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FOCUS CERTIFICAZIONI SPAZIO GREEN

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PERCORSO COTONE

PERCORSO COTONE

writer Pietro Ferrari

LA BUSSOLA DELLA SOSTENIBILITÀ

Sapere dove ci troviamo per muoverci nella giusta direzione.

A commento dello speciale sulla certificazione pubblicato in questo numero abbiamo voluto ascoltare le osservazioni di Giusy Bettoni fondatrice e CEO di C.L.A.S.S. ecohub che ha dall’inizio della storia dei processi di certificazione ha avuto un ruolo di protagonista, anche negli anni in cui questi processi erano vissuti da molti come una costosa stravaganza. Il suo impegno ha contribuito a rendere più familiare questi processi al mercato e a trovare un punto di equilibrio tra le giuste richieste della sostenibilità, dell’equità sociale del rispetto dell’ambiente e delle forme di vita animali e vegetali, della preservazione degli oceani.

LE CERTIFICAZIONI DI FILIERA

Pietro Ferrari – Cosa “conta” oggi nel con-

cetto di certificazione di sostenibilità?

Giusy Bettoni – Prima di tutto per noi le cose più importanti sono la tracciabilità e la trasparenza di un’azienda, indipendentemente dalle certificazioni: oggi la cosa più importante è essere trasparenti rispetto a un tessuto, a un finissaggio o a un capo di vestiario, quella è la prima area in cui andiamo a raccontare la sostenibilità di un’azienda: se tu non sai come e dove produci i tuoi manufatti, anche se hai un timbro o un bollino, non vi è chiarezza. La seconda cosa fondamentale per noi, prima di arrivare al prodotto, è avere uno sguardo d’insieme sull’azienda, perché è l’azienda che realizza i prodotti e non viceversa: anche da questo punto di vista il bollino che io mi trovo cucito non è sufficiente a raccontarmi la narrativa di sostenibilità di un’azienda. Per cui è giusto conoscere la tracciabilità e la trasparenza di tutto il processo ma poi anche molto dell’azienda: come opera? Qual è la sua strategia? Qual è la sua etica e quella dei suoi processi? Qui si arriva al caso di aziende i cui ingredienti di prodotto “non sono riconosciuti come convenzionalmente ecologici come i sintetici ) ma ci sono dei processi di produzione di tale eccellenza che non hanno bisogno di altro: per non fare nomi, Eurojersey lavora il nylon da sempre, continua a lavorarlo, quello su cui è intervenuti sono i processi e questo gli ha permesso di arrivare a rappresentare un punto di riferimento e un’ispirazione per il settore a livello internazionale. Dunque tracciabilità, azienda e solo poi si passa alla parte di prodotto, qui il tema del prodotto si declina a partire dai valori convenzionali – quali tipi di ingrediente, quali metodi di tintura e finissaggio, quali processi di produzione, fine vita del prodotto (sempre più rilevante), il packaging, tutta una serie di aspetti già esistenti precedentemente ma con una visione diversa.

