Giovanni Paolo II - Tra cielo e terra

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iornalista, vaticanista, scrittore italiano di origine polacca, Gianfranco Svidercoschi, ha avuto modo nella sua lunga carriera di intessere un intenso rapporto con Giovanni Paolo II che apprezzava il suo interesse per argomenti polacchi. La vicinanza con Karol Wojtyla Svidercoschi l’ha alimentata negli anni, dal 1983 al 1985, in cui è stato vicedirettore de “L’Osservatore Romanoâ€?. Con il Papa ha collaborato al libro “Dono e misteroâ€? e lo ha seguito in tanti dei suoi viaggi in giro per il mondo. Dopo la morte di Giovanni Paolo II, proprio in virtĂš di queste frequentazioni, ha messo mano a “Storia di Karol Wojtylaâ€? che ha fatto da ďŹ lo conduttore per le sceneggiature dei due ďŹ lm per la televisione “Un uomo diventato Papaâ€? e “Un Papa rimasto uomoâ€?. Svidercoschi ha dedicato gli ultimi anni della sua vita a raccontare, da diversi punti di vista e confrontandosi con altre ďŹ gure che lo hanno conosciuto, il Papa giunto della Polonia. Eppure se gli si chiede, come avvenuto per questa intervista, un ricordo di Karol Wojtyla il giornalista non ha dubbi. “Il ricordo di Giovanni Paolo II che mi porto nel cuore

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e a metterci in preghiera con lui. Vidi un uomo totalmente perso in questa dimensione, capace di un intimo contatto con Dioâ€?. Ma fra i ricordi che si affastellano nel cuore di Gianfranco Svidercoschi c’è anche quello della grande umanitĂ di Karol Wojtyla. “Ancora oggi – ricorda – provo una grande nostalgia per l’umorismo del Papa, per la sua capacitĂ durante i viaggi o in qualche momento conviviale, di saper ridere, di essere sereno. Era un uomo rimasto semplice, capace di chiedere scusa anche all’ultimo dei suoi collaboratori se pensava di avere torto o di avere sbagliatoâ€?. Si commuove ancora oggi Svidercoschi nel raccontare la testimonianza che gli ha reso chi ha potuto essere vicino al Papa nelle ultime ore dalla sua vita terrena. Ricorda quanto gli ha raccontato Francesco, l’uomo che faceva le pulizie negli appartament papali. Dopo che, nella mattina di quel 2 aprile 2005, Giovanni Paolo II aveva congedato alcuni cardinali giunti al suo capezzale, chiamò a sĂŠ l’uomo che per tanti anni l’aveva servito nel silenzio. Non potendo quasi piĂš parlare il Papa gli poggiò la mano sul capo, come per un’ultima benedizione. “Per piĂš di una settimana – racconta Svidercoschi – Francesco non ha volu-


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to lavarsi i capelli”. E dopo l’uomo delle pulizie è stata la volta di suor Tobiana, la superiora della suore che per tanti anni l’avevano “accudito” a Roma. “A lei – racconta ancora Gianfranco Svidercoschi –, in un polacco reso quasi incomprensibile dalla sofferenza, Giovanni Paolo II ha rivolto le sue parole, quel ‘lasciatemi tornare al Padre” ormai diventata una frase storica”. Sono questi piccoli frammenti, pressocché sconosciuti al grande pubblico, che costituiscono il Wojtyla segreto che il giornalista si porta nel cuore. Ma c’è anche un Giovanni Paolo II pubblico che Svidercoschi vuole ricordare, un Papa su cui apparentemente è stato detto già tutto. “Eppure – afferma – ogni volta che mi devo confrontare con la sua figura mi trovo a meravigliarmi del grande fascino che continua a esercitare, un fascino che paradossalmente è più forte oggi del giorno della sua morte”. È una meraviglia, quella ricordata dal giornalista, che lo coglie ogni volta che osserva la gente in sosta davanti alla tomba di Giovanni Paolo II. “La loro – afferma – non è una semplice preghiera, è invece un dialogo con un Papa che sentono ancora vivo, perché ha permesso loro di vivere un’esperienza generatrice di Dio”. Tutti i papi hanno

avuto questo “mandato”, ma ciò che per Svidercoschi rende unica e ancora straordinariamente viva l’esperienza di Giovanni Paolo II è l’essere stato realmente percepito come il Papa dell’incarnazione, capace di mostrare il volto umano di Dio. “Con la sua vita, con la sua sofferenza, con la sua passione, con il suo modo di vivere il rapporto con Dio – continua ancora Svidercoschi – Giovanni Paolo II ha colmato quello che nel Concilio Vaticano II era stato definito come lo scandalo della separazione tra fede e vita”. Karol Wojtyla, prima ancora di diventare Papa, ha dimostrato con la sua esistenza, prima alla Polonia e poi al mondo intero, come sia possibile superare questa divisione. “Il Papa – sono ancora considerazione del giornalista – ha mostrato a tutti come già sulla terra sia possibile iniziare l’incontro dell’uomo con Dio”. Nell’estrema poliedricità della figura di un Papa che ha attraversato due millenni ci sono aspetti a cui più di altri Svidercoschi crede si possa affidare la memoria di Giovanni Paolo II. “Karol Wojtyla – afferma – è stato veramente un uomo di Dio, capace di coltivare un intimo e fortissimo legame con il trascendente. La sua giornata era scandita dalla preghiera che veniva co-

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munque prima anche del piĂš importante degli ufďŹ ci legati al suo ministeroâ€?. Cita al proposito Svidercoschi una conďŹ denza fattagli a suo tempo dal card. Camillo Ruini. Prima di un colloquio telefonico con il presidente statunitense Bush Giovanni Paolo II interruppe il pranzo per ritirarsi a pregare. “Giovanni Paolo II è stato un uomo totalmente dedito alla preghiera –ribadisce il giornalista –, capace di inventarsi parole sempre nuove con cui rivolgersi al Padre. Ma il suo modo di pregare non aveva niente di bigotto, niente di costruito, perchĂŠ il suo rapporto con Dio era naturale, direttoâ€?. Fra le mille sfaccettature di Giovanni Paolo II un’altra è quella su cui Gianfranco Svidercoschi insiste in modo particolare. “Karol Wojtyla Č‚ racconta Č‚ è stato un uomo libero, capace di alimentare in ogni circostanza questa sua libertĂ interiore. Il suo profondo radicamento in Cristo l’ha reso estremamente libero, distaccato dal mondo, dalle cose, da sĂŠ stessoâ€?. Il Papa che Svidercoschi ama ricorda è un uomo con uno stile di vita realmente francescano, capace di incarnare alla perfezione i canoni della povertĂ indicati dal Poverello di Assisi. “Pochi sanno Č‚ afferma al proposito Č‚ che Giovanni Paolo II è stato l’unico ponteďŹ ce a non cambiare nulla dell’appartamento del suo precedessore. Gli unici oggetti che portò con sè da Cracovia furono le fotograďŹ e dei suoi genitoriâ€?. Questa libertĂ , espressione di una sintesi riuscita tra vita spirituale e azione umana, è per Svidercoschi la cifra del lungo pontiďŹ cato di Giovanni Paolo II. “Questa libertĂ Č‚ afferma Č‚ l’ha portata in tutti gli angoli della terra, l’ha testimonianta soprattutto ai piĂš poveri, agli oppressiâ€?. C’è inďŹ ne, ma l’elenco non esaurisce la grandezza del Papa venuto dalla Polonia, un ultimo aspetto che il giornalista sottolinea ed è quello dell’umanitĂ di Giovanni Paolo II. “Un aspetto che Č‚ afferma – contribuisce a rendere comprensibile il grande fascino spirituale che ancora oggi caratterizza la sua ďŹ guraâ€?. Wojtyla è stato un uomo di Dio che ha saputo mantenere intatte le migliori caratteristiche dell’essere uomo. Il mondo di oggi tende a fare di questa caratteristica un aspetto eroico perchĂŠ non è piĂš capace di vedere una persona semplice e mite con le sue emozioni vivere il contatto quotidiano con la gente. “Giovanni Paolo II – ricorda al proposito Svidercoschi – amava ripetere

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che la Chiesa non doveva limitarsi ad accogliere in piazza San Pietro o nelle sue chiese la gente, doveva al contrario andare ad incontrarla dove questa vive la sua quotidianitĂ fatta di gioia, di sofferenza, di dolore e di faticaâ€?. Da questa convinzione prese le mosse sin dall’avvio del suo pontiďŹ cato la necessitĂ di portare il Vicario di Cristo in ogni angolo della terra. La santità è l’ultimo aspetto a cui Svidercoschi afďŹ da la memoria futura di Giovanni Paolo II. “Il suo rapporto con Dio, con la gente, con la sofferenza danno la misura della sua santitĂ , la misura alta della vita cristiana, come il Papa – ricorda Svidercoschi – ebbe modo di deďŹ nire la santitĂ nel documento per il Giubileo del Duemila. Per tutto questo mi vengono i brividi quando sento ridurre Giovanni Paolo II alla ďŹ gura di un Papa politico. Karol Wojtyla è stato un uomo di Dio che aveva come riferimento il Vangelo. Spesso, anche dinanzi ai problemi piĂš gravi non esitava a domandarsi e a domandare ai suoi piĂš stretti collaboratori cosa avrebbe detto al proposito il Vangeloâ€?. Un aspetto, quest’ultimo, che da solo conferma, per Svidercoschi, quell’acclamazione “santo subitoâ€? che si è levata da piazza San Pietro il giorno dei funerali di Giovanni Paolo II. “Una santitĂ vissuta – ricorda ancora il giornalista – che ha portato Wojtyla ad aprire vie nuove come la visita alla sinagoga, l’incontro interreligioso di Assisi del 1986, l’intuizione delle Gmgâ€?. Paradossalmente proprio questa fama di santitĂ , il consenso universale “senza se e senza maâ€? di cui Giovanni Paolo II ha goduto quando era ancora in vita, rischiano per Svidercoschi, di oscurare la completa comprensione della sua grandezza. “Ho voluto intitolare uno dei miei ultimi libri ‘Un Papa che non muore’ – afferma al proposito Svidercoschi – proprio perchè avverto il rischio che questo grande consenso che non accenna a diminuire neppure a sei anni dalla morte, possa limitare la conoscenza della grandezza di un Papa che ha saputo accompagnare la Chiesa nel nuovo millennio dandole prospettive nuove, una linfa rinnovata, combattendo spesso contro mille resistenze sia fuori che dentro i palazzi vaticani, forse turbati sul principio da quello che con un certo spregio chiamavano ‘il polacco’. Oggi tocca a noi raccogliere i frutti di questa importante e straordinaria opera di seminagioneâ€?.

