FAREITALIA persone_Gianni Bologna

Page 1

persone FARE ITALIA3

I SOGNI MOBILI di GIANNI BOLOGNA

®

1


Uno dei disegni di Toku SanÂŽ 2


I SOGNI MOBILI di GIANNI BOLOGNA

®

Il marchio “I Sogni Mobili di Gianni Bologna®” e l’intera collezione che raccoglie il progetto di ogni singolo mobile inventato e disegnato da Gianni Bologna sono coperti da marchio registrato

Il simbolo ® sta a indicare che il marchio “I Sogni Mobili di Gianni Bologna®” è stato registrato presso il competente ufficio marchi e brevetti e può essere utilizzato esclusivamente in relazione alle categorie di beni e/o servizi meglio specificati nelle classi per cui è stato concesso. La presenza dell’indicazione ® accanto a questo marchio registrato indica dell’esistenza di diritti di privativa riguardo I Sogni Mobili, e quindi dell’esclusiva su questo particolare marchio. La diffusione, distribuzione e/o copiatura di questo manoscritto da parte di qualsiasi soggetto è inoltre proibita, previa autorizzazione scritta da parte segli autori dello stesso o di Gianni Bologna. 3


Uno dei disegni di Papy LionÂŽ 4


PREFAZIONE mariadele mancini

Mariadele Mancini

Poi

Mi sono venute in mente tante cose di fronte a questo importante seducente lavoro, tanto che mi riesce difficile dare un ordine alle mie riflessioni. Ve le passo così come le ho sentite, con un prima e un dopo.

Con il suo geniale racconto Sonia Maritan ha messo in scena, la storia di Gianni Bologna, uomo e artista, puntando i riflettori sul mondo incantato dei suoi oggetti-progetti, fino a frugare nel cassetto di ricordi dimenticati. Si rimane coinvolti nel piacere di immaginare, di osservare, quasi di toccare. Ma ancora di più. Sembra di entrare in contatto con le creature di Gianni Bologna attraverso un sesto senso. Quel ciò che permette all’uomo di andare oltre. Per recuperare, cogliendo l’intimo significato delle cose, il senso stesso di una vita. Ricordo quando, in quel primo incontro nello studio di Gianni, ci ritrovammo a parlare tutti insieme di questo suo progetto, io dicevo che quelli che hanno avuto il dono di costruire il bello, hanno altresì il dovere di lanciare un messaggio, inteso come flusso di pensiero, che metta in comunicazione l’uomo con l’uomo, passato e attualità con il futuro. Proprio questo esattamente intendevo. In quel momento pensavo alle ultime pagine di “Vita Liquida’’ quando Zigmunt Bauman afferma: “L’ allegoria del ‘messaggio nella bottiglia’ implica due presupposti: che esista un messaggio che sia possibile scrivere e meriti di essere affidato alle acque all’interno di una bottiglia, e che il messaggio, quando (in un momento non prevedibile) sarà trovato e letto, meriterà ancora lo sforzo da parte chi l’ha trovato di estrarlo, assorbirlo e adottarlo…”

Dapprima

Insomma in questo lavoro c’è tutto.

“Il talento è come un tiratore che colpisce un bersaglio che gli altri non sanno coglier, mentre il genio è un tiratore che colpisce un bersaglio che gli altri nemmeno riescono a vedere”.

Il tiratore geniale = Sonia Maritan. Il lavoro creativo di Gianni Bologna = un tessuto ricamato di sogni e visioni. Il messaggio nella bottiglia = il racconto.

Arthur Schopenauer

Mariadele Mancini 5


SOMMARIO SOGNI MOBILI SOMMARIO SOGNI M Prefazione Sogni Mobili® Incontro: “I Sogni Mobili® si svelano...” di Mariadele Mancini pagina 05 di Sonia Maritan pagina 18 Presentazione Sogni Mobili® Sogno Mobile Karo-Tsello® pagina 19 di Sonia Maritan pagina 09 Sogno Mobile Kolino® pagina 20 Intervista: “Quei Sogni nel cassetto…” di Sonia Maritan pagina 10 Sogno Mobile Baba Yaga® pagina 22 Sogno Mobile Via della seta® pagina 24 Sogno Mobile Toku San® pagina 26 Sogno Mobile Mami® pagina 28 Sogno Mobile Papy Lion® pagina 30 Sogno Mobile Franziska Josefa® pagina 32 Sogno Mobile Balànzone® pagina 34 Sogno Mobile Hatta® pagina 36 Sogno Mobile Bruno® pagina 38 Sogno Mobile Dora Ratz® pagina 42

PRIMA PARTE

SECONDA PARTE

Grand Tour, Parte Prima: “Lo Zar e la strega” di Paola Govoni pagina 16

Grand Tour, Parte Seconda: “Amarcord, Amarcord...” di Paola Govoni pagina 44

6


MOBILI SOMMARIO SOGNI MOBILI SOMMARIO Sogno Mobile Amantonio® pagina 46 Sogno Mobile Turandot® pagina 50 Sogno Mobile Some are kind pagina 54 ®

Conclusioni: “I Mobili raccontano...” di Sonia Maritan pagina 80 Colophon pagina 83

Sogno Mobile Monsieur Barlas® pagina 58 Sogno Mobile Volver® pagina 60 Sogno Mobile Temujin® pagina 62 Sogni Mobili Sga-belli® pagina 64 Sogno Mobile Rocco-Ko® pagina 68 Sogno Mobile Liz of all pirates® pagina 70 Sogno Mobile Iftah ya sim sim®

pagina 72

Sogno Mobile Cavallo Pazzo®

pagina 74

TERZA PARTE

CONCLUSIONI

Grand Tour, Parte Terza: “Nel cuore del vulcano” di Paola Govoni pagina 78

I 21 cammei di Pietro Ferrari sono stati realizzati per ciascuno dei personaggi mobili-fiaba di Gianni Bologna. 7


Gianni Bologna

Gianni Bologna

A tutti coloro che han vissuto e vivono con me: di giorno nella vita e di notte nei sogni. O, then, I see Queen Mab hath been with you. She is the fairies’ midwife, and she comes In shape no bigger that an agate-stone On the fore-finger of an alderman, Drawn with a team of little atomies Athwart men’s noses as they lie asleep... True, I talk of dreams; Which are the children of an idle brain, Begot of nothing but vain fantasy; Which is as thin of substance as the air... Il monologo di Mercuzio atto I, scena IV “Romeo e Giulietta”, di William Shakespeare scelto per l’apertura del libro da Gianni Bologna 8


Sonia Maritan

pre senta zione

La storia di Gianni Bologna è fatta dei suoi Sogni Mobili®, ritratti che vivono in lui fra la fantasia e la realtà per diventare arte, un’arte fatta con l’impronta del pensiero. Attraverso le sue parole, descrive le sue interpretazioni e rappresentazioni di mobili - fiaba, a tratti con parole dure, forti, definitive, come lo sono i segni dei sogni, che poi però, sempre, quando toccano il foglio, atterrando su un limbo di realtà per prendere la forma di disegni, si trasformano inaspettatamente in Pop fiabesco, come lo definisce lui, spaziando fra un Pop tragico e ilare, per rappresentare racconti inediti, in ogni loro aspetto. Da un’esistenza vissuta viaggiando e cogliendo, da un background culturale vasto e composito, e da una poliedrica e libertaria visione della vita nascono così interpretazioni originali e insegnamenti importanti di cui arricchire il prossimo, e, poi, all’improvviso, successi grandi come sogni, perché intrisi di una storia che si fa sogno: unica, autentica e fantastica. I suoi sono letteralmente Sogni Mobili®: una collezione che nasce senza premeditazione e di cui il suo studio è diventato scrigno; personaggi fantastici che, a decine, nonostante la sua antropofobia, popolano il suo spazio creativo: teca sacra di disegni incantati che lì si svelano per raccontare, a volte per strillare. Un pensiero estroso il suo, che miscela due percorsi totalmente differenti, quello della parola e quello dell’immagine, e che può essere di grande ispirazione per questo mondo un po’ svuotato di bellezza.

Sonia Maritan

9


PARTEPRIMA

Lo studio milanese di Gianni Bologna ci avvolge in un’atmosfera rilassata, un luogo fra il nido domestico e la Wunderkammer, fatto di molte più parole di quanto all’inizio non regali lui, fra una boccata di fumo e l’altra, un po’ dubbioso dietro quelle lenti rotonde. È quello studio però a suggerirmi, con la sua voce di un “segreto” che ha sempre custodito, a raccontarmi che lì aleggiano meraviglie e prodezze: quel luogo ci parla di Sogni Mobili®, come li definisce lui, chiusi nei cassetti, quasi dimenticati, fino a quando l’incanto che si crea, non invoglia quei disegni, uno dopo l’altro a uscire, per bagnarsi di luce. E ora quei sogni e quei colori che formano disegni del tutto inaspettati, non possono più tacere, loro sono personaggi che devono parlare! E sono proprio i Sogni Mobili®, quelli che ci restituiscono la vera essenza di Gianni Bologna, una figura dalle sfaccettature molto originali, che si occupa, diviso tra il capoluogo lombardo ed Essaouira in Marocco, del programma culturale di Filo, la manifestazione che fornisce la materia prima del tessile, in filati e idee, in innovazione e tecnologia. Non ci sarà qui bisogno di specificare che lui è un esperto del settore tessile, che con una spontaneità artistica, connaturata in lui, indica la strada di alcune ispirazioni che segue, lo fa “semplicemente” raccogliendo miriadi di input che l’intorno gli suggerisce, quando si pone in ascolto attivando le sue antenne sensibili. Certo, è il suo vasto bagaglio culturale a fornirgli questo strumento unico per l’interpretazione caleidoscopica di quanto lo circonda: quegli spunti sono disponibili solo per lui. Lui fa questo quando lavora, ma anche quando disegna, come trapela anche dalla sua voce. «Sono convinto che l’unico modo per esprimere qualcosa è di cercare di tirare fuori da se stessi una convinzione, un discorso che stia più o meno in piedi, dedotto da ciò che ognuno vede intorno a sé, nella strada, che sente nei mood che lo circondano, in quello che legge sui giornali piuttosto che in internet. In sostanza da tutti gli stimoli che ognuno recepisce, ma che non è autorizzato a definire come stimoli obiettivi, perché sono soltanto suggestioni personali». Stimoli che ognuno recepisce nel proprio quotidiano, quasi inconsciamente «e che non hanno nessuna pretesa di obiettività cosmica, ontologica, non c’è niente di assoluto in tutto ciò. Ma, certo, non potrei, né vorrei, parlare di foglie d’autunno o di rose di primavera, per carpire il senso di una tendenza, come invece qualcuno fa». Di certo, quello che lui dice, di volta in volta, è molto interessante e gli è ampiamente riconosciuto nel suo settore, tanto che potremmo parlare di “Bologna trend” (in effetti, io l’ho fatto e tanto più mi addentro “nel suo io” tanto più mi convinco che lui sia esemplare). 10

INTERVISTA


Quei Sogni nel cassetto...

Dall’alto verso il basso e da sinistra a destra: Gianni Bologna, Pietro Ferrari, Sonia Maritan, Mariadele Mancini, Antonio Vigliante, Pier Paolo Pezzillo e Paola Govoni

Credo che la sua analisi logica riguardo i trend, di cui discorriamo a lungo prima che i Sogni Mobili® facciano capolino uno dopo l’altro, gli derivi anche dal suo percorso di studi, a partire dalla sua laurea in Filologia. Cercare nel passato, negli archivi di una realtà l’essenza della realtà stessa, rappresenta un discorso cruciale in ogni ambito in cui si esprime. Si avvia così una conversazione senza preconcetti, anche abbastanza forte, che non sappiamo dove ci porterà, ma che dobbiamo proseguire, come accade quando si intraprende un viaggio verso una méta ignota. Certo, in ogni “itinerario” possiamo trovare tutto o niente, dipende da noi, da quanto vogliamo via via arricchire il nostro bagaglio da viaggio. «Trascorro lunghi periodi in Marocco, dove non faccio niente, “je traine mes sabots”, come si dice in francese, seguo i miei ritmi e i miei riti». D’altra parte non è banale individuare un trend, che in termini cromatici e materici raccoglierà il favore del mercato, penso che qualcosa inconsciamente raccolga dall’intenso sapore della terra africana e capisco, quando gli animati scambi di pensiero ci portano alla necessità di dichiararci entrambi in controtendenza, che gli piace l’idea di alterità rispetto a un’ispirazione, anche perché, volendo mantenere una certa misura, una contro-ispirazione è personale, un contro-trend è qualcosa che potrebbe avere un’applicazione pratica, o creare sgomento, quindi nell’ambito di un sistema produttivo la questione diventa delicata e non perseguibile. D’altra parte, in ambito professionale, l’equilibrio nei rapporti è forse parte integrante del servigio che dispensiamo. In ogni caso in lui non c’è niente di convenzionale, niente di precostituito, nessuno schema già confezionato, ma una sperimentazione continua che nel tempo assembla tante suggestioni diverse e poi via via seleziona alcune direttrici che affiorano, come si potrebbe fare osservando le vie luminose di una città notturna dall’alto. Un approccio interessante, che riferito all’edizione autunnale di Filo 2015, ci fa proseguire ancora il viaggio e via via avvicinare all’altro volto di Gianni Bologna, quello liberamente creativo. «Sono andato su un altro tema che probabilmente svolgerò presto, il Pop, inteso proprio come sviluppo moderno di quella che una volta era la cultura popolare di massa, diventata con il Pop odierno, di nuovo un concetto di massa ma reinterpretato sulla base della nostra civiltà post-industriale. Ho trovato alcune immagini fantastiche: sono architetture immaginarie, ma vorrei dare a questo Pop una chiave molto fantasmagorica». 11


PARTEPRIMA

Così mi mostra delle fotografie trovate su internet che sembrano quasi dei patchwork: architetture che ricordano le case a graticcio del Nord Europa, però reinterpretate in modo fantasioso. Sono molto belle e di grande ispirazione! «Io pensavo a questo Pop un po’ fiabesco che mi ha sempre ispirato, anche perché in passato ho coltivato una passione segreta che è quella di disegnare mobili, li disegnavo molto in questo stile “Pop fiabesco”. Prima d’ora non ho mai mostrato questi disegni a nessuno, li ho tirati fuori perché volevo ricollegarmi a questa interpretazione totalmente fiabesca che mi piacerebbe restituire come nuova interpretazione dei Fratelli Grimm nella loro antologia di fiabe ottocentesche. Certo, in chiave moderna, un pop ottocentesco ma fantasioso, quasi carnevalesco». Ed ecco, davanti ai miei occhi stagliarsi il primo dei Sogni Mobili®, un disegno armonico e fiabesco, gioioso e irripetibile. Un gesto creativo e puro, intriso di un pensiero artigianale che ha già in sé tutti gli elementi per divenire un oggetto “manifatturiero”, che si può immaginare realizzato senza sforzo. Dai cassetti poi ne escono altri, alla rinfusa, uno dopo l’altro, quasi fossero solo i suoi scarabocchi. Invece sono pensieri sublimi e certo autentici. Questo mi incanta. «Dietro ognuno di questi mobili-fiaba c’è una storia. Sono tutte storie mie, senza ispirazione, senza riferimento stilistico. Nascono da delle frasi come nel caso di questo ritratto di Tamerlano». Sono affascinata dai suoi disegni, che osservo uno a uno, sono delle “citazioni” di storie pubbliche o private. Sono “personaggi”, creati però con i colori e le proporzioni di mobili realizzabili, pezzi unici e straordinariamente intensi, nei quali lui ha indicato anche tutte le tipologie lignee con le quali costruire ogni singolo pezzo e ciascun dettaglio: un pomolo, un inserto, una cornice. È il suo modo segreto di raccontarsi o forse il suo alfabeto per esprimere altro. Comunque, alla fine, la fantasia diventa progetto, e ogni elemento compone un’immagine, vestigia del suo trascorso, che elargisce quasi casualmente la sua dote creativa e la sua capacità di restituirla attraverso il linguaggio del disegno. Il materiale principale sembra il legno, ma non solo, perché ogni più piccolo dettaglio è restituito nella sua matericità, cromia, decoro. «Io li conosco molto bene i legni e nutro per essi una passione da sempre». La sua arte ha davvero qualcosa di Pop. E così Gianni Bologna prosegue, parlandoci anche della natura bifronte del Pop: ilare e tragico. «C’è un’altra faccia del Pop: quella della maggior parte delle trasmissioni televisive di intrattenimento, fatta di frasi fatte, dove tutto è perfettamente preconfezionato, con un linguaggio sintatticamente e grammaticalmente abbastanza corretto. Ep12

INTERVISTA


Quei Sogni nel cassetto...

