VIVIEDIZIONI
DiscoverVeneto #1 Storia_arte_cultura bellezza del Veneto
VENETO DISCOVER
© Antonio Tafuro
LA CIVILTA’ DELLE VILLE VENETE E L’INNOVAZIONE PALLADIANA
Storia ed Evoluzione della Villa Veneta dal Cinquecento al XXI secolo da villa fattoria a dimora nobiliare, da simbolo di egemonia territoriale ed economica a fulcro di relazioni aziendali e location per matrimoni VIVIEDIZIONI - in edicola € 10,00
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Villa Valmarana ai Nani Vicenza
La Civiltà di Villa
VILLEVENETE
Storia ed Evoluzione della Villa Veneta dal Cinquecento al XXI secolo
© Stefano Maruzzo
SOMMARIO LA CULTURA DI VILLA da Petrarca a Tiepolo d Arquà Petrarca a Mira
L’EREDITA’ PALLADIANA Tra puristi e interpreti Da Scamozzi a Muttoni LA VILLA VENETA DEL SEICENTO - SETTECENTO La trasformazione della villa in reggia
L’INNOVAZIONE PALLADIANA La carriera di un genio I palazzi e le ville per la nobiltà veneta
LE VILLE DELLA RIVIERA DEL BRENTA Le ville estive dei nobili veneziani
LE VILLE DI PALLADIO Architettura e funzione Tipologie e bellezza estetica
LA VILLA STATUS Da villa fattoria a dimora nobiliare L’architettura dei giardini MONOGRAFIEVENETE
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MAPPA DELLE VILLE IN ATTIVITA’
VILLEVENETE
La civiltà delle
VILLEVENETE
Storia ed evoluzione - Architettura e Funzione
Da fattoria a dimora nobiliare, da simbolo dell’egemonia economica, DISCOVER VENETO MAPPA VILLE NEL VENETO politica e culturale a fulcro di relazioni aziendali e location per matrimoni Oltre 200 tra le più belle, tra cui molte Ville Palladiane, oggi si svelano al visitatore attraverso visite guidate, eventi, soggiorni e ristorazione Le Ville Venete sono presenti su ben il 93% dei comuni veneti. Tutti i comuni ne hanno almeno una nel loro interno, ma parecchi comuni ne hanno molte decine: un fenomeno di dimensioni imponenti che non ha riscontro altrove e che contribuisce in modo determinante alla costruzione dell’identità culturale del nostro territorio.
Distribuzione in Veneto delle 3.803 Se Ville Venete censite: Provincia di Treviso : 787 Ville Provincia di Vicenza : 683 Ville Provincia di Verona: 676 Ville Provincia di Padova: 638 Ville Provincia di Venezia: 573 Ville Provincia di Rovigo : 251 Ville Provincia di Belluno : 195 Ville
Censimento I.R.V.V. (escluso Friuli) Le Ville Venete censite sono 3803: Provincia di Treviso : 787 Ville In mappa sono inserite in rosso il numeProvincia di Vicenza: 683 Ville ro di ville che svolgono attività culturali Provincia di Verona: 673 Ville e congressuali, attività di accoglienza Provincia di Padova. 638 Ville (Hotel, B&B e agriturismi) e di organizProvincia Venezia. 573eventi, Ville in partizazione ediallestimento Provincia di Rovigo: 251 Ville colari quelli matrimoniali. Provincia di Belluno: 185 Ville
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Mappa: In rosso il numero complessivo di ville suddivise per provincia che svolgono attività culturali, produttive, sociali. - attività di accoglienza (Resort, Hotel, B&B, agriturismi) - organizzazione eventi aziendali e congressuali; - location per allestimento matrimoni, dal rito civile al ricevimento e alla festa - location per eventi e fiere wedding
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STORIA ED EVOLUZIONE
© Gito Trevisan
Dotata di anima e forza propria, presenza onerosa che può stritolare, indifferente alle vicende umane che la attraversano. Eppure si continua ad amarla, carica com’è di storie, vissuti, bellezza. La villa veneta nasce come forma mirabile di presidio sul territorio, funzione all’origine agricola, poi di diletto, svago e di rappresentanza, fulcro di un sistema così consolidato e duraturo che qualificando nel tempo una società, la eleva al rango di civiltà.
L’elogio petrarchesco legittima la campagna come luogo di armonia con la natura, spazio di produzione e di rappresentanza, più tardi anche di meditazione e di villeggiatura nella bella stagione. Dal 1540 Andrea Palladio, scalpellino e poi architetto, diventa l’interprete massimo di questi bisogni, dando vita con il suo genio a ville concepite per aristocratici che devono stare in campagna per produrre.
Per accostarsi a questo universo, bisogna tornare indietro, al cambiamento di orizzonte culturale che si produce nella seconda metà del Trecento, quando Petrarca abbandona Padova per andare a vivere tra i Colli Euganei. Fino ad allora, per gli uomini del Medioevo che vivevano protetti dalla cinta muraria delle città - la campagna circostante, attraversata da fiumi e torrenti e intersecata da boschi e paludi, era qualcosa di ostile da evitare, mentre le terre del contado erano territori presidiati dal feudatario che dimorava nel castello. Petrarca, con l’occhio lungo del poeta, rompe questo schema, si ritira in campagna, vive nella natura e la modifica pure perché si ingegna a fare il contadino. Con lui ha inizio il ritorno agli ideali classici della vita agreste, prende forma l’ideologia funzionale al movimento ampio che si prepara.
«Come tutti i grandi architetti, Palladio è colui che realizza i sogni dei suoi committenti», spiega Guido Beltramini, storico dell’architettura, direttore del Centro Internazionale di Studi di Architettura (Cisa) Andrea Palladio di Vicenza. «La rivoluzione palladiana è aver saputo tradurre in forma architettonica queste esigenze, trasformando elementi funzionali già esistenti: la casa e le adiacenze, i giardini». Grazie a Palladio che crea un sistema di regole, basate su numeri e proporzioni, aperto, riproducibile, la villa veneta assume la sua forma matura, poi molto imitata. Gli epigoni saranno molti, anche all’estero, dove la fortuna del Palladio è immensa. Gli esempi nel mondo di edifici d’ ispirazione palladiana sono infiniti: dall’Inghilterra del Seicento e Settecento alla Russia di Caterina II, dalle plantation houses americane del genere Via col Vento alla stessa Casa Bianca di Washington, fino ai parlamenti irlandese e indiano e ai palazzi sparsi in Brasile o a Shanghai.
Con l’apertura dei mercati orientali e lo straordinario sviluppo della produzione e commercializzazione della seta che avviene nelle piccole città dell’entroterra, la repubblica Veneziana sembra perdere interesse per il dominio sul mare e si volge verso terra. Si espande, espropria e acquista terreni, li trasforma anche grazie a un intelligente governo delle acque, impone la pax veneziana rendendo sicuri i luoghi conquistati. Costruisce presidi, aziende, abitazioni. Le ville, dotate di barchesse per il ricovero degli attrezzi agricoli e di cappelle per il culto, sono l’emblema della riorganizzazione della potenza veneziana, l’avamposto della trasformazione del territorio e del paesaggio generato dalle nobili famiglie che adottano la nuova filosofia imprenditoriale, probabilmente d’ ispirazione calvinista.
Se il fenomeno propriamente detto delle ville venete è collocabile tra il Cinquecento e il Settecento, l’orizzonte temporale della civiltà delle ville venete è più vasto e arriva ai nostri giorni. L’Istituto Regionale delle Ville Venete ha censito oltre 4.000 ville tra Veneto e Friuli (per il 90 per cento di proprietà privata, per il 50 per cento immobili monumentali vincolati), un sistema di beni culturali straordinario ma problematico. Andando in giro in bicicletta, attraverso i nuovi collegamenti che la Regione sta finanziando tra le diverse aree di interesse turistico, si comprende come le ville siano diventate “centri nevralgici” di attrazione culturale e di produzione vitivinicola, location ideale per l’allestimento di eventi culturali, aziendali, congressuali e matrimoniali.
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La “cultura di villa” storia ed evoluzione dal Petrarca al Tiepolo
Il mondo romano genera la “cultura di villa”, che rinasce secoli dopo come ideale letterario con Francesco Petrarca. Essa comincia a prendere forma architettonica nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, per dare vita poi a diverse sperimentazioni nella Roma di Bramante e Raffaello. Ma è Palladio a inventare la villa moderna, mettendo d’accordo esigenze funzionali, strutturali ed estetiche, per creare questi meravigliosi centri di attività e di residenza che ancora oggi riflettono la bellezza e la cultura della terra veneta e testimoniano la genialità visionaria dei suoi artisti.
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DALL’ OZIO LATINO ALLA CULTURA DELLA VILLA VENETA FAMA, GLORIA E LE VIRTU’ CARDINALI La “cultura dell’ozio” descritta nelle ville affrescate di Pompei, ci racconta la perenne ricerca dell’uomo di spazi domestici dove poter condividere il lusso dei piaceri sensoriali. Petrarca inaugura lo stile di vita di campagna e il primo modello di villa agreste come luogo di studio e meditazione. Lo stesso concetto di luogo di ritiro dalla vita mondana viene esemplificato in Villa dei Vescovi a Luvigliano sulle colline euganee sul finire del Quattrocento, per volere del vescovo Jacopo Zeno, come luogo di riposo e soggiorno estivo per i vescovi padovani. Tuttavia è Caterina Cornaro, la prima ad edifica nel 1491 ad Altivole (Asolo) la residenza come luogo di incontro, dove far convivere il piacere dei sensi e quelli
dell’intelletto. La dimora estiva di Caterina non sarà nel Castello di Asolo, sede del potere ufficiale della corte che l’ex regina di Cipro ricevette dal doge Agostino Barbarigo quale “indennizzo” per aver abdicato a favore della Repubblica di San Marco, ma è un “barco”, cioè un luogo di delizie dove cacciare, divertirsi e incontrare filosofi e artisti come Bembo e Giorgione. Solo nel 1537 Palladio, ispirato probabilmente dalla struttura di Villa dei Vescovi e dall’estetica del castello di Thiene, realizza a Lonedo di Lugo (Vicenza) la prima villa di campagna in cui avviene la transizione dall’idea di villa-castello a quello di villa-abitazione che pone la famiglia e l’attività agricola al centro degli interessi del committente. In questo diverso contesto economico-sociale nasce la “civiltà di villa”, caratteriz-
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zata dal rapporto quotidiano con la terra, i contadini, i fittavoli, la servitù e dal nuovo ruolo assunto dalla donna che, oltre a gestire le faccende domestiche e la vita famigliare, diventa custode dei valori etici e morali che sono a fondamento della ‘cultura umanistica” di ispirazione platonica. La filosofia umanistica sarà il tema centrale dei 12 affreschi che nel 1734 Giambattista Tiepolo realizza a Villa Zileri In particolare l’allegoria della “Fama, Gloria e Virtu’ cardinali”, rappresenta la sintesi di quei valori di discriminazione (le quattro virtù cardinali) che permettono all’uomo di mantenere l’equilibrio tra desideri materiali e passioni, tra vita operosa e vita contemplativa, tra le ambizioni sociali (la Fama), e l’anelito all’amore, alla felicità e alla pace che sono prerogativa dell’Anima (la Gloria).
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LA CULTURA DI VILLA: MEDITAZIONE E VITA FAMIGLIARE
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1334. Casa Petrarca: la prima villa di campagna Con Francesco Petrarca ha inizio il recupero della tradizione letteraria della vita in campagna e della villa come luogo di ritiro e meditazione descritta dagli autori latini, e in particolare Virgilio. La cultura dell’antica Roma ispirerà in seguito i trattati di agricoltura e le tipologie dell’architettura che saranno studiate e imitate per secoli. La casa che Petrarca costruì per sé ad Arquà, è “gotica nello stile ma antica nello spirito”, come si apprende dalle lettere in cui il grande scrittore descriveva la casa e
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la sua messa in opera. Nella sua dimora rivive l’ideale classico della vita a contatto con la natura: la campagna non è più un luogo ostile, ma ambiente privilegiato per l’attività intellettuale. L’edificio originario pare che sia stato donato al poeta dall’amico Francesco I da Carrara, signore di Padova. Il Petrarca decise di occuparsi personalmente della ristrutturazione dell’abitazione; la parte inferiore (dominicale) fu pensata per sé e i suoi familiari, mentre quella superiore (rustico)
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venne destinata alla servitù. Il poeta si dedicò all’abbellimento del suo studio, alla cura del giardino e del brolo; in questo orticello il Petrarca amava trascorrere parte delle sue giornate. Dopo la morte, avvenuta nel 1374, l’edificio e la sua biblioteca vennero ereditati dall’amato genero Francescuolo da Brossura. Successivamente la proprietà passò alla famiglia Giustinian ed altre famiglie veneziane, per essere infine donata dal Cardinale Silvestri al Comune di Padova nel 1875.
