ZABAIONE NUMERO 7 ANNO XVI GIORNALISMO INDIPENDENTE AL PARINI DAL 2006 MAGGIO MMXXII
INTERVISTA GIOVANNI FRANZONI
EDITORIALE
DEMOCRAZIA IN POTENZA
I
meno esperti di politica avranno sentito dire che in Francia ha vinto quel tipo là con la faccia antipatica che non piace a nessuno sconfiggendo per un pelo quella molto molto pazza che vuole la frexit. Queste elezioni non hanno soddisfatto molti, anzi, sono state viste come un segnale d’allarme per un sistema elettorale che non funziona più. Al primo turno il presidente Macron ha ottenuto il 28% dei voti e Marine Le Pen, la sua rivale, il 23%, spartendosi tra loro circa metà dei votanti. Il sistema elettorale francese prevede due turni elettorali, nel primo concorrono tutti i candidati, nel secondo i due che hanno avuto i due risultati migliori. Questo sistema ha come conseguenza quella di produrre un gran numero di “orfani politici” costretti a dover scegliere tra due candidati che non piacciono – ma a rigor di logica, se sono i due che hanno ottenuto più voti, non dovrebbero essere le due scelte preferite dei francesi? Purtroppo non è così, la sinistra ha superato Macron con lo stesso margine con cui lui ha superato la sua rivale. La differenza? I voti della sinistra erano divisi tra più partiti, con La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon al 22% e tutti gli altri che non andavano oltre il 5%. In un sistema diverso quel terzo dei voti avrebbe avuto un peso importante, invece quei votanti si sono trovati a dover scegliere tra un candidato di destra e uno molto di destra. Dietro il sistema elettorale francese una ratio c’è: quando si trattò di scrivere la costituzione della Quinta Repubblica nel ’58, l’intenzione era quella di tenere il più possibile i comunisti lontani dalla 2
presidenza, contando sul fatto che i voti della sinistra sarebbero stati più frammentati, favorendo i gaullisti coalizzati attorno a un’unica figura. Certo, se il secondo turno esclude una parte dell’elettorato, c’è di peggio: il Regno Unito è diviso in 650 “constituencies”, all’interno delle quali si sceglie un parlamentare locale che andrà a Westminster; il partito che ottiene la maggioranza dei seggi in parlamento va al governo. Chiaro, semplice e pulito. Il problema è che le elezioni locali seguono il sistema uninominale secco, ovvero chi ha più voti vince. Mettiamo che ci siano tre partiti, uno di sinistra, uno di centro-destra e uno di estrema destra; il primo ottiene un terzo dei voti, il secondo un quarto, il terzo un quinto e il resto si divide tra candidati di partitini locali. Il seggio spetterebbe al candidato di sinistra, malgrado abbia convinto solo un terzo dei votanti e che di quell’elettorato il 45% abbia votato a destra. Se questo risultato venisse poi riprodotto in maniera uguale in tutto il Paese il partito di sinistra avrebbe il 100% dei seggi con solo un terzo dei voti, lasciando l’esecutivo in mano a un partito che alla maggioranza dei votanti non piace. Per assicurare che la volontà della popolazione sia rispettata allora viene in mente il sistema proporzionale. A ogni partito vanno tanti seggi quanti punti di percentuale hanno preso. Il risultato è il miglior specchio della volontà del popolo. Basta guardare a Israele per capire che un problemino questo sistema ce l’ha. Al momento l’attuale governo comprende otto partiti, che vanno dalla destra sionista, alla politica socialdemocratica, dai verdi agli
di daniele musatti islamisti; la sua origine era quella di liberarsi dell’ex-primo ministro, Benjamin Netanyahu. Viene da chiedersi se sia possibile difendere gli interessi dei propri elettori se si è in coalizione con partiti che vogliono l’esatto opposto… Quello dei sistemi elettorali è un problema spinoso e sta al cuore di come funziona la democrazia. Noi siamo abituati a pensare che il nostro voto va al candidato e il candidato se ne prende abbastanza va in parlamento, ma il come è un pezzo cruciale del puzzle. In base al modo in cui si vota lo stesso elettorato potrebbe avere risultati diversissimi tra loro: non esiste il modo “giusto” di contare i voti, si pensi al famoso collegio elettorale degli Stati Uniti, in cui degli stati hanno più peso di altri. È forse giusto? Un costituzionalista americano vi risponderà it’s not a bug, it’s a feature. Vedete dunque quanto l’idea di democrazia dipenda dall’idea che ne si ha, e non sempre tutti la vedono allo stesso modo. L’ultimo dilemma è questo: se un sistema elettorale favorisce ingiustamente un partito, come può quello cambiare in meglio il sistema, tradendo i propri elettori e favorendo i rivali?
SOMMARIO media ado about nothingPAG. 3 un problema di fondoPAG. 4 time for a change?PAG. 6 il purgatorio a teatroPAG. 7 zabarecensioniPAG. 10 zabaoroscopoPAG. 12 zabaoracoloPAG. 12 zaba in cittàPAG. 13 l'angolo del libertarioPAG. 13 zabaenigmisticaPAG. 14
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Numero 7 ZABAIONE
ATTUALITÀ
MEDIA ADO ABOUT NOTHING
“E
COME (NON) CI RACCONTANO LA GUERRA di ginevra giannì e FEDERICO SAVORANI
in ogni guisa fra giochi e risa mutate l’intimo vostro rovello in un ironico bel ritornello.” Così parla Baldassarre alle dame di “Molto rumore per nulla”, e proprio secondo questo dettame sembrano vivere in questi mesi i giornalisti che si occupano della guerra russa in ucraina sui mass media. Da questa crisi sono chiaramente emersi i grandi difetti dell’informazione italiana, e la sua sciagurata coerenza metodologica nel (non) affrontare temi complessi. Da una parte sembra che il pubblico richieda a gran voce articoletti e servizi televisivi esaustivi sulle più eroiche imprese dei civili ucraini, dalla anziana di Kiev che avvelena una squadriglia rutena con una torta, alle coppie di sposini coi fucili in mano, tutte condite dai più minuziosi particolari e fotografie pseudo-propagandistiche. Storie della buonanotte dove i buoni troneggiano sui cattivi e la libertà e la democrazia vincono, sempre attendibili, e peraltro essenziali, sufficienti, a comprendere il clima respirato sotto i bombardamenti. Soprattutto chi si informa solo sui social network avrà sperimentato una netta sproporzione tra informazione sensazionalistica – qualità che non la rende automaticamente inutile – e critica. Ovviamente tutto ciò è alimentato dagli algoritmi su cui le varie pagine di informazione fondano il proprio guadagno, che avvantaggiano i post più coinvolgenti, quelli che ZABAIONE
