VICENZA MAGAZINE 2/19 (bozza)

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02/2019

VICENZA MAGAZINE

EVENTI MOSTRE MUSEI ASSOCIAZIONI TURISMO CULTURA IMMAGINI

© Giò Tarantini Locandina Vioff - Fuori Fiera

VIOFF - 72° Ciclo Spettacoli Olimpici Imago Urbis: Palladio - Oro & Baccalà Dalla Città Comunale del Medioevo al Cinquecento Palladiano Cristoforo Dall’Acqua - Villa Caldogno - Chiesa di San Vincenzo VIVIEDIZIONI - copia in omaggio per i soci - in libreria € 5,00

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R I V I S T A D I C U LT U R A E D E V E N T I D I V I C E N Z A D E L X X I s e c . - C O L L E Z I O N E A N N O 2 0 1 9

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Vicenza2019 V I C E N Z A M A G A Z I N E N. 2

VIVIEDIZIONI - Patrocinio Comune di Vicenza e Regione Veneto

C U LT U R A & E V E N T I

INDICE VIVI VICENZA

Pubblicazione dell’Associazione editrice VIVI VICENZA VICENZA MAGAZINE n.2 anno 2019 hanno collaborato: Antonio Di Lorenzo Roberto Plevano Giuseppe dalla Massara Romano Concato Michelangelo Muraro

EVENTI SETTEMBRE VIoff 2019 Spettacoli olimpici Festa del baccala’ Pigafetta 500 La Rua

VICENZA MEDIOEVALE Iter vicentinum IL QUATTROCENTO Palazzo della Ragione

IMAGO URBIS

Fotografi Stefano Maruzzo Antonio Tafuro Riccardo Contarin Tiziano Casanova Paolo Martini Leo Maria Scordo In copertina Locandina

IL SECOLO PALLADIANO Il progetto delle logge CRISTOFORO DALL’ACQUA Visioni sensoriali

PALLADIO

LA CHESA DI SAN VINCENZO La chiesa del Patrono

L’Editore declina ogni responsabilità in merito alle immagini pubblicate a corredo di articoli e redazionali realizzati dai collaboratori esterni che risultano prive di crediti.

VIVI VICENZA Associazione culturale editrice Vivi Vicenza Corso Palladio, 179 0444.327976 tessera annuale 10,00 € vivi@viviedizioni.org www.viviedizioni.org

E V E N T I & C U LT U R A

SLOW TOURISM

IMMAHINI

ASSOCIAZIONE CULTURALE

EVENTICULTURALI

LE VILLE VICENTINE L’innovazione della villa Villa Caldogno

LEO MARIA SCORDO Corsi di fotografia e Workshop

CAMMINI VENETI Il percorso Roi-Fogazzaro

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EVENTI SETTEMBRE

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VIOFF GOLDEN ARTS

Dal 6 all’8 settembre in scena nel cuore della città il Fuori Fiera diVicenzaOro

VIOFF, la 3^ edizione di Fuori Fiera di Vicenzaoro September, si prepara ad approdare di nuovo in città. Golden Arts: una tre giorni interamente dedicata al mondo dell’arte in tutte le sue sfaccettature. Di qui, il plurale Arts come macrocategoria che racchiude in sé tutte le manifestazioni artistiche, dalle arti visive alla musica fino alla danza: tutte, infatti, concorrono a dare una visione a 360 gradi del variegato concetto di arte.

Vicenza amplissima - Liber quartus Ciuitates orbis terrarum, Colonia

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EVENTICULTURALI


VICENZA COMUNALE

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Conferenza stampa di presentazione - fonte Uffcio Stampa

LE OPERE DI DALI’ Le statue monumentali di Dalì che saranno esposte per le vie della città, e cioè l’Elefante Spaziale vicino alla Torre Bissara, la Space Venus vicino al Teatro Olimpico e l’Orologio Monumentale che dopo i giorni della fiera verrà spostato in Centro Storico, ben rappresenteranno questo incontro artistico tra presente e passato, tra la geniale espressione architettonica di Palladio, e l’irripetibile visione surreale della realtà di Dalì.

Salvador Dalì : L’orologio monumentale - Dalì Universe Museum

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rotagonista principale del Golden Arts sarà il celebre artista surrealista Salvador Dalì che, per la complessità della sua figura, difficilmente inquadrabile in un’unica categoria artistica, ben incarna la quintessenza di questa edizione: pittore, scultore, scrittore, fotografo, cineasta, designer e sceneggiatore, Dalì è stato l’esempio vivente di come la creatività non abbia confini e la sua attività artistica diventa così la musa ispiratrice di Golden Arts. Di non trascurabile importanza il fil rouge che lega l’artista spagnolo all’architetto vicentino per antonomasia, Andrea Palladio, definito da Dalì stesso «el archetipo de lo Daliniano»: nella sua autobiografia il grande artista definisce Andrea Palladio «uno dei più perfetti realizzatori di compiutezze umane» e descrive il Teatro Olimpico di Vicenza come uno dei tre vertici dell’umano estetismo. Grazie alla fruttuosa collaborazione fra il Comune di Vicenza e Italian Exhibition Group , Silvio Giovine, assessore alle attività produttive del Comune di Vicenza, e Marco Carniello, direttore della Divisione Jewellery & Fashion di IEG, hanno presentato in conferenza stampa l’evento che si preannuncia ricco di novità per il panorama culturale e artistico della città. Silvio Giovine: “Un appuntamento di assoluto prestigio, condito dalla esposizione EVENTICULTURALI

in città di alcune opere monumentali di Salvador Dalì e dalla esibizione danzante di primi ballerini e solisti della Scala di Milano. Un’ottima opportunità di visibilità per la nostra città e di coinvolgimento con una proposta di alta qualità per i cittadini. Partita l’anno scorso, proprio in questo periodo, come una sfida contro il tempo per riuscire ad allestire un evento con tanto entusiasmo e altrettante incognite, oggi VIOFF è già diventato un appuntamento fisso e imperdibile, un must che la città attende con aspettative e interesse. Da un lato ciò ci riempie di orgoglio, perché dimostra quanto sia stata vincente l’intuizione di valorizzare le straordinarie bellezze del centro storico durante le fiere dell’oro, dall’altro ci carica di responsabilità per il desiderio di offrire sempre nuovi spunti per far brillare la città in queste giornate particolari. Sono certo, però, che anche quest’anno cittadini, turisti e visitatori della fiera premieranno il grande lavoro organizzativo che in questa terza edizione farà di Vicenza il cuore delle Golden Arts”. Marco Carniello: “Siamo lieti di contare su VIOFF. Per una manifestazione internazionale come Vicenzaoro, dedicata a operatori professionali altamente qualificati, è importante offrire un’esperienza quanto più coinvolgente e distintiva anche fuori dalla fiera – sostiene Marco Carniello, 3


STORIA URBANA

VICENZAMAGAZINE direttore della Divisione Jewellery & Fashion di IEG –. E con VIOFF, IEG e la città di Vicenza possono offrire al nostro pubblico tutte le eccellenze del territorio, dalle competenze del mondo orafo-gioielliero a cultura, arte, architettura, enogastronomia. Una ricchezza capace di favorire le relazioni e potenziare le occasioni di business per i nostri espositori, contribuendo a rendere unica l’esperienza di Vicenzaoro nel mondo”.

Salvador Dalì : Space Venus - Dalì Universe Museum

ANDREA PALLADIO E SALVADOR DALI’ In collaborazione con Dalì Universe, tra le più grandi collezioni private di opere dell’artista catalano al mondo, diretta da Beniamino Levi – mercante e collezionista d’arte che negli anni Sessanta ebbe un proficuo e profondo rapporto creativo e d’amicizia con Salvador Dalí, Vicenza celebra il grande genio surrealista con l’allestimento di una mostra diffusa tra il centro città e il quartiere fieristico di Vicenza. Due opere monumentali di oltre 5 metri di altezza saranno esposte in piazza Matteotti e in piazza dei Signori durante il VIOFF e altre due ospitate in fiera, mentre altre opere museali di circa 2 metri animeranno piazze e strade del centro. Beniamino Levi: “La mostra di Dalì a Vicenza rappresenta l’incontro di due fondamentali figure della storia dell’arte, due eminenti personalità che hanno dato tantissimo alla cultura occidentale, Dalì appunto e Palladio,Ero amico di Salvador Dalì e conoscendo bene il suo carattere e la sua personalità sono sicuro che vedere le sue opere esposte negli spazi di Vicenza, gli spazi segnati dalla immortale impronta di Palladio, uno dei più grandi architetti della storia, sarebbe stato per Dalì un momento di surrealistica felicità. Le statue monumentali di Dalì che saranno esposte per le vie della città, e cioè l’Elefante Spaziale vicino alla Torre Bissara, la Space Venus vicino al Teatro Olimpico e l’Orologio Monumentale che dopo i giorni della fiera verrà spostato in Centro Storico, ben rappresenteranno questo incontro artistico tra presente e passato, tra la geniale espressione architettonica di Palladio, e l’irripetibile visione surreale della realtà di Dalì. Inoltre, grazie alla collaborazione di IEG e all’organizzazione di Golden Arts, il pubblico che frequenterà la fiera di Vicenzaoro potrà ammirare i gioielli che sono stati realizzati ispirandosi alle principali opere di Salvador Dalì e che ben rappresentano quella versatilità artistica di Dalì”. EVENTI COLLATERALI Numerose, poi, le attività parallele organizzate da Meneghini & Associati per animare la città in questo primo weekend di settembre. Di seguito alcune delle iniziative ad oggi confermate e che potrebbero prevedere ulteriori sviluppi. Piazza dei Signori sarà la location esclusiva ad ospitare, sabato 7 settembre, l’attesissimo spettacolo dei Primi ballerini e solisti del Teatro La Scala di Milano, che interpreteranno una coreografia dedicata alle Golden Arts, e a cui farà seguito il Gala di danza classica e neoclassica con estratti dal repertorio di Rudolf Nureyev. Le vetrine dei negozi e degli esercizi commerciali del centro saranno

Salvador Dalì : L’elefante spaziale - Dalì Universe Museum

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VICENZA MEDIOEVALE

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Non mancherà, infine, una mostra dedicata a Dalì al Museo del Gioiello di Vicenza, in Basilica Palladiana, dove sarà possibile ammirare fino al 26 gennaio una selezione di piccole sculture in oroe pietre preziose firmate dall’artista.

Museo del Gioiello - Piazza dei Signori

impreziosite da allestimenti finemente declinati sul tema dell’oro e delle arti. Notevoli suggestioni regalerà il progetto “Le vetrine vestono Lirica e Oro”, iniziativa ideata nel 2015 dal festival “Vicenza in Lirica” che quest’anno si amplia ulteriormente in occasione della presenza concomitante, il prossimo settembre, del festival musicale e del salone internazionale della gioielleria Vicenzaoro. Inoltre, anche le botteghe dell’artigianato artistico di alcune zone del centro storico e alcuni dei suoi angoli verdi nascosti saranno valorizzati attraverso degli itinerari pensati ad hoc: “Antiche botteghe e Portoni segreti” è organizzato da Confartigianato Imprese attraverso il marchio ViArt. E, a proposito di una Vicenza tutta da scoprire, saranno organizzate percorsi guidati che faranno vedere la città da una prospettiva underground, con il supporto del Museo Diocesano e dei Musei Civici. Un’attenzione particolare meriterà contra’ del Monte, dove avrà sede la mostra “Design del Gioiello” con l’esposizione di bozzetti, studi grafici, design e ricerche a livello progettuale di gioiellieri, orafi, scuole di arti e mestieri, formatori delle Associazioni di Categoria del comparto orafo; anche la Loggia del Capitaniato ospiterà le installazioni di artisti della manifattura dell’associazione CNA Vicenza. Opere di talentuosi artisti emergenti decoreranno le vetrine di Corso Palladio, nel cuore del centro storico, mentre a intrattenere il pubblico in piazza Garibaldi e in piazza San Lorenzo saranno le coinvolgenti e numerose performance artistiche dal sapore innovativo e originale: il tutto reso possibile dal prezioso contributo dell’Associazione Culturale Teatro della Cenere. Note dorate saranno eseguite durante la settima edizione del festival Vicenza in Lirica, che si terrà al teatro Olimpico e alle

Gallerie d’Italia Palazzo Leoni Montanari dal 31 agosto al 15 settembre. Elemento caratterizzante del festival sarà proprio l’oro, soprattutto per quanto riguarda la produzione operistica “La Diavolessa” di Baldassare Galuppi su libretto di Carlo Goldoni, in esecuzione il 5 e l’8 settembre all’Olimpico. Anche il Salotto dell’appartamento del celebre architetto Carlo Scarpa diventerà spazio espositivo per le eccellenze artigiane della città di Vicenza grazie al contributo del Comune e di Assoarchitetti. “Dedalo Minosse” prevede l’esposizione di pezzi dal design unico, dall’ arredo al gioiello fino all’argento, con una prima serata di degustazione enogastronomica. SPETTACOLI E PREMI Ospite di eccezione durante il Vicenza in Festival sarà il celebre cantante pop Max Gazzè, che si esibirà in un concerto in piazza dei Signori il 6 settembre. Venerdì 6 settembre non mancherà nemmeno la letteratura: al Teatro Olimpico si terrà la cerimonia del premio letterario di fama internazionale «Neri Pozza». Un momento dedicato al cinema sarà quello di domenica 8 settembre con la proiezione inedita del docufilm integrale “Palladio”, biografia del 2019 diretta da Giacomo Gatti e prodotta da Francesco Invernizzi, che verrà presentata alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia. STREET FOOD Anche i palati, infine, godranno di sofisticate prelibatezze grazie ai numerosi Food Truck che, in occasione della tappa del Tour italiano “Cucine a Motore”, saranno sparsi in Piazza Duomo nella tre giorni del VIOFF Golden Arts e proporranno degustazioni gourmet e varie attività di intrattenimento.