DAL PETRARCA ALLA VILLA-CASTELLO
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1444. Da Porto Colleoni: La villa castello Dal Quattrocento comincia l’insediamento dell’aristocrazia veneziana nelle campagne venete. Le residenze diventano i “centri direzionali” di vaste aziende agricole, ma sono ancora prive di una immagine architettonica specifica: le forme sono debitrici da un lato del palazzo di città e dall’altra del castello, memoria di quando le campagne erano pericolose. Villa Da Porto Colleoni a Thiene rappresenta in questo senso un unicum architettonico, dal momento che riassume in sé le carat-
teristiche gotiche del castello e del palazzo veneziano. Il risultato è un complesso ibrido, significativo della transizione che un secolo più tardi porterà alla nascita della villa palladiana. Il progetto si deve probabilmente a Domenico da Venezia, attivo a Vicenza dal 1448 al 1453 per la costruzione del Duomo e del Palazzo della Ragione. La fronte principale della villa presenta una loggia a cinque arcate leggermente ogivali, sopra la quale si aprono una pentafora e due monofore
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gotiche. Il prospetto si completa nelle due torri d’angolo, con merli e appariscenti comignoli alla veneziana. Oltre il colonnato d’accesso si sviluppa un grande atrio a T, forma ripetuta nella vasta sala al piano superiore. Al piano terreno una sala è interamente affrescata da Battista Zelotti (1526-1578) e Giovanni Antonio Fasolo (1530-1572), i due più importanti allievi di Paolo Veronese. Tra le adiacenze spicca la scuderia, elegante lavoro della prima metà del Settecento, attribuito al Muttoni.
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LA CULTURA DI VILLA: RITIRO SPIRITUALE E CONTEMPLAZIONE
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© Sttefano Maruzzo
1501. Dei Vescovi: la villa nel teatro della natura Sulla sommità di un colle, dove la tradizione voleva sorgesse la villa di Tito Livio, la villa dei Vescovi rappresenta la rinascita della villa degli antichi in Veneto. Il modello è la villa di Plinio il Giovane, circondata da colline che le fanno corona come “un molto grande teatro”. Una prima costruzione fu presumibilmente eretta ai piedi del monte Solone sul finire del Quattrocento, per volere del vescovo Jacopo Zeno, come luogo di riposo e soggiorno estivo per i vescovi padovani. Il nucleo
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architettonico originario venne in seguito ampliato nel 1501 per volontà del vescovo Pietro Barozzi . IL concepimento dell’opera fu affidato ad Alvise Cornaro dal Vescovo di Padova, che qui individuò la sede per un circolo intellettuale raccolto attorno al valore del paesaggio e al suo ruolo di stimolo verso riflessioni e pensieri elevati. Progettata su questi ideali dall’architetto veronese Falconetto con una concezione rigidamente geometrica, la Villa fu oggetto di successivi interventi di Giulio Romano e
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si presenta come un raffinato esperimento della cultura umanista in cui architettura, arte e paesaggio giocano fra loro in continui rimandi visivi negli spazi delle logge e delle terrazze per realizzare il benessere fisico e spirituale dell’uomo. Avvicinandosi alla Villa, una distesa di vigneti lascia il posto alle geometrie verdeggianti del brolo, poi la bellezza del paesaggio reale torna a rispecchiarsi nei panorami idealizzati delle logge e degli interni interamente affrescati dal pittore fiammingo Lambert Sustris.
DALLA VILLA-CASTELLO ALLA PRIMA TIPOLOGIA DI VILLA FAMIGLIARE
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1537. Godi: la prima villa di Andrea Palladio Il progetto palladiano di una villa per i fratelli Girolamo, Pietro e Marcantonio Godi a Lonedo iniziò nel 1537 per concludersi nel 1542. Con ogni probabilità non si trattò di un incarico autonomo, ma piuttosto di una commissione ottenuta dalla bottega di Gerolamo Pittoni e Giacomo da Porlezza, all’interno della quale il giovane Andrea rivestiva il ruolo di specialista per l’architettura. Prima opera certa di Andrea, che ne dichiara la paternità nei Quattro Libri, villa Godi segna la tappa iniziale del tentativo di
costruire una nuova tipologia di residenza in campagna, dove è evidente la volontà di intrecciare temi derivanti dalla tradizione costruttiva locale con le nuove conoscenze che Palladio stava via via acquisendo attraverso i suoi viaggi. Probabilmente ispirato da Villa dei Vescovi, l’esito è quello di un edificio severo, in cui è bandito ogni preziosismo decorativo tipico della tradizione quattrocentesca. Chiaramente simmetrico, l’edificio è impostato su una netta definizione dei volumi, ottenuta arretrando la
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parte centrale della facciata, aperta da tre arcate in una loggia. La stessa forte simmetria organizza la planimetria dell’edificio, impostata lungo l’asse centrale costituito da loggia e salone, al quale si affiancano gerarchicamente due appartamenti di quattro sale ciascuno. Successivamente Palladio interviene nuovamente sul corpo dell’edificio, modificando l’apertura posteriore del salone e realizzando il giardino retrostante a emiciclo e la splendida vera da pozzo.
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L’innovazione palladiana
La carriera di un genio I Palazzi e leVille per la nobiltà veneta Meno vincolata dal sito o da preesistenze di quanto non fossero i palazzi nei centri urbani, la villa costituiva per Palladio un vero laboratorio di sperimentazione. Numericamente i progetti di villa costituiscono la gran parte della sua produzione, e ad essi deve larga parte della sua fama. Ma l’invenzione palladiana si comprende ancora meglio se inseriamo il suo immenso contributo creativo e intellettuale nella storia di lunga durata delle residenze di campagna nel Veneto.
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LA CARRIERA DI UN GENIO
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La villa veneta si affermò grazie ad una richiesta crescente di prodotti agricoli; alla disponibilità di terra adatta alla coltivazione intensiva di grano e vite; alla domanda e ai prezzi contenuti della seta grezza, prodotta principalmente nei possedimenti; alle condizioni di pace e di relativa sicurezza rurale, garantite dallo Stato veneziano; alla presenza di proprietari terrieri dal fiuto imprenditoriale, pronti a controllare il rendimento e il lavoro dei loro fittavoli e a investire le proprie risorse ed energie per incrementare la produzione; al buon senso di questi proprietari, che in generale non forzarono lo sfruttamento dei fittavoli fino al punto di provocare ribellioni o vendette; e soprattutto ad una cultura che vedeva la vita di campagna come meno logorante e più salutare di quella di città, in grado di contribuire maggiormente alla pace dell’anima e alle attività del pensiero. Questo naturalmente era l’incoraggiante luogo comune riaffermato da Palladio e da molti altri; in realtà i proprietari di villa per la maggior parte non erano studiosi o filosofi – come l’amico e committente di Palladio, Daniele Barbaro – ma semplicemente persone desiderose di incrementare le proprie entrate facendo scavare canali e piantumare vitigni, amanti della caccia della pesca e del mangiar bene, a cui piaceva intrattenere amici e mecenati e primeggiare nel loro piccolo mondo, senza essere troppo strettamente osservati dai vicini e dai nemici come avveniva in città. Ma neanche tutto questo avrebbe portato alla creazione della villa veneta se non ci fosse stato da parte loro un profondo apprezzamento dell’architettura o, in altre parole, la consapevolezza di un prestigio aggiunto, cioè il piacere e l’interesse che una casa progettata in maniera razionale e artistica avrebbe offerto al suo proprietario. In questo la figura di Palladio, e dopo
la sua morte, il suo esempio, fu di fondamentale importanza. È Andrea Palladio ad aver inventato la villa moderna, e con essa un nuovo modo di vivere in campagna. Molto più dei suoi predecessori, Palladio ha saputo mettere in accordo esigenze funzionali, strutturali, estetiche, per creare case a un tempo comode e belle. Per la sua architettura domestica, la villa costituiva un vero laboratorio, dove egli era meno vincolato dal sito o da preesistenze di quanto non fosse nei centri urbani. Numericamente, i progetti di villa costituiscono la gran parte della sua produzione, e ad essi deve larga parte della sua fama. Ma l’invenzione palladiana si comprende ancora meglio se inseriamo il suo contributo nella storia di lunga durata delle residenze di campagna nel Veneto. Palladio riuscì nell’impresa di dare forma concreta alla visione antica del vivere a contatto con la natura, un programma culturale già presente nella mente di Petrarca e degli umanisti veneti suoi successori, fino al grande Pietro Bembo. Ma per tutti costoro la villa era un sogno letterario, che associavano alle case di tipo tradizionale in cui abitavano, ed è solo con Palladio che la visione antica della vita ideale in campagna viene pienamente coniugata con le forme antiche di pronao, di colonnati, di sale a volta e lunghe scalinate che collegano il piano nobile con il giardino antistante, o la vera da pozzo. Un altro aspetto del suo straordinario successo è dovuto alla capacità di adattare il progetto alle preesistenze mediovali , all’interno di di una logica produttiva che mirava all’economia e al riuso, aspetto che si adeguava perfettamente alle esigenze dei committenti che desideravano ricollocare il manufatto residenziale al centro del fondo agricolo e recuperare le fondamenta gotiche. MONOGRAFIEVENETE
LE VILLE DI ANDREA PALLADIO 1. Villa Trissino (1534) - partecipazione 2. Villa Godi Malinverni (1537) 3. Villa Piovene Porti Godi (1539) 4. Villa Valmarana Bressan (1541) 5. Villa Gazzotti Curti (1542) 6. Villa Thiene (1542) - incompiuta 7. Villa Pisani Bonetti (1542) 8. Villa Saraceno (1543) 9. Villa Pojana (1546) 10. Villa Caldogno (1545) 11. Villa Contarini (1546) 12. Villa Angarano (1548) 13. Villa Chiericati (1550) 14. Villa Cornaro (1552) 15. Villa Pisani (1552) 16. Villa Badoer (1554) 17. Villa Barbaro (1554) 18. Villa Porto Pedrotti (1554) - incerta 19. Villa Foscari (1554) 20. Villa Emo (1556) 21. Villa Trissino Rossi (1558) - incompiuta 22. Villa Sarego a Miega (1562) 23. Villa Valmarana Zen (1563) 24. Villa Forni Cerato (1565) 25. Villa Sarego a S. Sofia (1565) 26. Villa Capra (1566) 27. Villa Porto (1570) - incompiuta GUIDA ALLE VILLE DI ANDREA PALLADIO
PALLADIO DISCOVER
© Ruggero Acqua
LA VILLA MODERNA
PATRIMONIO giunta regionale – 9^ legislatura
UNESCO
ALLEGATO A Dgr n. 418 del 31/3/2015
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Marchio Turistico Regionale per l’Italia
LA CARRIERA E LE OPERE DI ANDREA PALLADIO
88 pagine 22x22 prezzo 15,00 € in vendita nelle librerie del Veneto ordini: segreteria@venetovogue.it
Marchio turistico Regionale per il Mercato Estero
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L’INNOVAZIONE PALLADIANA
VILLEVENETE
© Sergio Vezzaro
Villa Caldogno
Le Ville di Andrea Palladio Andrea Palladio, pseudonimo di Andrea di Pietro della Gondola (30 novembre 1508 – 19 agosto 1580), è stato l’architetto più importante della Repubblica di Venezia nel cui territorio progettò numerose ville che lo resero famoso, oltre a chiese e palazzi, questi ultimi prevalentemente a Vicenza. Nella città berica il giovane scalpellino venne istruito all’arte antica, si formò come architetto e visse realizzando l’anelito degli umanisti di far rinascere i canoni dell’armonia codificati da Vitruvio, ispiratore di una visione di perfezione che Palladio ricercò per tutta la sua vita.