riportano stragi, gesta straordinarie, e dichiarazioni estreme. La preoccupazione cresce quando questo tipo di “notizia” trova più che ampio spazio tra le pagine dei giornali e nei programmi televisivi, fornendo snack news che non aggiungono alcuna informazione utile, ma che intrattengono il pubblico e permettono una “temporanea” – come dovrebbe essere in teoria – fuga dal terrore della guerra e dal nodo gordiano della geopolitica. Proprio l’incapacità di sciogliere questo nodo è l’altra enorme carenza dei media, che con poche eccezioni si astengono dal dare spiegazioni esaustive della storia recente e dei rapporti tra Stati, e che preferiscono fomentare il clima polemico, ora tra “filoputiniani” e “filoamericani”, ora tra pacifisti e belligeranti, con discussioni che naufragano sempre su un ammiccante quanto laconico “Eh sì, è davvero complicato” rivolto al pubblico come all’attonito interlocutore. Basti seguire qualunque talk show ospitante Alessandro Orsini. Il risultato è che poche figure di rilievo, come il citato professore, tengono le redini del dibattito pubblico, mentre la maggior parte di noi brancola nel buio e non ha un’idea chiara della posta in gioco o delle forze in campo. Anche i quotidiani stranieri fanno fatica a mantenere la concentrazione sui fatti e a non perdersi in favole e bias. Sorprendentemente i media americani trattano la guerra con serietà,
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anche se troppo spesso escludono la possibile influenza della NATO sul conflitto. Il China Daily e Il Quotidiano del Popolo (giornale del partito comunista cinese, ndr) mantengono la posizione neutrale e danno risalto alle posizioni dei Paesi che come loro si dichiarano “dalla parte della pace” come molte delle nazioni dell’Asia, Africa e Sud America. Le frecciatine agli USA non mancano. Infine, nella Grande Madre Russia, cosa si dice? Non molto, visto che Putin ha deciso di non permettere l’accesso all’Internet di tutto il mondo ai suoi cittadini, e che controlla le fonti di informazione, ma la retorica corrente è che, “nonostante l’invasione si trattasse di un’operazione speciale”, l’Ucraina, difendendosi, ha costretto gli invasori a dichiarare guerra. Una posizione ridicola e ridicoleggiata dall’Occidente, che proprio al G20 del 20 Aprile ha lasciato la riunione arrivato il momento del discorso tenuto dal ministro russo. Se c’è una novità che ricorderemo di questo conflitto, sarà l’estrema importanza dei media nella narrazione storica contemporanea, ed è proprio per questo che dobbiamo educarci a un’informazione critica e non accettare il flusso incessante della Crisi del momento così com’è, ma capire da dove arriva e dove ci porterà. 3
ATTUALITÀ
UN PROBLEMA DI "FONDO"
I DEFICIT STRUTTURALI DEL SISTEMA POLITICO AMERICANO di viola pilo, jessica stefanini e emma torreggiani
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all’inizio della sua carica ad oggi il consenso del Presidente statunitense Joe Biden è sceso dal 56% al 35%. Le colpe principali assegnategli dal popolo americano sembrano essere la cattiva gestione della pandemia, della crisi economica da essa derivante – che ha prodotto livelli di inflazione mai visti dagli anni ’90 del secolo scorso – e dell’immigrazione. Fattori, questi, che non sempre hanno ottenuto una risposta positiva dal Congresso – organo detenente il potere legislativo – come voluto da Biden. Si pensi ad esempio al destino di gran parte delle riforme a lungo termine promosse dal Presidente: il piano di offrire uno status legale ad almeno undici milioni di immigrati privi di documenti è stato velocemente bloccato e poi cestinato dal Congresso, stessa sorte subita dalla proposta di politiche assistenziali e di piani per contrastare la disoccupazione. A favorire queste disfunzioni è una serie di norme contraddittorie parte dell’organizzazione del sistema politico degli USA: a seguito di una vittoria elettorale, un partito, a causa dell’ostruzionismo del Senato, necessita sessanta voti per l’approvazione di quasi tutte le leggi. Gli stessi voti, poi, non si ottengono democraticamente, in quanto ogni Stato federale, nonostante le smisurate differenze demografiche che può presentare rispetto ad altri, dispone di due Senatori: la California ospita più cittadini del4
la totalità dei ventidue Stati meno popolosi, ma questi sono forniti di quarantaquattro Senatori, la prima solamente di due. Altro motivo di contrasto è l’elezione, ogni sei anni, dei membri del Senato, la quale, diversa da quella per la Camera dei rappresentanti – il secondo organo del Congresso dopo il Senato – che avviene invece ogni due anni, la rende fuori sincrono anche con le elezioni presidenziali, tenute ogni quattro. In un sistema bipartitico, questo tipo di struttura regolarizza la costante di un governo diviso nel quale i cambiamenti alla Costituzione tramite emendamenti sono quasi impossibili da realizzare. A creare ulteriore confusione e a rallentare l’azione politica, c’è il quadriennale ricambio di gran parte dell’amministrazione pubblica che oscilla tra chi riceve la propria carica per conto dei Repubblicani se favoriti delle elezioni, chi dei Democratici, privando così il Paese di una macchina statale stabile. È proprio il bipartitismo – o meglio, l’estrema polarizzazione tra i due maggiori partiti – a minare il tanto elogiato miraggio della democrazia a stelle e strisce, conducendo alla frammentazione del Partito Democratico, non arginabile neppure da Biden stesso, alla centralizzazione di quello Repubblicano e alla sempre maggiore e definitiva cancellazione dei partiti di terze parti. Si tratta quindi di un rovesciamento non indifferente, vista la popolarità pluridecennale della fazione Democratica, dovuto al falli-
mento di una porzione importante dell’agenda di Biden: i suoi disegni di legge sul cambiamento climatico (“Build Back Better”) e sui diritti di voto per espandere l’affluenza alle urne, benché abbiano visto mesi di negoziati, sono stati bocciati da una minoranza conservatrice del Senato, impedendo quindi la loro emanazione. Se Biden ha vinto le presidenziali, d’altra parte il Partito Repubblicano vanta un’omogeneità di cui i Democratici non dispongono. La polarizzazione della politica americana risiede nella modalità di competizione tra i due partiti principali, che incarnano ormai due visioni inconciliabili, mettendo a rischio le normali regole democratiche. La contrapposizione ideologica propone ogni anno una più rigida divisione radicalmente opposta all’altra: non si tratta, quindi, di differenti visioni riguardo a temi specifici, ma di incompatibilità di principio, nel cui mezzo non risiede alcun tipo di rappresentanza politica. Da non sottovalutare sono anche i divari geografici, accentuatisi nel corso degli ultimi anni: i centri urbani sono inevitabilmente colorati del blu dei democratici, come anche le aree costiere. Le zone rurali, con alcune eccezioni, e le contee scarsamente popolate sono invece accese di rosso repubblicano. Una divisione ormai cristallizzata dai decenni e secondo i dati in aumento dal 2008, questa realtà evidenzia la tendenza degli statunitensi a scegliere di vivere tra i membri della propria fazione po-
