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DOLORES DEMURTAS

Modella pupazzetti e palline e li mette ad asciugare vicino al caminetto. Ha scoperto da sola che in questo modo asciugano prima.

«L’argilla però, ancora piena d’acqua, esplodeva ed erano sculaccioni a nastro».

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Dolores ride al ricordo di quei primi esperimenti. Con la pensione del babbo, nel ‘53, la famiglia si trasferisce ad Assemini, il paese di mamma Adelina.

Per Dolores è l’inizio della svolta.

Continua a lavorare l’argilla («ad Assemini la chiamano terra strexiu») e può cuocerla nella fornace del paese.

Ricorda quando, andando al forno, era additata per i suoi giochiteddus (come gli assiminesi ne chiamavano i primi lavori con un certo disprezzo).

«Pensavo che se mi si fossero avvicinati, glieli avrei spaccati in testa». Nel paese della ceramica, dei vasi e delle civeddas, questa ragazzina è considerata strana.

La fama di Dolores arriva così alle orecchie di Ubaldo Badas, l’architetto cagliaritano tra i principali promotori di I.S.O.L.A. (Istituto sardo organizzazione lavoro artigianale). Grazie a questo incontro, nel ‘56, le sue terrecotte sono esposte alla Prima Mostra dell’Artigianato sardo di Sassari.

Da quel momento è un susseguirsi di esposizioni: Sassari, Firenze, Taormina,(segue pagina 46)

(segue dalla pagina 45)

Rimini, Bruxelles, Strasburgo, Ginevra, Singapore.

Le sue opere viaggiano, ma Dolores non le segue.

«A quei tempi per una ragazza non c’erano né le libertà né le possibilità economiche che ci sono ora», commenta. Nel ’57 si trasferisce a Cagliari, «a Villa Garzia, al 115 di Sant’Avendrace».

Nel giardino costruisce con le proprie mani un fornetto a legna.

«In casa nessuno mi aiutava, facevo tutto da sola con una fatica immensa. Ed ero sempre sporca», ricorda ridendo. Ma un brutto acquazzone, nel ‘59, lo distrugge. Dolores conserva ancora alcuni pezzi di quella infornata rovinata dalla pioggia, che la costrinse per qualche mese a smettere di lavorare.

Poi, «l’undici maggio 1960, grazie a un prestito di 500 mila lire della Regione Sardegna, arriva a casa un fornetto elettrico» e tutto cambia: i colori sono brillanti e non c’è più la fatica del forno a legna.

Le ceramiche di Dolores piacciono anche oltre mare, in un momento in cui pochissimi artisti sardi (men che meno donne) riescono ad avere successo fuori dall’isola. Negli anni saranno accolte a Palazzo Pitti a Firenze, negli spazi della Biennale di Venezia e della Triennale di Milano, nei musei di Londra, Parigi,

Sidney, Tokyo, Montreal.

Non convincono, invece, Eugenio Tavolara, l’artista sassarese che negli anni Sessanta aveva sostituito Badas nell’organizzazione della Mostra mercato di Cagliari.

In un primo momento, a Dolores viene addirittura chiesto di portar via i suoi lavori dalla mostra, ma in pochi giorni sono tutti venduti e c’è bisogno di nuovi pezzi.

«Quando me li chiesero, mi presentai a Tavolara, che era già anziano, e gli dissi che non gli avrei fatto avere niente, che io sarei andata avanti e che lui non avrebbe fatto in tempo a vedere quello che avrei fatto».

Dolores fu profetica: nel 1985 i suoi lavori e quelli di altri dieci artigiani e artigiane sarde - con cui era entrata a far parte di un consorzio- sono esposti prima a Miami e poi a New York, al palazzo ICE (l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane).

«Siccome non arrivavano i soldi delle vendite di Miami», racconta Dolores «mi insospettii e partii per New York, da sola e senza conoscere l’inglese».

Alla mostra andò persino Mr. Bloomingdale, il proprietario dell’omonima grande catena americana di negozi d’abbigliamento.

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