Sonia Maritan Paola Govoni Pietro Ferrari
PROSPETTIVA IN (SULLA) “SCALA” LA SIGNORA SULLA SCALA VENEZIA TRA PIOGGIA E SOLE
BIENNALE DI VENEZIA 2016
FARE ITALIA6
PROSPETTIVA IN (SULLA) “SCALA” Sonia Maritan
LA SIGNORA SULLA SCALA
Paola Govoni
VENEZIA TRA PIOGGIA E SOLE
Pietro Ferrari
BIENNALE DI VENEZIA 2016
Sonia Maritan
PROSPETTIVA IN (SULLA) “SCALA” Uno sguardo più “ampio” sui luoghi antropici, in tutte le possibili e diverse declinazioni, è il tema richiamato dalla XV Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, ma certamente il punto di osservazione dell’archeologa tedesca Maria Reiche che osserva le linee di Nazca in Perù e abbraccia con il suo sguardo quel territorio, letteralmente arrampicata sulla scala di alluminio che si porta appresso, rimane la più autentica delle prospettive.
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Questa, a ragione, l’immagine iconica scelta per la Biennale di Venezia 2016 da Paolo Baratta e Alejandro Aravena – vincitore del Premio Pritzker 2016 per l’impegno profuso nel migliorare gli spazi urbani così da rispondere alle sfide sociali ed economiche di oggi –, Presidente e Curatore dell’importante evento che premia chi ha saputo scorgere prospettive più ampie; perché questa disciplina “diffusa” che è l’Architettura ha una duplice valenza etica ed estetica, il cui messaggio “permanente” e condizionante influisce a livello conscio e inconscio sul nostro “abitare”. Ovunque si perpetui, questa disciplina ha un potenziale “sempre rinnovabile”per la ridistribuzione della qualità della vita, al punto da immaginare un’architettura che possa educare alla coscienza ambientale, e forse porsi maggiormente al servizio del nostro tempo, divenendo, se necessario, transitoria senza perdere di qualità. In queste pagine che introducono a un FARE ITALIA interamente dedicato alla Biennale di Venezia 2016, numerosi scatti di Sonia Maritan a testimonianza della sua intensa partecipazione all’evento.
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Un’architettura al servizio del pianeta e di un mare che nel 2050 conterrà più plastica – seppure questo materiale sia già riciclato al 75 % – che pesci. Un mondo, che come un secchio dell’immondizia, si sta riempiendo: le microparticelle di plastica sono entrate nella nostra catena alimentare (Fonte Corepla). Qualunque analisi quindi deve partire da una prospettiva davvero molto ampia, e questa sfida riguarda la nostra epoca. D’altra parte lo stesso titolo provocatorio della XV Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia: “Reporting from the Front”, impone un nuovo punto di partenza, siamo a
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una svolta cruciale, alla denuncia condivisa degli squilibri, al rifiuto della dicotomia fra spreco e povertà, che alcune installazioni “estreme” raccontano attraverso una progettualità schietta all’Arsenale, ma anche attraverso la rappresentazione che i Paesi fanno di sé ai Giardini. Dall’arditezza di certe architetture danzanti, allora, potremmo passare metaforicamente alla forma primordiale di una capanna per raffigurare l’equilibrio perso, per “fare qualche passo indietro” e capire che ben – essere = "stare bene", è uno stato che coinvolge tutti gli aspetti dell'essere umano, e caratterizza la qualità della vita di ogni singola persona. Comunemente il benessere – uno stato complessivo di buona salute fisica, psichica e mentale – viene per-
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cepito come una condizione di armonia tra uomo e ambiente, risultato di un processo di adattamento a molteplici fattori che incidono sullo stile di vita. In questo senso la fotografia di Bruce Chatwin diventa poetica: la scarsità di mezzi e il profondo rispetto che Maria Reiche nutre per quel luogo, sublimano il suo gesto e ci riportano l’immagine di una donna che ama quella terra e la rispetta profondamente. Così, le strane figure tracciate nel deserto grazie a lei divennero famose e furono dichiarate nel 1994 Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.
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Un amore per l’ambiente che raccogliamo, che sta portando a un modo di costruire più “salubre” e ad architetture più aperte: la luce naturale è indispensabile alla vita e la sua carenza provoca scompensi a livello biologico. Al pari delle altre radiazioni elettromagnetiche, le radiazioni infrarosse e quelle ultraviolette hanno effetti rilevanti sugli organismi viventi, influiscono sulla crescita e sullo sviluppo e intensificano i processi metabolici. La luce naturale, secondo quanto dichiarano diverse ricerche (Università degli Studi di Napoli Federico II), aumenta la capacità di concentrazione e quindi di apprendimento del 30-40%. La luce è importante anche quando non c’è: il buio e il suo equilibrato alternarsi con le ore di luce svolgono, infatti, un’azione importante sugli organismi viventi. Moltissime altre
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sono le risorse naturali che assumono importanza nella progettazione odierna, come se ci stessimo ricordando delle potenzialità del pianeta terra, ora che lo scorgiamo un po’ “acciaccato” e “consunto”. Maria Reiche in punta di piedi sulla scala, come una farfalla in volo, sfiora il paesaggio senza toccarlo e ci porta un altro messaggio, quello del rispetto (anche fisico) dell’ambiente: non toccatelo, non cambiatelo, non consumatelo perché è perfetto così! Dal paesaggio naturale a quello antropico, questo principio ci porta all’architettura e al pro-
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getto, dal cucchiaio alla città, che alle diverse scale di progetto e del punto di vista cambierà di volta in volta orizzonte e significato. Qualunque sia lo scenario, però, il miglior risparmio è dato dall’assenza di consumo, e secondo questo principio l’imperativo è di contenere le emissioni di un qualsiasi processo produttivo in modo già definito e quindi con un atteggiamento di prevenzione dell’impatto ambientale in fase di progettazione: la responsabilità industriale, oggi, impone che chi progetta debba prevedere che il progetto non muoia! Al contrario, è del 1924 la “progettazione” dell’obsolescenza programmata per le lampadine, come noto poi estesa agli elettrodomestici, i computer e tutti gli strumenti digitali. Il nuovo panorama invece prospetta una nuova generazione di signori “aggiustatutto” che vorrebbero riparare anche i figli del consumismo. Non si tratta (semplicemente) del “mestiere della crisi” ma di un cambiamento più profondo che implica un nuovo stile di vita, proprio perché è giunto il tempo di invertire “la rotta” e l’economia circolare allude proprio a questo, anela a un mondo senza rifiuti! L’approccio trasversale di Alejandro Aravena è stato vincente perché ha attirato un’utenza più ampia– oltre alla stretta cerchia degli addetti ai la-