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LA CARRIERA DI UN GENIO Nel panorama dell’architettura del sedicesimo secolo, Palladio è una figura d’eccezione. Non comune anche il suo tirocinio, che non fu da pittore, né da scultore, ma da tagliapietra. Infatti, se non fosse stato per i suoi contatti, a partire dalla seconda metà degli anni trenta, con il nobile e scrittore vicentino GianGiorgio Trissino (1478-1550), Palladio sarebbe probabilmente rimasto un abile ed intelligente artigiano, capace forse di disegnare portali e monumenti funebri, ma senza la cultura e l’abilità intellettuale che in questo momento erano necessarie ad un vero architetto. Guido Piovene scrisse che la genialità di Palladio è nell’aspetto visionario della gente veneta: “L’autentico genio veneto, in molte delle sue espressioni più grandi, è appunto qualità visionaria... e prima di Palladio, lo fu col Mantegna, e dopo col Piranesi; tutti visionari attraverso il mezzo loro offerto, che era un’ idea del mondo antico.”
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LA CARRIERA DI UN GENIO
© Antonio Tafuro
Villa Trissino
1537/1549 - Ville rurali produttive Tra il 1537 e il 1549 Andrea Palladio progettò numerose ville di campagna che rispondevano alla necessità di un nuovo tipo di residenza rurale. I suoi disegni riconoscono implicitamente che non era necessario avere un grande palazzo in campagna modellato direttamente su quelli di città: qualcosa di più piccolo, spesso con un unico piano principale abitabile, era adatto come centro per controllare l’attività produttiva, da cui derivava probabilmente la maggior parte del reddito del proprietario,
e per impressionare gli affittuari e i vicini oltre che per intrattenere gli ospiti importanti. Queste residenze stabilivano una presenza sociale e politica nelle campagne ed erano adatte per il riposo, la caccia, e per sfuggire dalla città, sempre potenzialmente malsana. Le facciate, dominate da frontoni di solito decorati con le insegne del proprietario, annunciavano una potente presenza in un vasto territorio pianeggiante. Negli interni Palladio distribuiva le funzioni sia vertical-
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mente che orizzontalmente. Cucine, dispense, lavanderie e cantine si trovavano al piano terreno: l’ampio spazio sotto il tetto veniva impiegato per conservare il prodotto più prezioso della tenuta: il grano, che incidentalmente serviva anche per isolare gli ambienti abitabili sottostanti. Al piano principale, abitato dalla famiglia e dai suoi ospiti, le stanze più pubbliche (la loggia e il salone) si trovavano sull’asse centrale mentre a destra e a sinistra vi erano delle infilate simmetriche di stanze.
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L’INNOVAZIONE PALLADIANA
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© Sergio Vezzaro
Palazzo Chiericati
1540/1542 - Palazzi e ville per la nobiltà vicentina Dal 1540 al 1552 Palladio è completamente dedito alla progettazione di importanti palazzi di città, tutti a Vicenza: il palazzo Thiene, il palazzo Porto, e il palazzo Chiericati. Se la base economica delle principali famiglie delle città venete derivava dalla campagna, la vita politica convergeva invece nei centri urbani, dove la maggior parte di coloro che costruivano e possedevano palazzi controllavano gli affari cittadini come consiglieri. Il primo tra i più importanti palazzi di cui Palladio si occupò, il
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palazzo Thiene, venne iniziato nel 1542 per Marcantonio Thiene e suo fratello, che in quel momento erano i personaggi più ricchi della città. Poco dopo Palladio progettò il palazzo per Iseppo Porto,, ma è con palazzo Chiericati che egli “si laurea” definitivamente architetto: inventa qualcosa che prima non esisteva, un palazzo integrato con il tessuto urbano tanto da avere al piano terreno un portico pubblico, che si ispira direttamente alle grandi architetture antiche, con poderose colonne che sorreg-
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gono i piani superiori. Se palazzo Chiericati rappresenta un tipo inedito di dimora urbana, con le logge del palazzo della Ragione Palladio realizza il più imponente palazzo pubblico dell’Italia settentrionale. Egli crea una quinta monumentale di particolare magnificenza intorno ad un nucleo pre-esistente (con le botteghe al piano terra, e la grande sala dei consiglio. La struttura, realizzata in solida pietra, è, nonostante il suo aspetto romano, quasi gotica nel combinare leggerezza e solidità.
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© Stefano Maruzzo
Villa Barbaro
1552/1564 - Ville per la nobiltà patrizia veneziana Con la realizzazione degli straordinari palazzi vicentini, Palladio è pronto per salire un gradino più alto: diventare l’architetto dei grandi aristocratici veneziani. Per tutti gli anni Cinquanta Palladio realizza ville per i grandi patrizi della capitale: villa Cornaro a Piombino Dese, villa Emo a Fanzolo, villa Barbaro a Maser, villa Foscari a Mira, villa Badoer a Fratta Polesine. Non si tratta più delle piccole ville degli anni vicentini, ma dei poderosi complessi edilizi, per altro decorati da sontuose cam-
pagne decorative affidate ai grandi pittori del momento, come Paolo Veronese o Battista Zelotti. Inoltre questo periodo la sua fama si estende verso Verona e progetta grandiose ville agriole per i ricchi possidenti ai piedi delle colline. Con le “ville per i veneziani”, Palladio compie altresì un percorso di avvicinamento alla capitale: dopo averlo sperimentato nelle proprie residenze in campagna, i patrizi veneziani cominciano a coinvolgere
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Palladio in progetti a Venezia. Va detto che la maggior parte di essi fa parte di un preciso gruppo di potere che punta alla razionalizzazione della vita politica e amministrativa veneziana, anche a costo di cambiamenti radicali. Palladio, con la sua architettura razionale basata sulla ragione e la proporzione numerica, diviene la metafora di un futuro possibile per una Venezia riformata nel diritto, nella organizzazione amministrativa e persino militare.
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L’INNOVAZIONE PALLADIANA
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© Angela Semilia
1564/1580 - L’arrivo a Venezia e la consacrazione Sono i potenti fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro a procurare a Palladio i primi progetti per Venezia: il rifacimento della facciata di San Pietro di Castello, ma soprattutto un intervento complessivo sul monastero benedettino dell’isola di San Giorgio, che porta alla realizzazione del grande Refettorio, e quindi della chiesa e del chiostro. Quasi contemporaneamente i Canonici Lateranensi gli commissionano la fabbrica del loro convento della Carità. Palladio si trova quindi a lavorare per due potentissime compagini religiose in città. Ormai è una figura emergente nel panorama della capitale, tanto da riuscire a scalzare il potente Jacopo Sansovino dalla realizzazione della facciata della chiesa di San Francesco della Vigna. Giorgio Vasari include le opere di Palladio nella seconda edizione delle sue Vite degli artisti nel 1568: è la consacrazione.
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Due anni più tardi Palladio stesso dà alle stampe il suo trattato “I Quattro Libri dell’Architettura” che tanta parte avrà nella sua fortuna internazionale. Anche se Palladio non riesce a conseguire un incarico formale come architetto della Repubblica veneta, di fatto per le sue mani passano tutti i progetti più importanti: a lui è affidata la costruzione della chiesa del Redentore dopo la peste del 1576, e il rifacimento di sale in palazzo Ducale. Palladio muore improvvisamente nell’agosto del 1580: non sappiamo esattamente in che giorno, né dove e nemmeno per quale causa. Non è chiaro nemmeno dove sia stato sepolto il suo corpo, come se avesse voluto cancellare ogni traccia di sé e vivere attraverso la fama dei suoi edifici e nelle pagine dei suoi libri.
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LA CARRIERA DI UN GENIO
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Thomas Jefferson progetta la propria dimora (sopra) e l’Università della Virginia (sotto) utilizzando –i principi compositivi palladiani codificati nei Quattri Libri
1570 - I Quattro Libri dell’Architettura Palladio iniziò a scrivere il trattato a soli 22 anni e lo arricchì poi con le proprie opere. La prima edizione de I quattro libri dell’architettura vide la luce a Venezia nel 1570. Seguono varie edizioni e rifacimenti posteriori, oltre a traduzioni in francese, olandese e inglese. All’interno di questo testo sono presenti illustrazioni atte a dimostrare le idee del Palladio circa la purezza e la semplicità dell’architettura classica, disegnate di suo pugno. Il trattato è suddiviso in quattro libri che trattano argomenti diversi. Primo libro: tratta la scelta dei materiali, le tecniche costruttive, le forme degli ordini architettonici. Secondo libro: riporta una serie di progetti architettonici di Andrea Palladio ed una serie di progetti di costruzioni non realizzate. Le raffigurazioni delle tavole talvolta si discostano dall’edificio costruito in quanto risentono di
un processo di idealizzazione e adeguamento al maturo linguaggio del maestro. Terzo libro: descrive la maniera di costruire le strade rettilinee lastricate in pietra, i ponti in legno ed in pietra con numerosi progetti palladiani, le piazze antiche realizzate dai greci e dai latini ed infine le basiliche fra cui la basilica progettata da Vitruvio a Fano e l’importante Basilica Palladiana di Vicenza. Quarto libro: contiene i rilievi di 26 edifici romani antichi fra cui 18 templi a pianta rettangolare dei fori repubblicano e imperiale. Nei Quattro libri sono indicate regole sistematiche per il costruire ed esempi di progetti, cosa che all’epoca non era usuale. Anziché modelli da copiare, le tipologie architettoniche assumono la fisionomia di schemi compositivi dove poter esercitare infinite varianti.
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LEVILLE DI PALLADIO
Architettura e Funzione Forme archetipiche e bellezza estetica Il senso della proporzione è il principio fondativo della bellezza estetica, ed è innegabile che Palladio sia riuscito nell’operazione di recuperare il linguaggio dell’architettura classica, di adattarlo alle nuove esigenze funzionali mantenendo, e forse andando oltre, quell’immagine di perfezione tramandata dalla civiltà greca e romana
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FORME ARCHETIPICHE E BELLEZZA ESTETICA
VILLEVENETE TIPOLOGIE PALLADIANE LA VILLA FAMIGLIARE Villa Godi Malinverni (1537) LA VILLA NOBILIARE Villa Piovene Porti Godi (1539) Villa Thiene (1542) Villa Porto Pedrotti (1554) Villa Barbaro (1554)
Andrea di Pietro, poi Palladio, e il siuo mentore Giangiorgio Trissino
ALL’ORIGINE DEL MITO Villa Trissino non è sicuramente opera di Palladio, ma è uno dei luoghi del suo mito, anzi ne è l’origine. La tradizione vuole infatti che proprio qui, nella seconda metà degli anni ’30, il nobile vicentino Giangiorgio Trissino (14781550) incontri il giovane scalpellino Andrea di Pietro impegnato nel cantiere della villa. Intuendone in qualche modo le potenzialità e il talento, Trissino ne cura la formazione, lo introduce all’aristocrazia vicentina e, nel giro di pochi anni, lo trasforma in un architetto cui impone l’aulico nome di Palladio. Giangiorgio Trissino era un letterato, autore di opere teatrali e di grammatica. Abile dilettante di architettura e responsabile in prima persona della ristrutturazione della villa di famiglia a Cricoli, appena fuori Vicenza, Trissino guida Palladio alla conoscenza di Vitruvio, il filosofo latino vissuto nel I sec. d.C. che per primo codifica gli ordini dell’architettura greca e detta le regole dell’armonia universale esistente da una singola parte dell’edificio con il tutto, prendendo come modello le proporzioni esistenti nel corpo umano. Non è semplice comporre in archittettura le forme geometriche archetipiche quali il cerchio, il quadrato, la sfera mantenendo il senso della proporzione tra le diverse parti dell’edificio da strutturare sia in pianta che nel prospetto.
