Zoom Giappone 14

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Rivista

gratuito - numero 14 giugno - settembre 2019

gratuita

Numero speciale

sakè Laura Liverani per Zoom Giappone


ZOOM EDITORIALE L O SGUARDO DI ERIC RECHSTEINER

Cin Cin!

LA REDAZIONE info@zoomgiappone.info

25 746 831 è il numero di litri di sakè che il Giappone ha esportato nel 2018, registrando un aumento del 19% rispetto all’anno precedente. Gli Stati Uniti sono i maggiori importatori (25% del totale!), seguiti dalla Cina, dalla Corea del Sud e da Taïwan, dove il numero dei ristoranti giapponesi è in forte aumento.

Fabbrica di sakè delle isole Goto, Nagasaki

© Eric Rechsteiner

Dopo i manga, gli anime e la cucina, il Giappone è pronto per esportare il suo ottimo sakè. Benchè il suo consumo nell’arcipelago resti alto, le autorità stanno cercando nuovi mercati, primo fra tutti quello europeo, dove diversi chef iniziano a sperimentare le qualità di questa preziosa bevande anche nelle loro ricette. i produttori di sakè ne difendono la lunga tradizione, cercando però di conquistare il gusto anche dei giovani nipponici. Questi sono solo alcuni dei temi a cui ci siamo ispirati per scrivere questo numero di Zoom, dedicato all’antica bevanda degli dei.

M.TaTeishi, presidente della Camera di Commercio di Tomie, presenta con orgoglio una bottiglia di Tôraku (島楽), unico sakè prodotto sulle isole Gotô, alla cui produzione egli ha partecipato attivamente. Questa rara bevanda è prodotta con una qualità di riso coltivata rigorosamente in loco e ha la particolarità di usare come lievito la camelia, pianta simbolo delle isole, normalmente utilizzata nella produzione dell’olio.

MERCATO

Il sakè: bevanda Kosher?

IMITAZIONI Un

Prodotto a base di acqua e di riso, il sakè risponde ai criteri imposti dalla religione ebraica. Dalla metà degli anni Duemila diversi artigiani hanno adottato le regole per produrre dei sakè Kosher, la maggior parte destinati al mercato americano. Tra di essi figura Kikusui, produttore basato nella prefettura di Niigata, a nord-ovest di Tokyo, che ha visto le vendite del suo originale sakè aumentare del 20% ogni anno.

Esistono già all’incirca una quindicina di fabbriche di sakè negli USA, a cui si sta aggiungendo la prima produzione nella città di New York, la Brooklyn Kura, con a capo l’americano Brian Polen, che vorrebbe così rispondere ad una domanda in forte crescita (8% per anno). 3 600 sono le bottiglie attese per la sua prima cuvée.

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Il celebre logo della fabbrica Kenbishi fondata nel 1505.

Kenbishi, l’anima del sakè Fra le più antiche fabbriche di sakè dell’arcipelago, Kenbishi preserva le tecniche tradizionali di produzione.

K

enbishi non è un semplice nome di produttore di sakè. Fondata nel 1505, l’azienda è una delle più antiche e più celebri del Giappone. Dei barili recanti il marchio sono spesso disegnati nelle scene di epoca edo, nelle stampe firmate Utamaro, hiroshige o Kuniyoshi, e il nome di Kenbishi appare persino in alcune opere di teatro kabuki. La storia racconta che i celebri 47 samurai bevvero del Kenbishi prima di dar avvio alla loro vendetta per la morte del daimyô asano naganori, condan-

nato ingiustamente al suicidio rituale. sebbene sia originario dell’ovest, questo marchio è stato uno dei preferiti delle genti di edo, quasi al punto di diventare sinonimo di “sakè”, e accompagna la storia culinaria dell’epoca. il marchio possiede d’altra parte degli importanti archivi e continua a collezionare i documenti riguardanti la storia di Kenbishi. La fabbrica ha conservato sempre lo stesso logo (fu d’altra parte la prima fabbrica di sakè a inventare la nozione di “logo”) e continua a proporre cinque cuvée, assai poco rispetto alla sua capacità produttiva di 3 500 000 bottiglie magnum da 1,8 litri all’anno. Degno di nota è il fatto che per principio resti fedele alla sua storia, non pro-

