VICENZA MAGAZINE 3/19 - bozza

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02/2019

VICENZA MAGAZINE

EVENTI MOSTRE MUSEI ASSOCIAZIONI TURISMO CULTURA IMMAGINI

BACCALA’ SUPERSTAR

foto di Leo Maria Scordo

Dalì a Vicenza - 72° Ciclo Spettacoli Olimpici Programma Teatro Comunale 2019-2020 VIOFF - La Festa del BAccalà a Sandrigo Cristoforo Dall’Acq - Villa Caldogno - Chiesa di San Vincenzo VIVIEDIZIONI - In edicola e libreria € 10,00

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Vicenza2019 V I C E N Z A M A G A Z I N E N. 2

VIVIEDIZIONI - Patrocinio Comune di Vicenza e Regione Veneto

C U LT U R A & E V E N T I Pubblicazione dell’Associazione editrice VIVI VICENZA VICENZA MAGAZINE n.3 anno 2019

hanno collaborato: Antonio Di Lorenzo Valeria Mancini Studio Crù Romano Concato Michelangelo Muraro

INDICE

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EVENTI GASTRONOMICI LA FESTA DEL BACCALA’ BACCO & BACALA’

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EVENTI ARTISTICI VIOFF GOLDEN ARTS SALVADOR DALI’

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EVENTI TEATRALI PROGRAMMA TEATRO DI VICENZA 2019 - 2020

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Fotografi Stefano Maruzzo Antonio Tafuro Riccardo Contarin Tiziano Casanova Paolo Martini Leo Maria Scordo

72° CICLO SPETTACOLI TEATRO OLIMPICO PERSONAGGI VICENTINI MONTANARI E DALI’ L’amicizia con Salvador Dalì FEDERICO FAGGIN incontro a Padova

In copertina Baccalà

IMAGO URBIS UNA NUOVA IMMAGINE PER LO STADIO ------------------------------------------Tariffe abbonamento Annuale (4 numeri) Italia € 30,00 sconto librerie 30%

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LE VILLE DI PALLADIO VILLA CALDOGNO

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LEO MARIA SCORDO Passioni fotografiche Corsi di fotografia e Workshop

ASSOCIAZIONE CULTURALE

VIVI VICENZA Associazione culturale editrice Vivi Vicenza Corso Palladio, 179 0444.327976 tessera annuale 10,00 € vivi@viviedizioni.org www.viviedizioni.org

50 E V E N T I & C U LT U R A EVENTICULTURALI

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EVENTI GASTRONOMICI

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BACCALA’ SUPERSTAR

Sandrigo celebra da trent’anni un piatto tradizionale conosciuto in tutto il mondo

di Antonio Di Lorenzo

Il piatto tradizionale della cucina vicentina al centro della grande festa che si dilata di una settimana. Sandrigo capitale del baccalà tra suggestioni della Storia e sapienza delle donne che hanno tramandato (e probabilmente inventato) il piatto. In memoria di Antonio Pigafetta, che scoprì le Molucche e le sue spezie, si presenta un piatto indonesiano rivisto in chiave vicentina

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EVENTICULTURALI


LA FESTA DEL BACCALA’

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Antonio Chemello, figlio di Palmerimno fondatore del famoso locale di Sandrigo.

UN BACCALA’ ALLA SETTIMANA. Antonio Chemello si ricorda bene quando Michele Benetazzo andò a chiedere al papà Palmerino – al quale oggi è intitolato il suo locale – di preparare il baccalà per quella festa in piazza che aveva in mente di organizzare a Sandrigo. Erano trent’anni fa, ma davvero parliamo di un altro secolo. In piazza Tienanmen uno studente aveva fermato i carri armati a Pechino in quel 1989. La perestrojka di Gorbaciov aveva fatto crollare un muro di diffidenza con gli Usa di Ronald Reagan, e il Muro di Berlino sarebbe caduto di lì a due mesi. Assieme a quei mattoni si sarebbe sbriciolato anche un sistema politico che era cresciuto con la Guerra Fredda. Si stava annunciando un capovolgimento del mondo. Ma a Sandrigo già da due anni era in atto una rivoluzione, quella gastronomica, perché il 1° marzo 1987 Benetazzo aveva fondato la Venerabile confraternita del Baccalà alla vicentina, il cui priore era Virgilio Scapin. Accanto ai dotti confratelli, in mantella oro e argento a ricordare i colori della polenta e baccalà, in quel settembre del 1989 Benetazzo voleva realizzare anche un’iniziativa popolare per celebrare lo stoccafisso. E l’avvocato si rivolse alle due famiglie di ristoratori di Sandrigo, quelle di Palmerino EVENTICULTURALI

Chemello e di Luigi Pozzan. In due giorni, 30 settembre e 1° ottobre, la festa portò in tavola cinquemila porzioni di baccalà, cucinate in gran parte dalle “Due Spade” dei Pozzan. L’ambasciatore norvegese, ospite d’onore della festa, si commosse quando vide sventolare a Sandrigo le bandiere della sua terra. Ma non era sorpreso: conosceva i veneti, la loro tenacia, e per l’occasione aveva regalato a Sandrigo cinque quintali di baccalà. E in quei giorni il sindaco di Vicenza, Antonio Corazzin, rivelò a tutti una verità mai confessata apertamente: “Ho sempre creduto che Sandrigo fosse in provincia di Vicenza, ma in fatto di baccalà è Vicenza in provincia di Sandrigo”. SANDRIGO CAPITALE. Quanto in trent’anni Sandrigo sia diventata capitale del baccalà lo testimoniano le dimensioni della festa, che quest’anno si apre il 17 settembre e durerà fino al 6 ottobre: 45mila presenze registrate nel 2018, 22mila porzioni di baccalà servite (più altrettante di diverse specialità, dai bigoli alla zuppa norvegese), 30 cuochi al lavoro solo per la serata del Gran Galà, per la quale sono attese 800 persone. E pensare che trent’anni fa – testimonia sempre Chemello – nel suo locale si preparava un baccalà alla settimana. Adesso se ne consumano cento. 3


EVENTI GASTRONOMICI

VICENZAMAGAZINE Del resto, la capacità organizzativa è un dono di natura da queste parti. Sandrigo non è semplicemente un’industriosa città nella metropoli diffusa del Veneto: nei primi anni Sessanta, nell’Italia canzonettara, l’instancabile Benetazzo aveva inventato proprio qui il Festival della canzone veneta e, attraverso la Pro loco anche il Premio Basilica Palladiana. A presentare l’uno era arrivato Mike Bongiorno, a ricevere il secondo a villa Sesso era giunto Federico Fellini. Scusate se sono pochi, direbbe Totò (dettando la lettera a Peppino).

La Confraternita del Baccalà: Il momento dell’investitura delal mantella oro e argento

Il collare della Confraternita

“l’uovo che non c’è” di Claudio Ballardin

L’evento in villa“Bacco e Baccalà”

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Il cuore della festa è, naturalmente, la cena di gala: Antonio Chemello che ha guidato i colleghi fino all’anno scorso, adesso mantiene un compito di coordinamento nella nuova veste di presidente della Pro Loco. Va ricordato che Chemello non è solo un cuoco capace di vincere La prova del cuoco di Antonella Clerici oppure di farsi fotografare immerso in una vasca, messo a bagno con gli stoccafissi tanto li ama: è anche un ciclista in grado di salire fino a Cima Grappa tre volte in 14 ore assieme al suo amico Saverio Borgo. Ma torniamo alla cena. Sono quarantacinque i ristoranti che aderiscono alla Confraternita e trenta di loro - da dieci anni - contribuiscono alla cena-evento, il cui menu è stato preparato da esperti gastronomi, come Luigi Costa, Romolo Cacciatori, Claudio Ballardin, Riccardo Penzo oltre naturalmente a Chemello. PIGAFETTA, LE SPEZIE, LE MOLUCCHE E NEW YORK. Tra i piatti che sono in menu al Gran Galà va ricordato L’uovo che non c’è creato di Claudio Ballardin, celebre cuoco di Schio cui si deve fra l’altro la riscoperta del mais Marano. La forma è quella di un uovo, ma in realtà si tratta di mais croccante: all’interno c’è il formaggio Castelgrotta (prodotto dalle Latterie Vicentine che invecchiano le forme nei sotterranei del castello di Schio) e baccalà: il tutto accompagnato dalla salicornia. Sapori verdi e sapidi si armonizzano con i gusti di pesce e mais che restano quelli centrali della festa. L’edizione di quest’annoo prevede anche un omaggio gastronomico ad Antonio Pigafetta, il vicentino che partecipò come “scrivano” al primo giro intorno al mondo di Ferdinando Magellano le cui navi partirono nell’estate di cinquecento anni fa. Uno dei meriti di Pigafetta, che prese il comando della spedizione dopo la morte di Magellano nelle Filippine, fu quello di scoprire le Molucche (isole che oggi fanno parte dell’Indonesia) e un mondo di spezie, soprattutto chiodi di garofano, macis e noce moscata. Proprio alle Molucche e alla noce moscata è legata, com’è noto, la nascita e lo sviluppo di New York come colonia inglese. Dovrebbero dichiararlo patrono di New York, Pigafetta, assieme a san Patrizio. La città era in passato in mano agli olandesi che l’avevano battezzata New Amsterdam: divenne possesso inglese alla fine della terza guerra anglo-olandese. Ci vollero due trattati, nel 1667 e nel 1673 per sancire il dominio inglese sulla colonia americana: gli olandesi rinunciarono alle loro pretese su New York in cambio della isola di Run, nelle Molucche, ricca di noce moscata. EVENTICULTURALI


LA FESTA DEL BACCALA’

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Museo del Gioiello - Piazza dei Signori

Non mancherà, infine, una mostra dedicata a Dalì al Museo del Gioiello Lo stoccafisso essicato all’aria nelle isole Lofoten - isola norvegese - .Foto di Leo Maria Scordo:“Sunrise on stockfish”

Non è quindi da sottovalutare l’importanza delle spezie nel XVII secolo: tutte le potenze coloniali europee tentarono diverse volte di colonizzare l’Indonesia. Le sue spezie erano considerate dagli europei alla pari dell’oro e venivano utilizzate nei modi più disparati: conservare e aromatizzare le carni, preparare lozioni per alleviare i dolori causati dalla gotta e dai reumatismi, preparare diversi tipi di profumi. In onore di Pigafetta, la Festa del Baccalà presenta un piatto di matrice indonesiana rivisitato in chiave vicentina: il nasi goreng, che è un riso indonesiano fritto cui sono aggiunte verdure e pollo. In quest’occasione il pollo sarà sostituito con il baccalà confit ma le spezie d’oriente profumeranno il piatto. È un esperimento curioso da assaggiare. A proposito di Pigafetta e Magellano, anche la Spagna sarà presente al Gran Galà: anche se il navigatore era portoghese, la spedizione partì da Siviglia e fu finanziata dal re spagnolo Carlo V, quello sul cui impero non tramontava mai

di Vicenza, in Basilica Palladiana,

doveversa saràdella possibile ammirare fino ricetta, perché Giovanni Poz-al il sole, proprio a motivo delle Filippine che zan lo prepara acciughe senza conquistò per lui Magellano. Alla cena sarà 26 gennaio una senza selezione di epiccole presente il console spagnolo Carlos Ruiz- cipolle: può essere eretica rispetto alla sculture in oroe preziose firmate tradizione, ma èpietre comunque squisita. Come Berdejo y Sigurtà Muchetti. E tra i vini sarà servito uno cherry seccodall’artista. di ricorda sempre Arrigo Cipriani, il merito di particolare fascino. Gli altri vini sono del- aver tramandato la preparazione del bacle Cantine Io Mazzucato di Breganze (Io e calà è sicuramente delle donne: sono loro, il bacalà – Selezione Querinissima, Land per secoli delegate in famiglia alla cucina, bianco del 2017, Torcolato 2014) e della Be- che hanno fatto giungere fino a noi le ricetato Bartolomeo di Breganze (le bollicine del te tradizionali, dalla pasta e fagioli ai bigoli metodo classico 2013 e il Vespaiolo “Sulla con l’arna. Anzi, probabilmente sono state loro ad averle inventate. rotta del bacalà” 2017). LA VERA STORIA DEL BACCALA’. Se l’uovo e il nasi goreng sono serviti come antipasti, il primo piatto è una crema di topinambur, con fonduta di Asiago, bacon croccante e briciole di pane fritto. Seguirà il piatto clou della cena (e della festa) cioé il baccalà alla vicentina. Com’è noto, la Confraternita di cui è presidente Luciano Righi e priore Galliano Rosset custodisce la ricetta originale del baccalà, piatto simbolo della tradizione vicentina. A Sandrigo esiste anche una versione diEVENTICULTURALI