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IMAGO URBIS

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VICENZA MEDIOEVALE IterVicentinum tra mura e torri Analisi di un patrimonio da valorizzare

di Roberto Plevano

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VICENZA COMUNALE

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Le mura in Motton S. Lorenzo e il Torrione scaligero di Porta Castello

Entro la cinta altomedievale di Vicenza abitavano nel XIII secolo forse più esseri umani di quanti si contino oggi, vi era un maggior numero di esercizi commerciali (stationes), ogni giorno le piazze si riempivano di banchi di mercato. La città rinascimentale e palladiana prende forma sul tessuto urbano medievale di vie, spazi ed edifici di pregio: chiese e palazzi pubblici.

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ualcuno presta ancora attenzione ai frammenti della cinta murata di Vicenza. In contrà Motton San Lorenzo ce n’è un pezzo in pietre e mattoni cotti che mostra tracce di storiche aperture e chiusure. Nessuna targa con età e funzione del manufatto, nessun segno di manutenzione: pare che sia là da secoli a sgretolarsi alle intemperie. In Piazza Castello, un vicolo interstiziale tra moderne palazzine postbelliche nasconde ciò che rimane del castello appunto: un’alta cortina muraria. Dall’altra parte della parete, la base e i piloni dell’antica porta Feliciana, che portava all’abbazia di San Felice e vide passare i cavalieri teutonici, gli arcieri saraceni di Federico II e lo stesso imperatore, contemplano ora trote e orate d’allevamento del banco di un supermercato. Oltre ponte Furo, che è parte della cinta, il muro ricompare a tratti nelle facciate di case e palazzi. Resiste, rifatto, porton del Luzo, mentre l’altra porta, quella di Berga, è sparita da un pezzo, ma più che nei manufatti il muro si erge ancora nella geometria del percorso urbano, nell’arco di alcune contrade, nelle elevazioni di antichi terrapieni, nelle congetture sugli spazi medievali dell’Isola. Dai tempi delle scorrerie degli Ungari, quel muro ha fatto di Vicenza la città che EVENTICULTURALI

è poi diventata: comitato, libero Comune, soggetta alla signoria prima di Ezzelino da Romano, e poi di Padova, Verona, Milano, infine Venezia. Sotto il dominio di Venezia, nel ‘500 Vicenza finalmente ricostituisce la densità demografica di tre secoli prima e vive alcuni decenni di intenza attività edilizia, a cui ancora oggi dobbiamo il suo appeal architettonico e turistico. Eppure nessun visitatore si attarda per un selfie davanti ai sassi e laterizi del muro, cose che hanno un grande valore documentale. Entro la cinta altomedievale di Vicenza abitavano nel XIII secolo forse più esseri umani di quanti si contino oggi, vi era un maggior numero di esercizi commerciali (si chiamavano stationes), ogni giorno le piazze si riempivano di banchi di mercato. La città rinascimentale e palladiana prende forma sul tessuto urbano medievale di vie, spazi ed edifici di pregio: chiese e palazzi pubblici. Il progetto di Andrea di Pietro della Gondola (Andrea Palladio è un fortunato pseudonimo) del 1546 riveste con due ordini di logge in pietra bianca il palazzo comunale, costruito un secolo prima in stile gotico da Domenico da Venezia, il quale a sua volta aveva riunito in un corpo unico tre edifici: il palazzo vetus del Comune, il palazzo su arcate che ospitava il consiglio 7


STORIA URBANA

VICENZAMAGAZINE dei Quattrocento, e la dimora del podestà; vi aveva sovrapposto un’enorme sala dalla volta a carena di nave, ispirata a quella del Palazzo della ragione di Padova. Passeggiando sotto i portici della Basilica, si capisce che i tre ben riconoscibili edifici del XIII secolo non sono un residuo ma la struttura originaria del palatium pubblico, simbolo di Vicenza. Nel complesso degli edifici politici della Vicenza medievale non mancano le torri di sorveglianza delle zone mercantili: a mezzogiorno la torre detta del Zirone, poi del Tormento (cioè delle torture comminate a sospetti e condannati); a levante quella acquistata dal Comune dalla famiglia dei Bissari nel 1226: per vederla l’occhio deve togliere dall’attuale torre di piazza la cella campanaria, l’elevazione ottagonale con cupoletta e lanterna, l’orologio. La Vicenza comunale insomma è visibile, percorribile. Dà una misura alla città che vi si è aggiunta senza sostituirla. I grandi palazzi palladiani sorgono sulle fondamenta di case-fortezze di nobili famiglie inurbate; in luogo di statue aeree poste sui tetti, il profilo della città medievale presenta abbondanza di torri e campanili. In alcune incisioni di Cristoforo Dall’Acqua, alla perfezione e chiara levigatezza degli edifici rinascimentali fa contrasto la massa, grezza, scura, rovinata, di edifici precedenti: nella vista di Piazza Castello il castrum scaligero, demolito negli ultimi decenni del secolo XVIII; in quella dell’Isola il muro del castello, adiacente al palazzo del Territorio; la Rocchetta coperta di vegetazione. Così si scende lungo Corso Palladio, per secoli Strada Maggior, e pare ancora una prepotenza la parete che chiudeva il castello dell’Isola, eretto dai Padovani a spese dei Vicentini come segno della sottomissione. Dal 1266 impedisce alla Strada Maggior diretto accesso alla Porta di San Pietro e al vecchio ponte romano, già pericolante allora e in seguito ricostruito in altra posizione. L’Accademia Olimpica otterrà nel 1579 il permesso di costruire un teatro permanente all’interno del castello dell’Isola, adibito ormai a magazzino e prigione. Sarà il capolavoro postumo di Palladio. Da piè delle mura di cinta al fiume, alle cui sponde girano i mulini e attraccano le barche, il terreno è lasciato libero: la piarda appunto, che serve allo scarico delle merci, a lasciare l’assalitore allo scoperto, ad area di sfogo delle piene. Aver perduto le piarde, nel 1935, non è stato un guadagno per Vicenza, e non vale considerare che il Bacchiglione non circonda più l’Isola dal 1876. La città è nata e cresciuta sopra un rilievo alluvionale. Le acque intorno sono state irreggimentate da millenni, eppure Vicenza è una specie di isola, i suoi quattro fiumi impaludano la campagna. Quando viene la piena, soltanto la città racchiusa tra le mure antiche rimane all’asciutto. Le mura basso-medievali, erette dagli Scaligeri intorno ai borghi di San Pietro e di porta Nova, e dai Veneziani poi intorno ai

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VICENZA MEDIOEVALE

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IMAGO URBIS: ETA’ COMUNALE

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Cristoforo Dall’Acqua - Veduta da Campo Marzio -

borghi di S. Caterina e di S. Bortolo, hanno avuto ragioni difensive e di prestigio, ma dobbiamo considerare che fino alla fine dell’Ottocento, oltre al fabbricato racchiudevano orti, giardini e ampi fondi non edificati: di tutti questi i Vicentini hanno avuto una fortunosa restituzione con Parco Querini. Tra la cinta muraria a Mezzogiorno e il Retrone si apre il grande Campo Marzo dove si fa la fiera, separato dalla città dal fosso, un tempo più ampio e letto della Seriola, nota come Bacchiglioncello, che nasce come risorgiva alle Maddalene. Il Bacchiglioncello accompagnava la circonferenza dell’antica cinta: vi si pescavano ottimi gamberi, giravano molti mulini, i ponti levatoi delle porte permettevano il passaggio. Tristemente amputato e tombinato, ancora oggi i toponimi ne evocano il fantasma: ma in Cantarane, in stradella della Fossetta, si cercano parcheggi. Io ci torno perché al Bacchiglioncello, alle sue spoglie, qualcuno deve chiedere scusa per le ingiurie, i rifiuti, i fetidi scarichi dell’ultimo secolo. Di là dal fosso vedo la città dietro il terrapieno e le mura orgogliose. I soldati di Federico II arrivarono qui, la sera della vigilia di Ognissanti nel 1236. I difensori, abbandonati dai reggitori della città a dire il vero, ebbero il cuore di resistere all’imperatore, dagli spalti lanciarono parole insolenti. Vicenza fu subito presa e subì un duro castigo. Durante le pestilenze i malati erano ammassati in grande baracche e l’area dventava un lazzaretto. Una delibera del Consiglio del Comune del 1612 sull’uso del campo, che si estendeva fino al complesso di San Felice, permette dietro pagamento il consueto pascolo delle bestie, e ordina al podestà “di aver cura di far mantenere gli alberi e le entrate e restaurare il muro in modo che alcun lupo non possa entrarvi”, scavare “la fossa grande, che circonda Campo Marzo, ed estirpare le erbe cattive ed offensive”. Era vietata la caccia e a chi commetteva furti 10

si comminavano multe salate o si tagliava la mano. Ancora alla fine del ‘700 l’intero giro delle mura cittadine, ancora integro, separava nettamente città e campagna. Libero da costruzioni permanenti, il Campo Marzo è da secoli il parco di Vicenza. Le papere oggi sono tornate sul letto del Bacchiglioncello e coraggiosamente si avventurano fino alla confluenza con il Retrone, indifferenti agli esseri umani, che spendono là le giornate, e la cui malvoluta esistenza ha determinato l’esito delle recenti elezioni comunali. Per ironia della sorte, il Campo Marzo, marcio per i periodici allagamenti, fu anche luogo di esecuzioni capitali. Ma fu anche area di feste, di mercati, di gare e tornei (ed esercitazioni militari) a cui la popolazione prendeva parte. Sotto dominio austriaco, divenne il luogo del pubblico passeggio e si progettò lo stradone centrale, che non ebbe mai funzioni viarie, ma di ristoro e distrazione. Fu chiamato viale dei Platani, e dal 1927 viale Dalmazia.

Pianta Angelica

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VICENZA MEDIOEVALE

VICENZAMAGAZINE Campo Marzio - Foto aerea di Tranquillo Cortiana

Roberto Plevano - Marca gioiosa -Neri Pozza, 2017. “La storia di un esule all’inizio del tredicesimo secolo dalla Provenza all’attuale Veneto è la metafora della diffusione della lirica provenzale nella penisola in un tempo cruciale per la definizione di un’unica lingua letteraria. Storia avventurosa e colta, piena di personaggi e idee, e un felice mix di invenzione e realtà, Marca Gioiosa colpisce perché non si omologa a quanto va per la maggiore in libreria. Tra le sue pagine si impara tanto, ed è anche questo che si chiede alla letteratura. Plevano si rivela autore di rare sensibilità e cultura, un esordiente con i fiocchi, da cui è lecito aspettarsi altri volumi interessanti.” (A. Bollino) “Un romanzo di cesellata finezza, con ben poca necessità di limature, ben circoscritto nei vari quadri, in equilibrio tra momenti di tenerezza ed efficaci attraversamenti dell’orrore, dai personaggi, anche i minori, quasi sempre ben disegnati e dal finale aperto (per una eventuale ripresa). Che diluisce nella narrazione, senza soffocarla, una riflessione sul potere e la sua follia.” (E. Paccagnini “La Lettura”, 24 settembre 2017)

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IMAGO URBIS

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PALAZZO DELLA RAGIONE Le trasformazioni dopo l’incendio del 1444 fino al progetto di Andrea Palladio del 1548

di Giuseppe dalla Massara Testo contenuto nell’opera “ FU BASILICA” - Master Edizioni

Nella sua carriera di architetto Palladio realizza 80 progetti con 16 palazzi realizzati a Vicenza, 30 ville, 4 edifici pubblici. Cinque sono i ponti e 15 gli edifici religiosi, tre teatri e nove ancora opere di varia natura. Cinque sono le sue pubblicazioni e una non pubblicata. Con questa nuova opera dal titolo E FU BASILICA l’autore prova a scrutare tra le opere palladiane per trarre occasioni di nuove riflessioni e insospettabili ipotesi.