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ponendo mai nuovi prodotti né nuove varietà di cuvée. Kenbishi è unica nel senso che si tratta di una fabbrica grande che propone sakè a prezzi abbordabili senza per questo usare metodi industriali, preservando anzi la tecnica tradizionale Yamahai, secondo la quale la fermentazione si fa naturalmente grazie ai lieviti locali e ai lactobacillus presenti nell’aria. Questo metodo necessita tuttavia di un tempo assai lungo di preparazione. in un’epoca in cui il mondo del sakè si felicita dell’interesse portato dai Paesi stranieri verso la bevanda, e dell’apparizione di nuovi tipi di sakè concepiti da produttori della nuova generazione, questa fabbrica può proporre una visione nuova, un concetto di “sakè XXi secolo”, dopo più di


cinquecento anni di storia? non rischia di soffrire di un’immagine un po’ obsoleta di “sakè di una vecchia generazione”? “No!” risponde con fermezza l’attuale dirigente del marchio, shiraKashi Masataka , sorridendo serenamente. “Il principio che abbiamo rispettato di generazione in generazione è questo: dobbiamo essere un orologio fermo”. “Il gusto non smette di evolvere nel corso delle epoche. Se si corre appresso una tendenza alla moda, ci si trasforma in un orologio sempre in ritardo, incapace di fornire l’ora esatta. Invece, se si decide di essere un orologio fermo, è il tempo a venire verso di noi, due volte al giorno”. il gusto di Kenbishi ha un contorno netto. Kenbishi potrebbe essere il modello dei sakè di nada, reputati per essere “sakè virili” a causa dell’acqua fortemente mineralizzata della regione. Tutte le tipologie di sakè proposte, ognuna con la sua sfumatura diversa, condividono un sapore ricco in umami, complesso e forte, ma mai pesante, grazie al suo nerbo metallico. Una volta degustato, lascia un gusto indimenticabile, al punto di poter essere riconosciuto anche nel corso di una degustazione alla cieca. non è un gusto che intende piacere a tutti, ma ha molti fedeli fan, in genere è una passione che viene trasmessa di padre in figlio. “È questo gusto che vogliamo perpetuare. La nostra produzione è interamente concepita per fornire costantemente lo stesso sakè ai nostri clienti. Non impieghiamo i metodi tradizionali solo per principio, ma facciamo tutti gli sforzi possibili se uno strumento tradizionale ci è necessario alla preservazione del gusto caratteristico del Kenbishi”, afferma shiraKashi Masataka. effettivamente, la visita di questa azienda si rivelerà un’esperienza unica. Un tempo c’erano otto cantine, ma sette sono crollate nel corso del terremoto di hanshin-Kôbe, nel 1995. nella catastrofe hanno perso la vita quattro membri del personale. Da allora, Kenbishi ha ricostruito tre cantine sullo stesso terreno. nelle quattro unità lavorano da ottobre ad aprile, durante la stagione di preparazione del sakè, quattro tôji (maestri chai) e cento persone in totale. Dall’esterno, gli immensi edifici recenti in cemento hanno quasi un aspetto intimidatorio, evocando un vero e proprio complesso industriale. Ma all’interno si scorgono i grandi e piccoli barili di legno, si sente l’odore del kakishibu, l’estratto di kaki amaro tradizionalmente utilizzato come rivestimento per impermeabilizzare e conservare il legname. nel corso della nostra visita, gli impiegati approfittano del termine della stagione per fare un po’ di manutenzione sugli strumenti necessari alla preparazione del sakè. sulla terrazza, dei pesci sono lasciati seccare in un cesto. “Sono preparati dai membri del personale che consumano i loro

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Kenbishi predilige i materiali di legno.

pasti sul posto”, spiega shiraKashi Masataka. Un po’ come se questa grande azienda moderna racchiudesse un atelier artigianale. Mentre in una fabbrica di grandezza simile è necessaria solo una quarantina di persone in media, da Kenbishi ne lavorano più del doppio. “La nostra fabbrica è piuttosto grande, ma non sono le macchine a compiere il lavoro, sono i nostri artigiani che applicano i metodi tradizionali.” in effetti, la scelta di ogni materiale è guidata da una logica limpida. se, per fare cuocere il riso, hanno preferito conservare i grandi barili di legno, è perché, paragonandoli ai recipienti in metallo,

hanno trovato che il legno dava risultati migliori. i barili per conservare il sakè invece, sono di metallo poiché viene ritenuto che quelli di legno espongano a un numero più elevato di rischi igienici e non contribuiscano a migliorare il gusto. Continuano tuttavia a utilizzare i barili in legno per controllare la temperatura durante la fermentazione dello shubo, la “matrice del sakè”, dal momento che il cambio di temperatura avviene lentamente, mentre a contatto col metallo può essere brutale. nella “camera dei kôji”, il luogo dove viene preparato il fungo kôji, indispensabile alla fase cruciale