Del resto, dalla scoperta di Pietro Querini dello stoccafisso alle Lofoten, il 6 gennaio 1432 (“in culo mundi”, scriverà il capitano nella sua relazione) il baccalà ci metterà due secoli per diventare oggetto di commercio tra Veneto e Norvegia. Oggi il Veneto consuma il 90% del merluzzo pescato nelle Lofoten, che non solo per riconoscenza hanno dedicato un isolotto a Sandrigo, che è stato battezzato con il nome della città. 5


EVENTI GASTRONOMICI

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Lo atoccafisso essicato all’aria nelle isole Lofoten davanti alle abitazioni del paesino di Reine - Foto di Leo Maria Scordo

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LA FESTA DEL BACCALA’

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I cuochi della festa del Baccalà di Sandrigo

Non c’è da stupirsi: il filo rosso tra i vicentini e i norvegesi è antico di seicento anni. Proviamo a domandarci: qual è il motivo per cui, unici al mondo, i vicentini cucinano il baccalà nel latte? La risposta la fornisce Otello Fabris nel suo libro “I misteri del ragno”: perché il latte è l’unico alimento, oltre al pesce, che i pescatori norvegesi potevano avere a disposizione dalla vacca di casa. Ha ragione perché vale sempre la regola del rasoio di Occam: la spiegazione più semplice è quella più vera. C’è di più. L’ambasciatore norvegese, parlando molti anni fa a Sandrigo, ha sigillato l’amicizia veneto-norvegese spiegando che gli abitanti delle Lofoten sono gli unici norvegesi a non essere biondi dagli occhi azzurri, bensì hanno capelli e occhi scuri. Un’eredità dell’entusiasmo dei veneti di Querini con le donne di quelle isole, che peraltro colpirono molto la dozzina di marinai sopravvissuti al naufragio in quanto di notte dormivano nude. Scherzava, l’ambasciatore. È divertente raccontare questa storiella, ma non è vera. Un carattere non si trasmette con una frequentazione di pochi mesi (naufragati a gennaio, i veneti ripartirono a maggio dello stesso anno) e non si forma in soli cinquecento anni. Darwin si metterebbe a ridere. Meglio godersi il baccalà e l’amicizia norvegese così com’è.

UNA TAVOLA LUNGA SINO AL 6 OTTOBRE La Festa del Baccalà si terrà a Sandrigo dal 17 settembre al 6 ottobre. Per il secondo anno consecutivo, gli stand gastronomici si troveranno nel campo sportivo Arena adiacente piazza Ss. Filippo e Giacomo, dove saranno invece allestiti il palco per gli eventi e gli spettacoli, oltre ai mercatini. Protagonista indiscusso della kermesse IL BACCALÀ, servito in diverse variazioni durante i tre fine settimana della manifestazione, uno in più rispetto le precedenti edizioni, tutte le sere a cena e le domeniche anche a pranzo. La festa avrà ufficialmente inizio il 17 settembre con il Gran Galà del Bacalà, quest’anno caratterizzato da allestimenti ancora più scenografici e suggestivi. Il tema sarà l’impresa di Antonio Pigafetta e Ferdinando Magellano, a 500 anni dalla circumnavigazione del globo. Nel menù della serata, oltre allo stoccafisso, saranno presenti il baccalà, il merluzzo e alcuni richiami all’Oriente, in particolare all’Indonesia, come omaggio agli avventurieri che scoprirono le Isole Molucche. La preparazione sarà affidata a 30 chef vestiti di grigio e giallo a richiamare i colori dello stoccafisso e della polenta. Il 2019, come ogni anno dispari, sarà caratterizzato anche dalle Giornate italo – norvegesi, istituite per celebrare l’incontro tra la tradizione veneta e quella nordica attraverso iniziative culturali e istituzionali. Sarà presente una folta delegazione norvegese, composta da pescatori, commercianti ma anche da uomini di cultura, in rappresentanza del Paese da cui proviene il pescato che la festa celebra. Inoltre non mancheranno i consueti appuntamenti con il banco d’assaggio enologico Bacco&Bacalà, realizzato in collaborazione con Ais Veneto, in programma domenica 22 settembre a Villa Mascotto di Ancignano, e la Cerimonia di Investitura dei nuovi confratelli, con la sfilata dei figuranti, prevista per domenica 29 settembre nella Piazza centrale di Sandrigo. IN BREVE. Quando: martedì 17 settembre Gran Galà del bacalà. Da venerdì 20 a domenica 22 settembre. Da giovedì 26 a lunedì 30 settembre. Da venerdì 4 a domenica 6 ottobre Dove: Piazza centrale di Sandrigo (Vicenza) e campo sportivo Arena Orario: venerdì e giovedì dalle 19.00 alle 22.30, sabato dalle 18.30 alle 22.30, domenica dalle 12.00 alle 14.30 e dalle 19.00 alle 22.30

EVENTICULTURALI

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EVENTI GASTRONOMICI

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BACCO & BACALA’ Wine & Food Tasting Alla ricerca del binomio perfetto

Il dio Bacco è la divinità della natura feconda, dell’agricoltura, colui che secondo gli antichi introdusse il vino tra gli uomini. Conosciuto nella mitologia greca come Dioniso, insieme al Bacalà rappresenta il binomio di sapori che andrà in scena il 22 settembre 2019 ad Ancignano di Sandrigo all’interno di Villa Mascotto

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BACCO & BACALA’

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iunge così alla quinta edizione Bacco&Bacalà, l’evento organizzato dalla Pro Loco di Sandrigo in collaborazione con A.I.S. Veneto, i Ristoranti del Bacalà di Sandrigo e la Confraternita del Bacalà alla Vicentina all’interno della più ampia rassegna della tradizionale Festa del Bacalà.

PROGRAMMA

Dalle 16.30 alle 21.30 un intero pomeriggio di degustazioni e intrattenimento nell’elegante complesso monumentale di Villa Mascotto, durante il quale i partecipanti potranno scegliere di assaggiare tra 120 etichette di vini rossi, bianchi e bollicine e le birre artigianali proposte da dieci produttori presenti. La professionalità del servizio sarà garantita dai Sommelier A.I.S. che guideranno il pubblico nelle degustazioni. Dalle 17.00 alle 19.30 sarà allestito un banco d’assaggio che celebrerà lo stoccafisso: si inizierà con Bacalà mantecato con crostini, polenta fritta ripiena di Bacalà alla Vicentina e risotto al Bacalà, oltre a una selezione di formaggi del territorio.

Il biglietto si può acquistare in prevendita sul sito della Festa del Bacalà al prezzo di 16 euro o in loco al costo di 15 euro fino a esaurimento posti. L’entrata comprende il kit degustazione, l’accesso alla Villa e al Parco, gli assaggi illimitati di vino, una porzione di ogni proposta gourmet a base di Bacalà, la degustazione libera di formaggi del territorio e l’intrattenimento. Prevista una cauzione di 2 euro per il bicchiere da pagare in loco EVENTICULTURALI

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EVENTI ARTE

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EMOZIONE DALI’

Le sculture monumentali del grande artista accendono il cuore della città Beniamino Levi ha curato oltre 100 mostre in tutto il mondo, con grande successo di critica e di pubblico, attirando più di 12 milioni di visitatori negli ultimi tre decenni. E’ un esperto di Arte Moderna riconosciuto a livello mondiale, il cui parere e la cui guida sono ricercate da collezionisti, musei e gallerie d’arte.

Le piazze di Vicenza si apprestano ad accogliere le sculture in bronzo del grande artista surrealista. Sono sette opere di grandi dimensioni che provengono dalla più grande e prestigiosa collezione privata, la Dalì Universe, nata dal rapporto d’amicizia tra Dalì e Beniamino Levi, mercante e collezionista d’arte.

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VIOFF GOLDEN ARTS

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AL 5 ALL’ 11 SETTEMBRE IN FIERA E SUCCESSIVAMENTE FINO AL 26 GENNAIO 2020 LE PIAZZE DEL CENTRO STORICO

ACCOGLIERANNO LE SCULTURE MONUMENTALI IN BRONZO DI SALVADOR DALÌ. LA DANZA DEL TEMPO I (1) VERRÀ COLLOCATA IN PIAZZA DELLE ERBE, MENTRE L’ELEFANTE DEL TRIONFO (2), ALTO QUASI 6 METRI, TROVERÀ POSTO IN PIAZZA DEI SIGNORI, NELLE VICINANZE DELLA TORRE BISSARA. LA BASILICA PALLADIANA OSPITERÀ AL SUO INTERNO LA BALLERINA DALINIANA (3) ISPIRATA DALLA DANZA DEL FLAMENCO, E LUNGO CONTRÀ CAVOUR E CORSO PALLADIO SI POTRÀ AMMIRARE IL PIANOFORTE SURREALISTA (4)

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IN PIAZZALE DE GASPERI TROVERÀ POSTO L’OMAGGIO A TERSICORE (5) , LA MUSA DELLA DANZA E DEL CANTO CORALE CELEBRATA DALLA MITOLOGIA GRECA. IN PIAZZA S. LORENZO VERRÀ SISTEMATA LA DANZA DEL TEMPO III (6) CHE RAPPRESENTA PROBABILMENTE L’ICONA PIÙ NOTA DELL’ARTISTA: L’OROLOGIO MOLLE CHE SEMBRA LIQUEFARSI SOTTO LA PRESSIONE DEL TEMPO CHE SCORRE. INFINE LA VENERE SPAZIALE (7) , LA SCULTURA CHE PIÙ DI ALTRE CELEBRA LA BELLEZZA FEMMINILE, SARÀ INSERITA NEL CONTESTO DI PIAZZA MATTEOTTI. EVENTICULTURALI

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EVENTI ARTE

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VIOFF GOLDEN ARTS

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ARTISTI

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DALI’ SURREALISTA I simboli più noti di Salvador Dalì

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4 Salvador Dalí era noto per la sua arte spontanea e una grande personalità pubblica. Il suo stile anticonvenzionale e le sue idee, talvolta oltraggiose, furono molto ricercate anche nell’ambito del settore commerciale in contesti come: moda, fotografia, pubblicità e cinema. Tali attività portarono il suo stile all’attenzione di un enorme pubblico popolare. Dalí e le sue opere non lasciarono solamente tracce indelebili all’interno del mondo artistico surrealista, l’influenza della sua arte invase infatti il mondo intero. Ancora oggi il nome Dalí è sinonimo di magia e resta un’icona che attraverso suscita emozione e curiosità.

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DALI’ SURREALISTA

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l movimento surrealista fu fondato a Parigi da un piccolo gruppo di

e creatività. Il surrealismo divenne il movimento artistico più influente del

artisti e scrittori. Esso utilizzava elementi dei suoi predecessori, quali

ventesimo secolo.

il Dadaismo e il Cubismo, per creare qualcosa di sconosciuto che

Secondo André Breton, uno dei maggiori esponenti del movimento e

cambiò totalmente il modo in cui l’arte veniva concepita. I suoi membri

autore del Manifesto del Surrealismo (1924), il Surrealismo era un modo

si concentravano sul subconscio come mezzo per sbloccare il potere

per avvicinare le esperienze consce e inconsce, in maniera così completa

dell’immaginazione. Essi disprezzavano il razionalismo e il realismo

da fondere le due sfere della realtà e della fantasia nella razionalità della

letterario e credevano che una mente cosciente reprimesse immaginazione

vita quotidiana, “secondo una realtà assoluta, una surrealtà.”

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I SIMBOLI SURREALI DI DALI’ Lo stile di Dalí è ricco di simboli e immagini ricorrenti, per lo più tratti dalla vita quotidiana; elaborati dalle esperienze infantili, fino alla successiva infatuazione per le teorie di Freud. Attraverso la sua arte, Dalí elaborava le proprie paure, la sessualità e i suoi oggetti preferiti, che a loro volta sono diventati simboli eterni dell’essenza stessa del suo pensiero surrealista. Un simbolo, in particolare,divenne l’icona più riconoscibile di Dalí; l’orologio molle, che si trova nell’intero corpus delle sue opere. 1.L’OROLOGIO MOLLE L’Orologio Molle è una delle immagini di Dalí più famose. Questi orologi che si sciolgono, diventati il suo “marchio di fabbrica”, hanno origine dal suo più famoso dipinto del 1931, La Persistenza della Memoria. Nel mondo di Dalí, il tempo non è rigido; è un tutt’uno con lo spazio ... fluido e senza limiti. L’inaspettata malleabilità dell’orologio implica che l’orologio stesso non può più funzionare, e, di conseguenza, perde ogni significato. Con l’uso di questo simbolo Dalí tentava di comunicare che la percezione umana del tempo cambia a seconda dell’umore e delle azioni.

