VICENZA MAGAZINE #1/2019 maggio

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APRILE 2019

VICENZA MAGAZINE

EVENTI MOSTRE MUSEI ASSOCIAZIONI TURISMO CULTURA IMMAGINI

© Giò Tarantini Fotografia d Antonio Tafuro

Pigafetta 500° - Le Mostre in Basilica Tesori Palladiani: Villa Forni Cerato 500° Anniversario Viaggio Intorno al Mondo di Magellano

Guida ai palazzi Gotici - Galileo e il vino di Costozza - Cammino Roi-Fogazzaro VIVIEDIZIONI - copia in omaggio per i soci - in libreria € 5,00

MAGAZINE#1



R I V I S T A D I C U LT U R A E I M M A G I N I D I V I C E N Z A D E L X X I s e c . - C O L L E Z I O N E A N N O 2 0 1 9

VICENZAMAGAZINE

APRILE2019 V I C E N Z A M A G A Z I N E N. 1

VIVIEDIZIONI - Patrocinio Comune di Vicenza e Regione Veneto

C U LT U R A & I M M A G I N I Pubblicazione dell’Associazione editrice VIVI VICENZA

INDICE

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500° PIGAFETTA La spedizione di Magellano La vita di Antonio Pigafetta Relazione di Viaggio - Prima Parte La fortuna della Relazione Pigafetta/Chiericati La via delle spezie L’associazione Pigafetta ‘500

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GRANDI MOSTRE 2019/2022 Presentazione programma mostre

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MOSTRA 2019/2020 Anni venti, una donna moderna Lo sguardo di Ubaldo Oppi

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LE INCISIONI DI A. DURER In mostra a Bassano la collezione Remondini

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TESORI PALLADIANI L’innovazione della villa Villa Forni Cerato

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EMOZIONI FOTOGRAFICHE C’era una volta un lago foto di Caterina Soprana

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RADICI CULTURALI Cammini Veneti Il percorso Roi-Fogazzaro

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TURISMO ESPERENZIALE Guida ai palazzi gotici Galileo e il vino di Costozza

VICENZA MAGAZINE n.1 Aprile 2019 Hanno collaborato Associazione Pigafetta Associazione Ardea Adriana Chemello Antonio Di Lorenzo Valentina Casarotto Stefania Portinari Michelanglo Muraro Fondazione Forni Cerato Stefano Maruzzo Ass. Cammini Veneti Musei Bassano Fotografi Stefano Maruzzo Antonio Tafuro Riccardo Contarin Tiziano Casanova Paolo Martini In copertina Monte Berico foto di Antonio Tafuro

Le immagini prive del nome del fotografo provengono dal web, oppure dagli autori degli articoli. L’associazione, in assenza dei crediti, declina ogni responsabilità in merito al mancato rispetto del copyright.

ASSOCIAZIONE CULTURALE

VIVI VICENZA Associazione culturale editrice Vivi Vicenza Corso Palladio, 179 0444.327976 tessera annuale 10,00 € vivi@viviedizioni.org www.viviedizioni.org

C’era una volta un lago, 22

I M M A G I N I & C U LT U R A EVENTICULTURALI

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CELEBRAZIONI

PIGAFETTA 500°

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1519 -1522 La prima circumnavigazione intorno al mondo

ANTONIOPIGAFETTA CRONISTA DEL VIAGGIO DI MAGELLANO

Vicenza ha aderito derisce alla rete delle “città magellaniche” in vista del 2019, anno in cui ricorrerà il 500° anniversario della prima circumnavigazione del globo guidata dal navigatore portoghese. Con lui c’era un illustre vicentino, Antonio Pigafetta, che poi mise per iscritto quell’avventura: è questo l’anello di congiunzione che consente a Vicenza, unica italiana, di entrare nella rete a fianco di una decina di altre città del mondo tra le quali Siviglia, Lisbona, Rio de Janeiro, Buenos Aires, Montevideo

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EVENTICULTURALI


LA SPEDIZIONE Ferdinando Magellano

VICENZAMAGAZINE La Nave Vittorio

Carlo V° - Re di Spagna

© Gito Trevisan

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erdinando Magellano Sabrosa, (17 ottobre 1480 – Mactan, 27 aprile 1521) intraprese, pur senza portarla a termine perché ucciso nelle odierne Filippine nel 1521, quella che sarebbe diventata la prima circumnavigazione del globo al servizio della corona spagnola di Carlo V di Spagna. Fu infatti il primo a raggiungere, partendo dall’Europa verso ovest, le Indie e – attraverso il passaggio a ovest da lui scoperto e successivamente chiamato Stretto di Magellano – il primo europeo a navigare nell’oceano Pacifico. La storia del suo viaggio è pervenuta tramite gli appunti di un suo uomo d’arme, il vicentino Antonio Pigafetta, che si adoperò per il resto della sua vita a mantenere viva la memoria di Magellano e della sua impresa storica. La spedizione In Portogallo Magellano entrò in possesso di una carta geografica che ipotizzava un passaggio verso l’Oceano Pacifico poco più a sud del Río de la Plata. Si convinse di poter in questo modo trovare una via per l’Asia più breve di quella intorno all’Africa. Questo avrebbe permesso di scoprire un passaggio a sud-ovest di collegamento dell’Atlantico con il Pacifico. Di tale passaggio, ritenuto geograficamente probabile ma del quale nessuno aveva notizia attendibile, favoleggiavano da tempo i cartografi.

Ma il re portoghese Manuel, a cui Magellano si rivolse in un primo momento per effettuare il viaggio, rifiutò categoricamente la proposta. Come Colombo, il navigatore lasciò quindi Lisbona cercando maggior fortuna in Spagna, contando sul fatto che il Regno di Spagna aveva finanziato trentanni prima la spedizione di Colombo. In Spagna, lo scopo della spedizione assunse una valenza strategica in funzione anti-portoghese: si sarebbe infatti trattato di cercare una nuova via marittima per le Isole delle Spezie, nell’arcipelago Indonesiano delle Molucche, evitando l’aggiramento dell’Africa, i cui porti occidentali e meridionali erano tutti in mano al Portogallo. Se possibile, si sarebbe dovuto anche provare che le Molucche si trovavano effettivamente a ovest dell’antimeridiano della linea di demarcazione che, secondo i trattati, divideva le zone di influenza e possesso coloniale tra spagnoli e portoghesi. Naturalmente, non meno importante sarebbe stata l’eventuale scoperta di nuove terre da annettere al già immenso impero del re di Spagna. Convinto il diciannovenne Carlo V a finanziare l’impresa, invano re Manuel tentò di richiamare in patria Magellano promettendogli una spedizione sotto la bandiera portoghese. EVENTICULTURALI

La flotta di cinque navi e 237 uomini salpò il 20 settembre 1519 da Sanlúcar de Barrameda in Spagna dopo avere disceso il fiume Guadalquivir da Siviglia da cui era partita il 10 agosto, giorno di San Lorenzo. Il 28 novembre 1520, rimasto con tre sole navi dopo il naufragio di una e la diserzione dell’equipaggio della seconda, attraversò lo stretto, che da lui prese il nome, nell’attuale Cile e si inoltrò in un grande oceano sconosciuto agli occidentali che, per l’assenza delle tempeste che caratterizzavano invece l’Atlantico, Magellano battezzò Pacifico. Nel marzo del 1521 raggiunse le Isole Marianne e poi le Filippine, chiamate Isole di San Lazzaro, dove morì per mano degli indigeni. Nella sua cronaca della spedizione, Pigafetta racconta come nelle isole Filippine Magellano fosse riuscito a convertire il re dell’isola di Cebu, Ragià Humabon, sua moglie la regina e ottocento dei suoi sudditi al Cristianesimo e a far riconoscere Carlo V di Spagna come nuova autorità; a quella notizia scoppiò una rivolta sulla vicina isola di Mactan. Magellano decise di usare la forza per sedare la ribellione di Mactan e, per mostrare al re di Cebu la forza della Spagna, organizzò un’azione punitiva. Quando sbarcò la mattina del 27 aprile 1521 a Mactan, venne però ucciso insieme con alcuni dei suoi 3


PIGAFETTA 500°

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uomini dagli abitanti dell’isola. Il corpo di Magellano non fu mai restituito e non se ne conosce la sorte. Il viaggio si concluse con gravi perdite: ritornarono solo due navi, la prima (Victoria) nel 1522 e la seconda (Trinidad), che seguì una rotta diversa senza riuscire a circumnavigare il globo, solo nel 1525. Dei 234 tra soldati e marinai che formavano l’equipaggio iniziale soltanto 36 si salvarono: 18 sulla Victoria e 5 sulla Trinidad; 13 finirono nelle carceri portoghesi nelle Isole di Capo Verde. 6

La storia del viaggio è nota grazie agli appunti dell’uomo di fiducia (criado) di Magellano, il vicentino Antonio Pigafetta. Lo scopo del viaggio Scoprire un passaggio per le Indie che non fosse sotto il dominio del Portogallo sarebbe tornata utile alla Spagna, che era stata esclusa dalla corsa per le pregiate spezie del lontano oriente dopo il Trattato di Tordesillas. Il trattato aveva assegnato il controllo sull’emisfero orientale al

EVENTICULTURALI


LA SPEDIZIONE

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Portogallo, che in questo modo rivendicava anche il possesso delle Molucche, le leggendarie Isole delle Spezie. L’occidente sapeva che lì si trovava la fonte delle più pregiate spezie, come la noce moscata o i chiodi di garofano. Tuttavia, solo il limite atlantico tra i due emisferi controllati da Spagna e Portogallo cominciava all’epoca a concretizzarsi dopo le sempre nuove scoperte nel Nuovo Mondo. Non essendo noto il perimetro del globo terrestre, nessuno sapeva dire se le Molucche rientravano ancora nei territori spettanti

ai portoghesi. Se possibile, si sarebbe quindi dovuto stabilire se le Molucche si trovassero effettivamente a ovest dell’antimeridiano della linea di demarcazione che, secondo i trattati, divideva le zone di influenza e possesso coloniale. La nuova via navale avrebbe anche permesso di evitare l’aggiramento dell’Africa, i cui porti occidentali e meridionali erano tutti in mano al Portogallo. Naturalmente, non meno importante sarebbe stata l’eventuale scoperta di nuove terre da annettere al già immenso impero del re di Spagna.

EVENTICULTURALI

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PIGAFETTA 500°

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La partenza da Siviglia - 10 Agosto 1519

Manuale sull’arte di navigare del 1550

Ricostruzione dela nave Victoria

Magellano, il quale era stato licenziato con disonore dalla corona portoghese, si disse convinto del fatto che le Molucche si trovassero nell’area spettante alla Spagna e, con il sostegno dell’astronomo Ruy Faleiro, anch’egli portoghese caduto in disgrazia in patria, si recò in Spagna per offrire i suoi servizi a re Carlo I (noto anche come imperatore Carlo V del Sacro Romano Impero). Cambiò anche il suo nome da Fernão de Magalhães in Fernando de Magallanes. In Spagna, Magellano riuscì a guadagnarsi la fiducia di uomini d’affari influenti che promossero i suoi piani. Il 22 marzo 1518, a Valladolid, siglò un contratto con Carlo I, che gli mise a disposizione cinque navi per trovare le Isole delle Spezie: a Magellano e a Ruy Faleiro sarebbe spettata la quinta parte dei proventi della spedizione, mentre i loro eredi sarebbero stati nominati governatori nelle terre scoperte. Inoltre il re garantì di non avallare un altro viaggio con lo stesso scopo per dieci anni a venire. La circumnavigazione del globo Il 10 agosto 1519 il viaggio ebbe inizio da Siviglia. La flotta di Magellano era composta da cinque navi: 1. Trinidad, 130 tonnellate, 55 uomini, capitano: Ferdinando Magellano 8

2. San Antonio, 130 tonnellate, 60 uomini, capitano: Juan de Cartagena 3. Concepción, 90 tonnellate, 45 uomini, capitano: Gaspar de Quesada 4. Victoria, 90 tonnellate, 42 uomini, capitano: Luis de Mendoza 5. Santiago, 60 tonnellate, 32 uomini capitano: Giovanni Serrano Tra i 234 uomini della spedizione figurarono 170 spagnoli, 40 portoghesi, 20 italiani e quattro interpreti africani ed asiatici. Le provviste erano formate da 7240 kg di pane biscottato, 194 kg di carne essiccata, 163 kg di olio, 381 kg di formaggio, 200 barili di sarde salate e 2856 pesci essiccati. I registri della spedizione sono conservati presso l’Archivo General de las Indias a Siviglia.Da Siviglia le navi seguirono il corso del Guadalquivir fino a Sanlúcar de Barrameda, dove furono costretti a fermarsi per cinque settimane, per le riluttanze delle locali autorità spagnole a far partire la spedizione sotto il comando di un ammiraglio portoghese. Solo il 20 settembre 1519 Magellano poté affrontare l’oceano. Ben presto si trovò inseguito da un gruppo di navi mandate da re Manuele I del Portogallo, deciso a sventare il tentativo spagnolo di trovare una via alternativa in Oriente.

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LA SPEDIZIONE

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Passaggio dall’Atlantico al Pacifico

Atlantico e Sud America Magellano riuscì a raggiungere le Isole Canarie, appartenenti alla Spagna, senza farsi prendere dagli inseguitori. Dopo aver preso a bordo nuove provviste, prese la rotta del Brasile. Il 20 novembre la sua flotta attraversò l’equatore. Sull’Atlantico si trovò sfidato da un ammutinamento dei suoi ufficiali spagnoli, al quale pose fine mettendo in catena il primo ufficiale della San Antonio, capo degli ammutinati. Il 6 dicembre venne raggiunta la costa del Sud America, dove la flotta mise l’ancora nella baia di Rio de Janeiro. Gli indigeni credevano i bianchi degli dei, poiché avevano portato la prima pioggia da lungo tempo. Il trattamento riservato ai marinai fu di conseguenza oltre ogni aspettativa, un fatto che avrebbe ritardato la continuazione del viaggio. Ormai si stava avvicinando l’inverno australe e quando Magellano dopo settimane di ricerche dovette ammettere che il Rio de la Plata non nascondeva nessun passaggio verso il Pacifico, decise di svernare in una baia in Patagonia. A San Julián le provviste cominciarono a scarseggiare e si rese necessario un taglio delle razioni. Scoppiò un nuovo ammutinamento su tre delle cinque navi. La rivolta fu debellata e i capitani Luis de Mendoza della Victoria e Gaspare de Quesada della Concepción furono giustiziati; il capitano Juan de Cartagena della San Antonio

e un clerico che aveva capeggiato l’ammutinamento vennero abbandonati sulla costa. A maggio la Santiago venne spedita in avanscoperta, ma naufragò dopo poco tempo. Quasi tutto l’equipaggio riuscì a trarsi in salvo e a tornare via terra a Puerto San Julián. L’ammiraglio si rassegnò ad aspettare la fine dell’inverno nella baia di San Julián, che le quattro navi superstiti lasciarono ad ottobre. Tutte le baie e le bocche dei fiumi vennero esaminati, fino a raggiungere Cabo Vírgenes (Capo delle Vergini) il 21 ottobre. La Concepcion e la San Antonio furono mandate avanti e tornarono infine con l’agognata notizia di aver trovato il passaggio ad ovest. Prima di partire Magellano concedette agli altri capitani la scelta di seguirlo ancora o di far rotta per la Spagna. Inizialmente tutti declinarono l’offerta di tornare indietro, ma alcuni giorni dopo la San Antonio sotto il comando di Esteban Gómez lasciò la spedizione ed invertì la rotta dopo un nuovo ammutinamento a bordo. Tre navi attraversarono il passaggio che oggi è noto come Stretto di Magellano e raggiunsero l’Oceano Pacifico il 28 novembre 1520. Il Pacifico e la morte di Magellano Magellano a questo punto credette di poter arrivare alle Isole delle

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PIGAFETTA 500°

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La battaglia di Mactan - Magellano viene ucciso sulla spiaggia.

Filippine - isola di Mactan- Monumento al capo dell’isola Lapu-Lapu

Spezie in non più di un mese. Ma passarono tre mesi e venti giorni in alto mare durante i quali si avvistarono solo due isolotti disabitati. La maggior parte degli uomini si ammalò di scorbuto: non erano rimasti altri viveri che pane biscottato pregno di salsedine, vermi ed escrementi di topi. Diciannove uomini morirono durante la traversata. Il 6 marzo 1521 la flottiglia raggiunse le Isole Marianne. Magellano le battezzò Islas de los Ladrones, quando su una isola (forse Guam) gli indigeni cercarono di impossessarsi di una delle scialuppe e di alcuni suppellettili delle navi. L’ammiraglio ne fece giustiziare alcuni e bruciò le loro case. Dopo essersi rifornite di nuove provviste, le navi di Magellano continuarono il viaggio fino alle Filippine, dove il 16 marzo raggiunsero Homonhon. In quel momento la spedizione era composta ancora da 150 uomini circa: rispetto ai 234 partiti, 2 erano stati giustiziati e 2 erano stati abbandonati in seguito ad ammutinamento, pochi individui erano morti nel naufragio della nave Santiago, 60 erano quelli a bordo della nave San Antonio rientrata in Spagna e 19 erano morti di scorbuto dopo il passaggio dello stretto. La lingua degli abitanti di Homonon era nota all’interprete di Magellano, Enrique di Molucca. Così si arrivò ad uno scambio di doni con il re di Limasawa, Rajah Kolambu. 10

Questi accompagnò gli Spagnoli fino all’isola di Cebu, dove riuscirono nell’intento di convertire il re, Raja Humabon e molti dei suoi sudditi al Cristianesimo. Quando Cebu si sottomise alla corona spagnola, scoppiò una rivolta sulla vicina isola di Mactan. Magellano decise di usare la forza per conquistare Mactan alla Spagna e al Cristianesimo. Quando sbarcò la mattina del 27 aprile 1521 a Mactan, venne ucciso dagli uomini del capo dell’isola Lapu-Lapu nella battaglia di Mactan. Dopo la morte di Magellano Poco dopo il Raja Humabon, re di Cebu rinnegò il Cristianesimo e ordinò un attacco agli Spagnoli. Quasi trenta fra questi persero la vita. Gli Spagnoli, ormai in numero troppo esiguo per governare tre navi, decisero di affondare la Concepción ed elessero Juan Sebastián Elcano capitano della Victoria. Con le due navi rimaste fuggirono verso il Borneo, rimanendo per 35 giorni nel Brunei. Il 6 novembre la spedizione raggiunse finalmente le Molucche. Sull’isola di Tidore il sultano locale si disse disposto a vendere loro finalmente le agognate spezie. A questo punto le sorti delle due navi superstiti si divisero definitivamente. La Victoria, al comando di Elcano, proseguì verso ovest. La Trinidad, invece, rimase bloccata per un’avaria. Imbarcava acqua e rimase ferma a Tidore con quasi metà degli uomini. Questi scelsero, in seguito, la strada del ritorno attraverso il Pacifico, ma furono intercettati da una flottiglia portoghese.

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LA SPEDIZIONE

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La nave fu catturata e il prezioso carico finì nelle mani dei Portoghesi. Il marinaio italiano Leon Pancaldo, fu condotto prigioniero a Malacca e poi in India a Cochin, ed infine in prigione a Lisbona. Con solo cinque uomini ancora in vita e dopo un’odissea durata più di quattro anni, la Trinidad sarebbe tornata in Spagna nel 1525, i quattro superstiti furono liberati, Leon Pancaldo rientrò a Savona sua città di origine solo nel 1527. Il viaggio della Victoria, al comando di Juan Sebastián Elcano, invece, si concluse il 6 settembre 1522 quando rientrò al porto di partenza dopo aver completato la prima circumnavigazione del globo in due anni, 11 mesi e 17 giorni. A bordo della piccola nave (solo 85 tonnellate di stazza), che ormai imbarcava acqua e aveva una velatura di fortuna, vi erano soltanto 18 uomini malmessi, ammalati e denutriti. Tra essi due italiani, Antonio Lombardo, detto il Pigafetta, colui che scriverà la storia della spedizione, e Martino de Judicibus.