I diversi incontri fra Sonia Maritan, Pier Paolo Pezzillo, Gianni Bologna, Pietro Ferrari, Antonio Vigliante, Mariadele Mancini e Paola Govoni

pure non c’è palesemente nulla di vero: lì si opera il disvelamento del linguaggio televisivo. In un certo senso è affascinante, perché io non dimentico mai la mia formazione, e tendenzialmente analizzo il discorso da filologo e il linguaggio televisivo rappresenta un meccanismo di comunicazione falso a tal punto, che rappresenta una verità. Una verità assolutamente tragica, ma è una verità, è una cosa talmente straziante dal punto di vista semiotico che, mi sembra, possa costituire una nuova Bibbia. Preso atto del fatto, inconfutabile, che la gente appaia felice di guardare quella roba lì. D’altra parte, Blaise Pascal diceva che anche quelli che vanno a impiccarsi cercano la felicità». Naturalmente sono affascinata dallo stile Bologna in misura inversamente proporzionale di quanto non lo sia dalla banalità delle proposte televisive odierne, tema che tocchiamo proprio quando evidenziamo il carattere originale e incisivo delle sue opere. Così la promessa che gli strappo è di rivederci, perché vorrei che mi presentasse uno a uno i suoi personaggi, per esprimermi il suo “alfabeto” fatto con creatività, originalità e con la sua manualità, che credo possa creare uno stimolo potente in chiunque. Su queste peculiarità ci soffermiamo ancora un po’, in chiusura di questo primo incontro, con Pietro Ferrari, Paola Govoni, Mariadele Mancini e Antonio Vigliante, come me incuriositi da questo suo personalissimo stile. Ci inerpichiamo lungo la disquisizione di valori sfumati nello smog odierno, chiedendoci a vicenda dove siano finite la creatività, l’originalità e la manualità. «Io amo moltissimo l’Italia, mi sarebbe difficile andare via, è un Paese fantastico anche a livello di creatività, c’è una manualità che io non trovo assolutamente da nessun’altra parte, se non in Giappone dove sono stato a lungo, ma dove c’è tutto un altro concetto. Negli altri Paesi io non ho mai trovato una manualità così eccelsa. Purtroppo con la civiltà moderna viene un po’ depressa e va a estinguersi. Ritengo sia un peccato, però io ormai sono “vecchio”e non posso assolutamente giudicare». In Italia non fanno molto per promuovere l’artigianato, mentre all’estero le scuole creano inserimenti diretti degli studenti nelle aziende, e se consideriamo il patrimonio immenso che non sfruttiamo, un DNA che avrebbe solo bisogno di essere coltivato e liberato attraverso la formazione, è davvero assurdo e inaccettabile. «Riguardo il legno c’è tutta la cultura dei maestri d’ascia, ma non c’è solo il legno, ci sono le ceramiche, l’argilla… Forse c’è ancora in Calabria uno di quei famosi tesori viventi che ci sono in Giappone; e in Giappone ci sono! Ed è venuto a man care recentemente un grande tesoro vivente: una suonatrice di koto, c’è ancora quello delle sciabole, quello della scrittura, c’è quello del raku». 13


PARTEPRIMA

La tecnologia! Ci evolviamo e perdiamo delle sensibilità, non solo all’arte ma anche in termini di valori, si perde il valore dell’originalità di una mente che è stimolata dal fare manualmente, ma che su un certo tipo di attività così standardizzata, come quella odierna, si spegne. È il modello contemporaneo di società, dominato dalla presenza dei mezzi telematici, in cui ormai la fase “meccanica” degli anni ’80 ha lasciato il passo a quella “elettronica”, quella città fluida caratterizzata dalla simultaneità comunicativa e simbolica, che rischia di scadere nella riproduzione passiva di una civiltà “copia e incolla”. C’è bisogno di idee tangibili: ma i ventenni che stimoli hanno oggi? «Sono programmati per non averne. Ma qui stiamo entrando in un ragionamento estremamente importante». Tema che porta anche il silenzioso Antonio Vigliante a intervenire. «In Leopardi, recentemente descritto in uno spettacolo cinematografico, c’è qualche traccia di positività che nasce dalla creatività e giustifica l’attività creativa». E Pietro Ferrari aggiunge: «Io credo che ci sia una richiesta, disperata e nascosta di reale creatività». Gianni Bologna conferma. «La domanda c’è e lei ha tutte le ragioni del mondo. Io mi sono chiesto però a questo punto se questa domanda non sia un po’ sfruttata scientemente. Io non frequento molto i luoghi pubblici perché ho il piccolo problema di essere antropofobo. A parte il grande piacere di avervi qui, non partecipo a molti eventi, però sono andato a vedere qualche Fuori Salone, e ho visto delle tali banalità che dopo essere uscito dal terzo, dal quarto, dal quinto posto, in cui mi sono guardato attorno stralunato, ho deciso di andare all’Ikea. Almeno so cosa trovo: una sedia con la seduta e quattro gambe, e so che serve per sedersi». Mariadele Mancini, allora, domanda. «C’è solo malafede o c’è dietro qualcuno che dice: aiutami a trovare una strada?» «È possibile, io non ho assolutamente la pretesa di giudicare, ma soprattutto non ho risposte. Io riferisco solamente di avere avuto, dopo la visita a certi spazi del Fuori Salone, la necessità di disinquinarmi». Assicura Gianni Bologna. Mariadele Mancini insiste sul fatto che i giovani devono cercare una strada e che in questo debbano essere aiutati. «Se c’è una strada comune, il singolo giovane non può importi un background “personale”. Io ho constatato che molti giovani sono alieni al mio sentire. Quindi io non so come interagire con loro. Forse perché sono troppo self-centered». Concordo con Mariadele Mancini che sia necessario in qualche modo lanciare un messaggio. Gli dico che rendere pubblico il suo lavoro costituirebbe un contributo importante. Questa almeno è la mia opinione. «Lei è una professionista e io le credo». 14

INTERVISTA


Quei Sogni nel cassetto...

I moltissimi scambi fra Sonia Maritan e Gianni Bologna dai quali è scaturito questo lavoro

Io qui vedo il bello e questo mi dà una sensazione meravigliosa. Le banalità a cui tutti stiamo alludendo e che vede Gianni Bologna, ahimé le vedo anch’io, e troppo sovente, forse è dovuto a questo consumismo esasperato per cui tutto è vendibile, anche quello che non rappresenta niente. Invece il suo lavoro è interessante, è qualcosa che mi trasmette vibrazioni, quell’arte che mi insegnavano al liceo artistico o al Politecnico, quella che poi ho continuato a cercare di avvicinare in tutte le sue forme, con slancio crescente verso il bello. E credo, al di là del mio personale e istintivo apprezzamento per il suo lavoro, che il bello abbia un valore etico per chiunque e rappresenti il nutrimento cardinale del nostro intelletto, l’unico che provochi quella forza propulsiva che ci induce a guardare fuori dalla scatola! Nonostante la sua integrità intellettuale e il fatto che colga la mia sincerità è evidente che il mio apprezzamento lo imbarazzi e che debba trovare un altro modo per continuare... «Volevo frequentarlo anche io il liceo artistico ma mi è stato vietato, e ho scelto il liceo classico». «Due percorsi totalmente differenti, quello della parola e quello dell’immagine: strumenti con i quali lei ha qualcosa da dire, in un mondo vuoto». afferma Pietro Ferrari. «E, infatti, il piattume e il vuoto sono due caratteristiche imperanti in parecchi campi». Conferma Gianni Bologna. Certo, questi Sogni Mobili® sparsi sul tavolo hanno già avuto il merito di far scaturire un confronto interessante fra gli astanti, quei personaggi silenti e facoltosi sembrano portatori di nuove idee, quel pòlemos che per Eraclito 2500 anni fa’ rappresentava l’origine di tutte le cose. Allora, affidiamoci a questi messaggeri e puntiamo a dar vita al bello, ad esempio dando loro una forma 3D. «Io sarei felicissimo di trovare chi li realizzi». Dichiara Gianni Bologna. E noi, credo che troveremo chi sarà molto lieto di farlo! Senza contare che non è lontano il giorno in cui li potremo auto produrre. D’ALTRA PARTE LA POTENZA DEI Sogni Mobili® SI ESPLICA SUBITO E IL CONTAGIO PRODUCE REAZIONI SPONTANEE ...infatti, intan-

to, alcuni disegni che osserva Paola Govoni stimolano il suo animo narrativo e nasce il suo primo racconto ispirato alla strega Baba Yaga, uno dei Sogni Mobili® di Gianni Bologna. Chiudiamo pertanto la prima parte lasciando spazio al Primo Grand Tour di Paola Govoni. 15


GRAND TOUR parte prima

LO ZAR E LA STREGA Nicola Alessandro Romanov era un giovane uomo di 22 anni, quando si imbarcò sull’incrociatore Pamiat Azova e partì per un lungo viaggio verso l’Oriente, negli anni che stavano per consegnare alla storia il XIX secolo. Lo accompagnava nel Grand Tour un cenacolo di artisti, scrittori, storici e fotografi sensibili al fascino dell’altrove, attirati da mondi lontani nello spazio e nel tempo e pronti a riversarne la meraviglia nelle loro opere, nella grande stagione culturale che precedette la rivoluzione bolscevica.

Attraverso il Canale di Suez navigarono fino in India, videro Ceylon, Singapore, l’isola di Giava e Bangkok. Misurarono a passi lenti il recinto dei templi, sotto lo sguardo degli dei di un parnaso sconosciuto acceso di mille colori. Seguirono la danza delle lanterne che si snodava nella giungla fino alla radura delle pagode, respirando incenso e codici misteriosi di devozione, nel cerimoniale dei fiori e nell’offerta del cibo sugli altari. Visitarono le piantagioni di tè della Cina e attraversarono ponti gettati su acque quiete, con il profilo delle montagne innevate sull’orizzonte. Riposarono all’ombra di paraventi preziosi in Giappone e vestirono abiti di seta, come personaggi di antiche stampe. Il viaggio di ritorno, da Vladivostok a San Pietroburgo, si srotolò come un lungo racconto di villaggi, fortezze, monasteri e palazzi dell’immenso territorio che un giorno non lontano Nicola avrebbe governato. E fabbriche grigie come volti di uomini stanchi, contadini seduti a fumare sulla soglia delle case di legno, donne in cam mino verso il rintocco di una campana, per pregare alla luce delle candele, nel silenzio dell’iconostasi. I fuochi accesi dei sol16


di Paola Govoni

dati di guardia, tamburi sacri degli sciamani siberiani, le steppe dei kirghisi, fiumi, immense foreste e laghi immobili come cristallo. Quella sera, alla locanda, l’oste servì la carne migliore, in onore dell’ospite e del suo seguito. Dalle ciotole di legno saliva il profumo denso delle spezie e un vino dolce riempiva le coppe. Venne servito il tè dal samovar, poi Nicola si accomiatò dalla compagnia e salì la scala che portava alle stanze. Si buttò sul letto vestito e il sonno lo raggiunse subito. Fu una notte di sogni e di presagi. Nel sonno, il futuro zar camminava da solo sul sentiero che usciva dal villaggio, nella luce chiara del giorno. Mentre avanzava sicuro sul tracciato bianco che si inoltrava nella foresta, la luce cominciò a cedere alle ombre verde cupo di alberi che si erano fatti giganteschi e che adesso erano attraversati da un vento forte che scuoteva i rami e sollevava improvvisi mulinelli di foglie. Sorrise per un momento, ripensando alla storia che aveva sentito tante volte da bambino. Baba Yaga, la strega, talvolta cancellava i sentieri della foresta, per pura malvagità, perché i viandanti smarriti la divertivano. Il ricordo si tramutò in inquietudine quando, cessato il vento, vide le foglie che volteggiavano in aria fino a un momento prima, posarsi su un terreno da cui era scomparsa ogni traccia di sentiero. Rimaneva solo un orribile intreccio di rami contorti nel sottobosco divenuto impraticabile, mentre era sceso il buio di una notte senza luna. La luce del mattino non tardò a dissolvere i frammenti del sogno, che ancora rimanevano sospesi nella stanza. Il viaggio proseguì fino alla sua destinazione, a rivedere la città che si specchiava nelle acque fredde della Neva, e Nicola regnò. La strega Baba Yaga, uscita volando dal sogno dello zar, ritornò nella sua misteriosa capanna, poggiata su due zampe di gallina. 17


PARTESECONDA INCONTRO I Sogni si svelano... Passa inevitabilmente del tempo, ma ci ritroviamo con la voglia di farlo, questa volta con noi c’è Pier Paolo Pezzillo, e sono davvero elettrizzata all’idea di conoscere, con loro, da vicino, uno a uno, più intimamente, quei fantasiosi personaggi, e colpita dal disvelamento di ciascuno di quei Sogni Mobili ®, così egocentrici e dirompenti: in ognuno di loro abita davvero un personaggio “vivissimo”, che è carico di una identità irripetibile, inaspettata e impetuosa che si trascina dietro, inevitabilmente, anche la storia di Gianni Bologna. Ha inizio così la presentazione ufficiale, di una storia che si fa sogno, mentre la vivo, e di cui sono intenzionata a carpire tutto “…dove eravamo rimasti?” E mi rivolgo ossequiosamente a lui, proprio come verrebbe spontaneo di fare con uno di quei Maestri giapponesi di cui mi parlava quando ci conoscemmo, mesi prima. Nel frattempo però, fra noi è nato un forte feeling che mi fa sentire molto vicina a lui, così come avviene quando si crea una certa confidenza e l’altra persona è in procinto di svelarti il suo più grande segreto. La mia sensibilità, prima di entrare nei suoi mobili onirici, mi anticipa una consapevolezza: dentro ognuno di quei personaggi, anche il più imprevedibile, c’è qualcosa di Gianni, della sua di storia, una storia interessante e affascinante, ma questo rende tutto anche molto personale e delicato. Il mio entusiasmo dovrà quindi essere misurato, se mi sarà possibile tenerlo a freno: perché quei personaggi mi rapiscono oltre quello che riesco a esprimere. E così accadrà a chi legge, e in effetti qui è richiesto un volo soffice sulle nuvole, poi fra un rimbalzo e l’altro certi accadimenti faranno scaturire in ognuno riflessioni, anche profonde, che ci porteranno a visuali nuove e quindi affascinanti: di quello che si conosceva e di quello che proprio non si immaginava potesse esistere, prima di entrare nei mobili-fiaba di Gianni. E a quanto pare si tratta di una “patologia” contagiosa, a giudicare dai sogni di Nicola Alessandro Romanov, il protagonista del racconto “Lo Zar e la strega” di Paola Govoni, che ci regala una strega dispettosa nelle vesti di Baba Yaga®, intenta a cancellare i sentieri della foresta; lo fa, superfluo sottolinearlo, nel suo stile candido, puro, impeccabile, fiabesco, delizioso e un po’ disincantato. E non abbiamo potuto, saputo o voluto trovare un modo migliore di chiudere la prima parte, che affidarci alla sua penna! Adesso però ecco una prima anticipazione di Sogni Mobili ®, con questi disegni siamo davanti alle origini di Gianni Bologna, abbiamo sul tavolo “Karo-Tsello ®”. «Il primo disegno è stato questo e avrà venticinque anni. Questa era l’apertura della sigla: avevo bisogno di una libreria e volevo farmela costruire, anche se poi non l’ho mai fatto» 18

il sipario si apre...

