parliamo di “interiorità”. La prima difficoltà nell’affrontare questa parola è quella di provare a capire di che cosa si sta parlando. Un luogo, uno spazio, una dimensione della vita che qualcuno vive in modo particolare e altri no? Il suo contrario potrebbe essere “esteriorità”, e in questo caso ci vengono subito in mente esempi di persone che vivono e puntano tutto sull’esteriorità, sull’apparire, sul fare colpo. L’interiorità invece non appare, non è esibita, non sembra interessare a certe logiche del nostro mondo, eppure quando incontri qualcuno che coltiva questa dimensione della vita e hai la possibilità del confronto, ne rimani colpito, affascinato, senti che le sue parole non sono come quelle delle altre persone perché si alimentano altrove, in profondità. E qui mi rendo conto che il nostro linguaggio è limitato e si serve di immagini spaziali evocative. Andare in profondità è il sentiero da percorrere per scoprire e coltivare la propria vita interiore... ma questo è un sentiero che fa paura. E allora ecco il

paradosso: da una parte siamo attratti da persone che sanno esprimere una ricca vita interiore, dall’altra, alla proposta di metterci anche noi su questo sentiero, ne sentiamo la paura e facciamo di tutto per evitarlo. Quando si parla di “interiorità” si corre spesso il rischio di ritenere che si tratti di una dimensione separata, se non addirittura contrapposta alla “realtà esteriore”. Qualcuno, nel contesto della fede cristiana la pensa come vita “secondo lo Spirito” che sarebbe caratterizzata da atteggiamenti e attività essenzialmente spirituali lontane dalla vita concreta. Allo stesso modo, altri quando pensano alla vita interiore rischiano di confonderla con l’inconscio in opposizione al mondo della consapevolezza. Personalmente mi piace pensare alla vita interiore come ad una dimensione della vita che tutti siamo chiamati a coltivare a prescindere dal nostro credo; una dimensione che interpella il credente come l’ateo, il cristiano come il musul-

Educare alla sessualità

mano o l’induista. È il percorso che ci porta ad accorgerci che la nostra vita si muove secondo livelli diversi ,dove quelli più profondi non sono vaghi o astratti, ma nascondono una verità di noi stessi che ci rende unici, come lo sono, a livello superficiale, le nostre impronte digitali. Lì uno scopre quello che davvero è, quelli che sono i suoi sogni, le sue aspirazioni, le sue paure che a livello più superficiale può tentate di nascondere. Lì uno sente che non

può barare e inventarsi storie. La sfida è allora quella di imparare la strada che porta a questo livello di vita, sapendo muoversi dall’esterno verso l’interno per poi tornare verso l’esterno con quella identità “segreta” che si è scoperta dentro di sé, che la persona sente sua, ma che allo stesso tempo non è fine a se stessa perché sa dare spessore e autenticità a tutti gli altri aspetti della vita e in particolare a tutte le tue relazioni. Come percorrere questo sentiero? Suggerisco brevemente due atteggiamenti: il primo è la capacità di fare silenzio, provando, con un po’ di pazienza, a far tacere le tante voci che ci invadono fin dal risveglio. Si tratta di sensibilizzare un altro tipo di sentire. Accanto al silenzio anche una qualche buona lettura potrebbe essere utile: cercate qualcuno che vi sia maestro, che sia pratico di certi percorsi e che vi offra la sua “consulenza” scritta in pagine di sapienza o di poesia, in parole che possono diventare la Parola per eccellenza. Buon cammino.

a cura di Manola e Giampietro

«La tecnologia mi fa paura» Dialogo di un venditore di apparecchi e di un genitore VENDITORE: Buongiorno signore, posso fare qualcosa per lei? GENITORE: Salve vorrei un telefono per mia figlia. Va in prima media... VENDITORE: Ha già in mente qualcosa? GENITORE: Giulia vorrebbe uno di quelli che funziona con il tocco. VENDITORE: Si riferisce agli smartphone touch. La maggior parte degli adolescenti ne possiede uno e quelli che non lo possiedono lo desiderano... GENITORE: Sì, infatti. Mia figlia mi sta facendo una testa così per quest'affare... Ma io preferirei che usasse un telefono normale, che telefona e manda i messaggi... in fin dei conti cosa ci deve fare? Mica ci lavora... VENDITORE: Lei non ha idea di quante attività svolgano i ragazzi con i loro smartphone... Per loro è uno strumento di comunicazione straordinario. Loro si incontrano in chat e si esprimono attraverso i social network. Se lei regalasse a sua figlia un telefono di vecchia generazione sarebbe come se qualcuno regalasse a lei un citofono... mi capisce? GENITORE: Ma non le pare che fosse meglio quando dovevamo suonare il campanello dei nostri vicini per parlare con la ragazza che ci piaceva? Dovevamo vincere la paura che rispondessero i suoi genitori e quando rispondevano... Non le pare che gli sforzi che facevamo, gli ostacoli che