7 2. LA FORMICA All’età di cinque anni Dalí vide un insetto mentre veniva divorato dalle formiche, del quale non rimase nulla, eccetto il guscio. Le formiche nei dipinti e nelle sculture di Dalí fanno riferimento alla morte e al declino, ricordando la mortalità dell’essere umano e la temporaneità. Rappresentano inoltre l’irrefrenabile desiderio sessuale. 3. L’UOVO L’uovo è un altro motivo daliniano data la dualità dell’esterno duro e dell’interno molle. Dalí collega l’uovo alle immagini prenatali e all’universo intrauterino, simboleggiando, pertanto, la speranza e l’amore. 4. LA STAMPELLA Da ragazzo, Dalí trovò una vecchia stampella in soffitta, e ne fu immediatamente affascinato. L’oggetto diventa per lui un feticcio, gli dà sicurezza, e si trasformerà in seguito in un motivo familiare nella sua opera. Fondamentalmente, la stampella simbolizza qualcosa o qualcuno di debole e incapace di reggersi da solo: essa offre sostegno, forza e stabilità. Il simbolo della stampella può anche essere considerato una rappresentazione della tradizione, in quanto sostiene importanti valori umani EVENTICULTURALI

5. L’ELEFANTE Gli elefanti di Dalí hanno zampe lunghe e sottili, che accentuano il contrasto tra la robustezza e la fragilità, e l’idea di assenza di peso pur con una struttura. Gli elefanti si muovono graziosamente senza alcuno sforzo, in un’atmosfera impalpabile. 6. I CASSETTI I cassetti rappresentano desideri nascosti e la sensualità segreta delle donne. Dalí li rappresenta spesso leggermente aperti, a suggerire che i segreti che essi custodiscono sono ormai noti e non vi è più bisogno di temerli. I cassetti simboleggiano inoltre segreti nascosti, ricordi e il subconscio, esprimono la nostra naturale tendenza a esplorare quanto vi è di chiuso e il fascino del mistero. 7. LA LUMACA La lumaca occupa una posizione importante nel suo universo simbolico. Dalí credeva che niente gli succedeva per caso e rimase affascinato quando vide una lumaca su una bicicletta fuori dalla casa di Freud. Collegò la lumaca alla testa umana, in particolare alla testa di Freud. Come per l’uovo e l’aragosta, i gusci duri e l’interno molle delle lumache affascinavano Dalí e la geometria delle loro curve lo incanta 15


EVENTI TEATRO

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CENTO INCONTRI A TEATRO Una stagione ricca di suggestioni che è già un successo di Antonio Di Lorenzo

© Angelo Nicoletti

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EVENTICULTURALI


TEATRO DI VICENZA

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Prosa, danza, concerti, sinfonica, musica del mondo: è uno sforzo organizzativo e finanziario notevole che supera anche qualche difficoltà della struttura CENTO SPETTACOLI. Per il teatro comunale di Vicenza presentare un calendario di cento proposte (arrivano a 120 se si tiene conto anche del cinema) che spazia fra teatro, danza, concertistica, sinfonica, circo e musica del mondo, è un successo. Attenzione, non è scritto che la stagione “comunque vada sarà un successo” secondo la celebre locuzione chiambrettiana. Il risultato positivo è già qui adesso. Per molti motivi. Primo. Il teatro, inaugurato nel dicembre 2007, è giovane: la città ha faticato quasi 60 anni (dai bombardamenti della guerra nel 1944) prima di posare la prima pietra del teatro, la cui prima stagione organica è del 2008, più o meno l’altro ieri. Undici anni dopo, il cartellone 20192020 presenta un panorama ricco con presenze di primo piano: Lucia Poli, Ale & Franz, Lucia Mascino, Natalino Balasso, la pianista Yuia Wang, il violoncellista Giovanni Sollima, il direttore Alexander Lonquich con l’Orchestra del teatro Olimpico, le numerose compagnie di balletto come l’israeliana Batsheva Dance Company, i canadesi dei Ballets Jazz de Montréal, l’americana Alonzo King Lines Ballet e la francese Malandain Ballet de Biarritz, accanto al Balletto di Roma e al Nuovo Balletto di Toscana… E poi tanti altri nomi di artisti e intelluati, protagonisti in settori magari distanti tra loro, come Vinicio Capossela da un lato e le conferenze spettacolo di Corrado Augias, quelle di Gabriella Belli e degli storici dell’arte vicentini Guido Beltramini e Stefania Portinari. Nella vertigine della lista del teatro comunale si ritrovano anche l’Orchestra sinfonica Terre Verdiane, Teresa Mannino, il Gran Gala du Cirque, Sergio Rubini tanto per citarne alcuni. EVENTICULTURALI

L’ORGANIZZAZIONE. Tutto questo evidentemente non si improvvisa. Occorre lavoro e conoscenza, ingredienti di quella competenza che fa superare anche i punti deboli della struttura, vale a dire l’acustica che in quella sala amplissima e moderna non è il massimo per la prosa. Alla fine, in questa stagione si contano, fra l’altro, 11 spettacoli di danza, 13 di prosa, 13 per la concertistica, 7 per la sinfonica, 14 fuori abbonamento, 4 per il circo, 5 per l’arte a teatro. Complessivamente, si tratta di uno spettacolo ogni tre giorni. Scusate se sono pochi, direbbe l’indimenticato Totò. “Varietà e qualità” è il motto scelto dall’organizzazione e bisogna riconoscere che i risultati vanno a merito di chi ha pensato le rassegne, vale a dire Pier Giacomo Cirella, segretario generale della Fondazione presieduta da Roberto Ditri, assieme ai responsabili delle sezioni: Loredana Bernardi per la danza, Annalisa Carrara per la prosa, Piergiorgio Meneghini per la concertistica e sinfonica. IL PUBBLICO. È vero che Vicenza ha una grande tradizione alle spalle nonostante fino all’altro giorno, appunto, abbia sfruttato le chiese per i concerti e perfino i teatri parrocchiali (l’Olimpico è un altro discorso: è prestigiosissimo ma si usa a sprazzi durante l’anno) per tenere viva la tradizione. O forse proprio per questo motivo la tradizione s’è fortificata. Del resto, gli Amici del teatro redivivi dopo le stagioni gloriose animate dall’avvocato Anacleto “Teto” Lucangeli fino a trent’anni fa pescano in questo vissuto che s’è innervato. Ma staccare in una stagione 114mila 17


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biglietti in una città di 110 mila abitanti, come ha fatto la Fondazione nel 20182019 è un gran bel risultato. Vuol dire portare a teatro tutta intera Vicenza, e anche un po’ di più, mettendo nel conto anche i nonni del Salvi e i bambini in carrozzina. Non credo che per gli spettacoli funzioni la regola che vale per i libri: pochissimi leggono tantissimo, dato che su 65mila titoli pubblicati in Italia il 70% non vende neanche una copia. Basta chiedere conferme ad Alberto Galla e a Giuseppe Traverso. Nel caso degli spettacoli l’offerta è talmente diversificata e di qualità che la Fondazione deve pescare per forza in pubblici differenziati. A rafforzare questo concetto c’è anche la riflessione, o meglio la flessione, del pubblico dei cinema, in costante calo da anni a questa parte. Insomma, chi sceglie lo spettacolo a teatro sa quello che vuole: e questa Fondazione ha seminato bene in undici anni e sta raccogliendo frutti. Del resto, anche la rassegna dell’Olimpico affidata a Giancarlo Marinelli (con Cesare Galla ed Elisa Avagnina a svolgere il ruolo di consulenti) per il 72° ciclo di spettacoli classici sta raccogliendo commenti positivi, naturalmente per le scelte operate ma anche sulle ali di questo nuovo entusiasmo che si vive a Vicenza. 18

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I CONTI IN TASCA. È sempre il capitolo più delicato, perché se i bilanci non sono a posto si possono sognare tutti i sogni, ma tali restano. E sarà pur vero che siamo fatti della stessa stoffa dei sogni, ma i commercialisti la pensano diversamente. I conti presentati dalla Fondazione teatro per l’ultima stagione parlano un linguaggio chiaro: il bilancio è in attivo e pareggia su 3 milioni e 444 mila euro. L’83% di spettacoli hanno visto un esaurito e per il resto il riempimento delle sale è stato del 90%. Il 51% dei ricavi sono arrivati dalla vendita biglietti e abbonamenti (questi ultimi sono stati 3.330, se ce ne fossero stati altri tre sarebbe stato un numero palindromo, peccato…) “Le entrate - ha spiegato Cirella - vanno a coprire interamente le spese artistiche, che quindi si sostengono da sole”. Un 10% degli incassi arriva dagli sponsor mentre il restante 40% giunge dai soci della Fondazione, vale a dire Comune di Vicenza, Regione del Veneto, Fondazione Cariverona e Intesa Sanpaolo. Anche questo non è un risultato da poco, se si pensa che nel corso degli (ultimi) anni sono spariti dalla Fondazione due soci fondatori come l’Assindustria vicentina e la Banca Popolare di Vicenza, l’una per scelta e l’altra per il crack da 6 miliardi per EVENTICULTURALI

il quale si sta celebrando il maxiprocesso a Venezia. Siccome anche i banchieri sono molto sensibili ai bilanci, chi ha preso il posto degli ex soci deve aver soppesato attentamente i risultati artistici e contabili di questi anni. Ed evidentemente deve aver trovato le proprie motivazioni. Per concludere, il bilancio di questi undici anni di teatro può essere sintetizzato con una citazione di J. W. Goethe (che visitò Vicenza 233 anni fa e andò anche a teatro) forse impegnativa, magari barocca, ma giusta: “Qualunque cosa tu possa fare, qualunque sogno tu possa sognare, comincia. L’audacia reca in sé genialità, magia e forza. Comincia ora”. A Vicenza s’è imparato a ri-cominciare.


TEATRO DI VICENZA

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CALENDARIO STAGIONE 2019/2010 sul sito www.tcv.it

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QUESTO OLIMPICO è nel cuore dei vicentini

Il 72° ciclo di spettacoli a cura di Giancarlo Marinelli di Antonio Di Lorenzo

Giancarlo Marinelli, il regista scrittore che cura questa 72esima stagione degli spettacoli classici ama ricordare una sensazione che l’ha colpito: “Se chiedo ai vicentini dove sono andati a teatro per la prima volta, quasi tutti mi rispondono all’Olimpico”. La lettura del curatore punta sull’inversione dei ruoli che ribalta le convenzioni e fornisce una nuova lettura di celebri testi. Grandi attori e registi sulla scena palladiana: Pino Micol, Maurizio Scaparro, Elisabetta Pozzi, Romina Mondello, Enrico Lo Verso.

Giancarlo Marinelli

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72° CICLO DI SPETTACOLI

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Tutti gli spettacoli al Teatro Olimpico iniziano alle ore 21.00, mentre le recite della Tragedia innocente sono in programma alle ore 17.00 le prime due, alle 11.30 la terza; il Teatro sarà aperto, come di consuetudine, un’ora prima degli spettacoli.

