ZOOM EDITORIALE
LA REDAZIONE
L O SGUARDO DI ERIC RECHSTEINER Municipio di Tokyo, quartiere di Shinjuku
© Eric Rechsteiner
Zoom Giappone fa l’ingresso nel suo terzo anno di pubblicazione. Una persona è stata presente fin dall’inizio di questa magnifica avventura: il fotografo Jérémie Souteyrat. Ci ha accompagnato col suo talento e ha ampiamente contribuito ad innalzare il livello qualitativo della nostra rivista. Le sue immagini hanno permesso di valorizzare i vari testi. Jérémie lascia il Giappone per un’altra isola e vogliamo qui esprimere la nostra gratitudine per il suo impegno al nostro fianco. Questo non significa che la nostra proficua collaborazione si fermerà qui, poiché il suo legame con l’arcipelago nipponico rimane forte e numerose saranno le occasioni per lui di approfondirne la conoscenza. Volevamo tuttavia approfittare di questo spazio per trasmettergli un grande grazie. Otsukaresama !
Quello che fu l’edificio più alto della capitale fino al 2006 rimane uno dei luoghi ideali per scattare fotografie panoramiche della città. L’osservatorio situato al 44esimo piano, ovvero a 202 metri della torre n. 1, non è tuttavia molto frequentato da quando è stata inaugurata la Tokyo Sky Tree, grattacielo di 634 metri, col suo osservatorio posto a 450 metri di altezza.
redazione@zoomgiappone.info
112
anni. In Giappone più di un quarto della popolazione ha più di 65 anni, non è strano dunque che l’uomo riconosciuto ufficialmente come il più anziano del mondo sia giapponese. Originario di Hokkaido, Nonaka Masazô è dunque, a 112 anni, l’uomo più vecchio del pianeta. Nato nel luglio del 1905, Nonaka spiega la sua longevità grazie ai lunghi momenti trascorsi nelle sorgenti di acqua calda, i celebri onsen nipponici.
ECONOMIA
Una produzione industriale stabile
DIFESA Il
La produzione industriale è rimasta stabile nel corso del mese di febbraio, invece di affrontare il balzo del 4,1% in avanti precedentemente annunciato. Questa stagnazione giunge dopo il brusco passo indietro avvenuto a gennaio (-6,8%), preceduto a sua volta da tre mesi consecutivi di innalzamento degli indicatori. Questi ultimi subiscono forti variazioni da un mese all’altro in ragione degli aggiustamenti effettuati in tempo reale e basati sui ritmi delle catene di produzione.
Il Ministero della Difesa progetta seriamene di trasformare la sua portaelicotteri Izumo in una portaerei grazie all’introduzione dell’F-35B, gioiello tecnologico che vede fra le sue caratteristiche il decollo corto e l’atterraggio verticale. Se questo accadesse, per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, il Giappone sarebbe dotato di una portaerei. L’iniziativa giunge nel contesto di numerose tensioni sullo scacchiere geopolitico asiatico.
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ritorno della portaerei ?
Watanabe Hitomi
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Shinjuku nel 1968 vista da Watanabe Hitomi nel suo libro 1968 Shinjuku (ed. Machikarasha).
Shinjuku 1968 - 2018 Appena cinquant’anni fa il celebre quartiere di Tokyo era conosciuto come uno dei luoghi più effervescenti di tutto il Paese.
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on sono foto di ieri, ma immagini di oggi” il motto del celebre fotografo araki Nobuyoshi appare su un banner che raccoglie i clichés composti da WaTaNabe Hitomi. Pubblicato nel 2014 dal piccolo editore Machikarasha, quest’opera passata quasi in sordina costituisce una testimonianza importante di quello che il Giappone stava vivendo e rappresenta insieme il riflesso di ciò che il quartiere di Shinjuku è diventato. Semplicemente intitolata 1968 Shinjuku, l’opera ci permette di comprendere fino a che punto il quartiere di Tokyo sia stato al centro di un fermento culturale senza precedenti, dandoci anche l’occasione di immergerci completamente in un’atmosfera che resta immutata da cinquant’anni. Shinjuku resta un luogo evocativo della megalopoli nipponica, nonostante sul piano dell’offerta e del fermento culturale ci si debba
spostare un po’ più a ovest, verso Nakano, così da ritrovarne l’atmosfera che vi regnava. Mentre a Parigi stava nascendo quello che è passato alla storia come il Maggio 1968, Tokyo era al centro di un vasto movimento di agitazione cominciato circa una decina d’anni prima. “Credo che avessimo una rabbia in noi in quell’epoca storica, eravamo in rivolta contro la generazione dei nostri genitori” dice il mangaka SaSaki Maki (vedi p. 28) che si raccontava nel 1968 con opere, come da lui specificato, piene di “rabbia”. “Anche se mi divertivo e sperimentavo, in fondo ero arrabbiato”, dichiara in un’intervista che è parte della raccolta delle sue opere Charivari! pubblicata recentemente in Francia da Le Lézard noir. Oltre alla questione legata all’aumento delle tasse universitarie e al rinnovo del Trattato di sicurezza nippo-americano (buona parte delle forze militari USa transitavano dalle basi situate sul territorio giapponese) che fa scendere milioni di persone per le strade all’inizio del decennio, la guerra in Vietnam alla quale il Giappone par-
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tecipa indirettamente e una nuova coscienza ambientalista alimentano la collera, evocata dal disegnatore e comune anche ad altri giovani dell’epoca. Se Parigi e le sue barricate sono diventate i simboli mondiali della rivolta che conquista il cuore della gioventù nata dopo la Seconda Guerra Mondiale, sarebbe un torto non soffermarsi su esperienze altrettanto significative, a oltre 10000 chilometri di distanza. È la ragione per la quale alla vigilia della celebrazione del Maggio 1968, volevamo mettere l’accento su Shinjuku attraverso le testimonianze di coloro che ci avevano passato la maggiorparte del loro tempo e che l’avevano vista evolvere. Un luogo di memoria in continuo movimento. Un luogo di cui è doveroso ricordare il ruolo cruciale nella storia contemporanea del Giappone. Solo così possiamo comprendere a fondo i cambiamenti sociali e culturali avvenuti nel Paese nel successivo mezzo secolo. ODAIRA NAMIHEI
Jérémie Souteyrat per Zoom Giappone
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Shinjuku nel 2018, vista da Jérémie Souteyrat.
STORIA
50 anni di trasformazioni
Dall’epoca in cui fu uno dei centri culturali di Tokyo, il quartiere di Shinjuku ha conosciuto dei profondi cambiamenti.
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opo aver passato i primi venticinque anni a Tokyo, posso affermare più che mai che sono davvero innamorato di questa città. Per la sua quantità di luoghi eccitanti e dinamici la capitale non ha eguali. Tuttavia, e me ne dispiace, il solo punto negativo rispetto a Parigi, Londra o roma, è la debolezza del suo patrimonio urbanistico e architettonico. Dopo essere stato distrutto ben più di una volta a causa di catastrofi naturali o per cause umane, non restano che poche testimonianze del suo passato; ossia il periodo, relativamente recente, del dopoguerra. Shinjuku stessa non è stata risparmiata: il 90 % della zona attorno alla stazione è stato rasato al suolo dai raid aerei americani che hanno colpito Tokyo tra il maggio e l’agosto 1945. Ciò nonostante, il quartiere ha conservato la sua rete
ferroviaria di prima della guerra. Cosa ancora più incredibile, benché delle ampie zone di Shinjuku siano completamente cambiate nel corso degli ultimi sessant’anni, alcuni dei luoghi più caratteristici sono sopravvissuti al suo sviluppo urbano sfrenato. Cominciamo con la piazza situata di fronte all’uscita est della stazione. ed è qui che si trovano le più antiche reliquie di Shinjuku. Oggi essa viene chiamata Minna no izumi (La fonte di tutti), ma quando Londra la offrì a Tokyo, all’inizio del XX° secolo, l’avevano battezzata Basuiso (riserva d’acqua per cavalli) poiché serviva sia agli uomini che agli animali. attualmente esistono solo tre fontane così al mondo, tra cui questa dietro la stazione, che si intravede anche in una rara scena a colori del film Diario di un ladro di Shinjuku (Shinjuku dorobo nikki) realizzato nel 1968 da OSHiMa Nagisa. Una delle costruzioni più notevoli del quartiere si trova proprio accanto alla stazione; si tratta
dell’edificio Yasuyo, creato nel 1969 dall’architetto TaNiGUCHi Yoshiro che deve la sua notorietà anche a kakiden, un ristorante che occupa tre piani e la cui decorazione è stata concepita da TaNiGUCHi stesso. Proseguendo per la via di Shinjuku (Shinjuku dori), non si può non menzionare l’edificio principale, la libreria kinokuniya (1964). Stretta tra due costruzioni di minore importanza, si potrebbe facilmente perdere di vista, ma per oltre cinquant’anni ha rappresentato il cuore della scena culturale locale di Shinjuku, che aveva anche numerosi caffè e jazz club. Uno dei più celebri, il Pit inn, si trovava giusto accanto a kinokuniya. aperto nel 1965, questo edifico di 40 posti divenne presto il luogo preferito dai musicisti jazz locali, tra cui il sassofonista WaTaNabe Sadao, il pianista YaMaSHiTa Yosuke, il trombettista HiNO Terumasa e la cantante aSakaWa Maki. il Pit inn ha traslocato tre volte e attualmente si trova in una piccola via ad est del quartiere.
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Gianni Simone per Zoom Giappone
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Nel seminterrato dell'Art Theater Shinjuku Bunka, c'era il Sasori-za (il Teatro Scorpion) dove venivano proiettati film d' avanguardia stranieri e giapponesi.
L' edificio Yasuyo è noto per ospitare il ristorante Kakiden.
Il grande magazzino Isetan, costruito nel 1933, risparmiato dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, è uno dei simboli del quartiere.
evocando caffè scomparsi, non possiamo non citare il mitico Fugetsudo dove, alla fine degli anni sessanta, si riunivano tutti i ribelli e gli artisti dell’epoca, come TakiGUCHi Shuzo, SHiraiSHi kazuko, TaNikaWa Shuntaro, gli attori MikUNi rentaro e kiSHiDa kyoko, e, ovviamente, l’artista polivalente ed “enfant terrible” TeraYaMa Shuji (la cui base principale era in realtà Shibuya). MarO akaji, maestro di danza
buto, racconta che è stato proprio lì che ha incontrato per la prima volta il drammaturgo kara Juro (all’epoca occupato a plasmare il suo “teatro di situazione” all’interno della celebre tenda rossa). Poi sono arrivati gli hippies, verso la fine del decennio, inizialmente per vendere e comprare marijuana e LSD. Purtroppo il luogo è stato chiuso nel ’73, ma si può ancora godere di questa atmosfera retro tipica dei caffè dell’epoca
Gianni Simone per Zoom Giappone
Gianni Simone per Zoom Giappone
Questa fontana, dono della città di Londra, si trova all’uscita est della stazione.
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(benché ora decisamente più borghese) a L'ambre, molto vicina al luogo in cui sorgeva il vecchio Fugetsudo. Vicino a L’ambre si trova un altro punto di riferimento di Shinjuku, il grande magazzino isetan. Questo gigantesco edificio è stato costruito nel1933 nello stile art-deco allora molto in voga ed è miracolosamente sopravvissuto ai raid aerei. Oggi è considerato il volto di Shinjuku e insieme
Il centro di trattamento delle acque di Yodobashi è stato sostituito da una foresta di grattacieli.
che che hanno salvato i locali facendo turni anche di notte. attualmente Golden Gaï è ancora splendente e interessante, benché abbia perso un po’ della sua allure mitica e un po’ dura (ora molti bar accolgono gli stranieri dichiarando con fierezza scritta sulla porta “nessun costo per sedersi”), ma è probabilmente l’unico luogo a Tokyo in cui rivivere la città come era alla fine della guerra. in effetti molti bar e locali sono lì da oltre cinquanta anni. Per trovare l’opposto, non solo geograficamente, del Golden Gaï, bisogna raggiungere l’altro lato della stazione. Fino al 1968 c’era un’enorme buca a ovest di Shinjuku, il centro di trattamento delle acque di Yodobashi. inaugurato alla fine del 1898, rappresentò la prima opera idrica mo-
TENDENZA Nel
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derna nel Giappone, con una capacità di 140.000 metri cubi d’acqua al giorno. La fabbrica si è ingrandita con gli anni, per soddisfare la domanda crescente di acqua potabile, fino alla sua chiusura, circa cinquant’anni fa. Mi sarebbe piaciuto poterlo vedere con i miei occhi… Oggi questo “buco” è stato sostituito da una foresta di grattacieli! Molti degli edifici più alti e conosciuti della città si trovano qui, tra cui il palazzo del governo metropolitano di Tokyo disegnato da TaNGe kenzo, la torre Mode Gakuen Cocoon dal design sorprendente fino a Park Hyatt Hotel, reso celebre da Sofia Coppola nel suo film Lost in translation (2003). GIANNI SIMONE
cuore della protesta
isogna vederci uno scherzo della storia o una semplice causalità? eppure non pare un caso che i giovani giapponesi si siano nuovamente riuniti per protestare,
il 25 marzo, proprio nel quartiere di Shinjuku, contro il governo, cinquant'anni esatti dopo i loro predecessori. Se nel 1968 erano la Guerra in Vietnam e il sostegno implicito del
Giappone alla politica americana, che avevano fatto scendere in piazza le persone, oggi sono la revisione costituzionale e lo scandalo Moritomo Gakuen (p. 25).