71% è la percentuale di ragazzi tra i 12 e i 17 anni che possiede o utilizza uno smartphone. Nel 2010, era stimata intorno al 35% (Ipsos, 2013) dovevamo superare, dessero alla relazione uno spessore? Ora è tutto così istantaneo, così immediato... VENDITORE: Ma è proprio questo il bello... non c'è più il tempo strada... Oggi le categorie di spazio e tempo nelle comunicazioni sono saltate... GENITORE: Mia figlia ha solo dodici anni. Non sa ancora chi è, e non credo che potrà scoprirlo cercando su internet. VENDITORE: Lei fa troppa filosofia... e la filosofia, lo sanno tutti, è una mano così ansiosa di afferrare la verità che la mette in fuga. Io credo che dovremmo fidarci del progresso e, soprattutto, dei nostri figli. Non possiamo evitare che il mondo vada avanti, né che loro crescano. I nostri figli sono nativi digitali, non hanno paura della tecnologia. Noi, invece, dobbiamo imparare una lingua nuova. GENITORE: Non le nascondo che a me le nuove tecnologie fanno un po' paura. VENDITORE: Appunto... lo vede?

Lei le chiama nuove, ma sono nuove solo per noi immigrati digitali... Per sua figlia, glielo assicuro, non c'è nulla di nuovo. GENITORE: Il fatto che non siano spaventati dalla tecnologia non li protegge dai suoi pericoli. Ha sentito quante ragazze e ragazzi vendono le loro immagini nude attraverso internet in cambio di ricariche telefoniche? VENDITORE: Non possiamo evitare che si facciano male, nemmeno in bicicletta... GENITORE: Lei ha ragione, tuttavia ho letto che sono sempre più numerose le vittime di cyberbullismo e che proliferano in rete i siti che trattano l'anoressia come una divinità. VENDITORE: Potremmo insegnare loro alcune precauzioni, a patto di diventare, a nostra volta, internauti esperti... GENITORE: Dice che dovrei anch'io imparare ad usare questi apparecchi? VENDITORE: Credo che il modo migliore di educare i nostri figli ad un uso consapevole di questi strumenti sia imparare ad usarli come o perfino meglio di loro. GENITORE: Crede davvero che sia possibile? Di fronte a tanta intelligenza artificiale mi sento così stupido... VENDITORE: Sarebbe stupido restare a guardare, mentre il mondo cambia.

3% è la percentuale di ragazzi tra i 12 e i 14 anni che ha dichiarato di avere spesso “rapporti intimi con qualcuno conosciuto in internet” (Ipsos, 2010) GENITORE: Lei ha davvero ragione. Quanti figli ha? VENDITORE: Non ne ho. GENITORE: Dovrebbe provare... Il titolo di questo articolo riprende volutamente quello del celeberrimo testo leopardiano Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere.

Per approfondire: Nativi digitali, Paolo Ferri, Bruno Mondadori, Milano 2011 Le reti nella Rete, Michele Facci, Erickson, Trento, 2011. Download gratuito dal sito www.ericksonlive.it Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello. Nicholas Carr, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2011


La Parola ai giovani

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#ascolto #prossimità #annuncio #parola #eucarestia #comunità #racconti #testimonianze

In God we tunes

a cura di don Andrea Guglielmi

Custodi, cercatori o amici Cercansi relazioni non banali

Seg u “In la rubr i G asco od w ica rican ltando e tune o pun do il p nline o s” tate odca s di Ra st d cadio V e igiov lle www a: .r

adio vigio va.it

Sei in macchina e ascolti la radio. Entri in camera e accendi lo stereo. Cammini per strada immerso nel sound che il tuo Ipod produce, mentre scorre una playlist di pezzi che hai accuratamente selezionato. E così la musica riempie le tue giornate, e molto spesso scivola via, senza che tu riesca a immaginare quali messaggi si nascondano tra le righe e tra le note. Ancor più difficile è pensare alcuni collegamenti tra le canzoni di successo degli ultimi anni e i testi biblici, che raccontano le storie su cui si fonda la nostra fede. Sono fortemente convinto che l’intreccio fra i testi musicali e le pagine della Bibbia offra spunti per proporre in gruppo qualche momento di preghiera o di riflessione che possa essere più dinamico, vitale, coinvolgente. Facciamo qualche esempio.