IL RITORNO È UNA SORPRESA, ANZI UN’INVERSIONE. Tornare bambini per ritrovare l’Olimpico. Perché per noi, a Vicenza, il teatro inizia da lì. Giancarlo Marinelli, il regista scrittore che cura questa 72esima stagione degli spettacoli classici (organizzata da Comune e Accademia Olimpica) ama ricordare una sensazione che l’ha colpito: “Se chiedo ai vicentini dove sono andati a teatro per la prima volta, quasi tutti mi rispondono all’Olimpico”. E lui, con questa rassegna, vuole celebrare il ritorno al futuro dell’esperienza teatrale: l’Olimpico è al centro di molti ritorni, con spettacoli e tragedie celebri che, però, raccontano molto di più e molto di diverso da quanto siamo abituati. Un gioco di parole? Non solo, anche se ce n’è più d’uno, come c’è più di un ritorno tout court di attori e registi sul palcoscenico del teatro palladiano. Intanto il titolo: “Muoiono gli dei che non sono cari ai giovani” è la filosofia che presenta i titoli in cartellone. L’idea è quella dell’inversione: “Muore giovane chi è caro agli dèi” è il verso nell’originale di Menandro. Perché ribaltarlo? Il ragionamento di Marinelli è preciso: “La tragedia studia il rapporto tra gli uomini e il Fato, il conflitto tra uomini e dèi, dove il confine tra i primi e i secondi è un orizzonte simile ad una cortina di ferro, il dramma elisabettiano studia al contrario lo sfaldamento di quella barriera, l’azione, che è tensione e ribellione ad un tempo degli uomini, stanchi d’essere solo demoni in rappresentanza terrestre, e che aspirano ad un dominio incondizionato ed assoluto. Fino al dramma moderno, dove, a ben guardare, si racconta quasi sempre d’uno schianto che segue a quell’azione. Allo spiaccicarsi a terra dopo l’ascensione. Che, inevitabilmente, nel risollevarsi EVENTICULTURALI

diventa dunque inversione”. Il punto che caratterizza le scelte di quest’anno è preciso e sta tutto nell’inversione: “Gli uomini non accettano più di soggiacere al Fato; lo vogliono controllare; ma il nostos verso casa, che è viaggio e nostalgia, è peggio di quello di Ulisse. È un ritorno dove non si trovano più i Proci. Ma uno specchio in cui Ulisse s’accorge d’essere uno dei Proci. Il ciclo dei Classici 2019 è, idealmente, il racconto del primo passaggio: quello del 2020 dirà del secondo”. LA RIBELLIONE AL FATO FA MORIRE GLI DEI. Cerchiamo di capire come si articola questa ribellione al Fato, che, appunto, porta alla morte degli dei. Spiega Marinelli: il primo testo, che è anche il debutto della stagione, sono Le memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, con la regia di Maurizio Scaparro e protagonista Pino Micol. Scaparro ha creto lo spettacolo che per vent’anni è stato affidato a Giorgio Albertazzi, il quale confidava a chi scrive che fra le centinaia di testi che ha interpretato in una carriera lunga oltre sessant’anni le Memorie di Adriano è quello a lui più caro. L’adattamento teatrale del romanzo che in tutto il mondo ha venduto più di 25 milioni di copie trionfa, infatti, sul palco da quattro lustri e ha superato i 500mila spettatori. Tutto nasce dall’idea del suo regista, Maurizio Scaparro: “Adriano è più di un uomo, è il ritratto di ciò che noi siamo oggi, nelle sue parole ritroviamo le radici della nostra storia”. Per Scaparro, 90 anni, e Micol, 75 anni, si tratta di un ritorno all’Olimpico: memorabili sono state le stagioni degli anni Settanta che li hanno visti protagonisti nel teatro palladiano, quando 21


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Pino Micol

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Enrico Lo Verso

Giancarlo Marinelli con Giorgio Albertazzi

A PROPOSITO DI CLASSICI, IL CAST IRRIPETIBILE DEL 1948. Svolgendo all’incontrario il film del tempo, torniamo a 71 anni fa, quando andò in scena all’Olimpico un Edipo re che segnò la ripresa degli spettacoli classici dopo la guerra. La regia di quell’Edipo andato in scena il 2 settembre fu di Guido Salvini e il cast è rimasto memorabile e ineguagliato: Renzo Ricci era il protagonista affiancato da Andreina Pagnani (grande attrice poi nota al pubblico televisivo come la moglie di Maigret-Gino Cervi), Ruggero Ruggeri, Carlo Ninchi, Arnoldo Foà, Antonio Crast, Giulio Stival, Gianrico Tedeschi, Gianni Santuccio. Tra i corifei c’erano quel giorno all’Olimpico un gruppo di giovani che

1973 - PINO MICOL RECITA l’AMLETO CON LA REGIA DI SCAPARRO

avrebbe fatto molto parlare di sè: Alberto Bonucci, Giorgio De Lullo, Marcello Mastroianni, Nino Manfredi, Giancarlo Sbragia, Giorgio Strehler, Rossella Falk, Bice Valori, Flora Carabella e Marina Bonfigli. Le musiche furono del maestro Arrigo Pedrollo, i costumi di Giulio Cortellacci.

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72° CICLO DI SPETTACOLI

Elisabeta Pozzi

E ancora un omaggio e una dedica al genio di Andrea Palladio, che del Teatro Olimpico fu il creatore, sono previsti per il settimo e ultimo titolo del Ciclo di Spettacoli Classici, una celebrazione che prenderà vita nelle parole di Vittorio Sgarbi in una esclusiva Lectio Olimpica, una lezione- spettacolo su “Palladio e l’ordine del mondo”, di cui il celebre storico dell’arte sarà autore e protagonista, in programma il 26 e il 27 ottobre.

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Romina Mondello

Maurizio Scaparro

uno strepitoso Micol interpretò Amleto di William Shakespeare nel 1973 e, fra gli altri, un Cyrano di Edmond Rostand nel 1978, sempre con la regia di Scaparro. Accanto a loro saliranno sul palcoscenico, in quasi un mese di rappresentazioni, altri nomi di prima grandezza: Enrico Lo Verso è il protagonista dell’Apologia di Socrate per la regia di Alessandra Pizzi; Romina Mondello è Medea con la regia di Elena Bucci; Elisabetta Pozzi (che debuttò proprio all’Olimpico nel 1977, come ricorda Antonio Stefani, assieme a Giorgio Albertazzi e Anna Proclemer in una memorabile versione di Medea) è Ecuba, con la regia di Andrea Chiodi. Cosa lega tra loro questi testi e come li ha interpretati il curatore? Risponde Marinelli: “Socrate è un uomo che deve rispondere, a chi lo vuol condannare a morte, di empietà, di oltraggio agli dei e di corruzione verso i giovani (se seguissimo Menandro potremmo dire che son sinonimi: capi d’accusa fotocopia); Adriano è un semidio che risponde direttamente davanti alla morte del suo amore umano verso un giovane. Sono due eroi prigionieri che danno udienza ai ricordi e alla retorica; solo questo è concesso. Colti nel potere struggente della passività, devono schivare, difendersi, giustificarsi. Tutto il contrario di Medea ed Ecuba che, invece, sono assolutamente attive; già elisabettiane, già paradossalmente EVENTICULTURALI

stando ad Hegel - da commedia. La tragedia parte da una situazione di passività, ma il suo cuore è nell’azione. Medea ed Ecuba organizzano, ordiscono, prevedono, prevengono, aggrediscono. Agiscono. Si impongono come l’ordine produttivo e riproduttivo del mondo (come nel titolo della lectio olimpica di Vittorio Sgarbi dedicata al genio di Andrea Palladio). E, nell’assistere a questo passaggio, è inevitabile un contagio dell’inversione: dal titolo alla percezione. Non ci deve più chiedere quanto i classici siano attuali oggi. Ma quanto l’oggi sia attuale dinnanzi ai classici. Quanto sappiamo essere noi attuali dinnanzi ad Adriano, Socrate, Medea, Ecuba. A Palladio stesso”. “E cioè quanto li giudichiamo divinità intoccabili che a loro volta non possono né vogliono più toccarci; o quanto invece li consideriamo uomini così vicini a noi, da sentirne riecheggiare quella dannazione di cose mortali che senza la morte non diventano Storia; da avvertirne tutta la grandiosa e misera potenza umana di chi ha provato a fare un salto, ma dopo il fosso ha trovato un oceano”. Muoiono gli dèi che non sono cari ai giovani appartiene all’esperienza più sacra del teatro; che non è il vedere. Ma l’assistere.

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72° CICLO DI SPETTACOLI

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CHI E’ DI SCENA DOMENICA 22 SETTEMBRE , ORE 21.00

DA MAR. 1 OTTOBRE A DOM. 13 OTTOBRE

EVENTO SPECIALE in esclusiva nazionale

ORE 18.00 E ORE 21.00

“FRAMMENTI DI MEMORIE DI ADRIANO”

Sezione Off (itinerante nelle strade di Vicenza)

dall’opera di Marguerite Yourcenar a cura di

“MEDEA PER STRADA”

Maurizio Scaparro e Ferdinando Ceriani con

con Elena Cotugno di Fabrizio Sinisi e Elena

Pino Micol, produzione Teatro Ghione

Cotugno , ideazione e regia di Gianpiero Borgia, produzione Teatro dei Borgia

VEN. 27 E SAB. 28 SETTEMBRE, ORE 21.00 “APOLOGIA DI SOCRATE”

SAB.26 E DOM. 27 OTTOBRE, ORE 21.00

prima nazionale dall’opera di Platone con En-

“PALLADIO E L’ORDINE DEL MONDO”

rico Lo Verso adattamento e regia di Alessandra

-prima nazionale Lectio Olimpicadi e con Vit-

Pizzi, produzione Ergo Sum

torio Sgarbi, produzione Fondazione Cavallini Sgarbi

DA VEN. 4 A DOM. 6 OTTOBRE, ORE 21.00 “MEDEA”

LA TRAGEDIA INNOCENTE –

prima nazionale con Romina Mondello, regia

tre produzioni per le famiglie e le scuole testi e

di Elena Bucci ,produzione Tieffe Teatro Milano

regia di Giovanna Cordova coreografie di Silvia Bennet con i giovani attori di Tema Cultura

DA VEN. 11 A DOM.13 OTTOBRE, ORE 21.00

Academy, produzione Tema Cultura

“ECUBA”

DOM. 29 SETTEMBRE, ORE 17.00

prima nazionale testo di Marina Carr, traduzio-

“APOLOGIA DI SOCRATE. LA VERITA’ E’

ne di Monica Capuani con Elisabetta Pozzi e

COME L’ACQUA”

con Fausto Cabra, Federica Fracassi, Federico Vanni, regia di Andrea Chiodi,produzione Centro Teatrale Bresciano

DOMENICA 13 OTTOBRE, ORE 17.00 “ECUBA. ARES: IL DIO DELLA CARNEFICINA” DOMENICA 20 OTTOBRE 2019, ORE 11.30 “DALLA PARTE DI ORFEO”

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PROTAGONISTI

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FEDERICO FAGGIN

Le quattro vite del geniale inventore vicentino che ha rivoluzionato l’elettronica

di Valeria Mancini

Abbiamo incontrato all’Università di Padova il fisico, inventore e imprenditore Federico Faggin, una gloria per il Veneto, nato a Vicenza nel 1941, risiedente negli U.S.A. dal 1968, in occasione della presentazione del suo libro autobiografico “Silicio”.

Vicenza amplissima - Liber quartus Ciuitates orbis terrarum, Colonia

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FEDERICO FAGGIN

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Foderico Faggin fotografato nel 1984 davanti al Communication Cosystem,“l’altra metà del PC”, che gestiva tutte le comunicazioni voce e dati dell’utente

SILICIO Non è un libro facile, ma è avvincente. Non si tratta solo di uno scienziato che racconta le sue scoperte e narra la sua vita. Faggin spiega il significato della consapevolezza intrinseca nella natura e in ogni fenomeno vitale. “Sono partito dall’idea che i campi quantistici, aspetto fondamentale della realtà che i fisici di oggi ci raccontano, siano soltanto l’aspetto esteriore di un qualcosa di più ricco, di un qualcosa che deve essere cosciente, cioè di un sé. Un “sé” è qualcosa dotato sia di coscienza che di agentilità (grazie al libero arbitrio, è in grado di agire). La fisica non emerge dai campi quantistici che interagiscono nello spazio-tempo, ma da sé coscienti che comunicano fra loro, creando delle gerarchie di sé coscienti che arrivano fino all’uomo. Per questo motivo la coscienza non può appartenere alla materia, bensì deve essere una proprietà fondamentale e irriducibile della natura.”