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uno dei grandi magazzini tra i più importanti del Giappone. Vale la pena andarci per osservarne i dettagli architettonici anche se non siete in vena di shopping. il luogo è particolarmente affollato durante le vacanze; immaginate quindi lo choc quando la stazione di polizia situata di fronte fu incendiata, la vigilia di Natale del 1972. a circa un centinaio di metri dalla stazione di polizia di fronte a isetan, sul viale Meiji, si trova l’art Theater Shinjuku bunka che esisteva già all’epoca. La sola differenza è legata al fatto che fino a circa cinquant'anni fa questo luogo era, insieme al Sasori-za, il Teatro Scorpion, situato nel sottosuolo, il cuore dell’avanguardia cinematografica del Giappone. Vi si proiettavano film d’arte e di saggi sia stranieri sia opere di talenti locali ancora in divenire (vedi p.12). Ora, purtroppo, è un cinema qualunque. La zona più vicina alla stazione di Shinjuku ha conservato durante alcuni decenni la sua struttura originale, mentre il quartiere caldo di kabukicho è uscito dalla guerra in uno stato così devastato da dover essere soggetto ad una completa ricostruzione. Nel centro, circondato da piccoli bar, si trovava il Shinjuku art Village, un piccolo teatro consacrato alla danza buto. Poiché i proprietari non pubblicizzavano affatto gli spettacoli, c’erano generalmente non più di dieci persone ad assistervi, compreso qualche ubriaco arrivato lì per caso. inutile aggiungere che non è durato a lungo. Si è trasferito a Meguro nel 1974. Nulla evoca un’atmosfera più nostalgica del tram. a Tokyo purtroppo la maggior parte della rete di tram (181 km) è stata smantellata a partire dal ’67 e poi dal ’72 a causa di problemi finanziari e del forte aumento del traffico automobilistico. a Shinjuku, il tram ha smesso di funzionare nel 1970. Quattro anni dopo un tratto di rete a forma di S a est di kabukicho è stata trasformata in una passeggiata detta il cammino delle quattro stagioni (Shinjuku yuhodo koen shiki no michi): una bella distesa verde che conduce al centro culturale locale. il sentiero costituisce la frontiera occidentale di Golden Gaï, una zona incredibilmente esigua con circa 200 piccoli bar e club sotto forma di baracche. Conosciuto all’origine con il nome di Yoshiwara, in riferimento al quartiere dei piaceri dell’antica capitale edo, rimpiazzò il sesso con l’alcool quando la prostituzione divenne illegale nel 1958 ; nel 1968 attirò una folla variopinta di artisti, musicisti attori giornalisti e altri intellettuali. Negli anni ottanta, i bar decrepiti sono diventati il bersaglio dei clan yakuza, i quali hanno cercato più volte di incendiarli per permettere ai loro affiliati di acquistare i terreni; per fortuna il piano delinquenziale è fallito, grazie a volontari
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1968,i giovani scelgono Shinjuku per manifestare contro la guerra del Vietnam.
25 marzo 2018, importante manifestazione contro il governo, davanti al grande magazzino Isetan.
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ZOOM INCHIESTA MEMORIE
Il cuore della contro-cultura
Per l’influente critico giapponese Yomota complicato per me seguire la lotta perché vivevo Inuhiko, Shinjuku ha svolto un ruolo ancora con mia madre che non era, come è comchiave nella diffusione di idee nuove. prensibile, particolarmente contenta di alcune mie
Yomota Inuhiko
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l professore YOMOTa inuhiko è una figura unica nel mondo della critica in Giappone. Fin da quando era studente alla prestigiosa Università di Tokyo, YOMOTa lavorava per editare i manoscritti redatti a mano da Oe kenzaburo e iniziava a scrivere di cinema su diversi giornali. ancora oggi è probabilmente più conosciuto per i suoi saggi sui film giapponesi, asiatici e occidentali, ma invece di specializzarsi ha coltivato nel tempo molteplici interessi, come la letteratura, la musica, il fumetto e persino la cucina. Tra le più di cento opere da lui pubblicate (non tradotte, purtroppo), High School 1968 (ed. Shinchosha, 2004, inedito in italiano) una testimonianza diretta di quello che significava essere un adolescente durante il periodo delle rivolte sociali alla fine degli anni sessanta. a gennaio ha pubblicato il primo volume di una serie di tre libri dedicati a questo periodo storico, sotto il titolo 1968. il primo tomo, Bunka (Cultura, ed. Chikuma Shobo, inedito in italiano) riccamente illustrato, evoca il clima culturale di rivolta caratteristico dell’epoca. Noi lo abbiamo incontrato in una scuola di cinema a Shibuya, dopo una proiezione, dove ci ha confessato “Il cinema è stato da sempre la mia più grande passione, a tredici anni ero già membro dell’art Theater Shinjuku Bunka dove si potevano visionare film rari d’arte e di saggi che arrivavano dall’europa. Da liceale poi andavo spesso a Shinjuku dove molte cose eccitanti accadevano.” Tuttavia il cinema non era il solo interesse coltivato dal giovane YOMOTa. Nel 1968, quando frequentava il primo anno del liceo, attirato dalla rivoluzione cinese, come tutti, leggeva il Libretto Rosso di Mao Tse-tung “facevo parte del club di kendo della scuola e mio zio mi diceva che io ero un samurai, e che era mio dovere difendere la società. Quindi, quando ho sentito quello che le guardie rosse facevano a Pechino, mi sono detto che era nostro dovere in Giappone seguire il loro esempio, resuscitare lo spirito samurai e fare una rivoluzione. Dovete sapere che l’etica samurai non è solo un elemento di estrema destra, si può essere un samurai e essere insieme un marxista rivoluzionario; oggi sarebbe facile darmi dell’ingenuo, ma in quel momento credevo fermamente in quelle idee.” in quel periodo gli studenti si erano già lanciati nel clima rivoluzionario, mettevano i caschetti e innescavano tafferugli con i poliziotti, e lo stesso YOMOTa inuhiko si unì alla lotta, benché “Fosse
scelte, come i capelli lunghi e certi occhiali da sole, che attribuiva ad influenze negative, pensando fossi diventato un delinquente. Dovevo quindi combattere su due fronti, e alla fine sono diventato membro del Zenkyoto, il Consiglio della lotta interfacoltà della mia scuola, un gruppo di opposizione alla guerra in Vietman che organizzava spesso cortei per protestare, lanciando pietre. Nel 1969 abbiamo organizzato l’occupazione della nostra scuola, ma non è riuscita, comunque la mia situazione era insostenibile e ho deciso di lasciare il liceo. Dopo aver letto Karl Marx, ero assolutamente convinto che essendo cresciuto in una famiglia bor-
Le strade di Shinjuku disegnate dal professor YOMOTA che le ha ampiamente frequentate.
ghese, dovevo raggiungere il proletariato, e così ho cominciato a lavorare in una fabbrica di dolci. Mi ricordo che guadagnavo 1000 yen per una giornata di lavoro di circa 8-10 ore. C’erano molti altri giovani della mia età che lavoravano lì, venivano soprattutto da famiglie povere, avevano lasciato la loro provincia per cercare lavoro a Tokyo. Cercavo di integrarmi, ma dopo un po’ ho capito che esisteva uno scarto enorme tra di noi, non solo temevo di non poter sopravvivere con un salario così misero, ma era ormai evidente per me che appartenevamo a mondi troppo diversi. Durante la pausa, ad esempio, io leggevo un libro, mentre loro preferivano parlare di donne e soldi. Questa presa di coscienza mi ha spinto a mettere in discussione il mio sogno di raggiungere la classe operaia: ho compreso quanto
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fosse irrealistico. Intanto la mia famiglia, fortunatamente, aveva chiesto alla scuola di riprendermi, e così fu”. Nel 1972, YOMOTa inuhiko entrò all’Università, già disilluso dalla politica, in particolare a causa delle faziosità che impregnavano il movimento studentesco. “In ogni campus c’era una zona letteralmente controllata da Kakumaru-ha, un’altra da Kyosando (lega comunista) e una terza dalla lega della gioventù democratica, la Minsei Domei”, ricorda Yomota.“Se eravate Nonpori, letteralmente non politici, cioè neutri, allora potevate circolare liberamente per il campus e andare ovunque, se invece appartenevate ad una certa fazione, allora non potevate, e nemmeno avreste osato, andare nelle zone controllate dal nemico. Per quello che mi riguardava, ero completamente immerso nell’universo del cinema e non mi occupavo più molto di queste faccende politiche, ma al contempo non potevo ignorarle: fui molto colpito quando due miei compagni furono uccisi”. benché il cinema fosse per lui la principale motivazione per recarsi a Shinjuku, il quartiere aveva anche molto altro da offrire “purtroppo io ero uno studente squattrinato, il meglio che potevo permettermi era un caffè in uno dei numerosi jazz bar del quartiere, come il Pit Inn. Vi ho passato ore intere ad ascoltare dei giovani musicisti all’epoca sconosciuti”. Abe Kaoru era uno di questi. Allora ventenne, autodidatta, aveva lasciato la scuola nel 1967 per dedicarsi alla musica. “Un giorno è uscito, ha suonato qualche nota, prima di mormorare agli spettatori della sala: oggi è un brutto giorno. È andato via poi, aveva qualche problema mentale, era evidente questo…”. YOMOTa inuhiko si è anche dedicato al teatro, ma senza grande successo. “Per due volte sono stato scartato all’audizione per unirmi alla troupe di TerayaMa Shuji che stava lavorando all’adattamento giapponese della commedia musicale americana Hair. Quando sono arrivato lì mi sono ritrovato circondato da circa trecento hippy! Non pensavo ci fossero così tanti capelloni in Giappone!". La commedia originale faceva riferimento anche alle questioni razziali e alle proteste contro la guerra in Vietnam, mentre nella versione riadattata da TeraYaMa Shuji si raccontava di un giapponese che sogna di diventare un bianco americano fino al giorno in cui non riceve la sua cartolina di chiamata alla leva e a quel punto non sa più che fare. “TerayaMa ha sostituito i personaggi afroamericani con degli Zainichi (residenti coreani permanenti in Giappone), i quali sono tradizionalmente discriminati da noi; la sua intenzione era toccare tutti i tabù della società giapponese, ma
la compagnia Shochiku, che era a capo dello spettacolo, bloccò le repliche e cacciò TerayaMa. alla fine sono tornati al copione americano orginale, ma lo spettacolo era snaturato, un’occasione persa!.” il 1968 è stato anche l’anno per il Giappone dell’apertura alle idee culturali e politiche che venivano dall’europa. “Le opere di Walter Benjamin sono state tradotte per la prima volta e hanno avuto un forte impatto sulla filosofia giapponese”, ricorda il professore YOMOTa. “Ma ancor di più le opere di Sartre, la cui visita nel ’66 può essere paragonata come impatto a quella di Chaplin nel 1932. Un altro evento importante quello stesso anno è stata la proiezione del film di Godarde La Cinese, all’art Theater Shinjuku Bunka. Questo film ha avuto un impatto enorme su di me. Il Giappone credo sia stato il solo Paese, Francia esclusa, in cui i film di Godard del periodo del gruppo Dziga Vertov sono stati diffusi. Il sottotitolaggio era allora impossibile, per cui i film erano doppiati da attori che facevano parte dell'entourage di OSHIMa Nagisa”. il movimento del Maggio francese e la filosofia che l’accompagnava ebbero una grande influenza sul movimento studentesco in Giappone. in Francia era il Maggio 68, per noi fu Gogatsu kiki (la crisi di maggio) o Gogatsu kakumei (la rivoluzione di maggio). “In Francia ci sono stati dei momenti in cui era vietato mostrare in tv le manifestazioni e le proteste nelle strade parigine” ricorda il critico. “Tuttavia, in Giappone, erano regolarmente diffuse ed ero colpito dalla quantità di slogan e graffiti scritti sui muri, frasi tipo “è vietato vietare”. a Shinjuku e altrove a Tokyo, eravamo sotto la permanente minaccia di essere arrestati e picchiati dai poliziotti anti-sommossa, ci rompevano gli orologi e ci prendevano gli zaini. Facevamo in modo che i ragazzi si trovassero esterni durante le manifestazioni, e le ragazze invece interne ai cortei. Invece a Parigi vedevo le persone camminare per le strade, sorridere, cantare, benché fossero serie nelle loro rivendicazioni, si sforzavano di liberarsi da una società autoritaria, ma il tutto con un’attitudine ludica, avevano l’aria di divertirsi anche. Quando sono andato a Londra, poco dopo, ho visto donne incinta e bambini che camminavano alla testa dei cortei. ero esterrefatto da questo, e più in generale mi sono spesso interrogato sulla mancanza totale di umorismo all’interno del movimento giapponese. anche in Corea era la stessa cosa, noi ci prendiamo troppo sul serio, in altri Paesi potevi vedere delle persone travestite da animali che suonavano. Da noi al confronto c’erano solo gruppi di studenti con l’elmetto ed il bastone che marciavano in formazione militare, con il viso nascosto sotto una maschera o una sciarpa. e la cosa peggiore, come già ho ricordato, furono le lotte intestine, che hanno finito con il distruggere il movimento dall’interno. Una cosa davvero triste.” G. S.