Guardian Alanis Morissette Quante volte avete incrociato in radio la voce intensa e graffiante di Alanis Morissette che canta: “I’ll be your keeper for life as your guardian”. Provate ad ascoltare anche la voce di Caino nella traduzione della Bibbia in lingua inglese, quando alla domanda di Dio “Where is your brother Abel?” (dov’è Abele, tuo fratello?), risponde molto seccamente: “I don’t know. Am I my brother’s keeper?” (non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?). Consultate questo “botta e risposta” tra Dio e Caino in Genesi 4,9. La parola chiave è la stessa nei due testi: “keeper”, il custode, il guardiano. Alanis canta una promessa di fedeltà: “Sarò il tuo custode per tutta la vita”. Viene il sospetto che la canzone Guardian sia dedicata al figlio, nato alla fine del 2010; è la promessa di una mamma, che grida il desiderio di essere accanto a suo figlio, di non abbandonarlo mai, di essere per lui un angelo sempre pronto a intervenire (“I’ll be your angel on call”); la canzone parla dei pericoli, delle minacce, degli ostacoli che si incontrano nella vita, ma il ritornello è una potente dichiarazione di responsabilità nei confronti della persona che si ama: “I’ll be your warrior of care” (azzarderei una traduzione del genere: mi prenderò cura di te come se fossi un guerriero al tuo fianco); torna la parola “care”, che ci ricorda il motto della scuola di Barbiana: “I care”, mi prendo cura. Caino invece mette in atto l’atteggiamento inverso: scappa, cerca di eludere la domanda di Dio, non accetta l’ipotesi di essere il custode del fratello. La parola “keeper” ritorna anche in un passaggio molto bello del profeta Isaia (Is 27,3): “I, the Lord, am its keeper... night and day I guard it” (io, il Signore, ne sono il guardiano... ne ho cura notte e

giorno). Dio sta parlando della sua vigna; l’immagine della vigna nella Bibbia esprime sempre l’amore infinito e la cura che Dio ha nei confronti del suo popolo. In parallelo con la canzone Guardian può essere letto anche il salmo 121, che è una continua ripetizione del verbo “custodire” e della parola “custode”: il vero custode che si prende cura giorno e notte della nostra vita è proprio il Signore!

Seeker 77 Bombay Street Non è altrettanto frequente ascoltare in radio la canzone Seeker dei 77 Bombay Street. Peccato, devo dire! Loro sono quattro fratelli svizzeri molto bravi e questo è veramente un gran bel pezzo, energico, brillante, con un testo tutt’altro che banale. Il titolo stesso indica un desiderio di profondità: Seeker, il cercatore, colui che vuole trovare il senso della vita (“the truth is I’m a seeker and I don’t wonna live in vain”... la verità è che sono un cercatore e non voglio vivere inutilmente). Il testo di questa canzone contiene una serie di domande e di riflessioni che sembrano rivolte a

Dio, e potrebbero essere lette in parallelo con alcune frasi che troviamo nei salmi. Vi riporto la traduzione di alcuni passaggi significativi che potete trovare nel testo della canzone: “Dammi canzoni che io sia in grado di cantare, donami parole che io possa pronunciare, dammi una religione in cui io riesca a credere e mostrami i misteri della vita”. “Se Dio stesse guardando giù da un arcobaleno di duemila anni fa e tutto fosse rimasto identico, se Dio stesse guardando verso il basso dall’alto del posto in cui si trova, con un volto impallidito, giocando al suo gioco preferito, allora saprei che sto vivendo invano”. “Mostrami il tuo cuore e comincerò a credere in alcuni miracoli, ma non so da dove partire”. “Quando ti chiedo qualcosa tu non mi dai quello che ti chiedo e quando cerco non trovo, non so dove trovare un posto adatto a me e non ho mai visto il tuo volto”. Provate a sfogliare alcune pagine del libro dei salmi e sentirete nella canzone un’eco contemporanea di queste antiche preghiere. “Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi, fino a quando mi nasconderai il tuo volto?” (Salmo 13); L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? (Salmo 42); Dio abbia

pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto” (Salmo 67); “Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe” (Salmo 24). Una generazione di uomini che cercano la giustizia, la verità, il volto di Dio, dice il salmo 24. “The truth is we’re all seekers”, rispondono i 77 Bombay street.

Dispari Marta sui tubi “Non soffro se mi sento solo, soffro solo se mi fai sentire dispari”. Questa splendida canzone, che i Marta sui tubi hanno presentato a Sanremo, suona ai miei orecchi come un canto di protesta, una denuncia contro il rischio sempre più elevato di appiattire, impoverire, banalizzare i rapporti umani. Che senso ha che una ragazza si mostri su facebook “nuda come una cipolla che non sa far piangere”, e poi non riesce a capire certi dischi quando la musica è di qua-

