ZABAIONE NUMERO 4 ANNO XVI GIORNALISMO INDIPENDENTE AL PARINI DAL 2006 GENNAIO MMXXII
EDITORIALE
A SCUOLA, MORTI DI LAVORO
C
ome parlare della morte di un ragazzo? Si rischia farne un martire, partendo per una crociata contro un sistema ingiusto. Oppure si rischia il patetismo, piangendo l’individuo senza risolvere la serie di problemi che ha portato alla sua morte. Come parlare di Lorenzo Parelli, dunque? Innanzitutto partiamo dai fatti. Lorenzo non è morto per colpa dell’Alternanza Scuola-Lavoro: malgrado quanto affermato dall’ANSA e da varie testate nazionali, basta cercare sul sito della sua scuola per scoprire che frequentava un CFP, un centro di formazione professionale, dove gli studenti seguono un percorso duale tra scuola e azienda ed è in questo contesto che Lorenzo è morto. L’anno scorso in Italia sono morti 1404 lavoratori e di morte sul lavoro si tratta in questo caso; Lorenzo stava facendo uno stage in azienda e la macabra lotteria ha scelto lui. Usare questo caso per chiedere l’abolizione dei PCTO è pigro e disonesto, perché non è lì che sta il problema; certo, che il sistema dei PCTO sia assurdo e troppo spesso disfunzionale è verissimo, ma non si arriverà a cambiamenti radicali usando un esempio sbagliato. Che agli studenti di un centro di formazione professionale serva formazione professionale mi sembra piuttosto ovvio, il primo problema si pone sul come: gli istituti non sono in grado di offrire una preparazione adeguata al contesto lavorativo e quindi devono appoggiarsi a delle aziende private, attraverso il sistema duale, che al2
terna ore nella scuola propriamente detta e in azienda. La sicurezza sul lavoro in Italia è un problema (in media l’anno scorso sono morti 3,8 lavoratori al giorno) e la morte di uno studente in un apprendistato è tanto una questione di scuola quanto una questione ben più grande sulle condizioni di lavoro in Italia. Non per niente i sindacati hanno fatto notare come queste esperienze di stage riflettano una triste verità sulle condizioni dei lavoratori in Italia: sono esperienze non retribuite in cui, come si è visto, si rischia di morire. Serve un cambiamento, non solo degli stage, ma anche del mondo a cui dovrebbero preparare. Del problema della sicurezza si possono e devono dire tante cose, ma l’opinione di un liceo classico ha una scarsa utilità in molti casi. Di sicuro uno dei problemi è legato a un fallimento istituzionale che va ben oltre il singolo caso. Il sistema scolastico italiano segue la filosofia di affibbiare alla più bassa autorità competente qualsiasi onere, minimizzando il coordinamento centralizzato (e perché no? chi le vuole le scuole tutte uguali!), così facendo, se una scuola deve offrire un programma, il ministero se ne lava le mani e lascia che sia il singolo istituto a risolvere i propri problemi. Questo sistema è lo stesso che ci ha portato il meraviglioso sistema dei PCTO, totalmente privo di un sistema centralizzato e lasciato in mano alle scuole da una parte e agli enti organizzatori dall’altra; in maniera analoga funziona la gestione dei casi covid, ovvero: “vostro il caso, vostro il problema”.
di daniele musatti
Questa è anche una delle cause che ha portato alla morte di Lorenzo: l’assicurarsi che i luoghi degli stage siano sicuri per gli studenti è compito delle scuole, non del ministero o del provveditorato. Sorge spontanea la domanda, chi del personale scolastico abbia una preparazione adeguata a farlo. L’Istituto Salesiano G. Bearzi, la scuola di Lorenzo, afferma sul suo sito di avere 194 dipendenti e 1160 studenti e che le aziende “coinvolte per inserire i giovani” sono 610, non credo serva dire altro. Non si salveranno vite “facendo più attenzione la prossima volta”, il sistema va cambiato, la sicurezza sul lavoro non è un optional, e così la sicurezza degli studenti. Bisogna creare dei meccanismi che rendano quanto accaduto impossibile, per far sì che Lorenzo Parelli sia l’ultimo. Vi piace quello che leggete? Volete scrivere anche voi? Scriveteci su Instagram (@zabaione.liceoparini) per partecipare alle prossime riunioni del giornale, ogni mercoledì alle 14.15 su meet!