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l 1Âş maggio Benedetto XVI presiede la cerimonia per la sua beatiďŹ cazione in piazza San Pietro. Sono passati meno di sei anni dalla morte di Karol Wojtyla, avvenuta sabato 2 aprile 2005, vigilia della festa della Divina Misericordia, che il Papa polacco aveva istituito. Diventa beato nella stessa festa, una settimana dopo Pasqua. Per i tempi abituali della Chiesa è diventato “santo subitoâ€?. Da piĂš di mille anni non succedeva che un Papa elevasse all’onore degli altari il suo immediato predecessore. Giovanni Paolo II non è stato solo un

missionario, ha spiegato Benedetto XVI. Il suo zelo apostolico si spiega grazie alla preghiera, ha aggiunto il suo successore e stretto collaboratore per oltre due decenni. Il Papa ha tracciato un breve e personale proďŹ lo di Karol Wojtyla assistendo alla proiezione del documentario “Pellegrino vestito di biancoâ€? diretto dal regista polacco JarosĹ‚aw Szmidt e considerato una delle piĂš importanti produzioni nella storia dei documentari polacchi. Dopo la proiezione, il Vescovo di Roma ha sottolineato “i due cardiniâ€? della vita e del ministero del futuro Beato: “la preghiera e lo zelo missionarioâ€?. “Giovanni

Paolo II è stato un grande contemplativo e un grande apostolo di Cristo. Dio lo ha scelto per la sede di Pietro e lo ha conservato a lungo per introdurre la Chiesa nel terzo millennioâ€?, ha affermato riferendosi alle parole che il cardinale Stefan Wyszynski, primate della Polonia, disse al momento dell’elezione a Karol Wojtyla: “A te far entrare la Chiesa nel terzo millennioâ€?. “Con il suo esempio, lui ci ha guidati tutti in questo pellegrinaggio e adesso continua ad accompagnarci dal Cieloâ€?, ha aggiunto il Papa, con un’espressione che ha ricordato le parole che pronunciò durante l’omelia dei funerali di Gio-


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vanni Paolo II. L’8 aprile 2005, infatti, il cardinale Joseph Ratzinger disse: “Per tutti noi rimane indimenticabile come in questa ultima domenica di Pasqua della sua vita, il Santo Padre, segnato dalla sofferenza, si è affacciato ancora una volta alla ďŹ nestra del Palazzo apostolico e un’ultima volta ha dato la benedizione Urbi et orbi. Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla ďŹ nestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice. SĂŹ, ci benedica, Santo Padreâ€?. A sua volta il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, in un’intervista rilasciata a “L’Osservatore Romanoâ€? ha detto che

fede nella presenza di Dio e spirito missionario sono i due pilastri dell’esempio di santitĂ che papa Giovanni Paolo II ha lasciato al mondo. Secondo il porporato, papa Wojtyla ha lasciato alla Chiesa e alla societĂ contemporanea “essenzialmente due atteggiamentiâ€?. “Il primo è una grande fede nella presenza di Dio nella storia, perchĂŠ l’incarnazione è efďŹ cace, vince il male: la grazia della presenza eucaristica del Signore supera tutte le barriere e i regimi antiumaniâ€?, ha affermato, ricordando che il PonteďŹ ce defunto “ha vissuto i regimi nazista e comunista, e ha visto l’implosione e la distruzione di entrambiâ€?. “Il secondo at-

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teggiamento è il suo grande spirito missionario. I viaggi del Papa erano attivitĂ missionaria vera e propria. Raggiungeva i conďŹ ni della terra per annunciare il Vangelo di Cristoâ€?. Il cardinale Amato ha anche commentato l’iter della causa di beatiďŹ cazione, che “ha avuto due facilitazioniâ€?. La prima, ha osservato, è stata il fatto che Benedetto XVI “ha subito concesso la dispensa dai cinque anni di attesa prescrittiâ€?, per cui la causa “ha avuto inizio quasi immediatamente dopo la morte di Giovanni Paolo IIâ€?; la seconda è stata “una sorta di corsia preferenziale: avendo avuto la deroga, la causa si è trovata senza una lista d’attesa davanti, per cui ha potuto procedere senza l’impedimento di altri procedimenti in corsoâ€?. In questo contesto, l’accuratezza, “che è stata massimaâ€?, si è sposata con “una grande sollecitudine, una grande professionalitĂ da parte della postulazioneâ€?, “per cui il 19 dicembre 2009 il Papa ha potuto ďŹ rmare il decreto sulle virtĂš eroicheâ€?. Ăˆ poi iniziato l’esame del miracolo – la guarigione dal morbo di Parkinson della suora francese Marie Simon Pierre Normand –, che “è stato studiato con grande attenzione, direi con pignoleria, anche perchĂŠ su di esso c’era una grande pressione mediaticaâ€?, ha confessato il Prefetto del dicastero vaticano. “I medici, sia francesi, sia italiani, non hanno in alcun modo affrettato i tempi e hanno sottoposto tutto a un attento approfondimentoâ€?. “La celeritĂ della causa non è stata a scapito nĂŠ dell’accuratezza dell’iter procedurale, nĂŠ della professionalitĂ nel presentare il personaggio – ha tenuto a sottolineare –. Del resto, la fama di santitĂ era talmente diffusa e accertata che il nostro compito è stato agevolatoâ€?. Il cardinale Amato ha segnalato che i fedeli hanno esercitato non una “pressioneâ€?, quanto un “accompagnamentoâ€?. “Il sensum ďŹ delium è quello che noi chiamiamo, in termine tecnico, la fama di santitĂ e di segni, che è indispensabile per una causaâ€?. “‘Santo subito’ è una cosa buona, ma deve essere ‘santo sicuro’, perchĂŠ la fretta non porta buoni fruttiâ€?. Nelle pagine che seguono proponiamo una lettura dei segni della santitĂ di Giovanni Paolo II secondo i vari ambiti dell’esperienza esistenziale.

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iovanni Paolo II: un papa che sta passando alla storia per una lunga serie di primati, per le svolte culturali, politiche ed economiche delle quali è stato non solo testimone, ma anche arteďŹ ce. Un uomo, un papa, un santo, capace di stare al passo – e, anzi, di precorrere – la nostra storia. Se scorriamo le ponderose biograďŹ e che lo riguardano, troveremo molti capitoli che ne illustrano le grandi opere, gli innumerevoli viaggi, i ricchissimi scritti. Ma ben poco, al confronto, troveremo sulla sua vita di preghiera, che è stata in realtĂ l’anima, la struttura portante di tutta

la sua lunga e feconda vita. Un suo collaboratore ricorda un episodio signiďŹ cativo al riguardo: soltanto 13 giorni dopo l’elezione al soglio pontiďŹ cio, Giovanni Paolo II chiese a coloro che lo accompagnavano in visita a un santuario mariano alle porte di Roma che cosa fosse piĂš importante per il papa nella sua vita, nel suo lavoro. “Forse è l’unitĂ dei cristiani, la pace in Medio Oriente, la distruzione della cortina di ferroâ€?, gli suggerirono. Rispose: “Per il papa la cosa piĂš importante è la preghieraâ€?. Ăˆ questione di prioritĂ . All’inizio del suo cammino di ponteďŹ ce, ignaro di tutto ciò che gli stava davanti, la certezza che tutto si sarebbe giocato lĂŹ, nel rapporto perso-

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nale e intimo con il Signore, si collocava al centro della sua missione di pastore della Chiesa universale. Certezza che, giorno dopo giorno, si fece sempre piĂš incrollabile, granitica e che lo avrebbe sorretto e guidato nelle vicende piĂš dolorose e sofferte del suo cammino. Una certezza nutrita costantemente davanti al Tabernacolo e sotto lo sguardo materno di Maria, in un colloquio ininterrotto con quel Dio della storia che lo

aveva scelto per traghettare la sua Chiesa nel terzo millennio, in un tempo carico di tensioni, incertezze, paure‌ di fronte alle quali non esitò a gridare, durante la Messa di apertura del pontiďŹ cato: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!â€?. Si direbbe che la preghiera per papa Karol fosse un attingere acqua sorgiva dalle profonditĂ nascoste e rocciose della terra. LĂŹ, nel silenzio e nel buio, nasceva

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molteplici, di raggiungere tutti e ciascuno: non possiamo non ricordare le prolungate veglie delle Gmg, da lui pensate e fortemente volute perchÊ migliaia di giovani potessero conoscere e incontrare Cristo; l’incontro ecumenico di preghiera dell’ottobre 1986 ad Assisi; la preghiera di richiesta di perdono presso il Muro del Pianto durante il Giubileo del Duemila per le sofferenze initte al popolo ebraico; la sua devozione mariana, che lo

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portò ad indire un anno mariano in preparazione al terzo millennio. Ma ciò che soprattutto colpisce è il suo modo di pregare, la sua testimonianza, che ha fatto di lui un maestro di preghiera per ogni credente. Testimonianza che si è fatta sempre piĂš esplicita con l’avanzare dell’etĂ e della malattia. Mano a mano che le forze venivano meno, che l’atleta amante delle passeggiate e dello sci in montagna non poteva piĂš camminare, che il grande comunicatore non poteva piĂš parlare, veniva alla luce il suo linguaggio piĂš profondo, quello di un “uomo fatto preghieraâ€?, aggrappato alla Croce durante quell’ultima Via Crucis seguita, ormai rannicchiato, nella poltrona della sua cappella personale. Quando una persona amata viene a mancare, l’ereditĂ piĂš grande che ci consegna – lo sappiamo bene per esperienza – consiste in ciò che di grande e bello ha amato e trasmesso e che, in qualche modo, continua a vivere dentro di noi. Giovanni Paolo II, tra le sue tante preziose ereditĂ , ci ha lasciato questa: una vita di preghiera semplice, conďŹ dente, fatta di piccoli e quotidiani gesti, mediata dalla materna protezione di Maria, capace di trasďŹ gurare l’intera esistenza di un uomo. Una preghiera possibile. Anche per tutti noi.

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uesto chiasso ha sentito Roma e non lo dimenticherĂ piĂšâ€?. Sono le parole, indimenticabili, pronunciate da Giovanni Paolo II a Tor Vergata nell’agosto del 2000 durante la Giornata mondiale della gioventĂš di Roma. In quella notte due milioni di giovani raccolti in preghiera vissero, con il linguaggio dell’emozione e del sacriďŹ cio, un’esperienza intensa di Chiesa. Quel Papa ammalato e tremolante che non si arrendeva neppure alla malattia tanto era grande il suo desiderio di comunicare con la folla. Lui, Giovanni Paolo II, il

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papa dei cambiamenti storici operati con la pazienza del mediatore e la fermezza di chi conďŹ da in Dio, sapeva trovare nei “bagni di follaâ€? le ragioni per una testimonianza di fede. La veglia con i giovani a Tor Vergata non fu l’evento che segnò il record di fedeli presenti alle sue celebrazioni. Pochi anni prima, nel 1995 a Manila nelle Filippine, si contarono cinque milioni di persone. Ugualmente, nei molti viaggi apostolici in Africa o in America, furono molteplici gli incontri con le folle oceaniche. Anzi, volendo cercare di individuare un format ai viaggi apostolici del Santo Padre, si nota la costante di molteplici incontri per categorie – autoritĂ locali, sacerdoti, politici Čƒ e grandi eventi di popolo. E a ognuna di queste grandi adunate si registrava il risalto mediatico, la radicalitĂ evangelica del messaggio trasmesso e l’intenso coinvolgimento emotivo della folla partecipante. Tra le mille possibili testimonianze, fu di grande impatto l’intervento di Giovanni Paolo II agli studenti della “High Schoolâ€? nel Madison Square Garden di New York, il 3 ottobre 1979. Arrivò in mezzo ai 15mila giovani americani, come suo solito, salutando e lasciando che i canti, gli slogan a lui indirizzati, le fotograďŹ e e gli applausi si moltiplicassero. Prese posto sul palco in

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centro al palazzetto e si mise in silenzio. Poi, tra la sorpresa generale iniziò a dialogare con i giovani attraverso la mimica facciale. Gli schermi giganti trasmettevano in diretta i dettagli di quel volto in continua trasformazione che mostrava la complicità con i giovani: sorrisi, smor-

fie, strizzate d’occhio e movimento con la mano per salutare e incoraggiare. Tra la sorpresa generale iniziò a ‘giocare’ con i giovani mettendo le mani davanti agli occhi per imitare gli occhiali o un cannocchiale. La folla di giovani era in visibilio e i cerimonieri disorientati. A quel punto

si avvicinò il segretario col testo del discorso da leggere e uno sguardo che lo sgridava: “Santità, non si fa così!” Allora il Papa cominciò a guardare i giovani con gli occhi seducenti di chi può rinunciare anche alle parole in mezzo alla folla, a lui bastava anche solo uno sguardo silenzioso per trasmettere la fede a migliaia di giovani. Pur senza parole sapeva, con grande passione, gridare ai giovani la verità del Vangelo. Quello sguardo era capace di provocare il consenso alla fede e di chiedere ai giovani di seguire Gesù. Giovanni Paolo II possedeva un carisma unico nel comunicare alle folle: annunziare il Vangelo con i gesti, con gli sguardi, con le mani e con il corpo. Ma non tutti hanno saputo apprezzare questo grande dono. Nei molti anni del suo pontificato si sono, infatti, levate anche voci di preoccupazione per la ‘teatralità’ di quello stile: “Un Papa non può comportarsi come un giovane”; “non è una rockstar ma il successore di San Pietro, il segno della presenza di Gesù sulla terra”; “ha un ruolo istituzionale da rispettare”; “ci son troppe difficoltà organizzative e costi da sostenere”. Va da sé che nessun profeta può vantare un consenso totale. Ma nell’epoca della comunicazione globale, degli strumenti

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mediatici, della perfezione di voci e volti televisivi, esiste un’altra possibilità per trasmettere il Vangelo se non utilizzando i soli linguaggi comunicativi che oggi il mondo capisce? Oltre il carisma personale di papa Woytjla, le chiavi per interpretare il suo amore per le folle stanno nel Vangelo e nella frase “Questo chiasso ha sentito Roma e non lo dimenticherà più”. È, infatti, lo stesso Gesù durante la sua vita pubblica a scegliere la doppia strategia comunicativa per costruire la prima Chiesa: da un

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î lato i grandi discorsi alla folle e dall’altro la formazione intima con i 12 apostoli. Il discorso della montagna con le Beatitudini, il miracolo della moltiplicazione dei pani, l’ingresso a Gerusalemme, sono solo alcuni esempi di come Gesù volesse incontrare le folle per offrire un primo annuncio capace di toccare il cuore e suscitare emozioni. Poi, ricorda ancora il testo sacro, Gesù chiamava in disparte i discepoli e a loro spiegava il senso del suo messaggio, li formava in modo approfondito sulla Parola e sulla volontà del Padre. Ecco perché, seguendo l’esempio di Gesù, anche ‘il chiasso’ delle folle ha rappresentato lo strumento comunicativo e la profezia di un Papa. Non solo “Roma non dimenticherà più quel chiasso”. L’intera umanità non dimenticherà più quel Papa che con le folle ha saputo dialogare affascinando, non per se stesso ma per ciò che rappresentava: l’amore di Dio per l’umanità.