Il senso della proporzione è il principio fondativo della bellezza estetica, ed è innegabile che Palladio sia riuscito nell’operazione di recuperare il linguaggio dell’architettura classica, di adattarlo alle nuove esigenze funzionali mantenendo, e forse andando oltre, quell’immagine di perfezione tramandata dalla civiltà greca e romana. Non è privo di significato il commento che espresse Wolfang Goethe, il massimo esponente della percezione sensoriale-estetica dell’Ottocento, ammirando le opere palladiane a Vicenza:
“Sono qua da poche ore e ho già percorso la città, ho visto il teatro Olimpico e gli edifici del Palladio. (…) Se queste opere non si vedono di persona, uno non può farsene un’dea. Il Palladio è stato un uomo del tutto interiore, che ha saputo esternare la grandezza della propria interiorità. Nell’architettura civile la maggior difficoltà sta sempre nella disposizione degli ordini di colonne.. (...). Ma con quale perizia egli ha saputo associare il tutto, com’è riuscito ad imporsi con l’immanenza delle sue opere, facendo dimenticare quanto c’è in loro di spropositato. C’è veramente qualcosa di divino nelle sue strutture, c’è tutta la forza del grande poeta che dalla verità e dalla menzogna ricava un terzo elemento, che ci affascina” (Viaggio in Italia 1786 - 1788). Forma, Funzione e Bellezza nascono della discriminazione cognitiva che caratterizza il genio inventivo di Palladio, capace di fondere immagine e contenuto in una perfetta sintesi generata dall’immaginazione creativa. MONOGRAFIEVENETE
LA VILLA FATTORIA Villa Valmarana Bressan (1541) Villa Gazzotti Curti (1542) Villa Saraceno (1543) Villa Emo (1556) LA VILLA TEMPIO Villa Chiericati (1550) Villa Badoer (1554) LA VILLA ESTETICA Villa Pojana (1546) Villa Forni Cerato (1565) LA VILLA SCENOGRAFICA Villa Foscari (1554) LA VILLA IN STILE CLASSICO 7. Villa Pisani Bonetti (1542) LA VILLA IN STILE MODERNO Villa Caldogno (1545) LA VILLA PADRONALE DI CAMPAGNA Villa Angarano (1548) Villa Sarego (1665) LA VILLA PADRONALE SUBURBANA Villa Cornaro (1552) Villa Pisani (1552) LA VILLA SANTUARIO Villa Capra la Rotonda (1566)
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ARCHITETTURA E FUNZIONE
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1554. Barbaro - La Villa Status All’inizio degli anni ’50, la realizzazione della villa per i fratelli Barbaro a Maser costituisce per Palladio un punto di arrivo importante nella definizione della nuova tipologia di edificio di campagna. Per la prima volta infatti (anche se la soluzione ha precedenti in ville quattrocentesche) la casa dominicale e le barchesse sono allineate in un’unità architettonica compatta. A Maser ciò probabilmente è da collegarsi alla particolare localizzazione della villa sulle pendici di un colle: la disposizione in linea garantiva una migliore visibilità dalla strada sottostante, e del resto l’orografia del terreno avrebbe imposto costosi terrazzamenti a barchesse disposte secondo l’andamento del declivio. Se è vero che per molti versi la villa mostra marcate differenze rispetto alle altre realizzazioni palladiane, ciò è senza dubbio frutto dell’interazione fra l’architetto e una committenza d’eccezione. 20
Daniele Barbaro è un uomo raffinato, profondo studioso d’architettura antica e mentore di Palladio dopo la morte di Trissino nel 1550: sono insieme a Roma nel 1554 per completare la preparazione della prima traduzione ed edizione critica del trattato di Vitruvio, curata da Barbaro e illustrata da Palladio, che vedrà le stampe a Venezia nel 1556. Marcantonio Barbaro, energico politico e amministratore, ha un ruolo chiave in molte scelte architettoniche della Repubblica e col fratello Daniele è instancabile promotore dell’inserimento di Palladio nell’ambiente veneziano. Intendente d’architettura egli stesso, riceve un esplicito omaggio da Palladio nei Quattro Libri per l’ideazione di una scala ovata. Nella costruzione della villa Palladio interviene con abilità, riuscendo a trasformare una casa preesistente agganciandola alle barchesse rettilinee e scavando sulla parete del colle un ninfeo con una peschiera MONOGRAFIEVENETE
dalla quale, grazie a un sofisticato sistema idraulico, l’acqua viene trasportata negli ambienti di servizio e quindi raggiunge giardini e brolo. Nella didascalia della pagina dei Quattro Libri che riguarda la villa, Palladio mette in evidenza proprio questo exploit tecnologico che si richiama all’idraulica romana antica. È evidente che, piuttosto che le venete ville-fattoria, il modello di villa Barbaro sono le grandi residenze romane che enfatizzano l’immagine di uno status sociale-intellettuale molto elevato, come villa Giulia o quella che Pirro Ligorio realizzava a Tivoli per il cardinale Ippolito d’Este All’interno della villa Paolo Veronese realizza quello che è considerato uno dei più straordinari cicli di affreschi del Cinquecento veneto, ed è probabilmente dello stesso Veronese l’ideazione del fantasioso disegno della facciata che difficilmente può essere attribuito ad Andrea Palladio
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1556. Emo - La Villa Fattoria La villa palladiana quale esito di una nuova tipologia, dove le necessità pratiche della vita agricola sono tradotte in forme inedite e in un linguaggio nuovo ispirato all’architettura antica, ha senza dubbio un punto di approdo definitivo in villa Emo. Gli edifici funzionali alla conduzione delle campagne, che nella villa quattrocentesca sono casualmente disposti intorno all’aia, in villa Emo raggiungono una sintesi architettonica mai vista prima, che riunisce in un’unità casa dominicale, barchesse e colombare. Nella sua composizione, così sobria e lineare da essere paragonata a un progetto razionalista, Palladio sviluppa la tipologia della “fattoria rurale”, adeguata alla conduzione del fondo e in tutte le sue diverse articolazioni, al punto da configurarsi come nel prototipo di Villa “aziendale”. La datazione della fabbrica è controversa, ma dovrebbe fissarsi al 1558, dopo le ville
Barbaro e Badoer, con le quali condivide l’impostazione generale. Ormai accettato dalle grandi famiglie aristocratiche veneziane, Palladio costruisce la villa per Leonardo Emo, la cui famiglia possedeva proprietà a Fanzolo dalla metà del Quattrocento. La zona era attraversata dall’antica via Postumia, e la trama dei campi seguiva la griglia della centuriazione romana. La villa è orientata secondo tale trama antica, come si può ben cogliere dagli ingressi all’edificio, allineati in una lunghissima prospettiva. La composizione del complesso è gerarchica, dominata dall’emergenza della casa del padrone, innalzata su un basamento e collegata al suolo da una lunga rampa di pietra; ai fianchi due ali rettilinee e simmetriche di barchesse sono concluse da altrettante torri colombare. Il purismo del disegno è sorprendente quanto calibrato: basti guardare come le colonne estreme della loggia sono assorMONOGRAFIEVENETE
bite dal muro per 1/4 del loro diametro e graduano il passaggio dalla cavità in ombra alle pareti in piena luce. L’ordine scelto è il dorico, il più semplice, e persino le finestre sono prive di cornici. Alla logica stereometrica degli esterni corrisponde una decorazione interna straordinaria, opera di Battista Zelotti, che era già intervenuto nei cantieri palladiani di villa Godi e della Malcontenta.
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1554. Badoer - La Villa Tempio Ai confini meridionali dei territori della Serenissima, nelle piatte e nebbiose lande del Polesine, Palladio progetta nel 1554 una villa per il nobile veneziano Francesco Badoer, destinata a diventare il baricentro della vasta tenuta agricola di quasi cinquecento campi da questi ricevuta in eredità sei anni prima. Costruita e abitata nel 1556, la villa doveva quindi essere funzionale alla conduzione dei campi e insieme segno visibile della presenza, per così dire feudale, dei Badoer sul territorio: non a caso l’edificio sorge sul sito di un antico castello medievale. Palladio riesce a unire in una sintesi efficace entrambi i significati, collegando il maestoso corpo dominicale alle due barchesse piegate a semicerchio che schermano le stalle e altri annessi agricoli. Probabilmente sfruttando le sottostrutture del castello medievale, il corpo dominicale della villa sorge su un alto basamento, ri22
chiamando precedenti illustri come villa Medici a Poggio a Caiano di Giuliano da Sangallo, o la poco lontana villa dei Vescovi a Luvigliano di Falconetto. Ciò rende necessaria una scenografica scalinata a più rampe, la principale a scendere nella corte, e le due laterali a connettersi con le testate delle barchesse, ricordando così la struttura di un tempio antico su terrazze. Le elegantissime barchesse curvilinee sono le uniche concretamente realizzate da Palladio fra le molte progettate (per esempio per le ville Mocenigo alla Brenta, Thiene a Cicogna o villa Trissino a Meledo) e la loro forma — scrive lo stesso Palladio — richiama braccia aperte ad accogliere i visitatori: fonte antica di riferimento sono molto probabilmente le esedre del tempio di Augusto a Roma. Nelle barchesse Palladio usa l’ordine tuscanico, adeguato alla loro funzione e alla possibilità di realizzare intercolumni molto MONOGRAFIEVENETE
ampi che non intralcino l’accesso dei carri. La loggia della villa mostra invece un elegante ordine ionico a enfatizzare il ruolo di residenza dominicale. Il fuoco visivo dell’intero complesso è calibrato proprio sull’asse dominato dal grande frontone triangolare retto dalle colonne ioniche, su cui campeggia lo stemma familiare, tanto che i fianchi e il retro della villa non sono assolutamente caratterizzati e presentano un disegno semplicemente utilitario. Per il resto la struttura distributiva del corpo dominicale presenta la consueta organizzazione palladiana lungo un asse verticale, con il piano interrato per gli ambienti di servizio, il piano nobile per l’abitazione del padrone e infine il granaio. Tutte le sale sono coperte da soffitti piani e sulle pareti Giallo Fiorentino ha disegnato complessi intrecci di figure allegoriche dai significati in parte ancora oscuri.
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1566. Capra“la Rotonda” - La Villa Santuario Icona universale delle ville palladiane, la Rotonda in realtà è considerata dal suo proprietario come una residenza urbana o, più propriamente, suburbana. Paolo Almerico vende infatti il proprio palazzo in città per trasferirsi appena fuori le mura e lo stesso Palladio, nei Quattro Libri, pubblica la Rotonda fra i palazzi e non già fra le ville. Del resto è isolata sulla cima di un piccolo colle e in origine era priva di annessi agricoli. Il canonico Paolo Almerico, per il quale Palladio progetta la villa nel 1566, è uomo di alterne fortune, rientrato infine a Vicenza dopo una brillante carriera alla corte papale. La villa è già abitabile nel 1569, ma ancora incompleta, e nel 1591, due anni dopo la morte di Almerico, viene ceduta ai fratelli Odorico e Mario Capra che portano a termine il cantiere. Subentrato a Palladio dopo il 1580, Scamozzi in sostanza completa il progetto
con interferenze che studi recenti tendono a considerare molto limitate. Non certo villa-fattoria, la Rotonda è piuttosto una villa-tempio, un’astrazione, specchio di un ordine e di un’armonia superiori. Orientata con gli spigoli verso i quattro punti cardinali, vuole essere letta innanzitutto come un volume, cubo e sfera, quasi si richiamasse alle figure base dell’universo platonico. Certo le fonti per un edificio residenziale a pianta centrale sono diverse, dai progetti di Francesco di Giorgio ispirati a villa Adriana o dallo “studio di Varrone”, alla casa di Mantegna a Mantova (o la sua “Camera degli sposi” in palazzo Ducale), sino al progetto di Raffaello per villa Madama. Sta di fatto che la Rotonda resta un unicum nell’architettura di ogni tempo come se, costruendo una villa perfettamente corrispondente a se stessa, Palladio avesse voluto costruire un modello ideale della MONOGRAFIEVENETE
propria architettura, e quindi il manifesto visibile dell’ Architettura Universale. La decorazione dell’edificio è sontuosa, con interventi di Lorenzo Rubini e Giambattista Albanese (statue), Agostino Rubini, Ottavio Ridolfi, Bascapè, Fontana e forse Alessandro Vittoria (decorazione plastica di soffitti e camini), Anselmo Canera, Bernardino India, Alessandro Maganza e più tardi Ludovico Dorigny (apparati pittorici).