Sono tutti elementi a cui era stato riservato un grande interesse: si è sempre parlato di cotone organico o di poliestere riciclato ma non in una visione olistica. Per noi oggi è importante dire, in primo luogo, cosa so di quello che faccio e come lo faccio? In secondo luogo conoscere l’azienda in tutti i suoi aspetti di attività: se io sono un brand e compro dei tessuti io devo avere il controllo della tracciabilità non solo rispetto al tessuto ma anche rispetto agli ingredienti, del filato: mi interessa sapere quale azienda l’ha prodotto, ma anche quali sono le sue caratteristiche dal punto di vista della qualità, tutto questo diventa un discorso molto più complesso da una parte ma che deve entrare in una sorta di normalità gestionale. Perché io non posso essere responsabile solo del capo che propongo come brand, devo tener conto della scelta che ho fatto del tessuto e quando scelgo un tessuto devo sapere cosa sta dietro al tessuto stesso, perché il filatore non è un mondo a parte: questo approccio sta cambiando le regole, perché fino a oggi il brand si è preoccupato solo del tessuto, adesso, con il discorso della tracciabilità, si deve preoccupare anche del filato e delle fibra. Questo non significa che tutto quello che un’azienda realizza dev’essere perfetto e conforme al cento per cento alle varie norme e richieste di certificazione SUBITO, ma, se non ho la tracciabilità e la trasparenza al cento per cento, come faccio a realizzare un percorso della mia azienda verso il miglioramento? non posso cambiare tutto in una notte, soprattutto quando parlo di un’industria. La prima prova di serietà è, però, capire, prima ancora di cambiare, cosa bisogna cambiare. Da questo punto di partenza si parla dell’acquisizione dei valori di nuova generazione. I valori di nuova generazione non arrivano dal mercato ma arrivano dai consumatori. Le richieste di tracciabilità e di trasparenza, l’utilizzo dell’acqua, la richiesta di capire quanta chimica viene impiegata, il consumo di energia elettrica arrivano dal consumatore. L’azienda deve disporre di uno story making e di uno story telling che, allineandosi, creano una comunicazione efficace nei confronti del consumatore: questo non è solo comunicare che io utilizzo il cotone organico, questo significa avere una narrazione che racconta una storia di azioni concrete e di assunzioni di responsabilità. È chiaro che, in questo caso, ci vuole una certificazione da parte di un ente terzo: nel momento in cui l’azienda vuole raccontare qualcosa deve comunicare chi l’ha portata avanti in modo che non sia un fatto autoreferenziale e, considerare che, poiché il mondo è pieno di comunicazioni in cui ci si autoproclama “ecologici”, “green”, “riciclati”, tutte queste proclamazioni tra non molto diventeranno bombe a orologeria. Chi proclama di produrre manufatti riciclati, deve spiegare anche altre cose: la materia prima da dove arriva? In che percentuale il materiale riciclato entra nella sua produzione? Quanta chimica viene impiegata? Sono tutte cose che devono evolversi: parlare di riciclato nel 2007 era una cosa eccezionale, adesso bisogna anche capire, la percentuale di riciclato, come è stato riciclato, post-consumer, pre-consumer, con quanto impiego di chimica e da che cosa è composto il resto. Per cui è opportuno cominciare ad analizzare le aziende con cui si lavora, guardare ai prodotti e poi rivolgersi a terze parti per certificare quello che viene fatto: le strade maestre sono la certificazione e l’analisi. Le certificazioni sono documenti che dichiarano che una determinata attività è stata portata avanti in base ai criteri richiesti dalla organizzazione che la rilascia: uno degli enti più importanti in questo campo è Textile Exchange, fondata nel 2011 da parte di una serie di grandi brand che hanno cominciato a darsi delle regole e a fissare da loro stessi degli standard, sono responsabili di diverse certificazioni, quali il GOTS (Global Organic Textile Standard) e il GRS (Global Recycled Standard). Queste certificazioni, come tante altre sono certificazioni di prodotto, e dicono, nel caso del GOTS, che un prodotto non contiene

nè pesticidi nè coloranti di impatto negativo sulla salute e che vengono garantite condizioni di lavoro etiche per i dipendenti della filiera tessile. IL GRS certifica le caratteristiche, i parametri e le percentuali nel prodotto riciclato. Non si tratta di schemi perfetti ma vanno a rimediare a un sistema che si trovava allo stato brado. Nel cammino della sostenibilità è chiaro che se si continua a procedere entra in gioco il fattore della misurazione: la sostenibilità è tale quando il produttore stesso riesce a valutare il suo impatto sulle persone e sull’ambiente, per ottenere questo risultato esistono degli strumenti come l’LCA (Life Cycle Assessment) che va a valutare l’impatto presente nella produzione di un filo o di un tessuto o di un capo d’abbigliamento. In questo modo si comincia a disporre di valori di risparmio dell’acqua o dell’energia, ed è chiaro che tutto diventa più interessante perché è possibile analizzare un cotone, per esempio, realizzato in un certo modo rispetto a un altro cotone realizzato diversamente con dei numeri e dei valori misurabili in modo efficace ed efficiente: non esiste la misurazione principe, non possiamo dirlo, però un’analisi di impatto che può essere anche molto elaborata fa la differenza, moltiplicando i filtri utilizzati : ci sono dieci livelli nell’LCA base ma possono essere via via aggiunti sempre più filtri e più vengono applicati filtri più è accurato il modello di analisi. Una delle misurazioni più importanti è costituita dalla Cradle to Cradle che va a classificare il posizionamento dell’azienda su diversi livelli, da bronze a platinum, in base a cinque diversi criteri: salubrità degli ingredienti usati, riciclabilità del prodotto nel ciclo tecnico o biologico, utilizzo di energie rinnovabili, gestione idrica responsabile e rispetto delle norme sociali. Si tratta di un percorso che si differenzia per le singole linee di prodotto ma che porta, con l’impegno costante e coerente, al conseguimento dei massimi risultati su tutte le differenti linee. Questo significa che questi strumenti di nuova generazione, basati su analisi precise, aiutano l’azienda a migliorare: non dicono bello o brutto, cattivo o buono ma informano l’azienda che esiste un problema, un problema che potrebbe anche non essere risolto nell’immediato, perché può essere un problema tecnologico e non c’è ancora una tecnologia in grado di risolvere le criticità di un determinato dettaglio, però ugualmente segnano una traccia da seguire, se e quando possibile. O esistono dei valori che vanno evidenziati. Poi, nell’ordine delle cose, certificazioni e analisi, sono in un contesto misto: dobbiamo cominciare in maniera uguale a mettere sul piatto insieme l’azienda e il prodotto: il consumatore che va in un negozio o che va on-line deve avere gli strumenti per capire cosa ha davanti. Noi sappiamo da ricerche di mercato datate 2019 (ma nel 2020 e 2021 saranno ancora più perentorie) che il consumatore si chiede cosa ci sia dentro il prodotto che acquista. È fondamentale comunicare al consumatore: di fronte a un mare di comunicazione generica sull’essere verde o eco-friendly, bisogna dire quello che va detto con precisione al consumatore. Avere un cotone certificato GOTS è solo un punto di partenza, per parlare di sostenibilità nei confronti del pubblico non si può considerare un solo aspetto: questa è la grande differenza tra quella che è chiamata la moda convenzionale, soprattutto fast-fashion (anche se va riconosciuto a questo mondo di aver iniziato la rivoluzione della sostenibilità rispondendo alla domanda del consumatore già dieci anni fa) rispetto a quella realmente progressiva e sostenibile. Oggi le aziende che fanno le cose