F

ederico Faggin viene presentato dal Magnifico Rettore dell’Università di Padova, professor Rosario Rizzuto, che accoglie con emozione ed orgoglio l’inventore del microchip e del touchscreen, lo scienziato che ha plasmato il presente dell’elettronica. La prima domanda verte sull’importanza di aver studiato a Vicenza e a Padova nel periodo della sua formazione. Faggin racconta della sua passione per gli aeromodelli (“nel bambino che s’incantava a osservare il volo degli aeroplani c’erano già i semi del futuro artefice del microprocessore”) e della decisione di iscriversi ad un istituto tecnico, il prestigioso “Alessandro Rossi” di Vicenza, per diventare perito aeronautico. “Mio padre, docente di storia e filosofia al liceo classico “Antonio Pigafetta”, stimato autore di testi accademici, era perplesso e avrebbe preferito per me gli studi classici. Durante l’ultimo anno dell’Istituto Rossi, mi interessai ai computer e ai transistori, argomenti che non rientravano nel programma scolastico, e lessi tutto quello che potevo trovare sulla materia (…) Finalmente avevo trovato un soggetto ancora più eccitante degli aeroplani!”. La “prima vita” Dopo il diploma, viene assunto a Milano come tecnico elettronico presso l’Olivetti, azienda estremamente dinamica negli anni in cui l’Italia viveva il miracolo economico, EVENTICULTURALI

e viene inserito in un progetto Olivetti per la costruzione di un computer sperimentale. Grazie ad una legge del 1961, che consente l’accesso all’Università anche ai diplomati presso istituti tecnici, si iscrive a Fisica presso l’Università di Padova. “Per un perito, l’unico modo per raggiungere la cima era quello di creare una propria ditta” afferma, ricordando che molti dei suoi colleghi “fecero esattamente questo, specialmente nel Vicentino, contribuendo in grande misura allo sviluppo economico della Regione”. Un esempio di caparbietà e dedizione al lavoro tipica di molti piccoli imprenditori veneti del tempo. Anche se la facoltà di Fisica aveva la reputazione di essere una delle più difficili, decide di affrontare l’esame di ammissione e di lasciare l’Olivetti in caso di ammissione: desidera comprendere il principio di funzionamento che sta dietro alle tecnologie che utilizza ogni giorno. E l’Università di Padova diventa il luogo dove la curiosità può trovare risposte, anche se confessa che alla prima lezione di Analisi matematica non comprende nulla, avendo perso, per concludere il proprio lavoro all’Olivetti, i primi due mesi e mezzo di lezione. Ma grazie al suo sano pragmatismo e a un eccellente metodo di studio, recupera il tempo perso e si laurea a pieni voti nel 1965 (a ottobre del quarto anno), con una tesi sui Flying-spot Scanners. 29


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1. 1968: Federico crea la tecnologia MOS IC con porta di silicio (SGT) e progetta il Fairchild 3708. La tecnologia SGT permise di realizzare i microprocessori, memorie e sensori di immagine e fu adottata in tutto il mondo. 2. 1970. La prima CPU-on-a-chip al mondo: Intel 4004. Nell’immagine ingrandita si vedono le iniziali del nome.

L’Ateneo gli offre un lavoro di assistente incaricato, ma preferisce entrare alla CERES, una startup di Milano che sviluppa circuiti a film sottile. L’azienda lo invia in California per uno stage sulla tecnologia MOS, tecnologia microelettronica che fa uso di transistori Metal Oxide Semiconductor, che hanno successivamente permesso la fabbricazione dei primi microprocessori. La “seconda vita” La “seconda vita” inizia quando si trasferisce nella Bay Area di San Francisco e lavora alla Fairchild, l’azienda che ha creato la Silicon Valley, dove si occupa di transistori bipolari a giunzione realizzati in silicio. Quindi entra in Intel (dal 1970 al 1974), dove trova difficoltà a convincere i propri superiori a sviluppare la tecnologia del microchip. Successivamente il mercato dà ragione alla sua intuizione: Intel si convince della necessità di sviluppare i microprocessori solo nel 1985, quando IBM ne avvia la vendita. La “terza vita” Nel 1974, e qui inizia la sua “terza vita”, fonda la Zilog, diventando un imprenditore seriale. Nel 1986 co-fonda la Synaptics, una società che sviluppa Touchpad e Touchscreen, progetti che presenta a Steve Jobs nel corso di un colloquio nei primi anni 2000 (rifiutandosi di cedere 30

l’esclusiva). Alla Synaptics avviene la svolta “culturale. organizzativa” . “É nel mutuo aiuto che risiede il segreto. Se pensi di arrivare da solo, resterai solo e non arriverai”, dice Faggin citando J. A. Camacho. Con questo spirito l’azienda investe nella formazione del personale e presta attenzione all’apporto creativo di tutto lo staff, assegnando al datore di lavoro un ruolo più consultivo che di supervisione. “Forse - afferma Faggin - si trattò più di lungimiranza che di originalità: era una cultura aziendale di stampo “olivettiano”: frutto di intuito vincente, ancora oggi alla base di aziende come Google”. Durante la conversazione Faggin ffronta anche il tema dei cervelli in fuga, in quanto lui stesso era emigrato negli Stati Uniti in cerca di fortuna. “In Italia – sostiene – i giovani talenti vengono “messi al muro” per via del loro potenziale di disturbo ad apparati già costituiti, mentre negli Stati Uniti vengono aiutati ad emergere. In Italia oggi i posti migliori vengono dati ai parenti dei politici” afferma senza mezzi termini. La “quarta vita” In conclusione, Faggin descrive la sua “quarta vita”, iniziata nel 2009: dopo una vita “di testa” sui libri di fisica e una vita “di pancia” come imprenditore, tesa a innovare processi e prodotti EVENTICULTURALI

«Gli scienziati hanno paura di indagare i risvolti mistici. Ma non siamo solo materia e c’è una consapevolezza, nella mente ma pure in natura, nell’energia, che la fisica di oggi non spiega....»


FEDERICO FAGGIN

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Faggin è stato premiato dal presidente Obama con la prestigiosa National Medal of Technology and Innovation 2009, per il suo eccezionale contributo al progresso tecnologico. Da scienziato imprenditore, Faggin aveva sconfinato da tempo dalla fisica nella biologia. Ma ora la sua ricerca sembra approdare pure alla filosofia e lo studio della consapevolezza digitale.

«Volevo creare reti neurali in silicio, come un microprocessore che si crei da solo, che impari, invece di un microprocessore che si deve programmare. Mi sono chiesto: sarà possibile fare un computer consapevole? Gli scienziati pensavano che la consapevolezza fosse un fenomeno emergente dal funzionamento del cervello. Se è considerato una macchina perché non posso fare una macchina consapevole»

per renderli più aderenti ai bisogni del mercato, inizia una vita “di cuore”. “Durante tutto il mio percorso di inventore e imprenditore – spiega – ho proiettato la mia felicità nel futuro, legandola al raggiungimento del successo. Ma raggiunto l’apice, mi sono reso conto di non essere ancora “arrivato”: in questa quarta fase mi sono orientato maggiormente verso la spiritualità ed i sentimenti”. Gli ultimi dieci anni della sua vita sono dedicati alla costituzione ed allo sviluppo della “Federico and Elvia Faggin Foundation”, organizzazione no-profit dedi-cata allo studio scientifico della coscienza a partire dall’assunto che la “consapevolezza” non è un epifenomeno del cervello. La fondazione sponsorizza programmi di ricerca teorica e sperimentale presso università e istituti di ricerca statunitensi. “Un computer può sentire l’odore di una rosa. Solo l’uomo può sentirne il profumo - afferma - in quanto la coscienza ha la capacità di tradurre i segnali chimici come l’odore della rosa in segnali elettrici nei neuroni che compongono il cervello”. Se l’intelligenza artificiale traduce simboli in altri simboli, essa rimane un semplice esecutore di calcoli, con l’unico vantaggio di essere più veloce dell’uomo. Ma, nel suo calcolare, non comprende i significati, e rimane qualitativamente diversa dall’intelligenza umana, in grado invece di provare sentimenti. EVENTICULTURALI

“Io sono solo un oggetto separato dagli altri oggetti, come la fisica concepisce le cose; io sono il punto di vista dell’universo che osserva se stesso” Con questa affermazione il fisico si apre a tematiche mistiche, e invita ad abbandonare l’uso della sola ragione, per riscoprire gli elementi non misurabili o quantificabili in un modello matematico: spiritualità, interiorità, sentimenti, amore. Nel descrivere il suo percorso di esperienze, ammette di essere soddisfatto non tanto per aver inventato tecnologie rivoluzionarie, ma per aver potuto vivere appieno i diversi stadi della propria vita.

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IMAGO URBIS

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LO STADIO URBANO

Un progetto di ristrutturazione del Menti ritorna attuale per immagine e funzionalità

di Pino Dato www.quadernivicentini.it

“Questo stadio, vista l’importante localizzazione, ha la necessità di discutere con il luogo, con la città, e non limitarsi al comfort e alla sicurezza. Deve essere una costruzione funzionale all’interno e “urbana” all’esterno, in un confronto diretto con il tessuto della città”.

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LO STADIO URBANO L REFERENTI L’ufficio referente era a Londra in Cobahm Mews, Agar Grove 1 A, noto studio di architettura David Chipperfield. Ma il progetto (del nuovo Menti, ndr) è di vicentini, gli architetti Giuseppe Zampieri, Marco Chemello, Alessandro Zin. Zampieri era già all’epoca associato allo studio Chipperfield e successivamente, nel 2006, ha fondato l’ufficio di David Chipperfield Architects a Milano. Era logico che un progetto che avrebbe potuto diventare un veicolo di sviluppo sia per la nuova società Vicenza Calcio posseduta dall’Enic sia per il Comune di Vicenza fosse elaborato da professionisti vicentini. Tutti di alto livello e associati ad uno dei massimi studi di architettura mondiale. RIFERIMENTI ARCHITETTONICI Nel progetto gli autori affermano con molta chiarezza che “l’idea progettuale ha una paternità interamente vicentina, tuttavia alcune delle soluzioni sono state ispirate a vari progetti realizzati in Inghilterra. Tra gli edifici presi in considerazione e visitati nel Regno Unito dai progettisti vi sono: lo stadio di Stamford Bridge del Chelsea F.C., lo stadio di Highbury dell’Arsenal F.C., il Mound Strand, Lord’s Cricket Ground a Londra e l’Old Trafford del Manchester United F.C. a Manchester City”. Tutti stadi definiti “di città”, con qualità peculiari al loro rapporto interno al centro urbano. Proprio come dovrebbe essere il nuovo Menti ristrutturato. LO STADIO URBANO Presupposto fondante è la creazione di questa nuova struttura nel luogo dove già c’è il vecchio Romeo Menti. Il quale non sarebbe raso al suolo, tutt’altro. Sarebbe salvato in

VICENZAMAGAZINE parte. Ne sarebbe salvata la parte storica, che è la migliore dal punto di vista architettonico: è la Tribuna del Littorio, grosso modo la scatola aperta che contiene oggi la tribuna centrale. Concettualmente il motivo fondante è che deve trattarsi di stadio urbano, inserito nel contesto urbanistico già esistente. Gli architetti usano un sillogismo elegante: non lo stadio-isolato ma l’isolato-stadio. Il Menti, insomma, diverrebbe parte integrante del grande quartiere in cui oggi è inserito un po’ come corpo estraneo. L’idea appare decisamente buona. Il progetto pertanto non guarda solo all’interno dello stadio ma anche all’esterno. UN CAFFÈ AL MENTI Gli architetti allora erano in sintonia perfetta a quello che potevamo definire il “verbo di Julius”, il nuovo padrone inglese. Ma la logica corretta per uno stadio urbano è quella di una sua integrazione con l’ambiente esistente. Il modello può essere lo Stamford Bridge di Londra. Gli architetti ideatori concepiscono dunque il futuro Menti come uno stadio “agglomerato”, ovvero “massa di volumi con diverse funzioni”. Tale impostazione consente l’utilizzo dell’isolato-stadio come parte integrante del Centro storico in senso ampio e non solo per l’attività di un giorno (quello della partita). ALL’INGLESE MODELLO GENOVA La Tribuna del Littorio, l’edificazione primaria del primo Menti, quello del 1934 (quando ancora non si chiamava come oggi) sarebbe mantenuta come elemento storico e inserita in un nuovo contesto geometrico più ampio, che occupi tutti i bordi (parallelepipedo, non uovo). Gradinate nord e sud e distinti attuali non sarebbero del tutto EVENTICULTURALI

demoliti ma subirebbero un’azione di avvolgimento. La soluzione planimetrica è indubbiamente “all’inglese” e si rifà però anche ad un’idea italiana solida e storica, quella ideata da Vittorio Gregotti per lo stadio Luigi Ferraris di Genova. I blocchi di servizio a forma di L che si progettano agli angoli dello stadio agirebbero da zone di servizio alle strutture base, cioè a tutte le gradinate. Spiegano gli architetti: “Questo stadio, vista l’importante localizzazione, ha la necessità di discutere con il luogo, con la città, e non limitarsi al comfort e alla sicurezza. Deve essere una costruzione funzionale all’interno e “urbana” all’esterno, in un confronto diretto con il tessuto della città”. 26 MILA POSTI A SEDERE Il nuovo Menti deve avere una conformazione morfologica e funzionale compatta. Potrà contenere 26 mila posti tutti a sedere: 9 mila negli attuali Distinti, 5 mila per ciascuna gradinata, 6 mila nella tribuna coperta. Al loro interno sono ricavabili: locali per ristori, cinema multisala, negozi, spazi per altre attività sportive accessibili dall’esterno. La Tribuna coperta sarebbe ‘tagliata’ da due volumi trasparenti che conterrebbero una serie di percorsi verticali per la risalita e il deflusso della tribuna. Un grande portico segnerebbe verso l’esterno l’ingresso della tribuna d’onore, l’accesso dei giornalisti e dei collegamenti radio e TV, l’ingresso agli uffici e agli spogliatoi. È possibile anche la copertura della tribuna sud. La struttura risulterebbe più alta dell’attuale di circa 6 metri. Il costo allora preventivato era di 18 miliardi e 150 milioni di lire. Un costo certamente e largamente aggiornabile oggi. 33


IMAGO URBIS: IL SETTECENTO

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CHIESA DI SANVINCENZO Dedicata al Santo Patrono della città Vi si celebra ancora la messa in latino di Romano Concato

Il turista che oggi si trova a transitare per Piazza dei Signori difficilmente è in grado di individuare quella che un tempo era considerata una delle chiese più importanti della città, dedicata al patrono della città stessa, meta di pellegrinaggi e processioni. Non è dato sapere perché San Vincenzo sia legato alla città di Vicenza.