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1549. Pojana - La Villa Estetica La villa è commissionata a Palladio dal vicentino Bonifacio Poiana, di famiglia fedelissima alla Repubblica di San Marco, che possedeva sin dal Medioevo una giurisdizione di tipo feudale sui territori che portano il suo nome. Per altro, nell’area dove sorgerà la villa esisteva già una corte quattrocentesca dominata da una torre, dove campeggia tuttora l’insegna familiare. Palladio probabilmente progetta la villa sul finire degli anni ’40, il cantiere procede a rilento e in ogni caso i lavori sono terminati entro il 1563, quando è compiuta la decorazione interna eseguita per mano dei pittori Bernardino India e Anselmo Canera e dello scultore Bartolomeo Ridolfi. Sia nei Quattro Libri sia nei disegni autografi palladiani conservati a Londra, la villa viene sempre trattata come parte di un globale progetto di riorganizzazione e regolarizzazione dell’area attorno ad ampi 24
cortili. Di tale progetto tuttavia è stata costruita solamente la lunga barchessa a sinistra della villa, con capitelli dorici ma intercolumni tuscanici. Il complesso è completato nel Seicento, quando i discendenti di Bonifacio adattano l’edificio al loro gusto e alle loro necessità, con l’addizione di un corpo edilizio sulla destra della villa che ne riprende le modanature delle finestre. Disposta lontana dalla strada, all’interno di una profonda corte, e fiancheggiata da giardini, la villa si innalza su un basamento destinato agli ambienti di servizio. Il piano principale è dominato da una grande sala rettangolare voltata a botte, ai cui lati si distribuiscono simmetricamente le sale minori, coperte con volte sempre diverse. Evidentemente la fonte dell’ispirazione palladiana sono gli ambienti termali antiMONOGRAFIEVENETE
chi, anche per gli alzati: il cornicione, che in facciata disegna una sorta di timpano interrotto deriva dal recinto esterno delle terme di Diocleziano a Roma, così come la serliana, che pure risente di sperimentazioni bramantesche nella configurazione a doppia ghiera con cinque tondi. Più in generale sembra che Palladio ricerchi la logica per così dire utilitaria dell’architettura termale antica, con un linguaggio straordinariamente sintetizzato nelle forme e astratto, quasi metafisico. Privo di capitelli e trabeazioni, l’ordine è appena accennato nell’articolazione essenziale delle basi dei pilastri. L’assenza di ordini e di parti in pietra lavorata (se non nei portali della loggia) deve avere assicurato una globale economicità nella realizzazione dell’opera, confermata dall’uso del mattone intonacato e del cotto sagomato, sul quale il recente restauro ha trovato traccia di policromie.
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1554.Foscari - la Malcontenta - La Villa Scenografica La villa che Palladio realizza per i fratelli Nicolò e Alvise Foscari intorno alla fine degli anni ’50 sorge come blocco isolato e privo di annessi agricoli ai margini della Laguna, lungo il fiume Brenta. Più che come villa-fattoria si configura quindi come residenza suburbana, raggiungibile rapidamente in barca dal centro di Venezia. La famiglia dei committenti è una delle più potenti della città, tanto che la residenza ha un carattere maestoso, quasi regale, sconosciuto a tutte le altre ville palladiane, cui contribuisce la splendida decorazione interna, opera di Battista Franco e Gian Battista Zelotti. Studi recenti hanno documentato un intervento dei fratelli Foscari a favore di Palladio per la progettazione di un altare per la chiesa di San Pantalon nel 1555, che testimonierebbe un rapporto precedente alla progettazione della villa. La villa sorge su un alto basamento, che
separa il piano nobile dal suolo umido e conferisce magnificenza all’edificio, sollevato su un podio come un tempio antico. Nella villa convivono motivi derivanti dalla tradizione edilizia lagunare e insieme dall’architettura antica: come a Venezia la facciata principale è rivolta verso l’acqua, ma il pronao e le grandi scalinate hanno a modello il tempietto alle fonti del Clitumno, ben noto a Palladio. Le maestose rampe di accesso gemelle imponevano una sorta di percorso cerimoniale agli ospiti in visita: approdati davanti all’edificio, ascendevano verso il proprietario che li attendeva al centro del pronao. La villa è una dimostrazione particolarmente efficace della maestria palladiana nell’ottenere effetti monumentali scenografici utilizzando materiali poveri, essenzialmente mattoni e intonaco. Come è ben visibile a causa del degrado delle superfici, tutta la villa è in mattoni, colonne comprese (tranne quegli elemenMONOGRAFIEVENETE
ti che è più agevole ricavare scolpendo la pietra: basi e capitelli), con un intonaco a marmorino che finge un paramento lapideo a bugnato gentile, sul modello di quello che compare talvolta sulla cella dei templi antichi. L’aspetto innovativo consiste nella disposizione di numerose finestre, di varie forme e dimensioni, accostate o distanziate con sapienza, al fine di ottenere la massima quantità di luce alla sala crociata, alle stanze laterali, alle scale, ai mezzanini e il sottotetto. La facciata posteriore è uno degli esiti più alti fra le realizzazioni palladiane, con un sistema di forature che rende leggibile la disposizione interna; si pensi alla parete della grande sala centrale voltata resa pressoché trasparente dalla finestra termale sovrapposta a una trifora che diventerà uno dei motivi dominanti dell’architettura delle chiese realizzate da Palladio negli anni seguenti a Venezia. 25
L’INNOVAZIONE PALLADIANA
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1542. Pisani - La Villa in stile classico La realizzazione di villa Pisani a Bagnolo, a partire dal 1542, costituisce per la carriera del giovane Palladio un vero punto di svolta. I fratelli Vettore, Marco e Daniele Pisani fanno infatti parte dell’élite aristocratica veneziana, con conseguente netto salto di scala nella committenza palladiana sino ad allora soprattutto vicentina. La vasta tenuta agricola di oltre 1200 campi era di proprietà Pisani sin dal 1523, e su di essa insisteva una casa dei precedenti proprietari, i vicentini Nogarola, probabilmente assorbita nella nuova costruzione. Nel 1545 il corpo padronale risulta realizzato, e in una mappa del 1562 è visibile sul fondo del cortile una grande barchessa conclusa da due colombare, ammirata dal Vasari ma successivamente distrutta e sostituita dall’attuale struttura ottocentesca localizzata sul lato lungo, estranea al progetto palladiano. Nel progetto di villa Pisani l’obiettivo di Palladio è ambizioso: realizzare una dimo26
ra di campagna che sia adeguata ai raffinati gusti dei fratelli Pisani e al tempo stesso in grado di offrire una risposta concreta e razionale in termini di organizzazione di tutto il complesso degli annessi agricoli. Palladio infatti inserisce in un disegno unitario casa padronale, stalle, barchesse e colombare, vale a dire quegli elementi che nella villa quattrocentesca si affacciavano sull’aia in un disegno casuale, privo di gerarchie funzionali e formali. Al tempo stesso, le necessità pratiche della vita agricola sono tradotte in forme inedite, in un nuovo linguaggio ispirato all’architettura antica. Per accentuare la suggestione di tempio romano, la villa sorge su un alto basamento che dà slancio all’edificio e accoglie gli ambienti di servizio. La grande sala centrale a “T” è coperta a botte come gli edifici termali antichi, riccamente decorata e illuminata da un’ampia finestra termale: uno spazio radicalmente MONOGRAFIEVENETE
diverso, per dimensioni e qualità formale, dalle sale delle ville prepalladiane, tradizionalmente più piccole e coperte da un soffitto piano con travi di legno. Una ricca decorazione pittorica ad affresco, con scene tratte dalle Metamorfosi di Ovidio dovute probabilmente alla mano di Francesco Torbido (1482/84-1561), dialoga con lo spazio architettonico esaltandone la monumentalità. Un ricco dossier di disegni autografi, oggi conservati a Londra, documenta l’evolversi del progetto palladiano. Nelle prime ipotesi si affollano suggestioni derivanti dalle architetture antiche e moderne visitate nel viaggio a Roma appena compiuto (da villa Madama di Raffaello al Belvedere bramantesco, sino alla cappella Paolina di Sangallo) accanto a elementi più specificamente veneti: la disposizione delle stanze, la loggia serrata da due torrette o il potente bugnato della facciata sul fiume.
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© Luca Agnoletto
1548. Caldogno - La Villa in stile moderno Nel 1541 Losco Caldogno, aristocratico vicentino e attivo commerciante di seta, ottiene in eredità una corte agricola e numerosi campi a Caldogno, a pochi chilometri a nord di Vicenza. Legato da stretti vincoli di parentela a committenti palladiani come i Muzani e successivamente i Godi, con buona probabilità commissionò a Palladio la ristrutturazione della corte agricola. Non si hanno elementi precisi circa la datazione dell’intervento: è possibile fissare l’inizio dei lavori al 1542, la casa è certamente abitabile nel 1567 e la data “1570” incisa sulla facciata indica probabilmente la fine delle opere di decorazione. Non esistono prove documentarie della paternità palladiana della villa, che non è inclusa nei Quattro Libri, ma è evidente la somiglianza della facciata con quella di villa Pisani (1542) e Villa Saraceno (1548) La planimetria è molto semplice e le stanze non sono perfettamente proporzionate,
ma molto probabilmente ciò deriva dal riutilizzo di murature preesistenti. Le fondamenta infatti risalgono a una torre quattrocentesca abbattuta per far posto alla nuova dimora Ricchissima è la decorazione pittorica degli interni (loggia, salone centrale, stanze lato ovest) dovuta in gran parte alla mano di Giovanni Antonio Fasolo (1530-1572), Giovanni Battista Zelotti (1526-1578), Giulio Carpioni (1613-1679). La presenza dei tre artisti, molto conosciuti a aopprezzati all’epoca, denota la disponibilità economica della famiglia Caldogno che si era arricchita con il commercio della seta. I temi scelti per le decorazioni lasciano intendere che la villa fosse utilizzata per scopi ludici. Nelle pareti della loggia, sono infatti rappresentate in maniera impareggiabile gli svaghi e le delizie della vita in villa. Nella parete a sinistra sono rappresentati, MONOGRAFIEVENETE
attorno ad un tavolo, fanti e donzelle (“Il gioco delle carte” e “L’invito alla danza”; nella parete a destra, un gruppo di suonatori di vari strumenti musicali (“Il concerto” e “La merenda”). Sulla volta a botte, entro un grande ovale, è raffigurato “Il Concilio degli dei”.
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L’INNOVAZIONE PALLADIANA
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1548. Angarano - La Villa Padronale di campagna Della villa che Palladio progettò per il suo grande amico Giacomo Angarano nei dintorni di Bassano del Grappa esiste ben poco: solamente due barchesse che affiancano un corpo padronale dall’aspetto chiaramente seicentesco. La tavola dei Quattro Libri (II, p. 63) ci restituisce la planimetria del complesso nelle intenzioni dell’architetto: due barchesse piegate a “U” che serrano un corpo padronale fortemente sporgente. Dai documenti sappiamo che sul sito preesisteva un edificio abitato da Giacomo: probabilmente fu per questo che si iniziarono i lavori dalle barchesse, lavori che si arrestarono prima di coinvolgere la ristrutturazione dell’antica casa, attuata in seguito, non certo secondo il progetto palladiano. In realtà non è sicura nemmeno la data di progettazione della villa. Tradizionalmente viene fatta risalire alla fine degli anni ’40, con solide argomentazi28
oni, ma è possibile che sia invece connessa all’improvvisa eredità del fratello Marcantonio che Giacomo ottiene nel 1554, anche considerando che due anni più tardi questi acquisirà importanti cariche pubbliche a Vicenza. Angarano è un appassionato di architettura e stretto amico di Palladio, il quale nel 1570 gli dedica la prima metà dei Quattro Libri. Purtroppo, 18 anni più tardi Giacomo è costretto a restituire alla famiglia di sua nuora, rimasta vedova, l’intera dote, e ciò provoca un collasso finanziario che lo costringe a vendere la villa al patrizio veneziano Giovanni Formenti. Come altre ville padronali, dotate di estesi appezzamenti terrieri destinati all’agricoltura o alla coltivazione della vite, e quindi fonte di redddito per le famiglie che vi dimoravano, i passaggi di proprietà erano frequenti determinando nel tempo ampliamenti, trasformazioni e modifiche anche MONOGRAFIEVENETE
sostanziali della struttura originaria. Un’altra villa simile a questa, progettata da Palladio nel 1552 per i fratelli Ragona che possedevano una cospicua proprietà terriera alle Ghizzolle di Montegaldella, ha subito pesanti manomissioni che non consentono di valutare se siano stati fatti dei lavori, né tantomeno la loro entità.