bene hanno un grande vantaggio competitivo: aziende su cui ruotano cento famiglie da cent’anni, su un territorio, con un controllo totale della filiera totale dovrebbero sfruttare ancora di più questi vantaggi, i valori di nuova generazione devono essere adottati e manifestati da queste aziende.

LE CERTIFICAZIONI DI PRODOTTO

Giusy Bettoni – Le certificazioni di prodotto distinguono le grandi famiglie di filati naturali, organici, riciclati sia per la parte naturale sia per la parti sintetica. Nei materiali di nuova generazione si trovano i man-made che richiedono determinate certificazioni per esempio. Nelle fibre che abbiano una connessione con il mondo della foresta entrano in gioco le certificazioni FSC, nel mondo delle lane dove il materiale è di origine animale ecco entrare in gioco i criteri richiesti del mulesing free, o quelli della PETA, o la certificazione Vegan che richiede l’assenza totale di riferimenti al mondo animale. È fondamentale in questo mondo per le aziende creare delle strategie a cui attenersi, anche se - ribadisco - se non sai dove sei non troverai la tua strada. Quando si tratta di chimica, per esempio, quando troviamo il marchio Detox, ZDHC o bluesign® sappiano che c’è un’attenzione alla chimica e ai coloranti. Tutto è importante ma quello che è fondamentale è che l’azienda abbia una strategia, abbia delle scelte di priorità, perché se non l’ha, nel novanta per cento dei casi, significa che sta speculando, e questo, purtroppo avviene spesso. Nell’indagine che McKinsey effettuò nel 2019 per conto della Camera Nazionale della Moda, i retailer dissero chiaramente che avrebbero privilegiato dei fornitori che facessero delle narrative di comunicazione sulla sostenibilità (che risultassero vere), perché il motore di ricerca Lyst alla fine del 2019 dava un incremento del 75 per cento dei consumatori che entravano nei negozi chiedendo moda sostenibile. I retailer, che non sono un ente di beneficenza, volevano evitare di rischiare di perdere quel 75 per cento di clienti che domanda: perché i brand non ci offrono gli articoli che ci servono? Perché nelle loro strategie la comunicazione sulla sostenibilità non è ancora prioritaria? Tanto è vero che noi, come C.L.A.S.S., da un anno e mezzo tra le nostre principali attività abbiamo la realizzazione dell’assessment della sostenibilità dei brand che si presentano ai retailer, perché questi ultimi hanno cominciato a richiedere degli standard. In una ricerca di mercato di Price Waterhouse Cooper sui Millennials in Italia, già quattro anni fa, si rilevava da parte loro l’insoddisfazione per il fatto che i designer italiani non facevano nulla di sostenibile e anche quando lo facevano non lo esprimevano in maniera chiara, i giovani e i meno giovani chiedevano di poter partire dall’etichetta per andare sul sito a conoscere la realtà da cui si servivano e il suo impegno nel campo della sostenibilità, stiamo parlando di Italia non dei Paesi Scandinavi. Ma le cose sono cambiate moltissimo da allora come dimostrato da Camera Nazionale della Moda Italiana che, fin dal 2010, si è impegnata nel porre la sostenibilità come valore fondante del sistema moda italiano. Un processo in cui CNMI ha coinvolto i propri Associati e gli operatori che rappresentano la filiera dell’intero sistema moda italiano. Per l’Italia, primo produttore di moda del lusso al mondo, la sostenibilità rappresenta quindi una fondamentale leva competitiva che permette di consolidare la propria leadership. Nel 2011 CNMI ha istituito il Tavolo di Lavoro sulla Sostenibilità. Successivamente sono nati la Commissione Sostenibilità e tre Gruppi di Lavoro: Commissione Tecnica Chemicals, Commissione Tecnica Retail, Tavolo dei Laboratori di Analisi Chimiche. Tutto questo deve far riflettere, perché un insufficiente attenzione alle tematiche della sostenibilità e alla loro gestione può spingere un’azienda fuori o ai margini del mercato.

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