SOMMARIO pomeriggi a prosecco e ginPAG. 3 il protagonista inevitabilePAG. 4 parlano di noi...PAG. 6 sos artePAG. 8 una vita come tantePAG. 9 zabarecensioniPAG. 10 zabaoroscopoPAG. 12 zaba in cittàPAG. 12 l'angolo del libertarioPAG. 13 zabaenigmisticaPAG. 14
Gennaio 2022 Anno XVI
Numero 4 ZABAIONE
ATTUALITÀ
POMERIGGI A PROSECCO E GIN
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IL PASSO FALSO DI BORIS di daniele musatti
oris Johnson è il politico perfetto: non c’è scandalo che lo tocchi, è un personaggio talmente divertente che gli si perdona qualsiasi cosa. Boris Johnson è il politico perfetto: è una macchina elettorale, ha portato il partito conservatore a una delle sue più grandi vittorie dell’ultimo secolo, ha coordinato la campagna pro-Brexit, si è fatto eleggere due volte sindaco di Londra, tipicamente di sinistra. Boris Johnson era il politico perfetto. Cos’è successo? Sono settimane che il suo futuro è incerto e le sue dimissioni sembrano essere inevitabili. Tutto è cominciato a fine ottobre, con il caso Paterson. Owen Paterson, deputato conservatore fino a qualche mese fa, è stato coinvolto in un palese caso di lobbying, un problema fin troppo comune nel sistema politico britannico. Johnson, anziché denunciare le pratiche scorrette del collega, ha cercato di far passare degli emendamenti al funzionamento della commissione parlamentare per gli standard (responsabile di controllare il corretto comportamento dei parlamentari, ndr), una mossa che, per quanto sia fallita, ha lasciato dell’amaro in bocca al pubblico inglese. Si è parlato di “one rule for us, one rule for them”, ovvero che i politici conservatori sembrano ignorare le regole quando gli fa comodo. Non sarà l’ultima volta che lo sentiremo. Poi è cominciato il disastro. Il 30 novembre scorso il giornale Daily Mirror ha pubblicato uno scoop: tra novembre e dicembre del 2020 - mentre Londra era nell’equivalente della ZABAIONE
zona rossa - si sarebbero tenute delle feste a Downing Street, sede del governo. Nelle settimane che sono seguite è cominciata una pioggia di notizie, che presto è diventata grandine; le risposte del governo non hanno aiutato. Se prima la posizione ufficiale del portavoce di Johnson era “non c’è stata nessuna festa e tutte le normative covid sono state seguite”, presto è diventata che Johnson non aveva partecipato a nessun ritrovo, poi che aveva partecipato a degli eventi di lavoro, eventi lavorativi che poi stranamente si sono rivelati essere feste, ma il primo ministro di sicuro non sapeva niente, nessuno lo aveva informato che fossero feste, non credeva di star violando regole. Regole decise dal suo governo e annunciate da lui in conferenza stampa. La posizione di Johnson è diventata sempre meno difendibile, tanto che è dovuto andare a scusarsi con la regina Elisabetta per aver partecipato a un “ritrovo” a Downing Street il 16 aprile, il giorno prima del funerale del principe Filippo, mentre la regina, per rispettare le regole del covid, piangeva da sola la morte dell’amato consorte. La soluzione? L’operazione “carne rossa”, un piano per distogliere l’attenzione mediatica dal primo ministro, annunciando un taglio di fondi alla BBC senza riadattare all’inflazione il canone (mettendosi sulla buona strada per la sua futura soppressione) e di voler mobilitare la marina per respingere le navi dei migranti nella manica. “Operation red meat” è stata chiamata erroneamente “operation dead meat”, perché ben quello era, un tentativo morto sul nascere: il segretario alla cultura, Nadine Dorries, ha dovuto
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annunciare in parlamento che i piani per la BBC erano cambiati e la Royal Navy si è rifiutata di avere un ruolo di controllo dei migranti. La situazione adesso è sull’orlo del precipizio, sono in corso un’indagine interna dell’apparato burocratico di Whitehall e una della polizia londinese, i cui risultati potrebbero avere un effetto cataclismico. È giunto il momento delle scelte: Johnson deve decidere se tentare di andare avanti, ferito e con un indice di gradimento infimo, o se dimettersi nella speranza di salvare il salvabile della sua carriera politica; il partito conservatore dovrà decidere se salvare l’uomo che li ha portati alla vittoria o salvarsi la faccia e sperare che l’elettorato dimentichi. Il problema è proprio questo: si dimenticherà l’elettorato di questo scandalo? È difficile da prevedere, perché lo scandalo è uno nuovo, che va a toccare il cuore di una nazione ancora il lutto: mentre il popolo britannico rispettava le regole, il governo sembrava essersi dimenticato del covid, ignorando tutte le restrizioni per godersi i “wine-time Fridays” o le feste “bring your own booze”. Una serie di regole per la gente comune, un’altra per coloro che possono. Detto questo bisogna ricordarsi che le prossime elezioni saranno tra tre anni e partygate sarà ben lontano, sta al partito conservatore decidere se tenersi un Boris al guinzaglio, nella speranza che non commetta altri errori, o se liberarsene, sperando di trovare un sostituto all’altezza. Qualunque cosa sceglieranno non si saprà se è stata la scelta giusta per molto tempo, e non possiamo fare altro che aspettare. 3
ATTUALITÀ
TENSIONI ETIOPI
COSA SUCCEDE IN AFRICA MENTRE IL MONDO GUARDA LA RUSSIA di Caterina borello In Etiopia, la notte dell’8 gennaio 2022, cinquantasei persone sono state uccise e circa trenta sono rimaste ferite in seguito al bombardamento di un campo di profughi nella zona del Tigrai. La dinamica dell’attacco è ancora nebbiosa, ma la responsabilità per questo eccidio è forse attribuibile all’esercito etiope, appartenente ad uno Stato che dal novembre del 2020 si è ritrovato in una sanguinosa guerra civile contro le forze separatiste della regione settentrionale del Tigrai. La contesa vede come opposti nemici il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrai (FPLT) e il Governo Federale Etiope con a capo il primo ministro Abiy Ahmed. Nel novembre 2019, il ministro e il presidente del Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope hanno unificato i partiti in un nuovo Partito della Prosperità. Il FPLT ha considerato questa unione illegale e quindi non vi ha preso parte, e nel settembre 2020, il FPLT ha chiesto al National Election Board of Ethiopia di aiutare il Tigrai a organizzare le elezioni regionali, il quale però ha rifiutato, portando a una reazione del FPLT che ha deciso con gli altri partiti d'opposizione di creare il proprio consiglio elettorale e supervisionare le proprie elezioni regionali. Le elezioni erano aperte agli osservatori internazionali e vi hanno partecipato 2,7 milioni di persone; inoltre il primo ministro ha dichiarato che il governo federale non riconoscerà i risultati delle elezioni e ha vietato ai giornalisti stranieri di recarsi nel 4