Filippine - isola di Mactan- Torre commemorativa Ferdinando Magellano

Magellano con Pigafetta

Ritratto di Ferdinando Magellano EVENTICULTURALI

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PIGAFETTA 500°

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ANTONIO PIGAFETTA Patrizio vicentino e cavalier de Rodi Biografia di uno spirito avventuroso

“Perché sono molti curiosi, Illustrissimo e Esellentissimo Signor, che non solamente se contentano de saperee intenderele grandi e ammirabili cose che Dio me ha concesso de vedere e patirene la infrascritta mia longa e pericolosa navigazione, ma ancora vogliono sapere li mezi e modi e vie che ho tenuto ad andarvi, non prestando quella integra fede a l’esito, se prima non hanno bona certeza de l’inizio, pertanto saperà Vostra Illustrissima Signoria che, ritrovandomi ne l’anno de la natività del Nostro Salvatore 1519 in Spagna, in la corte del Serenissimo Re de’ Romani, con el reverendo monsignor Francesco Chiericato, alora protonotario apostolico.....”

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EVENTICULTURALI


LA VITA DI ANTONIO PIGAFETTA

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Ritratto che la tradizione vuole di Antonio Pigafetta (Biblioteca civica Bertoliana, Collezione Marasca, Vicenza), tratto da un busto conservato al Museo Civico di Vicenza, proveniente dalla chiesa di San Michele (dove i Pigafetta avevano una tomba di famiglia). In realtà rappresenterebbe un altro Pigafetta, Gio. Alberto di Gerolamo (m. 1562).

iglio di Giovanni di Antonino (ramo di Antonino di Antonio fu Sandro) e con ogni probabilità di Lucia Muzan. L’incertezza sul nome della madre è data dal fatto che il padre si sposò tre volte. La data di nascita di Pigafetta non è attestata da documenti ed è da porsi non prima della fine del 1492 o l’inizio del 1493, con ogni probabilità a Vicenza, dove viveva la famiglia. Ciò che si sa di lui è che è stato Cavaliere di Rodi, ovvero dell’Ordine di San Giovanni Battista di Gerusalemme, detto poi di Rodi e ora di Malta, rampollo di una delle più importanti famiglie nobili di Vicenza e studioso di matematica e astronomia. Nel 1519, si reca a Barcellona al seguito del vescovo e nunzio pontificio Francesco Chiericati, anch’egli vicentino, inviato come ambasciatore dal papa Leone X alla corte di Carlo V. In Spagna, Pigafetta segue Chiericati nei vari incontri presso la corte spagnola e viene colpito dalle discussioni che vi si tengono sulle scoperte geografiche fatte da spagnoli e portoghesi. Sentì parlare della spedizione che Ferdinando Magellano stava organizzando e, grazie alla raccomandazione del vescovo, Pigafetta ottenne da Carlo V il permesso di poter prendere parte al viaggio di Magellano come sobresaliente, vale a dire uomo d’arme, spinto dalla curiosità di visitare terre lontane. Imbarcatosi sulla nave ammiraglia Trinidad, inizialmente non fu bene accetto da Magellano ma seppe tuttavia conquistarne gradualmente la stima, tanto da diventare il suo criado (attendente), ovvero il marinaio addetto al servizio del comandante, aiutandolo nello svolgimento delle sue funzioni all’interno della nave. Nell’elenco dei marinai presenti sulle navi al momento della partenza, è registrato come Antonio Lombardo (sia durante il Medioevo sia all’inizio dell’Età moderna, il nome Lombardo era spesso usato per indicare le persone provenienti da un’area piuttosto ampia, corrispondente all’Italia settentrionale; in questo caso, EVENTICULTURALI

quindi, indica la sua provenienza); come parenti che, in caso di morte, avrebbero ereditato la paga che gli era stata promessa, sono citati il padre e la sua terza moglie (la madre di Pigafetta era morta nel 1510. Da ciò si deduce che Pigafetta non fosse sposato e non avesse figli quando si imbarcò. Il 27 aprile 1521 nella battaglia di Mactan, nelle attuali Filippine, un folto numero di indigeni capitanati dal re locale Lapu-Lapu uccise Magellano e alcuni suoi uomini e lo stesso Pigafetta rimase ferito. In conseguenza della scomparsa di Magellano, Pigafetta assunse ruoli di maggiore responsabilità nella flotta, in particolare gestendo le relazioni con le popolazioni indigene; la spedizione era allo stremo ed erano rimasti troppo pochi uomini per poter governare tre navi, quindi dovettero abbandonarne una (la Concepción che venne fatta affondare), prima di ripartire. Rimasti con due navi, la Victoria e la Trinidad, raggiunsero il Borneo e rimasero più di un mese nel Brunei. L’ammiraglia Trinidad però imbarcava acqua ed era troppo danneggiata per proseguire la navigazione perciò rimase bloccata per il tempo necessario alla riparazione, insieme con metà dell’equipaggio. Una volta sistemata l’imbarcazione, questi scelsero di tornare indietro e riattraversare il Pacifico, seguendo, in senso contrario, la rotta fatta fino a quel punto. L’ultima nave rimasta, la Victoria al comando di Juan Sebastián Elcano, attraversò l’Oceano Indiano e, dopo aver doppiato il Capo di Buona Speranza, giunse prima nelle Isole di Capo Verde (che erano un possedimento portoghese) e infine a San Lucar presso Siviglia il 6 settembre 1522 (quasi un anno e mezzo dopo la morte di Magellano e ben due anni, undici mesi e diciassette giorni dopo l’inizio dell’intera spedizione). Dei sessanta superstiti presenti sulla Victoria (che ormai imbarcava acqua ed aveva le velature danneggiate) quando era salpata dal Brunei, solo diciotto giunsero vivi a Siviglia, malmessi, denutriti e alcuni ammalati; tra loro Pigafetta, insieme 13


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© Paolo Martini

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LA VITA DI ANTONIO PIGAFETTA

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Monumento a Pigafetta a Cebu - Filippine

CASA PIGAFETTA Casa Pigafetta, sita in via Pigafetta a Vicenza, è un palazzo eretto nel 1440. Storia Nel Trecento la zona era abitata dai Pigafetta, famiglia di esuli guelfi fiorentini. Il palazzo fu rielaborato da Matteo Pigafetta nel 1481. L’edificio viene spesso erroneamente attribuito al famoso navigatore Antonio Pigafetta Il portale È un raro esempio di gotico fiorito, con singolari e piacevoli partiture decorative, incentrate sul motivo a torciglione. Le finestre del primo e secondo piano sono trilobate, in stile arabesco. Il portale, risalente al rinascimento, è affiancato da una scritta in francese antico: Il n’est rose, sans espine (in italiano, “non c’è rosa, senza spine”), alludendo allo stemma della casata dei Pigafetta. La facciata ospita un’iscrizione dedicata ad Antonio Pigafetta. Sulla facciata sono visibili cornucopie (simbolo di prosperità ed abbondanza) e alati grifoni; tra gli archi stemmi di aquile ad ali spiegate e insegne araldiche. L’esuberanza e la tipologia decorativa richiamano quelle di alcuni edifici monumentali in Lombardia: la Cappella Colleoni a Bergamo e la Certosa di Pavia.

ad un altro italiano, Martino de Judicibus. Leon Pancaldo, un savonese rimasto sulla Trinidad durante i lavori di riparazione, rientrò invece solo nel 1525. L’8 settembre 1522, a Siviglia, venne ricevuto a corte da Carlo V e donò al re il diario di bordo scritto durante il viaggio intorno al mondo; il diario, però, sparì nel nulla: la corte spagnola, infatti, era molto determinata a cancellare i meriti di Magellano, che era portoghese, nella prima navigazione intorno al mondo. Di conseguenza anche Antonio Pigafetta, testimone scomodo di quanto avvenuto durante la spedizione, fu frettolosamente congedato dall’Imperatore: ricevette la paga pattuita, ma nessuna gratifica aggiuntiva. La fama di Pigafetta aumentò velocemente: lasciata la Spagna, si spostò in Portogallo dove venne ricevuto dal re a cui raccontò le tante «cose vedute» durante la navigazione; andò quindi in Francia dove ottenne udienza dalla reggente Luisa di Savoia e raggiunse infine l’Italia nel gennaio o febbraio del 1523; fu ospitato in diverse corti italiane (Ferrara, Mantova, Venezia) e fu ricevuto anche da papa Clemente VII. Il 5 agosto 1524 il Senato della Repubblica di Venezia gli accordò il privilegio di stampa del suo Diario. Tra il 1524 e il 1525, Pigafetta scrisse (in una lingua mista italo-veneta con diverse parole spagnole) la Relazione del primo viaggio intorno al mondo con il Trattato di EVENTICULTURALI

Navigazione, le sue memorie sul viaggio, redatte a partire dai suoi minuziosi diari che aveva tenuto nei tre anni di viaggio: vi si trovano descrizioni dei popoli, dei paesi, dei prodotti e anche delle lingue che vi si parlavano, di cui il navigatore cercava di tracciare alcuni brevi glossari.

La morte di Pigafetta Un’ipotesi sulla data della morte è riportata da Stefano Ebert nel suo libro su Pigafetta, e cioè che il viaggiatore sarebbe morto nel 1527, anno del sacco di Roma, durante una pestilenza a Monterosi (Viterbo), dove avevano sede temporanea i Cavalieri di Rodi al cui ordine apparteneva. Secondo una diversa ipotesi di Rita Pigafetta, citata da Michela Petrizzelli, sarebbe probabilmente caduto in combattimento al largo di Modone, Messenia, Grecia nel 1531, durante una battaglia navale tra i Cavalieri Ospitalieri dell’Ordine di San Giovanni, a cui Pigafetta apparteneva, e la flotta turca. 15


PIGAFETTA 500°

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MEMORIE DIVIAGGIO Relazione del primo viaggio intorno al mondo (1524 - 1525)

Tra il 1524 e il 1525, Pigafetta scrisse (in una lingua mista italo-veneta con diverse parole spagnole) la Relazione del primo viaggio intorno al mondo con il Trattato di Navigazione, le sue memorie sul viaggio, redatte a partire dai suoi minuziosi diari che aveva tenuto nei tre anni di viaggio: vi si trovano descrizioni dei popoli, dei paesi, dei prodotti e anche delle lingue che vi si parlavano, di cui il navigatore cercava di tracciare alcuni brevi glossari.

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RELAZIONE DI VIAGGIO - LIBRO PRIMO

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Antonio Pigafetta, Primo viaggio intorno al globo terracqueo ossia Ragguaglio della navigazione alle Indie orientali per la via d’occidente fatta dal cavaliere Antonio Pigafetta (...) sulla squadra del capitano Magaglianes negli anni 1519-1522 ora pubblicato per la prima volta, tratto da un codice ms. della Biblioteca Ambrosiana di Milano e corredato di note da Carlo Amoretti; con un transunto del Trattato di navigazione dello stesso autore. Milano - 1800

GLOSSARIO ALCUNI VOCABOLI DE QUESTI POPOLI DEL VERZIN Al miglio = maiz Alla farina = hui All’amo = pinda Al coltello = tacse Al pettine = chigap Alla forbice = pirame Al sonaglio = itanmaraca Buono più che buono = tum maragatum

ALLA PARTENZA DA SIVIGLIA, SINO ALL’USCITA DALLO STRETTO DI MAGAGLIENES Perchè sono molti curiosi, illustrissimo ed eccellentissimo signor, che non solamente se contentano de sapere e intendere le grandi ed ammirabili cose che Dio me ha concesso di vedere e patire ne la infrascritta mia longa e pericolosa navigazione, ma ancora vogliono sapere li mezzi e modi e vie che ho tenuto ad andarvi, non prestando quella integra fede a l’esito se prima non hanno bona certezza de l’inizio; pertanto saperà vostra illustrissima signoria, che, ritrovandomi nell’anno della natività del Nostro Salvatore 1519 in Spagna, in la corte del serenissimo re dei Romani con el reverendo monsignor Francesco Chieregato, allora protonotario apostolico e oratore de la santa memoria di papa Leone X, che per sua virtù dappoi è asceso a l’episcopato de Aprutino e principato de Teramo, avendo io avuto gran notizia per molti libri letti e per diverse persone, che praticavano con sua signoria, de le grandi e stupende cose del mare Oceano, deliberai, con bona grazia de la maestà cesarea e del prefato signor mio, far esperienzia di me e andare a vedere quelle cose, che potessero dare alcuna satisfazione a me medesimo e potessero partorirme qualche nome appresso la posterità. Avendo inteso che allora se era preparata una armata in la città di Siviglia, che era de cinque nave, per andare a scoprire la spezieria nelle isole di Maluco, de la quale era capitanio generale Fernando de Magaglianes, gentiluomo portoghese, ed era commendatore di Santo Jacobo de la Spada, [che] più volte con molte sue laudi aveva peregrato in diverse guise lo Mar Oceano, mi partii con molte lettere di favore da la città de Barsalonna dove allora resideva sua maestà, e sopra una nave passai sino Malega, onde, pigliando il cammino per terra, giunsi a Siviglia; ed ivi, essendo stato ben circa tre mesi, aspettando che la detta armata si ponesse in ordine per la partita, finalmente, come qui de sotto intenderà Vostra eccellentissima signoria, EVENTICULTURALI

con felicissimi auspizî incomensiammo la nostra navigazione: e perchè ne l’esser mio in Italia, quando andava a la santità de papa Clemente, quella per sua grazia a Monteroso verso di me si dimostrò assai benigna e umana e dissemi che li sarebbe grato li copiassi tutte quelle cose [che] aveva viste e passate nella navigazione, benchè io ne abbia avuta poca comodità, niente di meno, secondo il mio debil potere, li ho voluto satisfare. E così li offerisco in questo mio libretto tutte le vigilie, fatiche e peregrinazioni mie, pregandola, quando la vacherà dalle assidue cure rodiane, si degni trascorrerle; per il che mi parerà esser non poco rimunerato da vostra illustrissima signoria, a la cui bona grazia mi dono e raccomando. Avendo deliberato il capitano generale di fare così longa navigazione per lo mare Oceano, dove sempre sono impetuosi venti e fortune grandi, e non volendo manifestare a niuno de li suoi el viaggio che voleva fare, acciò non fosse smarrito in pensare de fare tanto grande e stupenda cosa, como fece con l’aiuto di Dio, (li capitani sui che menava in sua compagnia, lo odiavano molto non so perchè, se non perchè era Portughese ed essi Spagnoli), volendo dar fine a questo che promise con giuramento a lo imperatore don Carlo re di Spagna, acciò le navi ne le fortune e ne la notte non se separaseno una da l’altra, ordinò questo ordine e lo dette a tutti li piloti e maestri de le sue navi: lo qual era: Lui de notte sempre voleva andar innanzi de le altre navi ed elle seguitasseno la sua con una facella grande di legno, che la chiamano farol [il] quale portava sempre pendente da la poppa la sua nave. Questo segnale era a ciò [che] continuo lo seguitasseno. Se faceva uno altro fuoco con una lanterna o con un pezzo de corda de giunco, che la chiamano strengue, di sparto molto battuto ne l’acqua e poi seccato al sole ovvero al fumo, ottimo per simil cosa, gli rispondesseno, acciò sapesse per questo segnale che tutte venivano insieme. Se 17


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VICENZAMAGAZINE faceva dui fuochi senza lo farol, virasseno, o voltasseno in altra banda quando el vento non era buono e al proposito per andar al nostro cammino, o quando voleva far poco viaggio. Se faceva tre fuochi, tollesseno via la bonetta, che è una parte di vela che se attacca da basso de la vela maggiore, quando fa bon tempo, per andar più: la se tol via acciò sia più facile a raccogliere la vela maggiore, quando si ammaina in pressa in un tempo subito. Se faceva quattro fuochi, ammainassero tutte le vele, facendo poi lui uno segnale di fuoco come stava fermo. Se faceva più fuochi, ovvero tirava alcuna bombarda, fosse segnale de terra o de bassi. Poi faceva quattro fuochi, quando voleva far alzare le vele in alto, acciò loro navigassero seguendo sempre per quella facella de poppa. Quando voleva far mettere la bonetta, faceva tre fuochi: quando voleva voltare in altra parte [ne] faceva due. Volendo poi sapere se tutte le navi lo seguitavano e venivano insieme, [ne] faceva uno, perchè così ogni nave facesse e gli rispondesse. Ogni notte se faceva tre guardie: la prima nel principio de la notte, la seconda, che la chiamano modoro nel mezzo, la terza nel fine [della notte]. Tutta la gente de la nave se (s)partiva in tre colonelli; il primo era del capitano, ovvero del contro maistro, mutandose ogni notte; lo secondo del pilota o nocchiero, il terzo del maestro.

Le mappe disegnate da Pigafetta

Luni a 10 agosto, giorno de santo Laurenzio, ne l’anno già detto, essendo la armata fornita di tutte le cose necessarie per mare e d’ogni sorte de gente (era[va]mo duecento e trentasette uomini) ne la mattina si feceno presti per partirse dal molo di Siviglia, e tirando artigliaria detteno il trinchetto al vento; e vennero abbasso del fiume Betis, al presente detto Gadalcavir, passando per uno luogo detto Gioan Dalfarax, che era già grande abitazione de Mori, per mezzo lo quale stava un ponte che pasava el ditto fiume per andare a Siviglia, del che è restato fin al presente nel fondo dell’acqua due colonne, che quando 18

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passano le navi hanno bisogno de uomini che sappiano ben lo loco delle colonne, perciò non desseno in esse, ed è bisogno passarle quando el fiume sta piú crescente, ed anche per molti altri luoghi del fiume, che non ha tanto fondo che basti per passare le navi cargate e [è bisogno che] quelle non siano troppo grandi. Poi venirono ad un altro [luogo], che se chiama Coria, passando per molti altri villaggi a lungo del fiume, tanto che giunseno ad uno castello del duca di Medina Cidonia, il quale se chiama S. Lucar, che è posto per entrare nel mare Oceano, levante ponente con il capo di Sant Vincent, che sta in 37 gradi di latitudine e lungi dal detto posto 10 leghe. Da Siviglia fin a qui per lo fiume gli sono 17 o 20 leghe. Da lì alquanti giorni venne el capitano generale con li altri capitani per lo fiume abbasso ne li battelli de le navi et ivi stessimo molti giorni per fornire l’armata di alcune cose [che] le mancavano; e ogni dí andavamo in terra ad aldir messa ad un loco che se chiama Nostra Donna di Baremeda, circa San Lucar. E avanti la partita lo capitano general volse [che] tutti se confessasseno e non consentitte [che] ninguna donna venisse ne l’armada per meglior rispetto. Marti a XX de settembre, nel medesimo anno, ne partissemo da questo loco, chiamato San Lucar, pigliando la via di garbin, e a 26 del detto mese arrivassemo a una isola de la Gran Canaria, che se dice Tenerife in 28 gradi di latitudine, per pigliar carne, acqua e legna. Stessemo ivi tre giorni e mezzo per fornire l’armata delle dette cose: poi andassemo a uno porto de la medesima isola, detto Monte Rosso, per pegola, tardando due giorni. Saperà Vostra illustrissima signoria che in quelle isole de la Gran Canaria c’è una in tra le altre, ne la quale non si trova pur una goccia de acqua che nasca, se non [che] nel mezodí [si vede] discendere una nebola dal cielo e circonda uno grande arbore che è nella detta isola, stillando dalle sue foglie e rami molta acqua; e al piede del detto arbore è addrizzata in guisa de fontana una fossa, ove casca l’acqua, de


RELAZIONE DI VIAGGIO - LIBRO PRIMO

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la quale li uomini abitanti e animali, cosí domestici come salvatici, ogni giorno de questa acqua e non de altra abbondantissimamente se saturano.

Mappa disegnata da Pigafetta

La nave Victoria , l’unica nave superstite giunge a Siviglia con solo 18 marinai.