Jérémie Souteyrat per Zoom Giappone
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Per YOMOTA Inuhiko, il quartiere di Shinjuku ha rappresentato il paradiso cinematografico. giugno - settembre 2018 N. 10 ZOOM GIAPPONE 9
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Un quartiere fondamentale
Shinjuku è stata sia centro di proiezione di film all’avanguardia che set di numerose produzioni cinematografiche.
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li anni '60 sono stati un decennio molto agitato per il Giappone. il luogo in cui confluivano la maggior parte dei sobillatori e degli amanti del piacere era sicuramente Tokyo, di cui Shinjuku era di gran lunga il luogo più adatto per assistere, o partecipare, a questa rivoluzione culturale e sociale. Per molti giovani registi della New Wave giapponese, questo quartiere divenne il centro, se non la loro casa, e spesso sceglievano di installare lì le loro macchine da presa, quando si trattava di filmare. Tuttavia, la nostra storia inizia con un uomo che apparentemente ha poco a che fare con la New Wave, SUZUki Seijun. Quando diresse everything goes wrong (Subete ga kurutteru) nel 1960, aveva già trentasette anni e dal 1956, l’anno in cui divenne un regista a tutti gli effetti, aveva già scritto sedici film, la maggior parte dei quali b-movie a basso budget. Tematicamente e soprattutto stilisticamente il suo lavoro era un incrocio tra i film di fine anni ‘50, incentrati sulla gioventù decadente borghese, e l’emergente New Wave, sulla scia di La stagione del sole (Taiyo no kisetsu FUrUkaWa Takumi, 1956). Nel film moralistico SUZUki racconta la storia di due adolescenti che flirtano tra crimine e violenza, tanto fisica quanto psicologica, fino alla morte improvvisa in un incidente d'auto. Lo stile di SUZUki è notevole, la sua macchina da presa segue con taglio documentaristico i due studenti delle scuole superiori nel loro esplorare Shinjuku e Mejiro, in una corsa mozzafiato fino alla morte. Se facciamo un grande salto sino alla fine del decennio, l'angoscia adolescenziale si è trasformata in una guerra aperta contro ogni forma di potere, incluso l’autoritario sistema educativo, che sembra essere rimasto al Medioevo, e la sottomissione del governo giapponese alla politica estera statunitense, in particolare nella guerra del Vietnam. SUZUki era ancora lì, ma non per molto, dal momento che il suo audace film sulla Yakuza, La farfalla sul mirino (Koroshi no rakuin, 1967), venne considerato incomprensibile dal suo studio, il Nikkatsu. il regista, licenziato senza tanti complimenti un anno dopo, rispose convocando una conferenza stampa in cui denunciò il comportamento scorretto dello studio. Si creò rapidamente un comitato di sostenitori di SUZUki composto da registi, attori e studenti, che riuscirono a
La farfalla sul mirino (Koroshi no rakuin) è stato un punto di svolta per la carriera di Suzuki Seijun.
mobilitare con successo il pubblico per varie manifestazioni di massa, unendosi ad altri gruppi di dissidenti nelle strade di Tokyo, specialmente a Shinjuku. alla conferenza stampa di SUZUki era presente OSHiMa Nagisa, una delle figure centrali della New Wave giapponese. realizzò due film nel 1968, ma siamo più interessati al Diario del ladro di Shinjuku (Shinjuku dorobo nikki). ispirato al racconto autobiografico Diario del
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ladro di Jean Genet (1949) e girato durante le ore più calde della rivolta studentesca e quasi interamente nel quartiere. il film riprende infatti alcuni luoghi iconici di Shinjuku, a partire dalla libreria kinokuniya, in cui il ladro è colto in flagrante. Tra i libri rubati c'è il celebre Diario di Genet. La sede della libreria kinokuniya, che conta nove piani più due interrati, fu completata solo pochi anni prima, nel 1964, dall'architetto MaekaWa kunio a
cui si deve il Tokyo Metropolitan Museum di Ueno. all’interno si trovano una galleria d'arte e un teatro, il celebre kinokuniya Hall. Oggi Shinjuku ha una seconda e più grande libreria kinokuniya, di fronte all'uscita sud della stazione, ma l'atmosfera retro-modernista del vecchio edificio rimane ancora ineguagliata. Torniamo però alla nostra storia: il ladro, interpretato dal famoso artista YOkOO Tadanori, è catturato dalla commessa, che lo porta nell’ufficio di TaNabe Moichi, ma il vero proprietario della kinokuniya, che interpreta se stesso, non sembra particolarmente interessato alle imprese del giovane. Comincia così la strana storia di questi due personaggi che cercano senza successo di avere un rapporto sessuale, per poi vagare per le strade di Shinjuku, alla ricerca di consigli, da parte del sessuologo TakaHaSHi Tetsu e di un senso alla loro situazione. Durante il suo peregrinare senza meta la coppia assiste, davanti all’uscita orientale della stazione, allo spettacolo dell’artista di strada kara Juro prima di seguirlo fino alla sua tenda rossa, montata nei giardini del Santuario di Hanazono, dove incontrano la sua troupe di teatro situazionista. alla fine, la coppia riesce a raggiungere l’estasi, mentre per le strade lottano i manifestanti e la polizia, per davvero. Questo film, prodotto tipico dei suoi anni, la cui trama è interrotta di continuo da persone che parlano di rivoluzione e liberazione sessuale, non ha riscosso molto successo. eppure si tratta probabilmente della miglior produzione cinematografica nella Shinjuku di fine anni ’60, perché trasmette fedelmente il fascino caotico del quartiere durante questi anni, a dir poco agitati. Sfortunatamente, il momento di sconvolgimento sociale e culturale del Giappone non è durato a lungo, la società dominante ha voltato le spalle al movimento studentesco e la polizia ha iniziato a reprimere ogni segno di dissenso. Due film girati a Shinjuku nel 1970 sono una chiara testimonianza di questo cambiamento: Shinjuku Mad (Shinjuku maddo) di WakaMaTSU koji e Stray Cat rock e Female Boss (Nora-neko rokku : Onna banchô) di HaSebe Yasuharu. Wakamatsu aveva allora solo trentaquattro anni, ma era già un veterano, con alle spalle diciassette film in sette anni. il suo controverso mix di film erotici, violenza e politica di sinistra radicale è riuscito ad attrarre ed allontanare il pubblico. il suo Shinjuku Mad uscì nel momento in cui il movimento dissidente si radicalizzava, facendo sì che diversi gruppi di studenti fossero più interessati a combattere tra loro che contro l'establishment. WakaMaTSU si serve della storia di un padre in lutto alla ricerca degli assassini di suo figlio per attaccare questi gruppi radicali che, nonostante la loro ideologia di sinistra, si
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KARA Juro in Diario di un ladro di Shinjuku (Shinjuku dorobo nikki) di OSHIMA Nagisa.
ritrovano comunque a emulare l’atteggiamento oppressivo dello stato nei confronti dell'individuo. il padre, dopo aver camminato per le strade di kabukicho, incontrerà finalmente il responsabile della morte di suo figlio, Shinjuku Maddo, quest’ultimo gli dirà che rivoluzione non è altro che una parola vuota e che deve avvenire, ma solo per il suo interesse. i suoi compagni sembrano infatti più dei briganti che un gruppo di rivoluzionari. Sempre parlando di bande, la fine degli anni '60 vede l’emergere di un nuovo genere molto diverso da quello dei tradizionali film di yakuza, un genere che vedrà in prima fila le attrici. Stray Cat rock: Female Boss ne è un ottimo esempio. benché il regista HaSebe Yasuharu abbia ammesso di essere stato ispirato da attivisti riunitisi vicino all'uscita ovest della stazione di Shinjuku, arrivando al punto di includere alcune canzoni di protesta nella colonna sonora, i protagonisti sono più interessati al controllo del territorio che al combattimento contro il Trattato di sicurezza USa-Giappone all'escalation del conflitto in Vietnam. Quasi a voler sottolineare la differenza con i film di OSHiMa e WakaMaTSU, girati principalmente sul lato est della stazione, il film di HaSebe evidenzia la parte occidentale, dove il centro di trattamento delle acque di Yodobashi, appena chiuso, sarà rapidamente sostituito da una foresta di grattacieli (vedi p. 7). Questo film era stato progettato come una vetrina per la promettente cantante Wada akiko, ma ha per lo più lanciato la carriera di attrice di kaJi Meiko. La serie Stray
Cat rock l’ha resa una vera e propria star. Per quanto riguarda il movimento di protesta, la maggior parte delle fazioni studentesche è stata sconfitta, un gruppo di estremisti ha preferito tuttavia non arrendersi. Sostituirono a pietre e spranghe fucili e bombe ed entrarono in clandestinità, diventando di fatto dei terroristi. Nel 1972, WakaMaTSU, di nuovo con l'aiuto del suo amico e sceneggiatore aDaCHi Masao (vedi p.12) appose il suo sigillo cinematografico su questo periodo unico, con un film che non mancò di polarizzare la società giapponese: l’estasi degli angeli (Tenshi no kokotsu). il film inizia con un attacco a un deposito di armi americano, assaltato da un’unità rivoluzionaria che continuerà a correre a capofitto verso la sua fine apocalittica. il gruppo sarà dilaniato dal tradimento e dalla paranoia dei suoi membri, portandoli a combattersi l’un l'altro. La scena finale, in cui i terroristi ancora vivi vagano per le strade di Tokyo per piazzare le loro bombe, è uno dei momenti più potenti ed indimenticabili della produzione di WakaMaTSU e dell’intera New Wave giapponese. il film fu molto dibattuto quando la stazione di polizia di Shinjuku, presa di mira nel film, subì più tardi un vero attentato, alla vigilia di Natale dello stesso anno. WakaMaTSU koji fu quindi accusato di aver incoraggiato il “terrorismo casuale”. alla fine, solo l'art Theatre di Shinjuku bunka, situato a pochi metri dalla stazione di polizia presa di mira dalla bomba, proiettò il film. JEAN DEROME
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ZOOM INCHIESTA INCONTRO
Connesso alla sua epoca
ADAchI Masao protagonista del cinema d'avanguardia giapponese e del suo pubblico a Shinjuku.
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igura essenziale del cinema d'avanguardia giapponese e del movimento di protesta degli anni '60, il regista e sceneggiatore adachi Masao ha avuto la gentilezza di raccontarci quegli anni indimenticabili. Lei è nato nel kita-kyushu, a sud del Paese. Quando si è trasferito a Tokyo? ADAchI Masao : Quando ho cominciato a frequentare l'Università Nihon.