© Riccardo Contarin

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PALAZZO DELLA RAGIONE

Il“cewntro commerciale” all’interno del Palazzo della agione

1. Sotto i portici della Basilica sono ben riconoscibili i tre edifici che compongono la struttura originaria del palatium pubblico, simbolo di Vicenza: il Palazzo Vecchio (Vetus), la Camera degli Anziani e il Palazzo del Podestà

2. Le quattro torri. La Torre Storta, probabilmente pericolante, venne abbattutainsieme alla Torre Alta per fare spazio alle logge.

3. Disegno della Torre Tonda dipinta nella “La Pietà” dal Bellini (n.9 pagina seguente)

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l Palazzo della Ragione di Vicenza subisce nel 1444 un rovinoso incendio. La città, ferita, non accetta l’umiliazione, e nel corso della pubblica riunione del 19 marzo 1444 ritrova subito le energie e l’orgoglio per deliberare l’immediata ricostruzione: “Più grande e più bello di prima”. Viene subito chiamato in città il ‘mastro’ delle nuove opere, Domenico Veneziano, che riceve l’incarico di progettare e ricostruire il Palazzo, con il contributo di 3000 ducati della Serenissima Repubblica. Contemporanea è la soprelevazione oltre la cella campanaria della Torre Bissara, che viene così trasformata in ‘campanile’, più o meno com’è oggi (82 metri di altezza). Nel pomo dorato, nel 1557, sono collocate le reliquie ispezionate nel corso del più recente restauro. Con altri acquarelli abbiamo ricostruito l’immagine della Vicenza di quei momenti, per raccontare con una serie di visioni il sistema delle piazze, frantumato in vari spazi tra torri, palazzi, case e casette. Al centro sono i palazzi (1), tutti acquisiti dalla Municipalità: il Palazzo Vecchio (Vetus), la Camera degli Anziani e il Palazzo del Podestà. Ai quattro angoli (2) di questo blocco edilizio, quattro torri fanno da guardia. A oriente dei Palazzi la Torre dei Bissari, che rimane la più alta, e la Torre del Tormento, sinonimo di patrie galere, dove verranno rinchiusi anche eroi del Risorgimento. Del versante occidentale sono la Torre Storta e la Torre Alta. Queste due oggi sarebbero venute a trovarsi in parte o del tutto dentro il perimetro delle logge sia del Formenton che del Palladio e per questo vennero abbattute. Nel 1982 nel corso di alcuni scavi eseguiEVENTICULTURALI

ti abbiamo avuto modo di vedere quelle fondazioni di forma quadrata. Mentre la Bissara e la Tormento sono ancora lì a farsi fotografare, le seconde le vogliamo far vedere con i nostri acquerelli, di cui la ‘Storta’ inclinata era probabilmente pericolante, mentre alta e bella era la “Tonda”, come la descrive Bellini. Ai dipinti di Giovanni Bellini è sempre stata attribuita massima fiducia, viste le tante vedute realizzate, lui già famoso cartografo. Vogliamo così ritenere attendibili anche la famosa ‘pala’ che tanto attira la nostra attenzione. Lasciamo al lettore curioso il piacere di valutare la città in questa ‘nuova versione’. Nel Veneto le torri cilindriche sono numerose, e non solo nella vecchia Caorle. La stessa Vicenza ne vantava molte, vista l’incisione del Salmon del 1754, che mostra almeno 67 torri nella sua panoramica “La città delle cento torri”. Anche dalle incisioni del bel volume “Città bellissima” edito dalla Biblioteca Bertoliana nel 1985 almeno nove di esse paiono essere tonde, ma è solo pittura! Tra le volte del piano terra dei vari palazzi della Ragione si sviluppano gli antesignani dei “centri commerciali”. Li troviamo nei centri storici del Veneto, realizzati nei secoli scorsi e sviluppatisi attorno a una piazza o a una galleria coperta, da Castelfranco ad Adria, a Legnago, per non citare i capoluoghi con palazzi e logge comunali quattro e cinquecentesche (4). Nel XV secolo le municipalità delle città italiane sviluppano i portici, per dare riparo e comodità alla gente e al commercio. E lì è una bottega dopo l’altra, a Bologna, come a Padova, a Vicenza come a Treviso. 13


IMAGO URBIS: IL QUATTROCENTO

4. Esempi di torre tonda in Italia

5. Palazzo della Ragione a Padova

6. Carta del Peronio con il nuovo palazzo

7. L’intervento di Domenico Venezianio -1457

VICENZAMAGAZINE Un’operazione voluta proprio per dare nuova immagine e nuova funzionalità alla città. Alcuni comuni sono arrivati a porre il ‘portico’ quale condizione per ottenere l’accesso alla nobiltà. Infatti oltre alle condizioni di alta moralità, di fedeltà, di possesso di cavalli e stallieri, cioè di potere economico, l’ambizioso cittadino doveva possedere ‘casa con portico’. Evidente è la strategia di una pianificazione urbanistica. Così le nostre città nei secoli scorsi erano già ben ricche di percorsi coperti di alto valore urbano, estetico e funzionale. La ‘Galleria Vittorio’ di Milano arriva nel 1877, simbolo delle ambizioni milanesi. Curioso è vedere le nostre città con gli occhi di Giovanni Bellini, i cui capolavori vanno guardati, oltre che per la loro bellezza complessiva e per il loro messaggio iconografico e religioso, anche per i tanti preziosi dettagli del paesaggio che risultano così rilievi quasi ‘fotografici’ del territorio. Il primitivo Salone del Palazzo vicentino, del 1262, è ampliato ed ammodernato sino all’incendio che lo colpisce nel 1444. Questo diventa occasione per l’ambiziosa e funzionale ricostruzione, completata nel 1462 con la nuova carena di copertura protetta dalle lastre di piombo, proprio come quello Padovano (5). Posto al piano superiore, il Salone che convive quindi con il mercato coperto, la Piazza delle Erbe e quella della Frutta, e più tardi Piazza dei Signori. E’ il nuovo Foro che sostituisce il più ‘antico ‘Forum’, ancora all’incrocio di cardo e decumano. Alla fine del ‘400, con la carta del Peronio (1481), il Palazzo è rappresentato in una visione ingenua (6), confermando comunque che esso è caratterizzato da grandi oculi (finestre ovali) e da tre grandi gallerie che l’attraversano da parte a parte, oltre che da una grande polifora. Visioni, qui riproposte in acquerello, mostrano alcune ipotesi, non distanti dalla realtà, che raccontano lo sviluppo architettonico del Palazzo.

8. Le logge di Formenton nel 1495

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Nel corso degli anni questo si arricchisce di rivestimenti e di nuove aperture gotiche, in ossequio alla moda del ‘400 vicentino , nonostante il più moderno ‘Rinascimento’, sino alla costruzione dello scalone nord occidentale dei Lombardo (Pietro e Tullio) e alle tanto ambite logge. Lo scalone posto sul lato sud occidente è copia di quello dei Lombardo, ma di epoca barocca (1610). In questi acquarelli non abbiamo riportato le casette addossate al Palazzo, alcune delle quali sono tutt’ora sotto le logge e ci siamo permessi invece qualche libertà per gustare il Palazzo nel suo look ideale. Il nuovo grande Palazzo della Ragione di Vicenza (7) , con delibera della Municipalità in data 19 marzo 1444, subito dopo il rovinoso incendio, è affidato al mastro Domenico Veneziano. La copertura in piombo sarà completata nel 1457 e la grandiosa costruzione avrà misure di 52 metri di lunghezza per 22 di larghezza e 24 d’altezza. Una costruzione maestosa, possente, ingentilita dalle finestre gotiche che danno nuova luce al salone. Nel 1481 le richieste di ‘mercato’ (diremmo oggi) chiedono ampliamenti e migliorie, e così si decide la costruzione di un giro di logge proprio, come si è già fatto a Padova. Nel 1482 le logge di Tommaso Formenton sono in cantiere attorno al Palazzo Comunale (8). Nel 1495 ormai tutto è fatto e si aggiunge all’angolo nord occidentale il prezioso scalone di Pietro e Tullio Lombardo; ma il crollo di queste nel 1496 provoca un duro colpo alle ambizioni vicentine, in competizione proprio con le vicine di Padova e di Verona. Alle ore 19 e 20 del 20 marzo 1496, solo un anno e mezzo dopo la fine dei lavori, crolla rovinosamente l’angolo sud occidentale, quello verso le Pescherie, sopra quella modesta scalinata che, tra le case, porta verso piazza delle Erbe. Forse per la voglia di leggerezza, forse per il voler imitare un’opera come quella padovana per certi versi tecnologicamente già superata, forse per il cedimento del


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12. Giovanni Bellini: particolare della “Pietà” - Accademia di Venezia

9. Il crollo del 1496

10.Gli interventi di riparazione dopo il crollo

La copertura realizzata da Veneziano

terreno o per la mancanza di catene tiranti in ferro da porsi tra le arcate troppo leggere: crollo fu! (9) Sarà stata forse una falda d’acqua a creare tanti problemi alla stessa Basilica? Grazie agli stimolanti contributi giunti per il Concorso indetto dalla municipalità, si arriva presto dal disastro al riscatto. Vengono subito chiamati per un consulto al capezzale del palazzo ferito i grandi architetti del momento, Antonio Rizzo e poi Giorgio Spaventa. Questi danno luogo a interventi posticci (10), di rattoppi con pilastri un po’ più solidi o con massicci pilastri ai quattro angoli . Il pur bravo Antonio Rizzo abbandona l’incarico inseguito dalle ‘guardie’ per peculato commesso già a Venezia. Poi è il turno di Antonio Scarpagnino nel 1525. Il dibattito coinvolge i maggiori architetti del tempo stimolando fantasie e invenzioni che fanno discutere ancor oggi. Giovanni Bellini (1431-1516) nei suoi dipinti ci riporta solo una parte del “chiacchiericcio” già vivace da almeno quarant’anni in Italia. Nel capolavoro ‘La Pietà’, all’Accademia EVENTICULTURALI

di Venezia (11), è chiara la visione che l’artista ci lascia di una Vicenza vista da Sud, cioè dal Campo Marzo (12) verso la Porta di Castello, con la torre e le mura, con il Retrone e la Seriola ben evidenti e al posto giusto. Altrettanto perfette sono le sagome del Duomo e della Torre di Piazza, come verosimile deve essere il volume corrispondente alla loggetta Zen posta a sfondo del giardino del Vescovado. Tra tante silhouette ben riconoscibili appare ancora la torre cilindrica, di grande bellezza ed eleganza, che non possiamo ritenere di pura fantasia. La tela è databile tra il 1500 e il 1505. Per me invece il Palazzo è stato dipinto da Bellini già nel 1480 con la caratteristica copertura a carena che ricorda la sagoma di una nave rovesciata e per i sottostanti colonnati.

11. “La pietà” di Giovanni Bellini (1500-1505)

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LE LOGGE DELLA BASILICA Genesi del progetto di Andrea Palladio Dal concorso al cantiere

C

ome era il cuore di Vicenza nell’anno 1500? Sicuramente erano già state demolite le molte casette che occupavano parte della Piazza Grande, poi dei Signori, e quelle di Piazza

Biade. Al centro dell’inquadratura che mostriamo nell’ acquerello (1) vi è Corte Bissara, con il Pozzo Rosso (forse quello in deposito nel chiostro del Museo Archeologico) e il gotico Palazzo Pretorio con le due rampe di scale che lo caratterizzavano; a sinistra la Domus Comestabilis e a destra il Palazzo degli Uffici o Tribunali. In primo piano il fronte delle prigioni, oggi demolite e ricordate solo dal nome della via ‘Catene’. La chiesa dei Servi sulla destra è ancora in attesa della facciata barocca e delle sculture di Orazio Marinali, che arriveranno nel XVIII secolo. Con orgoglio la città nel 1464 innalza la bella colonna con il Leone Marciano.

L’altra, dedicata al Redentore, rimarrà a terra sino al 1610 a causa di un incidente di cantiere. In quest’altro nostro disegno (2) mostriamo le logge della Basilica, mettendo in risalto il tracciato in rosso delle fondazioni di prossima costruzione. La pavimentazione di piazza era probabilmente di cotto, rossa appunto, come quella disegnata. A sinistra sono i ‘fantasmi’ delle due torri cilindriche, ormai ingombranti e per questo abbattute, per dare spazio al nuovo Palazzo della Ragione con Logge: la futura Basilica. Leggermente marcato è il tracciato coincidente con il vecchio cardo romano lungo il quale si staglia il rinnovato simbolo amministrativo, economico, culturale e giuridico della città, con sottostante il grande Centro Commerciale.