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CHIESA DI SAN VINCENZO

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N Le logge sono sormontate da uno splendido coronamento che mostra il Cristo compianto da angeli dello scultore Giovanni Battista Albanese, uno dei capolavori della tarda produzione dell’artista che prelude all’arte barocca. Allo stesso artista si devono le cinque statue del fastigio, che rappresentano i santi Vincenzo, Carpoforo, Leonzio, Felice e Fortunato (1614-1617). Queste opere - considerate tra le migliori dell’Albanese - ripropongono l’intensità pittorica e luministica della scultura di Alessandro Vittoria.

ell’immaginario collettivo una chiesa è un edificio spesso imponente, con annesso un campanile e prospiciente una piazza, e facilmente individuabile dall’osservatore. La chiesa di San Vincenzo di Vicenza nel 1300 era così, collocata in una posizione centrale della città e di Piazza dei Signori, ma con il passare degli anni è stata prima circondata da edifici e poi inglobata in essi. La chiesa oggi è collocata nella mezzeria del palazzo del Monte di Pietà. La facciata, realizzata nel 1614, è il risultato di un concorso vinto dai fratelli Paolo e Pietro Bonin. È formata da un gruppo di logge sovrapposte: quelle al piano inferiore ospitano l’atrio della Chiesa, e quelle superiori le stanze private del palazzo. Il turista che oggi si trova a transitare per Piazza dei Signori difficilmente è in grado di individuare quella che un tempo era considerata una delle chiese più importanti della città, dedicata al patrono della città stessa, meta di pellegrinaggi e processioni. Non è dato sapere perché San Vincenzo sia legato alla città di Vicenza. Già dai primi secoli cristiani vigeva l’obbligo dell’imposizione di un santo al nome della città. La scelta del Patrono doveva essere motivata da alcune indicazioni: l’avere ricevuto dal EVENTICULTURALI

Santo la fede o grazie eccezionali; l’appartenere alla stessa patria; il possedere reliquie insigni. San Vincenzo era di Saragozza una città della Spagna. Nella città di Vicenza non sono presenti reliquie del Santo; San Vincenzo non concesse mai una grazia alla città. La pìù probabile ipotesi è che la scelta sia stata motivata dalla somiglianza del nome del Santo con il nome della città: Vicenza - Vincenzo. L’originaria chiesa di San Vincenzo, venne edificata a partire dal 1387 nel luogo dell’antica Camera Fiscale degli scaligeri. Nel corso degli anni subì notevoli trasformazioni, sia estetiche che di orientamento, dovuti alla presenza degli edifici confinanti e dall’attività che veniva svolta nell’antistante piazza. Per accedere all’edificio è necessario superare dei gradini che conducono all’atrio. Nel 1486 l’edificio venne acquistato dal vicino Monte di Pietà, dalla finestra prospiciente l’atrio venivano effettuati scambi di pegno e prestito. Si può ancora vedere la protuberanza del davanzale su cui venivano appoggiati gli oggetti e l’inferriata dotata di apertura per lo scambio dei beni. La testimonianza di questa attività è data anche dalla presenza di un pilastro in marmo datato 1583. In esso sono riportate 29


PIGAFETTA 500° IMAGO URBIS: IL SETTECENTO

“come campione di garanzia, le misure lineari in vigore nel ‘500 a Vicenza: dal passo vicentino al piede, dal quadrello al coppo; e poi ancora quelle del braccio a panno, a seta, a raso; autore del lavoro è il lapicida vicentino Giovanni Antonio Grazioli “(M. De Ruitz - M. Saccardo, Il campione cinquecentesco di misure nella Loggia di San Vincenzo, Vicenza, 1996, pp. 10-12). L’ingresso alla chiesa non è centrale ma collocato sulla sinistra rispetto all’asse del prospetto di piazza. L’interno della chiesa è il risultato di tre ambienti disallineati: la cappella della Madonna della Mercedde, l’altare della Pietà e l’altare di San Vincenzo. Il ciclo di affreschi presenti a destra dell’ingresso nella cappella della Madonna della Mercedde sono opera del pittore e scultore Giuseppe Giordani, e rappresentano la vita, il martirio e la gloria di San Vincenzo e vennero realizzati nel 1963 in sostituzione degli affreschi settecenteschi ad opera di 30

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Paolo Guidolin. Per capire questo affresco è necessario raccontare la storia e il martirio che subì il Santo. Vincenzo nacque ad Huesca nel 300 d.C. alle propaggini dei Pirenei in Spagna. In gioventù venne affidato a Valerio il vescovo di Saragozza per completare la sua formazione culturale e spirituale (immagine in basso a destra). Il vescovo lo nominò arcidiacono e lo considerò suo braccio destro affidandogli il compito di predicare in sua vece (immagine in basso a sinistra). A causa della persecuzione dei cristiani Daciano, il prefetto della provincia spagnola, ordinò l’arresto di entrambi e le conseguenti torture. Valerio fu mandato in esilio e Vincenzo a causa della sua riluttanza a rinnegare la fede cristiana venne praticata la tortura del cavalletto (immagine in alto sopra all’altare) e della graticola con lamine infuocate. Vincenzo morì il 22 gennaio 304 e sali alla gloria dei cieli (immagine sul soffitto). EVENTICULTURALI


CHIESA DI SAN VINCENZO

VICENZAMAGAZINE L’altare della pietà risale al 1687 e venne realizzato dallo scultore Orazio Marinali, molto attivo nella Vicenza del periodo. E’ una delle più belle composizioni lasciate dall’artista su tutto il territorio nazionale. Raffigura il corpo di Cristo morto, disteso sul sarcofago e ricoperto da un drappo, affiancato da Maria e da un putto che gli tiene su la testa. E’ presente poi un’altra figura alle spalle con un angelo che tiene in mano una grande croce. Il tutto è reso drammatico dal drappo in marmo nero alle spalle delle statue sorretto da cinque putti. Lo spazio in cui è collocato l’altare della chiesa venne realizzato nel 1707 da Francesco Muttoni. E’ una stanza ottagonale con colonne doriche a fare da cornice e con il soffitto a vela. L’altare di San Vincenzo è opera dello scultore veneziano Bernardo Tabacco che riveste la pala d’altare con una cornice barocca in marmo bianco. La pala d’altare è opera di Antonio Balestra, realizzata nel 1711 e rappresenta la madonna con il Bambini Gesù tra i santi Vincenzo e Luca Evangelista. La festa di San Vincenzo si celebrava il 22 gennaio di ogni anno e a Vicenza era considerata di importanza pari al Natale. È interessante notare come essa venisse svolta in un documento del 1539: “Adi 22 zenaro, santo Vincenzo, Patron de la terra, procession a san Vincenzo, et se canta la Messa in Palazzo. Non si tiene ragione; si dèe tenia le botteghe serrate et cessare da ogni lavoro, sotto pena di libre cinque per cadauno che contraffarà, eccezion fatta par do casolini che all’hore debite et cum quella modestia che si convien possono tenir aperto l’usso et vender solamente de le cose magnative, et che sono necessarie a cadauno cotidianamente; ma i Calegarinon possono lavorare in alcun modo et solo dire li lavori fino all’hora di terza, i lattari non possino nè debbino vendere butiro et puvina, li bottegheri, artegiani aprir debboano le porte solamente nell’andare inanti et indredo et subito quelle serrar, essendo comandato da Nostro Signore Iddio che li santi giorni della Domenica, et altre feste comandate dalla Santa Chiesa siano da cischeduno osservate”. Il culto si San Vincenzo resistette fino al 1978. Nel 1917 e nel 1943 a causa delle due guerre mondiali, la città di Vicenza, a mezzo del proprio Vescovo e delle autorità cittadine, fece voto di celebrare come festa di precetto la Natività di Maria (8 settembre). La richiesta venne inoltrata a Roma dal Vescovo Arnoldo Onisto, e venne accolta e ratificata dal Cardinale James Knox, Prefetto della Congregazione per i Sacramenti e per il Culto Divino. Bibliografia: Ofelio Bison – San Vincenzo Martire a Vicenza – istituto S.Gaetano – Vicenza 1955 E. Reato, F. Lomastro, A. Ranzolin, G. A. Cisotto, R. Cevese – Il monte di pietà di Vicenza – G. Rumor editrice – Vicenza 1986 Alessadra Pranovi – Monte di Pietà cuore di Vicenza dal 1486 – Stampa digitale srl – Marano Vic. 1998 Alessandra Pranovi – Monte di Pietà, la chiesa di San Vincenzo – Eurostampa Verona 2000 EVENTICULTURALI

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VILLA THIENE (1549)

La villa ideale dell’UmanesimoVeneto L’uomo al centro del suo mondo.

© Sergio Vezzaro

Vogliamo oggi invece leggere il progetto magniloquente di Villa Thiene, non solo perché richiesto così ‘grandioso’, ma soprattutto perché carico di una grande idea. E’ ragionevole pensare peraltro che Palladio voglia creare a Quinto qualcosa capace di esprimere una magniloquente idea democratica e, perché no, esoterica, come o più di Villa Repeta a Campiglia del 1554-55 e di Villa Capra del 1569.