Tigrai per documentare le elezioni. La situazione di contesa culmina nella notte tra il 3 e il 4 novembre, quando il TPLF disabilita l'unica linea di comunicazione tra la regione e il resto del Paese. Durante la notte del 4 novembre, il TPLF attacca le basi militari etiopi in Tigrai impossessandosi di circa l'80% dei pezzi d'artiglieria pesante uccidendo migliaia di soldati e prendendo in ostaggio numerosi soldati dell'esercito federale. Così il primo ministro invia le proprie truppe in risposta all'attacco contro le basi militari. Il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrai, tra il 13 e il 14 novembre, lancia dei missili contro vari aeroporti nel territorio controllato dal governo federale, inoltre dichiara di aver preso il controllo di Alamata. Il 17 novembre scade l'ultimatum inviato alle truppe ribelli da Abiy Ahmed. Così inizia la guerra vera e propria. Ritornando a parlare dell’8 gennaio 2022, a quanto pare il motivo dell’attacco è stato lo sciopero nella città di Dedebit, vicino al confine con l'Eritrea, ed è avvenuto nella tarda notte di venerdì. Uno degli operatori umanitari, che ha visitato lo Shire Suhul General Hospital, dove i feriti sono stati portati, ha detto che il campo ospita molte donne anziane e bambini; ha anche riportato che “Mi hanno detto che le bombe sono arrivate a mezzanotte. Era completamente buio e non potevano scappare”. La notizia è stata data la mattina stessa, in un post su Twitter da
Getachew Reda, un portavoce del Fronte di Liberazione Popolare del Tigrai (TPLF), ha affermato che “un altro insensibile attacco di droni” delle forze armate del primo ministro, Abiy Ahmed, in un campo per sfollati interni (IDP) a Dedebit aveva “reclamato la vita di 56 civili innocenti”. Le vittime erano persone fuggite in precedenza dai combattimenti nel Tigrai occidentale. Lo stupore globale si concentra sul fatto che l’esercito, tra l’altro guidato da Ahmed, un uomo che aveva vinto un Nobel per la pace, aveva sempre dichiarato di non avere nel mirino i civili, vittime di questo contrasto politico, ma in più di un’occasione varie organizzazioni internazionali hanno raccolto prove di crimini di guerra commessi da entrambe le parti del conflitto, una delle quali è l’uso dello stupro come arma da guerra. Migliaia di donne, ragazze e persino bambine sono oggi vittime di violenze sessuali nella regione del Tigrai, teatro di un conflitto, scoppiato nel novembre del 2020, che nessuno vuole vedere, perché nessuno ha il coraggio di guardare in faccia la realtà. I due protagonisti di questo tragico e macabro evento sono l’esercito di Ahmed, a cui si sono alleate le truppe dell’Eritrea, vicina alla Etiopia, in lotta contro il Fronte di liberazione popolare del Tigrai (TPLF). La prima causa di questa contesa politica ha, purtroppo, provocato lo sfollamento di migliaia di persone e la fuga di oltre sessanta-
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ATTUALITÀ tremila civili verso le regioni confinanti del Sudan orientale; inoltre l’ONU ha affermato che i militari bloccano l’accesso alle vie di comunicazione impedendo l’arrivo di cibo e sussidi nella regione dove ormai l’80% della popolazione (parliamo di 6 milioni di persone), è in pericolo di soccombere alla fame e alla morte dovuta ad attacchi militari. Inoltre, sono in ricorso numerosissime denunce di stupri utilizzati come arma da parte di associazioni internazionali, e proseguono gli arresti ai danni di giornalisti. Le testimonianze riferiscono di violenze “diffuse e sistematiche” per opera di uomini in uniforme. Nel suo briefing al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 15 aprile, Mark Lowcock, coordinatore dei soccorsi di emergenza delle Nazioni Unite, ha dichiarato che “non c'è dubbio che la violenza sessuale sia usata in questo conflitto come arma di guerra, come mezzo per umiliare, terrorizzare e traumatizzare un’intera popolazione oggi e una generazione
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successiva domani”. Questo settembre l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha rivelato che un’indagine sugli abusi commessi nel Tigrai non è stata in grado di verificare le informazioni sul presunto massacro di diverse centinaia di persone nella città santa di Axum; ha affermato che l’inchiesta non si è potuta svolgere sul campo, in quanto ogni individuo che tentava di avvicinarsi veniva pericolosamente minacciato. “È già chiaro, comunque, che i casi documentati di abusi comprendono molteplici accuse di violazioni dei diritti umani, inclusi attacchi a civili, esecuzioni extragiudiziali, torture e sparizioni forzate, tra gli altri”, ha affermato Bachelet. “La violenza sessuale e di genere è stata caratterizzata da modelli di estrema brutalità, inclusi stupri di gruppo, torture e violenza sessuali mirate etnicamente”, ha aggiunto. La tragicità sta anche nel fatto che vi è stato un altro attacco nonostante il bombardamento di venerdì
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notte. Lunedì, nelle stesse ore in cui Abiy Ahmed discuteva con il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden delle opportunità per portare avanti pace e riconciliazione nella regione, i civili venivano di nuovo soppressi dall’aviazione, questa volta nella zona di Mai Tsebri. Lo stesso Biden aveva appena fatto presente al leader etiopico la sua preoccupazione per le vittime civili e per le sofferenze causate dagli attacchi aerei, che finiscono per ripercuotersi enormemente su una popolazione locale già allo stremo. Si tratta di un altro tragico capitolo nella storia dell’uomo, dove, ancora una volta, i civili sono vittime di crudeltà e violenza ingiustificata— e forse, ancor più tragico è quanto tali violenze sono a malapena discusse nel resto del mondo. La vicenda sta anche iniziando a prendere piede a livello internazionale, senza contare che ha lasciato questa zona dell’Africa in una situazione gravissima e instabile.
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ATTUALITÀ
PARLANO DI NOI...