I disegni di Karo - Tsello®


. Karo-Tzello è una libreria Ž

19


Gianni Bologna è uno stilista e trendsetter nel settore tessile

I disegni di KolinoÂŽ, il progetto di un mobile che Gianni Bologna ha dedicato per sua figlia 20


Kolino è un guardaroba del 1973 ®

E “Mami®” ci porta a un altro personaggio, inventato da Gianni per far addormentare sua figlia, ora adulta. «Quando era bambina, mia madre le aveva costruito un pupazzo che sembrava un jolly delle carte e che aveva un cappello con tre corna con i campanelli in fondo. La bambina l’aveva chiamato “Colino”». Cercando “Kolino®”, proviamo a dare un ordine a quei fogli pieni di memoria, ognuno con il suo messaggio, gli chiedo quanti siano. «Non ne ho idea, ce n’è sono anche tanti che non trovo più. Ce n’era uno dedicato a “Mozart”, non so neanche dove ho messo tutti questi elaborati…». Fra tanti personaggi di fantasia in questo racconto dedicato a Gianni Bologna e i suoi Sogni Mobili®, ci sono anche personaggi reali che hanno dato un contributo prezioso a questo manoscritto. In particolare, oltre a Paola Govoni con i suoi racconti, c’è Pietro Ferrari. Lo troverete con i suoi cammei: sintesi argute dello storico appassionato che è in lui, in “ovali dorati e galleggianti”, sono cassetti che escono con discrezione, discostati un po’ dalla scena principale, a darci una sua lettura trasversale, oggettiva e più distaccata dell’opera di Gianni.

21


Baba Yaga è un guardaroba-libreria ®

Fra la “Baba Yagà®” e “Via della Seta®” è necessario parlare del periodo che Gianni Bologna trascorre in Unione Sovietica, quando da studente ottiene una borsa di studio. «Sì, nel 1970-71 alla Facoltà di Filologia dell’Università Statale di Mosca dove ho vissuto per due anni, ho avuto una borsa di studio: io ho sempre studiato moltissimo». Ti è piaciuto vivere a Mosca? – Gli chiedo. «È stato il periodo più bello della mia vita, il più formativo». Vorrei sapere cosa in particolare lo abbia ammaliato così! «Mi è piaciuta la mia gioventù e poi vivere in un altro universo, inoltre abbiamo viaggiato moltissimo in quei due anni all’interno dell’Unione Sovietica: quindi è stata un’esperienza decisamente formativa». Mosca però, negli anni ’70, sarà stata totalmente diversa dal tuo mondo domestico… «Non direi totalmente diversa, ma la ricordo con un amore infinito pari soltanto ai miei anni in Irlanda, quando avevo diciassette - diciotto anni». Adesso continuerei a parlare dei suoi viaggi, ma c’è “Baba Yagà” che ci guarda e aspetta “pestando le sue zampe da gallina” e considerato che è una strega... «”Baba Yagà®” è un personaggio che io ho incominciato a recepire proprio quando vivevo in Unione Sovietica tramite le immagini di un illustratore del Primo Novecento russo che si chiamava Ivan Bilibin, che ha illustrato in maniera assolutamente memorabile le antiche fiabe russe. Ha disegnato anche la fiaba che illustrava “Baba Yagà”. Questo personaggio è entrato nella favolistica russa ma non è un personaggio da favola, di fatto “Baba Yagà” era la dea lunare degli Slavi precristiani che poi è stata trasformata in personaggio da fiaba e infatti qui è stato recepito abbastanza bene perché il testo dice: “La luna è piena sul bosco di betulle e i boccioli del disgelo iniziano ad aprirsi a fior di neve. Dalla finestra della mia alta capanna io, antichissima Signora, guardo in su tra i rami e molto oltre, fino alla Luna, e poi in giù nel sottobosco, e poi …più giù ancora fin nel cuore della Terra. Il bosco intorno è buio ma i miei occhi preistorici vedono distintamente le ombre lunari di piccole vite notturne. Guardo, guardo e poi da questi miei occhi comincia a stillare acqua fossile poiché è incommensurabile la nostalgia di una Dea caduta sulla terra se ora i Terrestri la considerano soltanto una Strega”. E siamo arrivati alla Dea lunare degli slavi precristiani che vive in quella capanna appoggiata su due (ops quattro) zampe di gallina, ed eccole raffigurate anche da Gianni nel guardaroba-libreria: uno specchio centrale, un ampio assortimento di materiali, gli inserti floreali e tutta la sua bellezza fiabesca che anche qui spicca il volo: libera! 22


della fine degli Anni’ 70 I rendering e il disegno di Baba Yagà® , e sotto il primo Cammeo di Pietro Ferrari (a destra in foto)

Baba Yagà è croce e delizia degli studiosi del folklore per il suo fascino e la sua indeterminatezza: è una strega che viaggia volando su un mortaio e timonando sul pestello, cosa ancora più affascinante vive in una capanna posta su due zampe di gallina, servita da invisibili domestici. A volte, come succede spesso nelle fiabe, è malvagia (cancella i sentieri nella foresta) a volte benefica. In Polonia la zampa di gallina è una sola. Nelle grandi fiabe moderne di Guido Crepax, Baba Yagà rappresenta il fascino un po’ sinistro (come quello della Praga di Angelo Maria Ripellino) di una Europa Orientale “altra”, piena di bellezze e tragiche memorie).

23


Via della seta è un mobile parete ®

“La route de la soie®” è ricca di elementi e corrisponde al viaggio che Gianni Bologna ha compiuto davvero! «Questo è un mobile parete che è ispirato a un altro idolo della mia gioventù: Marco Polo e a una cosa che io ho rifatto negli anni Settanta, quando abitavo a Mosca, che è la Via della Seta, che io ho ripercorso e negli anni Settanta ti posso dire che è stata un’avventura: è una cosa che mi ha sempre affascinato oltremodo». Gli chiedo, impaziente di entrare nei suoi ricordi, con quali mezzi l’abbia percorsa. «Con parecchi mezzi: aerei, treni, quello che c’era allora a disposizione, certo non cammelli. La Via della Seta mi ha dato delle emozioni assolutamente uniche, infatti io continuo tuttora a leggere cose riguardanti la Via della Seta…». Questo potrebbe avere a che fare con il suo spirito nomade… anche se capisco che oggi Essaouira appartenga a un’altra “stagione”. «Ha a che fare con la passione per i viaggi di quando io ero giovane, perché ho viaggiato tantissimo, ha a che fare con la scoperta di questi paesaggi splendidi, quasi sempre semidesertici, con le montagne altissime dei massicci dell’Asia Centrale come il Pamir, l’Altai, sono paesaggi che hanno un fascino incredibile, primitivo, lì trovavi un mondo che non esisteva più da nessuna parte e mi ha dato delle emozioni assolutamente fortissime.

Il rendering e i disegni di Via della seta®

“Rustichello non capirà mai quanto lontani possano essere gli orizzonti lontani, né quando i ricordi iniziano a palpitare troppo vicini e troppo struggenti. I passi innevati del Pamir, i passi stanchi e assetati nel Taklamakan, le follie visionarie del Lop Nur crudelissimo. E le lampade degli stupas che sempre tremolano sulle montagne e sui precipizi come uniche luci nelle notti nere e nei giorni azzurri, in quelli di sabbia e in quelli di pietra e di neve. Poi, durante le recluse sere genovesi, quei preziosi ventagli che palpitavano nelle afe lagunari finiscono per svanire in altri preziosi ventagli, quelli laccati delle stanze segrete nelle città proibite. La via è lunga, lunga, lunga come la vita. Ma persino i mercanti, alla fine, ci trovano un cuore”. Marco Polo raggiunse la Cina percorrendo la Via della Seta e le sue descrizioni dell’Asia ispirarono Cristoforo Colombo, come adesso lui incanta noi. Forse perché basta il nome per evocare emozioni straordinarie e far viaggiare l’immaginazione sugli sconfinati scenari naturali dove ci ha portato lui con “La route de la soie”: a carovane di cammelli carichi di spezie e di seta che custodivano il segreto della sua lavorazione. È straordinario abitare un suo sogno, lo è la sua rappresentazione del viaggio: raccolto qui, in questo mobile-parete! 24

Restituisce una porzione del suo cammino e della sua forza; ci porta un pezzo di quel mondo e l’atmosfera degli stupas. “Le ante si aprono e quel drappo sarà in tessuto?” – Gli chiedo. «Queste ante si aprono e questa invece è una tenda di velluto rosso che scorre o che si apre …sarà da decidere».


dei primi Anni ’80

La Via della seta è rappresentata da 8.000 chilometri di leggenda, di ambienti naturali di struggente bellezza e di annichilente potenza e ricorda Marco Polo e la sua straordinaria avventura (o missione commerciale) e la ancora più straordinaria narrazione affidata a Rustichello da Pisa (sono idoli e sono al Gran Cane: parole di una lingua grezza e potente). Ma prima ancora, nel 166, Marco Aurelio aveva mandato un’ambasciata presso l’Imperatore cinese Huan e vari e numerosi contatti erano stati tentati tra i due imperi, nonostante l’uso della seta fosse stato scoraggiato da diversi leggi suntuarie in quanto segnale di corruzione e di gusto poco romano. Di Marco Polo possiamo dire che viaggiare fa bene alla salute, perché morì settantenne (età veneranda nel medioevo) nella sua Venezia.

25


Toku San è un trumeau composito ®

“Toku San® richiederà un’opera lignea notevole!” Gli dico. «È un contrasto tra legno grezzo e legno lavorato». “Ed è anche tagliato diversamente in modo che le venature compongano un decoro!” «Sì, un contrasto di vena… a me piace molto: è una specie di trumeau composito». “Parliamo di questo elegante condottiero orientale.” «Toku San: Tokugawa è un personaggio storico del Giappone che ha fatto parte della triade degli shogun nel periodo corrispondente grossomodo al nostro Rinascimento. Questa è la storia di questo Tokugawa, mentre “San” in Giapponese vuol dire signore. È uno dei “miei” condottieri». È regale. Gli chiedo se lo abbia disegnato nei lontani anni ’80. «Sì, risale alla fine degli anni Ottanta. È un periodo in cui io passavo moltissimo tempo in Giappone per lavoro… Ho amato sempre molto il Giappone: qui dico che i suoi colleghi sono venuti a trovarlo nel mio sogno Momoyama, cioè il periodo barocco giapponese: “Toyotomi-san, Nobunaga-san, tanti Daimiyo, tanti Shogun sono venuti a trovarmi nel mio sogno momoyama ma nessuno ha accennato all’impermanenza o all’eternità dell’amore. Neanche da lontano. Solo di Potere parlano”. E siccome lui era molto innamorato della moglie che aveva dovuto lasciare, io ho riportato un pezzo molto bello di un testo teatrale, del teatro No. Alla fine del medioevo c’era un autore teatrale molto conosciuto per i suoi grandi capolavori del No, si chiamava Zeami e ha scritto uno dei suoi pezzi più belli: il No del kinuta». Gli chiedo cosa significhi Kinuta. «I kinuta sono dei mazzuoli di legno con cui si battono i tessuti per renderli più morbidi. A un certo punto c’è questo monologo molto bello del kinuta che ho riportato come nostalgia d’amore: «Ottava luna e nono mese: Lunghe davvero sono le notti d’autunno, A mille e mille voci vorrei comunicargli la mia tristezza. I paesaggi nel vento, i colori della luna, persino la brina su cui posa i suoi raggi, il suono dei kinuta, tempesta notturna, sussurri di tristezza, bisbigli di insetti in questo attimo di desolazione del cuore. Confondendosi calano rugiada e lacrime, ticchiettando, stillando, frusciando, qual’è dunque il suono del kinuta?» Zeami …Kinuta Noh… 26


di fine Anni ’80

Nella fastosa e solenne storia del Giappone nel periodo corrispondente al nostro Rinascimento, la figura di Hideyoshi Tokugawa rappresenta un potere forte e spietato ma benefico e ordinatore, ma a noi piace ricordare anche Zeami, lo Shakespeare giapponese (vissuto tra il 1363 e il 1443) che, dalla storia e dalla tradizione del Giappone trae immortali rappresentazioni teatrali, non senza codificare le basi del teatro No. Le sue amarezze di grande artista, allonta-nato dai palazzi del potere al sopravvenire di sovrani più inclini alla rozzezza nell’arte, sono storia di tutti i tempi e di tutti i Paesi.

Il rendering e i disegni di Toku San®

“Bello! Hanno tutti una storia così diversa i tuoi personaggi”, gli dico. Anche per questo li trovo molto particolari, lui ne ha una poetica, anzi Toku San mi piace particolarmente. «Lui si chiamava Hideyoshi Tokugawa, però siccome i Giapponesi in genere accorciano i nomi, l’ho chiamato Tuku San®». Di questo militare giapponese, Gianni Bologna ci restituisce anche il fascino del samurai, il quale da Generale Hashiba Hideyoshi apportò delle modifiche culturali, tra cui la restrizione legale che permetteva ai soli membri della classe dei samurai di portare armi. Il periodo del suo governo viene spesso detto periodo Momoyama, dal nome del castello di Toyotomi. 27


Mami è un trumeau nato ®

“Dopotutto domani è un altro giorno… diceva la Signorina. Ma per la ex-schiava nera sovrappeso la vita è sempre stata tutta uguale e domani è sempre stato come ieri. Poi quando il Dio degli Evangelisti l’ha accolta in cielo senza fare tante storie sul suo grembiule da lavoro e sul fazzolettone un po’ troppo tape-à-l’oeil, come ricompensa per una vita di tanta fatica e per il rispetto al suo affetto e alla sua nostalgia di Scarlett le ha concesso di ritornare laggiù nel sud, in Georgia, in quella casa col colonnato che vorrebbe tanto essere epigono del Partenone… ma non ce la fa. A casa… ma sotto forma di una trumode”. Un altro disegno. «Questa è la “Mami®” di Via col Vento, e la Trumode: è una trumeau à la mode. L’ispirazione di “Mami” nasce dunque da questa frase e diventa un trumeau: che “ritrova” la via di casa. La leggo anche come omaggio tributato alla sua dolce forza, perché la bontà può essere pervasiva. «“Mami®” è un trumeau classico dei primi anni ottanta che è venuto fuori ripensando all’America. Io non amo particolarmente l’America e la civiltà americana, anche se in qualche modo, sono stato colpito da alcune cose della mitologia americana: dai film come “Via col Vento”, però sempre riportato alla parte degli Stati Uniti che io amo di più, cioè il Sud, ricondotto, per esempio, anche a dei romanzi come “To kill a mocking bird” (Uccidere una gazza) di Harper Lee da cui nasce il film “Il buio oltre la siepe” con James Stewart. Questo mondo chiuso, piccolo, questo profondo Sud degli Stati Uniti, il Sud di “Furore”, il libro di John Steinbeck, il Sud di certi romanzi dell’inizio del secolo scorso, fa parte di una civiltà che io non sento particolarmente mia, però la trovo divertente nella sua estrema provincialità e ristrettezza mentale, la ristrettezza mentale soprattutto: amo molto giocare coi “limiti”, col border line». I coltivatori dell’Oklahoma che partono su un camioncino sgangherato pensando di trovar fortuna in California, diventano gli ‘Okies’ costretti a lavori disumani: doloroso affresco della Grande Depressione di Steinbeck, che mi chiedo se non diventi però caratterizzante di una società in cambiamento. Pensiero che condivido. «Una cosa, se vuoi, quasi da filmetto». Eppure è così fisica la presenza di “Mami®” su quel foglio che ho davanti, che non posso rinunciare a osservarla a lungo in quella miscela di colori e parole, che paiono donarle ancora un pizzico di celebrità, anche se ne avrebbe meritata di più. Il rendering e i disegni di Mami® 28


nel 1982 - 1983

Si chiamava Hattie McDaniel ed era nata a Wichita il 10 giugno 1895, la Mami di “Via col Vento” è venuta a mancare il 26 ottobre del 1952 a Woodland Hills, è stata la prima donna di colore a cantare alla radio degli Stati Uniti. Non era una comparsa qualsiasi: paroliera, comica, attrice di palcoscenico, intrattenitrice radiofonica e star televisiva. Il suo nome appare solo in ottanta dei trecento film americani dei suoi tempi in cui apparve. In Europa e nel mondo però è “solo” la straordina-ria Mami che dispensa una saggezza antica che forse non serve più ai frenetici e squilibrati personaggi di “Via col Vento”, disperati testimoni della scomparsa di un mondo. La sua iconicità è fatta del suo look, elegantissimo e irripetibile, e del suo aspetto fisico da Mater Matuta, assolutamente universale. 29