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A capo dell’impresa, SHIRAKASHI Masataka difende con forza un approccio radicato nella tradizione.

della fermentazione del sakè, i vassoi sui quali è steso il riso cotto al vapore sono piuttosto piccoli perché gli artigiani possano spostarli rapidamente a ogni minima evoluzione delle spore. Un’operazione primordiale, dal momento che non viene usato un sistema elettrico di riscaldamento per il controllo della temperatura nella stanza. “In generale, questa taglia di vassoio è usata soltanto per le cuvée speciali presso gli altri produttori, poiché richiede molta attenzione. Se abbiamo deciso di coinvolgere più personale è giustamente per poter offrire queste attenzioni particolari a ogni cuvée, senza eccezioni”, assicura shiraKashi Masataka. non propongono nemmeno dello namazake, le cosiddette cuvée “crude”, sakè non pastorizzati, molto di moda in questi ultimi tempi per via della freschezza del gusto. “I namazake sono buoni e non ho nulla contro questa moda. Ma se tutti cominciano a produrre saké da consumare subito, siamo destinati a perdere la capacità di immaginare un sakè che sia migliore tra uno o due anni. Certo, la pastorizzazione fa perdere il profumo fresco; l’umami però, aumenta. Il nostro saké è concepito affinché il suo gusto migliori col tempo. Lo conserviamo in genere due o tre anni prima di imbottigliarlo, mescolando i millesimi per generare un gusto complesso. Abbiamo persino un millesimo di

trentacinque anni: lo gustiamo ogni anno per verificare e determinare il buon momento per commercializzarlo, ma ogni anno, ci diciamo che esiste ancora un margine di evoluzione”, racconta il proprietario di Kenbishi. Questa visione a lungo termine rappresenta un investimento e Kenbishi conserva la stessa filosofia anche nel preservare i mezzi e il personale essenziali alla produzione. in effetti, è necessario assicurarsi di aver artigiani capaci. Un solo artigiano di Ōsaka sa produrre dei barili di taglia grande. Quando shiraKashi Masataka ha saputo che questi avrebbe chiuso i battenti dell’atelier nel 2020, ha inviato due impiegati della sua impresa a formarsi presso di lui per imparare i segreti del suo savoir faire e ha in seguito costruito un atelier vicino alla cantina per la fabbricazione dei barili, in modo da continuare a poter usare questi stessi recipienti, realizzati nello stesso modo da sempre. Per i barili più piccoli, ha direttamente assunto l’artigiano che forniva l’azienda, e gli ha chiesto di lavorare nel suddetto atelier per insegnare al resto del personale la tecnica di fabbricazione. Questo atelier fornisce così non soltanto i materiali necessari a Kenbishi, ma si pone come obiettivo quello di fornire in futuro altri produttori desiderosi di utilizzare barili tradizionali. ha poi acquistato

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una macchina per fare delle trecce di paglia a partire dalle spighe di riso per avvolgere i barili di sakè destinati a diventare offerte nei templi. ovunque in Giappone, queste trecce di paglia sono oggi rimpiazzate da trecce di plastica. shiraKashi Masataka dice di aver riflettuto a lungo prima di impiegare questo macchinario, dal momento che questa decorazione esterna non riguarda il gusto del sakè. “Per fare delle offerte agli dei del sakè, bisogna che il sakè sia decorato da spighe di riso. Se si utilizza la plastica, diventa un’offerta al dio del petrolio. Questo complica le cose, giusto?” aggiunge, scherzando. L’atelier ricorda ciò che ci ha descritto iMaDa Miho. La donna tôji non nascondeva l’ammirazione per questi maestri chai di un’altra generazione, depositari di un sapere globale attorno all’arte del sakè: sapevano coltivare il riso (molti di loro erano agricoltori), sapevano intrecciare le spighe, riparare i barili e i tetti delle cantine…oggi, il mondo del sakè è caratterizzato dalla specializzione, mentre se si dovesse fare un sakè a partire dal nulla, quei maestri tôji di una volta ne sarebbero capaci. Contrariamente a ciò che si può pensare, se i piccoli produttori artigianali di sakè non possono più occuparsi di queste attività parallele, è a