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ATTUALITÀ litica, cui attribuiscono anche un profondo valore morale, ai limiti del religioso. I due partiti sono quindi separati geograficamente, culturalmente e demograficamente e per questo inconciliabili, se non per l’unico tema su cui le due parti si trovano paradossalmente d’accordo, ossia il fatto che il peggior nemico della democrazia è rappresentato dalle divisioni interne alle fazioni stesse. Come detto precedentemente, le disfunzioni del Sistema Costituzionale americano sono tra i motivi principali della decennale crisi politica degli USA che rappresenta non solo il decadimento interno del Paese stesso, ma anche una possibile causa di instabilità per altri Stati del mondo che attendono la riconquista da parte degli Stati Uniti di una leadership globale. In primo luogo, gli USA riscontrano un problema effettivo con la gestione delle elezioni presidenziali secondo schemi democratici primari che, soprattutto negli ultimi anni, non hanno determinato il consenso necessario per il risultato, inducendo a crisi – spesso infondate – di legit-
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timità dei conteggi, come nel caso dell’ultima tumultuosa tornata che ha visto Biden vincitore. In secondo luogo, da anni il Paese attraversa una profonda tensione sistemica dovuta a fattori culturali, economici e, naturalmente, politici. La cosiddetta “paralisi politica” è andata a vantaggio degli americani più benestanti, che, con il permesso della Corte Suprema a contribuire illimitatamente alle campagne elettorali, hanno usufruito della situazione instabile supportando i due Partiti e inibendo i tentativi di imporre nuove tasse federali. Le istituzioni politiche sono inoltre viste come antiquate, e la distribuzione del potere dei vari organi statali è concepita come eccessivamente soggetta alle decisioni autocratiche di un’élite dominante. La Presidenza Biden si trova quindi di fronte ad un’America accortasi che la perfezione democratica non è un suo prerequisito: dopo una serie di interventi esteri, è ormai reso evidente il declino radicato di un Paese – apparentemente – mirabile. Spetta oggi a Biden l’ottenimento di un consenso trasver-
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sale che argini l’ormai improduttivo conflitto politico di due fazioni che paiono degenerare nel processo di confronto ed il tentativo non solo di indirizzare le sue proposte ai sostenitori Democratici, ma di presentarle anche agli oppositori Repubblicani, nella speranza di un ritorno ad uno scambio politico quantomeno tradizionale. È necessario abbandonare l’era dell’egemonia globale per favorire da un lato il progresso interno del Paese, che spesso passa in seconda posizione a causa della storica superficie esemplare dello stesso, dall’altra la cooperazione in vista dei problemi di sicurezza che interessano ora il mondo intero, senza dimenticare quelli ambientali e sociali. Ciò risulta possibile solo attraverso una riforma istituzionale dell’America divisa capeggiata da Biden, il quale non riconquisterà facilmente la fiducia degli statunitensi, siano i fallimenti a cui ha fatto fronte dovuti alla natura strutturalmente antidemocratica del sistema politico, ai suoi errori di valutazione, o ad entrambe le motivazioni.
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ATTUALITÀ
TIME FOR A CHANGE?
IL RITO ANTICO DEL CAMBIO D’ORA Di lorenzo vinelli
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n Francia “Heure d’été”, “Hora de verano” in Spagna, “Sommerzeit” in Germania. Si parlava di abolirla. Il motivo? L’eccessivo stress arrecato al corpo. Comunque il caro prezzi dell’energia riporta l’ora legale dalla parte del “Giusto”. Se è vero che l’abitudine passata di ricaricare e rimettere a posto l’orologio quotidianamente oggi non ha quasi più peso, rimane però il doppio appuntamento annuale con il cambio d’ora, carico del fascino di un tempo unico che scorre al di là delle nostre mura domestiche. Ma quale tempo? “Tra tempo fisico e tempo umano, c’è una netta separazione. Il primo è una successione di istanti, il secondo lo percepiamo come Passato, Presente e Futuro”, risponde Mauro Dorato, autore della raccolta di saggi La natura delle cose. Oggi il “tempo universale”, richiesto dalle esigenze pratiche, è emesso dal Bureau International de Poids et Mesures di Parigi, sulla base dei dati forniti da un orologio atomico al cesio, che “conta” i secondi a partire dal ’58, anno zero del tempo moderno. E l’ora legale? Prima la Storia. Correva l’anno 1784 quando Benjamin Franklin, in una lettera al Journal de Paris, esponeva l’idea di tirare giù dal letto la gente (con cannonate per le strade) un’ora prima d’estate, per risparmiare 32mila tonnellate di cera per l’illuminazione. Riproposto nel 1907 dal deputato inglese William Wil6
lett, il cambio d’ora venne ufficialmente approvato dalla Camera dei Comuni nel 1916 (il 3 giugno in Italia), per risparmiare risorse durante la guerra, indicato da appositi cartelli stradali: Change of time. At 1PM Sept. 30th this clock will be set back one hour to Greenwich time. Abbandonato e poi ripreso di nuovo durante la Seconda Guerra Mondiale, venne reso unico in tutta Europa solo nel 1980. In tutto ciò, l’Europa guarda avanti: “Sempre ora legale!”. Già, perché alcuni Stati del Nord, Finlandia in testa, da tempo chiedono a Bruxelles di modificare il sistema per motivi di disturbi al sonno e di risparmio energetico, continuando, cioè, a rubare un’ora al buio. È questa la volontà degli Europei, quella di lasciare l’ora legale tutto l’anno, come dimostrano i dati del sondaggio estivo del 2018 promosso dalla Commissione Europea. Tuttavia, alcuni ci hanno già provato, con risultati poco confortanti: i cittadini russi non gradivano di doversi alzare al mattino quando fuori era buio pesto, soprattutto i bambini che andavano a scuola. E così il governo è stato obbligato al dietrofront. Ma tutte queste convenzioni si traducono in un effettivo risparmio energetico? Come per molte cose, dipende dal caso specifico. Va infatti sottolineato che l’ora legale è un rito molto occidentale, che coinvolge l’80% degli abitanti del globo, ma solo il 68% dei Paesi. Ogni Stato sceglie in base alla pro-
pria convenienza, dettata dai gradi di latitudine. La società Terna, che gestisce le linee elettriche nazionali, fa sapere di un risparmio di 8,5 miliardi di chilowattora, pari a 1,4 miliardi di euro, per il periodo 2004-2017. Quindi un risparmio c’è, uguale allo 0,2% del consumo elettrico annuo. È altrettanto vero che i consumi sono cambiati: negli anni Sessanta era tutto legato all’illuminazione, pubblica e privata, mentre oggi i condizionatori consumano allo stesso modo se non di più, per non parlare degli uffici, dove luce ed aria fresca ci sono sempre. Nella cacofonia di voci a favore e a sfavore, si distingue persino il parere dei medici. Il nostro corpo presenta infatti un suo orologio interno, che alloggia nell’ipotalamo e che non contiene né ingranaggi né cristalli di quarzo, ma si regola con la luce solare. Secondo alcuni studi, nei giorni seguenti il cambio d’ora si verificano degli squilibri di ormoni, con conseguente aumento della pressione sanguigna e problemi al sonno, che sembrano collegati con un incremento di incidenti stradali e di infarto. Tuttavia, gli effetti durano pochi giorni, e colpiscono principalmente bambini e anziani. È corretto affermare che, come dimostra l’ora legale, l’uomo plasma il proprio “tempo ideale” sulla base delle esigenze della società, anche contro i moti del Sole.