Papy Lion è una libreria che si apre di lato ®

Non tutto deve essere drammatico, ci puo’ essere anche un po’ di leggerezza, a volte, come nel caso di “Papy Lion®” con tutti i suoi retaggi barocchi. «Al tema della leggerezza risponde sicuramente Papy Lion®, perché è la storia di un piccolo paese, il Belgio, che manda questo esploratore, che si stufa di vivere in questa piccola cittadina di Dendermonde a Nord di Bruxelles, in Africa». È una libreria che si apre inaspettatamente sui due lati, come certi antichi mobili ricchi di vani segreti, nella quale io rintraccio anche il tocco poetico del liberty. Scopriamo invece la sua storia. «La storia è totalmente inventata, creata con la fantasia: me la sono vista quasi un po’ a livello di gag, immaginata come quei film degli anni Venti che andavano molto veloci. Una storia coloniale belga che mi ha dato lo spunto di unire un po’ di Barocco fiammingo ai grandi serpenti africani». Una libreria ispirata al Barocco fiammingo …dove c’è la linea che esalta il movimento, eppure in Papillon questa linea funzionale mi porta a quella decorativa dell’Art Nouveau. «Trasportato in Congo: “Se a Dendermonde la noia può uccidere, se un piccolo regno possiede una grande foresta, una grande savana, un grande fiume, grandi pianure e grandi montagne e maggiori appetiti… uno può sempre mettere in valigia un poco di Barocco fiammingo e partire per l’Africa. Dove la bellezza della flora è stordente come i suoi profumi, dove la fauna comprende belve, tremendi insetti, piccole bisce, sanguisughe e grosse prede. Dove però, dopo così tanti anni lontano da Dendermonde, la nebulosa dei ricordi, i lontani distacchi e i lontani amori, un briciolo di nostalgia e una vecchia leonessa possono spesso essere fatali”. Così il legame è fra la zona fiamminga del Belgio, in particolare la cittadina di Dendermonde di cui il personaggio è nativo, e la natura feroce del Congo: regno di specie arboree gigantesche, di serpenti ma anche di leonesse! Il basamento della libreria è un arabesco floreale che insieme alla morfologia Barocca della libreria, rimarcata dalla sua cornice, riesco a immaginare come una creatura danzante nella foresta pluviale sempreverde!

Il rendering e i disegni di Papi Lion® 30


del 1983-84

Esempio di sfruttamento coloniale estremo, il Congo, proprie-tà personale della corona, e dal 1908, colonia belga, fino alla raggiunta indipendenza, coniuga l’improbabile realtà di una cultura coloniale belga con un’africanità insopprimibile. Il personaggio Papi Lion è oggi un protagonista, in varie declinazioni, dei social network ma, soprattutto, declina l’incontro tra la cultura fiamminga e un territorio vergine africano, con i risultati (fasti e nefasti) che la storia, tra colonialismo e decolonizzazione ci ha raccontato.

31


Franziska Josepha è un trumeau ®

Ed eccoci a un personaggio di fantasia nato per celebrare il Biedermeier: quel movimento artistico e ornamentale ottocentesco spesso definito di genere romantico. Oh sì, abbandoniamo il potere per un po’ di romanticismo! La tipica arricciatura delle labbra a mo’ di sorriso precede qualunque espressione fonetica di Gianni Bologna. «Questa è una storia di pura fantasia, perché a me piace molto lo stile Biedermeier. E allora ho pensato appunto a questo personaggio di pura invenzione, amante dell’imperatore Franz Josef® che si confessa e viene trasformata in un trumeau. “Ero una tranquilla borghesuccia della Vienna Biedermeier fin de siècle; dopo anni di incontri passionali con l’imperatore mi ravvidi e lo lasciai. Decisi di confessarmi ed espiare i miei peccati. Entrai allora in una chiesa di Kreuzherrengasse, mi inginocchiai e al mefistofelico confessore dagli occhi verdi (che intravedevo dietro alla grata) raccontai gli anni fedifraghi nei segreti ritrovi, le passioni divoranti, il finto e il vero amore, le amarezze di clandestina. Lo sfinimento e la nascosta violenza. Il silenzio di lui era tetragono, pesava come un macigno. Non parlava… solo qualche sibilo soffocato. Poi uscì da dietro la sua tendina nera e invece dell’assoluzione mi diede un colpo con la sua stola dorata trasmutandomi in una trumode”. Questo è il mio personaggio di fantasia per celebrare lo stile Biedermeier ed è un disegno dei primi anni Novanta». Il periodo è ancora una volta complesso come ci restituisce bene la cornice napoleonica di Pietro Ferrari, però questa volta la violenza è passione amorosa e io nella fisicità di questo personaggio ci vedo una “Josepha” molto romantica! E poi questo stile nasce come contrapposizione allo Stile Impero, per acclamare una decisa “voglia di normalità” che definisce il Biedermeier come lo stile della Restaurazione, alludendo a forme spogliate di tutti i decori, gli orpelli e gli eccessi …certo a “Franziska®” non servivano, anzi magari le sarebbe piaciuto un secrétaire. Forse dovrebbe essere fatta di mogano o di ciliegio, materiali pregiati che si diffondono nella sua epoca, così da recuperare un po’ di moralità. Comunque la “Franziska®” di Gianni si contraddistingue con una insolita sobrietà, un tocco di razionalità e fierezza – nella postura – che le potrebbero derivare dal suo essersi redenta. I rendering e il disegno di Franziska Josepha® 32


degli Anni ’90

Siamo tra il 1815 e il 1848 e l’uragano rivoluzionario e napoleonico ha scosso e devastato l’Europa e, soprattutto quel mondo germanico che si è sentito sconvolto e umiliato dalle armate napoleoniche (il cui comportamento consideriamo positivamente forse solo in Italia). Le partenze dei Freiwilliger che lasciavano le famiglie, per andare a combattere l’anticristo Bonaparte, e la tomba del Duca Nero di Braunschweig stanno alla base di uno stile che nel “ritorno all’ordine” trova una straordinaria creatività, nella praticità trova una sobria bellezza che anticipa tutti i razionalismi del Novecento. Durerà trent’anni e troverà la sua fine in quel 1848, da cui il principio nazionalistico, ormai giunto a maturazione, inizierà il percorso che, in un secolo, porterà alla rovina dell’Europa e costerà milioni di morti.

33


Balanzone è un guardaroba ®

Balanzone o il dottor Balanzone è una maschera della Commedia dell’Arte che riproduce un leguleio bolognese (non a caso Bologna è la dotta), bisognerebbe pronunciare questo nome in dialetto per ottenere la resa sarcastica dell’etimologia derivante dalla bilancia della giustizia. Nella Commedia dell’Arte diventa un onnisciente presuntuoso e diverte con i suoi strafalcioni e con il suo latino maccheronico. Boria, presunzione, ostentazione continua dei propri titoli accademici, assieme a una buona ignoranza di base, ne fanno un personaggio più patetico che simpatico.

Qui arriviamo a un ironico autoritratto! Una rappresentazione originale e scanzonata anche di sé, che come in tutti gli altri personaggi, sempre carichi di grandi sorprese semantiche e stilistiche, in Balanzone è esasperata dalla matrice carnevalesca. «“Balanzone® ha una didascalia in francese: Balanzone o l’ambiguo, è la maschera di Bologna e allora io ho scritto in francese: dedicato a me stesso con tutto il mio cuore? Balanzone ou l’ambigu: Dedicassé a moi même de tout mon… “coeur ?”. Perché di fatto gli elementi superiori della cornice del guardaroba se letti di rovescio sono dei cuori, ma così come si presentano sono dei culi. È preso dalla maschera della Commedia dell’Arte, era un Avvocato, maschera tipica di Bologna e quindi è dedicato a me, con tutto il mio cuore e un punto interrogativo. “Balanzone®” è un guardaroba, disegnato nel 1990 circa». Un umorismo calzante con la maschera del “Balanzone®” e un’autoironia che trovo brillante. Oltre alla frase che lo omaggia c’è anche la descrizione dei materiali: differenti specie legnose, specchio argentato e alcuni dettagli laccati color rosso: forse come le guance rubizze della beffarda maschera carnevalesca! I rendering e il disegno di Balanzone® 34


del 1990

35


Hatta è una libreria con cassetti e antine ®

Apparentemente restiamo nelle favole, quella di “Hatta®”: “Alice nel Paese delle Meraviglie”. «È una favola fino a un certo punto: inizia con l’indovinello che il “Cappellaio Matto” ripete in continuazione in “Alice nel Paese delle Meraviglie”, assolutamente assurdo che nessuno è mai riuscito a interpretare che dice: “Why is a raven like a writing desk?” (perché un corvo è uguale a uno scrittoio). Qui io parlo della grande solitudine di questo “Cappellaio Matto” e finisco con il ritornello della canzone con la quale lui partecipa a un concorso musicale perdendolo “Twinkle, Twinkle, Little Bat”». Gli chiedo perché abbia chiamato la libreria “Hatta®”. «“Hatta®” è il suo nome: il modo popolare inglese di definire il “Cappellaio Matto”:“Mad Hatter”». Un epilogo deludente, come si evince anche leggendo la frase “costitutiva” con la quale Gianni Bologna ha generato “Hatta®”. “Né scrivania né corvo... ma Specchio sì, quello sì. Ce l’ho nelle viscere. E soprattutto da quando ho ammazzato il Tempo e mi resta solo lui in cui guardare per trovare le prospettive. Deformate magari - anzi sicuramente - ma chi riesce ad averle non distorte in un mondo privo di Meraviglie da dove la Lepre, la Regina, il Gatto se ne sono andati? Ho sperato che tornassero per il thè delle cinque ma da lungo tempo non vengono più. Che la Logica appartenga allora al maledetto Orologio che indica solo il mese ma le ore, quelle, mai? Non lo escludo …è un gioco sulla lunghezza dei Vuoti, sul prolungarsi delle Assenze, sulla distorsione del presente e dei ricordi; io, per esempio, ho una collezione di ritratti umani, così …giusto per non dimenticare, li tengo sul mio scrittorio, a lato della gabbia dei corvi e dei pipistrelli… Twinkle, twinkle little bat...” ln effetti il racconto è pieno di allusioni a personaggi, poemetti, proverbi e avvenimenti propri dell’epoca in cui Lewis Carroll opera e il “Paese delle Meraviglie” descritto nel racconto gioca con regole logiche, linguistiche, fisiche e matematiche che gli hanno fatto ben guadagnare la fama che ha. Il seguito, “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò”, forse però ha ispirato anche di più Gianni, considerato che lo specchio occupa una porzione importante di “Hatta®”. E allora ci chiediamo anche noi cosa mai potrà esserci dall’altra parte dello specchio. Un altro suo diario? I fiori parlanti o i personaggi di una scacchiera da gioco, oppure, ancora, le sue Regine? Certo fra una filastrocca e l’altra, anche qui c’è l’obiettivo di 36


del 1995 - 1996 Chi non ha un po’ odiato quello screanzato del Cappellaio Matto: screanzato e inquietante. L’espressione inglese “Mad as a hatter” ha un’origine curiosa che ricorda i piccoli/grandi orrori dell’industrialismo, in questo caso, l’utilizzo di sali di mercurio nella lavorazione dei tessuti impiegati nella fabbricazione dei cappelli. Johnny Depp, nel film “Alice in Wonderland” di Tim Burton del 2010, ha macchie arancioni sulla pelle che denotano avvelenamento da mercurio, ma molto può essere vero o falso nelle etimologie, di sicuro la figura del “Cappellaio Matto” riverbera un poco di inquietudine su un Lewis Carroll di vittoriana ambiguità.

I rendering e il disegno di Hatta®

ottenere una corona e diventare Regina! Guardiamo poi anche i suoi appunti in francese annotati vicino al disegno. Immagina davvero ogni materiale per la realizzazione della libre ria: specchio deformante, diverse specie lignee, legni laccati, opalino, rame, plastica per la lampada. Una libreria solitaria a quanto pare…

37


Bruno è un guardaroba ®

«Questa è una criniera… non so chi potrebbe fare questi mobili. Sono pezzi unici che avranno dei costi altissimi…». “Sono pezzi unici, veramente, certo!” Gli dico. Ed è qui la loro grandezza. Certe cose non hanno prezzo. Il volto segreto di Gianni Bologna è questo, quello dei suoi Sogni Mobili®, i disegni e i pensieri che colorano queste pagine, del tutto inediti, credo abbiano una valenza formativa, e certo possono essere di grande ispirazione. Poi ci troviamo di fronte a “Giordano Bruno” che rappresenta una grande conquista: l’uomo restituito a se stesso, reso padrone della propria sorte. «Questa è la morte di “Giordano Bruno®” sul rogo, ma poi ce ne sono anche tanti altri lasciati incompiuti. Poi non li guardo, sono secoli che non li guardo…». Con i personaggi di Gianni ci si catapulta continuamente da uno spazio-tempo a un altro e ci si ritrova in un attimo dentro quella sua storia, che lui ha colorato a modo suo. “Giordano Bruno®”, come altri uomini del Rinascimento, aveva affermato che la dignità dell’uomo, la sua nobiltà, il suo significato, dipendono dal suo agire; che il premio dell’azione è nel senso dell’azione, nella sua fecondità, in quello che l’azione dà per se stessa: una morale nuova e più rigorosa intesa come responsabilità personale e profonda. Anche di questo guardaroba Gianni ci ha dato la sua storia. “Le acque limpide e le rive del Giordano videro nascere una spiritualità pura che i secoli trasformano in puro Potere. Il tempo lo mutò e lo dissimulò dietro una bruma parafilosofica e dietro pretestuosi paraventi parareligiosi, spessi e indistinti. Aloni di fumo furon generati dai turiboli in cui bruciavano incensi in quantità, nonché dai roghi dove si incenerirono i dubbi e le intelligenze degli eretici, le angosce e la passione dei veri credenti. Poi, quando il fumo si dissolse, restò la Compromissione. Con ogni possibile Potere. Anche quello delle camicie… Brune. Alla fine, però, non dobbiamo scordare Aleksej e quel suo tenero bacio sulle labbra”. «E questa è la leggenda del Santo Inquisitore di Dostojevski». In effetti, forse più che una storia, queste sono le sue didascalie colte …difficile cogliere tutte le sue sfaccettature! Siamo immersi nel suo studio, uno spazio aperto, contraddistinto da mobili antichi e oggetti di valore, anche affettivo, come «una valigetta appartenuta a una mia zia, potrebbe avere almeno un secolo, quasi mai usata. Mi piace come oggetto. Così come queste due teche da chiesa». 38


del 1998 - 1999 I rendering e i disegni di BrunoÂŽ

Alle pareti ci sono pregiati tessuti incorniciati. ÂŤQuesti sono tessuti di alcuni grandi sarti francesi di fine Ottocento inizio Novecento, sono tessuti nella zona di Lione e Saint Etienne, sono molto rari, e sono dei nastri che servivano per fare le borse. Lavori di grandi tessitoriÂť.