lità, oppure non si prende il tempo per leggere certi libri? Che grado di autenticità hanno le nostre amicizie su facebook? Non c’è il pericolo di trovare chi ti inganna, “il nuovo e falso profeta” che “ti loda e ti ammira”, ma in realtà è soltanto “lì in attesa di un tuo sbaglio, di una fuga o resa”? “Complimenti per gli amici, ma quanti amici hai?”. Nell’epoca dei social network che significato è possibile attribuire alla parola “amici”? Dal vangelo ci arriva una risposta che potrà sembrarvi antica, ma io non credo che possa esistere un’idea dell’amicizia più moderna, più originale, più convincente: secondo Gesù di Nazareth, gli amici sono coloro che hanno qualcosa di profondo da condividere e si donano la vita. “Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici”, dice ai suoi discepoli (i suoi … “followers”); rileggetevi il capitolo 15 del vangelo di Giovanni. E tenendo in sottofondo la canzone Dispari, potete sfogliare anche il salmo 133, che è una lode a Dio per il dono dell’amicizia fraterna, paragonata al profumo di unguenti preziosi e alla freschezza della rugiada, un regalo dal valore inestimabile, che non può essere banalizzato o rovinato. E riprendete infine il racconto della creazione dell’uomo e della donna, al capitolo 2 della Genesi: “Non è bene che l’uomo sia solo; voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”. Il testo potrebbe avere questo significato: “Voglio che l’uomo e la donna siano l’uno di fronte all’altra, in condizione di assoluta parità, capaci di ascoltarsi, dialogare, attivare uno scambio profondo, parlare di musica, arte, letteratura, cinema, innamorarsi e commuoversi reciprocamente, leggere ciascuno nel cuore dell’altro e capirsi, aiutarsi, camminare mano nella mano…”. Oggi, ascoltando i Marta sui tubi, potremmo dire: “Non è bene che l’uomo sia dispari”.


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La Parola ai giovani

#ascolto #prossimità #annuncio #parola #eucarestia #comunità #racconti #testimonianze

Buio in sala

a cura di don Alessio Graziani

Quel desiderio di un lieto fine Il film che propongo all’inizio di questo nuovo anno pastorale è una fiaba, perché credo che ciascuno di noi - se giovane in particolare senta il bisogno di ritrovare la speranza del lieto fine e di rimotivarsi a percorrere strade di bene. La scelta è motivata anche dal fatto che Miracolo a Le Havre (Finlandia, 2011) è ambientato nelle periferie del mondo, quelle periferie che papa Francesco continua a suggerirci di percorrere, e non solo per motivi “caritativi”, ma anche e soprattutto nella convinzione che è solo li che si può fare esperienza di Dio, che il Regno dei Cieli si manifesta, che i miracoli possono ancora accadere. La vicenda è ambientata nei sobborghi del porto di Le Havre, dove l’oramai anziano Marcel Marx continua a fare il lustrascarpe. Marcel ha una vita semplice, fatta di privazioni, ma anche di relazioni significative e piccole gioie che riempiono la sua esistenza: il tenero affetto della moglie Arletty che gli stira con cura l’unica camicia e conserva con oculatezza i poveri guadagni del marito in una scatola di latta; gli amici con cui bere un bicchiere al bar di Claire, fauna umana variopinta, ma sincera; la fedele cagnetta Laika, che fa tanto pensare

La voce dell’arte

al biblico collega canino del libro di Tobia. La serenità di Marcel viene ad un certo punto turbata da due eventi inaspettati: la malattia della moglie (costretta ad un ricovero per una malattia che sembra essere destinata a non lasciare scampo) e l’arrivo di Idrissa, un giovanissimo clandestino africano che - sbarcato fortunosamente nel porto di Le

Havre e braccato dalla polizia - si rifugia in casa sua. Le due vicende si intrecciano: Marcel divide il suo tempo tra le visite alla moglie in ospedale e la mobilitazione del quartiere per il piccolo africano che sogna di poter raggiungere alcuni parenti a Londra. Il protagonista lotta contro l’impossibile, contro l’inesorabile decorso di una malattia tumorale vissuta come inelutta-

La locandina del film di Aki Kaurismaki e, sotto, una scena bile sconfitta da parte degli stessi medici e contro un sistema che fa dell’immigrazione clandestina un reato, uccidendo così il sogno di

a cura di Francesca Rizzo

Vaso d’argilla e potenza di Dio Un grande vaso, una forma antica, che emerge da un vivace fondo rosso. Osservando attentamente l’opera intuiamo che i tratti energici di carboncino e i colori sgocciolati esprimono il senso eroico e vitale dell’uomo, benché segnato dal dolore. I vasi sono contenitori di terraargilla lavorata che conservano, proteggono, beni preziosi. Il tema del contenitore si ritrova spesso negli antichi simbolismi della Grande Madre. Il corpo femminile viene simboleggiato dal vaso contenente-contenitore; così come la madre nutre, riscalda e protegge il suo piccolo; così come l’antro, la grotta, la caverna custodisce i segreti della terra. La Vergine Maria viene descritta come “vaso spirituale, vaso dell’onore, vaso pregiato di devozione”, “contenitore” per eccellenza perché ha custodito il Figlio di Dio. Nelle opere di Annalisa Filippi i vasi-corpo prendono poco per volta una forma umana. Sembrano evocare il travaso tra un recipiente e l’altro, il passaggio di conoscenze e di coscienza, di cultura e di esperienza da madre a fi-