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SVAGO
IL PURGATORIO A TEATRO INTERVISTA A GIOVANNI FRANZONI
L
di Irene Civitillo, Monica Contini, Chiara Galgani, Federico Lombardo, Victoria Lucarelli e Maja Pogutz
a Redazione ha avuto l'opportunità di intervistare Giovanni Franzoni, che ha interpretato Virgilio in uno spettacolo teatrale sul Purgatorio di Dante al Piccolo Teatro Strehler tra il 30 marzo e il 3 aprile di quest'anno. Come si prepara un attore ad affrontare uno spettacolo tratto da Dante? Si prepara come quando voi dovete studiarlo, abbiamo fatto delle sessioni di Zoom con Sandro Lombardi, che interpreta Dante, che fece lo spettacolo di tutte e tre le cantiche, un progetto del 1990, in cui ogni cantica era affidata ad un poeta che volesse ripercorrerla drammaturgicamente per permettere la messa in scena. Ci siamo visti in piena pandemia ripercorrendo le regole dell’endecasillabo, come si lavora di fino con i suoi tre accenti, e questo è stato il punto di partenza. Il divertimento è stato stare totalmente nella regola cercando di seguirla il più possibile per trovare le intenzioni dell’autore, anche quelle meno scontate. Mi sono trovato qualche volta a voler dare una mia intenzione o un sottotesto a una frase che era sempre meno interessante delle indicazioni suggerite all’interno dell’endecasillabo seguendo le sue regole, ti suggeriva lui delle intenzioni molto interessanti. Attraverso questa lettura mi sono state date anche delle idee sul personaggio, differenti da quelle che potevo avere io. ZABAIONE
La preparazione giustamente ha richiesto un bel po’, anche a causa della pandemia, anche solo per trovare una sintonia con i colleghi, quanto tempo ci è voluto? Allora, io ho iniziato a studiarla a memoria molto prima, perché altrimenti non ce l’avrei mai fatta. Ci ho messo tre mesi e non avevo neanche tantissimo: avevo tante frasi, poi avevo il pezzo lungo sull’amore e l’ho messo per ultimo perché intanto il mio cervello si era abituato ad assimilare quella materia in quel modo. È stato difficilissimo da imparare a memoria, ma una volta imparato credo che non me lo dimenticherò mai più. Quindi ho studiato tanto per non far sentire che stavo dicendo Dante, cercando invece di pensare che quella fosse la mia lingua. Tra gli incontri che abbiamo fatto prima singolarmente con Sandro poi coi personaggi che si mettevano in relazione, già su Zoom abbiamo trovato quella sintonia che si direbbe quasi simpatia: ci ha fatto avere simpatia rispetto alla materia e non paura. Il regista intanto insisteva dicendo: “immaginate che parlate alla signora Cecioni”, lui è toscano, quindi che mi dovete far capire bene, non tutti capiranno tutto. La sfida era renderla viva quella lingua, quindi scardinarla restando all’interno delle regole, che è stato il divertimento più grande. Passando invece al ruolo che interpreti, ovvero Virgilio,
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poiché il personaggio è già scritto, quali caratteristiche hai più enfatizzato di Virgilio e quali hai sentito più tue? Intanto mi sono concentrato sul fatto che fosse nel Purgatorio e non nell’Inferno. Avevo intuito dalla drammaturgia che Virgilio fosse un po’ perso all’inizio, era in difficoltà a portare Dante alla sua meta, in fondo Virgilio aveva un obbiettivo preciso: portarlo al Paradiso, a Beatrice e affidarlo poi a lei. La prima domanda che Virgilio pone non è di Dante ma di Mario Luzi – il poeta che ha curato questa versione del Purgatorio – ovvero: “esiste il tempo?”. Mi sono immaginato che Virgilio venga dal Limbo, nel Limbo non c’è il tempo, è un continuo eterno, nel bene e nel male. Questo fatto del tempo gli dava un po’ lo stimolo ad andare avanti e a trascinare Dante, che si perdeva nell’ascolto dei personaggi, nella compassione per le persone che incontrava. Quindi dovevo dargli il tempo di ascoltare perché in qualche modo affrontando le pene delle altre anime che incontrava lui affrontava le sue, nel conoscere loro conosceva sé stesso e quindi purgava i suoi limiti. Dunque un po’ per il tempo, un po’ per la tensione, un po’ anche Virgilio si faceva appassionare. All’inizio ho giocato sul Virgilio perso che però aveva un obbiettivo da portare avanti, quindi c’era la cartina, si perdeva, non sapeva bene, però 7
SVAGO alla fine Virgilio tratta Dante con ingegno e con arte. Era anche un modo per tenerlo a sé senza obbligarlo. L’ho portato al Paradiso con dolcezza, qualche volta con durezza, per cui è un po’ ruspante ma sensibile e i tratti che ho cercato di dargli sono quelli. Essendo un autore molto legato alla natura, me lo sono immaginato come uno sciamano che faceva operazioni per portarlo in avanti, per far progredire la sua anima, per pulire la sua anima diremmo oggi se fossimo in un seminario sciamanico. Io credo che sia proprio un viaggio di questo tipo la Divina Commedia e che sia un viaggio che un qualsiasi essere umano, naturalmente con incontri differenti ma comunque attraverso l’ambiente che lo circonda, può conoscersi ed evolvere accettando l’altro, accettando i limiti degli altri, può progredire e può superare i suoi. Quindi un po’ sciamano un po’ sensibile. Credo che Virgilio avesse una fortissima sensibilità anche se era un tipo razionale, eppure non poteva fare a meno della sua natura. Poi ho lavorato un po’, spero sia arrivato, sulla nostalgia dalla quale viene assalito Virgilio affrontando queste anime del Purgatorio, lui si ricorda della vita. È nel Limbo il primo contatto, è come se noi domani entrassimo in un altro mondo totalmente differente, pur conoscendone le caratteristiche. Sarebbe come un mondo virtuale. Oggi sarebbe una serie di Netflix, come quella che ho visto ieri, tipo con i suoi occhi in cui entri in un’altra dimensione, e questa è la Divina Commedia. È un viaggio. Infatti passiamo anche dall’invidia, ecco magari invidia Dante perché può vedere Dio. La disgrazia di Virgilio è di non aver 8