39


Bruno è un guardaroba ®

I rendering e i disegni di Bruno®

40


del 1998 - 1999

“Se Giordano Bruno (1548-1600) non fosse morto non ci sarebbe più neanche il papato”. Recitava una canzone anarchica, trucemente (e sintatticamente ottocentesca). Il filosofo nolano, che rappresenta lo scontro della genialità filosofica ereditata dalla Magna Grecia con la grettezza della Chiesa controriformistica, è anche un personaggio fondativo della riflessione moderna. Il suo rapporto con il fuoco, che l’Enciclopedia Treccani definisce “impavido” non può che suggerire un’iconografia forte e decisa, in cui l’elemento alchemico diventa colore, forma e suggestione di una mistica moderna. Soprattutto ricordiamo di lui che “non più la luna è cielo a noi che noi alla luna”, base di riflessioni, molto più che solamente astronomiche. 41


Dora Ratz è un guardaroba ®

Questa “signora”, che nasce dalla passione per i film felliniani di quel periodo, sembra aver necessità di un corpo più che di una faccia! «Beh...! ». Mi dice Gianni Bologna ed è già entrato nel personaggio. «La Volpina è un personaggio di Fellini, una piccola bionda tutta scarmigliata, ninfomane». Appunto! E nel suo mobile c’è tutta la sua prosperità. «Lei è la Tabaccaia. Quella che accoglie il Fellini bambino tra i suoi seni giganteschi tirando giù la saracinesca e lui finisce con la testa nelle sue poppe. “Estati umide e afose. Gradisca una gazzosa, leva la sete e poi, magari, anche qualcos’altro... È la stagione in cui le volpine affamate, che scendono dalle foreste intorno a Poggio Berni per sbranare i galletti da spiaggia sulle rive, agiscono di notte. Anche perché a quell’ora le tabaccherie abbassano le saracinesche e nei vapori estivi che salgono dal mare, oltre alle luci sfocate dei transatlantici, emergono bizzarri fugaci lucori che penso siano ectoplasmi di quelle cose che uno non sa mai se vuol ricordare o dimenticare. Ci son anche zanzare ...che strano...” . Qui c’è un Gianni con la vena più giocosa. «E qui c’è un’altra mia grande passione che sono i film italiani di quel periodo, infatti ora non vado più al cinema». Il confronto con uno stile cinematografico inimitabile in effetti è difficile. L’opera felliniana convoglia diversi elementi della cultura popolare di massa, trasformando questa materia spesso dozzinale, ripetitiva e infarcita di luoghi comuni, in immagini – come Anita Ekberg che si tuffa vestita nella Fontana di Trevi nel film “La dolce vita” – e in personaggi come la Tabaccaia o Gradisca divenuti simboli della cultura contemporanea: icone e metafore della vita d’oggi, con le sue contraddizioni e i suoi problemi esistenziali. E allora “Amarcord” merita un “intervallum”di sollazzo, volendo utilizzare un gergo cinematografico, per soffermarsi nell’atmosfera affascinante di quel cinema multiforme del secondo dopoguerra. Soprattutto sostando qui potremo entrare in un altro racconto di Paola Govoni per addentrarci un po’ nella sua favola, che ispirata a “Dora Ratz®”, ci porta proprio lì: al Grand Hotel di Rimini, …e suggerisce un indugio, una sosta emozionale rievocando un’altra “visione”; una vibrazione di desiderio, che ci riporta a un altro Sogno Mobile® già “vissuto”, quello di Balanzone. 42

I rendering e il disegno di Dora Ratz®


dei primi anni del 2000

Un ricordo del cinema italiano degli anni Settanta è la famosa Tabaccaia che accoglie il narratore bambino nel suo vasto petto. Un’immagine che, come tante generate dalla fantasia di Fellini, è entrata nell’immaginario collettivo degli italiani. Uscito nel dicembre del 1973 nelle sale cinematografiche, Amarcord (in roma-gnolo “mi ricordo”) è una raccolta di immagini di bellezza abbagliante che è stata creata dalla fantasia del re-gista e ha ricreato in maniera determinante la fantasia collettiva degli italiani, come tanto cinema del secondo dopoguerra.

43


GRAND TOUR parte seconda

AMARCORD, AMARCORD... Era un paese come tanti, disteso lungo i fianchi della via Emilia, fra due file di case basse a portici. Sonnolento d’estate, quando il sole arroventava la pianura, grigio nelle interminabili giornate di pioggia, color latte quando la nebbia avvolgeva nel suo abbraccio quel piccolo mondo di provincia.

C’era tutta la vita del paese, sotto i portici. Gente, voci, strette di mano, borse della spesa, negozi, uffici, due caffè, la farmacia e la banca. Poi c’era la Trattoria Nuova Corona, orgoglio e vanto del suo gestore, Egidio Vicinelli, detto Balanzone, di professione cuoco. Il soprannome la diceva lunga sul suo giro vita, ma lui non ci badava e portava a spasso con disinvoltura quel quintale e passa di stazza, dicendo che era una buona referenza per la trattoria e la prova che da lui si mangiava bene. Ai clienti nuovi, prima ancora di prendere l’ordinazione, raccontava con orgoglio che nella sua trattoria era nato il tortellino. Proprio al piano di sopra, dove c’erano le camere dell’antica locanda Corona, e un oste malizioso sbirciava volentieri le signore dal buco della serratura. L’ombelico perfetto che vide una sera, lo turbò a tal punto che volle riprodurlo in serie con pasta fresca e ripieno di carne, da servire in brodo ai suoi commensali. Anche Balanzone serviva tortellini, i più buoni del mondo - diceva - perché in cucina c’era lei, Dora, che tirava la sfoglia, preparava il ripieno e con pochi gesti precisi e veloci preparava quei piccoli deliziosi bocconcini, che sistemava sul tagliere in lunghe file ordinate. Dora, dalle forme morbide e 44


di Paola Govoni

rassicuranti, una donna emiliana dal carattere forte e dalle mani d’oro, la migliore delle mogli. Per questo Balanzone stava mettendo da parte un gruzzoletto, che teneva accuratamente nascosto in una vecchia casseruola e che sarebbe servito per regalare a Dora tre giorni al Grand Hotel di Rimini, nel loro anniversario di nozze. Lei lo desiderava da sempre, ma non chiedeva niente, perché sapeva che non se lo potevano permettere. Infatti, lui le aveva detto di aver prenotato in una modesta pensione lì vicino... Il gran giorno arrivò e i due viaggiatori s’incamminarono verso la stazione con molto anticipo. Attesero il treno seduti nelle poltroncine consunte del caffè della stazione bevendo un chinotto e guardando fuori, i binari lucidi e il pietrisco bianco della massicciata. Dopo un viaggio di ore in terza classe, arrivarono a destinazione. Dora pianse di gioia quando il portiere in livrea del Grand Hotel le consegnò la chiave della camera 207, secondo piano, vista mare. Egidio era felice. Quel giorno, anche il destino fece la sua parte per rendere indimenticabile il soggiorno. Più tardi, mentre passeggiavano sul lungomare, cominciò a radunarsi una piccola folla, che diventò presto una moltitudine. Lui la prese per mano e insieme seguirono il fiume di gente che si dirigeva verso il porto. Non avevano mai visto nulla di simile. Il gigante illuminato a festa scivolava sul mare scuro a sirene spiegate. Il transatlantico era meraviglioso e così grande da coprire il cielo, ma le luci del Rex brillavano più di mille stelle. 45


Amantonio è un guardaroba con cassetti ®

Rimanendo un attimo sospesi nell’atmosfera incantata di “Amarcord Amarcord” abbiamo attraversato il millennio con I Sogni Mobili® di Gianni, quasi senza accorgercene, per proseguire con un’altra carrellata di suoi personaggi, questi più recenti, come “Amantonio®” ...e ormai mi sono davvero tutti familiari come “vecchi amici”. Così, da quando ci siamo conosciuti, in qualche mese, Gianni ha rimesso ordine nei suoi cassetti e nella sua memoria, ma anche nella sua anima che si è ridestata davanti ai suoi colori e a quei ricordi, lì a raccontargli l’intensità del suo vissuto. Qui vi proponiamo, così, oltre una ventina dei suoi Sogni Mobili®, ma sono ben più numerosi i personaggi fantastici che, a decine popolano lo studio, nonostante la sua dichiarata antropofobia! Ecco cosa scrive del suo personaggio ispirato a Wolfgang Amadeus Mozart...

46

«Non so cosa è passato per la testa a Alexadr Pushkin di inventarsi questa storia della rivalità che si trascina ormai da due secoli. Inverosimili questi russi! E dove la mettiamo la Cantata a Quattro Mani di Da Ponte? L’abbiamo composta con A. a Praga. Oddio, a proposito del teatro Alla Scala confesso che è un vero peccato che il Teatro Ducale sia bruciato. Se ci fosse ancora non sarebbe stato necessario costruirne uno nuovo. E tantomeno inauguralo con quella sua mediocre “Europa Riconosciuta”. (Non nego però che le colorature spinte quasi verso l’imitazione della scrittura strumentale mi sono… ehm... servite). Non potevano sentire me prima di incaricare lui? I grembiulini con tutta la loro messinscena a volte sono proprio inefficienti. Mais passons. Io comunque già a sedici anni mi ero anche visto costretto a scrivere quelle VARIAZIONI come omaggio a lui da presentargli in occasione del mio viaggio a Vienna. Mio padre tendenzialmente era un leccapiedi. Tempi di birignao quelli. Non ho apprezzato. Forse neanche lui. Era troppo italiano anche se di sguercio sbirciava su Gluck. Per dirla tutta un giustacuore come i miei non se li è mai neanche sognati e pace all’anima sua (e mia)».


del 2005 - 2006

Il rendering di AmantonioÂŽ ma anche il disegno dello strumento musicale che lo ispira 47


Amantonio è un guardaroba con cassetti ®

Non sappiamo se il film del 1984 di Milos Forman, prigioniero del suo consueto sadismo, abbia reso giustizia alla figura di Mozart (sicuramente non a quella di Salieri), ma il genio un po’ ribaldo e scellerato del musicista eternamente giovane (Salisburgo 1756 - Vienna 1791) è rappresentato efficacemente, assieme a quel suo mondo rococò che si presta a essere rivisto e rielaborato come materia di sogno e più ancora di fantasticheria o di pastiche (pensiamo solo a tanta pittura ita-liana “venezianizzante” di fine Ottocento). Di certo la sua anima, vestita di parrucche e di jabot, potrebbe essere più rappresentata da una “profonda esteriorità” che da una seriosa interpretazione critica.

48


del 2005-06

Il rendering e il disegno di AmantonioÂŽ ma anche dello strumento musicale che lo ispira 49


Turandot è una libreria tabernacolo ®

Adesso torniamo alla serie dei condottieri che Gianni Bologna ama tanto. Di questi fa parte anche “Toku San®” che abbiamo già incontrato. E ci aspettano al varco “Liz of all pirates®” e “Cavallo pazzo®”! «Qui ci sono le Ancelle® di Turandot®». “Che cosa ha ispirato la tua Turandot®?” «Il potere. Torniamo al concetto del potere. “Non è questione di nomi, di segreti o di sfingi. Quelli sono espedienti scenici. Quel che non mi ha mai convinto è come si possa passare da uccisioni multiple e suicidi ancillari a una passione trovata per incanto… eppoi dove? In fondo a un indovinello, sul crinale di una scommessa? No, no. I modi e i tempi dello Spettacolo non si addicono a una principessa carnefice e le storie inventate ancor meno. Tanto l’importante non è che io sia felice ma piuttosto che non lo siano gli altri. L’impero è vasto - nessuna (passione) dorma! È naturale che si scatenino gli spiriti animali e che questi vengano imbrigliati o sterminati. Altrimenti …non ci sarà più nessuna alba per vincere”. È l’opera di Puccini». “La tua interpretazione della fiaba musicata da Puccini”! Preciso. «Sì, certo è la mia interpretazione del personaggio di Turandot; lei è una principessa carnefice». Già, e come si evince in questo passaggio cruciale sembra davvero spietata “…tanto l’importante non è che io sia felice ma piuttosto che non lo siano gli altri”. «Era una pazza sanguinaria lei». “Con lei, la famiglia di condottieri cresce: c’è una collezione di condottieri importante”. Questi conquistatori sono metafore dei successi ottenuti nella sua vita: penso fra me e me! «Sì, fa parte anche lei dei condottieri, perché hanno tutti a che fare col potere». “È una sorta di libreria?” «Questa non si sa che cosa sia precisamente, potremmo chiamarla libreria - tabernacolo». Riguardo la fiaba della principessa Turandot, che si sposa solo se il pretendente riesce a tenere nascosto il suo nome dopo aver risolto alcuni indovinelli, è interessante istituire un parallelo fra la sua “Turandot” e la partitura pucciniana, un confronto con la sua malvagità, che raggiunge l’apice con quell’affermazione legata all’infelicità altrui. Gli indovinelli in fondo, per lei che non si vuole sposare in quanto predestinata a un matrimonio di interesse, rappresentano il lato umano, un escamotage per difendere la sua libertà. Certo una prova estrema: il 50

I disegni delle Ancelle di Turandot®


del 2006 - 2007

51


Turandot è una libreria tabernacolo ®

Principe Calaf risolve l’indovinello ma sotto le torture dell’ancella non riesce a tenere nascosto il suo nome fino all’alba e muore. Nonostante in quel dramma ci sia la potenza dell’opera, io ho trovato un’altra “Turandot” che compensa la perfidia della prima. In Cina, in un mitico “tempo delle favole”, viveva la bellissima e solitaria principessa Turandot, nella quale albergava lo spirito di una sua antenata violentata e uccisa. Da ciò nasceva il suo orrore per gli uomini. Qui sarà Calaf a rivelare alla principessa il proprio nome, ma solo dopo essere riuscito a darle un bacio appassionato. Bacio che sconvolgerà nell’intimo “Turandot”, la quale andrà con Calaf davanti all’imperatore suo padre e al popolo, e annuncerà trionfante di aver finalmente scoperto il nome dello straniero: il suo nome è “Amor”.

52

Il rendering e i disegni delle Ancelle di Turandot®


del 2006 - 2007

La bellissima e venezianissima fiaba di Carlo Gozzi, scritta in versi nel 1762, ispira prima un grandissimo Giacomo Puccini che non la vede rappresentata, essendo scomparso, nel 1926 alla Scala di Milano e, nel 1917, Ferruccio Busoni, che calca la mano sulla venezianità dell’autore. Ma prima ci si erano provati per il teatro Friedrich Schiller e Carl Maria Von Weber nella musica. La straordinaria principessa che declina il ben giustificato orrore della femmina per il maschio in un suo tantalizzante e trascendentale sadismo e genera un mondo senza amore è un’icona della lettura dell’Estremo Oriente nel Primo Novecento. E se già Puccini aveva riempito di scale orientali la sua musica, morendo poi tra Oriente e Occidente, non senza mettersi in treno per andare ad ascoltare Schönberg a Vienna, costumi, scenografie e movimenti coreografici mandano in crisi il tranquillo divano occidentale-orientale di Goethe, quando ancora il mondo era piccolo e comprensibile. 53


Some are kind è un mobile-parete ®

Poi ci troviamo in Oriente lungo la via della seta, «…questo è un mobile parete del 2008-09, e la dedica è in francese, non la traduco». Poi però lo guardo un po’ sdolcinata e decide di tradurre il suo pensiero e soprattutto ci regala la sua interpretazione, perché, con lui, dietro ogni parola “rischi” di trovare un bel pezzo di mondo con attaccata una coda fitta fitta di storia, che si intreccia alla sua. «Ha a che fare con la mia storia personale. Un antico affetto sperduto al di là delle brume e degli anni, al di là delle brouilles (bisticci) e dei brouillard (nebbie), di una stagione dove la sola certezza era una steppa innevata e tutto il resto era un sogno che sfiorava la crudeltà per noi tutti e a nostra insaputa». Quindi ci sei tu, anche di più qui – gli dico – …nella vita succedono tante cose e anche queste, no!? Così questo “Some are kind®” di Gianni, si srotola nella sua storia affascinante che potrebbe proseguire nell’alternanza di quei mobili chiusi con ante, come fossero porte aperte sulla via della seta, e quei vani a giorno alti e snelli, stele monolitiche che cadenzano con regolarità questa piccola architettura. Poetica icona di un Oriente in cui torneremo. “…à un ancien amour mal-aimé, égaré dans les brumes de la vie et des années, bien loin au delà des brouilles et des brouillards d’une saison où la seule certitude était une steppe enneigée… et tout le reste était un Rêve frolant la cruauté… Pour nous tous… à notre insue…”. Dentro questa sua forma artistica che si realizza nei disegni, parallelamente a queste didascalie colte (segnalate con un font e un colore diversi a inframezzare il nostro dialogo), c’è qualcosa di suo, e qualcosa di profondo; anche quando non ha apparentemente a che fare con questi personaggi (come li conosciamo) che lui reinterpreta, comunque, sempre, in quella particolare figurazione. Io credo che sarebbero da realizzare uno a uno, questi ritratti impressi da lui sulla carta.