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WORLD HERITAGE EVENTICULTURALI


VILLA THIENE A QUINTO VICENTINO

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La villa veneta si affermò grazie ad una richiesta crescente di prodotti agricoli; alla disponibilità di terra adatta alla coltivazione intensiva di grano e vite; alla domanda e ai prezzi contenuti della seta grezza, prodotta principalmente nei possedimenti; alle condizioni di pace e di relativa sicurezza rurale, garantite dallo Stato veneziano; alla presenza di proprietari terrieri dal fiuto imprenditoriale, pronti a controllare il rendimento e il lavoro dei loro fittavoli e a investire le proprie risorse ed energie per incrementare la produzione; al buon senso di questi proprietari, che in generale non forzarono lo sfruttamento dei fittavoli fino al punto di provocare ribellioni o vendette; e soprattutto ad una cultura che vedeva la vita di campagna come meno logorante e più salutare di quella di città, in grado di contribuire maggiormente alla pace dell’anima e alle attività del pensiero. Questo naturalmente era l’incoraggiante luogo comune riaffermato da Palladio e da molti altri; in realtà i proprietari di villa per la maggior parte non erano studiosi o filosofi – come l’amico e committente di Palladio, Daniele Barbaro – ma semplicemente persone desiderose di incrementare le proprie entrate facendo scavare canali e piantumare vitigni, amanti della caccia della pesca e del mangiar bene, a cui piaceva intrattenere amici e mecenati e primeggiare nel loro piccolo mondo, senza essere troppo strettamente osservati dai vicini e dai nemici come avveniva in città. Ma neanche tutto questo avrebbe portato alla creazione della villa veneta se non ci fosse stato da parte loro un profondo apprezzamento dell’architettura o, in altre parole, la consapevolezza di un prestigio aggiunto, cioè il piacere e l’interesse che una casa progettata in maniera razionale e artistica avrebbe offerto al suo proprietario. In questo la figura di Palladio, e dopo

la sua morte, il suo esempio, fu di fondamentale importanza. È Andrea Palladio ad aver inventato la villa moderna, e con essa un nuovo modo di vivere in campagna. Molto più dei suoi predecessori, Palladio ha saputo mettere in accordo esigenze funzionali, strutturali, estetiche, per creare case a un tempo comode e belle. Per la sua architettura domestica, la villa costituiva un vero laboratorio, dove egli era meno vincolato dal sito o da preesistenze di quanto non fosse nei centri urbani. Numericamente, i progetti di villa costituiscono la gran parte della sua produzione, e ad essi deve larga parte della sua fama. Ma l’invenzione palladiana si comprende ancora meglio se inseriamo il suo contributo nella storia di lunga durata delle residenze di campagna nel Veneto. Palladio riuscì nell’impresa di dare forma concreta alla visione antica del vivere a contatto con la natura, un programma culturale già presente nella mente di Petrarca e degli umanisti veneti suoi successori, fino al grande Pietro Bembo. Ma per tutti costoro la villa era un sogno letterario, che associavano alle case di tipo tradizionale in cui abitavano, ed è solo con Palladio che la visione antica della vita ideale in campagna viene pienamente coniugata con le forme antiche di pronao, di colonnati, di sale a volta e lunghe scalinate che collegano il piano nobile con il giardino antistante, o la vera da pozzo. Un altro aspetto del suo straordinario successo è dovuto alla capacità di adattare il progetto alle preesistenze all’interno di una logica produttiva che mirava all’economia e al riuso, aspetto che si adeguava perfettamente alle esigenze dei committenti che desideravano ricollocare il manufatto al centro del fondo agricolo o recuperare le strutture delle fondamenta.

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LE VILLE DI ANDREA PALLADIO 1. Villa Trissino ai Cricoli (1534) 2. Villa Godi Malinverni (1537) 3. Villa Piovene Porti Godi (1539) 4. Villa Valmarana Bressan (1541) 5. Villa Gazzotti Curti (1542) 6. Villa Pisani Bonetti (1542) 7. Villa Saraceno (1543) 8. Villa Pojana (1546) 9. Villa Caldogno (1545) (n.2/2019) 10. Villa Contarini (1546) 11. Villa Angarano (1548) 12. Villa Thiene (1549) - (n.3/2019) 13. Villa Chiericati (1550) 14. Villa Cornaro (1552) 15. Villa Pisani (1552) 16. Villa Badoer (1554) 17. Villa Barbaro (1554) 18. Villa Porto Pedrotti (1554) - incerta 19. Villa Foscari (1554) 20. Villa Emo (1556) 21. Villa Trissino Rossi (1558) - incompiuta 22. Villa Sarego a Miega (1562) 23. Villa Valmarana Zen (1563) 24. Villa Forni Cerato (1565) (n.1/2019) 25. Villa Sarego a S. Sofia (1565) 26. Villa Capra (1566) 27. Villa Porto (1570) - incompiuta GUIDA ALLE VILLE DI ANDREA PALLADIO

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LA VILLA VENETA

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©Stefano Maruzzo

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DESCRIZIONE (1542) La villa Thiene di Quinto, come il palazzo di famiglia a Vicenza, fu costruita per Marcantonio e Adriano Thiene probabilmente in base a un progetto di Giulio Romano, poi modificato dal direttore dei lavori, Palladio. Affacciata sul fiume Tesina, essa era situata al centro di due grandi corti agricole dei Thiene. Il progetto prevedeva una soluzione ben diversa da quella delle altre ville palladiane: la fabbrica è dominata da una grande loggia voltata a botte, più alta del resto dell’edificio, mentre l’esterno è articolato con lesene doriche, raddoppiate sui lati corti. La struttura è eseguita in mattoni — in origine coperti da intonaco, ma ora a vista — con un uso limitato di pietra bianca nelle basi, nei capitelli, nei davanzali delle finestre e agli angoli del cornicione e del timpano. Il resto delle parti sagomate è eseguito in cotto. Il progetto venne redatto fra il 1542 e il 1543, in contemporanea con quello del palazzo, e EVENTICULTURALI

la costruzione verosimilmente si arrestò negli anni ’50: la morte di Adriano (avvenuta alla corte di Francia, al servizio di Francesco II) e lo spostamento degli interessi familiari nel Ferrarese, a seguito dell’acquisizione del feudo e del titolo di conte di Scandiano da parte di Ottavio, figlio di Marcantonio, sono probabilmente all’origine dell’incompletezza della fabbrica. Nel 1614 Inigo Jones registra nella sua copia dei Quattro Libri lo stato di incompiutezza dell’edificio, cui mancava la volta della loggia. Un intervento di Francesco Muttoni, certamente anteriore al 1740, insiste pesantemente sull’edificio: pur conservando gli appartamenti eseguiti, elimina la grande loggia e crea una nuova facciata principale verso sud. Quelli che dovevano essere i fianchi diventano quindi le odierne facciate, con una rotazione di 90 gradi. Nelle due stanze a sinistra rimangono gli affreschi realizzati da Giovanni Demio nei primi anni ’50.


VILLA THIENE A QUINTO VICENTINO

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“A noi interessa il sogno di Palladio, sia pure steso in bozza, perché in ogni caso bozza di una grande utopia. Per Villa Thiene Palladio ha l’idea di concepire il rovescio di uno spazio pieno e costruito. La corte interna, racchiusa da ©Stefano Maruzzo © Antonio Tafuro © Luca Agnoletto

IL PROGETTO (1545) Di ‘Villa Thiene’ poco sappiamo. Per questo più che la cronologia costruttiva sarebbe interessante conoscere la primogenitura della ideazione. Le ambizioni della famiglia Thiene verso la fine del XV secolo sono già manifeste grazie all’incarico dato a Lorenzo da Bologna dai Conti Adriano e Marc’Antonio di Thiene per la realizzazione del primo nucleo del Palazzo Thiene di Città. A metà del XVI secolo questi danno incarico a Palladio di rinnovare e ampliare quel primo cantiere di città, probabilmemente sulla base a un preliminare studio di Giulio Romano. “Deve esser grandioso, anzi: il più grande e fastoso, capace di competere con le vere Regge” del tempo. Sono interventi che vanno dal 1556 al 1558, forse iniziati già verso il 1551-1553, viste alcune opere di decorazione di Alessandro Vittoria.

4 prospetti imponenti, simula la piazza di una città ideale

Non sazi i due fratelli vogliono contemporaneamente anche una villa altrettanto degna in località Quinto, lungo le rive del fiume Tesina. In questa Villa di campagna la presenza degli affreschi di Demio (datati 1552-1553) confermano che il cantiere era già aperto dal 1549 o, al massimo, dal 1550. L’incarico di Palladio prende avvio in particolare per merito di Ottavio, figlio di Marc’Antonio e nipote di Adriano. Queste opere vengono iniziate pochi anni prima della pubblicazione dei Quattro Libri nel 1570 e a questo potremmo attribuire le tante incongruenze denunciate un po’ da tutti i critici tra progetto e realizzazione. Ma andiamo a scoprire tanti dettagli più curiosi. A noi interessa il sogno di Palladio, sia pure steso in bozza, perché in ogni caso bozza di una grande utopia. Se questo è pubblicato nei suoi ‘Quattro Libri’ significa essere per lui cosa di grande importanza. EVENTICULTURALI

e diventa spazio puro dove l’uomo si ritrova al centro della sua architettura, pensata per il padrone di casa. Così come Villa alla Rotonda l’architettura è al centro della natura (o del mondo), a Villa Thiene è l’uomo al centro del suo mondo, e della sua natura.”

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VICENZAMAGAZINE Ottavio Thiene sposa però Laura Bojardo di Scandiano, donna molto, molto ricca, e così abbandonerà Vicenza per seguire ‘ubi maior’. E’ così che si fermano i lavori palladiani. Più tardi anche Francesco Muttoni cade nel tranello delle ‘incongruenze di Quinto’ che hanno da sempre accompagnato l’esame di questo grande progetto. Nei primi anni del ‘700 Muttoni ha l’incarico di completare quel poco costruito del grande progetto del Palladio con il fine di dare funzionalità a quanto è rimasto incompiuto. Dirà lo stesso Muttoni di aver incontrato errori “anche nelle quote di imposta, tra la quota stradale principale e i cortili interni laterali” e altri ancora. E’ d’altra parte doveroso comprendere chi ha avuto tanta difficoltà ad interpretare, aggiustare o adattare il progetto originale, visto sempre pregiudizialmente come bozza giudicata gravata da “incertezze o addirittura da errori”. Vogliamo oggi invece leggere il progetto magniloquente, non solo perché richiesto così ‘grandioso’, ma soprattutto perché carico di una grande idea. E’ ragionevole pensare peraltro che Palladio voglia creare a Quinto qualcosa capace di esprimere in questo caso una magniloquente idea democratica e, perché no, esoterica, come o più di Villa Repeta a Campiglia del 1554-55 e di Villa Capra del 1569.

LA VILLA UMANISTICA Villa Thiene (1549) , Villa Repeta (1554) e Villa Capra (1569) hanno in comune un’idea di centralità che assume una valenza simbolica , per cui secondo noi è importante sapere quando e come il Maestro abbia concepito tali progetti. Dettagli progettuali che anche sui ‘quattro Libri’ vanno letti come appunti, ricchi di varie soluzioni di impianto, quasi degli ex tempore. A noi il piacere di ritrovare le tracce di quel sogno pensato per i Thiene e per certi versi ancora misterioso, capace di far ‘impazzire’ architetti come Muttoni e Bertotti Scamozzi e i più moderni, chiamati a completare o a studiare quel progetto. Che Palladio sia una miniera inesauribile di materiale da scoprire lo sanno gli studiosi che da anni se ne occupano. A noi la voglia e il piacere di ricostruire, magari con e, magari con semplicissimi schizzi, alcune visioni complessive e di semplice lettura, specie di quelle opere iniziate e non finite o realizzate diversamente dal previsto. Operazioni che in alcuni casi mostrano autentiche sorprese, da rivalutare, capire e magari da completare. Rimane vero che nel caso di Villa Thiene, visti i disegni riportati nei ‘Quattro libri’, molti architetti sono stati spinti a voler dar forma al prospetto mancante. A nostro avviso però questo è dettaglio del tutto trascurabile, o quantomeno secondario rispetto all’obiettivo del progetto, e per questo nemmeno trattati dal Maestro. Il suo alzato è costituito infatti dalla sezione passante proprio nel centro della villa, cioè il cortile, che ci mostra semmai i prospetti interni. Interno Palazzo Sturm

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VILLA THIENE A QUINTO VICENTINO

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Visione del progetto

forme architettoniche perfette inserite in un contesto naturale.