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vori – evidenziando la natura profondamente politica dell’architettura in tutte le sue accezioni, una caratteristica di “polis” da esprimere apertamente per rivolgersi alla società liquida e rendere tutti partecipi. Aperta e multidisciplinare la Mostra veneziana di Architettura internazionale del 2016 premia con il Leone d’Oro il Padiglione Spagna e il suo tema: “Unfinished”. In effetti, molte cose in questa marcia “globale” restano ancora da fare. E forse proprio in questa “incompiutezza”sta il grande valore di questa Biennale, la grandezza sta nell’aver saputo riconoscere la realtà delle cose con trasparenza e poi aver stimolato le possibili soluzioni del recupero, del riuso, del risparmio, della reversibilità… per una Terra tutta da ristrutturare! Un grande evento, che ci invita a conciliare le esigenze del pianeta con quelle dell’uomo. Anche nel rapporto della Commissione Salute dell'Osservatorio europeo su sistemi e politiche per la salute (a cui partecipa il distaccamento europeo dell‘OMS) è stata proposta come definizione di benessere "lo stato emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale di ben-essere che consente alle persone di raggiungere e mantenere il loro potenziale personale nella società". Il Rapporto definisce importanti tutti e cinque gli aspetti, ma ancora più importante è che questi siano tra loro equilibrati per consentire agli individui di migliorare il loro benessere. La parola “chiave” è equilibrio. Il concetto di benessere è una nozione in costante evoluzione: seguendo la piramide di Ma-
slow, con il passare del tempo la realizzazione dei bisogni fondamentali e di alcuni desideri considerati un tempo difficilmente raggiungibili porta alla nascita di altri bisogni e desideri. La promozione della salute e del benessere passa attraverso mutamenti nell'organizzazione sociale e ambientale, e l'adozione di politiche pubbliche coordinate e tese a favorire e sviluppare beni e servizi più sani, ambienti igienici e non pericolosi, attraverso apparati legislativi che mirano, tra l'altro, a definire e regolamentare le cosiddette “discipline bio-naturali del benessere” in relazione al nostro habitat. Con "Benessere negli ambienti di vita" si individuano le condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza nei luoghi di vita che assicurano la tutela della salute dei fruitori. Un edificio intelligente è un edificio che deriva dal “gioco sapiente di vari fattori come forma, funzione, modalità di costruzione, sistema di involucro, soluzioni impiantistiche e che ha come scopo finale il raggiungimento del benessere dell’utente e la riduzione dei costi ambientali. Un edificio intelligente è quindi un edificio semplice, cioè semplice in fase di realizzazione, di dismissione e soprattutto di gestione” (Gerhard Hausladen, Lösungen für Gebäude, die mit weniger Technik mehr können: ClimaDesign 3 + x, in “Xia“, 07 – 09/2005). Un concetto che possiamo trasporre anche a una città resiliente, che non si adegua semplicemente, ma cambia costruendo risposte sociali, economiche e ambientali nuove, per resistere nel lungo periodo alle sollecitazioni dell’ambiente e della storia. Per fare in modo che la sostenibilità diventi un obiettivo bisogna favorire l’uso di risorse rinnovabili, ottimizzare l’impiego di quelle non rinnovabili, non accumulare rifiuti che l’ecosistema non sia in grado di rinaturalizzare e fare in modo che ogni individuo/comunità rimangano nei limiti del proprio “spazio ambientale” (ambiente naturale che
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gli esseri umani possono utilizzare senza danneggiare permanentemente le caratteristiche essenziali): nel modo di affrontare i problemi ambientali si è ormai passati da un approccio cosiddetto “end of pipe” a un atteggiamento di prevenzione dell’impatto ambientale in fase di progetto. Se ne deduce che per ridurre l’impatto globale si può agire sul controllo della popolazione oppure sullo stile di vita e quindi sulla attitudine ai consumi specialmente nei paesi industrialmente maturi o sulla cosiddetta efficienza ambientale. Questo è possibile disaccoppiando sviluppo e benessere da prelievo e consumo di risorse naturali. Ecco perché l’interdisciplinarietà dei contributi diventa la condizione necessaria per gestire la complessità del progetto di architettura e ancor più del progetto di architettura sostenibile. Oltre alla capacità creativa il progettista è chiamato ad avere una visione olistica e integrata delle varie fasi del processo edilizio o della città, in cui vengono gestiti tutti gli input e gli output che il progetto comporta. Questi i concetti che si affastellavano nella mia mente, mentre mi muovevo fra i Giardini e l’Arsenale, “entrando” così nei pensieri progettuali che avevano fatto scaturire architetture e installazioni intrise di forza, spesso ferite, a volte incompiute o in un “atteggiamento” di attesa,
altre ancora protese in un urlo disperato e lacerante: “manifesti” che strillavano un’urgenza non più procrastinabile. Una nuova “letteratura” architettonica si sta scrivendo, e un nuovo paradigma costruttivo si sta evolvendo per portare a due risultati fondamentali: l'efficienza energetica e il benessere abitativo, cioè il benessere umano. Il benessere indoor è strettamente legato a quello outdoor nella misura in cui gli edifici richiedono meno energia per funzionare, e i prodotti e i materiali che caratterizzano le architetture devono a loro volta essere parte di un processo produttivo virtuoso: il “viaggio” che compie il prodotto sulla base del suo ciclo di vita è misurato dal bilancio ecologico, è quindi necessario puntare verso nuovi saperi legati all’eco-sostenibilità e a materiali a essa sintonici. Maria Reiche, in punta di piedi sulla sua scala, è in sintonia con il paesaggio che osserva perché lo ama, lei è diventata un’icona di questo straordinario messaggio che ci ha dato la XV Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, e l’immagine di questa archeologa protesa sul paesaggio che abbraccia con lo sguardo e con il cuore, è diventato potente: un atto di creatività progettuale da cui è nata unicità e un grande insegnamento che raccogliamo con grave ritardo.