conosciuto la fede, la fede che lo avrebbe portato in Paradiso. Quando dice la fede “senza la qual ben far non basta”, cioè anche se fai del bene tu non hai incontrato la fede, per questione di tempo semplicemente, perché era nato prima, non potrebbe accedere a quel mondo mai e non potrà mai vedere Dio, magari nessuno lo potrà fare, non possiamo saperlo noi ora naturalmente, ma nell’ipotesi di questa religione c’è un incontro, Virgilio non può neanche tenerlo in considerazione perché mai avrà questo incontro, mai tornerà alla vita e quindi quando Virgilio saluta Dante gli ricorda di uscire dall’arte, di uscire dai meccanismi artificiali e di guardare la vita in faccia per quella che è di godere dei fiori, degli arboscelli “Che qui da terra soda si produce, vedi il Sole che in fronte ti riduce” cioè senti la vita, è una fortuna che non avrai mai più, perché Dante appunto è ancora vivo, ha invece la fortuna di vivere questi passaggi in carne, quindi il suo ritorno sarà più arricchito di amore per la vita. Parlando del teatro in sé, hai recitato al Piccolo, uno dei teatri più importanti di Milano, nonché un bellissimo teatro, qual è la differenza tra mettere in scena uno spettacolo al Piccolo rispetto a un altro teatro che magari ha minor disponibilità, come le grandi impalcature o lo spazio? Sono abituato a passare da teatri vuoti e fare tutto con una sedia; ho fatto un monologo su Francis Bacon dove eravamo io, una lampadina una sedia. Per fortuna però la fantasia e la parola fanno viaggiare comunque. La differenza è questa: in uno spettacolo come Caro George, che era questo monologo, tu devi fare
vedere tutto attraverso il tuo racconto. Lì tante cose le puoi vedere dalla messinscena. La differenza c’è e non c’è. Cambiano i linguaggi, in quanto hai dei mezzi che possono stimolare la tua fantasia indirizzandola maggiormente verso l’immaginario del regista e degli attori che raccontano. Quando non hai niente diventa più forte il potere evocativo della parola e dell’emozione, ma ti fa fare un viaggio meno condizionato facendo tu stesso un viaggio più personale perché segui soltanto il racconto, non hai già la scenografia fatta. È più stimolante per l’immaginazione del pubblico avere pochi mezzi e più mezzi permettono al regista e all’attore di raccontare con più estetica e con più forza un immaginario proprio… Una cosa che invece purtroppo manca al Piccolo, perché è un grandissimo teatro, è la possibilità di esibirsi senza microfoni, in tutti gli altri teatri all’italiana facevamo lo spettacolo senza microfono. Il parlare senza microfono in un teatro adatto a ricevere lo strumento che è la vocalità, quindi facendo risonare un teatro con la tua forza “artigianale”, è molto differente dal sentire attraverso un microfono, sia per lo spettatore che per noi. In qualche modo, noi suoniamo il teatro senza filtro. Il microfono è un filtro che a volte può aiutare ad avere sfumature, ma in generale appiattisce tutto. Se vi è capitato di fare o vedere spettacoli senza microfono, sapete che c’è una vibrazione sottilissima della voce che arriva al corpo della chi ascolta; senza filtri quindi è più immediata, e da un certo punto di vista - più animale. Il microfono pone un filtro che a me dispiace sia quan-
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SVAGO do lo devo usare che quando lo devo ascoltare, a meno che non si faccia una un audiolibro oppure, come ho appena fatto per Rai 1, una fiction radiofonica per cui invece devi fare immaginare con la tua voce la situazione. Durante la rappresentazione si mostrano dei tipi di rapporto di parità tra Dante e Virgilio? con quali mezzi? Io non ho mai pensato che ci fosse una parità tra i due, e se questo è ciò che arriva è interessante. Paradossalmente forse la parità arriva dalla loro stima reciproca. Nessuno dei due si sente superiore all’altro, per come ho lavorato io, e ognuno ha la sua funzione. Anzi, francamente mi sono sempre sentito un po’ meno di Dante e magari anche lui nei miei confronti. Questo gioco alla rovescia ha fatto sì che arrivasse parità. Tecnicamente nella messa in scena, quando c’è il suo monologo sull’amore, Virgilio viene posto nella punta appena inferiore a quella di Beatrice, l’unica che sarà più alta di me poco dopo in Paradiso. Le notizie lasciano intendere che verranno rappresentati anche Inferno e Paradiso. Perché iniziare con il Purgatorio e con che cantica si concluderà il percorso? L’idea era di partire con l’Inferno e rappresentare in ordine Inferno, Purgatorio e Paradiso. Ma poiché nell’Inferno c’eravamo, con la pandemia, l’idea di raccontare cose così senza speranza, di parlare di ospedali, malattie e ciò che succedeva nell’Inferno, a un certo punto sia Federico Tiezzi che Sandro Lombardi, che collaborano da anni e che collaboravano anche allora, hanno deciso di non partire da un luogo così brutZABAIONE
to e così vicino alla vita di quel periodo. In Purgatorio c’è una speranza, c’è la speranza di fare un passaggio, c’è la speranza che purgandosi, pentendosi... non so che termini usare per non essere moralistico, però si prospetta una speranza di passaggio, cosa che nell’Inferno non c’è. Il fatto che il Purgatorio fosse un po’ più “positivo” aiutava a dimenticare il positivo-negativo della pandemia e inoltre, come dicono sempre loro, è la cantica in cui si racconta di più un mondo simile al nostro, simile alla vita sulla terra. Ti senti più Dante o più Virgilio? Mi sento sicuramente più Dante perché non ho guida... non ho guide quando mi muovo, neanche nella scelta dei lavori, che è spesso casuale; sono fatto così: ci sono attori che programmano meglio le loro scelte, io mi affido di più al caso. Sia per le scelte che per i viaggi non ho una guida, sono io la mia guida... quindi sono un po’ tutti e due. Mi sento più vicino a Dante perché ho bisogno di qualcuno che stimoli la mia curiosità e che talvolta mi dia una direzione. Non ho l’obbiettivo fermo che ha invece Virgilio; se fosse per sé, sono sicuro che anche il suo punto fermo sarebbe più confuso, ma, siccome deve portare un altro, fa meno fatica ad accompagnarlo alla meta. Hai qualche aneddoto da raccontare sulla tua esperienza? Al Piccolo? Al Piccolo sì. Il nostro è stato Purgatorio nel vero senso della parola. È stata l’ultima piazza della tournée, la più importante di tutte, e intanto gli attori cominciavano a cadere come le foglie e non si poteva neanche interrompere perché le norme