... E LO FANNO IN MANIERA SBAGLIATA Di Maria Cattano, vignetta di daniele musatti
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amala, Greta, Angela, la Von der Leyen. Sono sulla bocca di tutti, si sentono spesso i loro nomi. Mario, Joe, il Mattarella, Emmanuel. Non suonano così famigliari, vero? Forse è perché siamo più abituati a parlare di Draghi, Biden, Mattarella e Macron. A quanto pare, c'è chi merita un cognome importante e chi no. Se è vero che le parole hanno un peso, è necessario analizzare il dibattito estremamente attuale sulla parità di genere anche da uno dei punti di vista più banali, eppure più trascurati: la grammatica, il lessico, i mattoncini alla base della struttura di un discorso. Il linguaggio riservato alle donne ai giorni nostri è profondamente inappropriato. Ci si arroga il diritto di chiamarle per nome; quando ci si ricorda del cognome l'articolo anteposto non manca mai, forse perché possa essere chiaro già dall'inizio che si parla di una donna, e quindi il giudizio possa essere già formulato con il criterio del sesso. I titoli di giornale raccontano di “una donna”, “una mamma”; si evidenzia il suo ruolo all’interno della famiglia, si fa cenno magari al suo aspetto fisico o al suo carattere, si descrivono i particolari del suo outfit, prima di ricordare come si chiama, cosa ha studiato e cosa ha conseguito. Dove si devono ricercare le radici di questo problema? Siamo semplicemente “abituati così”, o si 6
tratta di una conseguenza delle dinamiche della nostra società? Non è un segreto per nessuno che continui ad esistere un grande divario retributivo di genere, secondo ISTAT circa del 15% in Europa. Si fa poco per incoraggiare le donne in carriera, sia per quanto riguarda lo stipendio, sia dal punto di vista delle difficoltà logistiche che incontrano nel quotidiano. Basti pensare che gli asili nidi riescono ad accogliere a malapena 26 bambini ogni 100; in tali condizioni diventa arduo conciliare la famiglia e la carriera, viene richiesto troppo spesso di sacrificare il lavoro in nome del ruolo di madre, e una figura femminile ambiziosa e in posizione di potere diventa così rara che non si è in grado di parlare adeguatamente di lei e a lei. Più di una donna denuncia di subire, in ambito scolastico o sul posto di lavoro, dei piccoli quanto frustranti attacchi lessicali. Quando assume lo stesso atteggiamento che in un suo coetaneo uomo è considerato "autoritario", lei è "arrogante". Se non lascia che la interrompano quando parla, è "aggressiva", non "decisa". Se le capita arrabbiarsi in pubblico e avere una reazione forte, è "emotiva, come tutte le donne" nel migliore dei casi, "isterica" nel peggiore, ma mai semplicemente "arrabbiata" o "in un momento di difficoltà" come i suoi colleghi. Raramente una o più lauree, una vita di fatica e sacrifici, conquiste importanti
le sono riconosciute; esiste una sgradevole maggioranza per cui “signorina" e “dottoressa" sono perfettamente intercambiabili, anzi, nell’uso comune il primo è in netto vantaggio sul secondo. Succede quotidianamente a me e ad altre donne di tutte le età di subire questo tipo di discriminazioni: fin dall'adolescenza siamo invitate a "non fare le maestrine", a stare zitte, o almeno ad "abbassare i toni", quando stiamo solo parlando al giusto volume per non venire ignorate. Ogni ragazza che cresce è costretta ad affrontare il momento doloroso e sconfortante in cui prende coscienza del fatto che di lei raramente si parlerà come dei suoi coetanei maschi. E se proverà a far notare che un riconoscimento del suo titolo spetta anche a lei, ad esempio cambiando la targa da Assessore ad Assessora, sarà "la solita esagerata, come se il problema fosse una vocale, deve proprio protestare inutilmente". Non è difficile, per chi ha sempre dato il proprio cognome e il proprio titolo per scontato, definire sterile la polemica che diverse donne sollevano in merito al linguaggio che si usa per definirle e per parlare di loro. “Sì, e allora io mi farò chiamare guardio al posto di guardia” scherzano certi uomini in risposta alla rivendicazione di una versione femminile di ogni titolo conquistato. “Perdono tempo con queste stupidaggini anziché occuparsi dei veri problemi
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ATTUALITÀ delle donne”: un’altra acuta obiezione proveniente da chi guarda al mondo attraverso la lente del sessismo. Si potrebbero dare svariate risposte a queste rimostranze. La prima riguarda il bisogno di parole: di solito si avverte la necessità di qualcosa solo quando si è privi di essa, perciò non c’è da stupirsi se il desiderio di rivendicare i propri titoli sia sentito in maggioranza dalla popolazione femminile. La rivoluzione parte anche dal piccolo, dalla conquista di una targa, dal nome della propria carica; sembra paradossale, ma è parte della storia femminile l'aver dovuto lottare per poter essere chiamate dottoressa, ed è una triste costante della società odierna la battaglia contro un vocabolario troppo spesso maschilista. Non significa focalizzarsi su dettagli insignificanti trascurando kamala
mario
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altri temi; significa portare avanti un'istanza che non deve essere messa da parte, non deve essere relegata nell'angolo di ciò che si affronterà in un indeterminato "prima o poi", ma deve essere tenuta presente, deve essere fatta notare continuamente finché non viene presa in considerazione come merita. La narrazione delle donne e delle loro vite va riscritta adesso. Si potrebbe poi portare alla luce un'altra questione, più sottile eppure egualmente sentita da chi ne è vittima: l'abitudine che le maggioranze hanno di parlare per le categorie in svantaggio, di mettersi sulla difensiva, in una posizione di prevaricazione e non di ascolto. "Che io ti chiami per nome o per cognome non fa differenza", dice un uomo (normalmente chiamato per Titolo e Cognome) a una donna abituata a greta
Joe
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angela
sergio
sentirsi chiamare "signorina", "tesoro", o con il suo nome proprio in ambiti in cui ai colleghi non capiterebbe mai. Fa differenza, invece; è esasperante che chi non soffre per una discriminazione si arroghi il diritto di poter dire a chi la subisce se e come soffrire. È necessario portare finalmente alla luce una prospettiva che dovrebbe essere la protagonista del dibattito, ma che troppo spesso è oscurata da chi non è disposto a mettersi in discussione. Vorremmo parlare in prima persona, e vorremmo farlo essendo ascoltate senza alcuna condiscendenza. Vorremmo rivendicare il nostro titolo e vederci riconosciuto ciò per cui abbiamo lavorato, senza che venga invalidato dall'ennesimo, frustrante "tesoro".