Luni a tre d’ottobre a mezzanotte se dette le vele al cammino de l’austro, ingolfandose nel mare Oceano, passando tra Capo Verde e le sue isole in 14 gradi e mezzo; e cosí molti giorni navigassimo per la costa della Ghinea, ovvero Etiopia, (ne la quale ha una montagna, detta Sierra Leone, in 8 gradi di latitudine) con venti contrari, calme e piogge senza venti fino a la linea equinoziale, piovendo sessanta giorni di continuo contra la opinione de li antichi. Innanzi che giungessimo a la linea, 14 gradi, molte gropade da venti impetuosi e correnti de acqua ne assaltarono contra el viaggio. Non possendo spuntare innanzi, a ciò che le navi non pericolasseno, se calavano tutte le vele: ed a questa sorte andavano de mare in traverso finchè passava la gropada, perché veniva molto furiosa. Quando pioveva non era vento; quando faceva sole era bonaccia. Venivano al bordo de la nave certi pesci grandi, che se chiamano tiburoni, che hanno denti terribili e se trovano uomini nel mare li mangiano. Pigliavamo molti con ami de ferro, benché non sono buoni da mangiare, se non li piccoli, e anche loro mal boni. In queste fortune molte volte ne apparse il Corpo Santo, cioè Santo Elmo, in lume fra le altre in una oscurissima notte, di tal splendore, come è una facella ardente, in cima de la maggiore gabbia, e stiè circa due ore e piú con noi, consolandone che piangevamo. Quando questa benedetta luce si volse partire da noi, tanto grandissimo splendore dette ne li occhi nostri, che stettemo piú de mezzo quarto de ora tutti ciechi, chiamando misericordia, e veramente credendo esser morti. Il mare subito se aquietò. Vidi molte sorte di uccelli, tra le quali una che non aveva culo; un’altra, quando la femina vuol far li ovi, li fa sopra la schiena del maschio, e ivi si creano; non hanno EVENTICULTURALI

piedi e sempre vivono nel mare; un’altra sorte, che vivono del sterco de li altri uccelli e non di altro: sí come vidi molte volte questo uccello, qual chiamano cagassela, correr dietro ad altri uccelli, fin tanto [che] quelli sono costretti mandar fuora el sterco; subito lo piglia e lascia andare lo uccello. Ancora vidi molti pesci che volavano, e molti altri congregati insieme, che parevano una isola. Passato che avessimo la linea equinoziale, in verso el meridiano, perdessimo la tramontana, e cosí se navigò tra il mezzogiorno e il garbin fino in una terra, che si dice la terra del Verzin in 23 gradi 1/2 al polo antartico, che è terra del capo de Santo Agostino, che sta in 8 gradi al medesimo polo: dove pigliassemo gran rinfresco de galline, batate, pigne molto dolci, frutto in vero piú gentil che sia, carne de anta come vacca, canne dolci ed altre cose infinite, che lascio per non essere prolisso. Per un amo da pescare o uno cortello davano 5, o 6 galline: per uno pettine uno paro de occati; per uno specchio o una forbice, tanto pesce che avrebbe bastato a X uomini; per uno sonaglio o una stringa, uno cesto de batate; queste batate sono al mangiare come castagne e longhe come napi; e per uno re de danari, che è una carta da giocare, ne detteno 6 galline e pensavano ancora averne ingannati. Intrassemo in questo porto il giorno del Sancta Lucia e in quel dì avessimo il sole per zenit e patissimo più caldo quel giorno e li altri, quando avevamo il sole per zenit, che quando éramo sotto la linea equinoziale. Questa terra del Verzin è abbondantissima e più grande che la Spagna, Franza e Italia tutte insieme: è del re de Portugallo. Li popoli di questa terra non sono Cristiani e non adorano cosa alcuna; vivono secondo lo uso della natura e vivono centovincinque anni e cento quaranta; vanno nudi cosí uomini, come femmine; abitano in certe case lunghe che le chiamano boii e dormono in rete de bambaso, chiamate amache, legate ne le medesime case da un capo e da l’altro a legni grossi: fanno foco in fra essi in terra. (Continua) 19


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LA FAMA DI PIGAFETTA Storia e fortuna della Relazione diViaggio di Adriana Chemello

“Il viaggio fatto per gli Spagnuoli intorno al Mondo è una delle più grandi e maravigliose cose che si siano intese a’ tempi nostri: e ancor che in molte cose noi superiamo gli antichi, pur questa passa di gran lungtutte l’altre insino a questo tempo ritrovate.” L’entusiasmo dello storico e del geografo Ramusio fa percepire l’ampiezza della risonanza che l’eccezionalità dell’impresa deve aver suscitato nell’Europa del tempo.

Carte nautiche ai tempi del Pigafetta conservate nella Biblioteca Bertoliana di Vicenza

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STORIA E FORTUNA DELLA RELAZIONE DI VIAGGIO

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a circumnavigatio globi compiuta dalla piccola flotta di Magellano [«nel qual viazo ho circundato tutto il mondo a torno», come si esprime Pigafetta] segna uno spartiacque tra due epoche della storia umana moderna, una rivoluzione che si riperquote in tutte le manifestazioni della vita politica, economica, culturale e spirituale. La nuova scoperta ha indotto mutamenti negli equilibri di potere tra gli stati europei, nella dinamica dei traffici commerciali e degli spostamenti di uomini e merci tra i continenti. Ma la novità più dirompente è la nuova coscienza del mondo che la scoperta di terre “incognite” ha determinato, costringendo a rivedere i paradigmi scientifici ed i sistemi chiusi delle discipline. Come scrive Marica Milanesi «la prima circumnavigazione ha unito i mari e le terre, prima isolati, dispersi su una superficie indefinita. Benché immensi, dilatati all’estremo dall’enorme quantità di tempo che occorre per superarli, gli spazi terrestri diventano finiti, e quindi accessibili e prevedibili».1 Negli anni in cui Pigafetta si muove sulla scena del mondo, possiamo dire che aveva raggiunto il suo apice il desiderio del mondo di «estrovertirsi», per usare una locuzione di Zumthor, il quale osserva come sul finire del Medioevo il mondo diventa «improvvisamente estroverso».2 Lo studioso Burckhardt, a sua volta, aveva indicato fra i caratteri originali della civiltà del Rinascimento proprio la forte tensione verso la «scoperta del mondo esteriore».3 Nei circoli degli uomini dotti, nelle corti europee, soprattutto in quelle spagnola e portoghese, le «scoperte» degli ultimi decenni avevano generato stupore e aperto nel contempo tanti interrogativi. Tutto ciò aveva dato incentivo e alimentato una forte volontà di conoscere e di comprendere il nuovo, ciò che è al di là dei «confini» e degli spazi noti. Il viaggio aveva pertanto acquisito un alto valore conoscitivo perché traeva impulso dal desiderio di «veder del mondo» o di «venir del mondo esperto», secondo la formula dantesca. Era uno degli strumenti per appagare la curiositas dell’umanista, per fare esperienza di ciò che si era appreso dai libri o che era stato riferito da persone autorevoli e degne di fede. Il viaggio di Pigafetta nasce proprio da questa curiosità di fare esperienza di mondo, di attraversare confini, di lanciarsi a scoprire “terre incognite”, per mare. Sono gli anni delle «scoperte», dell’«estrovertirsi», appunto. 1. M. Milanesi, Introduzione, a G.B. Ramusio, Navigazioni e Viaggi, vol. I, Torino, Einaudi, 1978, p. xxix. 2. P. Zumthor, La misura del mondo. La rappresentazione dello spazio nel Medio Evo, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 30. 3. Cfr. C. Spila, Introduzione a Nuovi Mondi. Relazioni, diari e

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VICENZAMAGAZINE Antonio Pigafetta arriva in Spagna nel dicembre 1518, al seguito del vescovo Francesco Chiericati, protonotario apostolico inviato dal papa Leone X alla corte di Carlo I; lì partecipa alle dotte riunioni a casa del nunzio pontificio ed ha occasione di frequentare la corte, dove viene catturato dalle dispute intorno alle scoperte che Spagnoli e Portoghesi stanno compiendo [«le grande e stupende cose del Mare Oceano»]. Chiede l’autorizzazione al vescovo e al re Carlo I per partecipare alla spedizione che Magellano sta preparando. Viene arruolato come criado (uomo di fiducia) di Magellano e salpa da Siviglia il 10 agosto 1519. Ritornato in Spagna dopo tre anni, Antonio Pigafetta è consapevole di essere stato testimone oculare di un’impresa irripetibile («Credo certamente non si farà mai più tal viaggio»4), e decide di farne una narrazione per far «sapere e intendere le grandi e ammirabili cose che Dio me ha concesso de vedere e patire ne la infrascritta mia longa e pericolosa navigazione».5 La curiosità del lettore rinascimentale potrà trovare soddisfazione perché chi scrive ha trasformato il viaggio da «esperienza mentale» ad esperienza fisica, è diventato soggetto patiens della propria curiositas: Avendo io avuto gran notizia per molti libri letti e per diverse persone, che praticavano con sua Signoria, de le grande e stupende cose del Mare Oceano, deliberai, con bona grazia de la Magestà Cesaria e del prefato signor mio, far esperienzia di me e andare a vedere quelle cose che potessero dare alguna satisfazione a me medesmo e potessero parturirmi qualche nome appresso la posterità6. Il vicentino dopo aver esperito la «longa e pericolosa navigazione» decide di «narrar altrui» perché non se ne perda la memoria che solo la scrittura può conservare, trasformando i «muti inchiostri» in «vive voci» presso la posterità. La stesura della relazione fa sì che l’«evento» si risolva in «ricordo», in memoria appunto. Una scrittura del ricordo, un recupero memoriale di un evento ormai concluso e passato, del quale è viva la consapevolezza di essere uno dei pochi testimoni superstiti. Dei «ducento e trentasete omini» partiti il 10 agosto 1519 dal porto di Siviglia avevano racconti di viaggio dal XIV al XVII secolo, a cura di C.S., Milano, RCS libri, 2010, p. 16 sgg. 4. A. Pigafetta, Il primo viaggio intorno al mondo, edizione a cura

di M. Pozzi, Vicenza, Neri Pozza, 1994, p. 112. 5. Ivi, p. 109. ---- 6. Ibid.

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fatto ritorno il 6 settembre 1522 «se non disdoto omini e la magior parte infermi»1. Nel congedare la trascrizione italiana della sua relazione di viaggio, dedicandola a Filippo de Villers L’Isle Adam, Pigafetta non si esime dall’informare di avere già consegnato il suo «diario di bordo» nelle mani dell’Imperatore Carlo V: Partendomi de Seviglia, andai a Vagliadolit, ove apresentai a la Sacra Magestà de Don Carlo non oro né argento ma cose da essere assai apresiate da un simil signore. Fra le altre cose li detti uno libro, scritto de mia mano, de tutte le cose passate de giorno in giorno nel viagio nostro. Me parti’ de lì al meglio puotì e andai in Portagalo e parlai al re Don Ioanni de le cose aveva vedute. Passando per la Spagna veni in Fransa e feci dono de algune cose de l’altro emisperio a la madre del Cristianissimo re Don Francisco, Madama la Regenta. Poi me venni ne la Italia, ove donai per sempre me medesimo e queste mie poche fatiche a lo inclito e illustrissimo signor Filipo de Villers L’Isle Adam, Gran Maestro de Rodi dignissimo. 2. Di questo prezioso testimone spagnolo si sono perse irrimediabilmente le tracce, ma anche il «libro» arrivato fino a noi è debitore ad un destino che sfugge alle intenzioni autoriali per imboccare strade impreviste. Ma far circolare le notizie e le scoperte di questi viaggi non sarebbe stato possibile senza l’apporto determinante dell’industria tipografica, soprattutto quella veneziana, perché Venezia era «diventata un centro di raccolta e di smistamento delle informazioni relative a ciò che avviene al di là dei mari».3 Lì editori e cartografi cooperavano nel produrre materiali (libri e opuscoli) adatti a diverse tipologie di pubblico. Nel contesto veneziano si muove Giovan Battista Ramusio, Segretario del Senato veneto, cultore esperto di cosmografia, geografia e storia, traduttore autorevole di greco e latino, al centro di una fitta rete di relazioni con uomini dotti da Bembo a Fracastoro, da Andrea Navagero a Bernardino Donato. Negli anni tra il 1530 e il 1550 Giovan Battista Ramusio fa incetta, spostandosi sovente per le sue funzioni di Segretario tra le diverse corti europee, di relazioni, lettere, discorsi sulle «navigazioni» realizzate tra fine Quattrocento e primo Cinquecento. Accorpando insieme tutte queste diverse testimonianze, dà forma ad un’opera monumentale in più volumi, che intitola Navigazioni e viaggi. È la risultante di una ricerca puntigliosa sulle fonti ma soprattutto di raccolta di 1. Ivi, pp. 111 e 190. 2. Ivi, p. 190. 3. M. Milanesi, Introduzione, a Navigazioni e viaggi, cit., p.

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resoconti e testimonianze di prima mano relative a ciò che sta avvenendo in mare in quegli anni. La raccolta di Ramusio si configura come una «biblioteca» settoriale, la summa di un nuovo genere rilanciato dall’epopea delle scoperte. È evidente la dinamica interconnessione tra i viaggi oceanici alla scoperta delle “terre incognite” e la tempestiva risposta della industria tipografica legata alle capacità imprenditoriali dei «grands imprimeurs» veneziani, che ne diventa un’efficace cassa di risonanza. Un’opera rivolta ad un pubblico selezionato di mercanti e di uomini dotti, desiderosi di aggiornarsi e di informarsi sulle nuove scoperte attraverso le relazioni disponibili all’estero ed ora rese disponibili anche in volgare italico. Nella editio princeps del primo volume delle Navigazioni e viaggi, uscita dai torchi della stamperia dei Giunti in Venezia nel 1550, Giovan Battista Ramusio dedica ampio spazio all’impresa di Magellano e dei suoi compagni, recuperandone ben due resoconti, che pubblica uno di seguito all’altro: l’Epistola di Massimiliano Transilvano, uno dei Segretari di Carlo V, che aveva sposato la nipote di uno dei promotori dell’impresa di Magellano (quindi molto ben informato sui fatti, anche perché aveva raccolto le testimonianze dirette dei reduci della spedizione),4 e il Viaggio di Antonio Pigafetta, entrambi introdotti da un breve Discorso sopra il viaggio fatto da gli Spagnuoli intorno al mondo a firma dello stesso Ramusio: Il viaggio fatto per gli Spagnuoli intorno al Mondo è una delle più grandi e maravigliose cose che si siano intese a’ tempi nostri: e ancor che in molte cose noi superiamo gli antichi, pur questa passa di gran lunga tutte l’altre insino a questo tempo ritrovate5. L’entusiasmo dello storico e geografo dà conto, seppur parzialmente, del rilievo e della profonda risonanza che l’eccezionalità dell’impresa deve aver suscitato nell’Europa del tempo. Lo studioso, sempre ben informato sui viaggi oceanici ed in grado di procurarsi fonti documentarie di prima mano, avanza una prima valutazione critica, misurando il valore della nuova impresa sulle conoscenze degli antichi e su quelle fino ad allora possedute dai suoi contemporanei. Ed il giudizio sul nuovo «viaggio» è che esso «passa di gran lunga tutte l’altre» ed anche i «gran filosofi antichi udendone ragionare, resteriano stupefatti et fuor di loro». 4. L’Epistola venne pubblicata in latino, col titolo De Moluccis Insulis nel 1523 (Colonia e Parigi), nel 1524 a Roma. Nel 1536 fu stampata in italiano a Venezia, con ogni probabilità a cura dello stesso Ramusio, insieme con la relazione di Pigafetta (Il viaggio fatto da gli Spagniuoli a torno a’l mondo, Zoppini), e ripresa poi nel 1550 nel primo volume delle Navigazioni. 5. Si cita dalla edizione moderna: G.B. Ramusio, Discorso sopra il viaggio fatto dagli Spagnuoli intorno al mondo, in Navigazioni e viaggi, a cura di M. Milanesi, Torino, Einaudi, 1979, vol. II, p. 837.

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STORIA E FORTUNA DELLA RELAZIONE DI VIAGGIO Un giudizio che riprende quello espresso da Massimiliano Transilvano in explicit alla sua Epistola, il primo testo a stampa a dare un resoconto, desunto dalle testimonianze dei superstiti, della «navigazion fatta» di «circondar tutto il mondo». Esaltandola come impresa «marvigliosa, né mai più trovata o conosciuta, né ancor tentata per altri», Massimiliano scrive: Marinai certamente più degni di esser celebrati con eterna memoria che non furono quelli che dagli antichi furon chiamati Argonauti, li quali navigarono con Iason […] ma la nostra, di fuora dello stretto di Gibilterra navigando per il mare Oceano verso mezzodì e polo antartico, e di lì poi voltandosi verso ponente, e tanto seguitando quello che, passando di sotto la circunferenza del mondo, se ne venne in levante, e di lì poi se ne ritornò in ponente a casa sua in Siviglia6. Ramusio, ha voluto accostare due diverse testimonianze dell’impresa di Magellano: quella di Massimiliano Transilvano, stesa sulla scorta dei racconti dei superstiti, quindi una testimonianza mediata dalla penna di colui che se ne fece trascrittore e interprete; a cui affianca «un libro molto particolare e copioso» di «un valoroso gentiluomo vicentino detto messer Antonio Pigafetta»7. Il libro «particolare e copioso» arrivato nelle mani di Ramusio non è però il manoscritto autografo o trascritto del cavaliere vicentino, che noi oggi leggiamo (e di cui abbiamo diverse edizioni moderne), bensì un resoconto di «seconda mano», la risultante di una ri-scrittura ottenuta «da libro a libro mutando e trascrivendo»8, secondo una pratica molto diffusa nel Cinquecento. Così mentre il manoscritto in volgare italico è rimasto ignorato, sepolto tra i polverosi palchetti di una biblioteca fino al 1800, la relazione del viaggio è tributaria della propria «fortuna» editoriale ad una scorciata trascrizione «du second main», arrivata a Venezia attraverso Parigi. Il «libro» recuperato da Ramusio ha infatti il proprio archetipo nell’extraict francese pubblicato senza data a Parigi presso Simon de Colines, sul quale è stata condotta la traduzione italiana uscita nel 1536 a Venezia presso lo Zoppini, con ogni probabilità curata dallo stesso Ramusio..

6. Epistola di Massimiliano Transilvano, secretario della maestà dello imperatore, scritta allo illustrissimo e reverendissimo signore il signore cardinal Salzuburgense, della ammirabile e stupenda navigazione fatta per gli Spagnuoli lo anno MDXIX attorno il mondi, ivi, p. 866. 7. G.B. Ramusio, Discorso, in Navigazioni e viaggi, cit., p. 838. 8. Il sintagma è ripreso dalla «lettera dedicatoria» a M. Ieronimo Fracastoro, ora in G.B. RAMUSIO, Navigazioni e viaggi, cit., vol. I, pp. 3-4.

VICENZAMAGAZINE Il profilo della «fortuna» editoriale del libro pigafettiano e della sua circolazione cinquecentesca coincide con quello della monumentale opera di Ramusio che conobbe nel corso del secolo numerose edizioni e ristampe, nonché diverse traduzioni nelle principali lingue europee. Il «libro» di Pigafetta letto e conosciuto dai dotti, dai mercanti, dai letterati cinque-seicenteschi è appunto questo «sommario» di seconda mano ricavato dal francese. Il manoscritto della Relazione in volgare italico (conservato presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano) venne pubblicato per la prima volta da Carlo Amoretti, a Milano nel 1800; l’edizione più autorevole rimase a lungo quella di Andrea Da Mosto, pubblicata a Roma nel 1894. Per concludere vorrei riprendere l’omaggio che Ramusio tributa, in epilogo al suo Discorso, ad Antonio Pigafetta ed alla città che gli ha dato i natali, non senza una piccola postilla per ricordare, che il monumentum più imperituro è – a mio avviso – saper tramandare alle giovani generazioni il sensum culturale e umano di quella epocale impresa: Et la città di VICENZA si può gloriare fra tutte l’altre d’Italia che, oltre l’antica nobiltà e gentilezza sua, oltra molti eccellenti e rari ingegni, sì nelle lettere come nell’armi, abbia anche avuto un gentiluomo di tanto animo come il detto messer Antonio Pigafetta, che, avendo circondata tutta la balla del mondo, l’abbia descritta tanto particolarmente. E non è dubbio che dagli antichi, per una così stupenda impresa, gli saria stata fatta una statua di marmo, e posta in luogo onorato, per memoria e per esempio singulare a’ posteri della sua virtù9. Ma Ramusio aveva anche espresso un altro auspicio, a mio avviso ancora di estrema attualità: una delle più ammirabili e stupende operazioni che potessero far in vita loro i grandi príncipi saria il far conoscere insieme li uomini di questo nostro emisfero con quelli dell’altro opposto […].