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Paola Govoni
LA SIGNORA SULLA SCALA Un’immagine ricorrente accompagnava coloro che camminavano per le calli e i campielli di Venezia durante i mesi in cui si è tenuta la Biennale di Architettura 2016 (dal 28.05 al 27.11). Chi è la signora sulla scala? Che cosa vede? Perché è stata scelta proprio questa immagine per rappresentare il tema della 15esima Mostra Internazionale di Architettura di Venezia ?
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Durante un suo viaggio in Sud America, Bruce Chatwin – l’autore della fotografia – incontrò una signora già avanti negli anni che camminava in un territorio desertico portando sulle spalle una scala di alluminio. La signora era l’archeologa tedesca Maria Reiche, che all’epoca studiava le linee di Nazca in Perù. Maria non poteva permettersi di noleggiare un aereo per studiare le linee dall’alto e la tecnologia di quegli anni non aveva ancora prodotto i droni. Osservare le linee da un’automobile o da un furgone avrebbe potuto danneggiare l’oggetto dei suoi studi. Così, la scarsità di mezzi da un lato e il profondo rispetto per il luogo dall’altro avevano indotto l’archeologa a salire sulla sua scala di alluminio, da dove poteva scrutare un orizzonte più vasto e, così facendo, riusciva ad ampliare la prospettiva e a conquistare un suo ‘expanded eye’. Immagine per la 15esima Mostra Internazionale di Architettura 2016 di Venezia
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L’ARCHITETTURA IN AZIONE Questa immagine ha da subito catturato l’attenzione di Paolo Baratta e di Alejandro Aravena, rispettivamente Presidente e Curatore della Biennale di Venezia 2016, che hanno ritenuto fosse pienamente rappresentativa delle finalità e dei contenuti della Mostra. L’obiettivo della Biennale di Architettura era infatti quello di offrire un nuovo punto di vista, come quello che aveva Maria Reiche dall’alto della sua scala di alluminio. Se siamo d’accordo sul fatto che l’Architettura è la più ‘politica’ di tutte le arti, la Biennale va dritto al punto e si propone di mostrare l’architettura ‘in azione’, indagando il suo impatto profondo sullo spazio e sulla qualità della vita ed evidenziando la stretta relazione esistente fra l’architettura, l’essere umano, la società civile, il paesaggio urbano, il territorio e l’ambiente. Data la complessità e la varietà dei temi e delle sfide che l’architettura deve affrontare, il Curatore Alejandro Aravena ha individuato un elenco di problematiche e ha messo a punto uno schema di argomenti topici che sono presenti sul ‘campo di battaglia’ del nostro tempo, chiamandolo ‘REPORTING FROM THE FRONT’.
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UN NUOVO PUNTO DI VISTA Come spiega lo stesso Aravena: “REPORTING FROM THE FRONT si propone di ascoltare coloro che sono stati capaci di una prospettiva più ampia, e di conseguenza sono in grado di con-
BIENNALE DI VENEZIA 2016 dividere conoscenze ed esperienze, inventiva e pertinenza con chi tra noi rimane con i piedi appoggiati al suolo. L’architettura si occupa di dare forma ai luoghi in cui viviamo. La forma di questi luoghi, però, non è definita soltanto dalla tendenza estetica del momento o dal talento di un particolare architetto. Essi sono la conseguenza di regole, interessi, economie e politiche, o forse anche della mancanza di coordinamento, dell’indifferenza e della semplice casualità. Le forme che assumono possono migliorare o rovinare la vita delle persone. La difficoltà delle condizioni (insufficienza i mezzi, vincoli molto restrittivi, necessità di ogni tipo) è una costante minaccia a un risultato di qualità. Ancora molte battaglie devono essere dunque vinte per migliorare la qualità dell’ambiente costruito e, di conseguenza, quella della vita delle persone”. La proposta del Curatore è duplice. Da un lato, si propone di ampliare la gamma delle tema-
Alejandro Aravena, Curatore della Mostra ‘Reporting from the Front’. Foto di Giorgio Zucchiatti, Courtesy La Biennale di Venezia
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Venezia, sullo sfondo l’Arsenale
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tiche a cui ci si aspetta che l’architettura fornisca delle risposte e affianca alla dimensione artistica e culturale quella sociale, politica, economia e ambientale. Dall’altro lato, evidenzia che l’architettura è chiamata a rispondere a una pluralità di dimensioni e da qui la necessità di integrare più settori, anziché prenderli in esame separatamente. Il palcoscenico della Biennale offre così l’occasione di fermarsi a riflettere sulle alcune delle problematiche più pressanti del nostro tempo: disuguaglianza, sostenibilità, insicurezza, segregazione, traffico, inquinamento, spreco, migrazione, calamità naturali, casualità, periferie e carenza di alloggi. Aravena ha preso contatto con ‘bravi architetti’ e ‘professionisti coerenti e solidi’ che si sono misurati con queste sfide su un orizzonte internazionale e ha chiesto loro di presentare i progetti, illustrandone la storia, le difficoltà, le criticità, le strategie messe in atto per arrivare alla loro realizzazione e il tipo di risposta che hanno avuto. Ne è scaturito un quadro di grande forza progettuale, dove architetti più o meno giovani, più meno famosi si sono misurati con impegno per rispondere a queste sfide complesse, evitando tendenze e mode, ‘componendo vecchie
L’autore Paola Govoni
IL PERCORSO ESPOSITIVO La Mostra REPORTING FROM THE FRONT comprendeva un unico percorso espositivo dal Padiglione Centrale (Giardini) dell’Arsenale, includendo 88 partecipanti provenienti da 37 Paesi. Di questi, 50 erano presenti per la prima volta e 33 erano gli architetti under 40. La Mostra è stata affiancata da 65 Partecipazioni nazionali nei Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia. 5 i Paesi presenti per la prima volta alla Biennale: Filippine, Lituania, Nigeria, Seychelles e Yemen. Tre i Progetti Speciali della 15esima Biennale: l’esposizione dal titolo ‘Reporting from Marghera and Other Waterfronts’ curata dall’architetto Stefano Recalcati; l’evento ‘A World of Fragile Parts’ in collaborazione con il Victoria and Albert Museum di Londra, a cura di Brendan Cormier e l’esposizione ‘ Report from the Cities: Conflicts of an Urban Age’ curata da Ricky Burdett, che dedica particolare attenzione al rapporto fra spazi pubblici e spazi privati.