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nevitabile che ogni ‘vicario di Cristo’ interpreti il suo ministero sul modello di Colui che glielo ha afďŹ dato e quindi nella forma dell’annuncio del Vangelo. L’accento su questo aspetto è diventato abituale soprattutto dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965) nei cui documenti si è assunta la tripartizione del ministero di GesĂš secondo l’articolazione: profezia, sacerdozio e regalitĂ , e con essa si è descritta la missione di tutti i cristiani, in forza del battesimo resi partecipi della funzione profetica, sacerdotale e regale di Cristo. Se, a differenza di quanto era avvenuto nell’epoca post-tridentina nella quale l’accento era caduto sulla funzione di governo, dopo l’ultimo Concilio, nella descrizione del ministero ecclesiastico in genere, l’accento è stato posto sulla funzione ‘profetica’, fu per due ragioni: la riscoperta del compito evangelizzatore di GesĂš, la constatazione che il Vangelo non riusciva a modellare la vita delle persone umane come avrebbe dovuto e come, miticamente, si pensava fosse riuscito a fare nei secoli passati. La cosiddetta secolarizzazione sembrava sradicare dal cuore e dalle menti delle persone umane qualsiasi riferimento religioso e soprattutto cristiano. GiĂ lo stesso Concilio, stando al discorso inaugurale di Giovanni XXIII (11 ottobre 1962), si era proposto di trovare vie per presentare la veritĂ cristiana in modo adatto agli uomini del nostro tempo. Su questo sfondo va letto il ministero di Giovanni Paolo II, che agli inizi del suo pontiďŹ cato richiama la necessitĂ di una ‘nuova evangelizzazione’. Il luogo nel quale per la prima volta rimarca tale necessità è l’abbazia di Mogila in Polonia, in occasione del primo viaggio nel suo Paese natale nel 1979: lĂ dove mille anni prima era stata piantata

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± ǡ î Ǥ ǣ ǯ ° la croce, il Papa stimolava la Chiesa tutta a un nuovo slancio evangelizzatore. A fronte di una perdita del senso religioso della vita si doveva ricominciare un compito che, come aveva illustrato Paolo VI nella esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975), è fondamentale per la Chiesa: la Chiesa esiste per evangelizzare, aveva scritto il Papa bresciano, facendo eco alle proposte dei Vescovi riuniti in Sinodo per riflettere sulla evangelizzazione nel mondo contemporaneo

(Sinodo al quale il card. Karol Wojtyla aveva partecipato da protagonista). Sulla scorta di tale necessità, Giovanni Paolo II interpreterà il suo ministero come obbedienza al mandato di Cristo di portare il Vangelo a ogni creatura. In questa luce vanno letti i suoi viaggi, ma anche lo stile comunicativo della sua predicazione. Gli amanti di statistica hanno fatto il conto dei chilometri percorsi, dei Paesi visitati, dei discorsi pronunciati, delle persone incontrate: i numeri sono impressionanti e

stanno a dire la passione evangelizzatrice di un uomo che aveva la preoccupazione di invitare tutti ad “aprire le porte a Cristo”. Quel che ebbe a dire a Port-auPrince nel 1983: “L’evangelizzazione deve essere nuova nell’ardore e nel metodo”, ha trovato attuazione esemplare in lui. Se nei corridoi vaticani ci si lamentava perché il Papa non governava la curia, non pare lo disturbasse più di tanto. Quel che a lui interessava era mostrare fattivamente quanto aveva scritto nella encicli-


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ca programmatica Redemptor hominis: l’uomo è la via della Chiesa. E l’uomo diventava gli uomini e le donne, i popoli, da incontrare direttamente per conoscere la loro condizione e per far conoscere che “le gioie e i dolori, le speranze e le angosce” loro sono anche quelli della Chiesa, come aveva scritto la Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, alla cui stesura il giovane Vescovo di Cracovia aveva contribuito durante il Concilio Vaticano II. Se vale l’adagio “le style c’est l’homme”, ripensando ai gesti, alle parole, al corpo sofferente di Giovanni Paolo II, si può dire che egli ha riproposto nella sua esistenza l’assillo dell’apostolo Paolo per tutte le Chiese e per tutte le persone umane: l’evangelizzazione è diventata vita della sua vita, fino alla fine, per “portare a compimento ciò che ancora manca alla passione di Cristo per il suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).

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’onda mediatica dopo la morte di Giovanni Paolo II solo in pochissime occasioni accennò al suo prezioso contributo circa la visione della persona e la sua corporeitĂ , dell’amore, della sessualitĂ , del matrimonio, della famiglia, della difesa della vita. Lo si deďŹ nĂŹ come l’apporto meno originale e coraggioso. Ma Giovanni Paolo II è stato un grande papa anche per aver aperto in questo campo prospettive e indicazioni e aver offerto una riessione non scontata, con le catechesi sull’amore umano, dal 1979 al 1984, ďŹ n dall’enciclica Redemptor hominis, poi con Familiaris consortio, Dominum et viviďŹ cantem, Mulieris dignitatem, “Lettera alle famiglieâ€?, Evangelium vitae, ma non solo. Mons. Karol Wojtyla partecipò a una delle Commissioni conciliari per redigere la Gaudium et spes, alla quale spesso rimanda nei suoi interventi. Sottolineo due passaggi ricorrenti, uno riguarda l’uo-

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mo, il cui mistero “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce‌PoichĂŠ in Lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignitĂ sublimeâ€? (n. 22). L’altro riguarda la chiamata per ogni persona a realizzarsi in una modalitĂ precisa, pur nei diversi stati di vita, pena la sua disumanizzazione e il fallimento di qualsiasi vocazione: l’uomo si realizza pienamente solo attraverso il dono sincero di sĂŠ (n. 24). Giovanni Paolo II aveva imparato ad amare l’amore umano. Nel suo insegnamento l’essere “a immagine e somiglianza di Dioâ€? non si riferisce solo al singolo, ma all’uomo e alla donna creati per vivere nella comunione d’amore. Dal ‘Noi’ divino scaturisce il ‘noi’ umano: “Li creò maschio e femmina/ Per grazia di Dio ricevettero una virtĂš. Presero dentro di sĂŠ – nella dimensione umana – questo recipro-

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co donarsi che è in Luiâ€? (Trittico romano). Anche nel corpo, che esprime la persona, è impresso questo dono originario. Proprio nella sua mascolinitĂ e femminilitĂ che permette la reciprocitĂ e la comunione delle persone, la possibilitĂ del dono reciproco. Non del dominio e dell’utilizzo dell’altro. CosĂŹ il corpo umano non è solo un dato biologico ma porta in sĂŠ un senso, un valore da vivere. Un corpo per la comunione e la bellezza di un uomo “corpore et anima unusâ€?, le cui scelte e atti non sono l’espressione di singole facoltĂ . Un uomo non diviso in se stesso, che si possiede per potersi donare e per accogliere. Nessuna repressione della sessualitĂ e l’invito a non separare la differenza sessuale dal dono di sĂŠ e dalla feconditĂ , per un amore pienamente umano. La Familiaris consortio chiede che il disegno di Dio sull’uomo e la donna sia vissuto. Grazie a essa abbiamo il direttorio di

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ǡ ǡ ° Ǥ ǡ pastorale familiare, il sostegno ai consultori d’ispirazione cristiana e una formazione specifica per sposi, sacerdoti e religiosi. Essa ha dato un impulso alla pastorale familiare a partire dagli sposi, dando loro una chiara identità e missione, che specifica la grazia battesimale, in forza del dono ricevuto col sacramento del matrimonio: la grazia di Gesù Cristo lo Sposo, che ama e si dona all’umanità, che effonde lo Spirito sui coniugi perché possano amarsi come Lui ha amato. Ne consegue un compito ecclesiale che passa attraverso la dimensione costitutiva della famiglia, non al di fuori o nonostante essa: essere e agire come comunità d’amore che custodisce la vita. Purtroppo si scommette pastoralmente ancora poco sul dono del matrimonio-sacramento e la famiglia è considerata un ‘settore’ della pastorale nonostante sia lo snodo obbligato per rifare il tessuto ecclesiale e sociale.

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ell’accingermi a scrivere qualche riga su Giovanni Paolo II “malato e sofferenteâ€? vivo la stessa sensazione di chi ha il compito di trasmettere lo stato d’animo che si prova davanti a una notte stellata o a un tramonto sul mare. Il compito è “incommensurabilmenteâ€? sproporzionato rispetto alle capacitĂ dell’autore. Ci proverò, comunque, per l’amore che mi unĂŹ (e mi unisce) a questo grande Papa, dando per scontata una sicura goffaggine. Ci proverò, senza retorica e senza apologia. Si potrebbe dire che Giovanni Paolo ha vissuto sulla propria carne tutte le tipologie di malattie che possono colpire un uomo: il male violento e acuto dell’attentato con l’imminente pericolo di vita, il male “passeggeroâ€? della protesi d’anca o dell’adenoma intestinale, la malattia cronica, progressivamente invalidante, della malattia di Parkinson. E in ciascuna occasione si è presentato ai suoi piĂš vicini e al mondo intero con tutta la sua semplice umanitĂ . UmanitĂ fatta di ansia, di timore, di dolore vissuto e condiviso, di decisioni cliniche da prendere ascoltando i pareri dei medici che lo curavano, e pur sempre assai difďŹ cili da prendere. Un giorno, all’inizio della malattia di Parkinson, durante una liturgia in San Pietro, incontrò un vescovo di settore di Roma, mons. Giulio Salimei, che condivideva la stessa malattia da qualche anno; avvicinò le sue mani al volto del Vescovo, lo strinse e gli sussurrò: “Che fatica vivere con il Parkinsonâ€?. Il Vescovo si commosse ďŹ no alle lacrime: nessuna consolazione poteva essere piĂš grande di quelle pochissime parole. Giovanni Paolo era cosĂŹ: non nascose mai, a nessuno, le sue sofferenze, nell’assoluta certezza

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che il dolore – cosĂŹ come l’amore – se condiviso “vale di piĂšâ€?. Anche per questo subĂŹ attacchi mediatici. Ci furono “grandi maestri del pensieroâ€? che sentenziarono che la sofferenza richiede di essere nascosta e vissuta nel privato assoluto: si ha quasi il dovere morale di non turbare il mondo dei sani, con le sconcertanti immagini di un corpo malato e invalido, perchĂŠ – si dice – la sofferenza toglie dignitĂ all’uomo. Il Papa, mostrandosi al mondo in tutta la sua fragilitĂ ďŹ sica (ricordo la sua “maschera