Quando ha davvero cominciato a fare dei film? A. M. : Le manifestazioni e gli scontri con la polizia erano sempre più frequenti, perfino davanti al Parlamento, fino al momento in cui il primo ministro kiSHi Nobusuke (nonno materno dell'attuale primo ministro abe Shinzo) ha approvato l'anpo, cogliendo tutti di sorpresa. Molti di noi ne sono stati completamente distrutti. e' stato in quel momento che ho capito che c'era un problema col sistema, per me la democrazia parlamentare era solo una finta democrazia. Ho iniziato a rimettere in dubbio l'idea di fare film e ad un certo punto sono addirittura arrivato a considerare l'ipotesi di abbandonare gli studi e tornare a casa. alla fine ho deciso di utilizzare questo rancore travolgente nei confronti del partito liberal-democratico autoritario e della presenza militare americana in Giappone per continuare con la mia arte totalmente al di fuori del sistema. Nel contempo i miei amici ed io avevamo cessato di pagare le rette scolastiche e
A. M. : Sì, quando i miei compagni più grandi ed io abbiamo preso la decisione di creare il nostro studio indipendente abbiamo trovato una casa a kunitachi, ma era troppo distante, quindi alla fine abbiamo deciso di stabilirci a Ogikubo, vicino a Shinjuku. eravamo JONOUCHi, kaNbara, aSaNUMa, kaWaSHiMa ed io. Vivevamo tutti insieme in questa casa e lavoravamo sui film. insomma, avevamo tutto ciò di cui potessimo avere bisogno. i nostri amici (ONO Yôko, akaSeGaWa Genpei, kaZakUra Sho, etc.) abitavano nei paraggi, c'era sempre molta gente, a volte anche TeraYaMa Shuji si serviva della nostra sala montaggio. a causa di problemi finanziari e di altre questioni ci siamo progressivamente allontanati. abbiamo smesso di fare film insieme verso il 1967, fortunatamente avevo appena incontrato il produttore WakaMaTSU koji ed ero divenuto il suo sceneggiatore (vedi p.11). In quegli anni diversi gruppi realizzavano film sperimentali e d'avanguardia; c'erano differenze tra gli altri gruppi e voi? A. M. : Dal punto di vista contenutistico avevamo all'incirca la stessa visione artistica. La differenza principale stava nel fatto che negli altri gruppi ogni componente si occupava di un lavoro, poteva farsi aiutare dagli altri, ma il film apparteneva a chi lo aveva concepito. all'interno della VaN invece i film erano sempre frutto di uno sforzo collettivo, nonostante nominassimo un responsabile per ogni progetto. Ognuno partecipava al film, a prescindere dal ruolo. i nostri prodotti erano delle produzioni totalmente indipendenti e non volevamo avere nulla a che fare col sistema commerciale. Questa è la ragione per cui non abbiamo mai cercato di guadagnare grazie ai nostri film.
DR
Era già entrato a far parte del movimento studentesco nel kyushu? A. M. : No, mi interessavano soltanto il teatro e il cinema. a partire dal mio ultimo anno di liceo facevo parte del club di teatro, ma passavo la maggior parte del mio tempo al cinema. Una volta entrato all'università, non ero sicuro di quale strada scegliere. alla fine ho optato per il cinema perché mi permetteva di avere più libertà d'espressione. all'epoca eravamo in pieno di-
più interessati al surrealismo e ad altri interessanti movimenti artistici.
Nel 1968, Adachi Maso interpreta un ruolo in "L'impiccagione" (Koshikei) di Oshima Nagisa.
battito sul trattato di sicurezza tra Giappone e USa (conosciuto come “anpo” in Giappone). Molte persone si opponevano al suo rinnovamento e molti erano gli studenti che manifestavano quotidianamente per le strade, durante circa sei mesi nel 1959. Mi sono ritrovato molto in fretta nel vivo dell’azione, si potrebbe quasi dire che invece di iniziare l'università ho iniziato una battaglia (ride). Fortunatamente i professori erano molto comprensivi. Per fare un esempio, quando durante l’appello veniva chiamato il mio nome, qualche alunno gridava“anpo !” e venivo segnato come presente. avevamo molto rispetto nei loro confronti, nonostante fossero
l'università aveva minacciato di espellerci. Siamo giunti alla conclusione che quei corsi non avevano un gran valore. Una volta apprese le basi della realizzazione e della stesura di un film, ritenevamo fosse meglio volare con le proprie ali: abbiamo quindi comprato delle attrezzature di seconda mano, una camera per girare e abbiamo messo in piedi un piccolo studio. E' dunque in quel periodo che ha creato all'università il club di studi cinematografici con JonouchI Motoharu e okIShIMA Isao, e poi, qualche tempo dopo, il centro di ricerca cinematografica VAn?
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ha passato molto tempo a Shinjuku in quegli anni là. com'era il quartiere allora? A. M. : Non era ancora molto sviluppato. al giorno d'oggi vi sono moltissimi edifici, ma durante gli anni '60 ce n'erano pochissimi, spesso andavamo a bere qualcosa tra l'uscita est della stazione e Golden Gai, lì c'erano diversi posti aperti. Si camminava tranquillamente in mezzo alla strada, viste le rare macchine presenti, allora il tram era ancora un mezzo di trasporto fondamentale. Doveva essere un periodo eccitante e spaventoso allo stesso tempo, con tutte queste continue battaglie tra la polizia e gli studenti per tutto il quartiere.
Jérémie Souteyrat per Zoom Giappone
ZOOM INCHIESTA
A. M. : La situazione era piuttosto caotica. reduce dall'esperienza delle prime manifestazioni anti-anpo nel 1959-1960, temevo che questa nuova lotta sarebbe fallita come la prima, che non era servita a evitare che il primo ministro kiSHi firmasse il trattato. Ho quindi cercato di partecipare, unendomi agli studenti dell'università fra le barricate, partecipando alle discussioni e parlando della mia passata esperienza. ero un po' scettico perché vedevo quei giovani ribelli commettere gli stessi errori che avevamo commesso anche noi. inoltre il loro movimento si è rapidamente diviso in fazioni più piccole, più propense a scontrarsi tra di loro che con la polizia o con le istituzioni che tanto volevano riformare. in tutta onestà nutrivo rancore nei loro confronti, tanto da utilizzare parte di questa rabbia per i copioni che ho scritto per WakaMaTSU.
ci parli di Sasori-za, Teatro Scorpion: fu uno dei principali centri di attività culturali a Shinjuku. A. M. : Sì, c'era Sasori-za (vedi p.6), ma anche il kinokuniya Hall aveva aperto i battenti nel 1964 e si occupava di diversi tipi di teatro, compresi lo shingeki (teatro innovativo) e il buto. e' tutt'ora situato al quarto piano della libreria kinokuniya. e ancora, ad un livello più sperimentale, kara Juro e la sua troupe Jokyo Gekijo (si esibivano in alcuni spettacoli di guerriglia all'interno della celebre tenda rossa che avevano montato dentro al santuario Hanazono, vicino a kabukicho). Prima di parlare il Sasori-za, non si può non citare l'art Theatre Guild (aTG), lanciato nel 1961 per distribuire produzioni artistiche europee in Giappone ed in seguito per realizzare opere di produttori giapponesi. il suo cinema principale, L'art Theatre Shinjuku
bunka, si trovava in questo quartiere. Mi ricordo che era di un colore grigio scuro e che ogni pubblicità appariscente veniva bandita. il suo direttore kUZUi prendeva il cinema molto seriamente e il pubblico non poteva andare e venire come avrebbe fatto durante una proiezione in qualsiasi altro cinema. Nel 1967 ha fatto costruire una piccola sala sotterranea per proiettare dei film d'avanguardia, soprattutto film di 8 o 16 mm: era il Sasori-za. La prima proiezione è stata quella del mio film Galaxy (Gingakei, 1967). Possiamo dire che ha fatto da modello a tutte le sale d'arte e di prove che sono nate in seguito, in modo particolare a Shibuya. allo stesso tempo Sasori-za si è evoluto rapidamente per accogliere altre arti sperimentali. Perfino il grande attore di buto HiJikaTa Tatsumi vi ha operato. iNTERVISTA DI J.D.
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ZOOM INCHIESTA RICORDI
Yokoo, Oshima e gli altri
Yokoo Tadanori, protagonista della scena artistica dell’epoca, in questa intervista ricorda i suoi anni nel mitico quartiere.
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ha lasciato kobe, la sua città natale, per Tokyo, nel 1960, nel momento clou delle prime manifestazioni contro il Trattato di Sicurezza nippoamericano (Anpo). Era impegnato nel movimento studentesco? Yokoo Tadanori : all’epoca avevo già ventiquattro anni, lavoravo e non ero passato dall’ambiente universitario prima di lavorare. era difficile per me capire la rabbia studentesca, e inoltre sarebbe apparso ipocrita da parte mia criticare l’establishment mentre realizzavo pubblicità per le grandi imprese (ride). in un certo senso eravamo la ballerina del capitalismo, sebbene kamekura Yusaku, uno dei nostri capi, che più tardi ebbe l’incarico di fare i manifesti per i Giochi Olimpici di Tokyo insisteva perché prestassimo interesse a ciò che stava accadendo attorno a noi. Un giorno allora abbiamo preso tutti insieme un taxi e siamo andati al Parlamento dove si stava svolgendo una grande manifestazione. era una roba matta, non capivo neanche ciò che stava accadendo, inoltre il giro mi valse un pollice rotto, cosa che mi ha impedito di lavorare per sei mesi! cosa è accaduto? Y. T. : abbiamo raggiunto il Parlamento così, senza pensare a niente, e una volta arrivati lì abbiamo scoperto un caos totale, con la polizia in tenuta anti-sommossa da una parte e gli studenti dall’altra. bastoni di legno e tubi di ferro volavano ovunque, una ferita sarebbe stata facilmente possibile. Ci siamo ritrovati velocemente stretti tra gli studenti di destra e di sinistra, mentre stringevamo in mano un modesto cartello sul quale figurava una colomba bianca su un fondo blu, il simbolo della pace. nella seconda metà degli anni sessanta ha avuto l’occasione di lavorare con importanti personalità dell’avanguardia giapponese, come oshima nagisa, Terayama Shuji e kara Juro. come li
Gianni Simone per Zoom Giappone
rafico e pittore di fama internazionale, Yokoo Tadanori è celebre per le sue affiches dallo stile unico e inconfondibile. benché abbia collaborato con le maggiori figure della nouvelle vague cinematografica e teatrale giapponese, il ruolo che lui ha giocato nella scena artistica della seconda metà degli anni sessanta è meno noto, per questo abbiamo chiesto di intervistarlo nel suo atelier, realizzato da isozaki, nella periferia est di Tokyo.
Yokoo Tadanori il 15 marzo 2018, nel suo atelier progettato da Isozaki Arata.
ha incontrati? Y. T. : il mio primo incontro avvenne nel 1962 con il fotografo Hosoe eikoh. avevo sentito dire che aveva realizzato una collezione di ritratti di Mishima Yukio, uno dei miei idoli. Con la mia ingenuità giovanile mi sono recato nel suo studio domandandogli di lasciarmi disegnare il libro che sarebbe diventato Ordeal by roses. Ovviamente non ebbi il lavoro, ma dopo poco Hosoe mi richiamò per dirmi che Terayama stava lavorando ad una commedia musicale e voleva che io ne realizzassi l’affiche. il progetto non è partito, ma mi sono avvicinato a Terayama e questo episodio ha segnato l’inizio del nostro sodalizio professionale e personale. anche se non ci vedevamo, ci telefonavamo, ogni giorno. Qualche tempo dopo ho incontrato anche kara mentre bevevo un caffè con Terayama negli uffici della catena televisiva TbS. kara era di poco più giovane di me, di lui non sapevo nulla. Mi ricordo il suo viso liscio, bambinesco, assomigliava a Momotaro (eroe popolare del folclore giapponese dalla pelle di pesca). Poco tempo dopo mi ha chiesto di concepire il dépliant della sua nuova pièce, ed è così che finalmente ho realizzato l’affiche di Ai no kojiki (John Silver, The Beggar of Love) e altri progetti per il suo teatro di situazioni. Ovvero, prima ho incontrato Terayama, ma ho cominciato a lavorare con kara prima di fare qualsiasi cosa con lui. infine Tanaka ikko, più anziano di me nell’azienda, mi
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disse che il ballerino di buto Hijikata Tatsumi cercava qualcuno per fare la locandina per il suo spettacolo. Tanaka era nel periodo modernista, e considera il suo stile poco adatto per il butô, per questo me lo ha rifilato. in definitiva posso dirti che tutte queste opportunità lavorative sono legate a delle relazioni umane, e questi stessi legami con le persone si sono consolidati lavorando insieme. Visto che sta evocando l’aspetto umano, come paragona la sua collaborazione con kArA e TErAYAMA ? Y. T. : TeraYaMa Shuji era estremamente intelligente e molto dotato nella gestione dei rapporti umani, scriveva molto velocemente e produceva un copione dietro l’altro. Quando ne aveva terminato uno mi spiegava esattamente cosa voleva da me in maniera così esaustiva che non c’era null’altro da aggiungere. era piuttosto noioso lavorare su questi progetti, kara era parecchio originale, parlava già di una nuova pièce prima ancora che il soggetto della precedente fosse completato. Quando gli chiedevo“Come caspita me la sbrigo?”, a quel punto lui provava a sviluppare le idee che gli attraversavano la mente. era molto intuitivo e impulsivo, tanto quanto TeraYaMa era logico. kara aveva un approccio fisico, quasi animale verso la materia, era difficile per lui tradurre quelle sensazioni in parole. Dovevo fare uno sforzo supplementare per collegare gli elementi tra di loro,
ZOOM INCHIESTA uno sforzo che mi consentiva di fare dei lavori migliori per kara piuttosto che per TeraYaMa ...Scusa Shuji (ride). cosa può dirci su hijikata ? Y. T. : era davvero qualcosa di unico! (ride) ascoltandolo non si era neanche certi che parlasse davvero giapponese, per me sembrava arabo. Lavoravo sul progetto non sapendo minimamente quello che lui si aspettava da me, ma in un modo o nell’altro, alla fine era sempre soddisfatto del risultato. “yOKOO-SaN, NeSSUNO MI CaPISCe COMe Te”, MI DICeVa “Ma COMe FaI?”.