© Giorgio Marino

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2. EVENTICULTURALI

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IMAGO URBIS: IL CINQUECENTO LE PROPOSTE PROGETTUALI Solo nel 1538 Vicenza può aprire il concorso architettonico di rifacimento del logge promuovendo il grande Jacopo Sansovino come nuovo proto, cioè il curatore delle bellezze urbane; proveniente da Venezia, dove sta realizzando la nuova Libreria Marciana e facendo interventi presso il Duomo di Montagnana. Nel 1538 è anche la volta di Sebastiano Serlio, il grande teorico della nuova architettura, che accetta un adeguato compenso lasciando però solo una bozza di progetto dove concentra le teorie e i ‘segni’ più tipici del suo linguaggio. Nel 1541 è la volta del veronese Michele Sanmicheli, pagato undici ducati, di cui però non abbiamo disegno alcuno, mentre Andrea di Pietro, già battezzato Palladio da Giangiorgio Trissino, ormai divenuto potente monsignore della corte pontificia, presenta una sua prima proposta. La municipalità di Vicenza in data 30 novembre 1542 chiede consulenza a Giulio Romano, affermato architetto e artefice presso la corte di Mantova. E’ proprio Andrea con l’amico Valeriano Valle e lo stesso Giulio Romano a compiere un indimenticabile viaggio sul Lago di Garda onde ottenere un qualche progetto. Giulio Romano per 50 ducati di compenso è in città nel 1543, e con molta professionalità lascia vari disegni e una dotta relazione. Sfortunatamente muore il 21 gennaio 1546. In realtà sappiamo poco della sua presenza a Vicenza e di quale sia stato il suo concreto contributo per i tanti dettagli di Palazzo Thiene, messi in atto da Palladio e a lui riferibili. Da mie ricerche sembra possibile confermare il prolungamento della sua permanenza nel Vicentino per una visita di qualche giorno sui Colli Berici, attratto dalla cava della pietra di Nanto, che incuriosì lo stesso Donatello. E senz’altro ha visitato inoltre il non lontano Covolo di San Daniele, il che appare evidente in un suo riquadro ad affresco di Palazzo d’Arco a Mantova. 18

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Nell’affresco (2) si legge perfettamente quel covolo dalla bellezza monumentale visto dal suo interno con sullo sfondo riconoscibili il Monte Madonna e il Monte Venda dei Colli Euganei (3). Cosa che impone nuove valutazioni in merito a quel compenso riconosciutogli e sin’ora non meglio giustificato. Quale segno lascia Giulio Romano (1499 -1546) col suo passaggio del 1443 a Vicenza? Lui, artefice dei ‘lucidi inganni’ e di ogni iniziativa artistica presso la Corte di Mantova dal 1524 al 1546, si conferma degno successore di Andrea Mantegna. A Vicenza il geniale Giulio risponde con un “prendi qua, aggiungi là”, come fece a S. Benedetto Po, ma a sorpresa esce con la proposta di un intervento urbanistico. Era reduce dai suoi successi a Palazzo Te e a San Benedetto Po, dove aveva creato un eccezionale esempio di ristrutturazione intelligente (4). L’arte di Giulio deve aver lasciato su Andrea enorme emozione se sin dall’inizio della produzione del nostro, molteplici sono i riferimenti, riconosciuti al maestro sin dalle prime opere del nostro che proprio per questo viene incaricato di avvicinare il più anziano maestro e portarlo a Vicenza. Il progetto lasciato da Giulio in città per le logge (5) è di alta qualità formale e strutturale, specie se si pensa alle problematiche tecniche e funzionali poste. Una successione di vuoti fatti di arcate in un ritmo accelerato è così fortemente ritmato da porre quasi angoscia. Progetto capace di dare il senso del dominio dell’architettura sull’intero spazio circostante (le piazze), tanto che, alla proposta architettonica quasi buttata sul tavolo di lavoro senza troppe pressioni, quasi scherzando, com’era nel suo carattere, pone una serie di soluzioni urbanistiche a dir poco sconcertanti. Lo infiamma l’idea di innalzare il monumentale palazzo della municipalità a onore della ‘buona reggenza democratica’ della città, quasi dimenticando che lui lavora invece da tempo per una Signoria. EVENTICULTURALI

2 e 3. Confronto tra l’affresco e la veduta dei Colli Euganei

4. Intervento di Giulio Romano a San Benedetto Po


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5. Il progetto di sistemazione della piazza di Giulio Romano

Secondo le idee di Giulio, un’unica grande piazza doveva circondare il Palazzo, valorizzato, circondato da un lungo portico avvolgente l’intera piazza su un unico livello come a Loreto, come a La Mecca o all’Escorial. Una proposta a dir poco colossale, ambiziosa, utopistica, non affrontabile da una città che allora contava non più di 20000 abitanti. Sarebbe stato tra l’altro necessario livellare Piazza delle Erbe, con demolizioni e ricostruzioni. Il Palazzo viene proposto al centro della grande spianata. Misura pure la Cloaca Maxima e la propone di 16 piedi di diametro.

5. Il progetto di Giulio Romano EVENTICULTURALI

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MONUMENTI STORICI

5. Il progetto di Andrea Palladio (in alto) e di Giulio Romano

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IL CONCORSO Nel febbraio 1543 Andrea Palladio, dopo un ultimo viaggio a Roma, prepara il suo progetto finale in attesa della riunione della Commissione in programma il 6 settembre 1548. Questa restringe la selezione a tre progetti e, dopo un lungo e acceso dibattito, la sera dell’11 aprile 1549 il Comitato affida l’incarico definitivo ad Andrea Palladio con 99 voti a favore e 17 contrari. E’ evidente come nel progetto di Andrea Palladio si accumulino gli insegnamenti non solo di Vitruvio e Serlio, ma pure di Sansovino. E’ così che con quell’incarico la città di Vicenza si lega ad Andrea di Pietro detto Palladio che, con il grande modello al vero di una sua arcata, proposta sul fianco del palazzo, inizia quel legame con la storia di Vicenza. La città darà fama a Palladio e legherà la propria storia al suo nome e alle sue opere EVENTICULTURALI

a soddisfarne le ambizioni. Con la scelta, peraltro fortemente promossa da Giangiorgio Trissino, Palladio è ormai riconosciuto principe della cultura vicentina e con le motivazioni esposte pubblicamente, ottiene l’incarico dei lavori. Così esprime il suo entusiasmo nel suo “Quattro Libri” pubblicato nel 1570: “Si come gli antichi faro le lor Basiliche, acciò che il verno, e la state gl’huomini avessero ove raunarsi a trattar comodamente le lor cause, e i lor negozi: così a tempi nostri in ciascuna Città d’Italia e fuori si fanno alcune Sale publiche, le quali si possono chiamar meritamente Basiliche; …. i portici, ch’ella ha dintorno, sono di mia invenzione: e perché non dubito, che quella fabrica non possa esser comparata agli edificii antichi, e annoverata tra le maggiori, e le più belle fabbriche, che siano state fatte dagli antichi in qua, si per la grandezza, e per gli ornamenti suoi”.


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e natura, e non solo quella antropica, ma tutto ciò che è presente tra il costruito, il paesaggio o natura. Palladio ebbe il dono di scoprire e riscoprire la romanità, con i suoi viaggi a Roma, ma non solo, perché conosciuta l’arte degli antichi seppe ridisegnare il presente. Di tanta ricerca ed esperienza Palladio ideò in particolare l’arte del costruire in pensieri e in progetti facili da leggere, da interpretare e da tradurre ancora in cantiere, tali da emozionare il lettore, proprio per la loro semplicità, complice la simmetria, come i più semplici ‘rapporti’ proporzionali. Così come fu in un più o meno lontano passato classico . Essenziale e fondante fu inoltre il suo fare l’architettura in cantiere, quasi una missione, che ebbe a corrispondere per lui ad una scuola in continuo fieri, in tutti i suoi aspetti, diventandone di volta in volta allievo e maestro. Palladio, dopo aver compiuto i suoi primi viaggi a Roma e aver visto tanta arte, si trova in una Vicenza dove poteva vedere ancora ed esaminare i ruderi del Teatro Berga, così come aveva avuto modo di essere aggiornato sui teatri di Nimes e di Pola. Questo gli riserba ancora la possibilità di esaminare e scoprire altri segreti e tecniche dell’antica Roma, arricchendo ancora le sue conoscenze del cantiere più ricco, quale era quello della Roma antica. Andrea non solo ‘legge’ l’architettura, ma studia pure i testi antichi, da Giulio Cesare a Vitruvio, senza ovviamente rinunciare a continui aggiornamenti con la scuola moderna legata ai maestri del Quattrocento specie fiorentino come Brunelleschi, Alberti, Peruzzi …... Master Edition

In realtà non è cosa da poco l’incarico ottenuto da Andrea di Pietro, considerato che il concorso per l’assegnazione dell’opera è stato oggetto di dispute, dibattiti, esami di progetti e della convocazione dei massimi architetti del tempo. Il 13 agosto 1549 iniziano i lavori, che procederanno però con alterne vicende. Tre anni dopo risultano essere in opera due archi a nord est, vicino alla Torre. Nel frattempo nuovi incarichi giungono al bravo Palladio. Nel 1558 non è ancora completo il secondo livello verso la piazza. Giorgio Vasari nel 1568 nel suo “Le Vite”, non si apre a molti elogi verso il Palladio. Il grande critico è adulatore quando vuole, ma a volte smemorato, a volte distratto. Il 1570 è un anno ricco di eventi, a cominciare dalla Battaglia di Lepanto, ma pure della nomina di Andrea a Proto di Venezia e per la pubblicazione del suo “Quattro Libri dell’Architettura”. Molti sono gli incarichi per ville e palazzi: almeno 23 sono oggi le opere confermate da documenti e dalla critica. RIFLESSIONI Tutto è stato scritto su Andrea Palladio. Cosa poter aggiungere ancora se non alcune osservazioni personali su cosa mosse tanta inventiva e perché oggi lo riconosciamo inventore e non solo e non tanto reinventore del mondo romano, ma padre di un nuovo linguaggio architettonico che ha conquistato il mondo moderno. Palladio con le sue architetture risponde innanzitutto ad una visione tipicamente veneziana, ancor più che vicentina, dove la resa artistica esplode non solo per coinvolgere gli occhi o la mente, ma tutti i sensi, cioè la natura tutta; anzi è fusione tra uomo

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Giuseppe dalla Massara

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CRISTOFORO DALL’ACQUA più che vedute le sue sono visioni diVicenza (e “impossibili”) di Antonio Di Lorenzo

“Le sue non sono semplicemente vedute della città, ma autentiche visioni. Perché presentano delle immagini inattese attraverso prospettive impossibili di Vicenza: mettono insieme quello che l’occhio umano da solo non riuscirebbe a vedere. Ne esce un’immagine deformata della città, una realtà aumentata come si definisce oggi il prodotto fra informatica e reale.”

Cristoforo Dall’Acqua: veduta di Vicenza da Campo Marzio

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Boscarati: Ritratto di Dall’Acqua

Nella splendida cornice di Palazzo Cordellina è stata inaugurata giovedì 2 maggio la mostra “Vicenza in scena, realtà e vedute di Cristoforo Dall’Acqua” che rimarrà aperta fino al 23 giugno. Cristoforo Dall’Acqua,incisore, acquafortista e bulinista vicentino del 700, mostra la propria città in dieci vedute tra realtà e visione in cui dove fa scoprire la città ai viaggiatori. Tra le vedute a stampa, che provengono dalle raccolte della Bertoliana e dai Musei Civici di Palazzo Chiericati oltre che dalle collezioni IPAB di Vicenza, possiamo ammirare anche il ritratto di Dall’Acqua per mano del pittore Boscarati.