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1552. Cornaro - La Villa Padronale suburbana Insieme alla pressoché contemporanea Pisani di Montagnana, la villa realizzata a Piombino Dese per un altro potente patrizio veneziano, Giorgio Cornaro, segna un netto salto di scala nel prestigio e nella capacità di spesa della committenza palladiana, sino ad allora essenzialmente vicentina. Il cantiere è già in piena attività nel marzo del 1553, e nell’aprile dell’anno seguente l’edificio — pur incompleto — è abitabile, tanto da esservi documentato Palladio “la sera a zena” col padrone di casa. Quest’ultimo, con la novella sposa Elena, nel giugno dello stesso anno prende formalmente possesso della villa, o meglio del suo cantiere: a questa data risulta infatti realizzato solamente il blocco centrale, ma non le ali né il secondo ordine delle logge. A ciò si provvede in due campagne successive, nel 1569 e nel 1588, la seconda condotta da Vincenzo Scamozzi, probabilmente responsabile anche del coinvolgi-
mento di Camillo Mariani nella realizzazione delle statue del salone. Le ville Pisani e Cornaro sono legate da molto più di una semplice coincidenza cronologica e dall’alto status del committente. Infatti anche la Cornaro ha una struttura e un decoro molto simili a un palazzo ed è più residenza di campagna che villa: isolata rispetto alla tenuta agricola e alle dipendenze, la sua posizione preminente sulla strada pubblica ne rimarca il carattere ambivalente. Del resto i camini presenti in tutte le stanze ne provano un uso non solo estivo, e non a caso una struttura assai simile sarà replicata pochi anni più tardi per il palazzo “suburbano” di Floriano Antonini a Udine. Come per la Pisani, anche la planimetria di villa Cornaro è organizzata intorno a un grande ambiente con quattro colonne libere, qui per altro spostato più al centro della casa e quindi più propriamente salone, a cui si accede con la mediaMONOGRAFIEVENETE
zione della loggia o di uno stretto vestibolo. I due livelli della villa sono connessi da due eleganti scale gemelle che separano nettamente un piano terra, per l’accoglienza di ospiti e clientes, dai due appartamenti superiori riservati ai coniugi Cornaro. Lo straordinario pronao aggettante a doppio ordine riflette la soluzione palladiana della loggia di palazzo Chiericati a Vicenza, ultimata negli stessi anni, con il tamponamento laterale a dare rigidezza alla struttura, come nel Portico di Ottavia a Roma. Va considerato del resto che il tema della doppia loggia in facciata è frequente anche nell’edilizia gotica lagunare, così come colonne libere sostengono i pavimenti dei saloni delle grandi Scuole di Venezia. Si tratta quindi di una rivisitazione di un tema veneziano che ispirò nei secoli successivi la progettazione di edifici di grandi dimensioni divenute nel tempo sedi di istituzioni comunali. 29
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L’EREDITA’ PALLADIANA Tra puristi e intepreti da Scamozzi a Muttoni
L’eredità palladiana raccontata dai libri come Palladianesimo e Neopalladianesimo, è un fenomeno ambiguo ed eterogeneo. Ciò che si dimentica è che il lascito di Palladio è immaginare e poi costruire relazioni a partire dall’esistente, dal paesaggio circostante e dalla luce di quel particolare sito. Ogni sua opera nasce dall’intuizione congiunta alla discriminazione, prerogativa dei grandi maestri come Tiziano, Tintoretto, Veronese e Tiepolo che fecero della “luce veneta” la prima materia da plasmare.
© Loris Guerrato
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MONOGRAFIEVENETE Villa Da Porto Pedrotti a Dueville: la prima villa in stile palladiano
TRA PURISTI E INTERPRETI
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LE VILLE DI SCAMOZZI 1568-1575: Villa Ferramosca, Barbano 1575-1578: Villa Pisani detta la Rocca, Lonigo 1580: Villa Priuli, Treville di Castelfranco Veneto 1580-1584: Villa Nani Mocenigo a Canda (Rovigo) 1580-1592: Villa Almerico Capra detta La Rotonda, - la cupola, le stalle e gli annessi rurali 1586-1605: Villa Foscarini Rossi a Strà [attribuita] 1588: Villa Cornaro, Poisolo di T. (ricostruzione) 1591-1597: Villa Duodo, Monselice
Vincenzo Scamozzi Vincenzo Scamozzi è l’ultimo dei grandi architetti del Rinascimento, stretto fra la tradizione trionfale della generazione di Palladio e il mondo nuovo di Galileo Galilei. Cerca una propria dimensione in una visione dell’architettura come pratica razionale, attenta agli aspetti funzionali, all’economia dei mezzi, ma anche a un nuovo rapporto con il paesaggio, producendo capolavori come la Rocca Pisana di Lonigo, il teatro di Sabbioneta, le Procuratie Nuove in piazza San Marco a Venezia. Di quarant’anni più giovane del Palladio, dovette sviluppare un rapporto complesso (e in parte ancora da esplorare) con il più grande architetto del tempo. Sembra esserne assieme discepolo e avversario, ammiratore e critico. Oscurato dalla fama di uno dei più celebri architetti di tutti i tempi, a lungo la figura di Vincenzo Scamozzi è stata trattata dalla critica in modo non molto dissimile da quella del musicista Salieri nei confronti di Mozart (in Amadeus): un elemento di secondo piano, che non riuscì a brillare di luce propria. Scamozzi fu al contrario un vero protagonista dell’architettura del suo tempo e un architetto eccezionalmente erudito. Interpretando senza dubbio la lezione del Palladio, sviluppò un proprio linguaggio, meno scenografico ed improntato volutamente ad un maggiore rigore e austerità assai apprezzato nel suo tempo.
Francesco Muttoni architetto di Vicenza N.N. Francesco Muttoni ebbe la fortuna di lavorare per una committenza determinata a ritrovare un interprete in grado di declinare la tradizione con le proprie nuove istanze di fasto e autocelebrazione. Nei primi decenni del Settecento occorreva infatti mediare tra la nuova tendenza del neopalladianesimo ormai alle porte e il desiderio di introdurre quelle novità che da quasi un secolo circolavano nelle maggiori città italiane ed europee. I continui contatti con i viaggiatori del nord Europa che giungevano in Veneto alla ricerca delle opere di Palladio, divenute universalmente note grazie alla diffusione dei Quattro Libri, facevano di Vicenza una capitale indiscussa, bisognosa di un professionista competente al servizio del genius loci. Muttoni è il più competente ed esperto dal punto di vista tecnico-operativo e realizza, o riqualifica, ville padronali di grandi dimensioni, dove il rapporto con la natura, il paesaggio e l’organizzazione della proprietà in giardino, parco e peschiera diviene fattore essenziale per consolidare il prestigio della famiglia nobiliare. Pur non possedendo una cultura umanistica come quella di Scamozzi, Muttoni si rivela un attento interprete delle invenzioni palladiane che adatta con eleganza nelle barchesse di Villa Fracanzan e nel prospetto di Villa Negri e Villa Porto a Sarego. MONOGRAFIEVENETE
1596: Villa Ferretti, Dolo (Venezia) 1597: Villa Molin, Mandria, Padova 1597-1598: Villa Priuli, Carrara di Due Carrare 1597-1598: Villa Godi, Sarmego di Grumolo 1609: Villa Trevisan, San Donà di Piave (Venezia) 1612: Villa Morosini - Mantovani, Polesella (Ro)
V. Scamozzi: Villa Duodo
F. Muttoni: Villa Negri LE VILLE DI MUTTONI 1708: Villa Negri a Bertesina 1710: Villa Fracanzan Piovene, Orgiano 1714 - 1716: Villa Da Porto , Monticello di Fara 1715: Villa Monza, Dueville 1717-18: Villa Trento di Costozza 1718-1722 : Villa Trissino Marzotto, Trissino 1722: Villa Cerchiari a Isola Vicentina 1724:. Villa Valmarana Morosini, Altavilla Vic. 1728: Villa Capra a Santa Maria di Camisano 1734. Villa Loschi Zileri dal Verme, Monteviale 1736: Foresteria e scuderie di Villa Valmarana 31
L’EREDITA’ PALLADIANA TRA PURISTI E INTERPRETI
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Le Ville“su Misura” di Vincenzo Scamozzi Vincenzo Scamozzi (1548-1616) inaugura la professione di architetto inteso in senso moderno. Figlio di un facoltoso impresario edile, Vincenzo non si forma nella bottega di uno scalpellino come Andrea Palladio, ma attingendo il sapere dalle biblioteche. I libri saranno i mattoni del suo progetto: fare architetture fondate su una visione teorica rigorosa, capace di includere conoscenze nuove, provenienti da altri paesi e altre culture e dagli stimoli delle nuove scienze. Dopo la morte di Andrea Palladio completa il Teatro Olimpico con una geniale scenografia prospettica e inizia una carriera in cui anticipa la figura del designer contemporaneo capace di personalizzare la ville sulla base dell’immagine che il committente desidera offrire di sè.
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LE VILLE DI VINCENZO SCAMOZZI
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1576. Rocca Pisana- La Villa Universale L’opera si pone nel periodo iniziale della sua attività, ma già testimonia in pieno le sue capacità tecniche e formali, e si pone tra le più belle realizzazioni di tutta la sua produzione. La villa si erge sulla collina dominandola con l’austera purezza dei suoi volumi, realizzando una perfetta composizione geometrica che si caratterizza per una struttura quadrata sormontata da una cupola ottagonale e da un unico centro “vitale”, ben progettato e vissuto, dove le stanze si affacciano alle direttrici fondamentali (corridoi, percorsi…).
Per Villa Capra “la Rotonda” , il modello scelto da Scamozzi per Rocca Pisana, Palladio aveva realizzato una rigida geometria modulare di pianta e una curata scenografia degli ambienti simmetrici e speculari, in un certo senso affine alla visione tolemaica, prediligendo organismi perfetti, omogenei, ortogonali, distribuiti in modo uniforme attorno al suo centro tanto da ispirare “una perfezione ideale”. Viceversa Scamozzi abbraccia una visione “copernicana” aperta a ”soluzioni più organiche e vivibili“ all’uomo.
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Nel progettare Rocca Pisana, il cerchio, assimilabile simbolicamente alla posizione del sole al centro dell’Universo, diventa il punto di rotazione di tutti gli elementi architettonici comunicanti tra loro, il cuore pulsante dell’abitazione che “riscalda” la vita dell’uomo. Rocca Pisani inaugura quindi un modello di villa da abitare, intesa come casa in cui vivere, soggiornare con confort, dotata di tutti quegli spazi necessari agli usi quotidiani, ideonea per tutti gli uomini, nobili e meno nobili, e quindi universale.
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L’EREDITA’ PALLADIANA TRA PURISTI E INTERPRETI
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1596. Molin - la Villa dell’ambasciatore La villa affonda le sue origini nell’epoca feudale: pare infatti che qui sorgesse il castello della Mandria, eretto nel 905 da Gauslino Transalgardi. Nel 1597 Nicolò Molin di Vincenzo, all’apice della sua carriera come ambasciatore della Repubblica di Venezia, affida a Vincenzo Scamozzi, il progetto di una residenza di campagna degna della sua famiglia. Le esigenze di lavoro e di rappresentanza della famiglia Molin richiedevano una villa che dominasse il paesaggio e fosse in stretto contatto con il fiume.
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L’edificio progettato da Scamozzi si affaccia direttamente sugli argini del canale Battaglia, senza alcuna mediazione rispetto al territorio: la grande loggia, alta sul pianterreno, è allineata ai muri che chiudono la proprietà lungo la via pubblica. La planimetria della villa mostra una straordinaria coerenza geometrica, basata sul quadrato, che determina la forma sia della villa che della sala centrale. La struttura dei volumi è particolarmente nitida, articolata nel blocco principale, la copertura emergente dalla sala centrale e la loggia
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sul fiume. Quest’ultima è una vera e propria sala aperta, una sorta di belvedere da cui ammirare l’esterno, senza però che vi siano scale che consentano di scendere. La sala centrale è maestosa, ottenuta con due cubi sovrapposti, una sorta di cortile esterno, illuminato dall’alto non da un oculo ma da quattro grandi finestre termali. Il pianoterreno è un vero e proprio corpo di fabbrica in sé compiuto, articolato intorno a una vasta sala quadrata con una virtuosistica volta ribassata.