ha lavorato anche come scenografo per la troupe di Terayama, Tenjo Sajiki, giusto? Y. T. : Sì, è stato un lavoro interessante, ma dovevo costantemente combattere contro le ristrettezze di budget, non è durato molto perché non andavo d’accordo con Higashi Yutaka, il regista teatrale. avevo una buona relazione con Terayama, ma era sempre troppo occupato a lavorare su nuovi progetti, a scrivere articoli o libri, e delegava la gestione quotidiana a Higashi che stava ancora terminando gli studi universitari. abbiamo lavorato insieme sulle tre prime pièces di Tenjo Sajiki, ma ho avuto un alterco con HiGaSHi mentre lavoravo sulla terza Kegawa no Mari , a quel punto ho lasciato, e anche HiGaSHi poco dopo, nel 1968, ha fatto lo stesso per creare la sua propria compagnia, la Tokyo kid brothers. cosa è successo tra lei e higashi ? Y. T. : Ogni pièce era messa in scena in un luogo diverso. La prima, aomori-ken no semushi otoko [il gobbo di aomori, 1967) è stata presentata al prestigioso Sogetsu art Center dove si poteva incontrare anche ONO Yoko, il compositore TakeMiTSU Toru, il romanziere e drammaturgo abe kobo ed altri ancora. Dal conto loro, Oyama debuko no hanzai è stata montata al Suehiro-tei, l’ultimo teatro di vaudeville restante a Shinjuku, e Kegawa no Mari all’art Theater Shinjuku bunka. il vero problema con Shinjuku bunka era legato alla sua concezione, ovvero era stato concepito per la proiezione di film, e la cosiddetta scena era in realtà un luogo esiguo. Le mie scenografie erano troppo grandi, ma la colpa era di HiGaSHi
collection Claude Leblanc
So che lei è un grande ammiratore di Mishima Yukio. Y. T. : Certo! L’ho conosciuto qualche anno dopo, nel 1965, era una star rispetto a noi, mi ha contattato quando si è lanciato nel kabuki e nel bunraku. il suo metodo era ancora diverso rispetto a quello degli altri. Mi faceva una testa così sulla locandina che aveva in mente e poi mi diceva però che ero libero per il resto! in realtà, non molto…Mi stava col fiato sul collo, questo atteggiamento mi infastidiva.
Copertina di un’edizione speciale di Kinema Junpo dell’agosto 1968, con l’attore Takakura Ken, firmata da Yokoo Tadanori.
che non mi aveva dato le informazioni corrette. Quando ha voluto tagliare le mie opere con la sega, non ci ho più visto e me ne sono andato. Più tardi ho poi saputo che MiWa akihiro, che recitava nella pièce, era riuscito a riparare i danni fatti all’ultimo minuto. Il suo lavoro grafico di quel periodo è divenuto giustamente celebre, ha creato lo “style Yokoo” facilmente riconoscibile. come si è sviluppato? Y. T. : Come già detto, mi sono trasferito da kobe a Tokyo nel 1960, dove ho lavorato per l’agenzia pubblicitaria Nippon Design Center, che difendeva il modernismo nel design giapponese. Venendo da un contesto molto diverso, non ero
mai stato in contatto con queste nuove idee; ho deciso di usare le immagini e l’atmosfera provenienti dai miei ricordi d’infanzia, come le feste tradizionali (matsuri), il teatro di carta (kamishibai) che avevo adorato da piccolo, ma anche le toppe che mio padre adottivo incollava sui tessuti kimono che vendeva. insomma, tutto il design pre-moderno che mi aveva circondato durante la mia giovinezza. andavo chiaramente contro-corrente e i critici dell’epoca non mancavano di ricordarmelo. Chi credevi di essere negando così la nuova direzione della grafica giapponese? il mio approccio è stato condiviso e adottato da TeraYaMa, MiSHiMa e altri intellettuali, oltre che dalle nuove generazioni. Paradossalmente il mio
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ZOOM INCHIESTA stile legato al mondo antico era considerato fresco. Trova strano che gli studenti abbiano amato il suo lavoro? Y. T. : Questi studenti erano considerati come i rappresentanti delle idee moderne e del progresso, ma paradossalmente, sono stati attirati dal mio universo legato al Giappone tradizionale. C’erano diverse contraddizioni in loro, da una parte uscivano dagli schemi e appartenevano a gruppi marxisti, dall’altra erano fan dell’attore TakakUra ken i cui film di yakuza rappresentavano valori tradizionali, quasi conservatori. Gli studenti dell’epoca avevano molta energia ma non sapevano cosa farsene .
mi sono detto che era comunque un’occasione unica e che se fosse andata male ci avrebbe rimesso il regista. Ho quindi accettato la parte, e OSHiMa, siccome non era particolarmente abile con le donne, mi aveva chiesto anche di trovargli un’attrice per il film. ero fan di d’aSaOka ruriko, all’epoca star dei film della Nikkatsu e reginetta del box-office, e così ho suggerito il suo nome. Negli ultimi anni era apparsa in oltre cento film, ma quando ha letto il soggetto ha declinato. alla fine è stata scelta YOkOYaMa rie, un’attrice che veniva dal teatro.
collection Claude Leblanc
E’ stato influenzato da un artista o da uno stile in particolare? Y. T. : Vi sembrerà strano ma non amavo realmente il mondo della grafica, ero per lo più interessato al cinema, alla letteratura, alla musica e al teatro, alla pittura. ero principalmente interessato da ciò che arrivava dall’estero: la Pop art americana, la Nouvelle vague francese e il Nuovo romanzo. Ciascuno di essi costituiva una fonte di ispirazione. Parliamo ora del film Diario del ladro di Shinjuku (Shinjuku dorobo nikki), come è arrivato a lavorarci? Y. T. : Non conoscevo bene OSHiMa, ma ero amico del suo cameraman, YOSHiOka Yasuhiro. amavo il cinema ma non avevo mai recitato; quando YOSHiOka mi ha detto che OSHiMa sperava che lavorassi con lui. Ovviamente ne fui sorpreso, non pensavo di esserne all’altezza, ma evidentemente era proprio la mia mancanza di esperienza che lo aveva spinto a contattarmi. in effetti però non ero proprio adatto al ruolo… come mai? Y. T. : all’inizio mi avevano detto che avrei partecipato ad un film d’azione con diverse sparatorie e che avrei interpretato un teppista, e questa cosa mi piaceva. Poi però OSHiMa mi ha spiegato che Diario del ladro di Shinjuku, sarebbe stato più adatto alla mia personalità, così per il film d’azione avevano scelto un altro attore. Certamente Diario del ladro poteva essere considerato come un simbolo della nouvelle vague, ma per me era meno interessante. rappresenta una testimonianza importante dell’epoca. Y. T. : Sì, avevo trentadue anni io, immaginate un ragazzo trentenne che recita la parte di uno studente durante le manifestazioni contro il Trattato nippo-americano e la guerra del Vietnam? (ride) Non ero sicuro che potesse funzionare, poi
Copertina di Shukan Anpo, pubblicazione contro il trattato nippo-americano.
Si ricorda di qualche episodio particolare durante le riprese? Y. T. : Con mia grande sorpresa il copione era pieno di pagine bianche. infatti ogni giorno, dopo le riprese, OSHiMa scriveva qualche nuova pagina per l’indomani, in base anche a quello che era accaduto quel giorno. Nessuno, quindi, neanche il regista, sapeva come sarebbe finita la storia: si potrebbe definire improvvisazione permanente, penso fosse il modo per definire e fare i film secondo la nouvelle vague. Dopo sono apparse anche persone un po’ sinistre, come il regista aDaCHi Masao che ha poi raggiunto l’armata rossa Giapponese. era come in un’altra dimensione; non sapevo cosa mi avrebbero chiesto di fare dopo, non ero un professionista, quindi non ero a mio agio neanche nell’imparare a memoria le battute in così poco tempo… facevo una gran fatica per ricordami tutto… OSHiMa non pretendeva mi ricordassi tutto a memoria e non era infastidito neanche dal mio accento della regione del kansai.
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oshima era esigente in scena? Y. T. : Lo era molto, con tutti, tranne che con me, forse perché non ero un professionista… magari temeva potessi lasciare il film se si fosse arrabbiato con me. Piuttosto era il suo assistente a prendersela con me se dimenticavo i dialoghi. OSHiMa in realtà era abbastanza indifferente, non ero la star del film e il vero protagonista era il quartiere di Shinjuku. una delle scene più celebri è quella in cui si fa prendere da Yokoyama dopo aver derubato dei libri nella libreria di kinokuniya. Leggeva molto all’epoca? Y. T. : Non molto! ero talmente impegnato nel mio lavoro che non riuscivo ad aprire mai un libro. Li compravo, sì, con l’intenzione poi di leggerli. Comunque sia è stata una scena memorabile… OSHiMa mi ha detto di lanciarmi, scegliere dei libri dal negozio e uscire senza pagare… così ho cominciato a camminare senza sapere nemmeno dove fossero posizionate le telecamere. Ho scelto dei libri, ho preso la direzione delle scale, ma dovevo passare davanti alla cassa per uscire. avevo davvero paura, nessuno, neanche i commessi, sapevano che stessimo girando un film! Solo il proprietario di kinokuniya, TaNabe Moichi, ne era conoscenza. Credo che OSHiMa sia rimasto deluso che tutto sia andato bene, probabilmente si aspettava che fossi fermato o magari arrestato anche (ride). Quali erano i suoi posti preferiti di Shinjuku ? Y. T. : andavo spesso a Najia, un bar frequentato da artisti e intellettuali, non bevevo ma mi piaceva chiacchierare con la proprietaria, la “mama-san”, che si chiamava Mariko, e intanto mangiare palline di riso o riso saltato. e poi osservavo gli avventori, una sorta di mafia culturale. arrivava sempre il momento in cui iniziavano a litigare su un qualche argomento, e tutto finiva di solito in rissa. Viveva già in periferia all’epoca? Y. T. : Sì, esattamente dove vivo ora. Non amavo i trasporti pubblici, per cui per andare al lavoro o a Shinjuku prendevo il taxi, che mi costava una buona parte del mio stipendio, il resto era per ristoranti e moda (ride). Quando ripenso a quegli anni mi ricordo di un mix di paradiso e inferno. Tokyo era sul punto di esplodere, ma le persone non sembravano accorgersene, anzi, regnavano ottimismo e energia, una grande coesione collettiva. Dopo il 1970 l’atmosfera è decisamente mutata. Ciascuno ha iniziato a seguire la propria strada, il proprio individuale progetto, ma durante il periodo compreso tra il 1967 e il 1969 invece sembrava che tutti lavorassero con tutti e per tutti. Non credo si potrà rivivere un momento così, ma me lo auguro. INTERVISTA RACCOLTA DA G. S.