9. G.B. Ramusio, Discorso, in Navigazioni e Viaggi, cit., vol. II, p. 838.

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PIGAFETTA/CHIERICATI Il Viaggio delle Meraviglie inizia a Palazzo Chiericati....

L’associazione Ardea, attraverso una coinvolgente performance teatrale, desidera presentare il meraviglioso viaggio del nostro giovane vicentino percorrendo le difficoltà, i pericoli, le gioie e le paure che egli ha dovuto affrontare durante la navigazione attorno al mondo. Il racconto sarà poi integrato da un laboratorio sulle spezie provenienti dalle terre visitate dal nostro personaggio. Spezie che ormai appartengono alla nostra quotidianità, come la curcuma, la cannella, la noce moscata, il pepe ecc.... PROGRAMMA INCONTRI 14 aprile ore 15:00 a Palazzo Chiericati 12 maggio ore 15:00 a Palazzo Chiericati Info e prenotazioni: ass.ardea@gmail.com 3465933662

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PIGAFETTA/CHIERICATI

VICENZAMAGAZINE Il viaggio delle meraviglie inizia a Palazzo Chiericati… La figura di Pigafetta è infatti legata a quella di Francesco Chiericati che entrò assai giovane nell’ordine dei Frati Minori Osservanti: esiste un ritratto in via di restauro che lo raffigura nell’intensa fierezza dello sguardo e nell’ironico sorriso; la sua energica personalità e il suo carattere indomito risultano anche dagli appassionati interventi che egli fece, assieme al fratello vescovo di Teramo, durante il Concilio di Trento e nella lotta contro la Riforma luterana ed il pericolo turco. Estimatore ed amico di vari artisti, tra cui l’incisore Valerio Belli, aiutò Antonio Pigafetta, suo lontano parente, nella stampa del suo diario di viaggio, dopo il ritorno dalle Molucche. Il Chiericati s’interessò vivamente delle scoperte geografiche e delle narrazioni sui nuovi mondi. Del suo seguito alla corte spagnola faceva parte appunto Antonio Pigafetta che si trovava con lui a Barcellona quando ebbe notizia del viaggio di Magellano e decise di parteciparvi. Per quanto riguarda il nostro navigatore vicentino, ci si chiede come può essere che un ragazzo giovane, poco più che ventenne, al seguito di un nunzio apostolico con precise mansioni, si sia avventurato in un viaggio che aveva delle pessime probabilità di riuscita. Quando si parla del Cinquecento si pensa subito al Rinascimento e si pensa ad un periodo aureo per l’Italia. In realtà il ‘500 è un periodo eccezionale dal punto di vista artistico e culturale in genere, ma dal punto di vista politico e sociale è un momento terribile. Antonio apparteneva ad una classe sociale elevata ma sia ricchi che poveri in questo periodo non se la passavano molto bene. Siamo infatti nella Repubblica di Venezia, subito dopo la Lega di Cambrai e la rotta rovinosa di Agnadello (1509): lo Stato veneziano smottava da tutte le parti, sgretolandosi sotto l’urto di mezza Europa. Se Antonio lasciò Vicenza per le Molucche e gli sconosciuti paradisi dei tropici, da cui non si sapeva se ci fosse potuto essere un ritorno, significa che oltre alla sete di avventura e di sapere che infiammava i nobili intellettuali di quel periodo come lui, c’era anche la necessità, assieme però al coraggio (e lui ne aveva!!!), di sfuggire quegli anni terribili per entrare in una realtà diversa, verso quelle terre che costeggiavano oceani e mari lontani e che in quegli anni entravano, dopo la scoperta dell’America, nella storia del commercio dove le maggiori potenze europee si spartivano l’egemonia. Ad Antonio si presentò la possibilità di aprire un nuovo capitolo della sua vita quando il parente prelato fu inviato da papa Leone X come nunzio apostolico alla corte del re di Spagna e lì ascoltò affascinato il tanto parlare che si faceva delle nuove rotte verso le Indie, delle scoperte straordinarie, delle meraviglie della natura e dei popoli che vi abitavano. Così quando seppe che il transfuga portoghese Magaglianes (Magellano) aveva ottenuto dal re una flotta di 5 navi per sottrarre le ricchezze delle Molucche ai Portoghesi attraverso una nuova rotta passante per un supposto stretto a sud dell’America, non stette a pensarci due volte e ottenne di essere arruolato come sobresaliente e criado del Capitano Generale (una via di mezzo tra segretario particolare e guardia del corpo). Si imbarcò così nella Victoria, unica e sola nave, di cinque, che tornò salva dal rovinoso viaggio, con solo 18 persone d’equipaggio. EVENTICULTURALI

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PIGAFETTA 500°

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LAVIA DELLE SPEZIE Da Marco Polo a Pigafetta, il lungo viaggio delle spezie di Michelangelo Muraro

La via della Seta e delle spezie porta Marco Polo a percorrere con Matteo, suo padre, e lo zio Niccolò 10.000km in 24 anni dal 1271 al 1295 e scoprire le fonti di quei beni più preziosi dell‘oro che erano cannella, noce moscata e chiodi di garofano. Fino al XV secolo, le spezie viaggiavano via terra dall’Oriente, attraverso la Persia, la Turchia, l’Arabia, l’Egitto e la Spagna, tutte terre musulmane. Nel XV secolo, lo stimolo a trovare soluzioni meno costose spinse, tuttavia, uomini coraggiosi a cercare “una rotta delle spezie” diversa, via mare..........

Nato a Venezia il 15 settembre 1254, Marco Polo è considerato uno dei più grandi viaggiatori ed esploratori di tutti i tempi. Le cronache del viaggio e della sua permanenz in Estremo Oriente furono trascritte in francese antico da Rustichello da Pisa; raccolte sotto il titolo di “Divisiment dou monde”, le sue memorie di viaggio divennero note, in seguito, come “il Milione”.

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LA VIA DELLE SPEZIE

VICENZAMAGAZINE Il mappamondo di Fra Mauro che Niccolò Da Conti contribuì a disegnare con i suoi resoconti di viaggio I viaggi di Niccolò de’ Conti, che circolarono inizialmente in forma manoscritta, si narra abbiano profondamente influenzato la comprensione geografica delle aree attorno all’Oceano Indiano nella metà del XV secolo. Il suo fu uno dei primi resoconti a descrivere le Isole della Sonda e le Isole delle Spezie, e contribuì a rivalutare l’opera di Marco Polo, alla quale prima di allora si dava poco credito. I suoi racconti probabilmente incoraggiarono i viaggi di esplorazione europei della fine del secolo.

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icorrono quest’anno, il 20 di settembre, i 500 anni dalla partenza del viaggio di Magellano per cercare la rotta ovest verso le Indie alla scoperta di una nuova via delle spezie. Di 5 caravelle partite con 265 uomini da San Lucar, vicino a Siviglia, giungeranno al punto di partenza, dopo 3 anni, solamente 18 uomini su una sola imbarcazione, la Vittoria. Fra loro Antonio Pigafetta che lascerà testimonianza documentata con dovizia di particolari di osservazioni geografiche, astronomiche, scientifiche, di cultura, di uomini coraggiosi oltre che di botanica, zoologia, medicina, cosmesi, religione. Secondo la Genesi le spezie crescevano nel Paradiso terrestre, un giardino posto a oriente, fra quattro fiumi, forse fra l’India e la Cina. Si sa, comunque, che l’uso delle spezie risale a migliaia di anni fa ed era ampiamente diffuso tra gli Egizi. L’archeologia gastronomica, assieme alla chimica, rivela che fra i resti dei cibi rimasti incorporati nel pentolame di coccio usato all’epoca, si trovano anche le spezie che venivano inserite nei pasti degli operai impiegati nella costruzione della piramide di Cheope, in quanto si riteneva che servissero a proteggerli dalle epidemie e mantenessero le maestranze in forze.

La via della Seta e delle spezie porta Marco Polo a percorrere con Matteo, suo padre, e lo zio Niccolò 10.000km in 24 anni dal 1271 al 1295 e scoprire le fonti di quei beni più preziosi dell‘oro che erano cannella, noce moscata e chiodi di garofano. Fino al XV secolo, le spezie viaggiavano via terra dall’Oriente, attraverso la Persia, la Turchia, l’Arabia, l’Egitto e la Spagna, tutte terre musulmane. I commercianti imponevano i loro balzelli, che facevano lievitare alle stelle il prezzo, già caro in partenza. I Paesi produttori, consci del loro tesoro, erano ben attenti che nulla uscisse dalle loro frontiere che potesse permettere ai Paesi consumatori di produrle in proprio. Nel XV secolo, lo stimolo a trovare soluzioni meno costose spinse, tuttavia, uomini coraggiosi a cercare “una rotta delle spezie” diversa, via mare, circumnavigando il Capo di Buona Speranza, per evitare tutti quei passaggi che gravavano non poco sul prezzo. Uno dei più straordinari, fu Niccolò dè Conti, navigatore veneziano, nato nel 1395. Andò a Bagdad e in Persia a studiare l’arabo e il persiano e poi, forte di queste conoscenze che lo facevano sembrare un musulmano, girò l’Oriente scoprendone con meraviglia la cultura, la civiltà e i tesori. Soggiornò un anno a Sumatra e ne

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PIGAFETTA 500°

VICENZAMAGAZINE Con il viaggio di Bartolomeo Diaz del 1488 il re del Portogallo aveva ottenuto la prova che si poteva compiere una navigazione continua dall’Atlantico all’oceano Indiano. Si trattava ora di organizzare una grande spedizione che compisse l’intero percorso da Lisbona alle coste dell’India. Risolti i problemi di natura diplomatica con la Spagna con il Trattato di Tordesillas e alcuni problemi di carattere tecnico (la presenza dei monsoni), l’8 luglio 1497 sotto il comando di Vasco da Gama partì la flotta destinata a raggiungere l’India. Dopo aver fatto scalo alle isole del Capo Verde, si diresse verso il Capo di Buona Speranza che venne doppiato il 22 settembre. I portoghesi entrarono quindi in contatto con le città mercantili sulla costa orientale dell’Africa, fino a giungere a Calcutta. Dopo aver caricato le sue navi di tutte le spezie che fu in grado di acquistare, da Gama iniziò il viaggio di ritorno e il 29 settembre del 1499 delle quattro navi con cui era partito, solo una fece ritorno a Lisbona.

descrisse la ricchezza della quale facevano parte oro e spezie. i suoi viaggi furono molto importanti perché confermarono che era possibile andare oltre il Capo di Buona Speranza nell’oceano Atlantico e quindi si poteva circumnavigare l’Africa. Vasco da Gama, circa cento anni dopo, nel 1497, effettuerà per la prima volta quel viaggio ad est verso le Indie, ridisegnando le mappe del mondo medievale. Il capo di Buona Speranza è sempre stato un luogo dal forte significato simbolico, finis terrae, reso ancora più suggestivo dalla violenza dei due oceani che si incontravano, l’Atlantico e l’Indiano, tanto che, dieci anni prima, era stato chiamato “capo delle tempeste”. Sarà re Giovanni II° del Portogallo a ribattezzarlo Capo di Buona speranza, perché, con la sua circumnavigazione, nascevano speranze di interessanti prospettive commerciali. Anche Cristoforo Colombo si mosse alla ricerca di una nuova rotta per l’India, questa volta prendendo la direzione ovest; molti aiuti finanziari affluirono all’iniziativa, attratti dalla possibilità di avere nuove spezie da commerciare. In effetti, la scoperta di nuovi prodotti come il caffè, il cacao e la successiva coltivazione di canna da zucchero influiranno anche sul consumo delle spezie tradizionali facendone, però, diminuire l’interesse. Il fatto che durante la navigazione Colombo sia “inciampato” nelle Americhe, lo dobbiamo indirettamente alle spezie e, dunque, potremmo affermare che queste furono involontaria causa della fine del Medioevo e dell’inizio dell’era moderna. Sarà finalmente Magellano, con Pigafetta a ripetere il giro verso ovest ma superando questa volta l’ostacolo Americhe, per attraversare l’infinito oceano pacifico ed arrivare alle cosiddette Indie. 28

LE SPEZIE Se, fortunatamente, la Treccani spiega che, lessicalmente, spezie, droghe e coloniali sono sinonimi, anche se i due ultimi termini sono caduti in disuso, per cogliere in modo completo la differenza fra essi, può essere d’aiuto il linguaggio popolare, nel quale le erbe come il prezzemolo, il basilico, la menta, sono chiamate “odori” mentre il pepe, lo zafferano ecc. continuano a mantenere la loro denominazione di droga. I primi erano più vicini alla cultura contadina perché coltivati nell’orto dietro casa, mentre le seconde si acquistavano in drogheria in occasione di usi speciali come, per esempio, il pepe impiegato nella preparazione dei salumi. Le erbe aromatiche, inoltre, sono utilizzate per modificare il profumo di un cibo o di una pietanza, e generalmente se ne utilizzano le foglie fresche. Le spezie, invece, hanno la caratteristica di conferire gusto, rafforzare il sapore di un piatto e di renderlo più gradevole e sono ottenute da diverse parti delle piante, come bacche, semi, radici, che necessitano di trattamenti e lavorazioni per estrarre il loro particolare gusto. La cannella, per esempio, si ottiene essiccando gli arbusti; i chiodi di garofano sono i boccioli floreali essiccati e hanno un potere antiossidante 80 volte più potente della mela; il pepe nero viene prodotto dal frutto. La maggior parte delle spezie arriva ancora dai Paesi orientali, mentre lo zafferano è prodotto anche in Italia, ed è la spezia più costosa in assoluto: rientra, infatti, nell’elenco dei dieci cibi più cari del mondo. La sua coltura è una storia che passa dall’antico Egitto a Omero, che ne indica la presenza, assieme al loto e al giacinto, fra i fiori

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LA VIA DELLE SPEZIE

VICENZAMAGAZINE le rotte dei quattro viaggi realizzati da Cristoforo Colombo tra il 1492 e il 1504.

che formavano il letto di Zeus. Portato dagli Arabi in Spagna, si diffuse nel Medioevo, forte anche della sua fama di possedere virtù farmacologiche, approdando sulla nostra terra verso la fine del XIII° secolo. In Italia, le coltivazioni tradizionali raggiungono l’eccellenza, concentrandosi soprattutto in Umbria, Abruzzo, Marche, Toscana e Sardegna, regioni che vantano produzione e certificazioni di qualità riconosciute in tutto il mondo. A Città della Pieve (Perugia) una tradizionale manifestazione autunnale festeggia il culmine della stagione di questa magica pianta dal bel fiore violetto, dagli stimmi di un rosso infuocato e da un colorante dal giallo splendente. Il motivo per cui le spezie erano chiamate droghe è dovuto al fatto che il loro uso non era destinato solo al condimento, alla conservazione del cibo o per nascondere il deterioramento degli alimenti, in particolare della carne, bensì anche ai rituali magici e alle cerimonie religiose, grazie agli effetti dopanti dovuti alla presenza di alcaloidi. In ogni epoca il costo è stato talmente alto che la loro presenza sulle tavole dei signori ne sottolineava l’importanza e la ricchezza, ma incrementava anche i guadagni dei Veneziani, che per molto tempo mantennero il monopolio delle rotte con l’Asia da dove importavano questi preziosi vegetali che, oltre agli impieghi descritti, costituivano anche una sorta di moneta di scambio. La varietà degli usi delle spezie faceva parte della loro preziosità. Per esempio, la curcuma, tra le sue 90 specie, ne ha una, di colore giallo vivace, che viene chiamata “zafferano delle indie” e una sua radice, appesa al collo della ragazza, fa parte del rito della pro-

messa matrimoniale. Pochi sanno che l’olio essenziale di cannella, unito all’acqua, è ottimo per il lavaggio dei piatti e delle pentole (argomento seriamente legato al post convivio) ed è utile per combattere virus e batteri. Ricercatori israeliani dell’università di Tel Aviv hanno scoperto che quell’estratto di cannella, preparato in soluzione acquosa e miscelato all’acqua bevuta da alcune cavie, sulle quali era stata iniettata una forma aggressiva di Alzheimer, aveva di molto rallentato lo sviluppo della malattia e anche la longevità degli animali era del tutto simile a quella dei topi sani. Se molte spezie di provenienza esotica sono usate in medicina, possiamo pensare, gustandole nelle più moderne ricette, che anche a tavola stiamo “curando” un po’ la nostra salute.

L’Università del Gusto di Creazzo (Esac) ha colto lo spunto dettato dall’Associazione Pigafetta 500 per inserire nel suo programma formativo un percorso dedicato alla creazione di un prodotto turistico esperienziale teso a valorizzare Pigafetta come patrimonio storico culturale del territorio. Laboratori per l’ideazione di percorsi esperienziali, tavoli per l’ideazione del nuovo prodotto turistico legato all’immaginario del Pigafetta e laboratori di comunicazione correlati, saranno la fucìna di idee che farà rivivere l’immaginario di Pigafetta dagli spunti della sua Relazione del primo viaggio intorno al mondo.

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CELEBRAZIONI

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VICENZA E PIGAFETTA

La città si prepara a celebrare per tre anni l’anniversario del grande viaggio 1519/1522 “Il primo appuntamento si è svolto il 20 settembre 2018 , esattamente un anno prima del 500esimo anniversario della partenza della spedizione di Magellano. L’associazione “Pigafetta 500” si presenta alla città con l’intenzione di suscitare entusiasmo nei confronti del nostro concittadino, Antonio Pigafetta, uno dei 18 sopravvissuti che raccontò e scrisse tutta la spedizione di cui, senza di lui, oggi non sapremmo nulla”

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ASSOCIAZIONE PIGAFETTA 500

VENTI DI PIGAFETTA Gli appuntamenti in programma nell’ambito de “I venti del Pigafetta” sono un ciclo di incontri ideati dall’Associazione Culturale “Pigafetta 500” per promuovere la conoscenza della figura e dell’opera di Antonio Pigafetta organizzati con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Vicenza. “I venti di Pigafetta” sono un gioco di parole: si vuole richiamare fin dal titolo l’importanza del “venti” di ogni mese fino al 20 settembre 2019, quando cadrà il quinto centenario dalla partenza della Spedizione di Magellano (20 settembre 1519- 8 settembre 1522). Ma con “venti” l’Associazione “Pigafetta 500” vuole anche evocare i venti che materialmente sospinsero le caravelle spagnole nella prima avventurosa circumnavigazione del globo terrestre che vide come cronista Pigafetta. Nei primi incontri, cui parteciperanno i rappresentanti delle Istituzioni e il mondo delle associazioni culturali del vicentino, si intende gettare le basi per le celebrazioni che ricorderanno la spedizione e in particolare il ruolo di Pigafetta. E’ in fase di definizione il programma del primo anno, dedicato alle spezie – vero motore delle esplorazioni geografiche – con una alternanza di eventi e iniziative che ne sveleranno i sapori, la storia e le proprietà. Le conferenze fanno parte anche del programma Parole e Musica in Museo a Palazzo Chiercati che si concluderà a giugno 2019.