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1597. Piovene Porto Godi - la Villa dell’imprenditore Già prima del ‘500, nel sito dell’attuale Villa, esisteva una casa dominicale dei conti Godi. Su questo edificio, per incarico del conte Camillo Godi, venne edificato nel 1597, su disegno dell’architetto Vincenzo Scamozzi, l’attuale Villa Piovene. La semplicità architettonica che domina la costruzione nulla toglie alla maestosità della Fabbrica: tale austerità è la ricerca della semplicità voluta dallo stile di vita del conte Camillo e di suo padre Pietro. La villa infatti, non solo aveva la funzione di residenza estiva, ma rappresentava il
centro amministrativo della proprietà e, in quanto tale, Scamozzi la progettò essenziale nelle forme e priva di decorazioni architettoniche, ma perfettamente strutturata per essere utilizzata al meglio per la gestione degli affari e i ricevimenti. Al piano terra la villa è composta da un grande salone di 180 mq. fiancheggiato da sei sale di circa 60 mq. ciascuna, mentre non è presente il piano nobile, ma solo un piano sottotetto destinato a granaio, il minimo indispensabile per svolgere l’attività agricola e commerciale.
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Per i fratelli Camillo e Alessandro Godi, Scamozzi aveva progettato nello stesso periodo un palazzo a Vicenza, raffigurato in pianta e in alzato nel suo trattato “L’Idea dell’architettura universale” come esempio di palazzo concepito per un sito irregolare.. Anche la villa è documentata all’interno della versione olandese del trattato scamozziano (1713), seppure con alcune differenze, mancando in particolare tutto l’ultimo piano e il timpano che sono invece ben visibili nella stampa. Una specie di abbellimento postumo ad uso editoriale.
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L’EREDITA’ PALLADIANA TRA PURISTI E INTERPRETI
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Villa Fracanzan Piovene (1710)
Le Ville Giardino di Francesco Muttoni Muttoni a giudizio della critica, «il più originale architetto di giardini attivo nel Veneto nella prima metà del Settecento». Tre episodi, in particolare, ne sugellano le capacità linguistiche: villa Fracanzan Piovene (1710), villa Trissino Marzotto a Trissino (1711-46) e villa Loschi Zileri Dal Verme al Biron (1728-34). Alcune mappe autografe evidenziano, accanto all’intervento architettonico sulla villa padronale dei Loschi Zileri, la sapiente trasformazione della campagna circostante. Nella valorizzazione del sito, esaltato attraverso soluzioni scenografiche, giochi d’acqua, fontane, parterres e percorsi alberati, Muttoni attesta di essere informato delle tendenze europee, mentre nella progettazione architettonica Muttoni si fa libero interprete di alcuni temi palladiani e scamozziani che arricchisce con soluzioni tecniche-stilistiche divenute importanti e impriscindibili, come l’estensione 36
della cornice in pietra su tutto il perimetro dell’apertura della porta o della finestra. Le Ville giardino Nel progetto di Villa Fracanzan Piovene, la pianta riprende la tipologia veneziana del salone passante con le stanze d’abitazione distribuite simmetricamente sui due lati, formula a cui Muttoni rimase fedele anche per i palazzi di città. Come di consueto dedicò grande rilievo alle scale tra cui quelle di servizio, a rampe incrociate, che rinviano a quanto progettato da Vincenzo Scamozzi nelle procuratie nuove di piazza S. Marco a Venezia. Nelle barchesse è chiaro invece il riferimento al cortile del palladiano palazzo Thiene a Vicenza. Degna di nota l’ipotesi progettuale solo parzialmente realizzata, in cui, coinvolgendo buona parte della tenuta agricola, Muttoni si mostra capace di ridefinire il paesaggio circostante, uscendo MONOGRAFIEVENETE
dagli schemi della rigida simmetria, inglobando le preesistenze, organizzando blocchi tra loro diversi ma coerenti, collegati da percorsi alberati. Villa Trissino Marzotto è ritenuta oggi tra le più belle dimore del Settecento vicentino anche per la felice integrazione tra il costruito e i giardini. Infatti, la sistemazione realizzata da Muttoni, si caratterizza soprattutto per la creazione di viali e cammini tracciati ai diversi livelli della collina e di passaggi coperti e scoperti. L’obiettivo era creare dei belvedere, rivolti a diversi punti dell’orizzonte, e giardini pensili con funzione di terrazze panoramiche. Per massimizzare il dialogo tra edifici e natura Muttoni è ricorso anche a reminiscenze di forme orientali nel gioco delle figurazioni floreali e nei pinnacoli al sommo dei pilastri, come nel cancello d’ingresso al giardino.
LE VILLE DI FRANCESCO MUTTONI
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Villa Trissino Marzotto (1711) Cancello di ingressoVilla Trissino
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L’EREDITA’ PALLADIANA TRA PURISTI E INTERPRETI
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Villa Loschi Zileri (1729) Villa Loschi Zileri Nel 1729 avvenne un fatto eccezionale per la famiglia Loschi: finalmente dopo lunghi anni di attesa, il casato entrò a far parte del patriziato della Serenissima Repubblica, con l’iscrizione nel Libro d’Oro della nobiltà veneziana concessa ai cugini Alfonso e Nicolò. Nicolò Loschi in occasione del prestigioso riconoscimento ottenuto dalla Repubblica di Venezia, ritenne necessario adeguare la struttura e l’immagine della dimora di Biron al nuovo status sociale della famiglia. Da uomo colto e impegnato nella vita civile della città di Vicenza qual era, il conte Nicolò decise di impiegarla per realizzare un articolato ed erudito programma edilizio e decorativo. Interpellò l’architetto Muttoni con la richiesta di riprogettare l’assetto sia degli edifici sia della corte del complesso. L’architetto presentò un disegno di impostazione monumentale grandiosa, che prevedeva un nuovo vastissimo parco all’italiana con frutteti e peschiere antistante il nuovo palazzo signorile e 38
una scenografica scalinata per l’accesso al piano nobile. Ma questo progetto subì una profonda revisione. La parte signorile, dalla facciata simile a quella di un palazzo cittadino, estesa nei volumi in profondità verso nord e separata dagli annessi rustici da una nuova muratura continua di divisione tra la corte nobile e il cortile rurale, si impose decisamente come elemento dominante dell’intero complesso e divenne riferimento centrale di un assetto in qualche modo ordinato secondo uno schema simmetrico. La proposta muttoniana riguardante il parco rimase tutta sulla carta, il giardino con belvedere del retro non fu mai realizzato. Nicolò Loschi ebbe il grande merito di intuire il talento del giovane Giambattista Tiepolo in quegli anni pittore emergente che aveva cominciato a farsi conoscere con interventi di rilievo. Muttoni e Tiepolo, architetto e e pittore integrano secondo uno studiato equilibrio la loro opera dando origine ad un insieme di straordinaria MONOGRAFIEVENETE
armonia in cui trovava perfetta realizzazione il desiderio di celebrazione di sé e del casato del committente. Il ciclo pittorico, incentrato sul tema delle virtù rappresentate mediante la cadenzata proposizione di maestose figure allegoriche, comunica con forza ed efficacia i valori e i meriti che la famiglia dichiarava di possedere e soprattutto desiderava fossero a tutti noti. Villa Valmarana Morosini In questo progetto Francesco Muttoni sperimenta una sintesi tra il nuovo stile barocco che si stava imponendo a Roma in tutta Europa e lo stile palladiano. Dal barocco deriva l’impostazione della fabbrica che con i due emicicli (quello di destra non sarebbe mai stato costruito) è aperto verso il grande cortile; da Palladio deriva la bordatura degli ordini della facciata, il timpano e la pianta della residenza padronale. Villa Negri Bertesina (a destra)
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LE VILLE DI FRANCESCO MUTTONI
Villa Valmarana Morosini (1724) Villa Porto “la Favorita” Dal 1714 Muttoni fu impegnato nella costruzione di villa Porto a Monticello. Di inequivocabile derivazione dalla scamozziana villa Pisani di Lonigo, dilatata nelle dimensioni e semplificata nella struttura planimetrica, la villa non ha la forza espressiva dell’archetipo sebbene il contesto paesaggistico e la sistemazione del belvedere retrostante creino un episodio di sicuro rilievo. La casa dominicale è composta da tre piani fuori terra. La facciata principale, che si trova ad ovest, è formata da un’alta scalinata che porta al pronao in stile ionico che
Villa Porto“la Favorita” e Barchessa (1714) si conclude con un timpano triangolare sormontato dalle statue di Apollo, Minerva e Marte. La facciata orientale è composta nella parte principale da tre semplici aperture con mascheroni sulle chiavi di volta, chiuse da eleganti logge. Nella sommità si erge il frontone triangolare sormontato dalle statue di Mercurio, Ercole e Onfale. La pianta della villa si articola attorno alla grande sala centrale a doppia altezza formando due ali di stanze minori. Distaccate dall’abitazione padronale si trovano due barchesse porticate, con al centro un’apertura serliana.
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Villa di Montruglio (sotto) Commissionata dalla famiglia vicentina degli Arnaldi, che a metà del Cinquecento era entrata in possesso dei terreni della proprietà grazie a un apparentamento con i Pigafetta, la villa viene rimodernata da Muttoni che inserisce elementi sia palladiani che scamozziani. Il segno palladiano si riconosce nel portico della Barchessa (1710-1714). Nello stesso periodo vennero aggiunti il particolare timpano che sovrasta la sommità della facciata della villa e la cappella rivolta verso la valle a Sud di ispirazione barocca.
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Villa di Montruglio
Francesco Muttoni : Villa di Montruglio
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La trasformazione della villa : da strumento di controllo territoriale a simbolo dell’egemonia politica, economica e culturale Nel Settecento si afferma in tutta Europa la tipologia della Reggia, fenomeno che già si era manifestato a Villa Contarini dove la villa assume dimensioni tali da fungere da centro propulsore dell’economia, della politica e della cultura, senza mai perdere tuttavia i valori della tolleranza e giustizia peculiari della Repubblica di Venezia. Ma è nello splendore di Villa Pisani che culmina la parabola ascendente della “Civiltà di Villa” documentata dalle oltre 4000 ville censite nel Veneto e Friuli.
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LA TRASFORMAZIONE DELLA VILLA IN REGGIA
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SIMBOLO DELLA REPUBBLICA VENETA La Villa Veneta inventata dal genio di Palladio, evolve nel tempo, si trasforma, si adatta per essere contemporaneamente palazzo che veicola l’immagine sociale dei committenti, palcoscenico per feste e incontri mondani fino a diventare vera e propria residenza estiva dove godere degli svaghi e dei piaceri della bella stagione. Nei due secoli successivi all’epopea palladiana, le ville di rappresentanza come Villa Contarini, diventano sempre più ampie e maestose perdendo progressivamente la funzione di presidio agricolo della nobiltà veneziana per ergersi invece a simbolo dell’egemonia politica-territoriale. Nel Settecento si afferma in tutta Europa la magnificenza della reggia monarchica, e quindi anche nel Veneto la villa assume dimensioni tali da fungere da centro propulsore dell’economia, della politica e della cultura, senza mai perdere tuttavia i valori della tolleranza e giustizia che erano stati propri della Repubblica di Venezia, la cui costituzione anticipa di due secoli quella francese e americana. Villa Pisani, affacciata sul naviglio del Brenta, è una reggia di 168 stanze che copre una superficie di 15.000 metri quadrati. La progettazione degli spazi e della facciata del palazzo evidenziano un rinnovato rigore architettonico neopalladiano. I Pisani furono mecenati dell’arte e della cultura attraverso l’organizzazione di conviti e la creazione di una Accademia. Dopo la caduta della Repubblica Veneta nel 1797, la vila fu acquistata da Napoleone per passare successivamente all’Austria.
