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La storia
In Brescia cholera morbus Breve storia di uno dei tanti contagi che la città ha dovuto affrontare in passato “Siamo inondati da questo terribile flagello che fa stragi sopra gli abitanti di ogni ceto di persone, infierisce e ammazza in poche ore [......]. Brescia pare deserta. Le botteghe più della metà sono chiuse e le case disabitate”. Non è un post, non il sottopancia al video di qualche influencer, e di certo non l’abstract d’un blogger prezzolato, ma l’agrodolce considerazione di un bresciano di fronte alla sua Brescia irrealmente deserta, spazzata da contagio. Anno Domini 1836, anno di colera: le parole sono annotate il 27 giugno da Carlo Manziana, membro della “Commissione di beneficienza” cittadina. Ieri come oggi si teme per la propria vita e per quella dei propri cari, si prega e ci s’interroga. Ci si affaccia con parsimonia alle finestre solo per calare lo sguardo su piazze e vicoli dove qualche anima raminga si affretta concitata. Eppure le voci si rincorrono. Oggi dagli agili smartphone o sull’ala d’un flash mob serale, ieri per grida e chiacchiere di balcone. E anche allora ci si chiedeva come il morbo avesse potuto forzare il perimetro.
La prima vittima era stata una certa Maria Mazza, una lavandaia sui sessant’anni che dimorava vicino le mura di S. Alessandro, l’odierno Corso Cavour. Rincasata, mastello alla mano, dopo una giornata di fatiche, aveva accusato terribili dolori al ventre e vomito. Poco dopo i famigliari la trovarono svenuta, coperta di macchie violacee, gli occhi sbarrati e i muscoli contratti. Alcune ore di rito, l’autopsia, e Maria era registrata come prima vittima bresciana del “cholera morbus”. Il giorno seguente si riuscì a stabilire che la donna aveva lavato la biancheria d’un tale proveniente da Bergamo, dove il virus dilagava. Era il 16 aprile, e nei giorni seguenti altre persone, molte delle quali forti
Alcune ore di rito, l’autopsia, e Maria era registrata come prima vittima bresciana del “cholera morbus” e in salute, caddero malate. Poi d’improvviso, così com’era apparso, il morbo scomparve. I bresciani tirarono allora un sospiro di sollievo e guardarono al cielo con riconoscenza. Tornarono ciascuno alla propria vita. Ma solo fino a metà maggio. L’”Ospedale delle pazze”, che solo otto anni dopo sarebbe confluito nel nosocomio di piazza S. Domenico, fu il nuovo focolaio. Anche in quel caso,