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erano cambiate. Per cui abbiamo iniziato in pandemia, abbiamo fatto un teatro romano di Pompei, abbiamo fatto una tournée lunghissima senza ammalarci, all’ultima piazza, come si dice in gergo, cioè Milano che non era produttore ma ci ospitava, ogni sera abbiamo fatto uno spettacolo differente perché mancava qualcuno. Per esempio il 1° aprile non c’era il personaggio di Poema. Noi provavamo al pomeriggio, ci si sostituiva internamente, quindi lo spettacolo è rimasto fedele all’idea, però ogni sera era differente, cioè la gente fa: “stasera la fa lui questa”. Quindi gli aneddoti sono che … chi fa Stazio, chi fa quell’altro, a parte i personaggi degli altri se la sono un po’ girata. La cosa ha ulteriormente affiatato la compagnia, è una cosa che non sarebbe successa se non fossimo stati in un teatro così preposto e con un apparato tecnico stabile come il Piccolo, così efficiente. Non avremmo potuto fare in nessun altro teatro, e in più i giovani con questa memoria pazzesca potevano ormai sostituire chiunque. Quindi è stato il sentire fisicamente addosso la malattia, perché io la domenica che ho fatto l’ultima replica ero già positivo, facevo fatica come ancora oggi a parlare e lì dovevo spingere, pompare, come si dice, arrivavo con fatica all’ultima sillaba perché ero già malato. Quindi abbiamo fatto il nostro Purgatorio di compagnia nella piazza più importante d’Italia, andando un po’ all’avventura, però ne siamo usciti credo vincitori e ci ha affiatato ulteriormente. 9
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ZABARECENSIONI TIZIANO E L’IMMAGINE DELLA DONNA NEL ‘500 VENEZIANO
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perta fino al 5 giugno, la mostra a Palazzo Reale non ha, a dispetto del titolo, come protagonista della mostra l’autore della Venere di Urbino, Tiziano: la sua intenzione è quella di trasmetterci i valori e gli ideali delle donne del tempo, nobili o umili, cortigiane o sante. Sono molti gli artisti attivi al tempo nella Serenissima: Giorgione, Tintoretto, Palma il Vecchio e Veronese. Ognuno di loro ha rappresentato figure femminili contemporanee oppure provenienti dal mito, come Lucrezia, che si uccide dopo l’offesa subita da un personaggio tristemente noto, Tarquinio Sesto figlio di Tarquinio il Superbo. Con la poesia per immagini, come lo stesso Tiziano definisce le sue opere, sono dipinte anche figure a noi sconosciute che ci trasmettono non solo la loro sensualità, come nella Giovane donna con cappello piumato, ma anche le grandi qualità delle donne della Venezia cinquecentesca, la loro determinazione e il loro ingegno (ricordiamo ad esempio il ritratto di Isabella d’Este). L’artista principale della mostra, e probabilmente di quel tempo, resta Tiziano: le molte opere esposte ci fanno viaggiare attraverso il suo percorso come artista fino a una delle sue opere più tardive, in cui si notano i colori scuri e pennellate quasi impressioniste, caratteristiche degli ultimi anni della sua carriera. Grazie alla collaborazione con il Kunsthistorisches Museum di Vienna tra le tante opere esposte non vi sono solo quadri, ma anche busti, oggetti quotidiani femminili dell’epoca e statue, principalmente dedicate alla dea Venere. (Giosuè Inzoli)
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LICORICE PIZZA
973, San Fernando Valley, California. Gary Valentine, adolescente con un passato da attore-bambino, propone un appuntamento romantico ad Alana Kane, ragazza di dieci anni più grande che fatica a trovare il suo posto nel mondo. Alana accetta dopo un primo momento di perplessità, ma non vuole impegnarsi in una relazione con il ragazzo per la differenza di età che li separa. Gary non si dà per vinto e nel frattempo si lancia in una serie di iniziative imprenditoriali, coinvolgendo Alana come socia in affari. I due vivono così una serie di avventure e il loro rapporto si evolve tra sogni e conflitti che li porteranno a maturare e a scoprire che il loro amore è reciproco. Il regista Paul Thomas Anderson dà vita al suo “Amarcord”, un racconto di formazione intriso di nostalgia, dove i ricordi personali dell’autore si fondono con l’atmosfera tenera, a tratti idealizzata, ma anche riletta con ironia, dell’America dei primi anni Settanta. La fotografia dai colori saturi e accesi e l’ottima sceneggiatura, dove ogni elemento combacia alla perfezione, donano una leggerezza fiabesca alla vicenda. Colpiscono anche le prove attoriali dei protagonisti, al loro esordio nel mondo del cinema, accompagnati da star del calibro di Sean Penn e Bradley Cooper, e il commento musicale, che rispolvera molte hit che circolavano in radio e sui giradischi di allora: non a caso il titolo del film è un omaggio a una piccola catena di vinili attiva in quegli anni nella California del Sud. Da non perdere. (Francesco Sciarrino)
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LA PASSIONE
primi minuti nelle sale del Diocesano vengono inevitabilmente consumati dallo stupore, tanto paiono estranei, nelle opere esposte, i soggetti che siamo soliti trovare in lussuose pale d’altare e grandiosi affreschi rinascimentali; eppure, dopo non molto, ecco che si resta coinvolti dal percorso proposto sull’argomento della Passione di Cristo trattata dall’arte del Novecento. Ambienti spogli e pareti colorate in toni sgargianti enfatizzano dipinti e sculture che occupano lo spazio, fagocitando l’attenzione sulle opere stesse. Poche sale, ognuna delle quali pone a confronto lo stesso soggetto affrontato in epoche e con linguaggi differenti, dando un’eccellente visione panoramica sulla riflessione operata dagli artisti, spesso con risvolti puramente umani. Infatti, l’arte sacra nel Novecento pare diventare, come descritto nelle molte indicazioni dei curatori della mostra, un’occasione - se non una scusa - per esplorare i drammi e la violenza dell’uomo del secolo scorso, con crocifissi che guardano apertamente alle atrocità delle guerre mondiali e Pietà che pongono l’uomo, psicologicamente solo e fragile, di nuovo al centro dell’attenzione, al centro del mondo. Tra avanguardie, tradizione e sensibilità ancora differenti sfilano bronzi, bassorilievi e tele a tinte tenui o drammatiche e sgargianti che fanno emergere eccellenti spunti di riflessione; le poche opere esposte - tratte dalla collezione di arte moderna dei Musei Vaticani - compongono una breve esperienza nel fin troppo sottovalutato itinerario nell’arte spirituale del Novecento. (Martina Lombardo)
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I SETTE MARITI DI EVELYN HUGO