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tematiche in modo originale per muoversi in avanti’ e facendosi portatori di proposte significative per un’architettura di qualità.
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Pietro Ferrari
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VENEZIA TRA PIOGGIA E SOLE Per l’opportunità delle mie due visite alla Biennale di Venezia 2016 devo ringraziare due realtà molto diverse: la prima è il produttore tedesco di carte decorative e di bordi Surteco, la seconda è la EPF (European Panel Federation) che ha scelto Venezia per il suo congresso annuale. Entrambe queste realtà hanno individuato nella Biennale un dono esperienziale da offrire ai propri ospiti. La prima visita, organizzata da Marco Francescon, amministratore delegato di Surteco Italia e membro del board del Gruppo tedesco, partita dal Design Center di Mestre, non è stata baciata dagli dei della meteorologia ma mi ha fatto conoscere una Venezia pluviale e ventosa che, quasi due secoli prima, era stata immortalata meravigliosamente da William Turner; più privatamente, la navigazione da Mestre a Venezia, in un turbine di pioggia e vento, è stata per me l’occasione di conoscere Bernd Poliwoda, un personaggio, per me quasi mitico, del settore delle carte decorative, intervistato successivamente in Germania, nel potente laboratorio creativo Süddekor a Willich; nella traversata di ritorno, è stato, invece, mio compagno di viaggio Filippo Manetti di Arpa Industriale, un’azienda produttrice di laminati plastici che, con la linea Fenix, sta tuttora dominando il suo mercato di riferimento. La seconda visita, spalmata su due giorni, mi ha restituito una Venezia trionfale e abbagliante
Pietro Ferrari davanti alla sede della Biennale a Palazo Giustiniani
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a salutare la prima presidenza italiana dell’EPF, nella persona di Paolo Fantoni, industriale impegnato nella promozione dell’economia circolare, passato dalla presidenza di Assopannelli ( l’associazione di Federlegno-Arredo che raccoglie i produttori dei pannelli a base legno) al vertice del suo settore in Europa. La fragilità di Venezia, evidenziata giornalmente dal dissennato transito dei mostruosi che trasportano pigri turisti nella città dei Dogi, ha fornito uno scenario duplice: da una parte lo sfondo solenne per l’assemblea, dall’altra la pensosa cornice per le riflessioni sul tema caro al presidente Fantoni di un mondo “a saldo zero” che rappresenta l’unico percorso di salvezza per il genere umano su questo martoriato pianeta.
IL PADIGLIONE CENTRALE
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È il padiglione centrale nei Giardini a raccogliere in sé, come in un Aleph di borgesiana memoria i significati, i temi, le ansie, i crucci della mostra ma di questi ci ha già parlato la giornalista e scrittrice Paola Govoni che ci ha accompagnati successivamente nella seconda visita. A noi ora importa raccontare l’icona di questa edizione della Biennale, Maria Reiche, fotografata da Bruce Chatwin su di una scala di alluminio, mentre osserva con passione, la passione di una vita, le misteriose linee di Nazca. Chi scrive ebbe l’occasione di incontrare Maria Reiche, soprannominata con rudezza sudamericana Maria la loca, nel 1990, otto anni prima
della sua morte, proprio a Nazca, dopo un volo emozionante sulle misteriose linee su di un Cessna della piccola compagnia aerea locale il cui task era quello di regalare ai turisti una visione impareggiabile. Ricordo il disagio e il senso di rifiuto che ebbi quando vidi questa donna, ostinata nella ricerca scientifica ma soprattutto impegnata con tutta se stessa nella difesa di quello straordinario paesaggio di simboli, messo a rischio dal punto di vista teorico dalle fandonie pseudoscientifiche di troppo disinvolti divulgatori e, cosa ancora più grave, dal punto di vista pratico dalla e disordinate opere di viabilità e urbanizzazione dell’area andina. Mi sembrava allora che venisse esibita come una sorta di uccello raro dai suoi assistenti, ridotta com’era in uno stato di invalidità da un evidente morbo di Parkinson. Ma quando cominciò a parlare allo sparuto gruppo di visitatori, compresi che quella sua “lectio magistralis” nella men che modesta casetta in cui viveva era per la manifestazione della ferrea volontà di una persona che s’era fatta una missione, assoluta e indiscutibile, nella difesa e nell’illustrazione di quelle silenti linee che solo dall’alto possono essere pienamente connesse tra loro. Parlava con forza, spiegava con impegno didattico a noi, venuti dall’altra parte della terra le sue teorie e faceva di quella liturgia una ragione di vita e un regalo all’umanità. La studentessa di Dresda, mai più tornata a vivere nella sua Germania, ci raccontava con parole tec-
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niche e scientifiche tutta la poesia del suo bruciante amore per quell’angolo desolato e solenne del nostro pianeta. La cifra di Maria Reiche permea di sé tutta la Biennale di Architettura 2016 a Venezia.