54


del 2008 - 2009

I disegni di Some are KindÂŽ 55


Some are kind è un mobile-parete ®

Samarcanda o Samarqand o Some are kind è l’icona esatta dell’Oriente, pochi sanno che si trova in Uzbekistan, stato post-sovietico di abbagliante bellezza. Oggi il Registan, uno dei più grandi tesori architettonici del mondo con le sue madrase rappresenta un’icona straordinaria di una cultura stupefacente lungo la Via della Seta, il contrasto tra la leggerezza della seta e la leggerezza del cammino di fronte alla staticità della pietra (Città della pietra significa Samarcanda) non potrebbe essere maggiore.

56


del 2008 - 2009 Il rendering e i disegni di Some are KindÂŽ

57


Monsieur Barlas è un guardaroba ®

Nello studio di Gianni, la scorsa volta, avevamo iniziato a guardare Monsieur Barlas®, un guardaroba del 2009: si tratta di Tamerlano, il grande conquistatore della dell’Asia Centrale, ma gli domando come nasca in lui questo Monsieur Barlas-guardaroba®. «Dalla mia grande passione per l’Asia Centrale. Sono Paesi bellissimi: per Samarcanda, per il Gandhara che addirittura ci ricorda Alessandro Magno, sono posti di una bellezza infinita e le civiltà che sono nate in quei Paesi mi hanno sempre affascinato molto. Ti ho appena parlato di Gengis Khan, questo è Tamerlano che vedo qui da vecchio». Leggo i suoi appunti sul disegno: “…per il vecchio condottiero il vento …Zar Vashan”. «È un massiccio montuoso che si trova a Sud di Samarcanda». Precisa prontamente il mio interlocutore, e poi leggiamo tutta la frase che ha ispirato questo personaggio creandone il ritratto disegnato sulla carta, come gli altri, scaturiti dal suo pensiero, pastelli per fermare quell’immagine che aveva visualizzato con la mente scrivendo. “Quanto pare vasto l’impero ora che l’Orda d’Oro è sgominata. Timur lo zoppo lo ha percorso tutto a cavallo. Nelle orecchie continuano a risuonare lo scalpiccìo degli zoccoli e il rumore setoso delle criniere nel vento. Stanotte è rimasto solo, proprio in mezzo alla spianata del Registan … solo con l’immane Luna dell’Asia che illumina i profili lontani delle montagne e le madrase luccicanti che intonano i loro azzurri invernali. Per il vecchio condottiero il vento del Zeravshan fa cantare il pioppeto davanti al Shah-i Zinda. Dicono sia la voce dei guerrieri che non sono più … però… quanto assomiglia al frusciare setoso delle criniere dei destrieri in corsa”. Gli chiedo se essendo un conquistatore, seppur vecchio, faccia parte della serie dei condottieri. «Sì, il Registan, invece, è rappresentato in un altro disegno, che è esattamente dello stesso periodo, intitolato “Some are kind®”, uno scherzo sulla parola Samarcanda: alcuni sono gentili». “Some are Kind®” lo abbiamo appena “conosciuto”.

Il rendering e i disegni di Monsieur Barlas® 58


del 2009 Tamerlano, da cui prende spunto l’opera, nasce l’8 aprile 1336 a Shahriszab, nell’attuale Uzbekistan e muore quasi settant’anni dopo a Otrar, nell’attuale Kazakistan, mentre progetta la conquista della Cina. Si chiama Timur, nome che contiene la parola ferro, e leng, lo zoppo, da una ferita riportata in combattimento. Combattimento, guerra, immensa ferocia e crudeltà per costruire un impero che, alla sua morte, scompare, lasciando un’eredità sola, la stupenda città di Samarcanda. Ma Tamerlano è anche un’icona dell’Asia Centrale tra il quattordicesimo e il quindicesimo secolo, una “terra di grazie e mali”, incarnata nei suoi costumi da guerriero trasmessa da iconografie sempre più irreali.

59


Volver è una credenza ®

Qui c’è il ricordo struggente del passato che “contorce” l’esistenza di chiunque ne abbia avuta una, e tanto più è stata intensa, tanto più quelle parole “percosse” dalla musica ti entrano dentro come lame a stuzzicare i margini di cicatrici ancora sanguinanti. Nessuno però lo dice meglio di Carlos Gardel, a cui Gianni si ispira per un altro dei suoi Sogni Mobili®, questa volta ”Volver®”. “Volver” che significa “tornare” in spagnolo, è anche il film di Pedro Almodòvar e il titolo del tango cantato da Penelope Cruz in una scena culminate. 60

I disegni di Volver®


del 2011 Peccaminoso e immorale, ossessione ed estasi, il Tango arriva in Europa all’inizio del Novecento, scatenando i fulmini dei benpensanti. Ma il 16 dicembre del 2014, nella ricorrenza del 78esimo compleanno del Santo Padre, tremila coppie di ballerini si trovano in piazza San Pietro per diffondere il messaggio dell’abbraccio come simbolo di pace. Se il tango, nelle parole di Enrique Santos Discépolo, è un “pensiero triste che si balla”, Volver rappresenta la più efficace illustrazione di questo suggestivo concetto: Carlos Gardel e Alfredo Le Pera trasformano in musica e parole “la paura dell’incontro col passato che ritorna” e “delle notti popolate di ricordi che incatenano i sogni”. Nel mondo virtuale, fatto di pixel e bit, la concretezza del Tango, fatto di luoghi reali, oggetti, angoli e corporeità, come certi racconti bonaerensi di Borges, è un’esortazione alla realtà.

“Ritornare”

Volver - Carlos Gardel

Io indovino lo sbattere delle palpebre delle luci che in lontananza sottolineano il mio ritorno… sono le stesse che illumirarono con il loro pallidi riflessi ore profonde di dolore… E anche se non ho voluto il ritorno sempre si ritorna al primo amore… La strada vecchia dove l’eco disse tua è la sua vita, tuo è il suo amare, sotto lo sguardo beffardo delle stelle che con indifferenza oggi mi vedono ritornare… Ritornare…con la fronte appassita, le nevi del tempo argentarono la mia tempia… Sentire…che è un attimo la vita, che 20 anni non sono niente che febbrile lo sguardo, errante nelle ombre, ti cerca e ti nomina Vivere…con l’anima aggrappata a un dolce ricordo che piango un’altra volta… Ho paura dell’incontro con il passato che ritorna ad affrontare la mia vita… Ho paura delle notti che popolate di ricordi incatenano il mio sognare… Però il viaggiatore che fugge prima o poi arresta il suo andare… E anche se il dimenticare, che tutto distrugge, avesse ucciso la mia vecchia illusione, guardo nascosta una speranza umile che è tutta la fortuna del mio cuore. Ritornare…con la fronte appassita, le nevi del tempo che argentarono la mia tempia… Sentire…che è un attimo la vita, che 20 anni non sono niente che febbrile lo sguardo, errante nelle ombre, ti cerca e ti nomina Vivere…con l’anima aggrappata a un dolce ricordo che piango un’altra volta…

Yo adivino el parpadeo De las luces que a lo lejos Van marcando mi retorno… Son las mismas que alumbraron Con sus palidos reflejos Hondas horas de dolor.. Y aunque no quise el regreso, Siempre se vuelve al primer amor.. La vieja calle donde el eco dijo Tuya es su vida, tuyo es su querer, Bajo el burlon mirar de las estrellas Que con indiferencia hoy me ven volver… Volver… con la frente marchita, Las nieves del tiempo platearon mi sien… Sentir… que es un soplo la vida, Que veinte anos no es nada, Que febril la mirada, errante en las sombras, Te busca y te nombra. Vivir… con el alma aferrada A un dulce recuerdo Que lloro otra vez… Tengo miedo del encuentro Con el pasado que vuelve A enfrentarse con mi vida… Tengo miedo de las noches Que pobladas de recuerdos Encadenan mi sonar… Pero el viajero que huye Tarde o temprano detiene su andar… Y aunque el olvido, que todo destruye, Haya matado mi vieja ilusion, Guardo escondida una esperanza humilde Que es toda la fortuna de mi corazon. Volver… con la frente marchita, Las nieves del tiempo platearon mi sien… Sentir… que es un soplo la vida, Que veinte anos no es nada, Que febril la mirada, errante en las sombras, Te busca y te nombra. Vivir… con el alma aferrada A un dulce recuerdo Que lloro otra vez… 61


Temujin è un guardaroba con cassetto ®

Gengis Khan o meglio “Temujin®”, di cui Gianni Bologna mi parlò prima che di qualunque altro personaggio, nella storia, si caratterizza per la sua “fame” di potere, quindi non può che far parte della sua serie di condottieri insieme a “Cavallo Pazzo®”, “Liz of all pirates® ”, “Turandot®” e “Toku San® ”. «Ecco Gengis Khan, anche se il vero nome di Gengis Khan è Temujin®. Ispirato dalla mia passione per i condottieri e figlio di un Dio delle tribù mongole: Tengri. Ascolta quello che ho scritto di lui: “Figlio di chi? Di Tengri – Dio possente – oppure solo del vento, delle montagne, delle steppe? Si sa bene come muoiono gli Imperi ma non perché nascono (partenogenesi della brutalità?). Si parte da una yurta coperta dal gelo o dall’afa stremante di Delùùn-boldog, poi si monta a cavallo e nella corsa di seguaci se ne trovano… dopotutto chi non è assetato di sangue e velocità? …e di bottini? Tanto poi la Gloria viene dopo, se qualcuno si prende la briga di scrivere la Storia. In genere da Vincitore visto che i vinti non dispongono di memoria. Gliela si strappa insieme alla pelle. Quindi nascono i Palazzi e le Corti e le mille bellezze dell’Arte (quella del dominio, magari) che faranno dire al Tempo “questo è un Imperatore” . Guardo “Temujin®” che ha un’espressione decisa: e chiedo a Gianni se gli occhi siano due sciabole. «Sono scimitarre, e la maniglia è il baffo. Il problema sta un po’ nei materiali: c’è del macassar, poi devo ancora stabilire quale altro tipo di legno ci sia; c’è un legno laccato, e voglio mettere delle scaglie di bakelite, poi c’è del cristallo, ci sono le luci ...le scimitarre sono di cristallo molato». “Saranno costose…” Affermo. «È soprattutto la molatura che costa». “Tornando alla tua didascalia, ti riferisci ai bottini di guerra? Sai cosa credo? Se guardo il tuo disegno è fiabesco, mentre quando leggo la frase che descrive il tuo personaggio: lui indossa l’armatura da guerriero e si veste di una violenza spesso spietata”. «C’è sempre un grosso contrasto. Lo so». “Una forte dicotomia fra pensiero e immagine. Eppure credo che tu sia lì, che in questa polarità ci sia la tua essenza, il più e il meno”. «La doppia faccia, se vuoi, faccette diverse e anche opposte… Forse c’è anche da dire che c’è un’unità in tutte queste cose: l’apparenza irenica di una cosa molto spesso nasconde invece un’enorme brutalità. È un gioco dispari, è un gioco di scenografie». 62


del 2012 L’effetto teatrale creato dal paradosso di una componente di incanto insita nella conquista del potere: una straordinarietà che crea bellezza. «Io sono anarcoide, odio il potere ma ne sono estremamente affascinato, addirittura affascinato dalla violenza del potere». “Perché è come se sapessi che è l’unica strada. L’hai anche scritto”. Gli ricordo. «È l’unica strada. Nonostante io sia anarchico di base, e detesti il potere e l’autorità, poi alla fine mi lascio captare, perché ha un fascino incredibile, ha un fascino mortale. Io lo rappresento per come il teatro della vita me lo fa vedere…». “Lo scenario attraverso cui interpreti le gesta della vita è però quello dei Sogni Mobili®, sogni fiabeschi che viaggiano, persino materialmente”. «Perché c’è anche questo suo lato molto bello, questo sadismo se vuoi. Il sadismo della bellezza». La conquista del trono! E poi il piacere che nasce dal dolore altrui e che rappresenta forse il più tenebroso mistero della mente umana. E questo sovrano mongolo, fra i fasti della sua corte, diede vita al più vasto impero della storia umana.

Il rendering e i disegni di Temujin®

Temujin, o Gengis Khan richiederebbe più che una nota un trattato, anche solo per essere descritto nelle basi schematiche delle sue azioni e del suo pensiero di grande complessità politica. Fa parte di una categoria di grandi e atroci personaggi, di quelli che spostando il mantello distruggono vite e città e, nello stesso modo, creano ricchezza, potere e splendori artistici. La violenza e l’orrore sono sempre in filigrana a queste vite di titani e creano il drammatico ma affascinante chiaroscuro delle loro storie.

63


Sga-belli ®

I suoi “Sga-belli®” mi ricordano un po’ lo stile della rinascimentale sedia savonarola verniciata con una patina mendiniana, e Gianni mi conferma che l’ispirazione formale arriva proprio da lì. «In effetti, sono cinque e sono delle Savonarola. Ci sono Fio-Rola®, Tina-Rola® la Savonarola con i fiori, Bis-Lola®, Co-Rola®, Hana-Rola® ....sono i miei famosi Sga-belli. Però qui non ci sono storie». “In quale materiale le immagini realizzate?” «Sono pensate tutte in plexiglas, da realizzare in strati successivi di plexiglas, anche di colori contrastanti». Sono sgabelli molto troneggianti. Dobbiamo immaginarci seduto un religioso, un politico o un predicatore italiano, non necessariamente appartenente all’ordine dei frati domenicani, e soprattutto che non profetizzi sciagure per l’Italia? Potrebbe insomma lasciarla immaginare a noi la storia, questa volta… Certo per trovare fanatici religiosi non bisogna guardare lontano, ma il colore e la trasparenza del plexiglas mi porta – con un certo sollievo – a una dimensione più leggera, e io scelgo questa strada, sempre. I rendering e i disegni degli Sga-belli® Savonarola

Sga-bello TINA-ROLA® 64

Sga-bello HANA-ROLA®


nati fra il 2012 e il 2013

Sga-bello FIO-ROLA®

65


Sga-belli ®

Sga-bello BIS-LOLA®

Uno schizzo cancellato (sotto) dello Sga-bello® Savonarola, parte della collezione composta da 5 modelli: Fiorola, TinaRola, Hana-Rola (nelle pagine precedenti), BisLola e Co-Rola (in queste pagine).