ZOOM CULTURA Primavera giapponese a Milano
FOTOGRAFIA
Fino al 30 giugno il ristorante SHIRO POPOROYA ospiterà la mostra fotografica di Flavio Gallozzi dedicata a sapori e colori della primavera giapponese vista dall’artista. Orari: lun-sab 12:00 – 14:30 e 19:30-23:00. Chiuso il lunedì a pranzo e la domenica. Per informazioni: photo@flaviogallozzi.com
Hiroshige, visioni dal Giappone
ARTE
Le Scuderie del Quirinale di Roma ospitano fino al 29 luglio una mostra dedicata al grande maestro giapponese Utagawa Hiroshige, considerato, insieme a Hokusai, tra i più celebri artisti del Mondo Fluttuante (ukiyoe). Il maestro fu capace di portare il paesaggio e la natura al centro della sua produzione, facendone i veri protagonisti. Scuderie del Quirinale, via XXIV maggio 16, Roma Orari: 10:00-20:00 (domenica-giovedì), 10:0022:30 (venerdì-sabato)
WABI-SABI
Cultura buddista nelle Marche
Un pezzetto di Giappone è stato ricreato nella campagna in provincia di Macerata. WabiSabi Culture offre un’esperienza probabilmente unica in Italia per chi è interessato alla ricerca della pace e del benessere psico-fisico, attraverso l'estetica giapponese del Wabi-sabi che esprime un ideale estetico legato alla bellezza estemporanea della natura mutevole e fragile (wabi) e alla bellezza
Guidebooks and Projects on Livelihood”, è curato da Kaijima Momoyo dello studio Atelier BowWow. Secondo Kaijima, l’industrializzazione del XX secolo ha migliorato il nostro standard di vita ma ha anche creato una barriera fra le persone e l’ambiente che ci circonda. Lo scopo di questa mostra è quello di creare piattaforme per un’attiva discussione dei problemi ecologici inerenti all’architettura. La Biennale rimane aperta fino al 25 novembre. Giardini di Castello, Arsenale, e altri siti a Venezia Orari: 10:00-18:00 Per maggiori informazioni : www.labiennale.org
Storie d’amore e guerra a Bologna
MOSTRA
Padiglione giapponese a Venezia
EVENTO
Anche quest’anno il Padiglione Giappone è presente alla Biennale di Venezia di Architettura. Il progetto, intitolato “Architectural Ethnography from Tokyo: 18 ZOOM GIAPPONE N. 10 giugno - settembre 2018
dell'imperfezione e dell'irregolarità (sabi). Il centro offre diversi tipi di esperienze e corsi fra cui la meditazione zen, la cerimonia del tè, lo studio dell'architettura rurale giapponese ma anche dei tessuti, delle ceramiche e dei tè verdi pregiati e certificati organici della valle di Uji, Kyoto. WabiSabi Culture, v. Papa Giovanni XXIII 23, San Ginesio (MC) Per informazioni : www.wabisabiculture.org/
Fino al 9 settembre il Palazzo Albergati di Bologna ospita una grande mostra sul Giappone classico. Attraverso una selezione di oltre 200 opere, il Mondo Fluttuante dell’ukiyo-e arriva per la prima volta a Bologna. Oltre alle opere dei più grandi artisti dell’Ottocento giapponese tra cui Hiroshige, Utamaro, Hokusai, Kuniyoshi, la mostra offre un panorama completo sulla vita dell’epoca in Giappone, con l'esposizione di vestiti di samurai, kimono, ventagli e fotografie. Palazzo Albergati, via Saragozza 28, Bologna Orari: 10:00-20:00
Rinko Kawauchi a Bolzano
FOTOGRAFIA
Nata nel 1972 a Shiga, dopo aver studiato fotografia, Kawauchi ha lavorato in un’agenzia pubblicitaria prima di diventare fotografa freelance. Dopo la pubblicazione simultanea, nel 2001, di tre libri fotografici (Utatane, Hanabi e Hanako) è diventata improvvisamente famosa, continuando a pubblicare molti altri libri fotografici e ricevendo numerosi premi e riconoscimenti. Orari: mar-ven 15:00-19:00, sab 10:00-12:00 Per maggiori informazioni: http://foto-forum.it/?p=3673&lang=it
ZOOM CULTURA PATRIMONIO Il
buon gusto della tradizione
Se nei prossimi 15 anni il 30 % delle case sarà abbandonato, molti hanno scelto di preservare le vecchie dimore.
“
Q
Sébastien Lebègue per Zoom Giappone
uando viaggiai in europa mi resi conto di una cosa: laggiù prevale naturalmente il desiderio di preservare il patrimonio e in generale, gli oggetti del passato”, ricorda Iida Keiichi, 37 anni. “Ci si sente così responsabili delle testimonianze di un’epoca racchiusa in un oggetto, della storia che verrà in questo modo trasmessa alle generazioni future. In Giappone, abbiamo perso questa cultura, ce ne siamo dimenticati, soprattutto a Tokyo, dove la tendenza è ancora più flagrante nel campo
dell’architettura: quando l’edificio è vecchio, non ci si sta a riflettere su, si distrugge tutto per costruire un edificio nuovo. Si sostituisce qualcosa di antico con un oggetto moderno, più pratico, più confortevole. Nella capitale, non si conserva, non si ripara nulla, si butta via.” il tempo è radioso a casa di iida keiichi. Tre anni fa, questo architetto ha scelto di rinnovare la casa di famiglia, ricca di più di 200 anni di storia, fino a quel momento lasciata all’abbandono. Ha avuto il desiderio di ridare vita e rendere utile questo luogo dove suo padre è cresciuto. Quando si osserva l'architettura di questa casa nei particolari, si vede che ci sono gli elementi tipici delle dimore dei samurai di
Per la famiglia Iida, abbandonare la vecchia dimora era fuori discussione.
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un tempo. “Ho tenuto conto di tutto questo nel mio progetto di restauro: l’idea è stata quella di far rivivere questa dimora incredibile, ridando un senso allo scopo iniziale della sua costruzione e portando al tempo stesso un po’ di modernità, ad esempio, dotandola di sanitari” . iiDa keiichi è molto orgoglioso di aver portato a termine il progetto. Nulla è stato lasciato al caso. Per quanto riguarda i materiali, ha cercato di mettere all’opera artigiani locali, per avvalersi dei savoir-faire tradizionali in modo che la casa potesse riappropriarsi naturalmente del suo antico fascino. “Ho semplicemente aggiunto un po’ di confort grazie a una graziosa sala da bagno e a sanitari moderni.” all’esterno, un giardinetto, un ponte e un piccolo stagno popolato dalle carpe accolgono i visitatori. La casa è unica, stupenda. Ci si sente immediatamente a proprio agio. La moglie di iida keiichi, incinta di un maschietto, apprezza la bellezza del luogo. Così come la loro figlioletta di due anni, kurumi, che ama poter correre quanto ne ha voglia e approfittare del giardino giapponese. “In questa casa non ci viviamo noi tre. Penso che ci sentiremmo terribilmente soli, è troppo grande”, scherza. “Organizziamo regolarmente delle grandi feste di famiglia e dei compleanni, o i festeggiamenti di capodanno. C’è spazio a sufficienza per accogliere una trentina o una quarantina di persone ed è una cosa che adoriamo!” il loro alloggio, più modesto, sorge vicino alla dimora signorile sopra descritta. Per garantire un’entrata finanziaria, “la trasformiamo anche in minpaku (spazio arredato in affitto) per feste e matrimoni. Secondo le mie informazioni, si tratta dell’unica casa in questo stile nella prefettura di Tokyo. Ne siamo fieri”. iida-san pensa di conseguenza a tutte queste case lasciate all’abbandono in Giappone. “Mi si spezza il cuore. Immagino che una gran parte di
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Situata a una ventina di minuti dal quartiere di Shibuya, la dimora della famiglia Iida ha le caratteristiche della vecchie residenze dei samurai.
esse racchiuda dei segreti e meriterebbero che ci si interessasse alle loro storie per offrire loro una seconda vita.” Troppo costose per essere mantenute e rinnovate, il numero di case vuote o abbandonate è aumentato moltissimo in questi ultimi anni. Dal 2015, se ne calcolano circa 8,2 milioni in tutto il Paese. “A questo ritmo, da qui al 2033 circa il 30% delle case saranno vuote in Giappone” considera Yoneyama Hidetaka, ricercatore presso l’istituto Fujitsu. Le ragioni che hanno condotto a questa situazione sono molteplici: lo spopolamento delle province dove il problema è più evidente,
picco della diminuzione del numero di unità famigliari previsto per il 2019, questioni legate alle successioni per le generazioni dei baby boomers o ancora la volontà che spinge a voler investire nel nuovo piuttosto che nel mercato immobiliare che tratta case d’epoca. Se la proporzione delle case vuote è particolarmente importante nelle regioni rurali dell’arcipelago, le città sono ugualmente sensibili al problema. Tokyo non sfugge alla regola. “I 23 quartieri della capitale contano 11,2% di case vuote dal 2013, un record!” precisa Yoneyama Hidetaka. “Le case di legno che ormai non interessano più nessuno sono più concentrate all’interno della
Yamanote. Quando i proprietari muoiono, le case si ritrovano vuote ed è finita: le abitazioni subiscono via via l’abbandono. Quando si compra, si preferisce investire nel nuovo, in edifici moderni che saranno meglio isolati, più resistenti alle attività sismiche. Stranamente, il tasso di case vuote è persino debole al di fuori dei 23 quartieri, poiché non supera la soglia del 10,9%”. Se la famiglia iida non abita che a venti minuti di treno dalla frenetica stazione di Shibuya, il suo domicilio è un’autentica oasi di pace. “Oggi c’è il treno e numerosi alloggi, scuole, e ogni genere di edificio sorgono tutt’attorno. All’epoca di mio padre, sessant’anni fa, non c’erano tutte queste
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IIDA Keiichi ha avuto cura di rinnovare la casa che ha ereditato, conservando le sue caratteristiche originali.
costruzioni. Semplicemente, c’era la collina e la mia casa di famiglia come poggiata sopra”, racconta l’architetto. Negli anni Cinquanta, la famiglia iida viveva grazie alla terra. Coltivava verdure e frutti, soprattutto alberi di cachi, abbondanti nella zona. Ne restano d’altra parte alcune piante nel giardino della famosa dimora. “Quando è stagione, ne raccogliamo secchi interi.” Sebbene si rechi spesso a roppongi per il lavoro, iidasan ha tuttavia un solo desiderio la sera: ritrovare il suo quartiere e il suo angolo di tranquillità.
Nel suo cuore, appartiene alla parte “inaka” del Giappone, la campagna. Non ama particolarmente gli spazi troppo urbanizzati, cittadini. “Per il lavoro sono obbligato ad andare nei quartieri più animati della città, non ho scelta. Ma alla fine della giornata, soffoco. C’è troppa gente, troppo rumore. Non è quel che cerco, per me e per i miei figli.” Così come iida-san, sempre più giapponesi hanno voglia di cambiare le loro abitudini, di tentare nuovi modi di vita , più prossimi ai
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propri valori. Talvolta non esitano a rimboccarsi le maniche e a provare nuovi modelli economici per il futuro di tutte queste case abbandonate. in effetti, da qualche anno le associazioni si moltiplicano tanto nelle città, quanto nelle regioni più isolate. a Takeda, nella prefettura di Oita, sull’isola di kyushu, la municipalità ha deciso di affrontare il problema e incoraggia l’arrivo di nuovi abitanti, accogliendoli e mettendo a disposizione delle kominka, le caratteristiche case di legno giap-
ponesi centenarie, rinnovate dopo essere state abbandonate. Dopo un periodo di prova, gli abitanti possono decidere di stabilirsi definitivamente nella città oppure no. Oggi la città registra il miglior tasso di successo per il numero di nuovi residenti, grazie a 50 case vuote che hanno trovato nuovi proprietari. altro esempio, nella città di Tsuroka, nella prefettura di Yamagata, nel nord-ovest dell’arcipelago, la creazione di un’ong accompagna i progetti di restauro dei proprietari o l’accoglienza dei nuovi arrivati. “Quest’ultima soluzione è, secondo me, quella che dovrà essere più diffusa”, sottolinea Yoneyama Hidetaka. “È un esempio di organizzazione che funziona molto bene. Permette di seguire l’urgenza di progetti diversi e spalleggia i proprietari in difficoltà nella gestione di una di queste case, spesso frutto di un’eredità inattesa a cui non sanno come far fronte, beni di cui al tempo stesso non vogliono fare a meno, dato il loro valore sentimentale”. altri utilizzano le costruzioni a fini di business, per farne la sede di diverse iniziative imprenditoriali. Ne è un esempio il progetto My room, nella prefettura di Nagano: dal 2010, ha permesso la trasformazione di 80 case vuote in caffè, negozi e atelier d’artista. altri ancora scelgono di trasformare le vecchie case in ostelli della gioventù per i viaggiatori di passaggio, come a Onomichi, nella prefettura di Hiroshima. “Questo esempio resta tuttavia il meno redditizio di tutti i progetti citati finora”, precisa Yoneyama Hidetaka. “Va avanti grazie a un investimento di fondi raccolti per mezzo del crowfounding”. a Fuefuki, nella prefettura di Yamanashi, Hoyo Yoshie ha ugualmente compiuto la scelta di trasformare la sua kominka in hotel per turisti. Lasciata all’abbandono per circa dieci anni, ha riaperto le porte nel 2014 e ha ottenuto un discreto successo presso i viaggiatori stranieri. il giovane di 29 anni che vive nella zona da tredici anni, ha aperto un secondo indirizzo nel giugno scorso. “Quando si pensa alle vecchie case in cam-
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La dimora della famiglia Iida dispone, come vuole la tradizione, di un grazioso giardino giapponese con il suo stagno.