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L’ASSOCIAZIONE PIGAFETTA 500 Hanno preso il via nel 2018 le attività propedeutiche ai festeggiamenti per i 500 anni dal primo giro attorno al mondo di Antonio Pigafetta, compiuto con Ferdinando Magellano, con la costituzione dell’associazione culturale Pigafetta 500. A gestirla sarà un comitato i cui membri hanno sottoscritto a Palazzo Trissino, l’atto costitutivo. Sono Stefano Soprana, presidente, il sindaco di Vicenza Francesco Rucco ne sarà presidente onorario, e poi Valeria Cafà, vicepresidente, Romano Concato, segretario, Valter Casarotto, tesoriere. Membri del consiglio sono Otello Dalla Rosa, Luca Milani, Roberto Cuppone, Silvio Fortuna. Nei prossimi mesi il presidente riunirà il direttivo per iniziare a programmare le iniziative che ci auguriamo abbiano un sostengo da parte della città, del mondo culturale ed economico poichè si tratta di un occasione per far conoscere Vicenza e il suo patrimonio storico culturale. Vicenza si inserirà così in un circuito mondiale in cui saranno protagoniste in particolare il Sud America e la Spagna, con Siviglia. Il primo appuntamento si è svolto il 20 settembre 2018, esattamente un anno prima del 500esimo anniversario della partenza della spedizione di Magellano. Il 28 Gennaio 2019 è stata accolta a Palazzo Trissino una delegazione spagnola EVENTICULTURALI

proveniente dalla città di Siviglia. Il console onorario di Siviglia Carlos Ruiz Berdejo y Sigurtà e Enrique Roman, presidente del “Circulo Artesano” di Sanlucar de Barrameda, sono stati ricevuti dal consigliere comunale delegato ai gemellaggi Leonardo De Marzo e dall’assessore alle attività sportive Matteo Celebron. Erano presenti, inoltre, il presidente del consiglio regionale del Veneto Roberto Ciambetti e per l’associazione Pigafetta500, il presidente Stefano Soprana e Romano Concato. Sono state oggetto di discussione le iniziative che si vogliono intraprendere nelle singole realtà cittadine e le nuove iniziative da sviluppare assieme. Tra queste la proposta vicentina “Venti di Pigafetta” che ha già preso il via con un ciclo di conferenze a Palazzo Chiericati. “E’ bello incontrare persone che amano il Pigafetta, che vedono in lui un esempio positivo, tanto che a Sanlucar è intitolata a lui una piazza molto importante - sottolinea Stefano Soprana presidente dell’associazione Pigafetta500 -. I giovani di Sanlucar conoscono già bene la storia di Pigafetta, pertanto auspico che anche i giovani vicentini si sentano partecipi di questa grande storia! Siamo fieri del nostro concittadino che ha permesso all’umanità intera di conoscere, grazie al suo diario, il primo giro intorno al mondo”.

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ANTICA OSTERIA GIA’ NOTA NEL 1200 COME SPACCIO DEL VINO DI MALVASIA IMPORTATO DAI NAVIGATORI VENEZIANI, NEL 1480 IL PERONIO NE INDICA L’UBICAZIONE IN “VIA DELA MANTUSIA”

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MOSTRE/EVENTI

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BASILICA 2019-2022

Presentato il programma triennale di mostre che si svolgeranno in Basilica Palladiana

Ripartire dalla città-museo. Far riappropriare i Vicentini dell’orgoglio della propria storia a partire dalla bellezza della città e dei suoi monumenti, e poi raccontarne le eccellenze con grandi mostre dedicate al territorio. E’ partita da qui la presentazione del ciclo triennale di grandi mostre che rilanceranno la Basilica palladiana come monumento nazionale e cuore dell’identità culturale della città.

© Riccardo Contarin

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BASILICA 2019 - 2022

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icenza è unica al mondo per essere stata disegnata da un solo architetto, Andrea Palladio. Visitarla significa “vedere” il Rinascimento, immergersi nella città ideale sognata dai suoi architetti. Per di più, ha le dimensioni di un museo: il corso principale di Vicenza è lungo quanto un’ala del Louvre. La Basilica Palladiana è senza dubbio il simbolo della città, nata nel Cinquecento dall’alleanza fra un’imprenditoria colta e cosmopolita e il genio di Andrea Palladio. Il rilancio della città parte dalla Basilica, d’ora in poi aperta tutto l’anno al pari del Teatro Olimpico e degli altri musei vicentini, visitabile dai sotterranei del percorso archeologico fino alla terrazza panoramica al di sopra del secondo ordine di arcate. Nella ritrovata “casa dei vicentini” prende avvio un ambizioso programma di grandi eventi espositivi che non sono calati dall’alto sulla città, ma che partono da Vicenza e dal suo passato per raccontare storie universali; e che sono realizzati da istituzioni culturali della città, con il Comune a capofila.

La conferenza stampa

“Abbiamo chiesto al Teatro Comunale e al CISA Andrea Palladio – sottolinea il sindaco Francesco Rucco – di sviluppare un programma espositivo, lavorando con giovani talenti dai grandi musei internazionali, dal Getty Museum di Los Angeles al Museo Egizio di Torino, dalla St. Andrews University di Edimburgo a Ca’ Foscari Venezia, dalla Fondazione Cini alla Frick Collection di New York e al Victoria and Albert di Londra”. IL PROGRAMMA Il primo appuntamento è per fine 2019. In Basilica, dal 6 dicembre 2019 al 13 aprile 2020, andrà in scena, in collaborazione con l’Accademia Olimpica, “Anni Venti. Una donna moderna. Lo sguardo di Ubaldo Oppi”, mostra curata da Stefania Portinari. Dal 5 dicembre 2020 al 5 aprile 2021, sarà la volta di “Rinascimento privato”, per la curatela di Guido Beltramini, Davide Gasparotto e Xavier Salomon. Chiude il ciclo, dall’11 dicembre 2021 al 18 aprile 2022, “Tebe nel Nuovo Regno”, affidata a Christian Greco.

Paolo Caliari detto Veronese, L’Unzione di David (1555 ca.), Vienna,

Tre mostre che, negli obiettivi degli organizzatori e dei curatori, sanno coniugare il rigore scientifico alla originalità e all’attrattività. Caratteristiche che possono coinvolgere un pubblico vasto, motivandolo a scoprire la magnifica città per cui sono state concepite. E la Basilica Palladiana, “la più bella sede espositiva dell’intero Mediterraneo”, non sarà più annullata come si trattasse di un contenitore qualsiasi: l’allestimento – assicurano gli organizzatori – sarà progettato in armonia con lo spazio interno, facendone un efficace alleato della bellezza dell’esposizione. E anche durante le mostre, ai visitatori sarà concessa la visita del grande Salone, come impone il suo riconoscimento come monumento nazionale. Pendua e Nefertari. Calcare. Nuovo Regno, XIX dinastia (1292-1190 a.C.). Deir el-Medina, Torino ©Museo Egizio. EVENTICULTURALI

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MOSTRA 2019/20

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ANNIVENTI UNA DONNA MODERNA Lo sguardo di Ubaldo Oppi

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a mostra “ANNI VENTI, UNA DONNA MODERNA. Lo sguardo di Ubaldo Oppi” tratta di quel periodo nell’Europa da poco uscita dalla Prima guerra mondiale in cui le donne cominciano a conquistare un proprio ruolo e sono sempre più autonome, seduttive e moderne. È un tempo in cui i capelli si accorciano come la lunghezza delle gonne, mentre la loro influenza nella società e nella cultura si fa sempre più intensa: Chanel cambia la moda, Amelia Earhart attraversa in volo l’Atlantico, i balli di Josephine Baker incantano Parigi, Virginia Woolf scrive i suoi capolavori. Una delle correnti artistiche internazionali più affascinanti è quella del Realismo Magico, in cui la visione della realtà è immersa in un’atmosfera di meraviglia e di attesa, che in Italia è spesso declinata evocando anche memorie della classicità e del Rinascimento. Da queste suggestioni nascono intensi ritratti di donne magnifiche, che si stagliano con potente personalità di protagoniste, amate e talora perfino temute, a volte ambigue, ma sempre esaltate nella loro seducente energia.

Ubaldo Oppi, Le amiche (1924) - courtesy Galleria dello Scudo, Verona

BASILICA PALLADIANA DAL 6 DICEMBRE 2019 AL 13 APRILE 2020

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Ubaldo Oppi (Bologna 1889 - Vicenza 1942) è un protagonista assoluto di quegli anni, uno degli artisti più famosi tra l’Europa e gli Stati Uniti: le sue opere - anche dopo la vittoria del prestigioso Premio Carnegie a Pittsburgh, allora il più consistente al mondo per importo - vengono acquistate in collezioni favolose. Dalla Biennale di Venezia al Salon d’Automne di Parigi alla Mostra della Secessione nel Glaspalast di Monaco di Baviera, consegue i maggiori successi ed è stimato dai più importanti critici, è citato come riferimento notevolissimo in pubblicazioni famose e nei ritratti che crea negli anni Venti compaiono donne affascinanti. È inoltre conteso da curatori e intellettuali del calibro di Margherita Sarfatti e Ugo Ojetti, mentre assieme a lui si muovono nel panorama più avvincente dell’arte protagonisti, tra gli altri, quali Felice Casorati, Mario Sironi, Antonio Donghi, Cagnaccio di San Pietro, Achille Funi, Giuseppe Capogrossi. Questa esaltante alleanza tra modernità e classicità è preceduta da una riflessione profonda sui rinnovamenti della pittura d’oltralpe tra fine Ottocento e primi del Novecento, in particolare da suggestioni della Secessione viennese, del Simbolismo e dell’Espressionismo, in cui le donne sono raffigurate come fanciulle, muse dormienti, ninfe leggiadre o seduttrici, come dentro un sogno di fiaba.

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BASILICA 2019 - 2022 Quelle raffigurazioni pervadono le ricerche artistiche di molti protagonisti dell’arte italiana e trovano riscontro in particolare a Venezia, dove gli esiti di tali influenze fioriscono nelle mostre di giovani artisti che si tengono a Ca’ Pesaro. Là dove aveva esordito proprio Ubaldo Oppi tra 1910 e 1913, dopo avventurosi viaggi tra Vienna, la Germania, la Russia e un lungo soggiorno a Parigi. Nella Ville Lumière dove imperano divertimenti e dissolutezza, che è anche il laboratorio dell’avanguardia in cui si mescolano intelligenza e disperazione, conosce Modigliani allo sbando, ha un flirt con la modella Fernande Olivier, che lascia Picasso per fuggire con lui, viene rapito dai colori intensi e dalle pennellate fauves di Kees van Dongen, dai segni sinuosi di Matisse. E in quelle stesse esposizioni spiccano i nomi di Vittorio Zecchin, Arturo Martini, Gino Rossi, Guido Cadorin, Ugo Valeri e Mario Cavaglieri, molti dei quali profondamenti influenzati dall’impatto di Gustav Klimt, che ha anche una sala personale alla Biennale di Venezia del 1910. Se durante la guerra, quando gli artisti italiani si confrontano con la fine di un mondo e Oppi è arruolato come alpino, ferito e deportato nel campo di prigionia a Mauthausen, le donne rappresentano il mondo degli affetti familiari, il primo dopoguerra ha sete di vita: l’immagine di una donna nuova ha una diversa silhouette ma anche ambizioni moderne, in quell’Italia che ancora fatica ad affacciarsi alla modernità, in cui avanza comunque un certo ruggente progresso.

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Ubaldo Oppi, L’adriatico (1926) - Accademia Olimpica, Vicenza

La mostra, curata da Stefania Portinari, docente di storia dell’arte contemporanea all’Università Ca’ Foscari di Venezia e affiancata da un comitato scientifico e un gruppo di ricerca composto fra gli studiosi più noti che si sono occupati dell’argomento, ha anche un altro legame d’affezione con Vicenza: l’ultima mostra dedicata a Oppi risale infatti al 1969, a quella organizzata dallo storico dell’arte Licisco Magagnato al Museo Chiericati. Quella in programma però non sarà un’esposizione nostalgica, quanto un grande momento di bellezza, in cui compariranno nomi di artisti famosissimi, di cui verrà prossimamente svelata notizia, e sarà una mostra dedicata col cuore rivolto alle donne perché abiti bellissimi, gioielli, sogni di esotismo, desideri di viaggi e amori pervadono l’arte di quegli anni in cui, come scrive la prima critica d’arte donna, la potente Margherita Sarfatti, “la pittura appare tra tutte l’arte magica per eccellenza” e lo scrittore Massimo Bontempelli, come evocasse le ragazze di oggi intente a interagire col loro telefonino, racconta i «primi piani delle donne distratte nei caffè».

Ubaldo Oppi, Le amazzoni (1924) - Collezione Merlini

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MOSTRE

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LE INCISIONI DI DURER

In mostra a Palazzo Sturm di Bassano la collezione integrale Remondini Dal 20.4 al 30.9.2019 Palazzo Sturm, Bassano del Grappa

La Città di Bassano del Grappa presenta l’evento più importante della programmazione artistica 2019, offrendo al pubblico, per la prima volta in modo integrale, il tesoro grafico del celebre Albrecht Dürer, massimo esponente del Rinascimento tedesco e insuperato maestro dell’incisione. Sede d’eccellenza è Palazzo Sturm, che si presenta in tutto il suo splendore a conclusione del delicato intervento di restauro grazie al quale sono state restituite tutte le settanta sale nei sette labirintici piani di questo gioiello di architettura.

Interno Palazzo Sturm

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BASSANO DAL 20.4 al

30.9.2019

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lbrecht Dürer. La collezione Remondini propone, per la prima volta in modo integrale, il tesoro grafico di Albrecht Dürer (1471-1528), patrimonio delle raccolte museali bassanesi. Un corpus di 214 incisioni che, per ampiezza e qualità, è classificato, insieme a quello conservato all’Albertina di Vienna, tra i più importanti e completi al mondo. Albrecht Dürer, considerato il massimo esponente del Rinascimento tedesco, iniziò la sua carriera come incisore di legni (xilografie) nel 1496. Dal 1512 e per i successivi sette anni lavorò per l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, per il quale realizzò L’Arco di Trionfo e La processione trionfale, quest’ultimo presente nella collezione di Bassano del Grappa. Molto probabilmente, nel primo dei suoi due viaggi in Italia (nota: alcuni sostengono che vi sia stato un solo viaggio, il secondo), datato 1494, passò per la città sul Brenta: lo si intuisce nei paesaggi e nelle vedute di sfondo di opere come La Grande Fortuna. I temi trattati da Dürer sono mitologici, religiosi, popolari, naturalistici, ritratti, paesaggi e nelle collezioni bassanesi sono incluse le serie complete dell’Apocalisse, della Grande Passione, della Piccola Passione e della Vita di Maria. Per l’imperatore Massimiliano I realizzò anche una delle sue incisioni più popolari, il celebre “Rinoceronte” che è per questa importante mostra l’immagine guida e il simbolo assoluto. Nel maggio del 1515 un rinoceronte indiano, allora animale sconosciuto in Europa, giunse a Lisbona come dono al re del Portogallo Manuele I. Destando grande curiosità agli occhi di tutti, l’anno successivo il re decise di inviarlo a Papa Leone X a Roma via mare. Purtroppo la nave affondò davanti alle coste liguri, e il rinoceronte, trattenuto a bordo da forti catene, non riuscì a salvarsi. Albrecht Dürer non vide mai questo magnifico esemplare dal vero ma ne lesse una descrizione contenuta in una lettera inviata da Lisbona a Norimberga e ne trasse così una xilografia. Una xilografia che oggi è patrimonio delle Collezioni Remondini. La collezione Remondini rimarrà aperta al pubblico fino al 30 settembre 2019, è curata da Chiara Casarin, direttore dei Musei Civici Bassanesi, e realizzata in collaborazione con Roberto Dalle Nogare. L’esposizione è accompagnata da un catalogo, edito da Marsilio, con testi di Chiara Casarin, Bernard Aikema, Giovanni Maria Fara, Elena Filippi e Andrea Polati. Il volume è la prima pubblicazione dedicata alla raccolta completa delle incisioni di Albrecht Dürer nelle Collezioni Remondini. Inoltre, la visita è accompagnata da un video di Oscar Parasiego in cui si rivive l’atelier di Dürer e si illustra la tecnica dell’incisione. ORARI Tutti i giorni, dalle 10:00 alle 19:00; chiuso il martedì TARIFFA Intero 7€ Ridotto 5€ CONTATTI Tel. +39 0424 519940 info@museibassano.it

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ECCELLENZE VENETE

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CONSORZIO PROSCIUTTO VENETO DOP

CONSORZIO DI TUTELA DEL PROSCIUTTO VENETO DOP PIAZZA VITTORIO EMANUELE II, 3 35044 MONTAGNANA (PD)

Tel. e Fax 0429/82964 info@prosciuttoveneto.it - www.prosciuttoveneto.it Descrizione del prodotto Il Prosciutto Veneto Berico-Euganeo DOP, ovvero Prosciutto Veneto DOP è un prodotto di salumeria, crudo e stagionato, ottenuto esclusivamente dalla lavorazione di cosce fresche di suini, in purezza o derivati, dalle razze tradizionali di base Large White, Landrace e Duroc italiane ascrivibili al suino pesante italiano. Territorio di origine La zona di produzione del Prosciutto Veneto DOP è geograficamente limitata ai territori di 15 comuni delle province di Padova, Vicenza e Verona, ricompresi nell’area padana e pedemontana dei Colli Berici e dei Colli Euganei. In tale territorio devono essere ubicati i prosciuttifici e i laboratori di affettamento e confezionamento nei quali si svolgono tutte le fasi di trasformazione della materia prima. La presenza dei due gruppi collinari condiziona l’andamento dei venti, la piovosità e la temperatura del luogo, e proprio l’equilibrio climatico risulta ottimale per una buona stagionatura. La storia La trasformazione e i metodi di conservazione delle carni suine in Veneto erano già

conosciuti e diffusi in epoca preromana: a quei tempi risalgono infatti carcasse suine a cui mancavano gli arti posteriori, segno evidente dell’utilizzo delle cosce. La parola prosciutto deriva dal termine latino perexuctus o perxuctus, che significa prosciugato, proprio in riferimento alla sua tecnica di lavorazione. La preparazione del prosciutto era pratica consueta dal Cinquecento in poi, almeno nel contesto delle ville rustiche padronali, così come testimoniato da molti ricettari e trattati di agricoltura di quel periodo. Nel Seicento si menziona un prosciutto veneto detto “di Padova”, e non è un caso isolato. Presso le famiglie contadine meno abbienti si diffuse, poi, la consuetudine di allevare il maiale vendendone le cosce ai negozianti. In questo modo le parti rimanenti, opportunamente acconciate a salsiccia, cotechino, salame, soprèssa, pancetta e capocollo, venivano preparate e conservate per un consumo centellinato nell’intero arco dell’anno. Da questa tradizione deriva il detto “maiale, musina (salvadanaio, salvezza) dei poveri”. Solamente a partire da metà ’800 ebbe inizio la commercializzazione delle cosce fresche. EVENTICULTURALI

Aspetto e sapore Il Prosciutto Veneto DOP, a stagionatura ultimata, si presenta di forma naturale semipressata, privo della parte distale (piedino). Il peso varia normalmente da 8 ad 11 kg, fatta eccezione per i prosciutti disossati il cui peso minimo non può essere inferiore a 7 kg. È tipica la legatura a mezzo corda passata con un foro praticato nella parte superiore del gambo. Al taglio, la fetta si presenta di colore rosa tendente al rosso, con le parti grasse perfettamente bianche; l’aroma è delicato, dolce e fragrante; il sapore elegante vivo e pieno, un equilibrio perfetto di dolcezza e profumo. È il risultato che scaturisce dalla sapiente scelta dei tempi di salatura, del peso del prosciutto, della durata e condizioni di stagionatura. Produzione I suini utilizzati per la produzione devono essere nati, allevati e macellati nel territorio delle regioni Veneto, Lombardia, Emilia- Romagna, Lazio e Umbria e alimentati secondo uno specifico regime che ne determina le peculiari caratteristiche organolettiche e morfologiche. Le cosce fresche destinate alla produzione


PRODOTTI ENOGASTRONOMICI

del Prosciutto Veneto DOP hanno un peso di almeno 10 kg e non devono subire alcun trattamento di conservazione, tranne la refrigerazione; il freddo rassoda la carne che può cosi essere più facilmente rifilata. Con la rifilatura si asportano parti di grasso, di frazione muscolare e di cotenna, conferendo alla coscia la caratteristica forma; si agevola anche la penetrazione del sale nella successiva operazione di salagione. Le cosce sono massaggiate con procedimenti manuali o meccanici, cosparse di sale marino e riposte orizzontalmente su un piano, in una cella idonea ad una temperatura tra 1 e 4 °C e una umidità di circa 75-95%. Il tempo di salagione corrispondente a circa un giorno per ogni kg del suo peso. Verso la metà del periodo indicato si opera il ripasso, operazione che consiste nell’asportare il sale rimasto sulla superficie esterna della coscia che viene rimassaggiata e ricoperta con ulteriore sale. All’operazione di semipressatura, che consiste nell’esercitare una pressione uniforme sulla massa muscolare che finirà per assumere la caratteristica forma, segue un ulteriore periodo di riposo per circa 75-100 giorni.