VISIONI E NON SOLO VEDUTE. Le sue non sono semplicemente vedute della città, ma autentiche visioni. Perché presentano delle immagini inattese attraverso prospettive impossibili di Vicenza: mettono insieme quello che l’occhio umano da solo non riuscirebbe a vedere. Ne esce un’immagine deformata della città, una realtà aumentata come si definisce oggi il prodotto fra informatica e reale. Perché, duecento anni prima del bit, è esattamente quello che fa lui: va oltre i confini della rappresentazione conosciuta e aumenta la realtà. Le incisioni di Cristoforo Dall’Acqua diventano l’anatomia di una città sognata, non solo la descrizione di quella Vicenza, la sua, che esisteva nel Settecento. C’è un’anima nelle sue vedute, che, a saperla leggere, racconta parecchio anche del carattere della città. L’anima che le agita, a ben guardare, è la stessa caratteristica che si riscontra nelle vedute di Vicenza di Neri Pozza: “Come in Giotto e Cezanne quando la veduta si diventa visione si capisce la differenza tra illustratore e artista”. Lo spiegava a proposito di Pozza un trentacinquenne Vittorio Sgarbi, che firmò nel 1987 la prefazione al catalogo delle sue incisioni, scelto da Pozza che aveva intravisto in quel giovane delle qualità rare. La diagnosi di Sgarbi diventa vera anche a proposito di Dall’Acqua: la sua città ha EVENTICULTURALI

un’anima, la sua veduta diventa visione. C’è un filo rosso, quindi, che collega i due autori distanti quasi 200 anni - e sono gli unici due che realizzano questa impresa mentre un terzo collega, Marco Moro, che pure racconta la Vicenza dell’Ottocento, ha un’impostazione differente: Moro, infatti, disegna singoli palazzi, propone gemme architettoniche, ma non offre una veduta della città. Tantomeno una visione. LA MOSTRA. A palazzo Cordellina in contrà Riale a Vicenza, nella sede d’onore della Bertoliana è stata allestita la prima mostra scientifica di ampio respiro su Cristoforo Dall’Acqua. Si tratta di un’esposizione di alto livello, sia per i contenuti e sia per l’eleganza dell’allestimento. Intitolata “Vicenza in scena. Realtà e visione nelle vedute di Cristoforo Dall’Acqua”, è curata da Laura Sbicego e da Chiara Bombardini, funzionaria della biblioteca la prima, studiosa dell’artista la seconda al punto da dedicargli un “phd” all’università. Incisioni, libri, dipinti raccontano la vita non sempre facile - di questo artista, tanto noto a Vicenza (le riproduzioni delle sue incisioni si trovano dappertutto, anche nei bar) quanto finora poco esplorato e conosciuto. E’ la prima mostra della presidenza di Chiara Visentin, iniziata nell’ottobre 2018. E, come si dice, se il buongiorno di vede dal mattino… 23


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L’UOMO E L’ARTISTA. Tutto attorno a lui odora di mistero. E anche di sfortuna, compresa la morte. Cristoforo Dall’Acqua (1734-1787) vive nel Settecento veneziano di Canaletto, che ha 33 anni più di lui, di Antonio Vivaldi, che muore sette anni dopo la sua nascita, di Carlo Goldoni e di Giacomo Casanova, che ha solo nove anni più di lui. Il padre Valentino è pittore, lo zio Giandomenico è perito: disegna la pianta di Vicenza del 1711, e molte sue opere saranno utili al nipote per le sue incisioni. Cristoforo nasce il primo aprile del 1734: è figlio d’arte, la sua casa-bottega si trova tra Santa Croce e i Carmini. A diciannove anni, nel 1753, produce la prima stampa artistica per l’editore Conzatti di Padova. Fra il 1757 e il 1764, cioè tra i 23 e i 29 anni, collabora con i Remondini di Bassano, celebri mercanti d’arte che arrivarono sino in Russia. Loro gli mandavano a Vicenza i disegni, specie di Antonio Novelli, e lui li trasformava in incisioni. Non avrà mai un rapporto facile (nè felice) con i Remondini. La corrispondenza testimonia solenni arrabbiature dell’artista con l’editore: l’uno voleva essere pagato di più, l’altro cercava di risparmiare. Aveva un carattere fumino, il Nostro. Anni dopo, nella sua maturità, se la prende anche con Ottavio Bertotti Scamozzi, che l’aveva ingaggiato per illustrare il suo Forestiere istruito. Consapevole del suo valore, Dall’Acqua chiedeva più soldi per il suo lavoro, ma il vecchio architetto se ne domandava il motivo: “Che cosa mai dovesse fare dei quattrini Dall’Acqua - si chiedeva - visto che Vicenza non era Venezia e i motivi di divertimento erano scarsi?”. Insomma, i due litigano e il rapporto si interrompe. I soldi furono un suo problema costante: anche se proveniva da una famiglia non indigente, i quattrini rappresentavano un assillo: in una lettera spiega chiaramente che non ha i soldi per pagare l’affitto.

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INTERPRETE DEL BAROCCO. Cosa succedeva a Vicenza nel Settecento? La città, che aveva 28mila abitanti, era caratterizzata dall’esplosione edilizia e dall’irrompere del barocco in architettura. Nasce per esempio il quartiere di porta Nova, Francesco Muttoni disegna palazzo Velo in contrà Cantarane, di fronte al quale sorgerà nel 1748 palazzo Vecchia. Lo stesso Muttoni progetta i portici di Monte Berico: questa nuova architettura è una rottura con il passato, perché i portici rappresentano un nuovo modo di agganciare la Basilica e Campo Marzo al santuario. Non si passa più per le Scalette, i visitatori hanno a disposizione un percorso diverso. Insomma, nella città si respira aria nuova. E, infatti, uno dei soggetti delle vedute di Dall’Acqua saranno proprio i Portici di Monte Berico. Più in generale, lui diventerà un’espressione del barocco, ossia dell’architettura della borghesia, nuova classe sociale emergente. VEDUTE E PROSPETTIVE IMPOSSIBILI, COME DE CHIRICO. Dall’Acqua produce molto, soprattutto per l’editoria. Lo testimoniano i molti libri presenti nella mostra. Lavora anche per i massoni, come Antonio Turra a Vicenza (marito di Elisabetta Caminer), segretario dell’Accademia dell’Agricoltura, e per il veronese Lazzaro Riviera. Anzi, il ritratto di Dall’Acqua più famoso, presente nella mostra, è dipinto da Felice Boscarati, pittore veronese che pagò a caro prezzo i suoi rapporti con Riviera e la massoneria. Che invece riuscì a proteggere Dall’Acqua. Le opere più note dell’incisore vicentino, comunque, restano le vedute della città. Che esprimono, a guardarle, una sensazione di disorientamento, perfino una leggera nausea, come quella che assaliva molti da bambini in gita in corriera lungo i tornanti. Come mai? È una questione di equilibrio. Nelle sue incisioni, infatti, non c’è una sola prospettiva e un unico punto di fuga in cui si concentrano tutte le linee, ma ci sono diverse prospettive e altrettanti punti di fuga. In altre parole, Dall’Acqua mette insieme in un solo disegno vari pezzi, come fossero tante fotografie unite una con l’altra per mostrare un panorama completo. In questo modo ottiene ampiezze e profondità irreali: l’occhio umano, infatti, ha un campo visivo di 30-40 gradi, il grandangolo della macchina fotografica amplia lo sguardo a 135 gradi mentre le prospettive di Dall’Acqua arrivano a 180 gradi. L’esempio dell’incisione di San Biagio è indicativo: in quel disegno, partendo da contrà Pedemuro san Biagio l’incisore riesce a far vedere sulla sinistra la chiesa di San Marco, che in realtà è invisibile a occhio nudo, mentre in fondo fa risaltare la chiesa di Araceli, lontana 850 metri, che pure in una visione normale resterebbe nascosta. “È una scomposizione dei piani che se non arriva agli effetti di un Picasso – spiega Laura Sbicego – può ricordare lo stile dei quadri metafisici di Giorgio De Chirico.

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IMAGO URBIS: IL SETTECENTO

VICENZAMAGAZINE ERA UN IMPRENDITORE. Nei suoi disegni, Dall’Acqua porta in primo piano architetture lontane; nelle sue prospettive mette in risalto palazzi che resterebbero nascosti, oppure li avvicina all’osservatore utilizzando un suo effetto zoom molto personale. Perché si comporta così? La sua è un’interpretazione creativa dei paesaggi: lui non utilizza la camera ottica come Canaletto, che sfrutta questo strumento per ottenere una riproduzione assolutamente fedele all’originale. Dall’Acqua avvicinava i palazzi che gli interessano, espande l’ottica, sbalza le prospettive anziché allinearle. Da dove nasce questa esigenza? Dal desiderio, anzi dalla necessità, di compiacere i suoi committenti, tra i quali ci fu anche la stessa città di Vicenza. Quando si apprestava a realizzare una serie di vedute, infatti, contattava i possibili acquirenti, cioè le famiglie nobili della città, che andavano a costituire una sorta di suo azionariato diffuso. Loro si impegnavano ad acquistare le opere, e lui ricambiava citando il loro palazzo nella legenda dell’incisione. Così lui si finanziava e contemporaneamente legava alla storia il nome degli acquirenti, solleticando la loro vanità. LE MACCHIETTE. Le vedute della città, che mettono sempre al centro una piazza, sono arricchite da molti elementi popolari. Sono le macchiette, che esprimono sprazzi di vita quotidiana vicentina: il teatrino, i poveri, gli storpi, la brigata goliardica, i giocolieri, i saltimbanchi, il cane e così via. A dire la verità, oltre a dare vivacità al lavoro questi piccoli disegni servivano anche a coprire gli errori della prospettiva.

UNA MORTE MISTERIOSA. La vita privata di Cristoforo Dall’Acqua fu tutt’altro che felice. Ha tre figli, ma due muoiono in tenera età: il terzo figlio, Giuseppe Dall’Acqua (1760-1810) proseguendo sulla tradizione artistica della famiglia diventerà anche lui incisore. Sarò nominato anche bidello dell’Accademia Olimpica, vale a dire tesoriere. Ma sarà anche espulso dalla stessa Accademia perché si impossessò di somme di denaro che doveva custodire. Insomma, aveva rubato. Scappò a Milano, ma non trovò migliore fortuna: morì suicida, il corpo fu trovato nel Naviglio. Lo stesso Cristoforo Dall’Acqua morì in circostanze poco chiare e sempre per questioni di soldi. Si ipotizza che morì avvelenato dal barone Giulio Ferrari, o, più probabilmente, morì di crepacuore (quella che oggi i medici chiamano malattia di Tako-Tsubo). Sostanzialmente rimase vittima di un collasso cardiaco, causato dalla paura di ritorsioni da parte del barone per un debito che doveva onorare. Dall’Acqua fu due volte sfortunato. Prima di tutto perché la medicina oggi ha appurato che di crepacuore muoiono quasi esclusivamente le donne, in secondo luogo perché Dall’Acqua 26

aveva intrattenuto rapporti con un personaggio davvero losco e sanguinario. Il barone Ferrari aveva scritto un libro di poesie dedicate a Laura Zusto, nobildonna veneziana moglie di Pietro Vettore Pisani, della celebre famiglia che a Bagnolo di Lonigo, fra l’altro, si era fatta costruire una villa di campagna su progetto di Andrea Palladio. Giulio Ferrari non doveva essere Petrarca a scrivere sonetti, perché suo fratello ne criticò le liriche dedicate alla Zusto: il che fece infuriare Giulio al punto tale che lo uccise sotto gli occhi della madre di entrambi. Erano tempi in cui era normale essere nobili e anche assassini sanguinari. Chissà quali furono i reali rapporti fra Dall’Acqua e Giulio Ferrari: sicuramente complicati. Chissà per quale motivo l’artista aveva avuto bisogno dei soldi che poi non riuscì a restituire. Certo che di fronte a un personaggio di quella pasta, omicida e impunito, il terrore era giustificato. Metteteci anche un cuore debole, e la vita dell’incisore se ne andò a 53 anni, due anni prima della rivoluzione francese. Lui, la sua rivoluzione l’aveva già realizzata.

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21/11/2018 11:48:03


IMAGO URBIS

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CHIESA DI SANVINCENZO Dedicata al Santo Patrono della città Vi si celebra ancora la messa in latino di Romano Concato

Il turista che oggi si trova a transitare per Piazza dei Signori difficilmente è in grado di individuare quella che un tempo era considerata una delle chiese più importanti della città, dedicata al patrono della città stessa, meta di pellegrinaggi e processioni. Non è dato sapere perché San Vincenzo sia legato alla città di Vicenza.