66


nati fra il 2012 e il 2013 Tra gli sgabelli c’è un Fiorola che unisce alla severa sedia che prende il nome dal monaco che afflisse Firenze fino al 1498 prima di essere impiccato e arso, la leggiadria del mondo floreale, ma non possiamo pensare senza gratitudine ai Palleschi che, stanchi del giogo (micidiale per l’arte, la cultura e il piacere di vivere) dei Piagnoni, un bel giorno presero d’assalto San Marco e si liberarono del governo del bigottismo e del fanatismo religioso, ahimé, non una volta per tutte. Il rendering e i disegni degli Sga-belli® Savonarola Sga-bello CO-ROLA®

67


Rocco - Ko è un buffet ®

Ho la sensazione che stia prendendo forma un mosaico, fatto di tante piccole tessere, ma è certamente il mio puzzle più difficile, eppure è proprio questo a stimolarmi. È l’armonia del prima e del dopo, dei contrasti che non vengono eliminati ma armonizzati, mentre si connettono infinitesimali tasselli della memoria che caratterizzano singoli periodi dell’intensa vita di Gianni Bologna, ognuno dei quali è “personificato” da un Sogno Mobile®. Il personaggio Rocco-Ko® è davvero “delicato” da raccontare. «Qui te lo posso dire e non te lo posso dire: diciamo che è un po’ una storia, …cerca di capire, “di grembiulini”, su cui mi capita di ricevere delle informazioni. E mi sono divertito a fare un’apologia di reato, riguardo la mafia, perché di fatto io potrò accettare delle critiche a certe mie asserzioni del tipo “in fondo è un’associazione benemerita come tante altre,” soltanto quando qualcuno mi farà delle considerazioni reali, invece, sulla mafia che ci governa a livello internazionale…». Il sovrapotere del potere “apparente”, che comunque fa i suoi danni molto reali! «Allora, mi sono divertito a immaginare una cosa allegra su questo epifenomeno che è la mafia, la mafia siciliana, piuttosto che quella calabrese, cinese, milanese, piuttosto che torinese, mi sono divertito perché ho detto: è un epifenomeno tale rispetto alle mafie vere che ci gestiscono e che gestiscono tutta la propaganda, che ci fanno bere l’informazione, che ho detto sapete cosa c’è di nuovo? Beh, che adesso mi diverto. È un epifenomeno che io interpreto visto nella sua sede naturale che è la mia adoratissima Sicilia». E allora andiamo in Sicilia con la frase che Gianni ci racconta di Rocco-Ko®. «Un epifenomeno che comunque garantisce qualche cosa che viene tacciato, giustamente, di essere senza scrupoli, perché se si ammazza qualcuno certo non si fa una bella cosa. Comunque la frase che “regge” il ritratto del mio “Rocco-Ko” è questa: “I miei fratelli? Quelli lavorano in Banca… Quelli con Sitti o Vallestrit così sono. Pappaeciccia. I miei cugini? Quelli da un pezzo non li vedo. Organizzano eventi, mitting, riunioni soprattutto di certi circoli di cui non ricordo i nomi… tipo Bil- Bilde-un-qualcosa …non so …Le mie sorelle? Che ne so? Sette ne avevo, ma da quando quattro partirono per la guerra in Irak e tre per quella di Libia io più niente so. Noooo, non le ammazzarono certo non le ammazzarono, forse nel business staranno. Qualeee? Bbbeh, guardiamoci negli occhi ...intendiamoci …non parlo. E non mi chiedere se la mia mamma (morta, mortissima) è stata fatta santa (santissima è!). Cicciobello ma che dici! Noooo…il Nuovo Ordine Mafioso, pardon Mondiale è”. 68


di fine 2013 Evoluzione

del tardo Barocco, alla metà del Settecento, stile molto francese, il Rococò rappresenta in un certo qual senso una degenerazione, un concetto negativo, una decadenza. Non a caso quella musica degli ultimi anni Settanta che rimasticava una decadenza di verlai-niana memoria veniva spregiativamente definita Rockoco. Difficilmente potrebbe essere più esplosivo il suo abbinamento con un nome forte e “terrone” e con un’iconografia classica della “mafia”, quasi consolatoria, rispetto ad altre, più potenti mafie che governano la grande storia.

I disegni e il rendering di Rocco - Ko®

Però, io accetterò le critiche a questi mafiosetti quando verranno criticati anche quelli che stanno ben al di sopra di molti uomini “di potere” che potremmo anche definire solo burattini». Certo, il pensiero è rivolto a quegli uomini, ad esempio, anche se mi inorridisce pensare che siano fatti come gli altri, come noi, che “producano” le guerre… «Ad hoc, per soddisfare magari l’industria militare». Adesso rischia di accendersi un po’ anche il mio animo – ma paradossalmente i suoi disegni giocosi mi rasserenano –, che poi su certe cose, tipo le Torri Gemelle, se ne sono dette di falsità. «L’espressione della violenza non è qualcosa che io amo particolarmente, però, in qualche modo, quando vedo qualcuno che la perpetra, nutro ogni volta un profondissimo amore-odio. In qualche modo mi affascina». Potere dunque, sempre il potere …a cui guardando a questo buffet, vorrei aggiungere il termine francese baroque che ci riporta ad aggettivi più giocosi come stravagante, bizzarro, anche perché constato una certa distanza fra la descrizione letteraria e il disegno quasi fanciullesco che le dà corpo sulla carta. 69


Liz of all pirates è un truméau ®

A proposito di guerre e domini. Molti dei suoi disegni parlano di potere… «…e della sua violenza. Per esempio, questa qui è Liz of All Pirates®, è la Regina Elisabetta I». E “Liz of all pirates” è visibilmente una regina: truméau della primavera 2013, che nella sua opulenza, afferma di non aver mai incontrato un pirata! E la sua rappresentazione figurativa, che per Elisabetta I è regale, vive con la relativa annotazione, in questo caso in inglese: «“Francis… Who??? In the name of Allmoney the Allmaziful, the Everliving, the Bringer of all Tudorabilities, haloed be her eve, her singtime sung, her rill be run unhemmed as it is uneven. I definitely think we’ve never met before, Sir!”.

70

Perché la Regina Elisabetta I, che è stata probabilmente la più grande monarca che l’Inghilterra abbia mai avuto, ha cominciato l’espansione del suo Paese, attraverso un pirata, Francis Drake. Infatti, il testo – e questo mi rendo conto, Sonia, che è difficilissimo da spiegare – inizia con “Francis who?” Perché lei ha sempre fatto finta di non conoscerlo, e poi finisce con “…senz’altro penso che noi non ci siamo mai incontrati prima”. Nonostante lei sia diventata miliardaria grazie a lui lo ignora, l’ha fatto Sir ignorandolo, continuando a ignorarlo». Ho visto uno dei film dedicati a lei. I giochi di potere sfiorano l’inverosimile… difficile immaginare sin dove possano spingersi! «…e dietro a che cosa si nascondano poi, tra l’altro, perché lì c’era un forte fattore religioso. Infatti, le mie tre righe di dedica son tratte da “Finnegan’s Wake” di James Joyce, molto complesse però da trasferire. In ogni modo, lì rinasce la parte irlandese di me. Lui ha scritto questa frase che io ho in parte cambiato, perché è una sua interpretazione delle prime righe del Padre Nostro. Se tu leggi in originale “Finnegan’s Wake” le trovi, le pronuncia la protagonista che si chiama Anna Livia Plurabelle (In the name of Annah the Allmaziful, the Everliving, the Bringer of Plurabilities, haloed be her eve, her singtime sung, her rill be run unhemmed …). E io ne ho leggermente modificate alcune parole, dove ho fatto intervenire la presenza di money e Tudorabilities». Pietro Ferrari, che probabilmente insieme a Gianni è fra i pochi che hanno letto “Finnegan’s Wake”, mi riferisce che di questo romanzo si dice che non sia più arte ma follia, perché c’è una tecnica combinatoria delle parole che si trova già nell’Ulisse – uno dei grandi cardini del romanzo contemporaneo – che qui è portata all’esasperazione. Di fatto Gianni qui vola davvero in alto, si tratta di una sua interpretazione portata avanti da una modifica che Joyce aveva fatto sulle prime righe del “Padre Nostro” in Inglese. Joyce, aveva scritto “of all plurabilities” citando il nome di Anna Livia Plurabelle, ma in “Liz of all pirates®” di Gianni diventa Tudor o meglio Tudorabilities, perché Elisabetta I era della casa reale dei Tudor. Insomma, lui – potendolo fare – si è divertito a giocare con Joyce! “Quando tu immagini figurativamente il mobile che stai disegnando, ci sono degli elementi cardine da cui parti?” Gli chiedo. «No, è la matita che va da sola». Invece, guardandoli, io trovo che ci siano degli elementi più forti: pensavo che potesse esserci qualche simbologia; come ad esempio i proiettili nelle ali di “Cavallo Pazzo”, ovviamente arrivano dal pensiero della guerra, purtroppo quella che viviamo. “Quale elemento caratterizza la tua Liz?” «La gonna con i forzieri dei pirati. Saranno tutti in bronzo come i cannoni».


della primavera 2013 I disegni e i rendering di Liz of all pirates®

Il Fascino irresistibile della “Regina Vergine”, fastosamente riproposto a cavallo del Millennio dalle pellicole di Shekhar Kapur, si accoppia qui con la remini-scenza della profonda liturgia della parola creata da James Joyce. “Finnegan’s Wake” lasciò desolati gli amici del poeta che faticosamente avevano metabolizzato l’Ulysses e di certo non aspettavano un balzo così radicale nel futuro della scrittura, ma l’ambiguità del rapporto tra quello che fu forse il più grande regnante d’Inghilterra e il mondo maschio, sudato e crudele della guerra di corsa e dei suoi capitani c’entra qualcosa in questa sovrapposizione e reintegrazione della parola.

Rispetto al disegno nel quale aveva una testa un po’ più “morbida”, la Regina Elisabetta I nel rendering è “decapitata”: questa almeno è la mia lettura. È così? «Sì, ha la corona ma non ha la testa». Tutta quella ricchezza le ha fatto perdere la testa? «Non ha la testa. Gli ho tolto la testa e gli ho messo solo una corona; ma non saprei darti un’interpretazione precisa, il disegno si completa via via, ma poi magari, successivamente, cambia ancora». Oltretutto questo disegno, in cui Liz è munita della testa, è uno schizzo iniziale, poi le forme si sono evolute: “la corona non gliela potevi togliere, perché gliel’ha riconosciuta la storia, ma la testa sì, almeno simbolicamente?” «Gliel’ho tagliata, come lei ha tagliato la realtà su Francis Drake». 71


Iftah ya sim sim è un guardaroba ®

Ormai siamo al presente, almeno rispetto alla creazione dell’opera. «In effetti, questo è molto recente ed è Ali Babà, è un guardaroba, che io ho chiamato con l’espressione “Iftah ya sim sim®” che in arabo classico, quello delle Mille e una Notte, significa Apriti Sesamo e questo è un “Alì Baba” un po’ perso di fronte a qualche cosa che non appartiene alla sua vita, che si trova davanti inaspettatamente. “Il sole ardeva troppo impietoso, il khamsin lacerava la pelle e le pupille, e l’arsura era così straziante che non gli riusciva di capire se ciò che luccicava nel fondo del Sesamo fosse realmente tutto oro e quanta e quale sete potesse dissetare quel metallo, non gli riusciva di immagine quali e quanti Dei potessero avergli inviato quella sorte… proprio a lui, così penosamente terreno. Gli Spiriti dello Hadramaut sono noti per i loro inganni crudeli, pensava, eppoi quel profumo così intenso e così avvolgente di incenso omanita, così subdolo, perché proprio lì, in quel momento e così tanto lontano dalle terre di Salalah? Che sia vero che la vida es sueño?”. Era figlio di una famiglia miserabile lui: era un legnaiolo, quindi l’idea di una simile ricchezza lo travolgeva e gli sembrava impossibile che qualcosa di prezioso potesse toccare lui». Il prospetto frontale del guardaroba arricchito di un sipario a drappi lignei apre la fantasia e indurrebbe a pronunciare la formula magica: “Apriti, Sesamo!” Ed eccoci catapultati in un’altra storia che promette di nascondere al suo interno grandi tesori e magari una buona samaritana che li custodisca.

72


del 2015 Nell’Alì Babà e i quaranta ladroni (da cui Ifiham sim sim “apriti sesamo”) l’atmosfera è quella della celebre raccolta di novelle orientali “Le Mille e una Notte”, anche se questo racconto di origine persiana non ha mai fatto parte della silloge regalata all’Europa dal francese Antoine Galland e da vari traduttori inglesi. Naturalmente la fantasia grafica e iconica si libera nel contatto con un materiale così potente. Ma il delirio linguistico raggiunge i vertici quando pensiamo che in Iraq, i militari americani chiamano Alì Babà i ladri e i saccheggiatori scoperti durante le operazioni di guerra e li trattano piuttosto rudemente.

I rendering e il disegno di Iftha ya simsim® 73


Cavallo Pazzo è una libreria ®

Una parte cruciale della creazione di Gianni Bologna nasce quando pensa alla storia di un personaggio che conosce, ma come si intrecciano le due sfere: la sua interpretazione rispetto il personaggio che la ispira? Vorrei capirlo... «“Cavallo Pazzo®”, ad esempio, libreria dell’estate 2015, è dentro di me fin dall’infanzia, perché io fin da bambino mi sono sempre vestito da indiano, ho sempre avuto il teepee e il calumet, ho anche le fotografie di me bambino vestito da “Cavallo Pazzo” ed è una cosa che mi porto dentro da sessant’anni. Poi a un certo punto mi viene in mente in maniera molto precisa, molto forte, per qualche ragione strana, “Cavallo Pazzo®”». Quest’ultima estate, …da quanto ricordo, dopo il nostro incontro e l’idea di creare questo racconto, sembra che qualcosa abbia riacceso in lui la fiamma di questa sua grande passione. «Quest’estate a Essaouira, sì, mi è venuta in mente questa cosa e ho cominciato a disegnare e siccome conosco piuttosto bene la storia di “Cavallo Pazzo®”, perché la passione per il pellerossa mi è rimasta anche durante gli anni dell’Università, quando ho dovuto fare un corso monografico sulla civiltà americana; l’ho sempre ritenuto un soggetto rappresentativo per me. E, a differenza dei miei compagni che si occupavano di altri temi, ho scelto un corso monografico, che era a mia scelta, sulle civiltà native. Conosco quindi abbastanza bene la storia di tutte queste tribù: è una storia interessante di popolazioni molto diverse tra di loro. Quest’estate mi è tornato in mente “Cavallo Pazzo®” e ho voluto provare a mettere giù qualcosa, ovviamente, però, mentre disegnavo ho subito istituito una relazione con la mia raffigurazione: “Ormai da tempo non ci sei più tu, Popolo Nativo, sotto il sole e sotto la neve delle tue praterie senza fine. La gloria di Little Big Horn e il dolore di Wounded Knee? Li devi cancellare per sempre, come se non fossero mai esistiti. Senza sperare nella giustizia del Tempo poiché la Storia scritta dai Vincitori è sempre vergata con l’alfabeto dell’inganno, in eterno bugiarda. Su questo pianeta ci sono sempre pianure e foreste da desertificare, ci sono sempre terre da vuotare e menti da sterilizzare e uomini da uccidere, ovviamente. L’importante è non sapere. Mai. In assenza di conoscenza la speranza sopravvive. E si acquiesce al Dominio. L’imperativo è ignorare. O fare finta di… O magari provvede Manitù”. Soprattutto, fare la tara su quanto ci dicono, perché poi di base, e questo vale per George W. Bush Sr., per Dick Cheney, per Donald Henry Rumsfeld, eccetera, ci 74


dell’estate 2015

Il primo disegno di Cavallo pazzo® di cui segue l’evoluzione stilistica finale

Aveva soltanto 37 anni, quando, nel 1877, in un confuso tentativo di arresto, un semplice soldato lo ferì alla schiena con una baionetta. Questo eroe per il popolo Sioux e incubo per i soldati della Cavalleria Americana, sarebbe stato consegnato meno fulgidamente alla storia e alla leggenda senza questo nome (Crazy Horse in Inglese o Tashunta Uitko nella lingua Sioux Lakota), simbolo di rivolta, ma di rivolta istintiva, spontanea, violenta certo ma giustificata da un’oppressione mortale. Di ”Cavalli Pazzi” plebei sono state poi piene le cronache della riottosità urbana, ma con un fascino decisamente inferiore.