ursula
emmanuel
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ATTUALITÀ
SOS ARTE
SULLA SALVAGUARDIA DEI TESORI ITALIANI Di lorenzo vinelli
L
o sfregio alla Scala dei Turchi è solo l’ultimo affronto al nostro patrimonio che ha guadagnato tutti gli onori della cronaca. Certo, ci vorrà un po’ per dimenticare la vernice rossa sulla celeberrima scogliera siciliana, ma è altrettanto sconcertante pensare che probabilmente nello stesso istante decine di altri tesori erano feriti da vandali senza scrupoli. Perché la ricchezza del nostro capitale storico, artistico, paesaggistico è pari alla sua fragilità. Sarebbe lunga, e forse inutile, la rassegna dei colpi inferti ai nostri tesori, a partire dallo shock suscitato dalle martellate contro la Pietà di Michelangelo nel lontano ‘72. Come dimenticare la mano in frantumi del “Biancone” in Piazza della Signoria — oppure la coda spezzata di un mostro marino della Fontana dei Fiumi in Piazza Navona? Peraltro, nemmeno Milano esce indenne dagli attacchi: i polpacci e i pettorali della possente statua bronzea di Giuseppe Grandi sono stati sfregiati con un punteruolo, per non parlare del monumento a Pinocchio in Corso Indipendenza, dal quale è stato persino trafugato il gatto! L’identikit dei vandali è vario: si è facilmente portati a pensare a pazzi, ubriachi (“Volevamo scrivere: “Roma ti amo”, la replica degli “scalpellatori” della fontana della Barcaccia), ma potrebbe trattarsi anche di esibizionisti, di invidiosi 8
della bellezza o semplicemente di visitatori sbadati. Poco importa. Quello che conta è che almeno tre “settori” sono potenzialmente e costantemente soggetti a danneggiamento: le sedi museali e le mostre, le opere d’arte nelle chiese e le città. Queste ultime disseminate da statue, fontane, monumenti connotati da un forte valore simbolico e per questo esposti a costanti rischi di aggressioni. Perlomeno fintanto che non diventerà pacifico e accettato il principio per cui ogni monumento (da monere, ricordare) è stato posto in memoria di una persona o di un avvenimento ed è destinato a durare nel tempo; in quanto tale appartiene alla storia, essendo testimone di un passato in sé concluso che non può e non deve essere giudicato e inquinato dalla sensibilità moderna. Ogni volta che si deturpa un monumento, si sferra anche un attacco all’identità collettiva: ciò mina il nostro senso di appartenenza alla città e crea un disorientamento che ci rende indifferenti al degrado. Allora come proteggere tanta bellezza? Superfluo dire che proposte e iniziative hanno riempito i tavoli di uffici pubblici e infiammato il dibattito politico-sociale. Roma, autentico e vulnerabile museo a cielo aperto, sin dalla fine degli anni Novanta si è dotata di una protezione elettronica: duemila telecamere puntate 24 ore su 24 su fontane, ville, monumenti e scavi archeologici. Un Grande Fratel-
lo puntato sugli obiettivi sensibili della Città Eterna, controllati dalla Centrale di monitoraggio della Soprintendenza comunale. Tra l’altro le telecamere, insieme ai sensori di intrusione, non sono solo il mezzo più efficace di sorveglianza, ma anche il più democratico, perché garantiscono la fruizione del patrimonio dei beni culturali: l’alternativa sarebbe “chiudere” i monumenti. Se non bastasse l’occhio elettronico, le amministrazioni cittadine potrebbero predisporre una manutenzione programmata e mirata dei monumenti, una sorta di make up più frequente e meno drastico, che provoca minore rovina delle superfici. Oppure allestire una squadra di “guardie della cultura”, magari con l’intervento di sponsor della sicurezza, che risolverebbero l’eterno nodo dei finanziamenti. Mentre, con un approccio multidisciplinare, sarebbe utile disperdere il turismo di massa concentrato, che consuma i luoghi-simbolo e trascura il resto, per far conoscere e valorizzare tutti i gioielli del patrimonio artistico più prezioso del mondo. Anche se, di fronte all’escalation del fenomeno dei danneggiamenti, non mancano coloro che invocano più misure restrittive, come vietare gli alcolici dopo le 23. Su un dato, però, sono tutti d’accordo: una reale tutela non passa dalla sorveglianza, ma da una seria rieducazione dei cittadini.
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SVAGO
UNA VITA COME TANTE IL ROMANZO CHE TRASFORMA L'ANIMA
U
na vita come tante è il secondo capolavoro di Hanya Yanagihara, scrittrice statunitense di origini hawaiane. Pubblicato nel 2015, negli ultimi mesi sta ottenendo un successo mediatico straordinario. Ne avrete sicuramente sentito parlare sui social, dove, grazie a numerose recensioni, sta scalando le classifiche dei “libri più consigliati per piangere”. È la solita storia strappalacrime? O c’è qualcosa in più da sapere su questo romanzo tanto amato quanto criticato? Ormai ex compagni di college, Jude, Willem, JB e Malcom, si trovano alle prese con la necessità di affermarsi nel mondo lavorativo di una New York fervida e caotica, avendo come unica certezza il fortissimo rapporto che li lega. Questo romanzo è infatti una profonda storia di amicizia e amore in cui quattro amici crescono sorretti dai sentimenti che provano l’uno nei confronti dell’altro. Il vero fulcro di questa storia è Jude, un personaggio complesso con cui si empatizza fin dalle prime pagine. Jude è un ragazzo che cerca di costruirsi una vita dopo un’infanzia a dir poco devastante, un ragazzo che nonostante tutte le sue difficoltà mette sempre gli altri prima di se stesso, incapace di un briciolo di autostima o egocentrismo a tal punto da distruggersi e trascurarsi. Jude suscita in tutti i suoi amici un particolare senso di protezione e cura nei suoi confronti, un sentimento che di pagina in pagina si evolve, si sfalda per poi rafforzarsi. L’amicizia che lega i quattro ragazzi è l’unica solida ancora di salvezza del protagonista. “AmiZABAIONE
di Sofia chiesa
cizia significava assistere al lento e inesorabile susseguirsi di tribolazioni, ai lunghi periodi di noia e agli occasionali trionfi. Significava sentirsi onorati del previlegio di essere vicini a un’altra persona nei momenti più cupi e, in cambio, sapere di poter condividere i propri”: così Hanya Yanagihara descrive questa sfaccettatura dell’amore e apre gli occhi sul quale sia il sentimento a cui tutti dovrebbero ambire nella propria vita. Con il progredire della storia si va oltre nell’esplorazione della psiche umana. La scrittrice ha la capacità di affiancare alla descrizione di sentimenti splendidi un tormento persistente che accompagnerà Jude (e il lettore) per tutta la narrazione. Per quanto Jude sia infatti circondato da persone che lo amano e farebbero di tutto per lui, è altrettanto oppresso dai ricordi della sua infanzia, delle indelebili cicatrici. Le così dette “iene”, brillante metafora che l’autrice utilizza per descrivere i ricordi del protagonista, lo perseguitano penetrando ogni suo effimero momento di gioia, coinvolgendo chi legge nella profonda disperazione di un personaggio che non trova pace. Yanagihara illustra quanto sia deleterio ed estenuante il continuo tentativo di sfuggire ad un passato soffocante inserendo all’interno della narrazione i flash-back dell’infanzia di Jude. Più lettori hanno raccontato di essersi trovati costretti a posare il libro per tranquillizzarsi nel corso della storia, tanto è straziante e grafico il racconto dell’inferno che il protagonista ha affrontato. Una vita come tante è un turbinio di emozioni, 1091 pagine di pura anima che non risultano