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Villa Contarini a Piazzola S. Brenta (1546 - 1650) Villa Pisani a Stra sulla Riviera del Brenta (1721)
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LA VILLA NEOPALLADIANA
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Villa Barbarigo Rezzonico a Noventa Vic. (1548) Villa Foscarini Rossi a Mira (1599)
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LA TRASFORMAZIONE DELLA VILLA IN DIMORA PADRONALE
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Villa Cà Marcello a Piombino Dese (1560 circa) Villa Sigurtà a Valeggio sul Mincio (1697)
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LA VILLA NEOPALLADIANA
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Villa Giovannelli a Noventa Padovana (1690 circa) Villa Cordellina a Montecchio Maggiore(1735)
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LA TRASFORMAZIONE DELLA VILLA IN SEDE DI RAPPRESENTANZA
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Villa Capra a Sarcedo (1764) Villa Cornèr della Regina a Cavasagra di Vedelago (1740 circa)
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LAVILLA DI RIVIERA La villeggiattura dei nobili veneziani lungo la Riviera del Brenta
I ricchi veneziani, in prossimità della bella stagione, lasciavano Venezia per trascorrere i mesi più caldi nella Riviera del Brenta. Quasi come fosse un trasloco, caricavano il “Burchiello”, con tutto quello che poteva servire a loro e al personale, e navigavano verso Fusina da dove risalivano poi il fiume con le barche trainate dai cavalli. Furono i nobili veneziani attratti da clima a far erigere lungo il canale le proprie dimore. All’inizio tali costruzioni erano case padronali e rustici,ma poi ben presto divennero i luoghi delle “gioie della villeggiatura” descritte dalle commedie di Carlo Goldoni.
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LA RIVIERA DEL BRENTA
VILLEVENETE LE VILLE DEL BRENTA MIRA: Villa Allegri von Ghega, Oriago Villa Gradenigo, Oriago Villa Priuli, Oriago Villa Sceriman Widman Villa Querini Stampalia, Mira Porte Villa Valmarana Villa Venier Villa Alessandri DOLO: Villa Badoer-Fattoretto Villa Soranzo Villa Brusoni Scalella Villa Ferretti Angeli Villa Bon Villa Donà Priuli Villa Fini Villa Grimani Villa Tito Villa Velluti Villa Valier
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LE VILLEGGIATURA ESTIVA La Riviera del Brenta mette in comunicazione Padova e la laguna di Venezia attraverso 36 km di bellezza paesaggistica unica: un quadro in grado di fondere arte e cultura, natura e storia da Stra fino a Fusina. La canalizzazione del fiume in questo tratto risale al XVI secolo: il nuovo naviglio diede in breve vita ad una sorta di ‘civiltà bucolica’ di cui ancora oggi risuona l’eco nelle barchesse delle ville, nelle distese di verde e nei burchielli che approdano a queste rive. Furono i nobili veneziani, attratti dalla campagna, a far erigere lungo il canale le proprie dimore. All’inizio la funzionalità di tali costruzioni era rivolta esclusivamente alla loro collocazione e al ruolo agricolo, ma poi ben presto si trasformarono in lussuosi edifici che diedero vita alla ‘cultura edonistica’ condivisa in tutte le Regge europee. Questa zona, tra mondanità e ozio, presto si popolò e divenne di uso comune tra l’aristocrazia lagunare possedere una villa sul Brenta e giungervi tramite battello - il burchiello, da San Marco. Qui in Riviera, dove nobili e patrizi si dedicavano alla “villeggiatura”, gareggiando nel gioco e nel lusso, furono costruite tra il 1400 e il 1700 oltre 70 residenze estive, alcune progettate da grandi architetti, quali Palladio, Scamozzi e Frigimelica. Con le loro facciate principali rivolte verso il Naviglio, le Ville accoglievano visite d’affari e di cortesia, giochi all’aperto, passeggiate nei lussureggianti giardini, sontuosi ricevimenti, ma celavano anche piccanti avventure e gioco d’azzardo nelle ore più tarde. Le ville aperte al pubblico oggi non sono molte, ciò nonostante una gita lungo la riviera consente di ammirarne parecchie. Le dimore patrizie, ammantate di eleganza immortale, corrono a decine soprattutto nella zona di Stra, Dolo e Mira. Di queste sono visitabili: Villa Foscarini Rossi, Villa Pisani e Villa Widman a Mira; infine, nei pressi di Fusina, Villa Foscari detta La Malcontenta, costruita su progetto del Palladio. Una visita, anche solo esterna, la meritano pure La Barbariga, sull’altra riva nei pressi di Dolo, la cinquecentesca Villa Querini Stampalia a Mira e Villa Gradenigo a Oriago. L’escursione più affascinante resta probabilmente quella sul Burchiello lungo il fiume, da Padova a Venezia o viceversa. MONOGRAFIEVENETE
FIESSO D’ARTICO: Villa Recanati-Zucconi Villa Barbarigo-Fontana Villa Corner-Vendramin Villa Contarini di S. Basegio Villa Marchese De Seynos STRA: Villa Pisani Villa Foscarini Rossi Villa Benzi Smania Casa Venier-Tiepolo MALCONTENTA: Villa Foscari detta la Malcontenta VIGONOVO: Villa Sagredo
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LA VILLA DI RIVIERA
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1. Villa Valmarana - 2. Villa Querini Stampalia - 3. Villa Badoer Fattoretto- 4. Villa Benzi Smania 5. Villa Bon Tessier - 6. Villa Ferretti Angeli - 7. Villa Fini - 8. Villa Valier - 9. Villa Recanati Zucconi - 10. Villa Soranzo
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LA RIVIERA DEL BRENTA
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1. Villa Widmann - 2.Villa Tito - 3. Villa Venier - 4.Villa Gradenigo 5. Villa Bon - 6.Villa Sagredo - 7. Villa Velluti
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LAVILLA STATUS
Da villa fattoria a dimora di prestigio Dalla corte agricola all’arte dei giardini Verso la metà del Seicento si diffonde il desiderio di affrescare le ville con i classici temi della mitologia e trasformare il giardino in un in un percorso di meditazione tra figure simboliche, sacre e profane. Durante il Settecento si afferma un metodo progettuale attento a codificare non solo le tecniche costruttive, ma anche le regole di abbellimento dei giardini con disegni geometrici e simmetrici (giardini all’italiana e alla francese), o con la costruzione di belvedere, viali, canali e modifiche paesaggistiche (giardini all’inglese).
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Villa Da Porto Casarotto a Dueville 54
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DIMORE DI PRESTIGIO
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DA VILLA FATTORIA A DIMORA NOBILIARE La villa di campagna, inizialmente intesa come fattoria autosufficiente, diventa una grande dimora agricola-aziendale grazie alla crescente richiesta di prodotti dai paesi limitrofi; alla disponibilità di terra adatta alla coltivazione intensiva di grano e vite; alla domanda e ai prezzi contenuti della seta grezza e alle condizioni di pace e di relativa sicurezza rurale garantite dallo Stato veneziano. Al desiderio di ampliare la villa e le dimensioni degli annessi agricoli per soddisfare l’incremento della produzione, si accompagna la necessità di disporre di risorse idriche per irrigare i campi e abbellire i giardini con fontane, peschiere e viali alberati, per cui numerose ville diventano nel corso di un secolo, dal 1550 al 1650, dimore famigliari molto estese e complesse, dotate di due ali di barchesse, di cappelle private e, in alcuni casi, di oratori aperti alle funzioni religiose pubbliche. Verso la metà del Seicento diventa imperativo per il prestigio sociale affrescare le ville con i classici temi della mitologia e trasformare il giardino in un percorso di meditazione tra figure simboliche, sacre e profane. Pochi decenni più tardi, all’inizio del Settecento, si fa strada un metodo progettuale attento a codificare non solo le tecniche costruttive, ma anche le regole di abbellimento dei giardini con disegni geometrici (giardini alla francese), o con la costruzione di belvedere e modifiche paesaggistiche (giardini all’inglese). Nel progetto della nuova dimora nobiliare viene eliminato il pronao palladiano con la lunga scalinata al fine di stabilire un accesso diretto dal piano terra e si afferma la tipologia a due piani con un piano sottotetto per offrire una maggiore illuminazione alle stanze che si affacciano sul giardino, su cui si investe per conferire prestigio e suscitare ammirazione.
DIMORE DI PRESTIGIO 1. Villa Da Porto Casarotto 2. Villa Valmarana ai Nani 3. Villa Barbarigo Pizzoni 4. Villa Curti 5. Villa Piovene da Schio 6. Villa Sagramoso 7. Villa Farsetti 8. Villa Tiepolo Passi 9. Villa Emo Capodilista 10. Villa di Montruglio 11. Villa Fogazzaro-Colbachini 12. Villa Trissino Marzotto 13. Villa Mosconi Bertani 14. Villa Widmann-Borletti 15. Villa Albrizzi 16. Villa Giustinian Molon 17. Villa Loschi Zileri 18. Villa Arvedi
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Il giardino simbolico-iniziatico di Valsanzibio a Villa Barbaricgo Pizzoni MONOGRAFIEVENETE
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LA VILLA NOBILIARE
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VillaValmarana - il giardino con i nani e il bosco di lecci (1669) Villa Giustinian Molon - le piantagioni di gelsi per la bachicoltura(1652)
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DIMORE DI PRESTIGIO
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Villa Curti - il giardino all’inglese (1684) Villa Piovene da Schio - il parco settecentesco (1650)
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LA VILLA NOBILIARE
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Villa Perez Pompei Sagramoso - il giardino all’italiana (1730) Villa Farsetti - il giardino con l’orto botanico (1749)
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DIMORE DI PRESTIGIO
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Villa Tiepolo Passi e il parco con il lungo viale prospettico (1590 -1774) Villa Emo Capodilista e il giradino all’italiana (1568 - 1750)
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VILLAVALMARANA
Gli affreschi dei Tiepoli fanno da sfondo ad eventi di grande bellezza e suggestione. la Villa è uno straordinario complesso monumentale composto da Palazzina e Foresteria affrescate nel 1757 da Giambattista e Giandomenico Tiepolo, dalla scuderio e da un parco storico; e’ circondato da un muro di cinta ornato con 17 statue di nani dell’epoca, probabilmente personaggi della Commedia dell’arte.
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VILLEVENETE Villa Valmarana sorge sul colle del Bastian, la morbida dorsale affacciata da una parte alla Riviera Berica e alla campagna attraversata dal Bacchiglione dall’altra alla cosiddetta Valletta del Silenzio. La villa deve il soprannome alle sculture di 17 nani, in abiti settecenteschi, allineate sul muro di cinta: la leggenda vuole che siano stati i custodi di un’infelice fanciulla dall’animo gentile ma dall’aspetto deforme. Il primo nucleo della villa venne eretto nel 1670 dall’avvocato Giovanni Maria Bertolo; nel 1763 i nuovi proprietari, la famiglia Valmarana, affidarono a Francesco Muttoni l’incarico di restaurare la dimora. Il complesso attuale è costituito da tre edifici distribuiti su un lotto di terreno allungato: il grande atrio colonnato, con annesse le scuderie; la foresteria, su un unico livello, con un salone attorniato da vari ambienti di soggiorno e la villa, preceduta da una scalinata, con tipico impianto a salone centrale passante e ambienti minori ai quattro angoli. La notorietà di villa Valmarana ai Nani, di cui se ne consiglia la visita, è dovuta agli straordinari cicli affrescati dai Tiepolo: il padre Giambattista (1696-1770), cui si deve la decorazione della villa, a tema mitologico ed epico, e il figlio Giandomenico (1727-1804), autore della maggior parte dei dipinti della Foresteria, a soggetto vario, dalle scene carnevalesche a situazioni d’atmosfera orientale. A villa Valmarana ai Nani si può ammirare un ritratto di Andrea Palladio. La villa è composta da 11 stanze interamente affrescate dove è possibile ospitare eventi unici, a pochi minuti dal centro storico di Vicenza. Eventi culturali - Pranzi e cene di gala per privati e aziende - Matrimoni - Servizi fotografici - riunioni e convention aziendali
Stradella dei Nani 8 - Vicenza Tel. 0444 321803 www.villavalmarana.com info@villavalmarana.com
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