glio, da maestro a scolaro. Ma entriamo meglio nell’opera e cerchiamo di capirne il significato più profondo. Come sono i vasi di terra cotta? Innanzitutto molto fragili perché possono rompersi facilmente. Sono semplicemente fatti di argilla modellata dal vasaio e poi cotta in forno. La Bibbia usa più volte l’immagine del vaso per rappresentare l’essere umano: «Il Signore formò l'uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un essere vivente» (Genesi 2,7). «Dice il Signore: Ecco, quel che l'argilla è in mano al vasaio, voi lo siete in mano mia» (Geremia 18,6). Il Signore ci ha fatto a sua immagine e somiglianza e tuttavia abbiamo in noi la fragilità della polvere. Noi che pensiamo di poter fare della nostra vita ciò che vogliamo, dovremmo riflettere più spesso su questa debolezza; magari visitando un ospedale infantile, oppure una casa per anziani o disabili riusciremmo a ridimensionare l’immagine che abbiamo di noi stessi e a toglierci la maschera da ‘persone eccellenti’.

Nelle omelie di Papa Francesco ritorna spesso l’invito a riconoscersi fragili vasi di creta: “La vera umiltà non è quella da ‘faccia da immaginetta’ - dice il pontefice -, e un bell’esempio lo troviamo in san Paolo, uno che ha ricevuto gratuitamente il dono della salvezza di Gesù Cristo e che lo apprezza e lo custodisce proprio perché si riconosce fragile vaso di creta”. Dio si è servito delle vicende sfavorevoli della vita di Paolo per obbligarlo a concentrarsi sulla potenza di Dio e non sulla sua. «Ma noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché questa grande potenza sia attribuita a Dio e non a noi» (2 Corinzi 4,7). Oltre a San Paolo, un esempio di vaso fragile colmo di grazie è la Samaritana: la donna che dopo aver incontrato Gesù racconta prima il suo peccato e poi il dialogo con il Signore. È proprio grazie a questo rapporto tra la grazia e la potenza di Gesù Cristo e la limitatezza dell’essere umano peccatore che nasce il dialogo della salvezza. Dio può cambiare la nostra vita, è lui il nostro potente vasaio che modella e trasforma la

Tra-vaso Annalisa Filippi 2013, olio su tela

nostra umanità. E noi che tipo di vaso siamo? Ci riconosciamo un fragile vaso di creta portatore di vita? Portatore del messaggio di salvezza di Gesù Cristo? Un vaso è pronto a riempirsi solo se si svuota. Così anche il nostro cuore, svuotato dagli orgogli, può riempirsi d’amore e donare amore.

una vita migliore. Ma il desiderio di vivere è troppo forte per essere sconfitto e così il miracolo - alla fine del film - a Le Havre sarà duplice: guarigione per Arletty e libertà per Idrissa. “La struttura filmica - ha scritto Olinto Brugnoli - stabilisce chiaramente un rapporto di causa effetto tra le due cose: la guarigione miracolosa avviene tramite la dedizione, la generosità, la solidarietà delle persone buone”. La fede del protagonista e dei suoi amici è fiducia che il Bene deve prevalere, che il Cielo non può restare indifferente e prende il volto della carità che fa rifiorire la vita oltre ogni razionale aspettativa. Toccante e poetica la scena conclusiva in cui Marcel e Arletty, tornando a casa, trovano il ciliegio fiorito e tutto torna a sembrare straordinariamente bello e normale. Questo film - forse uno dei più toccanti del grande regista finlandese Aki Kaurismaki - è una favola capace di risvegliare sentimenti positivi, ricca di valori umani e di evidenti simbolismi cristiani, in cui il bene compiuto porta frutti che vanno oltre l’immediato, inserendo le persone in misteriosi legami di solidarietà spirituale, capaci di travalicare il tempo e lo spazio.


La Parola ai giovani

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Community

a cura dei Giovani di Ac della parrocchia di Lonigo

Capolavoro di esperienze se la fede è condivisa “La “porta della fede” che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l'ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E' possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma...” (dalla Lettera Apostolica Porta Fidei). È questo l'inizio della lettera che il Papa emerito Benedetto XVI ha rivolto a tutta la Chiesa per indire l’Anno della fede. Quando don Simone ci ha detto che la diocesi proponeva di “ri-creare” la nostra professione di fede insieme agli amici scout, subito abbiamo accolto l’indicazione con gioia. Certo non l’abbiamo vista come una cosa facile perché significava metterci in discussione innanzitutto sul nostro personale cammino di fede; dovevamo pianificare/incastrare altri incontri

Celebrare insieme la fede e l’amore La Voce dei Berici ha raccolto nel volume Glorificate Dio nel vostro corpo (isg edizioni), gli articoli curati da don Pierangelo Ruaro, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano, e apparsi nella rubrica “I segni della liturgia”. L’intento della rubrica era quello di accompagnare i fedeli a riappropriarsi di segni, luoghi, gesti e canti che vengono vissuti nelle liturgie e nelle celebrazioni. A partire da questo numero de La Parola ai giovani, ripubblichiamo gli interventi di don Pierangelo. Invitiamo gli animatori dei gruppi giovanili e tutti coloro che hanno ruoli di responsabilità nelle associazioni e nei movimenti, a favorire nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani, la riscoperta dei segni della liturgia e il gusto di celebrare insieme la fede e l’amore di Dio. Per acquistare o ordinare copie de Glorificate Dio nel vostro corpo, contattare la redazione de La Voce dei Berici allo 0444.301.711.

