Mivar, il televisore italiano

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ARCHIVIO 2012 12 novembre

Mivar, il televisore italiano

è l’ultima roccaforte del tv color made in Italy assediata dagli squali mondiali dell'elettronica

È l’ultima roccaforte del tv color made in Italy, ma la Mivar assomiglia sempre più ad un Fort Apache assediato dagli squali mondiali dell'elettronica che con le strategie di marketing e di persuasione hanno convinto gli italiani che " estero è bello" La storica azienda italiana di Abbiategrasso oggi sopravvive solo grazie alla generosità del suo padre-padrone, Vichi, il quale ogni anno copre di tasca propria le gravi perdite di bilancio. Ma anche così la sua creatura stenta a sopravvivere. La storia della Mivar (Milano Vichi Apparecchi Radio) comincia nel 1945, anno in cui il suo fondatore – Carlo Vichi – si mette in testa di costruire e vendere apparecchi radio progettati e prodotti in Italia. Nel 1963 il salto nel buio: l’azienda decide di puntare tutto sulle potenzialità commerciali della televisione. Entra in concorrenza diretta coi produttori stranieri e Vichi capisce subito che l’unico modo per spuntarla, è quello di competere sui prezzi. Con una parsimoniosa gestione delle spese pubblicitarie riesce nell’impresa di mantenere i televisori Mivar a prezzi bassi. Negli anni 90 – forte di una posizione di mercato faticosamente consolidata – la Mivar inaugura ad Abbiategrasso un nuovo stabilimento di 120.000 metri quadri. I pregi indiscutibili dei prodotti Mivar sono la robustezza, la longevità e la semplicità d’uso. Le linee severe e rigorose dei televisori Mivar suggeriscono molto della personalità complessa del patron Vichi, un toscano poco avvezzo ai ricevimenti, che trascorreva (e trascorre tuttora ) 350 giorni l’anno in fabbrica, sabato e domenica compresi. Mivar, che ha sempre rifiutato di spendere un euro (o una lira del vecchio conio) in pubblicità, ha sempre diffidato dall’ingaggio di manager e dirigenti. Vichi, monarca assoluto, ha regnato senza mai disporre di un vero ufficio. Sedeva, siede, a un tavolo di legno, gli stessi abiti o quasi da mezzo secolo. La combinazione tra affidabilità del prodotto e prezzo concorrenziale, l’inarrivabile servizio di assistenza interno, dove i clienti portavano i loro televisori, li riponevano su un carrello, li facevano esaminare dai tecnici e li vedevano riparati in pochi minuti, hanno contribuito ad alimentare il mito di Vichi e ad inanellare successi economici per decenni.

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Ma anche ora funziona così. Ho sempre acquistato Mivar, anche i nuovi ( direttamente in ditta), sono belli e funzionano sempre ed ... ...in caso di guasto si va direttamente in ditta e mentre bevi un caffè te lo riparano all'istante a prezzi più che accessibili. Al max ti vanno via un paio di ore partendo dal legnanese. Niente attese e televisori che fanno il giro del mondo come per gli altri marchi. I componenti Mivar inoltre sono identici alle altre marche. Sebbene messa a dura prova – la Mivar si è forse cullata un po' troppo sui propri allori e non ha colto per tempo il cambiamento anche se Vichi non ha certo lesinato sforzi per sostenere l'urto di un mercato in forte evoluzione – parliamo sempre e comunque di un'azienda in cui il televisore non viene banalmente assemblato ma studiato, industrializzato e quindi prodotto. Su quegli schermi abbiamo visto I Mondiali di Spagna del 1982, la vittoria di Alberto Cova ai primi Mondiali d’atletica di Helsinki, nel 1983, le Olimpiadi di Los Angeles del 1984 e di Seul nel 1988, la vittoria della nazionale di basket agli Europei del 1983, in Francia. La Mivar raggiunse, tra gli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta, una quota del mercato italiano del televisore oscillante tra il 30 e il 35%. Fatturava dai 220 ai 350 miliardi annui di vecchie lire, occupando circa 800 addetti (più l’indotto). Ora le difficoltà sono evidenti ma pochi riflettono sul fatto che Mivar, costretta dagli eventi a lasciare del tutto inoperosa la nuova fabbrica gioiello terminata nel 2001 e pensata per produrre due milione di televisori l'anno, è l'ultimo baluardo non solo del Tv "made in Italy" ma di un'intera generazione di aziende italiane di successo nel campo dell'elettronica. Ora anche se la metà dei televisori proposti in catalogo sono a cristalli liquidi, il signor Mivar deve competere con le politiche commerciali operate dalle varie Samsung, Sony, Philips, Lg Electronics costringendolo a salti mortali. Carlo Vichi sta facendo di tutto per salvare l’unico marchio italiano del tv color che ancora resiste alla concorrenza delle multinazionali. Anche a costo di veder crescere le scorte di magazzino, dove oggi si allineano poco meno di 13mila televisori. Anche a costo di tappare le falle di bilancio a suon di milioni di euro: tutti spesi di tasca propria. Non ammette sprechi... ...l’industriale che invitava i giornalisti economici più famosi (abituati a lussuosi pranzi d’affari da Marchesi o dal Giannino o alla Scaletta di Pina Bellini) a consumare il pasto nella mensa, a fianco e assieme agli operai. E guai ad avanzare qualcosa, perché il Vichi imprecava, eccome se imprecava… Un imprenditore che non la manda a dire a nessuno, classe politica compresa. Ancora oggi non usa il computer e tanto meno il cellulare, si professa un uomo libero e che crede fermamente in un'economia basata sul lavoro. Nel 1984, Vichi pronunciava in Consiglio comunale ad Abbiategrasso un discorso che preconizzava la fine dell’industria elettronica in Italia ed in Europa e il trionfo della Cina e dell’Asia a scapito della vecchia Europa, del Giappone e degli Usa. Ma nessuno gli conferisce una laurea honoris causa. Vichi si arrende al gigante asiatico dopo aver visto i suoi concorrenti cadere uno ad uno, persino la Turchia che ancora dieci anni fa produceva milioni di televisori. Oggi la Mivar ne produce cento al giorno, contro le migliaia e migliaia di un tempo. Il futuristico e avveniristico nuovo stabilimento, realizzato nel 1990 con fondi propri (100 miliardi di lire, zero lire dallo Stato o dalle banche), è una sorta di cattedrale nella pianura padana e sarebbe forse il caso di acquistare qualche televisore Mivar per sostenere l'industria italiana ed i suoi lavoratori.

Peppino Barlocco villacortese.net

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