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ACQUA IN BOCCA
MALE PRAECINCTUM PUERUM CAUERE!
Sappiamo tutti che Cesare non è interessato a dirci di sé nulla più dei suoi meravigliosi exploit militari: dai suoi scritti ci sembra così un grandissimo, impavido generale che è tanto di rado colto in fallo…
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Eppure basta leggere altrove e subito si comprende che aveva invece un caratterino niente male.
Ma procediamo per gradi: una delle suddette fonti è, ancora una volta, il nostro caro Plutarco, il quale non comincia la vita di Cesare con ruggenti aneddoti sulle visioni della madre finché lo teneva in grembo.
Plutarco sembra non aver alcun interesse nel delineare la famiglia di Cesare e parte in quarta raccontando di come Silla (il dittatore) gli ordinò di ripudiare la prima (forse già la seconda) moglie, Cornelia. Seguiremo il suo esempio, e riportiamo solo il sonoro no con cui Cesare rispose alla richiesta dell’uomo allora più potente di Roma.
La vita raminga di Cesare, dunque, comincia con una fuga dalle autorità e questa sua intraprendenza è anticipata già dalla sua spericolatezza giovanile: amava andare a cavallo e in particolare amava lanciare il suo prode destriero al galoppo e cavalcare con le mani unite dietro la schiena.
Anni più tardi, quando aveva una reputazione da mantenere, decise invece di unire l’utile al dilettevole, e mentre cavalcava dettava le proprie lettere a uno scriba.
Il nostro Cesare viveva però su più registri, e a questa sua aristocratica abitudine si contrappone il fatto che, per esempio, non aveva esattamente un palato finissimo. Una volta a Milano gli servirono degli asparagi conditi con unguenti anziché olio d’oliva: Cesare ne mangiò senza fare una piega, sotto lo sguardo inorridito degli altri convitati.
Inorridire non è una reazione del tutto inappropriata di fronte a certe sue azioni. Non mi credete? Ecco un esempio: poco dopo la rocambolesca fuga di cui sopra, decise di andare a prendere lezioni di retorica - indispensabile per fare carriera - da un famoso maestro, ma il suo viaggio si interruppe quando fu catturato dai pirati, che chiesero un riscatto di venti talenti.
Dopo aver riso di loro, quasi offeso, rialzò il proprio stesso riscatto a cinquanta talenti e promise che l’avrebbe presto pagato. Passò i trentotto giorni di prigionia come se quelli fossero le sue guardie e attendenti: con loro scherzava, componeva versi e li declamava, e se non si mostravano debitamente meravigliati dava loro degli ignoranti e dei barbari e candidamente scherzava con loro dicendogli che li avrebbe fatti crocifiggere tutti una volta libero.
I pirati non avevano dubbi che scherzasse, anzi, erano divertiti dalla sua faccia tosta!
Indovinate che ha fatto appena è stato liberato? Già.
Interviene qui, in difesa di Cesare, Svetonio (poco più giovane di Plutarco, ma ancor più pettegolo di lui), secondo cui Cesare, per non prolungare la loro agonia, li fece sgozzare prima di appenderli: e a suo avviso ciò è chiaro segno della politica di clementia che Cesare adotterà con i suoi nemici quando sarà dittatore.
Dopo aver detto ciò, Svetonio si premura di precisare che pure i nemici erano tutti concordi nel dire che dei tanti vizi di Cesare, il vino non era fra questi. Pare infatti che Catone avesse detto che di tutti quelli che hanno tramato contro lo Stato, Cesare era l’unico a non essere ubriaco. E quando si trattava di porre Cesare in cattiva luce Catone certo non si tirava indietro: per protestare contro il fatto che Cesare camminasse strascicando a terra la toga, “alla maniera delle donne”, Catone andò in Senato in toga corta e peli a vista, in una sorta di costume semi-adamitico che all’epoca era considerato più virile.
Non era il primo ad avere da ridire su come si vestisse il nostro beniamino: già Silla aveva avvertito attenti al ragazzo che porta male la cintura! Per non parlare del suo aspetto estetico in generale: Svetonio non può fare a meno di sottolineare che Cesare teneva quei pochi capelli che aveva in avanti, come una sorta di riporto.
Insomma, a ben cercare, si capisce perché Cesare ha avuto tanto successo come icona pop: magari avesse inserito uno di questi aneddoti nei suoi Commentarii…