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CHIESA DI SAN VINCENZO

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N Le logge sono sormontate da uno splendido coronamento che mostra il Cristo compianto da angeli dello scultore Giovanni Battista Albanese, uno dei capolavori della tarda produzione dell’artista che prelude all’arte barocca. Allo stesso artista si devono le cinque statue del fastigio, che rappresentano i santi Vincenzo, Carpoforo, Leonzio, Felice e Fortunato (1614-1617). Queste opere - considerate tra le migliori dell’Albanese - ripropongono l’intensità pittorica e luministica della scultura di Alessandro Vittoria.

ell’immaginario collettivo una chiesa è un edificio spesso imponente, con annesso un campanile e prospiciente una piazza, e facilmente individuabile dall’osservatore. La chiesa di San Vincenzo di Vicenza nel 1300 era così, collocata in una posizione centrale della città e di Piazza dei Signori, ma con il passare degli anni è stata prima circondata da edifici e poi inglobata in essi. La chiesa oggi è collocata nella mezzeria del palazzo del Monte di Pietà. La facciata, realizzata nel 1614, è il risultato di un concorso vinto dai fratelli Paolo e Pietro Bonin. È formata da un gruppo di logge sovrapposte: quelle al piano inferiore ospitano l’atrio della Chiesa, e quelle superiori le stanze private del palazzo. Il turista che oggi si trova a transitare per Piazza dei Signori difficilmente è in grado di individuare quella che un tempo era considerata una delle chiese più importanti della città, dedicata al patrono della città stessa, meta di pellegrinaggi e processioni. Non è dato sapere perché San Vincenzo sia legato alla città di Vicenza. Già dai primi secoli cristiani vigeva l’obbligo dell’imposizione di un santo al nome della città. La scelta del Patrono doveva essere motivata da alcune indicazioni: l’avere ricevuto dal EVENTICULTURALI

Santo la fede o grazie eccezionali; l’appartenere alla stessa patria; il possedere reliquie insigni. San Vincenzo era di Saragozza una città della Spagna. Nella città di Vicenza non sono presenti reliquie del Santo; San Vincenzo non concesse mai una grazia alla città. La pìù probabile ipotesi è che la scelta sia stata motivata dalla somiglianza del nome del Santo con il nome della città: Vicenza - Vincenzo. L’originaria chiesa di San Vincenzo, venne edificata a partire dal 1387 nel luogo dell’antica Camera Fiscale degli scaligeri. Nel corso degli anni subì notevoli trasformazioni, sia estetiche che di orientamento, dovuti alla presenza degli edifici confinanti e dall’attività che veniva svolta nell’antistante piazza. Per accedere all’edificio è necessario superare dei gradini che conducono all’atrio. Nel 1486 l’edificio venne acquistato dal vicino Monte di Pietà, dalla finestra prospiciente l’atrio venivano effettuati scambi di pegno e prestito. Si può ancora vedere la protuberanza del davanzale su cui venivano appoggiati gli oggetti e l’inferriata dotata di apertura per lo scambio dei beni. La testimonianza di questa attività è data anche dalla presenza di un pilastro in marmo datato 1583. In esso sono riportate 29


PIGAFETTA 500° IMAGO URBIS: IL SETTECENTO

“come campione di garanzia, le misure lineari in vigore nel ‘500 a Vicenza: dal passo vicentino al piede, dal quadrello al coppo; e poi ancora quelle del braccio a panno, a seta, a raso; autore del lavoro è il lapicida vicentino Giovanni Antonio Grazioli “(M. De Ruitz - M. Saccardo, Il campione cinquecentesco di misure nella Loggia di San Vincenzo, Vicenza, 1996, pp. 10-12). L’ingresso alla chiesa non è centrale ma collocato sulla sinistra rispetto all’asse del prospetto di piazza. L’interno della chiesa è il risultato di tre ambienti disallineati: la cappella della Madonna della Mercedde, l’altare della Pietà e l’altare di San Vincenzo. Il ciclo di affreschi presenti a destra dell’ingresso nella cappella della Madonna della Mercedde sono opera del pittore e scultore Giuseppe Giordani, e rappresentano la vita, il martirio e la gloria di San Vincenzo e vennero realizzati nel 1963 in sostituzione degli affreschi settecenteschi ad opera di 30

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Paolo Guidolin. Per capire questo affresco è necessario raccontare la storia e il martirio che subì il Santo. Vincenzo nacque ad Huesca nel 300 d.C. alle propaggini dei Pirenei in Spagna. In gioventù venne affidato a Valerio il vescovo di Saragozza per completare la sua formazione culturale e spirituale (immagine in basso a destra). Il vescovo lo nominò arcidiacono e lo considerò suo braccio destro affidandogli il compito di predicare in sua vece (immagine in basso a sinistra). A causa della persecuzione dei cristiani Daciano, il prefetto della provincia spagnola, ordinò l’arresto di entrambi e le conseguenti torture. Valerio fu mandato in esilio e Vincenzo a causa della sua riluttanza a rinnegare la fede cristiana venne praticata la tortura del cavalletto (immagine in alto sopra all’altare) e della graticola con lamine infuocate. Vincenzo morì il 22 gennaio 304 e sali alla gloria dei cieli (immagine sul soffitto). EVENTICULTURALI


CHIESA DI SAN VINCENZO

VICENZAMAGAZINE L’altare della pietà risale al 1687 e venne realizzato dallo scultore Orazio Marinali, molto attivo nella Vicenza del periodo. E’ una delle più belle composizioni lasciate dall’artista su tutto il territorio nazionale. Raffigura il corpo di Cristo morto, disteso sul sarcofago e ricoperto da un drappo, affiancato da Maria e da un putto che gli tiene su la testa. E’ presente poi un’altra figura alle spalle con un angelo che tiene in mano una grande croce. Il tutto è reso drammatico dal drappo in marmo nero alle spalle delle statue sorretto da cinque putti. Lo spazio in cui è collocato l’altare della chiesa venne realizzato nel 1707 da Francesco Muttoni. E’ una stanza ottagonale con colonne doriche a fare da cornice e con il soffitto a vela. L’altare di San Vincenzo è opera dello scultore veneziano Bernardo Tabacco che riveste la pala d’altare con una cornice barocca in marmo bianco. La pala d’altare è opera di Antonio Balestra, realizzata nel 1711 e rappresenta la madonna con il Bambini Gesù tra i santi Vincenzo e Luca Evangelista. La festa di San Vincenzo si celebrava il 22 gennaio di ogni anno e a Vicenza era considerata di importanza pari al Natale. È interessante notare come essa venisse svolta in un documento del 1539: “Adi 22 zenaro, santo Vincenzo, Patron de la terra, procession a san Vincenzo, et se canta la Messa in Palazzo. Non si tiene ragione; si dèe tenia le botteghe serrate et cessare da ogni lavoro, sotto pena di libre cinque per cadauno che contraffarà, eccezion fatta par do casolini che all’hore debite et cum quella modestia che si convien possono tenir aperto l’usso et vender solamente de le cose magnative, et che sono necessarie a cadauno cotidianamente; ma i Calegarinon possono lavorare in alcun modo et solo dire li lavori fino all’hora di terza, i lattari non possino nè debbino vendere butiro et puvina, li bottegheri, artegiani aprir debboano le porte solamente nell’andare inanti et indredo et subito quelle serrar, essendo comandato da Nostro Signore Iddio che li santi giorni della Domenica, et altre feste comandate dalla Santa Chiesa siano da cischeduno osservate”. Il culto si San Vincenzo resistette fino al 1978. Nel 1917 e nel 1943 a causa delle due guerre mondiali, la città di Vicenza, a mezzo del proprio Vescovo e delle autorità cittadine, fece voto di celebrare come festa di precetto la Natività di Maria (8 settembre). La richiesta venne inoltrata a Roma dal Vescovo Arnoldo Onisto, e venne accolta e ratificata dal Cardinale James Knox, Prefetto della Congregazione per i Sacramenti e per il Culto Divino. Bibliografia: Ofelio Bison – San Vincenzo Martire a Vicenza – istituto S.Gaetano – Vicenza 1955 E. Reato, F. Lomastro, A. Ranzolin, G. A. Cisotto, R. Cevese – Il monte di pietà di Vicenza – G. Rumor editrice – Vicenza 1986 Alessadra Pranovi – Monte di Pietà cuore di Vicenza dal 1486 – Stampa digitale srl – Marano Vic. 1998 Alessandra Pranovi – Monte di Pietà, la chiesa di San Vincenzo – Eurostampa Verona 2000 EVENTICULTURALI

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SPETTACOLI

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TEATRO OLIMPICO

Il programma del 72° ciclo di spettacoli classici dal 19 Settembre al 27 Ottobre 2019

“Muoiono gli Dei che non sono cari ai giovani” è il titolo della nuova edizione, una evidente inversione semantica della citazione di Menandro “Muore giovane chi è caro agli Dei”. Il titolo richiama il grande tema della ribellione all’interno del rapporto tra gli uomini, il Fato e gli Dei, l’umana e profonda necessità di abbattere e travalicare quella sorta di cortina di ferro che è il confine fra gli uni e gli altri.

© Antonio Tafuro

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PROGRAMMA OLIMPICO 2019

Tutti gli spettacoli al Teatro Olimpico iniziano alle ore 21.00, mentre le recite della Tragedia innocente sono in programma alle ore 17.00 le prime due, alle 11.30 la terza; il Teatro sarà aperto, come di consuetudine, un’ora prima degli spettacoli.

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l titolo emblematico - “Muoiono gli Dei che non sono cari ai giovani” - espone un tracciato progettuale e dà una precisa indicazione dei contenuti artistici: da un lato pone l’essere giovani come eterna condizione del teatro classico, dall’altro intende sottolineare l’aspetto rivoluzionario degli eroi greci nelle tragedie. Gli spettacoli del programma, testimoni della giovinezza dell’opera classica, sono pensati infatti per un Teatro, patrimonio Unesco, che porta allo spettatore dei nostri giorni la netta percezione della potenza della classicità. Il progetto artistico che Giancarlo Marinelli costruisce per l’Olimpico (gli spettacoli sono in fase di produzione e saranno presentati durante il Festival in prima assoluta, alcuni in esclusivasenza ripresa su altri palcoscenici) trova la sua ragione d’essere nella modernità del Teatro classico, concepita non come operazione estetica, ma intrinsecamente costitutiva della nuova proposta artistica, con la scelta di focalizzare gli aspetti più rivoluzionari degli eroi nella tragedia greca, per portare alla luce le azioni dissacranti che hanno reso possibile la discontinuità, e quindi la manifestazione del diverso e del nuovo. Gli spettacoli Il 72° Ciclo di Spettacoli Classici si aprirà con una dedica artistica a uno dei grandi maestri della scena italiana, più volte protagonista sul palcoscenico del Teatro palladiano: Giorgio Albertazzi. A lui, e al suo‚ “Memorie di Adriano”, Maurizio Scaparro, regista profondamente legato al Teatro Olimpico, dedica questo evento unico - realizzato con la collaborazione di Ferdinando Ceriani - con Pino Micol interprete con altri protagonisti di EVENTICULTURALI

”Frammenti di Memorie di Adriano” - dal 19 al 22 settembre - un testo originale costruito a partire dall’opera di Marguerite Yourcenar e dai commenti e dagli scritti personali annotati sul copione dell’ultimo imperatore del teatro. Frammenti di un discorso poetico e il senso dell’umano alla fine dell’esistenza si intrecciano profondamente in una messa in scena carica di significati, un omaggio unico a Giorgio Albertazzi (che nella sua ultima interpretazione, “Il mercante di Venezia”, fu diretto proprio da Giancarlo Marinelli). Sarà una prima nazionale, il secondo appuntamento in programma il 27 e il 28 settembre, “Apologia di Socrate”, adattamento e regia di Alessandra Pizzi, protagonista Enrico Lo Verso. Tra tutte le opere di Platone, L’Apologia è sicuramente la più ricca d’informazioni sul pensiero di Socrate e appare come un’incondizionata difesa della figura e degli insegnamenti del maestro di fronte alle gravi accuse che lo avevano portato al processo; e così, la condanna a morte di Socrate, diventa l’archetipo dell’errore giudiziario, dramma di tutti i tempi. La poliedrica regista pugliese che firma il testo e lo spettacolo, da alcuni anni si occupa della riscrittura dei classici del Teatro; da ricordare, tra i suoi lavori, “Folli(e) d’amore”, “Tutti pazzi per Shakespeare” del 2015; “Uno nessuno centomila” del 2016, adattamento teatrale del romanzo di Luigi Pirandello, interprete Enrico Lo Verso, e ancora “Metamorfosi, altre storie oltre il mito” dedicato alle Metamorfosi ovidiane, che ha debuttato al Teatro antico di Segesta nel 2017, protagonista Enrico Lo Verso. È prevista una tragedia al femminile per il terzo appuntamento - una prima nazionale - con “Me33


SPETTACOLI

dea” in scena il 4, 5 e 6 ottobre, un progetto che vede nascere il confronto artistico tra Romina Mondello, giovane e talentuosa attrice, ed Elena Bucci, regista nota per la sua originaleinterpretazione dei testi classici. A loro, e al nutrito cast di attori, è affidato il compito di dare voce alle parole attualissime delle tragedie, “parole che bruciano ancora di emozione e verità, nonostante le corruzioni dei testi, nonostante i necessari tradimenti delle traduzioni, le mutazioni del costume, della politica, delle culture. Evocano la grande nostalgia per la catarsi, la collettiva condivisione di pensieri e sentimenti che diventa comprensione e sollievo, trasformazione e crescita verso la saggezza: proprio quello che manca in questa epoca” come comunica la regista nelle sue note per l’allestimento dello spettacolo. Sarà ancora una prima nazionale - “Ecuba” - uno spettacolo prodotto dal Centro Teatrale Bresciano, una rivisitazione del testo di Euripide della drammaturga irlandese Marina Carr (nella traduzione di Monica Capuani), regia di Andrea Chiodi, ad essere in programma l’11, 12 e 13 ottobre. Rivive in questa versione - mai rappresentata in Italia - tutta la tragedia degli antichi e dei contemporanei: c’è l’universale disperazione di una madre, la lotta dei figli, la crudeltà del potere, la solitudine e l’umiliazione dei vinti. Dominante e ineluttabile resta il tema della guerra, non più come fatto storico o mitologico, ma come scontro diretto e feroce nella mente dei personaggi, un conflitto che diventa sempre più privato e interiore. La drammaturga compie un’ardita operazione di rimontaggio dei materiali della tragedia antica, costruendo una vertiginosa narrazione ad incastro tra i personaggi che diventano i nar34