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di doloreâ€? durante la celebrazione eucaristica a Sarajevo, intirizzito dalla tempesta di neve, ove la rigiditĂ del gelo si sommava alla rigiditĂ della malattia) ha testimoniato il contrario: è l’uomo che, privo della speranza che gli viene dalla fede, toglie dignitĂ alla sofferenza. Giovanni Paolo II ha sofferto dolore ďŹ sico e ‘dolore morale’, vedendosi incapace di compiere ciò che avrebbe voluto, e che sentiva sua missione, compiere. In Lui, come in ogni malato, i due dolori si fondono e confondono: mai, come nel dolore, ci accorgiamo di non avere un corpo, ma di ‘essere’ un corpo. E la malattia tutto limita, serra nella sua morsa quest’essere ‘corpo’ e annulla forze ďŹ siche e spesso anche forze spirituali. “PerchĂŠ soffro? Questa è la roccia dell’ateismoâ€?, grida Georg Buchner nel suo libro “La morte di Dantonâ€?. Giovanni Paolo II con il suo magistero ci ha dato tante risposte, ma con il suo corpo ci ha dato una testimonianza e, quindi, una certezza. “Non esiste alcun’altra ricetta se non il ricorso alla fede nel Dio croceďŹ sso, che solo può salvare il dolore dall’insigniďŹ canza e dal nulla, trasformandolo da inutile e assurdo, in salviďŹ coâ€?; e ancora: “Il Vangelo della sofferenza signiďŹ ca non solo la presenza della sofferenza nel Vangelo, come uno dei temi della Buona Novella, ma la rivelazione, altresĂŹ, della forza salviďŹ ca e del signiďŹ cato salviďŹ co della sofferenza

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nella missione messianica di Cristo e, in seguito, nella missione e nella vocazione della Chiesaâ€? (SalviďŹ ci doloris, 26). In numerose occasioni, ai medici che ebbero la “fortunaâ€? di curarlo, amava ricordare che Dio non è venuto a spiegare la sofferenza, ma in GesĂš – Servo sofferente – è venuto a riempirla della sua presenza. E non è cosa da poco o un mero gioco di parole, cosĂŹ come non è una formula astratta: è la scoperta esistenziale di un “sensoâ€? laddove sembra proprio che non ci sia alcun senso. Il “non sensoâ€? è disperazione e la disperazione è dolore mortale; il trovare un senso, il vivere un dolore carico di senso, è una via di speranza, che potrĂ non far approdare alla salute, ma che certamente conduce per mano alla salvezza. CosĂŹ ha vissuto e testimoniato la malattia il nostro amato Papa. Ora che sto concludendo, ho dinanzi agli occhi l’ultima fotograďŹ a con Lui, poche settimane prima di morire, con i segni quasi devastanti della malattia giunta al termine. Per descrivere quel volto, vorrei far mie le parole di quel grande mistico medioevale che fu Meister Eckart: “Nulla sa piĂš di ďŹ ele del soffrire, nulla sa piĂš di miele dell’aver sofferto. Nulla di fronte agli uomini sďŹ gura il corpo piĂš del dolore, nulla di fronte a Dio abbellisce l’anima piĂš dell’aver soffertoâ€?. CosĂŹ possiamo immaginare il ‘nostro’ Giovanni Paolo II in paradiso.

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ons. Francesco Beschi è vescovo dal 2003, nominato da Giovanni Paolo II ausiliare della nostra diocesi. Dal 2009 è vescovo di Bergamo, ma a Brescia e ai bresciani ha dedicato piĂš di trent’anni del suo ministero pastorale come vicario parrocchiale al Villaggio Sereno e in Cattedrale (1975-1989); come direttore dell’UfďŹ cio famiglia (1987-2003) e del Centro pastorale Paolo VI (1989-2003); come vicario episcopale per la pastorale dei laici (1999-2003) e provicario generale (2001-2003); inďŹ ne vescovo ausiliare e vicario generale (2003-2009). Un percorso che ha afďŹ ancato nelle su varie tappe il pontiďŹ cato di Wojtyla (1978-2005). Con

lui abbiamo fatto qualche riessione sul Papa polacco, a partire da quanto è successo al momento della sua morte. Come ha vissuto quei momenti? Quando Giovanni Paolo II è morto ero in casa e, dopo essermi raccolto un momento in preghiera, ho seguito in televisione gli eventi. Sono stato colpito da un episodio in particolare. La tv locale, Teletutto, nel raccogliere le impressioni della gente ha intervistato una signora che dichiarava il suo disappunto per essersi recata in Duomo trovando la porta d’ingresso chiusa. Da questo e da altri fatti mi sono reso conto di quanto in quel momento della storia, del mondo e della Chiesa, il Papa rappresentasse un punto di riferimento importante per tutti, anche per persone lontane dalla Chiesa. Il giorno dopo,

in tutta fretta, insieme con altri e con il consenso del Vescovo, abbiamo deciso di aprire le porte a un pellegrinaggio a Roma per portare il nostro omaggio a Giovanni Paolo II. Sapevano che giĂ si erano messi in moto in tanti e ignoravamo invece che tipo di risposta avrebbe raccolto la nostra proposta. Il nostro non era il desiderio di esserci per esserci, ma piuttosto di cogliere il senso di quello che stava avvenendo intorno alla ďŹ gura del Papa. Il giorno dopo la sua morte siamo partiti in tanti e fra loro c’ero anch’io. Quali pensieri vi hanno accompagnato durante il viaggio? Innanzitutto la meraviglia rispetto all’adesione di giovani e di anziani, di persone con motivazioni profonde, soprattutto da parte dei giovani legati a Giovanni Paolo


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II da sentimenti di affetto e di riconoscenza. Abbiamo viaggiato in treno di notte e abbiamo dormito poco perchĂŠ eravamo coinvolti dai ricordi di un pontiďŹ cato cosĂŹ lungo, quindi ricco di momenti signiďŹ cativi, comprese le sue indimenticabili visite a Brescia. Interrogandoci sulle ragioni che ci portavano a Roma, aveva grande rilevanza il tema della riconoscenza. Devo dire che se c’è un criterio al quale posso riferire quel viaggio, anche in termini personali, è stato proprio il senso della riconoscenza. Ha avuto rapporti diretti con Giovanni Paolo II? Non ho avuto occasione di incontrarlo a Roma, anche se fu lui a eleggermi vescovo. Ho avuto modo invece di incontrarlo nel corso delle due visite a Brescia. La prima volta, nel 1982, ero da poco curato della parrocchia della Cattedrale, dove papa Wojtyla tenne alcuni incontri, in modo particolare con i giovani in piazza. Nel successivo passaggio all’interno della Cattedrale ho potuto salutarlo personalmente. Fra l’altro di quella circostanza rammento un episodio singolare. Il Papa stava arrivando in piazza e ci si rese conto che non si era provveduto a dargli un saluto signiďŹ cativo e solenne con il suo-

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no del campanone, del Pegol. In fretta e furia fui precettato per salire, da solo, a provvedere, contro ogni buona regola di sicurezza. Vidi cosĂŹ arrivare il Papa dall’alto mentre il Pegol, da me manovrato, lo salutava. La seconda volta che venne a Brescia (1998) l’incontro è stato molto piĂš coinvolgente perchĂŠ fu ospite del Centro pastorale Paolo VI, di cui ero allora direttore. Ho avuto dei momenti di familiaritĂ con lui, in particolare durante un indimenticabile viaggio in ascensore, solo con lui. Desideravo che quel viaggio durasse il piĂš a lungo possibile. Il Papa, con molta gentilezza e nonostante la evidente stanchezza, volle conoscere la natura e le funzioni del Centro. Soprattutto voleva sapere di chi era ospite. E alla ďŹ ne non mancò di esprimere il suo grazie particolare appunto per l’ospitalitĂ . Come cristiano, come sacerdote e come vescovo, quali punti di riferimento le ha lasciato Giovanni Paolo II? Come cristiano senz’altro la passione missionaria, nel senso dell’essere cristiano nel mondo, nella storia con coraggio e anche con una grande ďŹ ducia. Il non vergognarsi del Vangelo, il non aver paura erano espressioni che ricorrevano nei suoi ammonimenti. Nel segno di una presenza del cristiano che non vuole im-

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porsi al mondo, ma che comunque non si sottrae all’impegno della testimonianza che deve dare al mondo contemporaneo. Come prete ricordo le parole, le riessioni del Papa sul sacerdozio, in particolare nella Pastores dabo vobis, che rimane un punto di riferimento fondamentale. Negli anni, è una constatazione che faccio anche in questi giorni, una delle testimonianze che mi sento di raccogliere, che spero di avere raccolto almeno in parte, è quella della vita di preghiera. L’ho ricordata anche nell’invito ai miei sacerdoti per la Messa crismale del GiovedĂŹ Santo. Giovanni Paolo II si domandava: cosa deve fare il Papa? E rispondeva: la prima cosa che deve fare è pregare. Lo deve fare anche il prete. Un altro segno che raccolgo è stata la sua grande capacitĂ di interloquire con i giovani. Ăˆ un aspetto pastorale che sento molto come prete perchĂŠ la proiezione, il dare ragioni di speranza credo che sia compito di tutti, ma soprattutto di coloro che sono chiamati a servire il popolo di Dio. Come vescovo, nell’insegnamento di Giovanni Paolo II colgo innanzitutto il senso di una grande comunione. Il Papa non è solo, è unito a tutta la Chiesa, al servizio della Chiesa. Non si può essere vescovi da soli. Si è vescovi per la Chiesa, al servizio della Chiesa, insieme alla Chiesa.

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distanza di sei anni il racconto mediatico del tramonto umano di Giovanni Paolo II è oggetto di molte analisi e approfondimenti. In alcune facoltĂ universitarie questo capitolo della recente storia giornalistica è un “case study â€? e ci sono tesi di laurea dedicate a una stagione che ha visto l’informazione cimentarsi con uno straordinario testimone. Ăˆ giusto che sia cosĂŹ. Da parte mia tento un percorso che potrebbe sembrare lontano da quelli accennati. Un’immagine e una frase mi guidano in questo breve tratto della memoria. â€œĂˆ l’ultima fotograďŹ a di Giovanni Paolo II ed è mia, io ho fatto l’ultimo scattoâ€?. Con queste parole Pier Paolo Cito, fotoreporter dell’Ansa, mi ha mostrato nei giorni scorsi l’immagine di un volto sofferente e in parte nascosto dalle

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tende bianche della finestra alla quale era apparso per oltre 26 anni. Cito è un professionista serio, un fotoreporter che ha sempre rispettato i diritti e la dignità di persone uccise o in situazioni di estremo pericolo. Con le sue foto ha raccontato guerre, stragi e attentati, testimoniando fatti terribili senza mai offendere i morti e i vivi. Anche quell’ultima foto di Giovanni Paolo II, scattata da piazza San Pietro, era frutto del suo talento professionale. E quella foto Cito la custodisce con grande cura, si potrebbe dire con tenerezza. Perché in quell’immagine è riassunta una scelta professionale: è possibile informare con completezza e tempestività senza ferire la dignità di una persona in situazione di estrema fragilità. Come il fotoreporter dell’Ansa molti media riuscirono nell’impresa, grazie anche a un Papa che aveva sempre dato loro fiducia. Giovanni Paolo II, infatti, aveva insegnato che i media non hanno il compito e la responsabilità di entrare nel mistero: alla sua soglia si devono fermare e in questa sosta fatta di responsabilità e sensibilità grandi, possono far nascere domande e soprattutto offrire a tutti i

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motivi per varcarla. Anche quell’ultima foto scattata da Cito aveva questo messaggio. Una fotografia non ha il supporto dell’audio o la dinamicità di una ripresa. È sempre in compagnia del silenzio, ma è proprio questo aspetto che rende il suo linguaggio è più profondo ed efficace di altri. Così accadde anche il 13 maggio 1981 in piazza San Pietro. In quell’attentato Giovanni Paolo II, immortalato negli scatti di tanti fotografi, fu maestro e testimone nella sofferenza. La gente, grazie ai media, se ne accorse subito e lo sentì molto vicino alla fatica, alla sofferenza e alla morte che bussano alla porta di ogni casa. Anche allora il Papa pose una domanda di fondo alla coscienza degli uomini e delle donne dei media: è più sacra la notizia o è più sacra la persona? La risposta è in un’etica fatta di regole professionali ma anche di sensibilità umane e spirituali che, mai rinunciando alla deontologia, vanno più in alto. La sofferenza e la morte chiedono ai media di fermarsi alla soglia del mistero con la consapevolezza del limite, una consapevolezza che li mette al riparo dal delirio di onnipotenza. Un rischio, questo, che torna quando i media han-