pagna, ci si dice spesso che sono decadenti, poco confortevoli” spiega il trentenne in un articolo apparso sul Japan Times a lui consacrato. “Ho messo molta cura nel restauro perché queste case abbiano stile, ritrovino un allure moderna e vantino i piaceri della vita in campagna, là dove vivo ormai con grande soddisfazione da tredici anni”. Per le case definitivamente abbandonate, prive di progetti e che potrebbero restare in questo stato ancora per diversi anni, Yoneyama Hidetaka prevede soluzioni più radicali. “A breve, questi edifici potrebbero diventare pericolosi senza interventi. È necessario un sistema che incoraggi i proprietari a agire e a non lasciare che la situazione si degradi maggiormente. La maggior parte dei proprietari non sanno più che fare e domandano semplicemente un po’ di sostegno, di ascolto e di aiuto“. Secondo lui, le mentalità debbono evolvere parallelamente. “Bisogna al tempo stesso far vedere alla gente la ricchezza del mercato immobiliare legato a edifici antichi, in Giappone. Le persone
non se ne rendono quasi mai conto e si rivolgono automaticamente al mercato del nuovo quando vogliono acquistare, semplicemente per ignoranza. Penso che se avessero maggiore coscienza del valore di un bene del genere, non vivrebbero le eredità come una sorta di fardello, e si accorgerebbero che potrebbero ottenere delle plusvalenze interessanti”. iida keiichi è impaziente. Per capodanno, la sua dimora non è in affitto. “La teniamo per ricevere la famiglia per diversi giorni: è veramente importante poter trascorrere del tempo tutti insieme in casa. Ripetiamo questo rituale cinque o sei volte all’anno, con i parenti o gli amici, durante la stagione della crescita delle gemme di bambù, ne abbiamo diversi in giardino. Questi momenti non hanno prezzo” sottolinea. JOHANN FLEURI
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Il Giappone di Wes Anderson
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CINEMA
Il sindaco Kobayashi assomiglia moltissimo a Toshiro Mifune, l’attore feticcio di Akira Kurosawa, nel film Anatomia di un rapimento (Tengoku to Jigoku, 1963).
Premiato al Festival di Berlino, L’Isola dei Cani mostra quanto il regista americano ha saputo cogliere l’anima giapponese.
D
i primo acchito, L’Isola dei Cani, l’ultimo film di Wes anderson, potrebbe apparire come l’ ennesimo tentativo di un regista straniero di svelare il mistero dell’anima giapponese. altri prima di lui hanno cercato di “capire” il Giappone nella speranza che quest’ultimo figurasse meno esotico, ma, nella maggior parte dei casi, i risultati sono stati poco brillanti, capaci, al contrario, di rafforzare i pregiudizi già esistenti su questo Paese e sui suoi abitanti, definiti spesso e volentieri “gente diversa da noi”, come scriveva ironicamente Pierre Desproges. Scegliendo di produrre un film d’animazione in stop motion, piuttosto che in inquadrature reali, il regista ha già evitato la classica trappola in cui si imbattono le produzioni straniere che scelgono di filmare in Giappone: presentare sempre gli stessi luoghi come Shinjuku, Shibuya, Harajuku” talmente scontati che si finisce per chiedersi se i loro autori abbiano mai messo piede fuori dalla capitale. Wes anderson ha preferito ambientare la sua storia in mezzo a un universo urbano totalmente originale chiamato Megasaki, in un futuro relativamente vicino, permettendo così di lasciare libero corso alla sua immaginazione traboccante
RIFERIMENTO L’ISOLA DEI CANI (ISLE OF DOGS, 2018) di Wes Anderson. Uscito il primo maggio in Italia.
e di inserire, lungo tutto lo svolgimento della storia, decine di riferimenti al presente e al passato, senza che questi potessero passare per delle incongruità. Questo ne fa in definitiva un grande film sul Giappone e si impara molto circa il modo di pensare proprio ai giapponesi. Quando gli si chiede cosa l’abbia portato a lanciarsi in un progetto simile, il regista confida i suoi molteplici interessi: i cani, il futuro, le discariche pubbliche, le avventure infantili e il cinema giapponese! “Ci tenevamo a fare un film un po’ futurista. Abbiamo voluto mettere in scena un branco di maschi dominanti, tutti al contempo leader del gruppo, in un universo costituito da spazzatura. Se abbiamo scelto di ambientare la storia in Giappone, è perché siamo impregnati da questa cinematografia. Adoriamo questo Paese e abbiamo voluto mettere in opera un progetto che fosse davvero ispirato al cinema nipponico, abbiamo quindi finito per realizzare una sintesi tra un film sui cani e il cinema giapponese “, racconta. i riferimenti alla settima arte del Sol levante, non mancano, in effetti. akira kurosawa è il primo nome che viene in mente, visto che uno dei principali personaggi del film, il sindaco kobayashi, è il fedele ritratto di Toshiro Mifune, l’attore-feticcio di kurosawa in anatomia di un rapimento (Tengoku to Jigoku, 1963). L’universo delle discariche pubbliche, onnipresente ne L’Isola dei Cani, ricorda per certi sensi poi, l’ambientazione di Dodes'ka-den (Dodesukaden, 1970). Ci sono infine dei riferimenti a Ozu Yasujiro e ai film di mostri di cui
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Honda ishiro fu uno dei grandi maestri. Tutto questo ha permesso di creare l’ambientazione perfetta per lo svolgersi della sua storia di cani deportati su un’isola fino ad allora destinata a deposito di rifiuti, dopo l’apparizione di un’epidemia di influenza canina. L’ostinazione di un ragazzo, atari, che si reca, malgrado i divieti, sull’isola alla ricerca del suo cane Spots, gioca un ruolo fondamentale nella scoperta di una gigantesca cospirazione architettata per imporre una certa forma di dittatura a Megasaki. Quando Wes andrson afferma che si tratta del suo film più ambizioso, non si può che essere d’accordo, dal momento che L’Isola dei Cani è una significativa e bella rappresentazione della sua audacia cinematografica, nel senso che non si è limitato a raccontare una storia sorprendente, ma ha inventato un universo coerente nel quale si muovono personaggi in perfetta armonia con le intenzioni del film. Dietro al divertimento e a certi aspetti comici, il film tocca soggetti seri, legati all’evoluzione delle nostre società moderne. Certo, non sono temi specifici al Giappone, ma questo Paese deve spesso affrontare, prima degli altri, le problematiche indotte dallo sviluppo del mondo industriale. L’ambientazione futurista dove sopravvivono numerosi elementi caratteristici degli anni Sessanta, epoca cruciale nella storia giapponese contemporanea con la sua industrializzazione a oltranza, l’inquinamento e parallelamente la contestazione giovanile, è perfettamente adattata ai propositi del film.
L’influenza dei grandi nomi del cinema giapponese è davvero palpabile e ci si diverte a ritrovare certe atmosfere ispirate alle opere di Suzuki Seijun, quando si ammirano alcune scene girate nella città immaginaria di Megasaki. in questo film eccellente, premiato al Festival di berlino con l’Orso d’argento per la migliore regia, si scopre con piacere che Wes anderson non è caduto nella trappola del film-cliché sul Giappone. Lo deve in particolare al lavoro di Nomura kunichi, uno degli sceneggiatori. “Siamo tutti amici di Kun, ci conosciamo da diversi anni, è lui che ci ha permesso di essere così realistici e autentici nei dettagli, e di creare un contesto davvero giapponese nel film, dal momento che nessuno di noi altri sceneggiatori arriva da questo Paese”, riconosce il regista. Questo permette di offrire uno sguardo davvero profondo sul Giappone. in nessun momento del film si ha l’impressione di avere a che fare con un’opera “Japan-like”. al contrario, questo film è completamente giapponese, sia nei toni sia nella maniera in cui i diversi personaggi interagiscono fra di loro. La sola a comportarsi diversamente è Tracy Walker, la liceale americana in Giappone per un viaggio di scambio linguistico, che lavora con passione per il giornale della scuola e ingaggia una battaglia contro il sindaco kobayashi. Mal-
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Per questo progetto, il regista americano ha scelto di produrre un film d’animazione in stop motion.
grado il suo desiderio di integrarsi, la giovane conserva i suoi comportamenti naturali da gaijin (straniera). Quando dice ad esempio che vuole scrivere partendo dalle “sue intuizioni “, il redattore capo del giornale le risponde: “non pubblico mai niente a partire da un’intuizione “. È una caratteristica fondamentale del giornalismo giapponese quella di appoggiarsi unicamente su fatti più volte verificati per elaborare gli articoli. È questo genere di dettagli a fare de L’Isola dei
Cani un film nipponico a tutti gli effetti. Se si aggiunge al tutto la dimensione umanista che emerge da tutta la pellicola, senza dubbio ispirata dal cinema di akira kurosawa, non si può che essere grati di poter approfittare di un’opera di una tale intensità. Da qui a dire che siamo di fronte al miglior film “giapponese” di quest’anno, il passo è breve e noi siamo pronti a compierlo. ODAIRA NAMIHEI
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ZOOM CUCINA TRADIZIONE
Un miso “AOC” in pericolo
una decisione amministrativa rischia di contribuire alla scomparsa di un prodotto fabbricato da più di 400 anni.
SOLIDARIETÀ MESSAGGI DI SOSTEGNO in tutte le lingue possono essere indirizzati ai due produttori locali attraverso i loro siti internet: Maruya Hatchômiso : www.8miso.co.jp Kakukyû : www.kakukyu.jp
SEKIGUCHI RYÔKO PER ZOOM GIAPPONE
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ome tutte le regioni del Giappone che possiedono ciascuna un miso locale, la regione di aichi è rinomata per la sua cucina insaporita col miso rosso, dal gusto intenso. Soprattutto, è famosa per il suo Hatcho miso, conosciuto grazie al suo particolare processo di fabbricazione. il miso può essere preparato con una base di soja, di sale e di koji, una sorta di fungo che favorisce la fermentazione; quest’ultimo prolifera su un letto di riso o di grano cotto. Nel caso dell’ Hatcho miso, il koji è direttamente coltivato sulla soja, ciò richiede una tecnica precisa e più tempo dedicato alla fermentazione. Maruya e kakukyu, due piccoli produttori che si trovano, uno vicino all’altro, a Hatcho (Hatcho significa 870 metri, la distanza che separava il villaggio dal castello di Okazaki, luogo di nascita del primo shogun, da qui il nome di Hatcho miso) hanno saputo far perdurare un autentico metodo di fabbricazione di Hatcho miso. Lasciano il miso riposare per più di due anni a temperatura ambiente, in barili di legno, con pietre disposte sopra a forma di cono. Questo sistema ancestrale fa dell’Hatcho miso il “miso del signore” ed è ancora più prezioso ai giorni nostri, quando certi produttori industriali mettono il loro miso sul mercato dopo qualche settimana appena di fermentazione. il mix tra l’umami, la leggera acidità, una punta di amaro e la scarsa quantità di sale conferisce pro-
L’ Hatcho miso riposa per due anni in barili sui cui viene posto un monticello di pietre.
fondità ai sapori, non soltanto nella cucina giapponese: questo condimento si sposa molto bene con diversi piatti occidentali. Nei ragù o nei dolci, regala un sapore simile al cacao e al caramello al burro salato! Sebbene sia un prodotto locale, è molto rinomato presso gli esperti europei di macrobiotica, che apprezzano il suo metodo di produzione artigianale e l’utilizzazione di ingredienti biologici. i miso di questi due produttori si trovano in numerosi paesi, in europa e negli Stati Uniti, grazie al fenomeno contemporaneo che vede certi prodotti locali incontrare un successo internazionale presso gli adepti delle più recenti tendenze alimentari. Negli ultimi tempi, tuttavia, questi produttori attraversano una fase critica: il ministro giapponese dell’agricoltura e della Pesca li ha ritirati dalla lista dei “Gi” (geographical indication, equivalente dell’aOC per i vini francesi o altri prodotti europei), ovvero dei prodotti di denominazione locale da proteggere. il label è stato invece attribuito alla cooperativa di miso della prefettura di aichi, la più importante della regione. Si può supporre che
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il governo abbia voluto favorire la vendita all’estero di grosse quantità di prodotto. Ma, con questa misura, non solo i prodotti dei nostri due piccoli produttori dalla tradizione ancestrale non potranno più essere chiamati “Hatcho miso”, ma rischiano persino di non poter più essere esportati in europa, una conseguenza che potrebbe rivelarsi fatale per le sorti delle due aziende. Shibata kaori, specialista di cultura culinaria, sottolinea che esistono casi simili in europa, e propone dunque di seguire il suo sistema, che prevede la creazione di due denominazioni, in funzione del grado di rapporto con la regione (PDO e PGi), per distinguere, ad esempio, l’aceto balsamico prodotto con un metodo tradizionale (PDO) dall’aceto balsamico ottenuto nella regione d’origine del prodotto (PGi). Ciò che in origine fu creato per proteggere gli interessi dei produttori, può ora facilmente rivoltarsi contro di essi. Questa ironia propria ai tempi moderni non dovrebbe però sacrificare una tradizione culinaria che perdura da più di quattro secoli. SEKIGUCHI RYOKO
ZOOM CUCINA L A RICETTA DI HARUYO Financier al miso Hatcho
MAEDA Haruyo per ZOOM Giappone
(Hatcho miso no finanshie)
PREPARAZIONE Prima di cominciare, pensare a setacciare la farina, la polvere di mandorle e il lievito insieme. 1 - In una pentola, fare fondere il burro e scaldare lentamente fino a che assuma una colorazione nocciola (beurre noisette). 2 - Mettere da parte a disposizione il setaccio e la carta assorbente. 3 - Aggiungere il miele, il miso. 4 - Mescolare bene.