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mai noiose. Non ci sono situazioni di stallo che inducono all’abbandono della lettura, ma solo personaggi avvincenti che tengono incollati al libro tutta la notte. È raro trovare una storia che coinvolga il lettore in maniera così totalizzante, tanto da farlo sentire personalmente coinvolto con il corpo e con la mente negli avvenimenti e nella sofferenza dei personaggi. Le opinioni del pubblico non potrebbero essere più discordanti: è quel tipo di romanzo che ottienerecensioni da una stella o da cinque, mai intermedie . Ha un impatto talmente forte da suscitare emozioni diverse e imprevedibili a chiunque lo prenda in mano. Molti, terminata la lettura, si chiedono “Perché mi sono fatto questo?” e ne parlano con disprezzo e rifiuto. Altri lo chiudono e ne escono cambiati: più che una storia che, una volta finita, torna sullo scaffale a prendere polvere, è un’esperienza di vita da cui si esce arricchiti di un bagaglio di emozioni che può accompagnare per settimane. È tuttavia necessario prestare molta attenzione ai trigger warning prima di decidere di leggerlo: i temi affrontati sono pesanti e l’autrice non tenta di edulcorare il dolore, perciò bisogna sentirsi sicuri della propria capacità di mettere una linea tra se stessi e i personaggi Se sentite che è il momento giusto per entrare in una storia che vi cambierà la vita, questo è il libro giusto per voi. Quando lo avrete finito, che lo abbiate amato o odiato, una piccola parte di voi rimarrà sempre legata a Jude e ai suoi amici, tra le pagine di uno dei romanzi più belli dell’ultimo ventennio. 9
SVAGO
ZABARECENSIONI
di Alessia cuzzocrea, viola pilo, maia restelli e francesco sciarrino
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REALISMO MAGICO
l Realismo magico è stata una corrente artistica sviluppatasi in Italia tra gli anni Venti e Trenta del Novecento. In quel periodo, in risposta alle avanguardie futuriste e ispirandosi ai grandi pittori del Rinascimento, autori come Felice Casorati, Ubaldo Oppi e Mario Sironi ritornarono ad una rappresentazione figurativa e nitida del reale, ma i loro dipinti trasmettono un’atmosfera di stupore che appartiene a un’altra dimensione, dove l’immagine, privata di ogni elemento superfluo e riletta attraverso i moti dell’animo, si presenta ai nostri occhi con la purezza originale di un’icona. Camminando tra i corridoi dell’esposizione, si ha l’impressione che lo spirito di questi artisti abbia magicamente dato vita a quelle che prima erano soltanto ombre malinconiche, manichini solitari che rivelano dettagli e sguardi inquieti capaci di accompagnare lo spettatore in un percorso raccontato per enigmi. Dopo anni di mostre monografiche, Palazzo Reale ospita un’esposizione collettiva di questa particolare stagione artistica, proponendo una visione d’insieme su un movimento a lungo trascurato dalla critica. Ne consiglio la visita a chi abbia voglia di prendersi una pausa lasciandosi trasportare dalla magia del quotidiano trasmessa da questi capolavori. (Francesco Sciarrino)
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ENCANTO
ncanto, uscito al cinema il 24 novembre, è il nuovo film Disney che ha riempito le sale nello scorso mese. In quanto film Disney non può allontanarsi molto dallo standard fissato dai suoiprecedenti, che sia in fatto di trama o di animazione. Nonostante ciò, Encanto porta sicuramente qualcosa di nuovo. La storia segue Mirabel, unico membro della grande famiglia Madrigal a non possedere un dono magico: sua sorella è prodigiosamente forte, sua madre cura le persone con il cibo, sua zia controlla il tempo con le emozioni. E Mirabel? Niente. Ma quando il futuro della famiglia sembra compromesso tocca proprio a lei cercare di risolvere la situazione. Il tema del sentirsi fuori luogo nell’ambito della famiglia è affrontato in modo serio, ma all’interno della cornice di una storia leggera e vivace. Dal punto di vista grafico questo film è molto simile a quelli che lo hanno preceduto, seppur con un'animazione leggermente più sciolta di quella in Frozen o Moana. È estremamente innovativo dal punto di vista del character design. Con impressionante abilità, ogni membro della famiglia Madrigal viene disegnato con un viso e una silhouette completamente diversi dalle altre. Questo, al contrario di come si potrebbe credere, non è affatto scontato. La trama è certamente il punto di forza del film: si concentra sulla tematica dei traumi intergenerazionali, portando alla luce una questione tutt’altro che trascurabile. Si mantiene il linguaggio dei bambini, ma con un’impronta di inclusività e di dialogo su argomenti più profondi. Può segnare l’inizio di una brillante rivoluzione del mondo dell’animazione.. (Viola Pilo)
Gennaio 2022 Anno XVI
Numero 4 ZABAIONE
SVAGO
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DON'T LOOK UP
sicologico, distopia o satira? C’è un film con qualche attore conosciuto? E se poi ci annoia? Una serata film può mettere molti in disaccordo, ma il nuovo film di McKay Don’t Look Up ha tutti gli elementi per incollare ogni spettatore allo schermo per due ore. Kate Dibiasky è una studentessa di astronomia come tanti altri, fino al giorno in cui scopre l’esistenza di un’enorme cometa che si abbatterà sulla Terra entro poco più di sei mesi. Avverte al più presto il suo insegnante, Randall Mindy, e dopo essersi accertati della veridicità della scoperta, si precipitano con il funzionario Teddy Oglethorpe alla Casa Bianca per dare l’allarme. Vengono però sorpresi dalla noncuranza della presidente Orlean, che sminuisce la loro scoperta e si preoccupa soltanto delle prossime elezioni. I tre mettono dunque in atto un piano per informare la popolazione, coronato da scontri con i potenti, manifestazioni e gli immancabili scettici che mettono in dubbio i loro avvertimenti allarmanti; Mindy, Dibiasky e Oglethorpe saranno pronti a lottare con forza contro il muro di indifferenza che il mondo innalza davanti alle verità scientifiche. Ha inizio così una serie di eventi apparentemente surreali, ma che oltre a suscitare qualche risata lasciano l’amaro in bocca per l’esplicita critica alla società che quest’opera d’arte propone, costringendo lo spettatore a una riflessione difficile eppure necessaria sulla realtà. Un cast mozzafiato ha preso parte alla realizzazione del film, tra cui Leonardo Di Caprio, Jennifer Lawrence, Meryl Streep, Cate Blanchett, Rob Morgan, Timothée Chalamet e Ariana Grande. Un film candidato a diversi Golden Globe e Critics' Choice Award che metterà tutti d’accordo per una serata cinema.. (Maia Restelli)
ZABAIONE
Numero 4 Anno xvi Gennaio 2022
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CIAO 2O21!