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no la pretesa o la presunzione di capire e di spiegare ciò che non è nel loro vocabolario. E in quella primavera del 2005 il rischio si ripetĂŠ davanti a una frase. “Lasciatemi andareâ€?: queste le parole riferite da chi era vicino al Papa che si stava spegnendo. Divenne presto il titolo di molti giornali. Fu però male interpretato quando si volle leggere in

quelle parole la richiesta di staccare la spina per porre ďŹ ne a un’insopportabile sofferenza. In veritĂ il Papa della SalviďŹ ci doloris mandava, dal letto diventato altare, un messaggio totalmente altro. Incomprensibile ai media perchĂŠ toccava quella sete di inďŹ nito e quella vocazione all’eternitĂ che non possono essere raccontate neppure con il lin-

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guaggio giornalistico. Siamo alla vigilia della beatiďŹ cazione: il “Lasciatemi andareâ€? ritorna ad essere la notizia che corre leggera su strade visibili e invisibili come quel sofďŹ o di vento che nel giorno dei funerali sfogliava le pagine del Vangelo posto sulla bara. Non un congedo ma un addio, un “ad Deumâ€?, un “Vi afďŹ do a Dioâ€?. Nell’immagine televisiva c’era l’annuncio di un appuntamento non scritto. Finito il compito

dei media inizia quello della coscienza, lĂ dove avviene il dialogo piĂš autentico tra sofferenza e speranza, tra vita e morte, tra tempo ed eternitĂ . Nell’ultimo scatto di Pier Paolo Cito c’è l’appello a camminare lungo questo sentiero dove è da costruire un’alleanza rinnovata tra il pensiero dei media e il pensiero della gente. Certamente l’appello tornerĂ in piazza San Pietro, come un sofďŹ o di vento, nella prima domenica di maggio.

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a Paolo VI a Benedetto XVI ogni pontiďŹ cato ha visto nel pellegrinaggio una occasione privilegiata per rinnovare e confermare la fede attraverso l’esperienza del viaggio e della visita a luoghi santi. La convinzione che motiva e avvalora lo spostarsi da un luogo all’altro accompagnata dal desiderio di potere “vedereâ€? con i propri occhi una meta forte di signiďŹ cato e di valore hanno guidato i passi spesso appesantiti dall’etĂ e dalla sofferenza di molti Papi tra i quali non è possibile dimenticare Giovanni Paolo II. Ăˆ stato lui che grazie all’ausilio dei media ha dimostrato al mondo come per un Pastore fosse prioritario vestire i panni del viaggiatore per andare alla ricerca di un incontro nel quale costruire un dialogo di amore, ed è stata proprio la corrispondenza di questo sentimento che dopo la sua morte ha portato persone di tutti il mondo, potenti e semplici fedeli, a indossare i panni dei pellegrini per rendere omaggio alla salma di Giovanni Paolo II e a ricambiare, attraverso un gesto concreto, quell’incontro tanto desiderato, tanto voluto, tanto apprezzato. Per questo motivo anche un evento come la morte del papa si è trasformato in un’occasione privilegiata per ravvivare la fede attraverso l’esperienza del pellegrinaggio. Anche la macchina organizzativa si è messa in moto per fare in modo che questa possibilitĂ potesse essere data al maggior numero di persone. CosĂŹ è stato sin dagli istanti immediatamente successivi all’annuncio della morte di Giovanni Paolo II. Brevivet, l’UfďŹ cio diocesano per la pastorale dei pellegrinaggi e il Segretariato oratori erano giĂ in moto per permettere a tantissimi bresciani di potere andare a Roma per rendere omaggio alla salma del

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Papa nella Basilica di San Pietro. Quanti hanno vissuto quei momenti ricorderanno bene la lunga ďŹ la di persone (solo una piccolissima anticipazione di quello li aspettava a Roma, con quel serpentone umano immortalato da tante telecamere, migliaia e migliaia di persone silenaziosamente in coda per rendere l’ultimo saluto a Karol Wojtyla) accodate in via Trieste per potere acquistare un biglietto dei due treni speciali in partenza dalla stazione di Brescia con direzione

Città del Vaticano. Oltre al treno l’organizzazione dovette far ricorso anche a molti pullman per far fronte alle tantissime richieste di un popolo bresciano che voleva ardentemente poter incontrare ancora una volta il Papa. Ragazzi, papa-boys, anziani, e tante, tante famiglie, gruppi parrocchiali e di preghiera, associazioni sportive e culturali, giovani che avevano vissuto l’esperienza delle Giornate mondiali della gioventÚ. Durante il viaggio l’atmosfera era strana,

pervasa da un unico groviglio di sentimenti. Emozioni che univano la tristezza del lutto alla gioia di rendere omaggio all’amato Papa, il tutto manifestato in un atteggiamento composto nella preghiera e di comunione fraterna. Indimenticabili furono le parole pronunciate al microfono da mons. Francesco Beschi, allora vescovo ausiliare, che si mise a capop di questo particolare pellegrinaggio non per dovere istituzionale, ma perchĂŠ, come per tutti gli altri bresciani, mosso dall’attaccamento al Papa. Nel corso di quella e lunga fatiocsa trasferta notturna in treno l’attuale Vescovo di Bergamo, ebbe a dire: “Questo è un viaggio sotto il segno della speranza. Un viaggio che è preghiera per ricordare il Papa, che vive nel ricordo del e nel Signore. Da tutto il mondo stanno arrivando pellegrini come noi a Roma, suscitando lo stupore del mondo. Questo è uno dei tanti segni consegnati dal Papa al mondoâ€?. Per Brevivet essere chiamata a coordinare con la diocesi quell’evento nel Bresciano ha rappresentato non solo un momento indimenticabile ma anche una occasione di crescita professionale ed ecclesiale.

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na mattinata di sole, leggermente velata da nubi passeggere. L’8 aprile 2005 è il giorno in cui si svolgono, in piazza S. Pietro, i funerali di Giovanni Paolo II. Una Roma quasi ammutolita, dopo i giorni delle folle oceaniche giunte in Vaticano per rendergli l’ultimo omaggio, converge composta attraverso via della Conciliazione nell’abbraccio dell’emiciclo del Bernini. Sono presenti i rappresentanti di tutte le religioni del mondo e piĂš di 200 tra capi di Stato e di governo. Vi assistono in piazza oltre 300mila persone e, attraverso maxischermi, piĂš di 2 milioni di persone riunitesi nelle piazze di Roma. Essere a San Pietro per i funerali di Karol Wojtyla è un privilegio. Per chi è lĂŹ la prima percezione è di vivere un momento unico nella storia. Mai cosĂŹ tante autoritĂ si sono trovate insieme nello stesso luogo. Ma la sensazione piĂš profonda, palpabile, è la

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comunione spirituale che lega quel popolo al PonteďŹ ce che ha retto la Chiesa cattolica per quasi 27 anni. Ăˆ la sensazione di chi si trova a condividere il momento del distacco da una persona cara, conosciuta, amata, familiare, come solo può esserlo stato per tutti Giovanni Paolo II. Lo si percepisce tra i vescovi, tra i sacerdoti, che occupano la zona piĂš vicina al sagrato, nei diplomatici e nei rappresentanti delle religioni di tutto il mondo, ma soprattutto nella gente comune, dignitosamente composta nella tristezza e nella preghiera. Portano bandiere di ogni Paese, portano striscioni. Sono lĂŹ per rendere grazie a Dio per questo Papa che vorrebbero “Santo subitoâ€?. Ăˆ la fede della Chiesa

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che lo chiede e che trova riscontro quasi immediatamente nelle parole del card. Joseph Ratzinger che, in qualitĂ di decano del Sacro Collegio, presiede le esequie e pronuncia l’omelia. “Per tutti noi Čƒ dice Ratzinger Čƒ rimane indimenticabile come in questa ultima domenica di Pasqua della sua vita, il Santo Padre, segnato dalla sofferenza, si è affacciato ancora una volta alla ďŹ nestra del Palazzo Apostolico e un’ultima volta ha dato la benedizione Urbi et orbi. Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla ďŹ nestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice. SĂŹ, ci benedica, Santo Padreâ€?. La bara del Papa è giunta sul sagrato della Basilica e viene collocata davanti all’altare. Sopra c’è un Vangelo aperto. Una brezza leggera scompiglia i paramenti sacri dei cardinali e gira le pagine della Parola di Dio. Poi il libro si chiude. Ratzinger parla della sequela: “Seguimi, dice il Signore risorto a Pietro, come sua ultima parola a questo discepolo, scelto per pascere le sue pecore. Seguimi. Questa parola lapidaria di Cristo può essere considerata la chiave per comprendere il messaggio che viene dalla vita del nostro compianto e amato papa Giovanni Paolo II, le cui spoglie deponiamo oggi nella terra come seme di immortalitĂ con il

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cuore pieno di tristezza, ma anche di gioiosa speranza e di profonda gratitudine”. Il decano dei cardinali, futuro Benedetto XVI, ripercorre tutta la vita del Papa defunto dagli anni della giovinezza durante la guerra, a quelli del sacerdozio, da quelli dell’insegnamento fino all’episcopato a Cracovia. E poi l’elezione alla cattedra di Pietro a Roma e il lungo pontificato. Le sue parole evocano in tutti immagini che

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non hanno bisogno di ulteriori commenti tanto sono impresse nella memoria e nel cuore. La vita di papa Wojtyla è stata una risposta generosa e fedele alla chiamata d’amore di Cristo, un’adesione sincera a collaborare al suo disegno di salvezza per il mondo. E oggi, mentre l’umanità prega per lui, quel Papa prega per noi e benedice. Benedice, anzitutto, la Chiesa cattolica, intercede per l’unità dei discepoli di Cristo, prega per il dialogo tra le religioni e per la pace nel mondo. L’ultimo applauso della piazza consegna, al termine della celebrazione, la salma del Papa all’intimità della Basilica vaticana. Solo in pochi assisteranno alla sua tumulazione. Tra questi la famiglia pontificia, il suo segretario particolare mons. Dziwisz e le suore polacche che lo hanno sempre accudito. Durante la cerimonia, sono state quasi in disparte, in costante preghiera. Sono stati gli affetti più cari e vicini al Papa e in quell’8 aprile le loro lacrime si sono mescolate con le nostre. Per chi lascia San Pietro, in quella mattina, la sensazione forte che Giovanni Paolo II sia già beato è un’evidenza. “Santo” per la fede dei fedeli. Ora che, il 1° maggio 2011, il suo successore Benedetto XVI lo dichiara ufficialmente beato, quella sensazione diviene una certezza.