I segni della liturgia

per prepararci al meglio a questo incontro e un po' la stanchezza ha preso il sopravvento. Ma non ci siamo scoraggiati; al contrario, abbiamo preso la palla al balzo come momento di confronto e incontro tra noi e il gruppo scout con cui, purtroppo, abbiamo pochi momenti da condividere insieme. Sono stati organizzati tre incontri: i primi due erano dedicati alla contemplazione e meditazione della Parola, mentre l'ultimo è servito per la stesura del “nostro” credo. I vari momenti di silenzio ci sono serviti per interrogarci sul senso e l’importanza che diamo alla preghiera, alla lettura e all’ascolto della Parola. Papa Benedetto scrive: “Quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma...”; e allora ci siamo chiesti:

“la preghiera quanto è importante nella mia giornata? Che spazio le dò? Il Credo che ogni domenica recito che significato ha per me? Lo recito a memoria come una poesia imparata da piccolo o ha un senso per la mia vita? La Trinità cosa rappresenta?”. Sono domande che ci siamo fatti; magari non a tutte siamo riusciti a dare una risposta chiara e lineare, ma

abbiamo condiviso anche questa fatica che speriamo non sia stata vana. Il momento finale, la stesura del credo, è stata fatta sulla base di un brainstorming in cui - tutti divisi in gruppetti - dovevamo raccontare la nostra esperienza di Dio (Padre, Figlio e Spirito Santo) e la nostra immagine di Chiesa. Abbiamo scavato nel nostro cuore e cercato di farci plasmare dalla Parola, accolta nei precedenti incontri, per cercare di togliere tutti i condizionamenti che fin da piccoli ci portiamo dentro, e creare una professione di fede meditata e condivisa. Ne è uscito un capolavoro di esperienze! Un grazie speciale a Papa Benedetto XVI per questa richiesta di interrogazione e meditazione sulla nostra fede.

a cura di don Pierangelo Ruaro

Il sapore della fede

Si celebra con il corpo

Molte volte la fede ci è stata presentata come una questione di “sapere”, di conoscere per aderire a un insieme di verità dogmatiche e di valori morali e sociali. Se, però, giocando con la parola, spostiamo indietro l’accento, dal verbo italiano “sapere” passiamo al termine latino “sàpere”, che significa “aver sapore, gustare”. Nel salmo 33 troviamo l’invito “gustate e vedete quanto è buono il Signore” (v. 9): è il canto maggiormente utilizzato dai cristiani, fin dai primi secoli, nell’Eucaristia. Se ci pensiamo bene il vertice dell’esperienza cristiana è proprio l’atto di comunicare al corpo e al sangue di Cristo! Questo versetto del salmo ci ricorda che gusto e sapore vengono prima della visione. Veniamo da una tradizione che ci ha presentato la fede prevalentemente come dottrina. In realtà bisognerebbe presentarla anzitutto come una questione di buon gusto, associarla a un’esperienza di assaggio della bontà di Dio. La bontà di cui parla il salmo si-

La liturgia è eminentemente corporale: si nutre di gesti (segno della croce), di atteggiamenti/posture (in ginocchio, in piedi), di movimenti (processioni) e anche di azioni compiute sul corpo (unzione con l'olio, aspersione con l’acqua). Purtroppo veniamo da una tradizione che ci ha abituati a considerare il corpo con una certa diffidenza, soprattutto per quanto riguarda l’espressione della spiritualità. Basta pensare alla difficoltà, ancora oggi, di molte persone, di ricevere la comunione sulla mano, o di alzare le braccia per pregare il Padre nostro... La tentazione di contrapporre l’anima al corpo è antica quanto la presenza dell'uomo sulla terra. Già Tertulliano (nel 220) dovette intervenire sull'argomento per difendere la sacramentalità del corpo quale strumento indispensabile per incontrare la salvezza. È nota la sua frase «Caro salutis cardo»: la nostra carne, il nostro corpo con tutte le sue facoltà sensitive, è il cardine, lo strumento fondamentale della salvezza. La riforma liturgica del Vaticano II ha riconosciuto e restituito al corpo e a tutte le sue facoltà, la piena dignità di strumenti “liturgici” per esprimere il dialogo con Dio nel pieno rispetto della dinamica dell’incarnazione: «L’uomo è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno» (GS 14).

