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AREA DENIM PURE DENIM
www.puredenim.it/ writer Pietro Ferrari
SOSTENIBILITÀ CONTROLLABILE
PURE DENIM PROPONE UN MODO DIVERSO DI GESTIRE IL COTONE E LA SUA LAVORAZIONE: UN PERCORSO PIONIERISTICO.
Incontriamo negli spazi del salone Denim PV, in novembre a Milano, Luigi Caccia che ci racconta una proposta che viene da lontano e approccia con correttezza il mondo del denim.
n Luigi Caccia di Pure Denim insieme a Pietro Ferrari.
n Good earth cotton. PIETRO FERRARI – Come è nata l'azienda Pure Denim? LUIGI CACCIA – L'azienda nasce negli anni Settanta come Italdenim è ha una sua storicità come produttrice di denim, passando attraverso tutta una serie di evoluzioni per arrivare nel 2016 alla creazione di Pure Denim che nasce per raccogliere quello che Italdenim stava creando nel campo della sostenibilità e non era riuscito a mettere in campo. Le prime collezioni presentate come Pure Denim sono del 2018. PIETRO FERRARI – Quali sono i tratti distintivi della produzione Pure Denim? LUIGI CACCIA – Innanzitutto non utilizziamo l'indaco commerciale ma una tecnologia innovativa che si chiama Smart Indigo in cui l'indaco viene prodotto autonomamente in azienda attraverso l'uso di celle elettrochimiche, quindi viene evitato l'uso di prodotti chimici aggressivi come l'idrosolfito che viene sostituito da un processo fisico come appunta quello dell'utilizzo delle celle elettrochimiche che, tramite l'utilizzo di scariche elettriche, permettono di evitarne l'uso. Si tratta di un processo complesso e non semplice da descrivere e da gestire. Abbiamo poi investito molto sulla trasparenza del prodotto, perché noi crediamo che la sostenibilità non esista se non viene realmente dimostrata. Noi lavoriamo per questo con un cotone australiano nel cui interno viene inserito, come si fa nei passaporti, una piccola quantità di minerale luminescente certificato GOTS e prodotto in Germania che riflette una particolare luce nel momento in cui viene letto con un apposito scanner. Il produttore di cotone inserisce queste micro quantità di minerale luminescente che identifica quel particolare cotone e lo segue in tutta la filiera: chi fa il cotone, chi fa il filo, chi fa il prodotto. Dunque tutti i passaggi sono stati tracciati, letti e inseriti in una blockchain che permette di andare a verificare la storia di questo capo sia per gli aspetti positivi sia per quelli negativi: per esempio il cotone importato dall'Australia necessità per arrivare nel luogo di produzione di un
TESTABLE SUSTAINABILITY
We meet in the spaces of the Denim show, in November in Milan, Luigi Caccia who tells us about a proposal that comes from afar and approaches the world of denim with correctness.
Pietro Ferrari – How was the company Pure Denim born? Luigi Caccia – The company was born in the 1970s as Italdenim is has its own historicity as a denim manufacturer, passing through a whole series of evolutions to arrive in 2016 at the creation of Pure Denim, which was born to gather what Italdenim was creating in the field of sustainability and had failed to put into the field. The first collections presented as Pure Denim are from 2018.
Pietro Ferrari – What are the distinctive features of Pure Denim production? Luigi Caccia – First of all, we do not use commercial indigo but an innovative technology called Smart Indigo in which indigo is produced autonomously in the company through the use of electrochemical cells, so the use of aggressive chemicals such as hydrosulfite is avoided, which is replaced by a physical process such as that of the use of electrochemical cells, which, through the use of electrical discharges, allows us to avoid the use of electrochemical cells. This is a complex process that is not easy to describe and manage. We have also invested heavily in product transparency, because we believe that sustainability does not exist unless it is really demonstrated. We work for this with an Australian cotton in which a small amount of GOTS certified, German-made luminescent mineral that reflects a particular light when it is read with a special scanner is inserted, as is done in passports. The cotton manufacturer inserts these micro-quantities of luminescent ore that identifies that particular cotton and follows it through the whole supply chain: who makes the cotton, who makes the yarn, who makes the product. So all the steps have been tracked, read and entered into a blockchain that allows you to go and verify the history of this garment for both the positive and negative aspects: for example, cotton imported from Australia needs to arrive at the place of production a very long transport with consequent CO2 emissions, but, in our logic, the durability of the garment resulting from its quality compensates for the greater emissions. We have, for this, invested in an elastomer called XLance, produced directly in Italy cold and without the use of solvents, consequently it does not require high temperatures to be produced: in this way it is possible to transform the yarn into a finished product by offsetting CO
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with a transparent material that can be traced through a scanner that allows the fabric to be "read", recognized, and identified. We believe that our customer should be able to recognize what he or she has purchased without having to wait for industry initiatives that are yet to come.