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ei volte. SĂŹ, sei volte Giovanni Paolo II venne in terra bresciana: da giovane prete a Seniga, due volte in Adamello, una a Borno e poi le due visite ufďŹ ciali a Concesio e Brescia. PerchĂŠ queste visite? Potremmo dire, semplicemente, per amicizia. Il Papa venuto dalla Polonia aveva il dono e il culto dell’amicizia. Una amicizia che non era mai disgiunta dalla gratitudine. E in casa dell’amico e compagno di studi don Francesco Vergine in una calda estate del dopoguerra trascorse qualche gior-

no di vacanza fra il verde della Bassa di Seniga, scorrazzando in bicicletta fra strade di campagna non ancora asfaltate. In compagnia dell’amico presidente della Repubblica Sandro Pertini venne a sciare in Adamello nel luglio del 1984 e in Adamello tornò nel luglio del 1988 rispondendo all’invito degli amici Alpini in Pellegrinaggio sulle cime della Grande guerra. Per amicizia verso il suo collaboratore card. Giovanni Battista Re nel luglio del 1998 dal Cadore arrivò a Borno per l’Angelus. E per ammirata amicizia verso il suo predecessore Paolo VI visitò due volte Brescia: il 26 settembre del

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1982 sostò in preghiera su tutti i luoghi cari a papa Montini, cominciando dalla casa natale e dal fonte battesimale di Concesio. Poi tornò il 19 e 20 settembre del 1998, a conclusione del centenario della nascita di Paolo VI. E in quella occasione proclamò Beato il laico camuno Giuseppe Tovini. Filmati e articoli a parte, di queste due visite e dei discorsi pronunciati rimangono a testimonianza due pubblicazioni, forse ormai esaurite, ma ancora importanti. La prima è un agile volume stampato dall’Editrice La Scuola e intitolato “Il messaggio di Giovanni Paolo II a Bresciaâ€?, con un bel commento di mons. Enzo Giammancheri. La seconda visita è stata documentata nel volume “Brescia e il Papaâ€?, edito da La Voce del Popolo e arricchito da fotograďŹ e. Entrambi i volumi furono curati dei rispettivi Comitati diocesani sorti in occasione delle due visite, per la preparazione e l’organizzazione. A distanza di anni, ripensando a quelle visite e, soprattutto, rileggendo i discor-

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si raccolti nelle pubblicazioni seguite, ci si accorge che Giovanni Paolo II, come ebbe a dire il vescovo Giulio Sanguineti nell’omelia della messa di suffragio tenuta in Cattedrale all’indomani della morte, ha scritto alla Chiesa bresciana una sorta di “lettera enciclicaâ€? i cui temi principali sono preziosi cartelli indicatori per il presente e il futuro, dentro la effervescente storia del Duemila. E per i bresciani è motivo di orgoglio cogliere che tali indicazioni sono in perfetta continuitĂ con il pensiero e il sentimento di Paolo VI, da lui deďŹ nito “caro e grande‌ padre e maestroâ€?, smentendo ogni falsa interpretazione di un pontiďŹ cato di correzione se non di rottura nei confronti del magistero e degli atti montiniani. Non è certo facile nĂŠ possibile riassumere tale “enciclicaâ€? per i temi diversi affrontati nei luoghi toccati nelle sue visite. Si potrebbe, tuttavia, parlare legittimamente di tre fedeltĂ raccomandate da papa Wojtyla ai bresciani: al cristianesimo, al Concilio, alla nostra tradizio-

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ne cattolica. Giovanni Paolo II è tornato insistentemente sulla necessità di non rompere con la vita cristiana in un tempo di secolarizzazione, ateismo e materialismo. Il Vangelo di Cristo, creduto e vissuto, è stato portatore non solo di frutti spirituali ma anche di civiltà: in terra bresciana il cristianesimo ha contribuito non poco a plasmare l’ethos di un popolo laborioso e buono, accogliente anche se a prima vista un poco brusco e introverso. Il cristianesimo ha portato arte, cultura e una svariata gamma di opere umanitarie. A Brescia il cristianesimo è sempre stato vivo, vero e non formale, autentico, generatore di bene e fermento anche per la comunità civile. Un cristianesimo affascinante anche quando è stato esportato attraverso un numero sorprendente di missionari sparsi nei cinque continenti. Poi Giovanni Paolo II ha raccomandato la fedeltà al Concilio, portato a termine proprio dal bresciano papa Montini. Un Concilio che non va tradito ma nemmeno rinnegato. Quel Concilio che significa essere Chiesa capace di portare il Vangelo all’uomo contemporaneo, percorrendo le vie della nuova evangelizzazione. Infine la fedeltà alla nostra forte tradizione cattolica che significa prima di tutto un laicato credente e praticante che non ha mai avuto complessi di inferiorità nelle responsabilità civili, politiche e professionali che riguardano ogni cittadino. Un laicato che ha espresso figure eccezionali fra le quali spicca

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Giuseppe Tovini. Un laicato che dalla fede cristiana ha tratto ispirazione per un umanesimo alto, felice, aperto che ha saputo conciliare profitto e solidarietà, economia e carità, interesse privato e bene pubblico. Un laicato che, sempre in comunione con i pastori, ha dato vita ad una costellazione di istituzioni nel campo educativo, culturale, assistenziale. Esiste una “via bresciana” positiva nel cattolicesimo italiano, fatta di promozione e difesa della famiglia, di grande attenzione all’educazione, di sensibilità sociale e di attenzione alle povertà. Né va dimenticato che questa via è fatta anche di attenzione alla terra, al territorio, alla natura. Al creato, insomma. Ammirando le bellezze dei monti bresciani ha ribadito anche questa peculiarità da non smarrire, insieme alle altre. Papa Wojtyla, ora Beato, interceda perché i bresciani sappiano continuare il cammino della loro storia, forti e saldi in queste tre fedeltà.

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n oratorio, una piazza e un centro sportivo. Abbiamo scelto questi tre luoghi simbolo della vita delle comunitĂ bresciane per raccontare le tante iniziative nate per ricordare e rinnovare la memoria di Giovanni Paolo II. L’indomani della morte del Papa polacco in tutto il mondo si fece largo il desiderio di ricordare la sua ďŹ gura attraverso luoghi e monumenti. Anche nel Bresciano non mancano questi esempi: siamo andati a Nave, Gavardo e Gargnano per cercare di raccontare come tre spazi possano diventare motivo di ricordo e di annuncio del messaggio sempre vivo di Karol Wojtyla. In diocesi sono due gli oratori dedicati alla ďŹ gura del Papa polacco: Gargnano e Ponte di Legno. A Gargnano, in particolare, i giovani dell’oratorio gardesano come tanti altri loro coetanei si erano ritrovati, il 2 aprile 2005, a pregare con le lacrime agli occhi per “il Papa amico dei giovaniâ€?. Il curato di allora, don Francesco Mattanza, si mise in ascolto delle richieste di giovani, che fecero visita a Roma alla salma di Giovanni Paolo II. Dal 2005 al 2007 (l’intitolazione dell’oratorio risale al 10

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novembre 2007) fu approfondita la ďŹ gura di Wojtyla negli organi di comunione (consiglio pastorale e consiglio dell’oratorio) e in alcuni incontri appositi con i giornalisti Luigi Accattoli e Gian Franco Svidercoschi, con padre Antonio Sicari e con il ďŹ losofo Rocco Buttiglione sull’enciclica Veritatis splendor. Alcuni parrocchiani, a titolo personale, andranno a Roma per la beatiďŹ cazione; la comunitĂ , invece, sta pensando di strutturare degli appuntamenti. Don Omar Zanetti, curato dal 2010 di Gargnano, ha in animo di soffermarsi nel prossimo anno pastorale sulla ďŹ gura del PonteďŹ ce, che tanto ha trasmesso e comunicato ai giovani. PiĂš avanti, magari, ci sarĂ tempo anche per un viaggio sulle sue orme per rendere omaggio e vedere da vicino i luoghi che sono ormai entrati nella storia della Chiesa. In provincia, come nel resto dell’Italia, ci sono vie e piazze dedicate. Nello speciďŹ co a Nave l’idea fu avanzata dai consiglieri Pedrali e Rossi poco prima delle elezioni del 2006. Chi conosce il Comune della Valle del Garza sa che la vita del paese ruota attorno al centro storico e alla nuova piazza oggi dedicata a Giovanni Paolo II che raccoglie al suo interno la farmacia comunale, il presidio locale dell’Asl, la guardia medica e gli ambula-

tori medici. Per la cerimonia fu chiamato il card. Giovanni Battista Re che insieme a mons. Lorenzo Ceresoli benedisse la piazza e il monumento “Alla famigliaâ€? dell’artista locale Luigi Bertoli. Nella scultura mamma e papĂ si guardano intensamente, stringendo nell’abbraccio due ďŹ gli. Le ďŹ gure spiccano sopra un blocco di mattoni, riunite in una struttura che supera di poco i tre metri d’altezza e ottenuta dalla lavorazione di sei metri cubi di materiale espanso, poi tagliato, scavato e lavorato con sapienza sino a ottenere un modello rivestito di vetroresina e d’una patina protettiva che richiama il colore del bronzo anticato. In una societĂ nella quale la famiglia è la cellula fondamentale è quasi d’obbligo ricordare il valore di questo istituto da rispettare e promuovere cosĂŹ come ha fatto in vita Giovanni Paolo II. In occasione della beatiďŹ cazione a Nave verrĂ esposto un grande telo con l’immagine del PonteďŹ ce e le bandiere dell’Italia e del Vaticano. In molti ricordano anche le immagini di un PonteďŹ ce sciatore, a suo agio sulle vette delle montagne e amante dello sport. C’è chi, come a Gavardo, ha pensato bene di dare un nome al complesso sportivo costruito nei primi anni Ottanta: l’intitolazione a Karol Wojtyla risale al 3 settembre del 2006. Ăˆ importante analizzare

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e iniziative per la beatiďŹ cazione di Giovanni Paolo II in programma a Roma prenderanno il via nella serata del 30 aprile. Presso il Circo Massimo i pellegrini potranno partecipare a una veglia di preghiera e ringraziamento a Dio per la vita e il ministero di Giovanni Paolo II, presieduta dal card. Agostino Vallini. Organizzata dalla diocesi di Roma la veglia inizierĂ alle 20 per concludersi alle 22.30. Ăˆ previsto un intervento, con un collegamento video, di Benedetto XVI. La prima parte della veglia sarĂ costituita da una celebrazione della memoria incentrata sulle parole e sui gesti di Giovanni Paolo II. La celebrazione sarĂ animata dal coro della diocesi di Roma e dall’orchestra del conservatorio di S. Cecilia diretta da mons. Marco Frisina. Sono previsti gli interventi di alcuni stretti collaboratori del Papa come JoaquĂ­n Navarro-Valls e il card. StanisĹ‚aw Dziwisz. e la toccante testimonianza di suor Marie Simon-Pierre, la cui guarigione miracolosa ha aperto la via per la beatiďŹ cazione. Al termine della prima parte della veglie è previsto il canto del “Totus tuusâ€?, composto per il 50° dell’ordinazione sacerdotale di Giovanni Paolo II e tante volte eseguito alla sua presenza nelle celebrazioni. La seconda parte sarĂ tutta imperniata sulla celebrazione dei misteri luminosi del rosario che furono introdotti proprio dal papa Giovanni Paolo II. Il cardinale vicario Agostino Vallini presenterĂ in sintesi la personalitĂ spirituale e pastorale del Beato. A questo momento farĂ seguito la recita del rosario in collegamento diretto con i santuari mariani di

Ĺ agniewniki a Cracovia, di KawekamoBugando, in Tanzania, di Notre Dame du Lebanon-Harissa, con la basilica di Sancta Maria de Guadalupe a CittĂ del Messico e con il santuario di Fatima. Dopo la conclusione della veglia prenderĂ il via in otto chiese del centro storico di Roma la notte bianca della preghiera che accompagnerĂ i fedeli sino alla prime ore di domenica 1° maggio e all’appuntamento in piazza San Pietro con S. Messa di BeatiďŹ cazione presieduta da Benedetto XVI. Partire dalle 10 in piazza San Pietro La partecipazione alla celebrazione, come da tempo annunciato, non è regolata da singoli biglietti,

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tuttavia l’accesso alla piazza e zone adiacenti sarà sotto la tutela della sicurezza pubblica. Subito dopo la cerimonia della beatificazione le spoglie del nuovo Beato saranno esposte per la venerazione nella Basilica di San Pietro, davanti all’Altare della Confessione. La venerazione proseguirà fino all’esaurimento del flusso dei fedeli. Le giornate dedicate alla beatificazione di Giovanni Paolo II si concluderanno il 2 maggio sempre in piazza San Pietro. Il card. Tarcisio Bertone presiederà alle 10.30 la S. Messa di ringraziamento per la beatificazione del Servo di Dio. Imponente è an-

che il dispiegamento dei mezzi di comunicazione per dare copertura all’evento. La Rai ha messo in palinsesto per la serata di sabato 30 aprile un programma in diretta da piazza San Pietro condotto da Lorena Bianchetti e Massimiliano Ossini che accompagneranno i telespettatori in un viaggio per ricordare e conoscere meglio la figura di Giovanni Paolo II, con ospiti e testimonianze, in costante collegamento con il Circo Massimo. Su Rai1, la domenica mattina, la diretta della celebrazione della Santa Messa presieduta da Benedetto XVI. Anche Tv2000 darà grande risalto alle giornate trasmettendo,

a partire dalle 20 di sabato 30 aprile, la diretta veglia del Circo Massimo. Alle 23 ritrasmetterà la veglia della Gmg del Giubileo del Duemila. Interamente dedicata alla beatificazione di Giovanni Paolo II la mattinata di Tv2000 del 1° maggio con programmi dedicati all’evento che prenderanno il via alle 8.05. Dalle 8.45, poi, la diretta da piazza San Pietro. Molti saranno i bresciani che seguiranno “dal vivo” le giornate romane. Tante le parrocchie e i gruppi che, appoggiandosi ad agenzie o compiendo uno sforzo organizzativo in proprio, saranno a Roma per la beatificazione di Giovanni Paolo II.