NIENTE DI FACILE Non c’è niente di facile, infatti, nella proposta, austera e, a tratti, drammatica di questa Biennale, fin dal nucleo costituito dal padiglione centrale. Manuel Hertz e la National Union of Sahrawi Women crea in quello che potrebbe essere un anonimo, seppur razionale, campo profughi (se qualcosa di razionale ci può essere in un campo profughi) dei moduli fondanti di un’identità nazionale in uno spazio in cui la provvisorietà si misura mediamente in
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diciassette anni di permanenza “Le tende e il fango (inteso come materiale da costruzione) non soltanto hanno permesso di superare l’aut aut tra abitazioni temporanee da una parte e permanenti dall’altro, ma hanno anche aperto un percorso inaspettato: invece di lasciar diventare il campo un luogo in cui i rifugiati attendono a oltranza di essere accettati da qualche Paese… lo hanno trasformato nel luogo di fondazione di un’identità nazionale.” Solano Benitez in Paraguay ha progettato soluzioni per evitare che chi si porti a vivere nelle città in un contesto in cui non è possibile edificare abitazioni decenti con sufficiente rapidità non debba vivere in spazi e contesti disumani: “L’utilizzo ingegnoso di materiali low-tech, sfrutta
BIENNALE DI VENEZIA 2016 la forma per ottenere una maggiore resistenza, rendendo quindi possibile includere nell’economia edilizia persone non formate per il settore.” Mattoni e manodopera non qualificata, le risorse più abbondanti, hanno permesso di ottenere risultati sorprendenti per affrontare un processo rapido e globale come quello dell’urbanizzazione. I progetti di Maria Giuseppina Grasso Cannizzo in Sicilia costituiscono una forma di resistenza alla banalità e alla mediocrità dell’ambiente urbano. Questi progetti possono rappresentare un esempio della qualità del progetto su scala ridotta la cui azione congiunta può generare un cambiamento significativo di direzione del costruire fuori dalla violenta ovvietà delle aree urbane.
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L’azione di VAVStudio in Iran si è dispiegata nel quadro dell’embargo internazionale e ha potuto contare sulla valorizzazione delle industrie locali specializzate nella produzione di piastrelle e materiali per la muratura in pietra: combinando materiali e produzione locale con un limitato dispendio energetico nei trasporti, non solo la carbon footprint dell’industria edilizia iraniana è una delle più sostenibili del pianeta ma ha portato a una rilettura generale dell’identità locale che vede tra i suoi protagonisti VAVStudio, nell’esplorazione di linguaggi, tipologie e tecniche capaci di ricreare un forte dialogo tra territorio e progetto. Lo Studio LAN dalla Francia ha presentato due casi: il primo opera in una situazione determinata dalla demolizione di alcuni edifici, il secondo è imperniato sul concetto di riciclo: in en-
BIENNALE DI VENEZIA 2016 trambi i casi la sfida è quella di raggiungere un adeguato livello di densità abitativa, ripensando la nozione di abitazione collettiva a misura d’uomo. Ancora dalla vecchia Europa, Arno Brandlhuber mette in discussione a Berlino le leggi che governano l’architettura, le leggi artistiche e le leggi in senso stretto, partendo da un presupposto: “Le leggi a volte ha senso seguirle, a volte c’è bisogno che vengano messe in discussione e a volte…hanno bisogno di essere rafforzate” L’Antivilla di Brandlhuber ne è una dimostrazione. Con il Campus Universitario Utec di Lima, l’irlandese Grafton Architects ha introdotto una dimensione civica in spazi che normalmente si configurano come residuali e al di fuori degli am-
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bienti chiusi e dotati di aria condizionata. In questo progetto il raddoppio o la triplicazione o la quadruplicazione degli spazi ha creato, per esempio, nuovi luoghi ombrosi di ritrovo. Lo spazio aperto è il tema svolto nelle Ande cilene dallo Studio Eltin e Léniz , in collaborazione con Caserta Foundation. Il principio di base è la concezione della natura, una natura che appare ma che si unisce a spazi confortevoli e sicuri, come sollievo e via di fuga dall’ambiente aggressivo in cui i bambini si trovano a vivere. Le architetture dello Studio SANAA si distinguono per la loro delicatezza e precisione, nel caso del progetto realizzato nell’isola giapponese di Inujima l’equilibrio tra il rispetto della fragilità
BIENNALE DI VENEZIA 2016 dei luoghi e la capacità di attrarre visitatori rappresentano un esempio di cui tenere conto. Per Aires Mateus la bellezza non è la capacità di cogliere ed esprimere i desideri umani: la grande forza dei suoi progetti è la capacità di far coesistere le polarità: massicci ma astratti, monumentali ma umani, potenti ma calmi i lavori di Aires Mateus conciliano gli opposti. Difficile riassumere il lavoro di Francis Keré in Burkina Faso: due mondi in conflitto, due realtà diverse, due tipologie costruttive diverse: le scuole per i bambini del Paese e il parlamento, mai realizzato per il sopravvenire di un colpo di stato nel 2014. La cultura orale e le velleità normative, la presenza sul campo, l’insegnare, il coinvolgere i bambini nella costruzione della pro-
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pria scuola. Una costellazione di pensieri e progetti, di simboli e di parole alla ricerca di stabilità e pace per un Paese sconvolto. La densificazione degli spazi aperti è il concetto di base espresso nel suo lavoro da Liu Jiakun in Cina: “La bellezza e la semplicità della proposta di questo architetto sta nell’aver compreso come uno degli attributi che garantiscono lo spazio pubblico sia la continuità… nel progetto del West Village di Chengdu, una serie di rampe molto semplice permette alle persone di spostarsi da un piano all’altro.” Un tema trattato in due spazi nel Padiglione Centrale è quello della Forensic Architecture: le due installazioni sono agghiaccianti, una riguarda un passato ancora vivo nel dolore dei ricordi, l’altra riguarda la prassi quotidiana del terrore e della guerra. Robert Jan Van Pelt documenta con deduzioni architettoniche la destinazione delle famigerate “camere a gas” nel campo di sterminio di Auschwitz, ma ancora più crudele è rivedere il lavoro di Eyal Weizman nelle zone di guerra per ristabilire la verità su fatti bellici non proprio conformi a una logica umanitaria, per quanto parziale. “Ma ancora più sconvolgente era osservare i frammenti di un missile sui muri o, più precisamente, dall’assenza di questi, si poteva risalire alla presenza di corpi umani.” “La materia è più sostenibile del materiale” dichiara Simòn Vélez, ben noto per aver realizzato numerosi progetti e per battersi per l’utilizzo di un materiale che definisce acciaio vegetale e