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La coscia viene quindi lavata e trasferita nelle celle di asciugamento ove rimane per circa sette giorni. Inizia poi la fase di stagionatura che prevede l’applicazione, mediante un massaggio manuale, di un impasto composto da sugna o strutto finemente tritato, farina di cereali. Segue infine la cosiddetta “puntatura”, operazione eseguita con un ago di osso di cavallo che, per la sua porosità, ha la proprietà di trattenere e trasferire gli aromi rilevati all’interno della massa muscolare che viene sondata con una rapida introduzione in più punti. Il periodo minimo di stagionatura è di 12 mesi, portato a 18 e oltre da molti Produttori, solo dopo questo tempo e gli appositi accertamenti da parte dell’Ente Certificatore può essere apposto il contrassegno che identifica il Prosciutto Veneto Berico- Euganeo DOP. Etichettatura Il prosciutto Veneto DOP è identificato dal contrassegno apposto sulla cotenna, marchiato a fuoco, che raffigura il leone di San Marco sovrastante la parola “Veneto”. Su tale contrassegno figura anche una sigla che identifica il produttore. EVENTICULTURALI

Stoccaggio e commercializzazione Il prosciutto Veneto DOP viene commercializzato intero, con osso o disossato, in tranci di forma e peso variabili; in questo caso il contrassegno deve essere apposto in modo visibile su ogni singolo pezzo. La versatilità e la velocità di utilizzo anche in cucina è oggi valorizzata dalle vaschette in formato take away che si cominciano a trovare nei banchi frigo di negozi e gastronomie. Il prosciutto deve essere posto in commercio con la marchiatura dell’allevamento di provenienza ed idoneità della coscia; marchiatura del macello autorizzato; sigillo metallico con mese e anno di salatura; marchio a fuoco del Consorzio con indicazione dello stabilimento di produzione; marchio del produttore. In cucina e a tavola Il prodotto disossato e confezionato deve essere conservato in frigorifero a una temperatura di circa 4 °C. Le sue caratteristiche organolettiche, il suo contenuto di sali, grassi e di proteine lo rendono adatto a qualsiasi dieta alimentare. Per il suo aroma delicato e personale, per la sua morbidezza, il Prosciutto Veneto DOP è una base ideale per preparare antipasti, primi e secondi


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VILLA FORNI CERATO Il rapporto della villa con la natura Un piccolo capolavoro di Palladio

Meno vincolata dal sito o da preesistenze di quanto non fossero i palazzi nei centri urbani, la villa costituiva per Palladio un vero laboratorio di sperimentazione. Numericamente i progetti di villa costituiscono la gran parte della sua produzione, e ad essi deve larga parte della sua fama. Ma l’invenzione palladiana si comprende ancora meglio se inseriamo il suo immenso contributo creativo e intellettuale nella storia di lunga durata delle residenze di campagna nel Veneto.

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VILLA FORNI CERATO

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La villa veneta si affermò grazie ad una richiesta crescente di prodotti agricoli; alla disponibilità di terra adatta alla coltivazione intensiva di grano e vite; alla domanda e ai prezzi contenuti della seta grezza, prodotta principalmente nei possedimenti; alle condizioni di pace e di relativa sicurezza rurale, garantite dallo Stato veneziano; alla presenza di proprietari terrieri dal fiuto imprenditoriale, pronti a controllare il rendimento e il lavoro dei loro fittavoli e a investire le proprie risorse ed energie per incrementare la produzione; al buon senso di questi proprietari, che in generale non forzarono lo sfruttamento dei fittavoli fino al punto di provocare ribellioni o vendette; e soprattutto ad una cultura che vedeva la vita di campagna come meno logorante e più salutare di quella di città, in grado di contribuire maggiormente alla pace dell’anima e alle attività del pensiero. Questo naturalmente era l’incoraggiante luogo comune riaffermato da Palladio e da molti altri; in realtà i proprietari di villa per la maggior parte non erano studiosi o filosofi – come l’amico e committente di Palladio, Daniele Barbaro – ma semplicemente persone desiderose di incrementare le proprie entrate facendo scavare canali e piantumare vitigni, amanti della caccia della pesca e del mangiar bene, a cui piaceva intrattenere amici e mecenati e primeggiare nel loro piccolo mondo, senza essere troppo strettamente osservati dai vicini e dai nemici come avveniva in città. Ma neanche tutto questo avrebbe portato alla creazione della villa veneta se non ci fosse stato da parte loro un profondo apprezzamento dell’architettura o, in altre parole, la consapevolezza di un prestigio aggiunto, cioè il piacere e l’interesse che una casa progettata in maniera razionale e artistica avrebbe offerto al suo proprietario. In questo la figura di Palladio, e dopo

la sua morte, il suo esempio, fu di fondamentale importanza. È Andrea Palladio ad aver inventato la villa moderna, e con essa un nuovo modo di vivere in campagna. Molto più dei suoi predecessori, Palladio ha saputo mettere in accordo esigenze funzionali, strutturali, estetiche, per creare case a un tempo comode e belle. Per la sua architettura domestica, la villa costituiva un vero laboratorio, dove egli era meno vincolato dal sito o da preesistenze di quanto non fosse nei centri urbani. Numericamente, i progetti di villa costituiscono la gran parte della sua produzione, e ad essi deve larga parte della sua fama. Ma l’invenzione palladiana si comprende ancora meglio se inseriamo il suo contributo nella storia di lunga durata delle residenze di campagna nel Veneto. Palladio riuscì nell’impresa di dare forma concreta alla visione antica del vivere a contatto con la natura, un programma culturale già presente nella mente di Petrarca e degli umanisti veneti suoi successori, fino al grande Pietro Bembo. Ma per tutti costoro la villa era un sogno letterario, che associavano alle case di tipo tradizionale in cui abitavano, ed è solo con Palladio che la visione antica della vita ideale in campagna viene pienamente coniugata con le forme antiche di pronao, di colonnati, di sale a volta e lunghe scalinate che collegano il piano nobile con il giardino antistante, o la vera da pozzo. Un altro aspetto del suo straordinario successo è dovuto alla capacità di adattare il progetto alle preesistenze, come a Villa Forni, all’interno di una logica produttiva che mirava all’economia e al riuso, aspetto che si adeguava perfettamente alle esigenze dei committenti che desideravano ricollocare il manufatto al centro del fondo agricolo o recuperare le strutture delle fondamenta.

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LE VILLE DI ANDREA PALLADIO 1. Villa Trissino (1534) - partecipazione 2. Villa Godi Malinverni (1537) 3. Villa Piovene Porti Godi (1539) 4. Villa Valmarana Bressan (1541) 5. Villa Gazzotti Curti (1542) 6. Villa Thiene (1542) - incompiuta 7. Villa Pisani Bonetti (1542) 8. Villa Saraceno (1543) 9. Villa Pojana (1546) 10. Villa Caldogno (1545) 11. Villa Contarini (1546) 12. Villa Angarano (1548) 13. Villa Chiericati (1550) 14. Villa Cornaro (1552) 15. Villa Pisani (1552) 16. Villa Badoer (1554) 17. Villa Barbaro (1554) 18. Villa Porto Pedrotti (1554) - incerta 19. Villa Foscari (1554) 20. Villa Emo (1556) 21. Villa Trissino Rossi (1558) - incompiuta 22. Villa Sarego a Miega (1562) 23. Villa Valmarana Zen (1563) 24. Villa Forni Cerato (1565) 25. Villa Sarego a S. Sofia (1565) 26. Villa Capra (1566) 27. Villa Porto (1570) - incompiuta GUIDA ALLE VILLE DI ANDREA PALLADIO

PALLADIO DISCOVER

© Ruggero Acqua

LA VILLA VENETA

PATRIMONIO giunta regionale – 9^ legislatura

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ALLEGATO A Dgr n. 418 del 31/3/2015

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LA CARRIERA E LE OPERE DI ANDREA PALLADIO

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TESORI PALLADIANI

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©Stefano Maruzzo

VILLA FORNI CERATO (1565 - 1570)

©Stefano Maruzzo

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Villa Forni Cerato è una villa veneta situata a Montecchio Precalcino, in provincia di Vicenza, la cui progettazione è attribuita all’architetto Andrea Palladio nel 1565 circa. Villa Forni Cerato, come già casa Cogollo, rappresenta un caso esemplare di intervento palladiano su un edificio preesistente, trasformato pur con mezzi modesti in un significativo episodio monumentale. Come l’abitazione del notaio Cogollo, anche questa villa è l’unica progettata da Palladio per un proprietario certo ricco, ma non nobile: Girolamo Forni, agiato mercante di legnami (fornitore di numerosi cantieri palladiani, a cominciare da quello di palazzo Chiericati), amico di artisti come il Vittoria e pittore egli stesso, collezionista di antichità e membro dell’Accademia Olimpica di Vicenza. È possibile che l’asciutto minimalismo di questo calibrato edificio sia in armonia con lo status sociale borghese del proprietario.

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Proprio l’astratto linguaggio di villa Forni ha ingenerato dubbi sull’effettiva paternità palladiana, così come la planimetria estremamente semplice, priva delle consuete relazioni fra le dimensioni delle stanze, o la presenza di qualche disarmonia proporzionale fra le parti dell’edificio. In realtà la villa è l’esito della ristrutturazione della “casa vecchia” preesistente, e caso mai il punto di vista va rovesciato, cogliendo l’intelligenza palladiana nel trasformare vincoli condizionanti in opportunità espressive. Ne fa testo il chiaro disegno della serliana, con le colonne ricondotte a nitidi pilastri stereometrici in funzione della limitata larghezza della loggia (probabilmente dimensionata sul salone preesistente) o il fregio ridotto a una semplice fascia sotto il cornicione. Il prospetto della loggia, del resto, è concettualmente identico a quello di casa Cogollo, collegando una volta di più questi due edifici singolari.


VILLA FORNI CERATO

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PROSSIMO RESATURO DI VILLA FORNI CERATO ARTICOLO DEL 4/6/2018 Montecchio Precalcino, Vicenza E’ una storia a lieto fine quella di villa Forni Cerato, opera del celeberrimo architetto Andrea Palladio, tra la lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO dal 1996. E’ una storia nata 453 anni fa, quando il ricco mercante di legname Girolamo della Grana, detto dai “Forni”, per la sua origine di Forni, Valdastico, già fornitore per numerosi cantieri palladiani, decide di costruire un’abitazione che rappresenti il proprio status sociale. Il Forni non è solo un ricco imprenditore ma è anche un appassionato d’arte, collezionista di antichità e membro dell’Accademia Olimpica. Risulta inoltre essere un bravo pittore ritrattista lui stesso, con molti amici artisti, e non è escluso fosse anche amico dello stesso Andrea Palladio, colui che, appunto, prenderà a carico il progetto della sua bella dimora di Montecchio Precalcino. Le vicende della villa si protraggono poi nei secoli, con il succedersi di varie proprietà, fino a cadere, intorno agli anni ‘70 del secolo scorso, in completo abbandono, segnando così un misero capitolo per questa splendida struttura. Nemmeno l’inserimento nel patrimonio UNESCO negli anni ‘90 basta a salvarla da un’imbarazzante stato di abbandono. Ma fortunatamente, sarà proprio un imprenditore, com’è stato il Girolamo Forni, vicentino, appassionato di storia e di arte, a strapparla dal suo triste destino; «Volevo fare qualcosa di buono per la mia terra vicentina, ed eccomi qui entusiasta di una avventura che deve ancora cominciare». Esordisce così dopo essersela aggiudicata all’asta, il nuovo proprietario, Ivo Boscardin, 65 anni, nato a Marano e residente a Creazzo, studi classici e una laurea in Fisica, è un manager esperto di sistemi di sicurezza che s’è fatto da solo. Una brillante storia la sua, di imprenditore di successo, amante delle sue origini e della sua terra. Sabato 2 Giugno 2018, per la prima volta dopo decenni, ha voluto aprire la villa al pubblico, e si è recato in visita accompagnato da alcuni studiosi e dal sindaco di Montecchio Precalcino, Fabrizio Parisotto, che non nascondeva l’entusiasmo per un avvenimento così importante per la comunità Montecchiese. L’appuntamento poi si è spostato nella sala consiliare del comune dove si è tenuto un importante incontro con la cittadinanza per parlare della storia, del restauro e della rinascita di villa Forni Cerato. Con Ivo Boscardin, molti gli ospiti illustri; Fabrizio Magani, sovrintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle provincie di Verona, Rovigo e Vicenza, Guido Beltramini, direttore del Cisa, il Centro Internazionale Studi di Architettura Andrea Palladio, Andrea Savio, docente di Fonti e Metodi per la storia moderna all’università di Padova, e Diego Peruzzo, architetto e direttore responsabile dei lavori di recupero della villa. Il sindaco alla fine, non si è risparmiato nel ringraziare Boscardin a nome di tutta la comunità di Montecchio e di tutti gli amanti dell’arte e della cultura. stefano©maruzzo

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E a questo obiettivo rispon- e dal passato noi zionale di tassazione per i redditi derivanti il opportunità rafforzamento delle competenze settore fissare incontro». lizzate per il cosiddetto Patentnel Box, che hadelle tecnoloPrimo,un semplificare la vita professionale dei de anche un’altra caratteristica dello Stua questa evoluzione» da brevetti ed opere dell’ingegno. abbiamo colto gie le previste dal Piano nazionale impresa 4.0;opè il caso anche Primo, semplificare la a vita professionale deirisponde introdotto a partire dal 2015 un regime clienti, dunque. E questo anche dio Parise: obiettivo grazie alla partnership instaurata opportunità legate STUDIO PARISE Fiscale, che si sostanzia in Definizione Agevolata clienti, dunque. E a questo obiettivo rispondi tassazione per i redditi derivanti un’altra caratteristica dello Studio Parise: grazie alla lo della Pacezionale con uno studio di consulenza del lavoro, Via dell’industria 10 de anche un’altra caratteristica dello Stu-Parise a questa evoluzione» da brevetti ed opere anche come Rottamazione staff con guidato dalstudio dott. può essere un 2018 (conosciuta 36040dell’ingegno. - Torri di Quartesolo (VI) Ter) e Saldo partnership instaurata uno di consulenTel. 0444 546176 dio Parise: grazie alla partnership instaurata interlocutore anche per quanto ri- e Stralcio delle cartelle sospese, per agevolare i contribuenti za del lavoro, lo staff guidatounico dal dott. Parise può STUDIO PARISE info@studioparise.com guarda la con uno studio di consulenza delgestione lavoro, delle lo paghe. 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re) filiali in altri Paesi, partendo dalla pianificazione dell’operazione, alla realizzazione e messa in pratica della stessa, fino alla gestione e controllo dell’operatività della filiale estera. Tra i temi ai quali viene dedicata una particolare attenzione ci sono i benefici derivanti da alcuni provvedimenti intrapresi più o meno recentemente dal

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IL LAGO DI CATERINA La suggestiva malinconia del Lago di Fimon Fotografie di Caterina Soprana

“C’era una volta, del resto, se osservato nella sua forma letterale, contiene anche l’idea di un qualcosa che non c’è più, qualcosa che si è perso, ma che rimane malinconicamente sospeso nel limbo di ricordi sbiaditi e riaffioranti qua e là. Cerco dettagli di una storia che sopravvive in vecchie memorie, ma quello che il lago mi consegna sono frammenti di vita già racchiusi in me, che scivolano sul fondo e riemergono in un albero nudo o in una barca stanca adagiata sulla riva.”

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IL LAGO DI CATERINA

VICENZAMAGAZINE C’ERA UNA VOLTA UN LAGO Ci sono luoghi dove ci si sente a casa, luoghi che sprigionano un’immediata sintonia con il proprio essere e che, nell’accoglierti, si rivelano. Il Lago di Fimon, più o meno sconosciuto fuori dalle porte di Vicenza, è brulicante di ricordi preziosi per tanti vicentini che a quello specchio d’acqua si sentono legati. Vi faccio visita da sempre, l’ho visto mutare volto nel corso del tempo, anche se la sua anima è sempre la stessa. Ho iniziato a fotografarlo circa tre anni fa, scoprendone piccole variazioni, scavando sempre più a fondo per cercarne l’essenza e lasciare affiorare le visioni che mi offriva… fino a scoprire che in quello che vedevo scorgevo la mia immagine riflessa. C’era una volta è un incipit da fiaba, che mutuo con l’intento di suggerire una realtà non necessariamente conforme a quella che si vede al primo sguardo. Invita ad attivare i sensi e a cercare un accordo con quello che appare agli occhi e si lascia trasformare, non solo dalla luce… ma dalla mente e dal cuore. Lo scelgo perché l’oggettività vi ha poca voce, e mi sento libera di portare il lago dentro me, di viverlo in armonia con il mio stato d’animo, fino a ritrarre qualcosa che perde i contorni e diventa illusione, non più “reale”, secondo quanto potrebbero cogliere gli occhi di un qualsiasi visitatore, ma “vera” nella mia visione. Così vedo comporsi un’immagine che già vive nella mente, nutrendosi del mistero e delle emozioni che la natura porge ai miei occhi. Vi trovo, limpida, la mia inclinazione al sogno e all’illusione, ma affiora anche quel richiamo verso il basso che preme sul cuore, rivelandone silenziosamente la parte malinconica, un lato un po’ più oscuro, che pure mi appartiene. C’era una volta, del resto, se osservato nella sua forma letterale, contiene anche l’idea di un qualcosa che non c’è più, qualcosa che si è perso, ma che rimane malinconicamente sospeso nel limbo di ricordi sbiaditi e riaffioranti qua e là. Cerco dettagli di una storia che sopravvive in vecchie memorie, ma quello che il lago mi consegna sono frammenti di vita già racchiusi in me, che scivolano sul fondo e riemergono in un albero nudo o in una barca stanca adagiata sulla riva. Un poeta che amo, S.T. Coleridge, diceva che i suoi occhi “creavano le immagini quando erano chiusi”. Io guardo questo lago in modo simile… Non tanto “chiudendo gli occhi”, ma aprendoli di più, per afferrare l’essenza del suo essere indefinito, dove una foglia morta partecipa della medesima bellezza di un fiore in embrione per la semplice ragione che entrambe le forze fanno parte della sua natura, come sono parte della mia. Caterina Soprana EVENTICULTURALI

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Chi sono. Vicentina di nascita, dove vivo da sempre, copywriter di professione, fotografa per (immensa) passione. La mia formazione è letteraria, transita per un percorso di ricerca, che sfocia in un libro sul ‘700 vicentino edito dall’Accademia Olimpica, e si consolida nella mia attività di copywriter, affiancata per anni alla collaborazione giornalistica con una rivista del Gruppo di “Il Sole24Ore”. Mi riservo però una “zona franca”, dove le parole viaggiano libere e si compongono in fiabe, o nelle poesie che amo scrivere quando il tempo me lo consente. È fra i confini di questa zona libera che, qualche anno fa, scopro gli “spazi aperti” della fotografia. Un mondo nuovo, che sento immediatamente in sintonia con quello della scrittura poetica che già mi appartiene, e che apre una breccia nel mio io sommerso, flirtando con la mia innata inclinazione al sogno e al voler vedere le cose a modo mio, in una sorta di viaggio continuo per ritrovare in quello che vedo quello che sento, e che sono. Una passione coltivata e consolidata nel tempo, che mi porta a sempre nuovi approfondimenti. Caterina Soprana 49



La scelta dei nostri Ristoranti: Oliver, il Fine Dining Restaurant caratterizzato da un’atmosfera romantica. Wine Room, attraverso numerose etichette di vini e distillati selezionati dal nostro sommelier. Steak & Grill House, carni locali e internazionali e pizza. Bubbles Lounge Bar per aperitivi, cocktails e dopo cena. White Cafè per una dolce pausa mattutina con pasticceria e pralineria di nostra produzione.