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a Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha emanato un decreto che regola il culto liturgico riservato al beato Karol Wojtyla. Il testo dispone che nell’arco dell’anno successivo alla beatificazione di Giovanni Paolo II, ossia fino al 1° maggio 2012, sia possibile celebrare una Santa Messa di ringraziamento a Dio in luoghi e giorni significativi. La responsabilitĂ di stabilire il giorno o i giorni, come anche il luogo o i luoghi del raduno del popolo di Dio, compete al Vescovo diocesano per la sua diocesi. Si dispone che nel calendario proprio della diocesi di Roma e delle diocesi della Polonia la celebrazione del Beato Giovanni Paolo II, papa, sia iscritta il 22 ottobre e celebrata ogni anno come memoria. Quanto agli altri calendari propri, la richiesta di iscrizione della memoria facoltativa del Beato Giovanni Paolo II potrĂ essere presentata a questa Congregazione dalle Conferenze dei Vescovi per il loro territorio, dal Vescovo diocesano per la sua diocesi, dal Superiore generale per la sua famiglia religiosa. La scelta del Beato Giovanni Paolo II come titolare di una chiesa prevede l’indulto della Sede Apostolica, eccetto quando la sua celebrazione sia giĂ iscritta nel calendario particolare: in questo caso non è richiesto l’indulto e al Beato, nella chiesa in cui è titolare, è riservato il grado di festa. La sera del 7 aprile ha avuto luogo nella Basilica Vaticana la traslazione del corpo del Beato papa Innocenzo XI dal vano sotto l’altare della cappella di San Sebastiano, che accoglierĂ le spoglie di Giovanni Paolo II dopo la beatificazione. Nella cappella di San Sebastiano, dove sono stati ultimati i lavori di restauro e rinnovamento degli impianti di illuminazione e amplificazione, il vano sotto l’altare è ora predisposto per accogliere il corpo di Giovanni Paolo II dopo la beatificazione. Il feretro contenente le spoglie di Giovanni Paolo II è stato estratto dalla sua tomba, nelle Grotte Vaticane, il 29 aprile, e collocato il 1° maggio davanti all’Altare della Confessione della Basilica di San Pietro per la venerazione, dopo la sua beatificazione.

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interattivi. Su una parete del camion c’è il primo abito talare pontificale, quando Karol diventò Giovanni Paolo II. In piccole teche, il suo breviario, un diario, il primo passaporto, le ampolle per le funzioni. E il primo paio di sci di Karol giovane studente, poi attore, poi seminarista. L’idea del museo mobile non ha convinto subito tutti, si è imposta poi col viaggio del camion. C’è sempre il rischio, dice padre Adam Boniecki, amico di una vita di Karol Wojtyla e chiamato da lui a fare “Tygodnik Powszechnyâ€? (fu la prima testata libera nell’Impero sovietico) di ridurre a un’icona lui che fu un Papa vivo e un uomo straordinario. Ma sugli schermi interattivi, e negli ingrandimenti in bianco e nero sulla sua gioventĂš, l’uomo Wojtyla ha la meglio sulla retorica.

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“Ora, in Cristo siete diventati GesĂš, voi che un tempo eravate i lontani fatti è la nostrai vicini grazie al sangue di Cristo. Egli paceâ€? (Ef 2,13). definito un mistero: inĂˆ qui paradossalm la croce di Cristo, cosmo-temp pietra angolareente io, una croce: comeè strumento della pace. Pace garantita del è possibile? cche abitano da Garantisce in tra l’umanitĂ noi, tra me e l’altro, tra l’unitĂ tra i “dueâ€? e Dio stesso. un popolo e nel quale è possibile l’altro, La sua la conciliazionecarne è il luogo concreto si ann annulla la legge, . Lui è il punto è speranza di previst prevista per il nel quale fronte all’inevitabile cuore re non sa condanna sarĂ per merito dell’uomo, che non sta alla prescrizione. della legge, ma croce: “Io, quando q Viveper la forza di sarò elevato 12, 32). La samaritana, attrazione della da terra, sa l’adultera, Zaccheo,attirerò tutti a meâ€? (Giovanni colui che tende tend loro la Levi, Nicodemo mano; attratti dalla guardano fo di un amore sono ancora peccatori forza ma potentement a invincibile: “Egli e infatti è la nostra Ǥ ”‡ paceâ€?.

i cuola sua forza, trasforma che esprime nord, il sud, l’est e l’ovest il Ăˆ nella debolezza della mitezza, raccoglie3, 17-19). La modalitĂ ri con la sua cosmico (Ef che fa scaturire l’inattesa in un abbraccio dinatravaglio pasquale negli elementi, nei croce, cioè il stati creati. Ogni mortale, è inscritta vita dal nulla è la forma con cui siamo un’immagicostitutivo, come mismi viventi, scorre ne porta il segno Nel legno della croce e fr frammento (Rm 8, 29). oltre il dolore il cosmo: scorretempo stesso inne cui conformarsi dĂ vita a tutto ma al un linfa che realtĂ una indipendente Come pace che come evento della croce, la m le memorie, ogni trascorso. L’albero Í™ Í ÍĄ Í› della nte legata ad disso dissolubilme nel fondo dell’anima. ed è nella piazzaall’omprimo giardino perenn perenne si distende è in mezzo al con gli uomini per sempre; le tergere ch fiorisce, a abita croce che lui passerĂ e, dove Dio a sederci: lĂ Ger nuova Gerusalemm di vita andremo que albero 21, 1-6). bra di questo d ognuno (Ap lacrime di

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“Ho deside con voiâ€? rato ardent segme (Lc 22,15) emente di . mangi nti ad offrire piĂš incisiv Ăˆ stato al termin are questa i del , come Pasqu senso ultima dolore, che e, o all’interno, a come alla vita. Spreco -unica rispos mi sono dei ritrova , lode, p unauva, ciotola per schiac ta rimasta per ta de dopo, speranza di lacrime del ciame dare invisib di vita oltre preziosamen nto del cuore sem sempr ile nell’or e stato l’evide care per nte, te conservate a. p chi, un dono dei santi ricevu Riuscire ad per una cresci come san vita dello arrampicatome, non è to, in quanto offrire il dolore ta abitua vetta stupor to alla è e, poichĂŠri d’alta quota. to alla scarsit alta da parte lento o partec ipazio sempr Dono Ă di ossigetoce le piccol nato dalle piccol rapidissimo ne ad una no o verso vita gocce di tutti, atomo di offerta la realizz cosmica e creature di hanno moto che piĂš azione c allarga e ogni spindell’un ampia, un evolve le sue minimo gesto iverso, dove rsi Ǥ onde oltre di ogni ”‡ le possibbene va a vantag piĂš •…‹ƒ Í&#x; ƒ •… ’”‹Ž‡ ͚͘ ilitĂ dello gio ͙͙ sguard o.

͛͛ —Ž–—” ƒ ‡ …‘Â? —Â?‹…ƒœ La dign ‹‘Â?‡ itĂ

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umana va oltre il

ƒ‡•‹ ‡ ’ƒ”” cervello ‘……Š‹‡ Ci risiam I Santi e ve elezio o. Ăˆ quasi camuni i Beati tempo minist ni. In questo di nuo-sulle vetrate rative, della caso chiesa bresci per 29 am- al voto non si ani. Entro tra i Comu mome fanno ore 12 il 16 aprile ni ogni nti e dibatt promo dovran tori di te le liste no essereÍšÍ Â…Â…ÂŽÂ‡Â•Â‹Âƒ iti schier alle ament in cui necess presen sindac con i nomi ta- proget itĂ di dare o davan porre Il consiglio ÍšÍ&#x; ……Ž‡•‹ƒ Sembr i e consiglieridei candid pastorale ti di speranquei segni ti alla ati nella a riguar sull’annu e quei di cittadi di pochecomunali. ncio Ž–”‡ †—‡Â?‹Žƒ ”ƒ za futura Roma Express. loro Comu ammin da realizzare del miglia Italia ognini, ma non caldo Vangelo ‰ƒœœ‹ ’ƒ istrazi ‹Ž ˜‡•…‘˜‘ —…‹ƒÂ? ”–‡…‹’‡”ƒ Con il soffio one del tornat è mai vero. ia in bresci ne, magar mai, ha nel cuore ‡Â?‡†‡ Â?Â?‘ ƒŽ ’‡ŽŽ‡‰”‹Â?ƒ il sapore a elettorale, In Calab ano l’agen i traducendo di Cristo‘ ‡ ’ƒ’ƒ sulla politic or- laici ria? Ciò da di dell’ul †‡ŽŽ‡ ƒŽÂ?‡ ‹Â? …‹ ––‘Ǥ ‹Â?“—‡Â?Â‹ÂŽÂƒÇĄ ‰‰‹‘ †‹ ‘Â?ƒ š’”‡•• ‹Â?…‘ Reggio timatu sarĂ possib no di turno. a nazion ripren m ––Â? …‘Â? Ž‘ •‰—ƒ”† ‹Â?Â˜Â‡Â…Â‡ÇĄ ‹ ‰‹‘˜ƒÂ?‹ Massi maale del gover- presenza deranno forza ile se i quindiÂ?–”ƒÂ?†‘ , da che sia attenz ‘ ‰‹Â? ”‹˜‘Ž–‘ ƒŽŽƒ ’”‡˜‹•–‹ ÇŻ Il ƒŽŽƒ ‡‰ rischi parte ferme per una ione, que vi sia degli Ž‹ƒ Â?‰ †‹ ƒ†”‹† Íš

nazion o reale è osservatori. progettare pensiero e nto ovun͙͙͘ che l’impa perseg capac comun cessiv ale diveng o da fagoci a talmen tto non e. Ai pastor uendo il itĂ di †‹ ”‹•—””‡œ‹‘Â?‡Ǥ sacerdoti, vale quand te ecchiede i varrĂ bene tare re ‡•ƒ †‡ŽŽƒ ƒ•“—ƒ —Â?‹–Â? ’ƒ•–‘”ƒŽ‹Ǥ Ma catechisti ed la pena o si tratta ciò che piĂš ma di sindac illumin opinioni politic educatori. i †—‘ •ƒÂ?–‘ ‹Â? ƒ–– di elegge mette are domenica dell’anno, giovani segnalerann vero un e consigli ÂƒÂŽÂ‡ÇĄ ‹Ž ‹Â?‘†‘ •—ŽŽ‡ ‘ †‹‘…‡•ƒÂ?‘ doveinlaquesta re bene re in evidenil percorso he, comun ‹˜‡ ‹ ‰‹‘”Â?‹ †‡Ž ”‹ lungimiranz o ai bresciani che esistono proble dibattito serio ali, ‡ŽŽƒ ‡••ƒ …”‹•Â? Ž‹Â?‡‡ †‡Ž ’‡”…‘”• per a di papa za chi possib Giovanni Paolo ancora ragazzi per i suoi figli mi e sul —––ƒ Žƒ Š‹‡•ƒ ˜ in loco ov- manif ile cerca sanno pregare delle che Â?—Â?…‹ƒ ƒ‹ ’”‡–‹ǥ Â? ‘˜‘ …Š‡ †‡––ƒ Ž‡ esta quelledella comun il sui la celebrazione II ha collocato comu Il cuorefuturo della è, poi, quello piĂš amati. ͛͛ —Ž–—”ƒ ‡ …‘Â? parola di un e ascoltare la Mipreadolesce dei ordinaria della —Â?‡Â?–‘ †‡Ž ‡•… ‘Â?•Ǥ ‘Â?ƒ”‹ ƒÂ? perme nità —Â?‹…ƒœ‹‘Â?‡compe itĂ e vita quella creativ Giornata mondiale Vescovo. Questo che saranno nti in cui viviam tto, allora, tenze affron Alla vigilia di —Â?‹…ƒœ‹‘Â?‡ itĂ sarĂ visibile tolineaExpress. a Roma — Dz ‘…‡dz ‹Ž †‘… della gioventĂš, ha un͛͞ un o. “Un tare bisogn necessaria e a tutti, ma ciò —Ž–—”ƒ ‡ …‘Â? Irrequieti, distratti, tura, che qualchL’umanitĂ sapore ad “alta densitĂ â€? fine settimana piĂš conta forse, diverso. Ăˆ con di interv che e sotper passag i e sfide prima nasce a di le Palme che avventura fuori unalla fronte giovanileil per come giĂ diceva De Rita. gio cultur sarĂ alle mondo future Chiesa brescianaPadre ento che margine la nostra qualcuno di Diotal sfide la casa,levi - diceva diocesi desiderosi diventaGiuseppe del è utileechiedersi famoso, l’essenziale, di divertirsi ale crucia . del clima protagonistasenza