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ratori, al tempo stesso interni ed esterni, di una vicenda terribile e umanissima. Interpreti, con Elisabetta Pozzi nel ruolo della protagonista, una delle attrici più impegnate a dar voce alla modernità dei classici, sono: Alessandro Bandini, Valentina Bartolo, Luigi Bignone, Fausto Cabra, Federica Fracassi, Federico Vanni. Una visione off, fuori dagli schemi classici e dallo spazio performativo del Teatro Olimpico, sarà la quinta proposta - “Medea per Strada” - in programma dal 1° al 13 ottobre, alle 18.00 e alle 21.00, uno spettacolo on the road, per le strade di Vicenza. Il lavoro, già presentato in altre città - ideazione e regia di Gianpiero Borgia, drammaturgia di Elena Cotugno e Fabrizio Sinisi - è una performance itinerante che si svolge in un furgoncino (sono previsti 7 spettatori a replica), un’immersione totalizzante nel degrado. Il dramma al femminile è quello dell’emigrazione forzata e della prostituzione, la miseria del Sud del mondo che vive nelle nostre città; il furgone, allestito come un teatrino o un postribolo viaggiante, parte e percorre tutte le strade della prostituzione, a volte vicine a quelle delle nostre case. Il lavoro nasce dopo un lungo e intenso approfondimento con assistenti sociali e associazioni di volontariato che si occupano del recupero delle vittime di tratta; è un’esperienza che va ben oltre l’assistere ad uno spettacolo teatrale, è una condivisione intensa e dolente della realtà, 70 minuti accanto ad una persona vera, interpretata con grande forza e convincimento da Elena Cotugno.

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E ancora un omaggio e una dedica al genio di Andrea Palladio, che del Teatro Olimpico fu il creatore, sono previsti per il settimo e ultimo titolo del Ciclo di Spettacoli Classici, una celebrazione che prenderà vita nelle parole di Vittorio Sgarbi in una esclusiva Lectio Olimpica, una lezione- spettacolo su “Palladio e l’ordine del mondo”, di cui il celebre storico dell’arte sarà autore e protagonista, in programma il 26 e il 27 ottobre.


PROGRAMMA OLIMPICO 2019

Ancora una tragedia, ma innocente, quella dell’appuntamento con i più giovani, tre produzioni di teatro classico per ragazzi e le loro famiglie, fatto da adolescenti dai 12 ai 18 anni, preparati da un team di professionisti e coordinati da Tema Cultura, associazione di promozione sociale e culturale riconosciuta dalla Regione Veneto. Diretti da Giovanna Cordova, regista ed autrice teatrale, i giovani attori porteranno sulla scena dell’Olimpico tre esperienze di teatro classico, dal mito alla tragedia, utilizzando linguaggi scenici adattati alla loro età. Le date e i titoli de La Tragedia Innocente sono: il 29 settembre, “Apologia di Socrate. La verità è come l’acqua”, il 13 ottobre “Ecuba. Ares: il dio della carneficina” e il 20 ottobre “Dalla parte di Orfeo”. Testi (adattamenti) e regia dei tre lavori sono a cura di Giovanna Cordova, mentre coreografie e movimenti scenici sono di Slivia Bennet. La guida alla lettura dei testi, il loro studio e la loro interpretazione, sono stati pensati come occasioni di conoscenza e di approfondimento, un’esperienza di teatro ‘tagliata a misura’ dell’essere giovani e dell’essere ‘eroi’ dei protagonisti teenager.

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CALENDARIO SPETTACOLI Domenica 22 settembre 2019, ore 21.00 EVENTO SPECIALE in esclusiva nazionale “FRAMMENTI DI MEMORIE DI ADRIANO” dall’opera di Marguerite Yourcenar a cura di Maurizio Scaparro e Ferdinando Ceriani con Pino Micol, produzione Teatro Ghione Venerdì 27 e sabato 28 settembre 2019, ore 21.00 “APOLOGIA DI SOCRATE” - prima nazionale dall’opera di Platone con Enrico Lo Verso adattamento e regia di Alessandra Pizzi, produzione Ergo Sum Da venerdì 4 a domenica 6 ottobre 2019, ore 21.00 “MEDEA” - prima nazionale con Romina Mondello,regia di Elena Bucci ,produzione Tieffe Teatro Milano Da venerdì 11 a domenica 13 ottobre 2019, ore 21.00 “ECUBA” prima nazionale testo di Marina Carr, traduzione di Monica Capuani con Elisabetta Pozzi e con Fausto Cabra, Federica Fracassi, Federico Vanni, regia di Andrea Chiodi,produzione Centro Teatrale Bresciano EVENTICULTURALI

Da martedì 1 ottobre a domenica 13 ottobre 2019, ore 18.00 e ore 21.00 Sezione Off (itinerante nelle strade di Vicenza) “MEDEA PER STRADA” con Elena Cotugno di Fabrizio Sinisi e Elena Cotugno , ideazione e regia di Gianpiero Borgia, produzione Teatro dei Borgia Sabato 26 e domenica 27 ottobre 2019, ore 21.00 “PALLADIO E L’ORDINE DEL MONDO” - prima nazionale Lectio Olimpicadi e con Vittorio Sgarbi, produzione Fondazione Cavallini Sgarbi La Tragedia Innocente – tre produzioni per le famiglie e le scuole testi e regia di Giovanna Cordova coreografie di Silvia Bennet con i giovani attori di Tema Cultura Academy, produzione Tema Cultura domenica 29 settembre 2019, ore 17.00 “APOLOGIA DI SOCRATE. LA VERITA’ E’ COME L’ACQUA” domenica 13 ottobre, ore 17.00 “ECUBA. ARES: IL DIO DELLA CARNEFICINA” domenica 20 ottobre 2019, ore 11.30 “DALLA PARTE DI ORFEO”

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VILLA CALDOGNO

La villa per le feste e gli incontri sociali dotata di tecnologia idrauliche d’avanguardia

© Sergio Vezzaro

Meno vincolata dal sito o da preesistenze di quanto non fossero i palazzi nei centri urbani, la villa costituiva per Palladio un vero laboratorio di sperimentazione. Numericamente i progetti di villa costituiscono la gran parte della sua produzione, e ad essi deve larga parte della sua fama. Ma l’invenzione palladiana si comprende ancora meglio se inseriamo il suo immenso contributo creativo e intellettuale nella storia di lunga durata delle residenze di campagna nel Veneto.

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WORLD HERITAGE EVENTICULTURALI


VILLA CALDOGNO

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La villa veneta si affermò grazie ad una richiesta crescente di prodotti agricoli; alla disponibilità di terra adatta alla coltivazione intensiva di grano e vite; alla domanda e ai prezzi contenuti della seta grezza, prodotta principalmente nei possedimenti; alle condizioni di pace e di relativa sicurezza rurale, garantite dallo Stato veneziano; alla presenza di proprietari terrieri dal fiuto imprenditoriale, pronti a controllare il rendimento e il lavoro dei loro fittavoli e a investire le proprie risorse ed energie per incrementare la produzione; al buon senso di questi proprietari, che in generale non forzarono lo sfruttamento dei fittavoli fino al punto di provocare ribellioni o vendette; e soprattutto ad una cultura che vedeva la vita di campagna come meno logorante e più salutare di quella di città, in grado di contribuire maggiormente alla pace dell’anima e alle attività del pensiero. Questo naturalmente era l’incoraggiante luogo comune riaffermato da Palladio e da molti altri; in realtà i proprietari di villa per la maggior parte non erano studiosi o filosofi – come l’amico e committente di Palladio, Daniele Barbaro – ma semplicemente persone desiderose di incrementare le proprie entrate facendo scavare canali e piantumare vitigni, amanti della caccia della pesca e del mangiar bene, a cui piaceva intrattenere amici e mecenati e primeggiare nel loro piccolo mondo, senza essere troppo strettamente osservati dai vicini e dai nemici come avveniva in città. Ma neanche tutto questo avrebbe portato alla creazione della villa veneta se non ci fosse stato da parte loro un profondo apprezzamento dell’architettura o, in altre parole, la consapevolezza di un prestigio aggiunto, cioè il piacere e l’interesse che una casa progettata in maniera razionale e artistica avrebbe offerto al suo proprietario. In questo la figura di Palladio, e dopo

la sua morte, il suo esempio, fu di fondamentale importanza. È Andrea Palladio ad aver inventato la villa moderna, e con essa un nuovo modo di vivere in campagna. Molto più dei suoi predecessori, Palladio ha saputo mettere in accordo esigenze funzionali, strutturali, estetiche, per creare case a un tempo comode e belle. Per la sua architettura domestica, la villa costituiva un vero laboratorio, dove egli era meno vincolato dal sito o da preesistenze di quanto non fosse nei centri urbani. Numericamente, i progetti di villa costituiscono la gran parte della sua produzione, e ad essi deve larga parte della sua fama. Ma l’invenzione palladiana si comprende ancora meglio se inseriamo il suo contributo nella storia di lunga durata delle residenze di campagna nel Veneto. Palladio riuscì nell’impresa di dare forma concreta alla visione antica del vivere a contatto con la natura, un programma culturale già presente nella mente di Petrarca e degli umanisti veneti suoi successori, fino al grande Pietro Bembo. Ma per tutti costoro la villa era un sogno letterario, che associavano alle case di tipo tradizionale in cui abitavano, ed è solo con Palladio che la visione antica della vita ideale in campagna viene pienamente coniugata con le forme antiche di pronao, di colonnati, di sale a volta e lunghe scalinate che collegano il piano nobile con il giardino antistante, o la vera da pozzo. Un altro aspetto del suo straordinario successo è dovuto alla capacità di adattare il progetto alle preesistenze all’interno di una logica produttiva che mirava all’economia e al riuso, aspetto che si adeguava perfettamente alle esigenze dei committenti che desideravano ricollocare il manufatto al centro del fondo agricolo o recuperare le strutture delle fondamenta.

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LE VILLE DI ANDREA PALLADIO 1. Villa Trissino ai Cricoli (1534) 2. Villa Godi Malinverni (1537) 3. Villa Piovene Porti Godi (1539) 4. Villa Valmarana Bressan (1541) 5. Villa Gazzotti Curti (1542) 6. Villa Thiene (1542) - incompiuta 7. Villa Pisani Bonetti (1542) 8. Villa Saraceno (1543) 9. Villa Pojana (1546) 10. Villa Caldogno (1545) 11. Villa Contarini (1546) 12. Villa Angarano (1548) 13. Villa Chiericati (1550) 14. Villa Cornaro (1552) 15. Villa Pisani (1552) 16. Villa Badoer (1554) 17. Villa Barbaro (1554) 18. Villa Porto Pedrotti (1554) - incerta 19. Villa Foscari (1554) 20. Villa Emo (1556) 21. Villa Trissino Rossi (1558) - incompiuta 22. Villa Sarego a Miega (1562) 23. Villa Valmarana Zen (1563) 24. Villa Forni Cerato (1565) 25. Villa Sarego a S. Sofia (1565) 26. Villa Capra (1566) 27. Villa Porto (1570) - incompiuta GUIDA ALLE VILLE DI ANDREA PALLADIO

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LE VILLE VICENTINE

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© Mia Battaglia

©Stefano Maruzzo

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VILLA CALDOGNO (1565) I Caldogno, famiglia divenuta ricchissima e potente, sembra sia stata investita delle terre della contea poco dopo l’anno mille. Nel 1183 Calderico Caldogno, consigliere militare di Federico Barbarossa, fu con lui nella guerra contro Milano e le truppe papali, insignito dell’onorificenza di cavaliere aureato e conte palatino, gli furono confermati tutti i possessi già beneficiati dai suoi avi e il privilegio di adottare lo stemma dell’aquila imperiale nera su campo rosso lasciando per un ramo laterale della famiglia quella rossa su scudo d’argento. L’aquila dei Caldogno costituisce ancora oggi lo stemma araldico del Comune. La fortuna dei Caldogno inizia nel XII sec. in seguito alla caduta dell’egenomia politica del tiranno Ezzelino III da Romano nel 1259, che permette alla famiglia di espandere i possedimenti nei paesi limitrofi a Caldogno con l’acquisizione di edifici e appezzamenti terrieri. EVENTICULTURALI

Grazie alla crescente domanda di beni alimentari che si espande tra il 1500 e il 1600 con lo sviluppo urbanistico dei piccoli centri abitati, i Caldogno, pur spostando la residenza a Vicenza, traggono la loro fortuna economica dall’affitto della terra e dal commercio della seta nei paesi del Nord Europa che si sviluppa in particolare nel territorio vicentino. E’ in questo periodo che risale la decisione di Angelo Caldogno di costruire una villa di campagna, probabilmente seguendo l’esempio dalla famiglia Barbaro che avevano fatto costruire da Palladio la loro villa a Maser (1554). Come Villa Barbaro, Villa Caldogno si distingue dalle prime ville-rurali palladiane, per non costituire il centro dell’attività agricole, ma per essere utilizzata, almeno inizialmente, come residenza estiva, luogo di riposo e di diletto, di svago e di meditazione, di divertimento ed eventualmente di rappresentanza sociale in occasione di visite di persone importanti.