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che è economico, rinnovabile, incredibilmente resistente e facilmente disponibile, utilizzato da persone con competenze architettoniche diversificate. I risultati sono ben visibili nel meraviglioso carnet di progetti realizzati in America Latina. E’ il fango a fare da protagonista nei lavori di Anna Heringer in Bangla Desh: dispendio di energia pressoché nullo, vicinanza costante ai cantieri, grande inerzia termica, facilità di mantenimento e riparazione, non ultimo: la disponibilità locale di fango fa sì che le persone lo percepiscano come un materiale familiare. Tutto questo genera un’architettura che è anche un processo inclusivo. Michael Braungart lavora sui materiali e sulla loro composizione, sulla qualità dei materiali ma soprattutto sulle pulsioni umane: “…per produrre cambiamenti significativi, dobbiamo sostituire alle deboli forze della responsabilità (senso di colpa) le potenti forze dei potenziali vantaggi (desiderio). “Ogni progetto che prevede spazi ombrosi, freschi e ventilati, costruiti con materiali locali, è degno di essere studiato” Il lavoro di Vo Trong Nghia in Vietnam si ispira a questi principi e porta alla costruzione di edifici chiari e neutri come infrastrutture e liberi e accoglienti come paesaggi. In Bangla Desh, Kashef Chowdury realizza architetture sobrie, coerenti e di una certa ricchezza. Il suo approccio è caratterizzato da una forte dialettica di pieni e vuoti. Questo approccio
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può essere una chiave per operare in contesti di scarsità, rappresentando assieme un principio di economia e un elemento inevitabile. In Sudan, David Chipperfield dialoga con la storia nelle rovine di Naga: il suo dialogo viene portato avanti, come si dovrebbe, senza paura e nel contempo senza arroganza. Nel segno della calma e della serenità si vincono le battaglie. A Medellin, una delle città più pericolose del mondo fino a ieri, ha lavorato Giancarlo Mazzanti. Biblioteche, centri di assistenza e strutture sociali sono state commissionati con l’intento di servirsi di un’architettura audace, come simbolo forte di una nuova era. In questo contesto l’architetto ha realizzato i suoi primi lavori. La sua opera ricorda che è possibile essere iconici e umili a seconda della necessità. Milinda Pathiraja, a Sri Lanka, è partita dalla scelta di impiegare nell’edilizia le capacità e la disciplina dei soldati, trovando così una nuova occupazione dopo il ristabilimento della pace. E’ stato realizzato a Ambepussa un edificio di notevole eleganza architettonica con un inserimento intelligente nel contesto. Due temi, il paesaggio e i rifiuti sono quelli affrontati da Battle i Roig in Spagna nel restauro paesaggistico della discarica di Garraf, presso Barcellona: sono stati presentati in modo spettacolare in Biennale un progetto tecnicamente assai complesso e la capacità di creare un paesaggio elegante e preciso.
BIENNALE DI VENEZIA 2016 Souto de Mouro costruisce negli anni Ottanta il mercato coperto di Braga. Nella demolizione di questa struttura e nella sua riconversione dimostra un approccio coraggioso e maturo in grado di ripensare un proprio lavoro con grande libertà “non solo per limitarsi nella costruzione ma addirittura per demolirlo in un contesto in cui il meglio è il nuovo più.” Particolarmente suggestiva la presentazione del lavoro di Andrew Makin e Asiye e Tafuleni a Durban: la rivitalizzazione di questo allucinante e incompiuto snodo autopedonale ha fatto esplodere le potenzialità culturali e microeconomiche di uno spazio spaventoso: “Le città che affrontano le controversie possono fungere da strumento per disinnescare le bombe a orologeria sociali.”
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Nella dialettica tra efficienza ed espressività, Rafael Zuber, in Svizzera, cerca di integrare queste esigenze: la sua ricerca di integrità nel linguaggio dell’architettura e l’incontro tra la richiesta di efficienza e la grandiosità sono degne di studio. Renato Rizzi realizza nel teatro shakespeariano di Danzica un progetto: “a metà strada tra un edificio e una macchina” questa costruzione può far pensare a un concetto diverso, quello dell’intensificazione della realtà. In Brasile, Christian Kerez, da parecchi anni, sta realizzando progetti architettonici senza precedenti. Il progetto presentato studia l’ambiente autoprodotto delle favelas e ne trae un insegnamento, senza poeticizzare la spontaneità ed evitando di confondere uno sviluppo apparentemente organico con la mera incapacità di azioni individuali. Richard Rogers invece si concentra sulla sostenibilità e la qualità dei grandi progetti di edilizia residenziale e di alloggio. La sua proposta è una ricerca in direzione di varie configurazioni capaci di ottimizzare l’uso del territorio urbano limitato. Un omaggio e una riflessione sulle problematiche affrontate da Renzo Piano e dal suo gruppo di lavoro svolge il tema della gestione di un enorme patrimonio edilizio residenziale e industriale ormai obsoleto e non più coerente con le prospettive di sviluppo economico. Nel Cile Meridionale, Mauricio Pezo e Sofia von Ellrichshausen lavorano con estrema pacatezza, il loro linguaggio semplice e poetico si è sviluppato in diversi ambiti: lo spazio domestico
BIENNALE DI VENEZIA 2016 e gli spazi pubblici. Nel primo ambito, la ricerca ha portato avanti i canoni della sapienza classica, nel secondo, una commistione tra installazioni artistiche e architettura del paesaggio.