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oro sono solo mariti. Io sono Evelyn Hugo.” Battuta breve ma potente, che riassume alla perfezione la filosofia di vita di una delle protagoniste femminili più intriganti della letteratura young adult degli ultimi anni. I sette mariti di Evelyn Hugo, di Taylor Jenkins Reid, ha riscosso un successo enorme tra il pubblico. Acclamato dalla critica, racconta la storia di una potente ed enigmatica attrice degli anni ’50, che, prossima alla pensione, decide di affidare la storia del suo misterioso passato alla sconosciuta giornalista Monique Grant. Inizia così un percorso di collaborazione tra le due donne, che porterà alla rivelazione di importanti segreti e allo stravolgimento di molti equilibri per entrambe. Il primo problema di questo romanzo è proprio Monique. Voce narrante in prima persona, dovrebbe essere una giornalista talentuosa e una donna di immensa forza e intelligenza. Purtroppo, non è così: è una narratrice piuttosto scialba e mediocre, poco spontanea e naturale, che non cattura il lettore. La trama ha un grande potenziale: la figura di Evelyn è accattivante e la sua storia non può che accendere una scintilla di curiosità. Scintilla destinata a spegnersi verso la metà del libro, a causa della banalità e della piattezza con cui sono sviluppati gli eventi e i colpi di scena. Sconsigliato a chi sta cercando una storia potente di una donna forte e brillante. Il personaggio e l’idea erano ottimi: poteva essere un libro acceso, intrigante, appassionante e potente, ma si rivela noioso, monotono e con qualche scontato cliché di troppo. Grande delusione, da un libro così amato dalla fascia più giovane di lettori! (Maria Cattano) 11
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ZABAOROSCOPO
di edoardo bonalumi, carolina parenti e angelica turi
ARIETE Ariete, aprite le orecchie! Con l’arrivo delle alte temperature c’è la possibilità che il ghiaccio che c’è dentro di voi riesca a sciogliersi.
TORO
Correte ai ripari perché gli astri prevedono per voi una terribile caduta a capofitto in un tombino.
LEONE Siete sempre amici e fidanzati fedeli, ma state attenti alle persone che vi circondano: non tutti sono come voi!
Sperate che il tempo non sia indeciso quanto voi altrimenti vi aspetteranno abbondanti piogge questo mese.
Siete tra i più meticolosi e perfezionisti, ma qualche volta dovreste prendervi una pausa ed essere meno duri con voi stessi.
Tutti dovrebbero imparare da voi: meglio poche amicizie, ma buone. Continuate così!
VERGINE
GEMELLI Toglietevi i tappi dalle orecchie perché se avete in mente di conquistare qualcuno non lo farete grazie alla vostra presunzione.
CANCRO Cancro! Smettete di essere i terapisti non pagati degli altri e iniziate a pensare ai vostri di problemi.
BILANCIA Maggio non è proprio il vostro mese: vi toccheranno un bel paio di profonde occhiaie da studio che stoneranno con i vostri outfit eleganti e appariscenti.
SCORPIONE Smettete di guardare i voli per le isole deserte quando tutti sanno che l’unica cosa che aspettate è fare festa.
ZABAORACOLO
I
l fine giustifica sempre i mezzi? Lo chiedi a me, che fino a qualche tempo fa dovevo consigliare agli eroi greci il modo migliore di far fuori qualche povero ragazzetto dello schieramento avversario per un fazzoletto di territorio e qualche anfora d’oro? All’epoca ti avrei risposto un sonoro “sì, certo, vai, trucida tutti e conquista la gloria”. Ahimè, gli anni mi hanno rammollito: ad oggi ti risponderei ancora di sì, ma fino a una certa linea che divide il nobile fine dalla semplice scorrettezza. Un fine raggiunto in maniera sporca rischia di lasciarti 12
SAGITTARIO
l’amaro in bocca; ciò non vuol dire che nella vita non si possa essere un po’ squali, e divorare qualche pesciolino che ci ostacola nel glorioso percorso verso i nostri obiettivi. In breve, possiamo dire che il fine giustifica (quasi tutti) i mezzi.
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eglio il latino o il greco? Intere generazioni di classicisti sono stati tormentati da questa domanda più di Amleto dal proverbiale “to be or not to be”. Certo, il greco ha il suo fascino: tutto vuol dire tutto e il contrario di tutto, i caratteri arzigogola-
CAPRICORNO AQUARIO
Sappiamo che vi piace viaggiare con l’immaginazione, ma state attenti a non smarrirvi troppo in mondi inesistenti l’ultimo mese di scuola.
PESCI
Riuscite sempre ad ottenere quello che volete e così sarà alla fine dell’anno scolastico, anche se durante l’estate la dea bendata vi volterà le spalle.
ti sono incredibilmente chic e, a differenza del latino, i tempi verbali lasciano un certo spazio alla fantasia del traduttore. Il latino, con grande gioia degli studenti di quinta che quest’anno lo troveranno alla recentemente reintrodotta seconda prova, è più severo e schematico, il che lo rende più semplice e meccanico da tradurre. Impossibile scegliere, è un po’ come decidere tra Atene e Sparta: se ci mettessimo a discutere non finiremmo più, ma entrambe rimangono impareggiabili, ognuna con i propri pregi e i propri difetti.
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di irene civitillo e maja pogutz
ilano è una città da vivere, ricca di opportunità nascoste da sco-
prire! A sole 3 fermate di tram da Lanza, nel cuore di Chinatown, nascosto in un dei tanti spiazzi di Paolo Sarpi, si trova un piccolo bar, oTTo. Facilmente raggiungibile dai pariniani, è il luogo ideale per trascorrere un pomeriggio di studio senza distrazioni, da soli, accomodandosi a uno dei tavolini singoli con computer e cuffie, o in compagnia, presso grandi tavolate. Si tratta di un open space pensato per studenti alla ricerca di un luogo tranquillo dove potersi con-
ZABA IN CITTÀ
centrare sui libri, concedendosi di tanto in tanto qualche piccola pausa con un caffè e una fetta di torta per recuperare le energie. Il locale è spazioso e con grande disponibilità di posti sia all’interno che all’esterno; cela anche molti angoli intimi con divanetti di tutti i tipi, perfetti per conversare sorseggiando un cappuccino. Appena entrati, si viene subito accolti da un arredamento alternativo ma confortevole: le vecchie riviste appoggiate su mensole in legno, illuminate da luci soffuse, e le piante rampicanti che ricoprono le pareti aggiungono un tocco casalingo a un’atmosfera semplice ma d’effetto, di cui non si può negare il fascino.