di amore vi - quello ha tenutoil prof. Luca ancora che è invisibile e scorsi ancor di esprimere una capace ÎŽ del gusto di Un Paese camminare non godrannofare amicizie. a Diota le agli occhi, resterĂ quale Forse nei ÇŻ di Dio. segno diventa volta connĂŠ nascosto ai supera presb ai ememb lo i suoi desideri giorni deideologiz di desacralizza lleragazzi per come creaturaancora San Paolo, potrĂ lasciare piĂš e si giocherĂ dire lorolegge in noiche monumenti, dell’arte iteraldei ri del Consi amore questa la questo stra/si zare gioia esperienza. sociale nel dice ͛͜ e Bresc ma, e cuore la bellezza della della Il icatore la coppi re e glio …‘Â?‘Â?‹ƒnistraâ€? nte. Si tratta, di ciascuno. Ogni anno, fede in GesĂš. sappiamo che periaesperienza, ‘con Cristo’. immensame Il giorno usa; dell’arramp si per le Palme giovane della politic sul rappo dioce si di capito. Cresc. Qualcuno a devita ‘con Cristo’ èinfatti, rappresenta di un’esistenza compromes ambita; Papa scatta quando a, aarriva nostra Chiesa cristianano di questa il rto ChiesUn fronte vita nel nostro l’ha giĂ dei …‘Â?‘Â?‹ƒ cui aggiun un di vita All’occhio͚͜ che accetta giornoLaprivilegiato ono, infatti, un’occasion anche applicin loro piĂš distratti, è, comune la forma ae modello e l’origine una poltrona anche dei maliziosi, azione qualcosa di unico.“Ho ma è GesĂš, la sua preghiera go qualch e che parte contro territo infatti, anche nel senso ched’incontro, politic vive conquistare dal cuore e doma visto nda e fornai nostra.diStare sembrare il Papa...per potrebbe comune, modo esistenza nuova che pensa e rio propo he che il arriva diventa passato suo e Vescovo il presen Mi di al Cristo è libertino Dio, condivisione cuore di vicino!â€?. sentar un del da cui di dove, in qualche atto “muscolareâ€? comunitĂ . comeSarĂ l’emozione, della te.gli ste alcun impegno esperienza e attrav mirano a ascoltarlo, guardarlo La infortuni riposo festivo Nel i mi ma anche in edella Chiesa per con GesĂš,modo, mondo. GesĂš tutta pensieri Pasqua il sesso senza perildire che no erso liste rapprequeste cattolici bresci muovo è: le esigen la cuore, anzitutto, alla comunitĂ diocesana di vivere nel cosĂŹ via. La non c’è, ma nei discepoli gioia di sentirsi dare parole c’è la ani ze un contri si protende del nostro territo civich personale; e vita. a pieno titolo verso lesuscita lava i piedi è cosĂŹ. Ăˆ vero, vescovo Luciano stagio posso parte nuove generazioni appartiene e rio. Il piĂš concr della Chiesa. buto nuovi. GesĂš esempioragazzi invaderannooltre duemila ne preele Un piccolo segnale, Come scrive desideri Pasqua uccide questa con entusiasmo che vive sempre ruolo? che èeun ttorale in questa smascherarnbello sarĂ ete del venerdĂŹ famiglia umana.egli “è nato dacelebra l’inedita nuova che la sera la stazione sarĂ magari decisivo Esclud forza e l’intensa imitare. questi istanti. prova ? Con ai suoi discepoli; tratti di L’esistenza e Ce ne siamo ro chese raccolto con Cristo in Paolo ai Galati, la legge.â€? freschezza di iun di ambig i luoghi comunre a andare a Roma ferroviaria per accorti nella cura della giĂ sonoo dal Vangelodebbono discepoli poidiscor quale sotto offre è “nascostadunque nello te l’augurio Certo nonche giovane. ingresso a Brescia fin dal suo una propria il gesto die scesi in so colo- per la Lega, uitĂ . Ciò vale i e i perchĂŠ donna, nato la sua è l’unico Naturalmen non significa parrocchia. Infine il cuore parte trattati da vip dove, ormai attesi è di piĂš momento e a loro, la fa politic in queste Dio.â€? Dio entra tuttavia vive campo natura dell’anno. Ma giovani di piazza davanti ai mente adulti, (parcheggia direttament addirittura (Gal 4,4) E L’attenzione nostra vita e a. Essi, buona Pasqua vivere il giorno lment anche in tenda educatori e degli , gioche genitori, rivoltodelle no al Padre; sa ammi serie spazio della una vita che arriva i pullman in tu e, parrocchieGesĂš, anche ogni volta Duomo, ma natura dasacerdoti. ranno di loro una Pietro), protag I piĂš esistenza davantidal Padre, di è bresciane solo: possa Piazza S. dentro l- sola. ad andar nistrative, che, in questi momenti, sa che ha incontrato una verso onisti. attenti, muove grande; non serenitĂ e gioia. l’educazione e di affetti: porteranno l’entusiasmo i bambini nell’AgorĂ i pare e sempr sua sapranno “Di di essere amato Penso partita limite del mondo; di Pasqua in alla fede dei loro 13 anni di sentimenti importante, intravedere laici delle dal Padre; a è costante amano dei ragazzi solo fino al agli altri, sotto tantistraordinari e piĂš da o nelle parrocchie. a settembre luci, forse chiamate. cosa nostre che einedita oltre, sa aprirsi ricevere tutto Questo è certamente continua. il maestro cheai loro durante la Messain mondovisione sempre capitato,farann a attuali parroc Quando parla della fede non Ăˆ Padre e fa quello guardare anche è fatta anche il profes profili prova la curaal vedere Ne sono del Vangelo spetta alle Palme o o saran col Papa, e con tĂ , Dio, volta ama il ma nell’ottica anche quello 14,31). il tori passiv alle Gmg. CapiterĂ stimano piegato perstriscioni comeno chie: mome sore - , - concludeva forza chel’iniziazione vita al mistero di chiede (Gv cristiana, la eper trasmette la vescovo Monari tare resta sentirsi a mamme e cartelli segnalerann il Padre gli speranza. Una e basta. Ci vuole ai Colossesi vita degli convinzione o guadagni quest’estate il 15 oanche ai in debbono Madrid attesa solo Sturzo nto la lezion in questo o oratori, di fede e di 16 apprensive e i grest e la piedi che sta .I per dire qualcosa Diotal preceduta di vo; debbono capire Non cerca successi che Paolo scrive nella Messa incollate di domani e di Alcide e di aiposti levi: â€œĂˆ maggi si generano cristiani teleschermi o? Ricord di attivitĂ ÍœÍœ Da ’‘”– di decisivo per desidera solo non miriade imbarazzati che sa di essere di Dio, che la felicitĂ e la solo nella consa Luigi la loro presenza cercare loro e la a Dio cessano di impegnare mondani, ma dia gloriache (e che ascoltiamo gioia, quella accanto a Benedetto pevole urgent che adulti significativi e e ripren ava se non impariamo De Gaspe quanto sia inutile sostenuta dall’amore “Voi siete mortiCristo ma quando vita di chi ascolta, cattoli zza, è riconoscent riâ€?. debbono cominciare XVI. che la sua vita Per questo vive di Pasqua): da parte dere Il Brescia sanno ’‘”– con ne sabato amore è AltresĂŹ, istillare a co, parla ͜͜ vero stessi prestigio; verific sera, questo di ai delle la a nascosta in ragazzi e ai oltre cinquemila giovani i suoi tĂ esperienze grandi di ogni in ragione che non un are di essere loro (Gv 12,27-28). di esprimere vostra vita è traendo dalermeneutichquotidiane occhi si illuminano casa di un’ide oppor a desiderare cosĂŹ la vita ‘con è 3,3) C’è dunque e che cerca accettando come una persona produ della luce dell’amore vissuto le energie social Il Brescia e che l’esper nel mondo promesse non a ologia piĂš in in Dio!â€? (Col ce un e scelte evangeliche per tuni- del servi. Fiorisce vita nuova, vita in riconoscenz la vita stessa, gli di un padre facciamo esperienza un Genoa Chiesa e l’inseg progra programma, che si . libera, che le e senso in cui un senso in cui trema, ma lo futuro namen ienza poter Anche quest’anno e le minacce dice mma Cristo’. Dunque cordialment San Francesco propo ci comun Cristo; questo sarĂ cosĂŹ. possono irretire . “Il mio cibo – di morte e c’è icano to della politicprodurre (se adegu ma è di una vita sito della sguardo è al Dio, vita con Allora, di cuore, altri, il mondo.lo splendore del ato) a recen non spaventanovolontĂ di colui è la vita facciamo esperienza politic anche a buone a. Nella una certa allean te che muore e fa la Pasqua. a tutti! Possiate la sa apprezzare dell’acqua, la a. Nella Reggio Settimana dice – è fare nuova. Quella con questo media ricerca, infatti za e portare a Cristo buona Pasqua fuoco, l’utilitĂ prato fiorito. Ma zioni forse un’ag Calabria si sociale di costruire, (Gv , risorgere con che mi ha mandato ‘mondana’ intendendo enda " ĂŠ,1-- la sua opera.â€? GesĂš (possiamo!) potremdi bellezza di un vita che si riduce di speraè parlato di una buonaanche in campo paese realtĂ del mondo e nuova! compimento termine una o â€?. ĂŠ ĂŠ86 ĂŠ ĂŠ8 8 stile di vita del ‘mondo’ la per una vita vive tutte queste †—‡ ƒÂ? azione salver locale cattoli Applicazionenza per lodando Dio; 4,34) Con questo alle dimensioni se non quello che , politic ĂŠĂƒiVÂœÂ?Âœ ci dei nostri mondo la volontĂ : perch il posizi emo dagli aperto a Dio, a nuova, non ‘ •–”ƒ‘ Â?‹ †ƒŽŽ –‡” introduce nel non cerca altrodare. Ăˆ mondana paesi chiam ĂŠ i che oni estremeccessi e e ci –‡””‡Â?‘– mondo sua è un’esistenza dalle

- < ati sa vedere il non iste il mondo può ‘consumatore’ che ‘–‘ ƒŽŽƒ ‰‡Â?‡”†‹Â?ƒ”‹‘ ”‡Â? "ĂŠ ĂŠ ,

‘ …‘ mondana, che nulla di hanno mai e radica …‘Â?– Â?–‹Â? l’esistenza del che compera e li ‹Â?—ƒ buono * << ĂŠ —ƒ ÂŽÇŻ ƒŽŽ‡ ’‘’‘ ”‘•‹–Â? †‹ ‹Â?’‡‰Â?‘ †‹ ciò Žǯ‘’ . Almen prodotto Žǯ‘ 6 << ĂŠ{x ‘’‡” vive solo di ‡”ƒ † o tentiam ƒ”‹–ƒ• ‹–ƒ ƒ †‹ ‹ ”‹…‘ äĂŽäʙ£{ÂŁxä Žƒœ‹‘Â?‹ …‘–ƒÂ?–‹ …‹–– nÊÊÊÊÊÎәÊÓ£ o. ƒ†‹Â? •–”— Ž‹ƒÂ?ƒ ”‹…‘•–” ĂŽxxÇ{ ÇĄ Č‹ Â”Â‡Â•Â…Â‹ÂƒČŒ ÇŚ

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Abbonamento presso il Centro per le Comunicazioni Sociali di via Callegari, 6 - 25121 Brescia.

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Abbonamento con bollettino postale intestato a: Fondazione Opera Diocesana San Francesco di Sales n. 18881250

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