LE CORDERIE, L’ESTETICA DEL LAVORO I temi affrontati quest’anno dalla Biennale sono esaltati dallo spazio delle Corderie dell’Arsenale. Qui, in questa severa cattedrale di lavoro e tecnica, continua il percorso espositivo di Reporting from the front. Il lavoro di Al Borde, in Bolivia, prende atto di una realtà estrema, di una realtà in cui bisogna costruire “sotto il fuoco nemico”, in un contesto di depauperamento delle risorse utilizzabili e
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della maestria tecnica. Lo studio belga 51N4E a Tirana innalza una torre, realizzando, oltre a un edificio di pregio architettonico, un segnale di rispetto di codici inesistenti in quel Paese. Amateur Architecture ha lavorato sulla conservazione dei villaggi sopravvissuti a Fuyang come contropartita alla realizzazione del Museo del Fuyang, recuperando quei pochi episodi superstiti nella zona. L’equazione meno peso, meno energia sta alla base dei lavoro di Werner Sobek sullo sviluppo di strutture con la minima quantità di massa. Suggestivo e, a suo modo, imponente il progetto della funicolare di Menos e Mais a Porto, mentre il ponte di J.Luìs Carrilho da Graça in Portogallo attraverso un processo puramente progettuale arriva all’astrazione formale. Niente di meno strutturato del Kumb Mela che si traduce in un insediamento effimero di sette milioni di persone in occasione di una festa religiosa indiana e viene letto da Rahul Mehrotra come uno spunto per affrontare i grandi flussi migratori nelle città. Il tema della città come contenitore di stili di vita arcaici e moderni viene affrontato da Rural Urban Framework in Mongolia.
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La dinamica dell’architettura sostenibile si traduce in architettura durevole nei lavori in Svizzera di Christ & Gantenbein, mentre dall’altra parte del mondo, in Cile, Grupotalpa utilizza il legno per costruzioni a grado zero nell’area andina. In Russia Boris Bernaskoni passa dal disegno all’edificio senza perdere di qualità. Marte.Marte crea in Austria degli scenari in cui l’efficienza progettata permette di reagire all’inaspettato in un luogo fortemente identitario. Nel parco Ibirapuera a San Paolo del Brasile SPBR Arquitectos si confronta con uno spazio pubblico e infrastrutturale che deve servire come modello per una megalopoli. Il centro di promozione della doc Ribera del Duero permette a Barozzi/Veiga di cercare nella durabilità un’altra dimensione della sostenibilità. Proposte che vanno oltre le richieste sono alla base della progettazione di Paco Alonso, mentre Cecilia Puga in Cile integra il paesaggio con la realtà. A Berlino lo studio Bel crea un’architettura incrementale, in grado di esprimere il retroterra culturale dei residenti. Un altro fortissimo spunto è lo sforzo di Ochsendorf, Block& De Jong di risparmiare materiale ed energia realizzando strutture che lavorano solo in compressione.
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Transsolar porta l’ingegneria d’avanguardia al servizio del buonsenso, mentre Paulo David a Madera riflette sulla dialettica tra paesaggio e turismo tra sfruttamento e conservazione. I cambiamenti climatici sono trasfigurati nel Museo del Clima di Toni Gironés a Lleida. L’opera di Rural Studio integra la praticità architettonica con l’utilità sociale, mentre quella di Luigi Snozzi in Canton Ticino si snoda sulla dialettica tra radicalismo e buonsenso. Rispetta ed esalta le peculiarità architettoniche della Città dei Dogi il progetto architettonico per la Punta della Dogana a Venezia. Creare edifici usando la conoscenza locale e usare gli edifici per creare conoscenza è il concetto alla base del lavoro di Anupama Kundoo in India. La dialettica tra degrado urbano, immigrazione e crisi economica sta alla base del lavoro di Inés Lobo a Lisbona, mentre in Gran Bretagna il confronto tra Aurità e Autorialità sta alla base del lavoro dello studio Assemble. In Cina la rivisitazione degli Hutong, tipologie tradizionali delle case a corte è la cifra della battaglia di Zhang Ke contro la tabula rasa urbanistica. Edifici pubblici come beni pubblici sono la cifra delle scuola di C+S per il Veneto.
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Il lavoro dello studio finlandese Hollmén Reuter Sandman si concentra sullo sforzo di migliorare la qualità architettonica dell’aiuto umanitario. Prendono spunto e insegnamento dal Sud globale le esperienze di Tyin Tegnester dalla Tailandia alla Norvegia. Il lavoro di José Maria Sanchez Garcia in Spagna propone l’architettura come amplificazione della realtà, mentre il progetto a Mumbai dell’architetto polacco Hugon Kowalski porta al centro dell’interesse l’immondizia. Il giardino di pietre di Nek Chand a Chandigarh ci porta nella dimensione dell’invenzione allo stato puro. L’urbanistica a sviluppo graduale di Tatiana Bilbao, Rozana Montiel, Derek Dellekamp e Alejandro Hernàndez in Messico viene proposta come un mezzo per contrastare la violenza nelle megalopoli. Più ampio lo sguardo sul lavoro di Kengo Kuma nella lotta contro i materiali industriali in tutto il mondo. L’ottenimento di spazi di qualità con mezzi naturali è il tema del lavoro dello studio italiano Tamassociati in Africa. Scarsità di spazio urbano e fruizione non distruttiva della natura sono il focus dei lavori opposti
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di Anton Garcia Abril e Débora Mesa Molina: ancora la violenza urbana e le strategie di servizi pubblici di Médellin per combatterla. Invece è il grigiore del mercato immobiliare il tema del lavoro di ADNBA in Romania. Gli stili di vita nell’ambiente edificato sono al centro del lavoro di Atelier Bow-Wow in Giappone, mentre in India lo studio Mumbai si impegna a migliorare la qualità dell’architettura. Cadaval e Solà Morales in Messico e in Spagna si focalizzano sull’abitare collettivo e la sua qualificazione. Una rete di scuole disseminate in Sudafrica enfatizza l’importanza dell’ambiente rurale nell’opera di Luyanda Mphalwa.