l presentatore Ivan Urgant lo scorso anno ha avuto un’idea molto particolare per la speciale puntata di Capodanno del primo canale della TV russa: Ciao 2020. Stiamo parlando di una fantastica messa in scena in cui cantanti, comici, attori e sportivi russi si fingono star italiane dei ruggenti anni ‘80 e tutti parlano o cantano in italiano, probabilmente senza conoscere realmente la lingua. Ai telespettatori restano solo i sottotitoli per comprendere la spiritosa trasmissione, ma è ampiamente sottolineato come i russi amino profondamente il nostro paese e soprattutto la nostra musica. Lo stesso avvenimento spettacolare si è ripetuto quest’anno ed è stato pubblicato su YouTube lo scorso 1° gennaio. Ciao 2021 forse risulta meno speciale, manchevole dell’effetto sorpresa ed un po’ più commercializzata, ma rimane comunque uno show epico, fenomenale. Di nuovo vi è un’attenzione ai particolari assolutamente non indifferente, accompagnata da un altissimo livello di preparazione e scrittura. Di primo acchito la trasmissione potrebbe sembrare superficiale e scorretta, ma l’obiettivo è proprio quello di prendere in giro gli stereotipi che i russi hanno della nostra cultura e le arretratezze della loro, sempre con elegante sottigliezza. Oltre agli ospiti della prima edizione, quest’anno sono stati proiettati i messaggi di auguri di alcuni cantanti italiani, presentati come russi mentre parlano questo difficile idioma. A concludere la puntata si è poi presentato un certo Putin, presidente della Repubblica Italiana, con il suo tradizionale discorso di Capodanno. E chissà che, con tutto questo amore dimostrato dai Russi con queste pazze e geniali trasmissioni, a qualcuno non venga in mente di invitarli al Festival di Sanremo.... (Alessia Cuzzocrea) 11
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ZABAOROSCOPO ARIETE
di MAria cattano e ROCCO SORAVIA
questo 2022 con molte difficoltà, la caduta sarà piuttosto dolorosa. ma durante l’estate la vostra situazione migliorerà sotto molti aspetti.
2022 da 10 per voi, per risarcirvi dei due anni passati con i pianeti avversi! Tutto quello che vi VERGINE tormenta si risolverà entro maggio, Cielo da 6+, migliorabile se finalmente un po’ di pace. imparerete a non farvi destabilizzaTORO re dalle sorprese, ma ad accettarle e Il vostro voto è 8-: un buon gestirle con serenità. anno vi aspetta, ma non tirate tropBILANCIA po la corda, altrimenti i vostri mille Il voto del vostro anno nuovo progetti vi sfuggiranno di mano! è 7: non male, ma ci sarà bisogno di grande lavoro da parte vostra, le siGEMELLI tuazioni in sospeso dall’anno scorso Anno da 10 in arrivo! Il vostro non si risolveranno da sole! sorriso vi porterà fortuna in amore, siete splendidi quando siete felici. SCORPIONE Per voi un bel 9! Vi aspetta un CANCRO anno brillante, pieno di nuove ocQuest’anno prendete 8: dopo casioni ed emozioni, se solo sarete un anno di consecutive sfighe que- abbastanza svelti a coglierle al volo. sto 2022 vi porterà un colpo di fortuna a Marzo da non sottovalutare. SAGITTARIO 8,5, attenti alle cose che date LEONE per scontato! La fortuna è dalla voIl vostro voto è 7,5: Iniziate stra, ma non sedetevi sugli allori o
CAPRICORNO
8 i primi mesi, calo a 5 dopo maggio... Fate il pieno di fortuna finché ne avrete, e vedrete che sarete abbastanza forti da fronteggiare il resto!
AQUARIO
8/9, finalmente potete dismettere i tristi panni del “forever alone” e aprirvi ad una nuova storia, che potrebbe arrivare molto prima del previsto…
PESCI
Al vostro 2022 le stelle danno 7-: i pianeti non vi assistino, ma quest’anno sareye abbastanza forti da sistemare da soli ogni situazione che vi tiene svegli la notte. Ci siete quasi!