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RADICI VENETE

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CAMMINIVENETI

Sulle orme del Fogazzaro per conoscere la bellezza e la cultura del territorio

Cammini Veneti ambisce a creare percorsi che abbiano una forte matrice culturale e che colleghino luoghi significativi nella vita di personaggi decisivi per la nostra cultura e particolarmente attenti all’ambiente e al paesaggio. Crediamo che il riappropriarsi delle proprie radici consenta di acquisire un maggior equilibrio, quando ci si allontana dal proprio microcosmo quotidiano, per scoprire “altro”.

L’associazione Cammini Veneti, è stata costituita dalla volontà di alcuni amici, appassionati di cammini lunghi, con lo scopo di invitare le persone, a percorrere a piedi itinerari lunghi nelle aree rurali e collinari nel Vicentino e Veneto, per sperimentare un turismo lento, che unisce cultura e natura, in cui la riscoperta della propria identità va di pari passo con il piacere della condivisione Informazioni e iscrizioni info@camminiveneti.it www.camminiveneti.it Associazione Cammini Veneti ASD Via IV Novembre 100B 36035 Marano Vicentino

©Stefano Maruzzo

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CAMMINI VENETI

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IL CAMMINO LUNGO Il così definito “cammino lungo” si caratterizza come percorso di alcune decine di chilometri che comporta per un camminatore medio il pernottamento fuori casa, per due o tre notti di seguito. Ad ogni modo la spinta a creare un qualunque cammino è quella di far conoscere l’anima del territorio e promuovere un turismo lento, arricchente e rispettoso per i luoghi che si esplorano. La nostra preferenza va alle zone rurali e collinari perché in montagna esiste già un reticolo densissimo di sentieri e percorsi per ogni esigenza. Ci siamo concentrati su aree preservate dal processo di antropizzazione selvaggia degli ultimi decenni: corridoi verdi lungo i corsi d’acqua, zone di campagna e vaste aree collinari e di montagna. In questi contesti non si può non restare affascinati dalla loro bellezza e armonia. Diviene pertanto più facile e spontaneo reagire a nuove violenze che rischino di distruggere tali zone. Cammini Veneti ambisce a creare percorsi che abbiano una forte matrice culturale e che colleghino luoghi significativi nella vita di personaggi decisivi per la nostra cultura e particolarmente attenti all’ambiente e al paesaggio. Crediamo che il riappropriarsi delle proprie radici consenta di acquisire un maggior equilibrio, quando ci si allontana dal proprio microcosmo quotidiano, per scoprire “altro”. Gli alberi che hanno poche radici cadono facilmente, come si è visto a fine ottobre sulle nostre montagne; per le persone non è così diverso. L’antropizzazione dei luoghi, però, non è sempre negativa. Si pensi alle ville venete, a certi manufatti rurali e ai terrazzamenti che abbelliscono il territorio. Dobbiamo esserne gelosi come di un lago, di un fiume, di una foresta.

IL CAMMINO FOGAZZARO- ROI Il primo cammino che abbiamo creato è il Cammino Fogazzaro – Roi (CFR), 80 km in quattro tappe, da Montegalda fino a Tonezza, collega 16 Comuni e una serie di luoghi legati allo scrittore Antonio Fogazzaro e al suo pronipote, il marchese Giuseppe Roi, mecenate e vero diplomatico della nostra cultura. Peccato per l’abbazia di Praglia, cara al Fogazzaro, esclusa per ora dal percorso, in assenza di una viabilità pedonale facile e sicura. Il CFR è frutto di un grande sforzo collettivo, senza profitto, nato da una volontà di condividere una opportunità con altri. Consigliamo, a chi desidera percorrerlo a piedi, di leggersi bene i testi pubblicati sul sito https://www.camminiveneti.it/it/, scaricarsi la APP e dotarsi della guida cartacea. Inoltre, a cammino avviato, suggeriamo di dormire fuori senza spezzare il percorso rientrando a casa, di rallentare, di guardarsi bene attorno per non lasciarsi sfuggire angoli sorprendenti e, camminando, di stare un po’ in silenzio. Lo abbiamo inaugurato nel 2014 e dall’ora, Il CFR è sempre più conosciuto e frequentato.

TAPPE BREVI PER TUTTI Siamo una bella squadra di amici, con nuovi associati in arrivo. In questo periodo, stimoliamo enti pubblici territoriali e microattività economiche dislocate lungo il CFR a far rete e ad attivare marketing territoriale, affinchè le persone che lo percorrono, possano trovare punti di appoggio per le loro necessità e nello stesso tempo, creare un indotto economico per le attività del territorio. Un gruppo di volontari dell’Associazione, da qualche mese propone delle uscite di conoscenza del CFR. Invece che una tappa lunga, facciamo dei tratti brevi di 10/15 km, ma che diventano una vera “caccia alle bellezze e curiosità” dei luoghi che attraversati. L’appuntamento oramai fisso è sempre PER LA TERZA DOMENICA DEL MESE, CALENDARIO TAPPE 17/03/2019, cammineremo da Caldogno a Marano Vicentino . Sulle orme del Fogazzaro, andremo a conoscere Antonio Fioretti, il papà del Mais Marano. 14/04/2019 (anticipiamo alle secondo domenica perché la terza è Pasqua) Marano Vicentino- Villa Rossi Santorso e il Borgo Antico di Piovene Rocchette 19/05/2019 da Piovene Rocchette a Velo D’astico , lungo la vecchia strada del Trenino e proseguimento fino a Barcarola lungo il sentiero della Pria 16/06/2019 Barcarola – Tonezza del Cimone 21/07/2019 Tonezza del Cimone, partendo dal Villino dei Faggi , lungo il percorso Fogazzariano, con tappe di conoscenza dei luoghi, così magistralmente descritti dal Fogazzaro nel suo libro Piccolo Mondo Moderno. Alla fine della camminata, ci sarà una conferenza con tema il Fogazzaro e il VIllino dei Faggi. ---------------------------------------------------------------------------------------------Chi fosse interessato, può trovare i nostri eventi sulla pagina face book dei Cammini Veneti. Il nostro è tutto lavoro di volontari che hanno impiegato le proprie forze ed economie nella realizzazione del Cammino e continuamente si spendono per la sua manutenzione. Un problema non secondario è rappresentato dalla vandalizzazione della segnaletica., che comporta un continuo monitoraggio del territorio con relativi costi di manutenzione e di sostituzione segnaletica. Un aiuto prezioso arriva da persone appassionate che hanno collaborato con noi, tra cui vi sono efficienti ed entusiasti funzionari, amministratori e volontari. In un prossimo futuro ci piacerebbe realizzare un nuovo cammino dedicato a Mario Rigoni Stern, da Vicenza fino ad Asiago., per poi collegarsi a Tonezza con il CFR, così da formare un anello, con lo stesso punto di partenza e di arrivo. A questo proposito , cerchiamo finanziamenti e sponsor per creare un percorso sicuro e di buona qualità. Buoni passi a tutti.

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©Paola Franco Vigneti di Costozza - foto di Paola Franco

Pendici dei berici a Costozza - foto di Paola Franco

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©Paola Franco


CAMMINI VENETI

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Parte della 2^ tappa

Sule orme del Fogazzaro per conoscere il territorio e le persone illustri che hanno fatto la storia di questo tratto.

Da Caldogno a MaranoVicentino

Ore 8:45 Punto di partenza CALDOGNO via isonzo Posteggio in fianco al Capitello (c’è un posteggio di una rivendita auto chiusa di domenica)

©Susanna La Lampa Risorgive - Foto di Susanna La Lampa

©Stefano Maruzzo Villa Ghellini a Villaverla

Villa Ghellini è una villa veneta sita a Villaverla, in provincia di Vicenza. Rappresenta il capolavoro di Antonio Pizzocaro. L’opera risulta incompiuta, in particolare nell’ala settentrionale, perché i lavori si interruppero nel 1679 a causa della morte dell’architetto e dei problemi finanziari della famiglia

che l’aveva commissionata. La facciata principale del palazzo è interna ad un cortile a cui si accede dall’ingresso occidentale attraverso un’ampia arcata. Di Pizzocaro anche la Chiesa di San Gaetano che si può ammirare lungo il percorso a Novoledo di Villaverla

Lasciamo il Bacchiglione e iniziamo a percorrere gli argini del Timonchio. Attraversando Novoledo, arriviamo a Villaverla , visita esterna Villa Ghellini. Breve sosta in una favolosa pasticceria di Villaverla. Poi si prosegue , sempre sugli argini, verso le terre del Mais Marano. Suggestivo tratto immerso nel verde. Arrivati a Marano Vicentino, vi propongo il pranzo in un luogo pieno di storia, la casa Natale di Antonio Fioretti, il papà del Mais Marano. Visita all’antica cucina 1890. Qui, chi vuole, può fermarsi a pranzo. Fanno proposta di un piatto unico, grigliata carne con contorni e bibita € 16,50 Tipologia di percorso : Distanza 12 km. Tutto pianeggiante. Argini - strade sterrate e piste ciclabili Adatto a tutti. Scarpe da trekking Rientro dopo il pranzo: a piedi in autonomia , o organizzandoci con le auto, un po’ le lasciamo al punto di incontro (Caldogno - via isonzo) e altre all’arrivo sul posteggio della “Corte degli Aranci” ( via San Fermo 58 - Marano vicentino). Così possiamo riprenderle alla fine della camminata. Adesioni SOLO SMS al nr 349-2678042. Con specificato se vi fermate a pranzo. L’uscita è riservata ai soci dell’associazione (ci si può iscrivere anche al momento dell’uscita) L’iscrizione è comprensiva di assicurazione. Costo € 5,00 (iscrizione + una uscita ) € 15,00 (iscrizione + tre uscite) € 30,00 (iscrizione + 12 uscite ) Oltre agli aggiornamenti costanti sulle altre attività

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CENTRO STORICO

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VICENZA GOTICA Le grandi famiglie vicentine e i loro palazzi cittadini

Risulta agevole per il visitatore intraprendere la visita agli edifici gotici suddividendoli in due distinti itinerari: il primo (arancione) resta nella zona sulla destra rispetto all’asse viario principale, Corso Andrea Palladio, voltando le spalle a Ponte degli Angeli; il secondo sulla sinistra (azzurro) inizia dal Quartiere delle Barche, il porto fluviale della città al tempo della Repubblica di Venezia

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VICENZA GOTICA

1. Palazzo Regaù Corso Padova 2. Palazzo Schio Cà D’Oro Corso Palladio 3. Palazzo Sesso Zen Contrà Zanella 4. Palazzo da Porto Breganze Contrà Porti, 17 5. Palazzo da Porto Colleoni Contrà Porti,19 6. Palazzetto da Porto - Muzan Contrà Porti, 23 7. Palazzo Thiene Contrà Porti n. 8 8. Palazzo Braschi Corso Palladio 9. Palazzo Thiene Corso Palladio

1. Palazzo della Ragione Piazza dei Signori 2. Palazzo Garzadori Contrà Piancoli 3. Ospedale S. Valentino

VICENZAMAGAZINE ITINERARIO VICENZA GOTICA 1. Alla scoperta dei palazzi 2. Le grandi famiglie vicentine 3. La vita sociale e religiosa nel periodo gotico 1. ALLA SCOPERTA DEI PALAZZI Meno nota e alternativa rispetto alla Vicenza palladiana e rinascimentale, esiste una Vicenza gotica, caratterizzata da bei prospetti su strada con finestre archiacute variamente modulate frammenti di affreschi esterni, suggestivi cortili interni con loggiato, discese al fiume. È solo dopo la dedizione a Venezia del 1404 che inizia per Vicenza un periodo di stabilità e prosperità tale da avviare un’intensa attività edilizia, che trae spunto stilistico, ovviamente, dai prestigiosi modelli veneziani, variamente interpretandoli in base alle esigenze locali; solo con la fine del XV secolo compaiono, magari liberamente accostati a quelli gotici, i primi motivi rinascimentali. Particolarmente adatta a stimolare la capacità di osservare, descrivere, ravvisare analogie e differenze, apprendere il lessico specifico relativo alle modanature architettoniche, è dunque una passeggiata per il centro storico alla scoperta dei palazzi gotici. Risulta agevole per il visitatore intraprendere la visita agli edifici gotici suddividendoli in due distinti itinerari: il primo (arancione) resta nella zona sulla destra rispetto all’asse viario principale, Corso Andrea Palladio, voltando le spalle a Ponte degli Angeli; il secondo sulla sinistra (azzurro) iizia dal Quartiere delel Barche, il porto fluviale dela città al tempo della Repubblica di Venezia. Il primo percorso parte dall’Oratorio dei Boccalotti (1), in Piazza S. Pietro, proseguendo alla volta di Palazzo Regaù (2), su cui spicca il parapetto con allegorie delle quattro virtù cardinali di Giovanni Grandi. Risulta qui particolarmente chiaro lo schema “vicentino” della casa gotica, con cornicione molto sporgente (elemento che non compare a Venezia), salone passante centrale e vani ai lati; il desueto portico al pianterreno integra bene l’edificio nel tessuto edilizio preesistente.

Contrà Barche 4. Palazzo Scroffa Contrà Piancoli 5. Casa Pigafetta Contrà Pigafetta 6. Palazzo Garzadori Fattore Contrà Lioy7. 7. Palazzo S. Giovanni Contrà Santi Apostoli 8. Palazzo Squarzi Serini Contrà Santi Apostoli 9. Palazzo Arnaldi Segala Contrò Pasini

1 © Tiziano Casanova EVENTICULTURALI

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VICENZA EXPERIENCE

VICENZAMAGAZINE Da lì, dopo una sosta nel tempio di S. Corona, si procede verso Palazzo Dal Toso Franceschini Da Schio (16), detto Cà d’Oro in Corso Palladio, impreziosito dalla splendida ghiera finemente scolpita del portale. Denunciando il mutamento in versione di terraferma della celebre Ca’ d’Oro veneziana, di cui riprende anche il nome, è il Palazzo è l’unico esempio a Vicenza - probabilmente tardo - di casa gotica originariamente a tre piani: la facciata, fortemente spartita in orizzontale dalle cornici marcapiano e dal cornicione sporgente e in verticale dalle finestre, era riccamente affrescata con profusione di polvere d’oro (come attestano le foto d’epoca ottocentesche). Proseguendo verso contrà Giacomo Zanella si nota la fastosa presenza di Palazzo Sesso Zen (4) , e da lì ci dirigiamo in contà Porti, dove l’interpretazione del Gotico veneziano raggiunge gli esiti più ragguardevoli nei Palazzi Porto-Bertolini (5), PortoColleoni (6), e Porto-Breganze (7). Risalendo Contrà Porti verso Corso Palladio si trova Palazzo Thiene (8) tarda espressione (1450-1460) del gotico locale di ascendenza veneziana. In corso Corso Palladio risalterà il prospetto di Palazzo Braschi-Brunello (9), con i medaglioni scolpiti con profili virili e un altro Palazzo Thiene che, pur trasformato nei secoli successivi, conserva al primo piano una grande pentafora ad archi inflessi impennacchiati e trilobati. Il percorso si chiude visitando il Tempio di San Lorenzo realizzato dai francescani sulla base del modello gotico lombardo.

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VICENZA GOTICA

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CONTRA’ DELLE MORETTE, 5 - VICENZA

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AGRITURISMO

Alla Corte S.P. del Pasubio, 109 Motta di Costabissara (VI) Cell. 347.9674062 347.3031981 333.7754735 Tel. 0444.557389 agriturismoallacorte@libero.it Agrituriamo Alla Corte 1

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© Giovanni Tisocco

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VICENZA GOTICA

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Il secondo percorso inizia da Piazza dei Signori, con la visita della torre Bissara e del Palazzo della Ragione (1) circondato dalle più tarde Logge palladiane. Attraversando Piazza delle Erbe e scendendo verso ponte san Michele si può ammirare lo straordinario prospetto di Palazzo Garzadori Braga(2) in cui convivano nello stesso edificio degli esempi di finestre tardo-gotiche di ordine sesto (facciata su strada) e inserti rinascimentali, alcuni di proporzioni ancora gotiche (portone e atrio, prospetto sul fiume). Una forte concentrazione di edifici gotici si registra in zona Barche, a partire dall’Ospedale di S. Valentino (3), tra vicolo Retrone e contrà delle Barche. che ben testimonia, per la sua posizione, di una certa “vocazione” del gotico privato vicentino per le vie d’acqua (il quartiere portuale delle Barche), ed offre in facciata e sul fianco motivi appartenenti a varie epoche (dal XIV al XVIII secolo): belle le finestre al primo e al secondo piano ad archi inflessi trilobi con cornice a scacchi. In contrà Piancoli si distingue Casa Scroffa Polazzo (4). Si procede poi verso Ponte S. Paolo e si scopre la leggendaria Casa Pigafetta (5), nell’omonima via, nella quale motivi gotici originari (le sei monofore) si assommano ad echi del rinascimento lombardo (i terrazzini trilobi, i mensoloni, le fantasiose candelabre), frutto di un rimaneggiamento degli ultimi decenni del secolo. Proseguendo verso contrà Paolo Lioy, per godere della vista dell’elegante prospetto di Palazzo Garzadori Fattore (6) , un altro interessante esempio di adattamento del modello veneziano alle esigenze vicentine: lo schema adottato (prospetto principale sulla strada e secondario sul fiume, affreschi in facciata, sviluppo su tre piani, trifora centrale cui si affianca una monofora su un lato, è ripreso spesso in città. Nella vicina contrà SS. Apostoli notiamo l’interessante facciata di Palazzo Sangiovanni (7) in cui la varietà di stili e formule presenti documenta, secondo F. Barbieri, “quell’uso sparso di formule lessicali del gotico non organizzate in uno specifico tessuto intattico”, tipico di più di un edificio gotico vicentino. Quasi di fronte a Palazzo Sangiovanni spicca la pentafora di ordine sesto del Palazzo Squarzi Serini Micheletti (8) La passeggiata con Palazzo Arnaldi Segala (9) in contrà Pasini.

© Tiziano Casanova

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COLLI BERICI

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ILVINO DI GALILEO

Il soggiorno dello scienziato a Costozza e la vicenda dello scherzo del 1593 di Antonio Di Lorenzo

“La scienza è come lo sport: non basta dire semplicemente «Io salto in alto due metri», bisogna dimostrarlo e accettare di sottoporsi a delle verifiche: bisogna, cioé, che ci sia una giuria che controlla il salto, qualcuno che misura il vento, un altro che posiziona l’asticella... Tutto questo è il metodo sperimentale, che è stato fondato da Galileo Galilei. Per questo gli dobbiamo essere riconoscenti. In fondo, la scienza è la forma più alta di buon senso”. (Piero Angela)

© Stefano Maruzzo

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COSTOZZA E IL VINO DI GALILEO

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Il cipresso di Galileo come l’abete di Freud: fanno ombra ai Grandi

I “ventidotti” di Costozza anticipano di quattro secoli l’aria condizionata

A Costozza di Longare, paese del Vicentino celebre da secoli per le sue uve, svetta su una collina “Il cipresso di Galileo”, all’ombra del quale si racconta che il Nostro abbia meditato mentre la notte, da una torre lì vicino, abbia osservato stelle e pianeti. Questo cipresso vicentino ha la stessa fama dell’ Avez del Prinzep sull’Altopiano di Lavarone: è uno dei più vecchi e grandi abeti d’Europa, (oggi abbattuto), con i suoi 220 anni, cinquanta metri di altezza e quattro di circonferenza. «Alla sua ombra – ha scritto Mario Rigoni Stern – amava sostare Sigmund Freud e certamente è stato ammirato anche da Robert Musil». Chissà se la rivoluzione della psicanalisi è stata concepita da Freud durante le sue vacanze a Lavarone, sotto il secolare abete bianco. E, in parallelo, chissà se la rivoluzione della Scienza abbia avuto come scenario le viti e il cipresso di Costozza. Nessuno lo può provare. È bello crederci, perché le coincidenze sono parecchie. Quella collina percorsa in lungo e largo dai passi del fondatore della Scienza moderna, oggi è coltivata a vite: e anche questa, come vedremo, è una coincidenza galileiana di non poco conto. Il luogo in cui sorge la torre è stato battezzato, guarda un po’, “La Specola”, a ricordo del Sommo e dell’osservatorio padovano. A differenza di quello, però, che è gelosamente conservato, restaurato e custodito dagli astronomi dell’università, la “Specola” di Costozza è formata solo da qualche rudere, che nel Terzo Millennio cerca ancora miglior fortuna.