gnifica certamente la generosità di Dio, che è buono verso l’uomo, gli vuole bene, è lieto di dargli cose buone (Lc 11,13). Ma dobbiamo conservare all’espressione del salmo tutta la sua forza: chi crede in Dio, lo assaggia e lo assapora come unico alimento buono e desiderabile. La sua parola è “più dolce del miele e di un favo stillante” (cf Sal 18/19,11). Credere in Dio è dunque un'esperienza di piacere, di gusto e di felicità che suscita una sorpresa simile a quella degli ebrei nel deserto quando scoprono e assaggiano la manna, quel cibo sconosciuto che chiamano: Man hu? Che cos'è? (Es 16,15). La meraviglia viene dopo la degustazione, il «vedete» viene dopo il «gustate». Proprio la liturgia, con il suo modo di comunicare, ci conduce verso un modo «saporoso» di vivere la fede, perché la radica in una esperienza sensibile. Ciò che le nostre orecchie sentono, ciò che i nostri occhi vedono, ciò che le nostre mani toccano, ciò che il nostro odorato respira e ciò che il nostro palato gusta, questo è il luogo primario in cui prende forma il nostro comune e personale incontro con Dio nella liturgia. Lo ricorda S. Giovanni nella sua prima lettera: «quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che le nostre mani hanno toccato del Verbo della vita, noi lo annunciamo anche a voi, perché siate in comunione con noi». (1Gv.1,1-3).

Disegno di S. Erspamer Clip Sacra Ars, Elledici

Il corpo partecipa alla celebrazione in diversi modi: assumendo alcune posizioni, compiendo gesti, col digiuno, con le lacrime, rivestendosi in un certo modo... A volte la celebrazione esige un concorso di vari elementi o atteggiamenti corporali per esprimersi più chiaramente, più intensamente, con maggiore autenticità. Nel famoso inno allo Spirito, Veni Creator, troviamo un versetto che dice: “Accende lumen sensibus”. Quanto questa preghiera invoca come dono dello Spirito, lo possiamo affermare anche della liturgia: essa accende di luce i sensi. Ce lo ricorda la parabola (Lc 15,11-32) dell'amore misericordioso del Padre per il figlio ritrovato, incontro che è paradigmatico di ciò che avviene ad ogni liturgia: è un incontro che si fa abbraccio per il tatto, musica e suoni di festa per l’udito, vitello ingrassato per il gusto, vestito nuovo e profumato per la vista e l’olfatto.


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La Parola ai giovani

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Storie ed emozioni dalla Gmg di Rio de Janeiro

Sguardi di gioia e tristezza che cambiano la vita «Com’è andata in Brasile?». È una domanda che mi sono sentita fare molte volte e a cui non sono mai riuscita a dare una risposta soddisfacente, che andasse oltre il “bellissimo!”, accompagnato da un sorriso imbarazzato. È difficile raccontare un’esperienza che non è stata solo l’osservazione di una realtà diversa dalla nostra, ma che è anche riuscita a cambiare le mie idee e le mie priorità. Vorrei poter parlare di ogni sorriso, di ogni sguardo, di ogni preghiera, di ogni tramonto che sono impressi nella mia memoria, perché per me il Brasile è un ricordo formato da piccoli particolari e non da momenti clamorosi. Tenterò invece di raccontare quello che mi ha portato a riflettere su un aspetto per me fondamentale della vita. Durante la settimana missionaria, trascorsa nella parrocchia di San Josè D.E., siamo andati a far visita alla comunità più povera della parrocchia che si trova fuori dal paese. Qui dopo essere stati accolti con un

ricco banchetto di benvenuto, ci siamo recati in due “case”. Ciò che mi ha colpito di più non è stato tanto la semplicità o la decadenza delle costruzioni ma le diverse espressioni presenti nel volto delle due donne incontrate nelle loro abitazioni. La prima, sebbene dovesse riuscire a sfamare i due figli, il marito e il padre, quando ci ha invitato a entrare in quella stanza che fungeva da zona giorno, aveva gli occhi che facevano trapelare gioia e felicità. Ci ha accolto nella sua umile casa con orgoglio e con la consapevolezza di non essere sola in quella situazione. Siamo poi stati accompagnati nella seconda abitazione da una bambina che aveva dieci anni; aveva un aspetto molto più grande rispetto la sua vera età. È stata lei a farci accomodare nella stanza in cui c’era anche la madre che se ne stava seduta sul divano con un gatto che rendeva il quadro maggiormente malinconico. Si percepivano la tristezza e la rassegnazione a quella vita evidentemente troppo difficile da sopportare per lei.