VILLA CALDOGNO

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©Stefano Maruzzo © Antonio Tafuro © Luca Agnoletto

IL PROGETTO (1545) Nel 1541 Angelo Losco Caldogno, aristocratico vicentino e attivo commerciante di seta, riceve in eredità una corte agricola e numerosi campi che la famiglia possedeva a Caldogno. Legato da stretti vincoli di parentela a committenti palladiani come i Muzani e successivamente i Godi di Lugo di Vicenza (Villa Godi), con buona probabilità commissiona a Palladio la ristrutturazione della corte agricola. Non si hanno elementi precisi circa la datazione dell’intervento. L’unica data plausibile è che il progetto di Palladio risalga al 1545 in quanto la struttura dell’edificio rimanda ad altre opere, quali Villa Pisani a Bagnolo di Lonigo (1542) e Villa Saraceno a Finale di Agugliaro (1543), progettate per soddisfare le esigenze dei committenti di edificare una villa - fattoria al centro del fondo agricolo. Per questo motivo alcuni storici hanno fatto

risalire la data dei lavori tra il 1545 e il 1550, mentre è probabile che in questo periodo si siano svolti di lavori preliminari di demolizione degli edifici preesistenti. Ciò spiegherebbe come le stanze non siano perfettamente proporzionate in quanto la planimetria della villa, molto semplice nella sua articolazione, risulta impostata sul riutilizzo di murature preesistenti. Quasi certamente la casa è abitabile nel 1567 e la data “1570” incisa sulla facciata indica probabilmente la fine delle opere di decorazione. La facciata principale è caratterizzata da tre grandi archi della loggia dell’atrio d’ingresso, messi in evidenza da una cornice in bugnato rustico di mattoni. Al di sopra si colloca il frontone triangolare. Per il suo impianto architettonico essenziale, dotato di tecnologie idrauliche all’avanguardia, Villa Caldogno rappresenta il prino esempio di “villa moderna”, così come viene oggi comunente intesa in veste di residenza idonea per un solo nucleo famigliare. EVENTICULTURALI

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MOSTRE

VICENZAMAGAZINE GLI INTERNI Intorno al 1570 la Villa si arricchisce degli affreschi di Giovanni Antonio Fasolo e di Giovanni Battista Zelotti che trasformano gli spazi interni in una fastosa scenografia architettonica che hanno per tema i piaceri e le delizie della vita in villa. Il salone centrale (1 e 2) è decorato da un porticato interno sostenuto da giganteschi telamoni di marmo, all’interno del quale i giovani aristocratici si dilettano con il gioco delle carte, la danza e il concerto, concedendosi una pausa con una la merenda a base di frutta e un vassoio di dolci a forma di ciambella, i bussolà veneziani. L’atrio (3) presenta una decorazione con paesaggi di genere, concerto e il circolo degli dei dell’olimpo nel soffitto. Le due stanze più grandi di sinistra sono dotate di camino (4) sono affrescate con storie romane: presentano le vicende della giustizia di Scipione e della regina Sofonisba. Non mancano altri giochi illusori, come le finte porte dipinte, da cui escono dei personaggi. In seguito Giulio Carpioni, qui nella sua prima opera in affresco, realizzò la decorazione di parte di una saletta intermedia (5) nel lato occidentale che era stata ricavata dalla demolizione di una scala nel 1646. Lo stanzino del Carpioni mostra episodi ispirati al poema pastorale Il Pastor fido di Giovanni Battista Guarini, a testimonianza che i temi bucolici e pastorali, tanto in voga alla fine del Cinquecento, erano ancora apprezzati nel Seicento. A Costantino Pasqualotto sono invece attribuiti i fregi visibili nella parte alta delle pareti delle sale a destra del salone. IL SEMINTERRATO Nell seminterrato, oggetto di un accurato restauro conservativo di alto livello, Palladio inventa reti di scarico e di alimentazione dell’acqua, il cui flusso è accelerato da piccoli salti. I condotti di acqua lasciano pensare a “un qualche sistema di rinfrescamento, o ad una speciale peschiera per allevamento. Così l’acqua in eccesso è buona per abbeveratoi o lavatoi, e tornare all’irrigazione” (Arch. Diego Peruzzo).

La Villa - seminterrato La dimora cinquecentesca, patrimonio UNESCO dal 1996, offre numerosi spazi fruibili al suo interno: il seminterrato e il piano nobile.

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Il seminterrato, recentemente oggetto di un accurato restauro conservativo, è stato riqualificato diventando uno spazio moderno che si integra perfettamente con le tracce dell’impianto idraulico palladiano, ideale per esposizioni artistiche e manifestazioni enogastronomiche. Interno Palazzo Sturm

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EVENTICULTURALI

Una ipotesi suggestiva Recentemente è stata formulata una diversa ipotesi da Giuseppe dalla Massara, autore di un affascinante libro sui misteri che circindano la vita e le opere di Palladio (E fu BasilicaMaster edizioni). Secondo l’autore la rete di condotte è sembrata una meravigliosa macchina leonardesca con funzioni di centrifugazione ell’acqua, così come avviene nelle moderne lavatrici dotate di motore e cestello rotante


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GLI AFFRESCHI DEL 1570

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FOTOGRAFIA

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LEO MARIA SCORDO

Corsi e workshop in Italia e in Nord Europa

Insegna l’arte fotografica a Vicenza e Padova stabilendo una grande empatia con gli allievi attraverso corsi, workshop e viaggi fotografici esperenziali nel Nord Europa. Attualmente è docente di disegno e Storia dell’arte e Fotografia presso il prestigioso Liceo Fogazzaro di Vicenza, ed ha già anche programmato il nuovo ciclo dei corsi di fotografia a partire da ottobre 2019.

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I CORSI E I WORKSHOP DI LEO MARIA SCORDO

VICENZAMAGAZINE BIOGRAFIA Leo Maria Scordo nasce a Reggio di Calabria il 17 settembre del 1972. Muove i primi passi nel mondo dell’arte in tenera età, nell’atelier del padre Gaetano, pittore, incisore e mosaicista, nel quale spesso va a giocare dopo la scuola e dove già a sei anni realizza la sua prima incisione. Un clima familiare aperto alla creatività lo spinge ad avvicinarsi al mezzo fotografico fin da piccolo, quando in occasione della prima comunione riceve in regalo dal nonno una Polaroid ed un set di pellicole. A diciassette anni, dopo la caduta del muro di Berlino e la conseguente diffusione sul mercato di materiale fotografico sovietico, acquista su una bancarella la sua prima reflex, una Zenith 122, con la quale inizia a percepire le possibilità espressive della gestione manuale della fotocamera. A 19 anni, durante gli studi di architettura, spinto dall’innata curiosità e dalla continua ricerca di nuovi mezzi espressivi, abbandona la Zenith per una Nikon F90X, molto più performante, affidabile e con la possibilità di un corredo fotografico immenso. Da quel momento sperimenta e pratica molti generi di fotografia, specializzandosi nella foto di architettura, di paesaggio, e nei reportage di viaggio. Nel 2001, dopo un’esperienza lavorativa come architetto e fotografo sull’isola di San Martin nelle Antille olandesi, parte alla volta della Russia dove realizza un reportage in diapositiva che darà vita all’audiovisivo dal titolo ‘nel Cuore della Russia’, ottenendo diversi patrocini importanti e numerosi riconoscimenti. In quell’anno inizia ad avvicinarsi alla fotografia digitale acquistando la fotocamera Nikon Coolpix 950 e scopre le potenzialità del negativo digitale, che offre nuove prospettive e orizzonti infiniti. Trasferitosi a Vicenza, ricevere l’incarico di docente di disegno e storia dell’arte presso il prestigioso Liceo Tron di Schio e comincia ad organizzare corsi di fotografia presso diversi Istituti e Licei del Veneto, riuscendo a contagiare con la passione per l’arte e per la macchina fotografica oltre 800 allievi, diventando così un riferimento importante nel campo della formazione per chi si approccia al mezzo fotografico. Organizza corsi di livello base ed avanzato a Vicenza, Alte di Montecchio, Thiene, Bassano e Padova. L’insegnamento della fotografia, lo porta ad organizzare workshop fotografici sia in Italia che all’Estero. Diversi scatti della città di Vicenza ottengono riconoscimenti importanti e vengono utilizzati sul Giornale di Vicenza e sulla copertina della guida turistica “Vicenza la grande Bellezza”.

VICENZA DISCOVER

© Leo Maria Scordo

LA GRANDE BELLEZZA

PATRIMONIO UNESCO

DISCOVER PALLADIO E MONTE BERICO

The Great Beauty

N.1 DISCOVER PALLADIO E MONTE BERICO

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I WORKSHOP DI LEO MARIA SCORDO La vicina Venezia diventa poi una delle mete fotografiche preferite e viene immortalata con innumerevoli scatti, uno dei quali riceve la copertina della rivista Venezia Today. Organizza workshop fotografici di paesaggio in italia e nel nord Europa e nel 2015 espone presso la Biennale della fotografia a Bassano del Grappa due mostre, una su Venezia ed una sulle isole Lofoten. Nel 2016 la raccolta di questi scatti si traduce in una mostra personale, esposta presso il celebre Caffè della libreria Galla di Vicenza, dal titolo “Sulle orme di Querini”. Negli anni successivi, realizza in Islanda la mostra di paesaggi notturni e diurni presentata alla Biennale della fotografia nel 2017. Il fascino del Nord, sempre vivo, lo porta ad organizzare workshop di paesaggio in Irlanda nel 2018 e alle isole Lofoten nel 2019. Nel 2016 fonda Landscape Specialist, una start up nella quale sviluppa e progetta accessori fotografici personalizzati per fotografia paesaggistica ed astronomica, che realizza autonomamente con l’uso di stampanti 3d e laser da taglio. Attualmente è docente di disegno e Storia dell’arte e Fotografia presso il prestigioso Liceo Fogazzaro di Vicenza, ed ha già anche programmato il nuovo ciclo dei corsi di fotografia a partire da ottobre 2019. Riesce così ad esprimere appieno il motto che da sempre lo ispira: “ama il tuo lavoro e non lavorerai neanche un giorno della tua vita”.

IL CORSO °I AM DIFFERENT” Il corso fornisce ai partecipanti una base tecnica e pratica per apprendere le modalità di utilizzo delle tecniche fotografiche e delle attrezzature utilizzate in vari ambiti produttivi. Il percorso didattico si articolerà in 8 incontri teorico-pratici. Nello specifico verranno trattate quattro unità didattiche: 1 - Impariamo a osservare: strumenti e tecniche di base. 2 - Comporre l’immagine: Inquadratura, il segreto della buona fotografia 3 - Gli obiettivi fotografici: L’obiettivo, l’occhio del fotografo 4 - Scrivere con la luce: La fotografia è luce di giorno e di notte Grande attenzione sarà dedicata anche alle tecniche di composizione dell’immagine ed alle principali regole compositive. Le lezioni si articoleranno in 8 incontri settimanali teorico-pratici da 2 ore, inoltre nel corso sono comprese 2 lezioni sul campo che verranno concertate con i corsisti. LE DATE DEI PROSSIMI CORSI: 7 Ottobre : Alte di Montecchio 8 Ottobre: Vicenza 9 Ottobre: Thiene 10 Ottobre: Padova ISCRIZIONI: leomariascordo@gmail.com cell. 347.7521004



LA START UP DI LEO MARIA SCORDO

Landscape Specialist è una start up che sviluppa e progetta accessori fotografici personalizzati per fotografia paesaggistica ed astronomica. Gli accessori, realizzati con l’uso di stampanti 3d e laser da taglio, sono indipensabili per realizzare immagini tecnicamente perfette

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