Villa Thiene nella sua completa realizzazione

L’attenzione va posta quindi su questo spazio avvolto dai quat- Questo è quanto fa Palladio per Villa Thiene. Il pensiero mi porta a diceva Bruno ilZevi nelle sue lezioni: “L’architettura è in retro poderosi che sono medesimi della Rotonda (o quanto Già nella prospetti, S. Pietro in i Montorio del Bramante troviamo altà lo spazio, cioè proprio quel vuoto raccolto dalle forme architetquasi), rivolti verso il vuoto del cortile interno. classico pensato all’interno di un ulteriore spazio toniche”: invenzione pura, vero capolavoro.” Sembra queltempietto, gioco ottenuto rivoltando un calzino, come anticipacosì risposta alle motivazioni dei monumentali propili to. Rivoltandointimo, la villa ‘alla privato. Rotonda’, o viceversa. classico, Alla Rotonda tutto Troveremo è esaltazione Con Palladio sembra utile ripercorrere il percorso dei capisaldi passanti di Villa Thiene. umanistica del ‘principe illuminato’, posto al centro di un dell’architettura classica, dal Pantheon a Castel del Monte e alla Insomma, se nella Villa alla Rotonda l’architettura è al centro della universo verso i quattro punti cardinali, con(o del i quattro mondo), a Villa Thiene è l’uomo al centro dell’archisua Rotonda.aperto Così facendo ritroviamo forme architettoniche per- natura tettura arteficie della costruzione del suo mondo. fette inserite in un contesto diversi orizzonti fattinaturale. di natura, potere e cultura. DaPalladiana, qui come Già nella S. Pietro in Montorio del Bramante troviamo il classico E’ forse da valutare anche quanto è pesato il territorio stesso di non lasciare al Palladio l’idea di concepire il suo rovescio, tempietto, pensato all’interno di un ulteriore spazio classico, in- Quinto, piatto e con pochi stimoli. cioè uno spazio puro il cui centro è un punto o E’ la villaideale, infatti a conferire tutto il proprio potere coinvolgente, timo, privato. Alla Rotonda tutto è esaltazione umanistica del ‘principe illumi- mentre dalla collinetta ‘la Rotonda’ è la natura capace di stimolare 107 nato’, posto al centro di un universo aperto verso i quattro punti emozioni e rapporti magici o addirittura esoterici. Ecco così il precardinali, con i quattro diversi orizzonti fatti di natura, potere e valere dell’invenzione equilibrata e geniale tra architettura e natucultura. Da qui come non lasciare al Palladio l’idea di concepire il ra, senza dimenticare che questa invenzione è non successiva, ma suo rovescio, cioè uno spazio puro il cui centro è un punto ideale, precedente alle altre. o meglio un punto dove l’uomo si ritrova al centro della sua archi- Giuseppe dalla Massara Tratto dal libro “E fu Basilica” tettura, pensata per il padrone di casa. EVENTICULTURALI

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VILLA THIENE

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GLI AFFRESCHI di GIOVANNI DEMIO

Definito da Andrea Palladio ‘huomo di bellissimo ingegno’, Giovanni Demio è nato a Schio intorno al 1500-1505. Un caso emblematico di maestro ‘girovago’, oltre che nella sua città natale e nella vicina Vicenza, operò nel territorio benacense, a Venezia, Brescia, Padova, Milano, Napoli, Salerno, Pisa, Orvieto e, presumibilmente, a Verona, Firenze e Roma. Come afferma Vittorio Sgarbi che gli ha dedicato recentemente una mostra a Schio: “Un ribelle, Demio, fuori quota, incontrollabile, imprevedibile, pronto a contaminarsi con tutti i pittori più forti di vita. Eppure, alla fine, un formalista, sempre più lontano dal naturalismo padano e sempre più vicino a un delirio visionario alla El Greco”. Giovanni Demio è abile nel dar vita a suggestioni inimitabili ed emozioni tangibili grazie alla sua costante, personale ed elaborata ricerca manieristica, come nei giovanili Compianti di Merano e di Lavenone, nella Madonna adorante il Bambino del Museo di Castelvecchio di Verona, nella pala con Martirio di san Lorenzo di Torrebelvicino, nelle ante d’organo della chiesa di San Pietro a Schio, nella Sacra conversazione di collezione privata, nel Riposo nella fuga in Egitto della Galleria Palatina di Firenze, o nella miniatura del Museo Civico Ala Ponzone di Cremona, e ancora nell’Adorazione dei pastori di Santa Maria in Vanzo a Padova oppure nell’Adorazione dei Magi di Casa Martelli di Firenze, nell’Adorazione dei Magi e nell’affresco con Santa Caterina della Pinacoteca di Palazzo Chiericati a Vicenza.

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CAMMINI VENETI

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Parte della 2^ tappa

Sule orme del Fogazzaro per conoscere il territorio e le persone illustri che hanno fatto la storia di questo tratto.

Da Caldogno a MaranoVicentino

Ore 8:45 Punto di partenza CALDOGNO via isonzo Posteggio in fianco al Capitello (c’è un posteggio di una rivendita auto chiusa di domenica)

©Susanna La Lampa Risorgive - Foto di Susanna La Lampa

©Stefano Maruzzo Villa Ghellini a Villaverla

Villa Ghellini è una villa veneta sita a Villaverla, in provincia di Vicenza. Rappresenta il capolavoro di Antonio Pizzocaro. L’opera risulta incompiuta, in particolare nell’ala settentrionale, perché i lavori si interruppero nel 1679 a causa della morte dell’architetto e dei problemi finanziari della famiglia

che l’aveva commissionata. La facciata principale del palazzo è interna ad un cortile a cui si accede dall’ingresso occidentale attraverso un’ampia arcata. Di Pizzocaro anche la Chiesa di San Gaetano che si può ammirare lungo il percorso a Novoledo di Villaverla

Lasciamo il Bacchiglione e iniziamo a percorrere gli argini del Timonchio. Attraversando Novoledo, arriviamo a Villaverla , visita esterna Villa Ghellini. Breve sosta in una favolosa pasticceria di Villaverla. Poi si prosegue , sempre sugli argini, verso le terre del Mais Marano. Suggestivo tratto immerso nel verde. Arrivati a Marano Vicentino, vi propongo il pranzo in un luogo pieno di storia, la casa Natale di Antonio Fioretti, il papà del Mais Marano. Visita all’antica cucina 1890. Qui, chi vuole, può fermarsi a pranzo. Fanno proposta di un piatto unico, grigliata carne con contorni e bibita € 16,50 Tipologia di percorso : Distanza 12 km. Tutto pianeggiante. Argini - strade sterrate e piste ciclabili Adatto a tutti. Scarpe da trekking Rientro dopo il pranzo: a piedi in autonomia , o organizzandoci con le auto, un po’ le lasciamo al punto di incontro (Caldogno - via isonzo) e altre all’arrivo sul posteggio della “Corte degli Aranci” ( via San Fermo 58 - Marano vicentino). Così possiamo riprenderle alla fine della camminata. Adesioni SOLO SMS al nr 349-2678042. Con specificato se vi fermate a pranzo. L’uscita è riservata ai soci dell’associazione (ci si può iscrivere anche al momento dell’uscita) L’iscrizione è comprensiva di assicurazione. Costo € 5,00 (iscrizione + una uscita ) € 15,00 (iscrizione + tre uscite) € 30,00 (iscrizione + 12 uscite ) Oltre agli aggiornamenti costanti sulle altre attività

Giuliana Teso Show Room – via Longare 1 – Vancimuglio (Vicenza) – tel. 0444 265311 EVENTICULTURALI

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EVENTI TRADIZIONI

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ANCORA RUA ALTA ! !

Si festeggia ogni due anni la festa della Rua che risale al Medioevo “E’ una macchina dalle fattezze eleganti, spinta verso l’alto, in forma piramidale. I lineamenti, in armonia con i decori che la impreziosiscono, rendono magnifica la struttura in ogni dettaglio. E’ provvista di un’ampia scalinata che conduce all’atrio principale, sorvegliato da fanti e cavalieri. L’emblema della Rua di Vicenza è incastonato sotto la volta centrale, dove trovano posto i seggiolini occupati dai bambini vestiti a festa. Sopra l’architrave spicca la croce d’argento su sfondo rosso e, infine, capeggiano il Leone alato di San Marco e il simbolo della Giustizia interpretato da una fanciulla armata di spada e bilancia.” 42

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IL GIRO DELLA RUA

VICENZAMAGAZINE 14 SETTEMRE - GIRO DELLA RUA “Il Giro della Rua”, ritorna come consuetudine nel 2019, dopo due anni dall’ultima edizione, sabato 14 settembre. La grande festa dei vicentini, inserita dal 2013 nel registro regionale delle feste storiche, animerà il centro storico con la tradizionale sfilata che percorrerà il centro storico fino a piazza dei Signori dove proseguirà la festa. La festa biennale ritorna quest’anno in centro storico con una settimana di ritardo rispetto alla tradizione che vuole che la sfilata avvenga in prossimità della festa patronale dell’8 settembre. Quest’anno, infatti, Vicenza in festival propone una serie di concerti dal 5 all’8 settembre in piazza dei Signori, due dei quali già fissati, Fiorella Mannoia il 5 e Max Gazzè il 6. Inoltre la Fiera Vicenzaoro si terrà proprio dal 7 all’11 settembre, fine settimana in cui è previsto anche ViOff in centro storico. Pertanto, per evitare l’accavallarsi di iniziative, l’Amministrazione ha deciso di posticipare il Giro della Rua che avrà un nuovo manifesto con una nuova grafica realizzata da Minja Diokic, vincitrice del concorso 2019.

IL MANIFESTO Una Rua immaginata come un gioiello dorato su sfondo blu cielo affiancata da elementi grafici identificativi di Vicenza: la Basilica palladiana, la villa La Rotonda, le colonne di piazza dei Signori e il Torrione di porta Castello. E naturalmente un gattino. E’ questa l’idea vincente scelta per il nuovo manifesto de “Il Giro della Rua”, proposta da Minja Diokic, ventenne studentessa dell’Accademia di Belle Arti di Verona.

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La processione della Ruetta


VIVI EDIZIONI

Storie e Poesie di Donne VIVI EDIZIONI

VICENZAMAGAZINE Collana STORIE DI DONNE In questa collana pubblichiamo storie di donne raccontate in prima persona. Storie che raccontano la vita vera, quella vissuta attraverso le emozioni e i sentimenti, le esperienze del dolore e della sofferenza.

ANNA PEREZ

Ultima pubblicazione Anna Perez: all’Ombra

Un libro intenso e toccante che testimonia la difficile e tormentata emancipazione della donna dai modelli famigliari che occultano al loro interno il seme della diseguaglianza in primo luogo sessuale e poi culturale e sociale.

del ciliegio - €e. 10,00

ANNA PEREZ

La testimonianza di una ragionevole ribellione che nasce da una presa di coscienza della debolezza della natura umana, capace di comprendere, “all’ ombra del ciliegio”, quei sentimenti di amore e di affetto, di compassione e riconoscenza per i genitori, indispensabili per diventare umanamente migliori agli occhi dei propri figli.

POESIE DI DONNE Oltre alle opere autobiografiche pubblichiamo raccolte di poesie accompagnate da illustrazioni e disegni.

€ 10,00

RACCOLTA di POESIE e non solo... di Annamaria De Rigo

Le tematiche principali della collana sono ad esempio il femminismo, l’amore, la femminilità, la cura di sé e il “crepacuore”, ma anche i temi più difficili da elaborare come la violenza sessuale e la malattia. Ultima pubblicazione Anna Maria De Rigo: Impronte di vita - e. 10,00

BIBLIOGRAFIA: Annamaria De Rigo nasce a Schio in provincia di Vicenza, il 27 luglio 1961 ed è madre di due figli. Come dipendente pubblica ha sempre lavorato in ambito amministrativo in Settori umanistici e sociali, per i quali è particolarmente portata. Nel 2017, con un nome di fantasia, pubblica il suo primo libro “La morte mi voleva…” dove racconta la sua malattia, il cancro contro il quale sta ancora lottando ma affronta anche tematiche quali il disagio giovanile, il difficile rapporto tra genitori e figli adolescenti. Lo presenta per la prima volta il 28 settembre 2017 in Sala Stucchi a Palazzo Trissino, con il patrocinio del Comune di Vicenza, dove si sono raccolte decine di associazioni di volontariato che l’hanno sostenuta nel suo progetto. Prosegue con la presentazione del libro in varie sedi cittadine e della provincia, assieme all’amica e collega Arianna Marangonzin che ha ideato la copertina del libro “La morte mi voleva…” e realizzato tutte le illustrazioni della presente raccolta “Impronte di vita”. Attraverso i suoi scritti vuole raggiungere il cuore delle persone e aiutare, seppur con “piccole gocce”, associazioni no profit e persone bisognose. Confida pertanto nella generosità e sostegno di tutti per raggiungere i suoi obiettivi di solidarietà.

IMPRONTE DI VITA

€ 10,00

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VIVI EDIZIONI Corso Palladio,179 VICENZA vivi@viviedizioni.eu


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NUOVA COLLEZIONE PELLICCE

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NUOVA COLLEZIONE PELLICCE La parola Cashmere evoca lusso e raffinatezza, echi di paesi lontani e culture antiche. Nel nostro show-room dedicato alla maglieria in cashmere è possibile acquistare la nostra esclusiva collezione da donna e da uomo. Si tratta di capi ideati e studiati in Italia da esperti stilisti delNUOVA settore “maglieria di lusso” e realizzati nei COLLEZIONE laboratori in Mongolia, nella Via S.F.specializzati Lampertico, 21produzione - MONTEGALDELLA (VI) - Tel. PELLICCE del filato, utilizzando la materia prima prodotta e info@francetich.it - www.francetich.it selezionata in loco, prima ancora di essere esportata

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