L’essenzialità è vivere di Dio Anche quest’anno si è tenuto l’evento della Giornata Mondiale della Gioventù, in cui non sono mancate le molte attese, tra cui la guida di Papa Francesco alla sua prima GMG. Grazie alla particolarità del posto, cioè l’America Latina e al fatto che, specialmente in Brasile, la nostra Diocesi di Vicenza ha spedito in missione molti sacerdoti, anche noi giovani vicentini in partenza per la GMG a Rio, abbiamo avuto il grande dono di poter vivere la settimana missionaria, trasformandoci in laici “Fidei Donum”: un’occasione unica per scoprire e vivere un po’ di Brasile. Arrivati in Brasile, abbiamo trascorso tutti insieme i primi giorni, visitando le città di Recife ed Olinda, con il vescovo Beniamino e il vescovo Egidio Bisol, sacerdote vicentino Fidei Donum, diventato vescovo nel 2010 di Afogados da Ingazeira, la diocesi che ci ha ospitato nella prima settimana missionaria, nella quale i sacerdoti vicentini hanno lavorato per quasi quarant’anni! Abbiamo visitato la tomba di dom Helder Camara, chiamato “il vescovo degli ultimi”, che ha speso la sua vita accanto alle popolazioni più povere, più disagiate; non era solo capace di ascoltarle, ma sapeva agire, andava da loro nelle strade, nelle case, negli angoli delle periferie.

Durante la settimana missionaria a Serra Talhada, i ragazzi di Nossa Senhora da Penha ci hanno portato a visitare l’ospedale, il centro di recupero della comunità di tossicodipendenti Boa Nova e ci hanno mostrato una mattinata di catechismo con dei giovani studenti. Ho quindi potuto vedere con i miei occhi le realtà e le problematiche che contraddistinguono la vita della comunità parrocchiale e non potrò mai dimenticare il sorriso, la fede in Dio e la forza di vivere che hanno

Da quando i miei occhi hanno incontrato lo sguardo di queste due donne ho iniziato a riflettere e a pormi molte domande: come può essere che due persone apparentemente nella stessa situazione reagiscano in maniera così differente? È solo grazie alla capacità del singolo uomo? Prima di partire sicuramente avrei risposto in maniera razionale dicendo che in fin dei conti è naturale che ognuno abbia una diversa predisposizione nell’affrontare o meno le difficoltà della vita. Ora mi sembra un’assurdità non riconoscere che dietro quel sorriso c’era un aiuto molto più grande della mente umana, c’era la consapevolezza che, anche se sembra che tutto vada male esiste qualcuno che ti ama così tanto che ti tiene per mano e l’unica cosa che ti chiede è che ti lasci guidare dal suo amore. È questo che mi porto dentro dal Brasile: la voglia di imparare a chiudere gli occhi e a lasciarmi trasportare dall’Amore. Beatrice Ceola

le persone che soffrono, le persone ammalate, le persone che vivono col peso di una dipendenza e la capacità dei giovani della parrocchia di portare un sorriso a tutti, di fare gruppo nella preghiera, di vedere come gridano al mondo intero senza paura, senza maschere, che loro amano Dio, che Dio esiste, che Dio è sempre lì con loro, vicino a loro, pronto a sostenerli nelle difficoltà e nella felicità come un vero Amico, che è bello credere in Dio! Per me è stata la prima Giornata mondiale della Gioventù. Non posso descrivere la forte emozione e la spiritualità che si prova durante il raduno mondiale dei giovani: milioni di giovani provenienti da ogni parte del mondo che si trovano in una città, Rio de Janeiro in questa occasione, per vivere insieme al Papa la preghiera! Durante lo svolgimento della GMG è particolare lo spirito di amicizia e di fraternità che si sente, che si respira tra persone che non si sono mai viste prima di allora e le quali,

Nelle immagini, alcuni “scatti” dell’esperienza vissuta a Rio de Janeiro dai pellegrini vicentini

nonostante le differenze di cultura, di linguaggio e di Stato di appartenenza, si scoprono fratelli, formando un’unica vera famiglia: la famiglia dei giovani cattolici che vivono insieme con sorrisi, abbracci, canti e preghiere la GMG. E che dire di Papa Francesco?! Un papa che ti cattura solo con lo sguardo e che, conoscendo bene chi ha davanti a sé, sa dire esattamente quello che ognuno di noi ha bisogno di sentirsi dire, arrivando con le sue parole dritto al cuore e alla mente di ognuno. Ti esorta con una straordinaria e incantevole fermezza a non perdere la speranza e a non aver paura. Queste le sue ultime parole alla messa di mandatoi: “Va, senza paura, per servire!”. Inoltre non posso scordare l’ospitalità nelle famiglie di Rio de Janeiro e di Volta Redonda: delle persone semplici e speciali che con il loro amore, la loro immensa fede e la loro ospitalità mi hanno accolto come un figlio , regalandomi affetto e sorrisi. Torno a Vicenza con qualcosa in più: la gioia delle persone e delle famiglie che ho conosciuto in Brasile, la fede che mi hanno trasmesso i giovani di tutto il mondo, la fiducia e la grinta che ci ha dato Papa Francesco, e soprattutto il fatto di aver toccato con mano che vivere nell’essenzialità vuol dire vivere in Dio, perché Egli è tutto ciò di cui ogni persona ha bisogno. Michele Frigo



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