Dopo essersi accomodati, prima di accendere il computer e iniziare a lavorare, ci si può concedere un momento di ozio al bar, mentre nelle giornate più calde è possibile godersi un brunch o un drink anche all’aperto, in una dependance al riparo dal trambusto di Paolo Sarpi. Inoltre, l’ambiente è reso ancora più piacevole da un soffuso sottofondo musicale, che non disturba lo studio e accompagna invece le conversazioni più salottiere. Insomma, un locale versatile che rende piacevole persino lo studio!
L'ANGOLO DEL LIBERTARIO
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di fra cristoforo
e siamo arrabbiati con qualcuno si litiga. È naturale. A volte si riesce a riappacificarsi, a volte no. In questo secondo caso però la soddisfazione è poca: ci lascia con l’amaro in bocca. Accontentarsi di dissentire non basta, perché è solo accontentarsi. Una soluzione ci sarebbe. Una soluzione definitiva. Di cosa parlo? Del duello, ovviamente! Abbiamo a volte un’idea un po’ truce del duello; i film ci insegnano a pensare a cruenti scontri all’ultimo sangue, con pittoreschi smembramenti e puzzolenti cadaveri da pulire. Non deve essere così, non era così un tempo: il duello all’ultimo sangue non era quasi mai praticato, soprattutto ZABAIONE
METTERCI UNA PIETRA SOPRA
perché a a quel punto o si vince o si muore, che ridurrebbe drasticamente e in poco tempo la popolazione dei duellanti. Basta che sia un elegante duello al primo sangue: la prima persona a perderne una goccia ha perso. Il lettore più conservatore farà notare che “comunque un rischio di morte c’è”. Mah, il rischio di morte c’è in molte cose, a volte può valerne la pena. Siamo tutti d’accordo che morire accidentalmente e inconsapevolmente in un duello non sia una gran cosa, ma con un po’ di scartoffie si risolverebbe tutto. Con una bella liberatoria i partecipanti dichiarano di sapere cosa stanno facendo e via! Non sarebbe la cosa più pericolosa del mondo:
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l’arrampicata è molto più rischiosa ed è, di fatto, tentato suicidio con corde – un suicidio piuttosto costoso, pure. No, no, con un po’ di responsabilità il duello sarebbe un ottimo modo per risolvere le dispute spinose in una maniera che metta d’accordo un po’ tutti. “E se dovessi avere dei ripensamenti all’ultimo istante?” Con delle regole ben precise il problema non si porrebbe: si è sempre in tempo di chiedere scusa. Immaginate il nuovo meraviglioso mondo in cui vivremmo: anziché citare in giudizio i giornalisti per diffamazione, i politici potrebbero sfidarli a duello! Non vorreste vedere Super Mario che infilza Travaglio con un fioretto? Io sì. 13
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CRUCIVERBA di matteo morellini
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ORIZZONTALI 1. Il corpo di un galleggiante - 5. Il più lungo fiume italiano - 7. Mi distinguo per eccellenza - 13. Tanto caro mi fu quel colle - 14. Più è fresco più è caldo - 16. Mare a sud della Basilicata - 17. Day Hospital - 18. È Grande tra Stati Uniti e Messico - 19. Lo è la T come la D - 21. Il dizionario Castiglioni Mariotti - 22. L'attore Bruce - 23. Abbreviazione di modo - 24. Rientrare a casa - 26. Acceso - 28. Piccola scheda di memoria - 29. Primo di novembre - 31. Dottore - 33. Un gemello Weasley - 35. Piccole macchie sulla pelle - 36. Taranto in auto - 37. Prof Giovanni di storia e filosofia del Parini 40. Ingresso - 43. Vita sociale notturna, culturale e artistica - 44. Aereo di Trasporto Regionale - 45. Naturalmente disposti all'ira - 47. La porzione anteriore, affusolata, di un proiettile, di un missile, di una fusoliera - 49. Persona malvestita e trasandata nell'aspetto - 51. Dea greca dell'oscurità e della magia - 53. Assembly, Test and Launch Operations - 54. Solo, esclusivo, isolato - 56. Usavi essere - 57. Dio del sole per Tutankhamon - 59. I pari di Toby - 60. Il grasso a Manchester - 61. Fa coppia con Adamo - 63. Abbreviazione di developer - 64. Città dell'antica Mesopotamia - 66. Il sistema geocentrico - 69. Ha cinque dita - 70. L'Hill amico di Bud - 73. Le locande anglosassoni - 74. I ca14
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SUDOKU NUMERICO di Ludovica sancassani TROVA BARRELLA di daniele musatti IN QUEST'IMMAGINE COMPARE IL NOSTRO PRESIDE 6 VOLTE, RIESCI A TROVARLO?
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nederli a München - 76. Traiettoria spaziale intorno ad un corpo - 77. La dottrina di Seneca VERTICALI 1. Orazione sacra - 2. Capsula che produce basse temperature - 3. Si attacca alla lenza - 4. Il premio Nobel Dario - 5. Sedile per più persone - 6. Alnus, albero di piccola taglia, molto diffuso in Europa - 7. I moli a San Francisco - 8. Articolo determinativo singolare maschile - 9. Ente Nazionale Idrocarburi - 10. Deposita il limo - 11. Era conosciuto come ut - 12. Formaggio americano - 14. Denominazione scherzosa di ambienti collegati all'esercizio di una meditazione prolungata - 15. La coast di New York - 17. Lo è il Sahara - 19. Disgiunzione, separazione, allontanamento - 20. Non legato alla religione - 24. Prefisso della ripetizione - 25. La civetta di Harry Potter - 27. National Football League - 30. Sale dell'acido nitrico - 32. Quella quadrata di 4. è ±2. - 34. La Silvia madre di Romolo e Remo - 38. Un antenato - 39. Pulire con acqua - 41. Competizione automobilistica - 42. Cadenza che si ripete ogni anno - 43. Fatti esemplari idealizzati con partecipazione fantastica e religiosa - 46. Il sommo poeta - 48. La fine dei dannati - 50. Il fiume che secondo i greci circondava la Terra - 52. È un'esclamazione, ma lo si può anche mangiare - 55. Di pecore o di agnelli - 57. Organo a forma di fagiolo - 58. Mezzo di trasporto estremamente comune - 60. Mammifero diffuso nei mari artici - 62. Corrente alternata - 63. Solitamente è a sei facce - 65. Reticolo Endoplasmatico Rugoso - 66. Trinitrotoluene - 67. Massachusetts Institute of Technology - 68. Noto medicinale contro il mal di testa - 69. La mamma americana - 71. Rubidio - 72. Esercito Italiano - 75. Nanosecondo ZABAIONE
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SOLUZIONI
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