sono sempre pianure e foreste da desertificare e terre da vuotare, vedasi Siria. Io stavo leggendo delle cose sulla Siria in quel momento e menti da sterilizzare». “Il passato che torna nel presente?” Eloquente il riferimento alla Siria, gli dico. «La storia che i nativi hanno vissuto la stiamo rivivendo anche noi, perché è così che si acquisisce il dominio». “E non c’è un modo mite per farlo?” Gli chiedo. «No. Di fatto no, mentre io disegnavo quello che tu ora stai vedendo, pensavo all’Isis, piuttosto che a chi lo finanzia o a perché ci mandano qui milioni di profughi. Quindi “Cavallo Pazzo®” era in me, però “Cavallo Pazzo®”, io lo vedo ad Aleppo anche adesso». Nonostante l’ispirazione nasca dal sopruso più estremo, oggi nelle forme più inconcepibili, “Cavallo pazzo” nasce a colori. “Forse perché era in te da bambino? Ma adesso assisti a questo nuovo terribile capitolo della storia dell’umanità e questo cambia le sembianze del tuo cavallo?” Cerco un cavallo quieto mentre gli pongo queste domande, come se così il mondo si potesse di riflesso acquietare, ma non so se ci sia! «È un altro “Cavallo Pazzo®”». Gli chiedo quale sia l’elemento decorativo più forte, guardando le ali.«Non c’è un elemento decorativo che sia più simbolico di un altro, ma quelle ali, mentre ti stavo parlando, mi è venuto in mente come saranno. Sì, adesso le vedo realizzate». Naturalmente sono curiosa di sapere come saranno. «Le farò con il ferro dei carri armati e poi li imbussolerò tutti con dei proiettili e gli metterò un bello stemma della Toyota Land Rover, le vedo già quelle ali...». 75


Cavallo Pazzo è una libreria ®

Cavallo Pazzo®” doveva chiudere la “sfilata” con Gianni bambino! Lui che non è architetto, né si è mai occupato di design, qui ci riporta davanti a quel bivio “ostico”, in cui non sappiamo mai deciderci, fra design e Arte, che di rado possono confluire l’uno nell’Altra …ma a volte accade.. Certo, Gianni Bologna si occupa delle regole dell’estetica, quando guarda al complesso mondo dell’industria tessile e dei consumi a essa collegati, e poi con i suoi voli pindarici crea commistioni culturali sempre inaspettate e regolarmente strabilianti: la bellezza gli è familiare, lui se ne deve nutrire per vivere, come potrebbe rinunciarvi? E senza dubbio, ha per formazione un punto di vista semiotico su ciò che lo circonda, anche nel suo quotidiano, come i suoi mobili antichi che contrappone a elementi moderni, creando degli spazi armonici e originali. Nel suo studio ci sono dei mobili disegnati da lui nell’88-89, poi fatti fare da un mobiliere, e c’è una pastiera comperata da un’amica quando ha “smontato” il suo negozio: i vari formati di pasta venivano comprati a peso. C’è anche un mobile ottocentesco da farmacia appartenuto a un convento. E una porta di Salisburgo! Lo specchio invece era un oggetto estremamente rococò di Palermo. «...era talmente pesante e pieno di quest’oro che abbiamo cominciato a dargli dei colpi e a sverniciarlo». Una panca seicentesca di origine austriaca è posta all’ingresso. E c’è un tavolo che era nato per la cucina con una serigrafia su vetro, e qua e là cornici vuote del diciassettesimo secolo, che poi pian piano si sono riempite d’altro. C’è anche uno scrittoio piemontese dell’Ottocento del nonno veterinario di Gianni. Elementi che tracciano il suo percorso, riflessi dei Sogni Mobili®. Non c’è una progettazione preconcetta, ma ambienti riempiti con le cose che vengono usate o che piacciono, spazi fatti di cose scompagnate, ma in una relazione fra elementi, oggetti e mobili, che gradualmente si sono armonizzati. Insomma, Gianni Bologna ha anche l’anima dell’architetto e in qualche modo la sua abitazione, il suo studio e i suoi Sogni Mobili® sono contraddistinti dallo stesso “temperamento”, sono avvolti tutti in quell’atmosfera decisa eppure accogliente, calda e amabile. Un lato della sua identità che ci porta alla terza parte del Grand Tour di Paola Govoni e all’anima delle cose e dei luoghi “Nel cuore del vulcano”. Potete tuffarvi senza indugio, sarà un battito d’ali delicato, come quello di una farfalla, sarà un volo dolce e leggero, sarà un ritorno a casa; che sarà un po’ anche la casa di Gianni Bologna …almeno nel senso del genius loci plasmato a propria immagine e somiglianza, proprio come per Cesar Manrique, protagonista dell’ultimo racconto di Paola Govoni. 76

La versione finale di Cavallo pazzo® è rappresentata in questo disegno, insieme alla foto di Gianni bambino vestito da pellerossa, ma anche di lui oggi ...che “si osserva” lungo la proiezione temporale di una vita, e come sarà trasparso questo Personaggio gli appartiene più di tutti gli altri


dell’estate 2015

77


GRAND TOUR parte terza

NEL CUORE DEL VULCANO

I luoghi hanno un’anima. Di questo, l’architetto era profondamente convinto, come del fatto che gli uomini fossero sempre meno abituati ad accostarsi ai luoghi con rispetto, per respirarne gli umori e i sapori, e ormai quasi del tutto incapaci di riuscire a coglierne l’essenza. A chi lo sa ascoltare, lo spirito del luogo parla attraverso la terra e le pietre, le argille, i legni, le vene preziose nella roccia e l’energia primordiale dell’acqua e del fuoco.

Nato in un’isola dell’oceano generata dai vulcani, l’architetto sognava di ritornare un giorno alla bellezza sulfurea della sua terra per ritrovarne la luce, i colori e i profumi e immaginava di costruire là una casa plasmata nella roccia, luminosa e fluida come lava, una casa senza spigoli, costruita nel cuore di un vulcano spento. Questo pensiero gli aveva tenuto compagnia nei lunghi inverni metropolitani trascorsi in paesi lontani e aveva riempito le sue giornate di studio e di lavoro nei tanti luoghi dove aveva vissuto, in giro per il mondo. Arrivò il momento di ritornare a Lanzarote e Cesar Manrique si mise alla ricerca di un luogo per sé e per la sua casa. Giunse nella parte settentrionale dell’isola, la più selvaggia e battuta dai venti, dove si stendevano a perdita d’occhio coste nere modellate dall’abbraccio del mare. Abbandonò la strada e si avviò lungo un sentiero scavato in uno dei tanti torrenti di fuoco che, scendendo dalle pendici del vulcano, si erano spenti nelle acque scure dell’oceano milioni di anni prima. Il luogo era aspro e affascinante. Esplorando tutto intorno, non tardò a individuare nel terreno una serie di cavità, cinque bolle che si aprivano nel fondo della colata lavica. 78


di Paola Govoni

Con gli occhi della mente, l’architetto vide in quel luogo la sua casa, i muri bassi intonacati a calce, le grandi vetrate spalancate verso il cielo e le rampe di scale scavate nel basalto. Piante dalle grandi foglie lucenti e palme che, dalla profondità della terra, salivano dritte verso il cielo a catturare la luce di un sole caldo che illuminava i grandi divani e l’eleganza raffinata degli arredi. Poco più avanti, la vegetazione s’insinuava in un anfratto della roccia vulcanica, lasciando intravedere un’ampolla d’acqua trasparente cui il fondale conferiva riflessi di un verde intenso e brillante. L’architetto rimase a lungo a osservare quelle trasparenze di smeraldo, poi allungò la mano nell’acqua fredda e limpidissima e si sentì attraversare da un’energia nuova e benefica. Fu in quel momento che decise che avrebbe costruito lì la sua casa senza spigoli, nel cuore del vulcano. Casa Museo Cesar Manrique, Isola di Lanzarote, Canarie.

79


Linfa di questo racconto è stata anche l’anima Pop di Gianni Bologna. Non solo quella dei suoi mobili-fiaba in chiave molto fantasmagorica che nascono dalle sue frasi, frutto della sua immaginazione, al punto da essere prive di ogni riferimento stilistico, almeno secondo lui. Eppure straripano d’ispirazione secondo me, e lo sottolineo. «Il Pop un po’ fiabesco mi ha sempre ispirato …e anche l’idea di interpretare le fiabe ottocentesche dei Fratelli Grimm» diceva all’inizio di quest’avventura, nelle prime pagine. Senza la pretesa e la presunzione di dover racchiudere dentro una parola lo stile di Gianni Bologna, vorrei aprire questo dibattito, mi sento di affermare che il segno dei suoi sogni tocca la sfera emotiva di chi guarda i suoi disegni, mi spingo a definire a tratti quei modelli di impronta barocca-mendiniana, con una reminescenza postmodernista. Penso ad esempio al Gruppo Memphis degli anni ’80, con quei tratti distintivi a colori vivaci e quelle forme geometriche sapientemente kitsch. Al Movimento Bolidista, fondato nel 1986 a Bologna, che si contraddistingue all’inizio per un originale approccio caratterizzato da un accentuato dinamismo delle forme, derivato in parte da citazioni futuriste e dello streamline americano ma anche da precedenti ricerche sulle forme organiche e su riferimenti all’architettura degli anni trenta e al mondo dei fumetti: ponendosi come naturale ma anche antagonistica prosecuzione dell’esperienza dei gruppi Memphis e Alchimia, alla fine degli anni ’80, il movimento bolidista viene considerato come l’ultima parola in fatto di design italiano. 80

Sonia Maritan

Gianni Bologna

CONCLUSIONI

C’è nei Sogni Mobili® una stratificazione di pensieri, un concentrato di elementi, una moltitudine di suggestioni. D’altra parte, i suoi disegni sono legati alle favole, no!? Domanda che non posso che rivolgere a lui. «Sì, secondo me i mobili sono la creazione di un mondo fiabesco, sono anche stati chiamati Sogni, può anche essere che abbiano dei lati che possono portarli a essere un po’ Pop ma, di fatto, io non lo so. Io ci vedo qualcosa di più narrativo che non rappresentativo: narrativo è la parola giusta, fiaba è la parola giusta, perché la fiaba è una cosa che una persona s’inventa. È una narrazione in forme». È una narrazione in forme ma anche in parole: pensieri (ogni disegno nasce da una citazione) da cui quelle forme scaturiscono, osservo ancora. «Di base è narrazione, secondo me, ma non è solo fantasia perché è possibile fare delle narrazioni su dei personaggi che sono realmente esistiti. Senza però raccontare tutto quello che il personaggio ha vissuto, proprio perché io ne scrivo e disegno un racconto sotto forma di forme». Ogni volta che guardo i suoi disegni, scopro un nuovo dettaglio; quella cornice, quel decoro, quel tocco di colore, come se fossero stratificazioni di pensieri e di fantasie: forme da cui sgorgano altre forme.


Certo, Gianni Bologna non opera per sottrazione, e questo concettualmente mi porta all’opulenza del barocco, verniciata con una nuance mendiniana! Alessandro Mendini di se stesso ha recentemente detto: “Io sono condannato all’ergastolo per il reato di ornamento”. Gli chiedo, allora se concordi sull’idea volutamente Pop che trasmette. «Dev’esserci un termine nuovo da inventare: moderno». Pier Paolo Pezzillo sostiene che «alcuni personaggi della storia sono diventati per molti anche dei sogni, perché la stessa “Regina Elisabetta I” nella sua vita è un personaggio, è una persona molto dura, però c’è chi sogna di essere in qualche modo “Liz of all pirates®”, piuttosto che essere “Tamerlano®” o un altro personaggio dei Sogni Mobili®, e quindi sono diverse le forme dei sogni, anche rispetto lo sguardo altrui». E Gianni Bologna lo incalza «La forma delle forme dei sogni». Io colgo un linguaggio onirico e polisemantico, come se i suoi Sogni Mobili® si svolgessero tutti, proprio come in “Finnegan’s Wake”, interamente all’interno di un sogno: i suoi sogni hanno un volto, trasmettono una forte identità, sono mobili parlanti, che raccontano... E lo fanno a colori, con un linguaggio semantico intenso e un formalismo incisivo. In un complesso di stimoli visivi che circondano l’uomo contemporaneo, che divengono liquidi e totalizzanti nella rete immateriale e super

Pietro Ferrari

Paola Govoni

I Mobili raccontano...

ficiale del web, che a volte esaspera l’assenza della presenza; lui ristabilisce l’esistenza di un personaggio con tutta la forza della sua presenza materiale. Adesso c’è, lo posso toccare: esiste davvero ed è reale! Questo in un certo senso ha a che fare con la Pop Art degli anni ’80 in chiave contemporanea. «Il Pop, la parola “pop” mi porta immediatamente a un certo tipo di disegno e di artista, da Andy Warhol ai Beatles, spazia dal disegno alla musica, all’architettura di Friedensreich Hundertwasser che posso definire un po’ Pop, ma anche moderna». L’energia creativa del transautomatismo di Friedensreich Hundertwasser? In questo senso prima si diceva moderno! Allora potremmo parlare invece che di transautomatismo, riguardo i Sogni Mobili® di “transonirico” perché i suoi mobili mi hanno fatto sognare, e poi riflettere, scrivere e immaginare il loro successo. Come dice Piero Dorfles, tra parola e immagine la distanza è enorme, come accade per certi versi anche in Gianni, ma per lui il disegno è immagine del pensiero, un recupero dell’espressività sintetica, forse, anche perché «oggi significato (immagine) e significante (manufatto) si sono scambiati i ruoli e viene prima l’immagine e poi il manufatto gli corre dietro», come ci ricorda Jacopo Ascari. Ancora non sappiamo come saranno i Sogni Mobili® in scala reale e a tre dimensioni, anche se io ne ho costruito la mia immagine ormai, ma crediamo che averne parlato abbia aggiunto qualcosa che cambierà il corso degli eventi, o forse gli darà forma …ma questa è un’altra storia. 81


“Dammi meglio la mano e prometti di ritornare in sogno …Se solo, quando giunge mezzanotte, mi mandassi un saluto con le stelle…”

A. Akhmatova “IN SOGNO” scelto per la chiusura del libro da Gianni Bologna 82


COLOPHON FARE ITALIA n.3 FARE ITALIA numero tre

I SOGNI MOBILI di GIANNI BOLOGNA®

PREFAZIONE di Mariadele Mancini writers: Gianni Bologna, Pietro Ferrari, Paola Govoni, Mariadele Mancini, Sonia Maritan.

FORMAT e TESTI di Sonia Maritan

editor in chief: Sonia Maritan

3 RACCONTI di Paola Govoni 21 CAMMEI di Pietro Ferrari

editrice webandmagazine s.r.l. sede legale: Via Giacomo Leopardi, 14 - 20123 Milano Italia sede operativa: Via Valla, 16 - 20141 Milano Italia telefono +39/02 84173130 - telefono +39/02 84173121 (marketing) fax +39/02 42101945

amministrazione@webandmagazine.com www.webandmagazine.media www.webandmagazine.com the international web site

NOTIFICHE LEGALI Il presente manoscritto non può essere riprodotto in nessuna sua parte senza autorizzazione scritta dell’autrice o di Web and Magazin. Non esistono altre licenze, né implicite né espresse, per riprodurre una qualsiasi parte del presente manoscritto o di qualsiasi disegno o rendering in esso contenuto, al di fuori della licenza scritta e firamta di chi lo ha ideato e realizzato: il suo contenuto è protetto dalle leggi sul Copyright, comprese le foto, i rendering e i disegni.

Registro degli operatori di comunicazione - roc 23567

DISEGNI e GENESI-PENSIERI di Gianni Bologna RENDERING di Emanuele Nebuloni Si ringraziano: Jacopo Ascari, Simone Acquistapace, Stefano Cervini, Pietro Ferrari Paola Govoni, Mariadele Mancini, Liliana Nori, Pier Paolo Pezzillo, Antonio Vigliante.

Un ringraziamento particolare all’arte digitale di Emanuele Nebuloni, Studio ZoneLAB, per le realizzazioni dei rendering. In copertina il disegno di Big Joan di Gianni Bologna e il marchio registrato “I Sogni Mobili di Gianni Bologna®” per la linea de I sogni Mobili® a cui fa capo ogni mobile/personaggio. 83


I SOGNI

MOBILI

di GIANNI

BOLOGNA 84


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.