A Costozza sono molto orgogliosi del cipresso e della “Specola”, perché sono una patente di nobiltà per un paese agricolo; così come sono anche fieri dei “ventidotti”, un ingegnoso sistema che produceva aria condizionata nelle ville del luogo quattrocento anni prima che Willis Carrier la inventasse negli Usa. E questo è il terzo – importante – indi zio galileiano che compone il mosaico di questa storia. Fermiamoci un attimo per capire di cosa si tratta. Attorno a Costozza, sei ville costruite in varie epoche (a partire dal 1550) sfruttano lo stesso sistema di raffreddamento. I locali interni degli edifici sono collegati a cavità e condotti sotterranei, naturali e in parte anche artificiali, chiamati còvoli, o grotte, che forniscono d’estate l’aria fredda necessaria a climatizzare l’ambiente. Queste grotte si trovano nelle 8 vicine colline, e sono anche sfruttate per la coltivazione di funghi. La temperatura dell’aria nei còvoli si aggira intorno agli 11 – 12 gradi centigradi durante tutto l’anno. I ventidotti, o canali di ventilazione, che collegano le grotte alle ville di Costozza, sono lunghi sino a qualche centinaio di metri, e vanno a sboccare nelle cantine. Da qui, l’aria fresca penetra nei locali d’abitazione attraverso rosoni di marmo traforati, posti nei pavimenti. (Ricordate bene questo rosone, sarà determinante nella storia di Galileo)

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Attraverso queste condutture, l’aria degli edifici si rinfresca di una decina di gradi, e in un caso si è misurata addirittura una temperatura interna di 16° quando l’aria esterna era a 33°. Un vero e proprio labirinto sotterraneo collega dunque tra loro villa Trento - Morlini, villa Trento - Carli, villa Aeolia, villa Trento da Schio, Ca’Molina - da Schio, Garzadori da Schio. L’aria che circola in queste ville, le trasforma in palazzi con uno spirito, con un’anima, se si vuol dare il significato greco di “pneuma” alla parola “soffio” o “aria”. Al di là di questa particolare sfumatura filosofica, il sistema di raffrescamento delle ville di Costozza era così famoso che persino il Palladio, nei suoi “Quattro Libri dell’Architettura”, ne parlò diffusamente: con una bella immagine, chiamò i ventidotti dell’Aeolia il “carcere dei venti”. E qui arriviamo al punto.

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I tre indizi galileiani per ricostruire la verità sulla sua presenza a Costozza Già. I ventidotti a villa Aeolia sono il terzo indizio galileiano da raccogliere. Cominciamo con il dire che l’edificio è chiamato impropriamente “villa”, in quanto si tratta probabilmente dell’adiacenza di un edificio cinquecentesco dei conti Trento, andato poi distrutto. La sala Aeolia è adattata a taverna, mentre la sala superiore ha il soffitto affrescato dallo Zelotti e dal Maganza. Nel sedicesimo secolo un circolo accademi 62

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co di studiosi si era stabilito a villa Aeolia. Era un’Accademia assai prestigiosa, che nel corso del tempo venne visitata da figure come Tasso, Ruzante, Palladio, d’Acquapendente, Bembo, Galilei, e altri noti umanisti. Ci siamo: abbiamo incrociato il nome di Galileo Galilei a Costozza. E siccome nella vita bisogna sempre distinguere la verità dalle leggende, partiamo da questa certezza per fare luce sulla sua presenza nel paese. E allora verifichiamo le leggende. Può darsi che dalla collina della “Specola”, EVENTICULTURALI

vicino al suo cipresso, il Nostro si sia soffermato davvero a guardare le stelle e abbia congetturato chissà che. È però assai difficile, come invece tramanda la voce popolare, che lo abbia fatto con il telescopio, di cui parla nel suo “Sidereus nuncius” pubblicato a Venezia solo nel 1610. Altra certezza: a Costozza, Galilei è ospite del conte Camillo Trento nella calda estate del 1593, un anno dopo aver avuto l’incarico di insegnare matematica a Padova. È improbabile che, diciassette anni prima di parlarne nel suo libro, si portasse a Co-


COSTOZZA E IL VINO DI GALILEO

VICENZAMAGAZINE TOURISM EXPERIENCE “Cave, Ventidotti e Ville” a Costozza di Longare

stozza il telescopio come fosse un computer portatile di oggi. Un’altra certezza riguarda il vino. Galilei lo amava molto. Per lui il vino era uno strumento del sapere. Come ricorda il professor William Shea, lo definiva «luce impastata con il colore». Apriamo una parentesi per sottolineare una testimonianza preziosa. Chi è il professor Shea? È probabilmente il massimo esperto di Galileo al mondo. Il professore, canadese, è titolare della cattedra galileiana di “Stato della scienza” all’università di Padova, cui è stato chiamato “per chiara fama” (una procedura rarissima, che richiede il consenso dei due terzi dei docenti di prima fascia dell’Ateneo) e fa parte della Reale Accademia delle Scienze di Svezia, formata dai magnifici trecento che sono titolati ad assegnare i premi Nobel per fisica e chimica. Insomma, è un “vip” della scienza a livello mondiale. Una prova? L’Accademia delle Scienze di Svezia gli ha confezionato e assegnato un Premio Nobel su misura: siccome non ne esiste uno per la Storia della Scienza, alla cerimonia dei premi Nobel nel 2003, l’Accademia ha consegnato a William Shea un “riconoscimento” che ha il valore di un vero e proprio Nobel morale. Così è, anche se lui vorrebbe far finta di niente e minimizza la cosa.

Galileo e il vino: un amore che lascia tracce da Padova a Vicenza Qualche altro indizio su Galileo e il vino lo suggerisce proprio il professor Shea. Racconta, per esempio, che a Padova Galileo abitò per otto – nove anni in via dei Vignali, vicinoal Santo, in quella che oggi è stata ribattezzata, in onor suo, via Galilei. Ma “via dei Vignali” sta a indicare una sola cosa: che nel centro di Padova 400 anni fa il vino era di casa. E, infatti, Galielo nel suo giardino coltivava le viti e produceva vino. Era, diciamo così, anche un appassionato bevitore. Ci sono lettere delle sue figlie che si raccomandavano: «Papà, quando sei fuori a cena non bere tanto». E altre lettere dei suoi studenti padovani che si offrivano di andarlo a prendere, a fine cena, per portarlo a casa. Galileo Galilei aveva due amici vicentini: Camillo Trento e un altro conte, Marcantonio Bissaro, dell’omonima famigli. Quest’ultimo era stato uno dei suoi primissimi amici e corrispondenti. Si conoscevano dal 1588, anno del primo lavoro di Galileo. E il conte Bissaro fu tra i primi a congratularsi con lo studioso pisano per la sua prolusione all’anno accademico patavino del 1592. EVENTICULTURALI

L’escursione guidata “Cave, Ventidotti e Ville di Costozza” camminando nella storia della pietra tenera vicentina, organizzata dalla proloco di Costozza, si snoda su un percorso di 8 chilometri. Ritrovo in piazza Valaurie a Longare vicino all’ex casello ferroviario (adesso sede Pro Loco): al semaforo sulla provinciale si gira in via Europa e dopo 50 metri a sinistra. Dislivello: 250 metri di salita. Durata: 3 ore circa. Rientro per le 15. Dalle 9 alle 12 si visiteranno i vari luoghi privati aperti appositamente per l’escursione: la Scalinata della Santa Croce, il Carcere dei Venti di Villa Aeolia, la Chiesetta di S. Sofia con la Fontana e il Volto di Costozza, l’Antica Fornace, la Chiesetta di S. Antonio Abate, le Case Rupestri e la Specola di Galileo Galilei. In base alla tempistica delle soste sono possibili variazioni di programma. Le cave della pietra tenera vicentina e di Costozza erano già attive in epoca romana. Dalle cavità sotterranee partono i cosiddetti “ventidotti”, cuniculi artificiali, che per convenzione naturale incanalano aria a temperatura costante alle cantine e alle sale delle ville per assicurare temperatura più mite in inverno e più fresca d’estate.

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COLLI BERICI

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© Stefano Maruzzo

LO SCHERZO DI COSTOZZA La sbronza di Galileo e l’aria fredda del rosone

L’aria, l’ira e l’artrite La leggenda di un malanno che lo perseguita a vita

Nell’estate del 1593, dunque, Galileo è ospite del conte Trento a Costozza e subisce quello che lo storico dell’arte Giuseppe Barbieri ha ricostruito come un vero e proprio scherzo. Vediamo cosa accade. Galileo si addormenta su un rosone dei ventidotti dopo cena, probabilmente dopo aver bevuto (anche troppo) i vini dei Trento, quei vini che già in passato avevano gustato Ruzante e Tasso. I padroni di casa decidono di giocargli uno scherzo e iservitori aprono il ventidotto: Galileo, nel dormiveglia, sente freddo. A quei tempi, in cui non ci sono antibiotici né aspirine, i brividi di freddo in piena estate potevano significare una cosa sola: «Mi sto ammalando. Morirò». Così pensa un Galileo terrorizzato. E sta male. Lo possiamo immaginare che si gira e si rigira nel letto, terrorizzato. Ma, dopo una notte d’inferno, finalmente arriva mattina. Ed è ancora vivo. I suoi ospiti di villa Aeolia lo sfottono: «Ha avuto freddo stanotte, professore?». Galileo capisce tutto. Esplode l’ira, come solo un toscano sanguigno può fare.

Dall’aria all’ira. E poi, per colpa di quell’aria, arriverà l’artrite, che tormenterà Galileo per tutta la vita. A testimoniare questa ricostruzione, ci sono due lettere dello stesso scienziato, il quale si lamenta dei dolori che s’è beccato durante la vacanza vicentina. Vero? Non vero? Fatto sta che questa vicenda ha talmente colpito la fantasia popolare che Pino Co- stalunga, attore vicentino, è stato protagonista dieci anni fa, con la compagnia “I Covoli” di una pièce teatrale dal titolo “Galileo e l’aria di Costozza”. Cosa sia successo quella sera a villa Aeolia esattamente non si sa: probabilmente si svolse una festa, alla quale parteciparono molte persone. Parecchi si ubriacarono, forse anche Galileo. Che sia stato uno scherzo o, più semplicemente, un modo per rinfrescare la sala e gli animi che si erano accaldati, per il vino e le libagioni, fatto sta che l’aria giunta dal “ventidotto” rovinò la festa a molti. Viviani parla di “due ore di vento artifizioso che provocò gravissime infermità” agli ospiti della villa. Roba seria, secondo questa fonte: “Uno morì in pochi giorni, l’altro perdette l’udito e Galileo ne covò la suddetta indisposizione da cui non potè mai liberarsi”.

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Altri indizi giungono dalle lettere dei figli di Galileo. Suor Maria Celeste Galilei ricorda che suo padre «fu tormentato da malanni acquistati dai ventidotti di Costozza». Vincenzo Galilei conferma che il padre «a 40 anni si ammalò di artrite». (Va detto che a Costozza Galilei aveva 30 anni, non quaranta. Il problema comunque non è l’età, ma la connessione tra i due fatti, che viene certificata autorevolmente, da una fonte di prima mano). Il professor William Shea conferma il fatto storico, anche se non ritiene che i ventidotti di Costozza siano una causa diretta della malattia. Piuttosto, sostiene, l’artrite è arrivata con l’età. Probabilmente le cose sono andate così: Galileo si ubriacò dai conti Trento, dormì al freddo – provocato dall’aria che giungeva dalle grotte di Costozza tramite i ventidotti - ed ebbe dei dolori muscolari al risveglio. Con il tempo, e la vecchiaia, collegò la sopravvenuta artrite al ricordo di quella dormita al freddo. Insomma, Costozza è assolta. E il vino prodotto ancora oggi nei luoghi galileiani continuiamo a berlo noi. Per fortuna. Certo, non è la stessa uva che cresceva in quel luogo quattro secoli fa: Galileo bevve, probabilmente, vino prodotto da uva “corvina”, che era la più diffusa nel Vicentino


COSTOZZA E IL VINO DI GALILEO

La Storia diventa vino. Lo confermano Galileo e anche Gino Veronelli. E a proposito di Storia, un altro particolare sul rapporto tra Galileo e il vino è aggiunto da Luigi “Gino” Veronelli, il quale sosteneva che “il vino è quanto di più simile all’architettura possa esistere, perché stimola il pensiero”. A sostegno di questa affermazione, Veronelli citava proprio Galileo, il quale – quando era a Pisa – scrive a un amico per ringraziarlo di una damigiana di vino che gli aveva inviato: «Ti ringrazio per il vino – gli dice – che era buono e mi ha anche aiutato a risolvere un problema». Quale sia questo problema non lo svela, ma tanto basta per associare il vino alle scoperte scientifiche. E allora si può concludere con un interrogativo: vuoi vedere che se “Opportunity” è scesa sul suolo di Marte un po’ del merito va anche a quel vino bevuto da Galileo quasi 400 anni fa? Chi lo sa. Di sicuro – con l’aiuto o meno del vino - la Scienza moderna è stata fondata da Galileo. E a proposito del personaggio, vale la pena di soddisfare un’altra curiosità: quella frase “Eppur si muove”, simbolo della libertà di pensiero rispetto all’autorità opprimente, Galileo l’ha pronunicata oppure no di fronte ai cardinali romani che l’avevano convocato per abiurare le sue teorie? Risponde il professor Shea: «No, quella frase è un’invenzione. Nel Seicento nessuno ne parla. La prima citazione è del 1750, quando è passato un secolo dalla morte di Galileo, da parte di un autore francese che ne fa un ritratto. Nelle nostre ricerche, condotte con un gruppo di colleghi americani ed europei, non siamo riusciti a risalire più indietro nel tempo. In sostanza, credo che quella frase sia l’invenzione di un francese. Del resto, basta pensare alla situazione del tempo per comprendere che era impossibile che Galileo pronunciasse quella frase».

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Vediamo perché, sempre sulla basedelle ricerche del professor Shea. «Il processo dell’Inquisizione non s’è svolto come lo potremmo immaginare noi oggi: lui era seduto a un tavolo con due persone, l’Inquisitore e il notaio. Una volta raggiunto un compromesso e messo per iscritto (Galileo si impegnava ad abiurare le tesi di Copernico e a non insegnarle) poi si trovò di fronte ai cardinali. Inginocchiato, dovette leggere il testo preparato. Difficile immaginare che si alzasse e pronunciasse la frase “Eppur si muove”». A onor del vero, peraltro, c’è da dire che quella abiura (per la quale il papa Giovanni Paolo II ha chiesto scusa quattro secoli dopo) fu salutata con gioia da un gruppo di persone: i colleghi toscani di Galileo. Ricorda ancora il professor Shea: “Galileo aveva un brutto carattere. Diceva di sé più o meno così: ‘Solo a me Dio ha dato la possibilità di fare e scoprire grandi cose’. Non era certo un simpaticone. Però a Padova lavorò, studiò, fece ricerca. Ma quando andò a Pisa non si comportò così: rimase quindici anni all’università, sotto la protezione del Principe, ma non tenne lezione neanche per un’ora. Al principe serviva che lui parlasse, tenesse conferenze, e gli facesse fare bella figura. Dell’università gli importava poco. È chiaro che i colleghi di Galileo si arrabbiassero: tant’è che scrissero ben due volte al principe per lamentarsi della situazione. Ma le cose non cambiarono. Così, quando arrivò la condanna dell’Inquisizione, a Pisa i colleghi fecero festa”. Brindarono, in altre parole, anche se non c’era lo spumante né lo champagne. Però, perfidamente (ma con qualche ragione: siamo sinceri, chi non s’è mai arrabbiato per il collega che prende lo stipendio e lavora poco o nulla?) i colleghi brindarono.

Galileo trascorre a Padova 18 anni, che saranno i più importanti per la sua vita e per la Scienza: «A Padova – spiega il professor Shea - Galileo compì tutte le sue scoperte più importanti: costruì il telescopio, scoprì i satelliti di Giove. E le deduzioni sono importanti nella scienza: se Giove ha i suoi satelliti, così come la Terra ha la Luna, allora la Terra può girare attorno al Sole. Chiaro, no? Poi arrivò alla legge sulla caduta dei gravi. Ancor oggi si fa fatica ad accettare l’idea che una palla di cento chili possa cadere con la stessa accelerazione di una palla da un chilogrammo. Questa legge, assieme alla traiettoria parabolica dei proiettili, sarà il punto di partenza per la ricerca di Newton, che lo porterà a definire la legge di gravitazione universale».

Vedete che il vino e Galileo sono legati a doppio filo dalla Storia?

tratto dal libretto di Antonio Di Lorenzo “Il vino di Galileo e lo scherzo di Costozza” © 2004 Ergon Edizioni Vicenza EVENTICULTURALI

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PALLADIO E LE VILLE VENETE Andrea Palladio (1508 - 1580) è considerato il genio dell’architettura che per primo ha codificato i principi compositivi ispirati dall’architettura antica, lasciando in eredità un patrimonio di esperienza e conoscenza che si è diffuso in ogni parte del mondo nei tre secoli successivi. Ancora oggi non siamo pienamente consapevoli dell’influsso culturale che avuto la sua straordinaria avventura creativa , che non si limita a consacrare l’architettura come segno rappresentativo della società democratica fino al XIX sec. Gli edifici pubblici , le ville e le chiese realizzate dal genio veneto hanno contribuito, e lo fanno tuttora, allo sviluppo e all’esportazione di quella mentalità umanistica che divenne il segno inconfondibile della repubblica veneziana in tutta Europa. Palladio ha infatti materializzato nelle sue opere l’evoluzione dell’immaginazione creativa-razionale che matura nelle terre venete durante il Cinquecento grazie alla cultura umanistica che si diffonde prima negli studi dei notai, degli avvocati, dei medici e poi nei palazzi delle famiglie nobili inurbate, diventate ricchissime con la bachicoltura e il commercio della seta verso le regioni del Nord Europa. Palladio non sarebbe diventato architetto della repubblica di Venezia senza l’amicizia e la cultura dell’umanista vicentino Giangiorgio Trissino che lo educherà alla visione della divina proporzione racchiusa nell’arte greca-latina. E senza Palladio non ci sarebbe stata la proliferazione di uno stile architettonico che diventerà con la tipologia della villa di campagna, uno stile di vita e di decentramento delle attività di pensiero che sarà decisivo per affermare un evento rivoluzionario per la società europea sempre più permeata di dogmatismo religioso. In anticipo di almeno tre secoli sulla rivoluzione francese, il pensiero illuminista, la filosofia di Kant e di almeno 4 secoli sulla psicologia junghiana, la civiltà delle ville venete colloca la libertà individuale, la giustizia, l’eros, la psiche e la bellezza estetica al centro di ogni interesse creativo e curiosità intellettuale. I primi a registrare il cambiamento sono gli artisti chiamati dalle nobildonne a realizzare ritratti di famiglia, oppure ad affrescare le pareti e i soffitti dei palazzi e delle ville con motivi allegorici ispirati dalla mitologia greca. Tutto l’umanesimo di villa ruota attorno alla bellezza estetica e all’eros delle donne che diverranno il punto di riferimento per esplorare il mondo delle emozioni e delle intuizioni che non ha paragoni nella storia della cultura occidentale.



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