ZABA IN CITTÀ Anno nuovo, rubrica nuova! In questa mezza pagina, Zabaione vi porta in giro per Milano. La nostra città è meravigliosa ed enorme, piena di angoli da esplorare; ogni mese ve ne proporremo uno, sperando di farvi scoprire dei posti che vi conquistino e vi entrino nel cuore. Iniziamo parlandovi di una zona che solo negli ultimi anni si sta riempiendo di vita, e in particolare di un angolo di magia nascosto tra le sue vie. Poco oltre Porta Romana, a due passi dalla fermata M3 Lodi TIBB, si trova la Scatola 12
Lilla. Avete presente quelle piccole librerie da film, con i muri colorati tappezzati di magnifici poster e fotografie, i libri che occupano ogni angolo disponibile e la libraia che ti fa immediatamente sentire accolto a casa? La Scatola è esattamente così. Ci si trova una vastissima selezione di titoli e autori; in più, negli anni sono nati tra i muri lilla mille progetti e iniziative, quali eventi ed incontri con gli autori, serate musicali o l’idea del “libro sospeso”, che consiste nell’acquistare un libro e lasciarlo con una piccola dedica in regalo al lettore che entrerà dopo
di noi. Lo shop è disponibile anche online, ma merita sicuramente una visita di persona: impossibile non innamorarsi del profumo di pagine e della magica atmosfera in cui cercare il libro giusto per noi. Ma non finisce qui: usciti dalla libreria, potrete fermarvi poco più in là ad una brasserie belga, Le vent du nord, per un aperitivo a base di ottime birre particolari e patate fritte o per una cena di cozze e specialità tipiche della tradizione belga, in sala o nei tavolini all’aperto. Al mese prossimo con un nuovo tesoro milanese nascosto!
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ZABAENIGMISTICA
SUDOKU NUMERICO di Ludovica sancassani 5
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L'ANGOLO DEL LIBERTARIO
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di giorgio, guglielmo e federico H.
n ogni momento di instabilità gli uomini sentono il bisogno di additare un colpevole. Siamo, senza dubbio, in un momento cruciale nella storia ed è proprio in questi momenti che si dimostra il valore delle persone. Il nostro presente è dominato dal ribellismo: basta guardare all’obbligo vaccinale, che fa urlare il libertario di avere il corpo salvo dalle percepite ingerenze di uno Stato “crudele”. Questa resistenza all’autorità e la tendenza a riconoscervi la colpa di tutti i mali - non perché ne abbia, intendiamoci, ma perché qualcuno deve pur averla - ci deve far chiedere cosa sia questo dannatissimo Stato che tanto vorrebbe sopprimerci. I provocateurs che si arrogano il diritto di farsi chiamare filosofi vogliono farci credere che lo StaZABAIONE
VACUI VANILOQUI VACCINALI
to sia una bugia, fatta per tenere le masse ignoranti. Lo Stato, dicono, sarebbe soltanto un insieme di persone tenute insieme da labili legami; se fosse così, questa aggregazione potrebbe disgregarsi con la stessa facilità con cui dicono che si sia formata. Perché questo non accade? Perché a tenere insieme lo Stato c’è un non detto di cui non parlano: lo Stato è sacrificio, ma è anche unità. Se l’uomo si è raggruppato per Stati un motivo c’è, lo Stato è l’espressione di un nuovo individuo, uno molto più grande del semplice soggetto. Se non fosse così sarebbe inspiegabile la cultura di una Nazione: che venga fuori dai sogni delle persone? Nel loro sistema le loro convinzioni hanno il valore di una semplice illusione. La cultura, invece, noi sappiamo essere la voce
Numero 4 Anno xvi Gennaio 2022
di un popolo, che parla unito, non del suo passato e del suo futuro, ma del suo presente. Non è un difetto la perdita della libertà individuale, è la caratteristica fondamentale dello Stato. La libertà e i valori dei singoli individui sono incompatibili tra loro senza una mediazione, questa mediazione è la giustizia, è la legge, il mettere nero su bianco il superamento di una morale individuale che pensa solo a sé a favore di qualcosa più alto - non i valori della collettività, ma di un nuovo singolo, sovraindividuale. E così come si può rifiutare un vaccino voluto per legge, sacrificando la propria instabile e precaria libertà per qualcosa di più grande? Come il cittadino confluisce nello Stato, così deve anche la sua salute, che deve sacrificarsi non per il bene proprio ma per quello dell’Uno. 13
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di matteo morellini 11
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ORIZZONTALI 1. Il grande macedone - 15. L'opera di Joyce - 16. Prefisso numerico - 17. Le armature del capo - 18. Object Oriented Information Engineering - 20. Contenuto mentale - 22. Introduce un complemento di luogo - 23. Il veloce Jesse - 25. A noi - 26. La sesta di Beethoven - 28. circa 3,14 - 29. Femmine che fanno le uova - 31. Rende piccole le colonne - 32. Al centro delle ascisse - 33. Avvolgere, connettere, unire - 34. Console Nintendo - 35. Vorrà in latino - 37. Terni - 38. Canguro di Winnie the Pooh - 39. Magistrato romano semestrale - 41. Gerundio di uscire - 44. Artigiana del Sussex - 45. Un Weasley - 46. Conosciuto - 48. Sono sette - 49. Un ragazzo di Arezzo - 50. Funzione di primo grado a due incognite VERTICALI 1. L'arte di lavorare la terra - 2. Articolo plurale - 3. Ciò che esiste o ha possibilità di esistere - 4. Lungo i bordi per Zerocalcare - 5. VI - 6. Amministratore Delegato - 7. Nihil - 8. Quello di Zan è stato bocciato - 9. Tecnico degli effetti sonori - 10. Il generale Kenobi - 11. Millilitri - 12. Lo spiazzo dove si stende il sale ad asciugare - 13. Global Neurotrauma Outcomes Study - 14. Io e te - 19. Realtà, presenza, vita - 21. È un'altra cosa - 22. Indicatore della Situazione Reddituale Equivalente - 24. L'ascensore a New York - 27. Fratello di Mosè - 28. Nome femminile - 30. Instagram - 32. Guardaroba in inglese - 34. Introduce il complemento di specificazione - 36. Infiammazione dell'orecchio - 39. Speciali pregi o qualità naturali - 40. Le consonanti di treno - 42. Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della piccola e media impresa - 43. Il punto online - 47. Acceso 14
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Numero 4 ZABAIONE
SVAGO TROVA BARRELLA
di daniele musatti
IN QUEST'IMMAGINE COMPARE IL NOSTRO PRESIDE 8 VOLTE, RIESCI A TROVARLO?
GIUDIZIO UNIVERSALE
Affresco di Giotto, dipinto nel 1306, fa parte del ciclo di affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova, occupando la controfacciata.
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SOLUZIONI A R
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