5 - In una scodella, mescolare zucchero e albumi, senza montarli. 6 - Aggiungere farina, polvere di mandorle e lievito passati al setaccio. 7 - Incorporare il burro. 8 - Riempire lo stampo con una tasca da pasticciere o con un cucchiaio. 9 - Cuocere nel forno pre-riscaldato a 180°C per circa 15 minuti. 10 - Une volta cotti, togliere lo stampo.
INGREDIENTI (40 dolcetti) 90 g di albume d’uovo 60 g di zucchero 40 g di farina 60 g di polvere di mandorle 2 g di lievito industriale 70 g di burro 20 g di miele 15 g di miso Hatcho
Astuzie & consigli : - Si può utilizzare sia uno stampo in silicone sia in metallo. Per lo stampo in metallo, ricordarsi di spalmare un po’ di burro sulle pareti. - Far riposare i financier in una scatola ermetica. - Per il beurre noisette (burro rosolato),quando il burro comincia a formare una schiuma, significa che sta per colorarsi. Aspettare qualche istante e mescolare con una frusta. Una volta che la schiuma si attenua, la buona colorazione è normalmente raggiunta.
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Troupe Yokota Kagura
Il mostro e il venditore di ombrelli interpretati dalla compagnia Yokota Kagura.
SCOPERTA
Kagura rima con Hiroshima
Questa forma teatrale destinata a piacere agli dei è particolarmente sviluppata in questa regione ancora molto rurale.
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uando salite gli scalini illuminati alla luce delle lanterne che portano al Wasedajinja, un piccolo santuario alla periferia di Hiroshima, un odore di cibo solletica le vostre narici. Calamari grigliati, pollo fritto o ancora i taiyaki, le famose frittelle a forma di pesce farcite di crema, vi aspettano prima che lo spettacolo abbia inizio. Un pubblico eterogeneo di persone di ogni età si riunisce attorno al piccolo palco esterno, montato
a fianco del santuario. Un gruppo di uomini più anziani chiacchiera rumorosamente, mentre, in prossimità di una bancarella lí vicino, i loro nipotini cercano di aggiudicarsi dei pesci rossi. alcuni studenti sono chinati sullo schermo dei loro smartphone e ridacchiano. Durante questo intervallo di tempo, la luna si alza sulle cime e si possono distinguere le forme dei pini sul rilievo montagnoso. il vento soffia attraverso i bambù. Come in una versione più gioiosa di una storia firmata H. P. Lovecraft, potete avvertire la presenza dei kami (dei) nascosti nell’oscurità primitiva di questa notte autunnale, appena aldilà delle rassicuranti luci del santuario.
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il velo che separa il nostro mondo e il regno dei kami sembra improvvisamente davvero impalpabile. Questa sera, siamo riuniti qui per una rappresentazione di kagura, uno spettacolo di danza e di musica che, da mille anni, fa cadere questo velo. kagura significa letteralmente “il luogo della divinità”. Le sue origini esatte sono incerte, ma si crede rimontino almeno all’era Heian (794-1185). Molti dicono tuttavia che la sua nascita risalga alle origini mitologiche del Giappone stesso, nel momento fatidico in cui “la dea del sole Amaterasu si è rinchiusa in una grotta rifiutandosi di uscirne. La dea della gioia e del divertimento Ameno-Uzume ha allora danzato davanti all’ingresso della grotta per
ZOOM VIAGGIO
Troupe Nakagawado Kagura
farla uscire. Questa danza è considerata come la nascita del Kagura”, spiega Masuda keiji dell’istituto culturale del kagura a Hiroshima. Da questo originale rituale destinato a far rivenire il sole, il kagura è diventato un mezzo per divertire gli dei e ringraziarli per il raccolto del riso. ecco perché viene rappresentato tradizionalmente nei santuari scintoisti: secondo lo scintoismo, lì abitano le divinità. Oggi il kagura è popolare in numerose regioni del Giappone. Uno dei suoi bastioni di riferimento rimane tuttavia la prefettura di Hiroshima, dove si è imposto durante l’epoca edo (1603-1867), dopo essere arrivato da izumo e iwami, nella vicina prefettura di Shimane. alla fine di questo periodo, venivano recensite più di 100 compagnie di kagura nella regione di Hiroshima. “Diverse rappresentazioni di Kagura sono basate sul Kojiki (Il racconto degli antichi eventi) e sul Nihon Shoki (Annali del Giappone), le due opere storiche giapponesi redatte verso il 720” spiega Shimose akiho, responsabile dell’ufficio del turismo della città di akitakata. Le altre storie si ispirano ai rituali agricoli, ai miti, alle leggende e alle opere storiche del periodo Heian (794-1185). “Recentemente, abbiamo anche delle pièce di Kagura ispirate al teatro kabuki o al teatro no” aggiunge Shimose akiho. Tuttavia, a differenza di queste due forme teatrali caratterizzate da un ritmo lento e misurato, il kagura è un’arte mozzafiato, con mostri spaventosi,
INFORMAZIONI PRATICHE POTETE ASSISTERE A RAPPRESENTAZIONI di Kagura presso il Centro culturale della prefettura di Hiroshima ogni mercoledì fino al 27 dicembre. Hanno luogo alle 19h e alle 20h. È possibile ottenere del materiale esplicativo in inglese. Dopo la rappresentazione, potrete indossare uno dei costumi. 1-5-3 Otemachi, Naka-ku, Hiroshima 730-0051. Tél. 082 245 2311. Kagura Monzen Toji Mura : 4627, Hongo, Midori-chô, Akitakata. Tél. 082 654 0888.
La sfida tra il bene e il male, tra il guerriero e il mostro. Compagnia Nakagawado Kagura.
draghi, magia e duelli con la spada. Non è sorprendente che si sia imposto come divertimento popolare non solo per i kami, ma anche per i semplici mortali! Mentre il suo successo aumentava, si sono aggiunti nuovi elementi che lo hanno reso ancora più avvincente per il pubblico, come la sincroniz-
zazione perfetta tra la musica e i danzatori, che non faceva parte delle caratteristiche del kagura tradizionale. i costumi sontuosi di oggi erano all’origine molto meno appariscenti. Venivano fabbricati con tessuti colorati e ornati di semplici motivi floreali. Oggi,
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invece, i costumi del kagura possiedono ricchi ornamenti: magnifiche tigri, dragoni e demoni, ricami con fili d’oro e d’argento. Possono pesare fino a venti chili e costare più di un milione di yen. Delle maschere di mostri spaventosi e dei draghi sputa fuoco lunghi fino a 17 metri, contribuiscono ugualmente allo sfarzo del kagura. anche se non riuscirete a comprendere tutta la storia, sarete senza dubbio meravigliati dallo splendore dei costumi. Nella prefettura di Hiroshima, il kagura evoca l’autunno e il colore cangiante degli aceri. Le esibizioni nei santuari della regione costituiscono il punto culminante dei festival legati alla raccolta del riso in questa stagione. Tenuto conto della popolarità crescente del kagura, si può ugualmente assistere alle rappresentazioni lungo tutto l’anno, nelle sale spettacolo e nei centri culturali. attualmente, la prefettura accoglie 200 compagnie di kagura, con cinque variazioni a seconda della loro provenienza: da Geihoku, sulle montagne del nord, alle isole Geiyo nel Mare interiore. La città di akitakata, a nord di Hiroshima, vanta 22 compagnie e possiede persino un luogo specialmente riservato agli spettacoli di kagura, il kagura Monzen Toji Mura. Quest’ultimo presenta rappresentazioni settimanali sia all’interno che all’esterno ed è dotato di un museo consacrato a questa forma teatrale. Nella prefettura sono organizzati ogni anno più di venti concorsi. Questi hanno avuto un ruolo fondamentale nella promozione e nella conservazione della tradizione, oltre che nel suo diventare più ricca e sofisticata. È una responsabilità che i danzatori e i musicisti - tutti non professionisti- prendono molto sul serio. “La maggior parte dei danzatori comincia il Kagura alla scuola elementare; han quindi decine di anni di esperienza”, conferma Shimose akiho. a riprova del fatto che il kagura faccia davvero parte del ricco patrimonio delle arti dello spettacolo giapponesi, è stata la sua presenza alla Fashion Week parigina del settembre scorso, quando la troupe Hiroshima kagura ha messo in scena una rappresentazione stupefacente durante la sfilata della collezione primaverile di kenzo.
Troupe Hiyoshi Kagura
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I serpenti giganti della compagnia Hiyoshi Kagura, a Midori.
in un’atmosfera più semplice, di ritorno dal santuario Waseda-jinja, quattro musicisti in tenuta scintoista (cappelli neri, camicie bianche e pantaloni neri e spessi) fanno la loro apparizione in scena. Si inginocchiano tutti in fila, prendono i loro strumenti (un grande tamburo, uno più piccolo, un flauto e dei tradizionali cembali) e si lanciano in un riff melodioso. il racconto di questa sera comincia con le rocambolesche vicende di una ragazza che si fa divorare da una vecchia strega malefica. Fanno poi la loro comparsa in scena due bei guerrieri dalle lunghe trecce nere e dagli abiti scintillanti, pronti per affrontare la strega. Ma in qualche frazione di secondo, la vecchia si trasforma in uno spaventoso demone dalle forme di volpe bianca. La folla ansima. i bambini gridano. i due eroi guerrieri sfoderano le loro spade e cominciano a sfidare la volpe, volteggiando e piroettando intorno al piccolo palco. La musica produce delle onde sonore frenetiche. Sempre più rapidamente, il trio piroetta come se fosse in trance. Sono così vicini gli uni agli altri che pare incredibile che nessuno si sia ancora ferito. D’improvviso, gli eroi riescono a catturare la volpe con una rete simile a una tela
30 ZOOM GIAPPONE N. 10 giugno - settembre 2018
di ragno. La conclusione sembra prossima. La musica rallenta e tutti finalmente riprendono fiato e tirano un sospiro di sollievo. Ma quando credevate che tutto fosse terminato, la scena è improvvisamente avvolta da una sorta di fumo opaco da cui emergono quattro grandi e spaventosi draghi. i loro occhi fiammeggiano, le ma scelle si digrignano e le bocche lanciano fiamme. i ritmi implacabili riprendono, più intensi e sfrenati. Gli eroi e i draghi si affrontano in maniera ancora più frenetica rispetto al combattimento di prima. Vi chiedete come possano girare cosi velocemente senza essere sbalzati fuori dal palco. a un certo punto, un drago riesce a stringere un eroe tra le proprie spire. Ma il guerriero finisce col liberarsi. Finalmente, dopo più di due ore di spettacolo, i due guerrieri riescono a uccidere i draghi. Le bestie barcollano in un’agitata agonia prima che i nostri eroi taglino loro la testa, tenendola poi fra le mani, nel bel mezzo dei fragorosi applausi. il bene ha trionfato. La ragazza è riportata in vita e l’ordine è ristabilito nell’intero universo. il dio è felice così come il pubblico, galvanizzato dopo aver comunicato con i kami. STEVE JOHN POWELL