Pietro Ferrari – Have you also thought about end-of-life?
Luigi Caccia – Since our products use materials and processes that are not harmful to the environment and are "homemade" without using hazardous substances our product is "safe" and degrades without releasing harmful materials. Consider that the biodegradability argument is not quite correct: the product, in order to be biodegradable, must be able to be given to a compost, it is wrong to say that it can be "thrown in the ground"the product must be iconic and last for generations. Fast-fashion and its mystifications do not interest me, because communicating that a discarded product vanishes into thin air is wrong and incorrect. "Organic cotton" and "biodegradability" do not solve the problem, they move it downstream. We prefer to work on the "here and now"all our products, for example, use ultrasound to be washed and do not use large volumes of water.
Pietro Ferrari – Why Australia? Luigi Caccia – Because the inventor of the technology we talked about is British but the family that owns the cotton fields is Australian and this cotton absorbs more CO2 than it takes to grow it, so low impact: less water, less energy to harvest it. A technology that is also being exported to India or Tanzania to spread a sustainable way of growing cotton and, at the same time, tracking it.
trasporto molto lungo con conseguenti emissioni di CO2, ma, nella nostra logica, la durata del capo derivante dalla sua qualità compensa le emissioni maggiori. Noi abbiamo per questo investito su di un elastomero che si chiama X-Lance, prodotto direttamente in Italia a freddo e senza l'uso di solventi, di conseguenza per essere prodotto non richiede alte temperature: in questo modo è possibile trasformare il filo in un prodotto finito compensando il CO2 con un materiale trasparente e tracciabile attraverso uno scanner che permette di "leggere", di riconoscere il tessuto e identificarlo. Noi crediamo che il nostro cliente debba poter riconoscere ciò che ha acquistato senza dover attendere iniziative dell'industria che sono di là da venire.
PIETRO FERRARI – Avete pensato anche al fine vita?
LUIGI CACCIA – Considerato che i nostri prodotti utilizzano materiali e processi non nocivi all'ambiente e sono "fatti in casa" senza utilizzare sostanze pericolose il nostro prodotto è "safe" e si degrada senza rilasciare materiali dannosi. Consideriamo che il discorso della biodegradabilità non è del tutto corretto: il prodotto, per essere biodegradabile, deve poter essere conferito a un compost, è sbagliato dire che si può "buttare sotto terra": il prodotto deve essere iconico e durare nel tempo per generazioni. Il fast-fashion e le sue mistificazioni non mi interessano, perché comunicare che un prodotto scartato svanisce nel nulla è sbagliato e scorretto. "Cotone organico" e "biodegradabilità" non risolvono il problema, lo spostano a valle. Noi preferiamo lavorare sul "qui e ora": tutti i nostri prodotti, per esempio, usano gli ultrasuoni per essere lavati e non utilizzano grandi volumi d'acqua.
PIETRO FERRARI – Come mai l'Australia? LUIGI CACCIA – Perché l'inventore della tecnologia di cui abbiamo parlato è inglese ma la famiglia proprietaria dei campi di cotone è australiana e questo cotone assorbe più CO2 di quanto ne serva per coltivarlo, quindi basso impatto: meno acqua, meno energia per raccoglierlo. Una tecnologia che viene esportata anche in India o in Tanzania per diffondere un modo sostenibile di coltivare il cotone e, nello stesso tempo, di tracciarlo.
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