I GIARDINI E I PAESI
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Nella luce abbagliante di giugno o nel mare di ombrelli dell’autunno, gli spazi esterni dell’Arsenale hanno ospitato la costruzione amplificata di Peter Zumthor in Svizzera, mentre esempi dei lavori di Shigeru Ban hanno portato l’attenzione sulla dialettica tra crisi umanitaria, materiali non convenzionali e maestria progettuale. La scuola galleggiante di Kunle Adeyemi in Nigeria ha posto l’accento sull’urbanizzazione rapida, la carenza di infrastrutture e i cambiamenti climatici. L’architettura del paesaggio, nella visione di Teresa Moller, è la disciplina con il maggior potenziale per la ridistribuzione della qualità della vita. In Belgio un mercato per gli immigrati è stato realizzato da Alexander D’Hooge e dall’Organization for Permanent Modernity. Queste
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esposizioni hanno completato il cluster di riflessioni cariche di coscienza etica e ambientale caratteristiche della Biennale 2016. Alexander Brodsky, tra arte e architettura, propone risultati di grande suggestione formale con materiali riciclati. Architetture aperte da Samuel Gonçalves in Portogallo. Architettura e Infrastruttura assieme nella realizzazione di Norman Foster di aeroporti per droni in Africa. L’infrastruttura si fa totem e spazio sociale nel progetto Warka Water in Africa. Herzog e De Meuron concepiscono con Amos Gitai una casa come teatro di un conflitto politico e sociale. Gary Hustwit documenta il posto di lavoro come luogo di vita. Un impegno eversivo? Trovare le lacune giuridiche per fornire un’architettura libera dalle forze del mercato, protagonisti Santiago Cirugeda e Recetas Urbanas. Affrontare il clima caldo attraverso la dialettica di massa termica e veli è la strategia dello Studio Matharoo Associates. Nei giardini dell’Arsenale si manifestano all’interno di contenitori già di per sé rappresentativi di spirito nazionale vero o supposto, presente a passato le proposte targate dei singoli Paesi. Le piscine dell’Australia, gli spazi associativi dell’Austria, il lavoro del belga Bravoure, l’installazione Juntos del Brasile, soluzioni provocatorie come la canadese Extraction o la ceca e slo-
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vacca Care for Architecture, modelli danesi di arte per la collettività, o confronti egiziani di mappature storico-architettoniche, insinuazioni finlandesi e francesi sulla socialità, riflessioni tedesche sull’Heimat e inglesi sulla domesticità, proposte più convenzionali ma eleganti da Grecia e Ungheria, unione di biologia e architettura da Israele, sofisticati ma dolenti giochi sulla disoccupazione endemica dal Giappone, dalla Corea la dialettica della costrizione come levatrice di creatività e dall’Olanda le architetture delle missioni militari. Finlandia, Norvegia e Svezia si sono confrontate in un’intensa e problematica dialettica, mentre la Polonia ha proposto una riflessione sul costruire equo. Gioco a tratti allucinante di automi nel padiglione romeno e indagini sul fenomeno urbano in Russia. La Serbia esalta attraverso la metafora dell’automazione la funzione dell’architetto oggi. La Spagna riflette sulla creatività in un mondo in cui “nulla è nuovo”. Riflessioni sull’architettura, su come viverla e immaginarla accomunano Svizzera e Stati Uniti. Un tema tragico: lezioni di architettura dalla guerriglia dei Tupamaros e dall’incidente aereo sulle Ande è ospitato nel padiglione dell’Uruguay, mentre il Venezuela ci parla delle politiche del territorio. Il Padiglione Venezia ospita una riflessione su Porto Marghera e le sue prospettive.
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"A world of fragile parts", e "Report from cities" hanno fatto da cornice tematica alle esposizioni nazionali ospitate all’Arsenale. L’Albania ha presentato riflessioni sulla migrazione dei popoli, l’Argentina ha parlato nella sua installazione, di memorie del futuro, mentre il Bahrain ha presentato la prima fonderia di alluminio installata nei Paesi del Golfo e il Cile i lavori di protezione contro le maree realizzati da giovani architetti. Il Tao è stato presentato dalla Repubblica Popolare Cinese come base del lavoro di ogni giorno, mentre la Croazia ha esaltato la capacità progettuale come fodamento del recupero di una fabbrica di Zagabria. L’Iran ha svolto il tema della dialettica tra città e comunità. L’Irlanda ha sottolineato il doloroso tema della perdita d’identità dovuta all’Alzheimer e degli spazi che ospitano i malati. L’Italia ha posto l'enfasi sulla progettazione del bene comune, mentre il Kuwait ha raccontato gli spazi del Golfo e la Macedonia ha trattato da un'angolazione diversa il rapporto tra pubblico e privato. Le svariate dialettiche sottese al tema dell’architettura e del progetto sono state svolte e intersecate nello spazio riservato al Messico. Il Perù ha raccontato i temi relativi alla frontiera amazzonica del Paese e Singapore ha sottolineato come la città-stato esca sempre rinvigorita dalle battaglie dialettiche interne. La Slovenia ha narrato di edifici come garanzia di sopravvivenza e il Sudafrica di design come guerriglia e condivisione. Il concreto progetto di ricostruzione di sette scuole è stato portato dalla Thailandia, mentre la Turchia ha “commentato” la parola arsenale. Il tema abitativo della casa nazionale degli Emirati è stato portato nel padiglione EAU, mentre lo Yemen ha puntato i riflettori sul difficile sforzo della preservazione delle proprie bellezze architettoniche.
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