causa della mancanza di tempo e di mezzi. Devono rinunciare spesso e volentieri agli strumenti di legno e alle trecce di spighe. solo qualche grande fabbrica, impegnata nella trasmissione delle tradizioni, ha la capacità di assumere personale supplementare per far perdurare queste culture artigianali. il caso di Kenbishi è esemplare. “Mi viene proposto di comprare foreste e di farci crescere il bambù che servirà a fissare questi barili di legno…sarebbe l’autarchia completa. Ma senza giungere sino a ciò, vorrei davvero sviluppare uno spazio per coltivare le nostre varietà di riso. Come avete potuto constatare, se fabbrichiamo gli strumenti da soli è per necessità, dal momento che gli artigiani specializzati stanno sparendo. Per il riso è la stessa cosa: gli agricoltori con cui siamo in contatto sono anziani. Il riso per il sakè è più difficile da coltivare e richiede più cure e più lavoro manuale. Se si lascia la situazione così com’è, presto saremo carenti di riso da sakè. Essere autonomi per coltivare il nostro proprio riso è la soluzione per garantirci che avremo sempre la stessa quantità e la stessa qualità -abbiamo già acquisito da qualche anno una licenza di controllo per preparare il terreno - e la soluzione per garantire un futuro agli artigiani che vengono a lavorare qui sei mesi l’anno. Da noi gli artigiani non hanno un limite di età per la pensione, possono lavorare tanto a lungo quanto desiderano e secondo le loro condizioni. Se tuttavia potessero coltivare il riso per gli altri sei mesi dell’anno, sarebbe una buona soluzione per garantir loro una sicurezza economica, e la nostra fabbrica sarebbe una struttura perfettamente autonoma…Ah che bel sogno sarebbe…” riflette shiraKashi Masataka, con un sorriso malizioso. Quelli che hanno visto tutti gli sforzi fatti per mantenere in vita queste tradizioni sanno che non si tratta solo di un sogno, ma piuttosto di un progetto concreto e pieno di promesse per l’avvenire. Dopo la visita comprendiamo naturalmente, da soli, il senso di questa fabbricazione che non cambia da secoli. ovviamente si tratta prima di tutto di un prodotto commerciale, ma aldilà di questo aspetto, si avverte un sentimento di responsabilità, di “noblesse oblige”, una sorta di missione accolta per preservare il patrimonio del gusto. Una cosa resa possibile dal possesso di archivi e di ricette antiche di secoli, frutto di scelte giudiziose e logiche. Tutto ciò che viene realizzato per preservare questo gusto contribuisce infine a preservare una tradizione: la “cultura” del sakè nel suo insieme. nell’epoca in cui i sakè venivano classificati secondo dei gradi tipo “speciale”, “prima classe”, “seconda classe” (questa legislazione fu abolita nel 1992), la scelta era molto limitata. La tendenza non era quella di bere ogni volta più sakè e di compararli. no, ciascuno possedeva la sua abitudine

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Kenbishi, vede la sua produzione di sakè cominciare in ottobre e terminare in aprile.

e aveva il “suo” sakè. Mio nonno, ad esempio, era affezionato al marchio della "doppia losanga", lo rivedo così nei miei ricordi, con una bottiglia del mitico Kenbishi posata accanto a lui a tavola, durante le cene. ovviamente, essendo ancora un bambino, non potevo fargli compagnia, ma quando verso questo sakè in un bicchiere, sento emergere un profumo famigliare e riconosco il gusto che ho incontrato venticinque anni fa, quando ho avuto la mia “iniziazione” al sakè. “È proprio per questo che preserviamo lo stesso gusto. Sarebbe triste bere un Kenbishi e non riconoscere più quel sapore di infanzia che le riporta il ricordo di suo nonno, giusto? Non si beve il sakè tanto per bere, il gusto possiede il potere di evocare dei ricordi, di riportare dei momenti del passato

nel presente. Noi crediamo in questa forza.” afferma il proprietario del celebre marchio. “La metafora dell’orologio fermo non significa che non vogliamo muoverci. Immaginate di essere sempre nello stesso punto in mare. Ci sono le onde, il vento. Si ha l’impressione di essere in un punto fisso, ma per mantenersi lì, bisogna agitare le gambe e le braccia, osservare le stelle e il cielo. Non bisogna essere avari di tempo o di energia ed è necessario conservare i nostri principi, essere sicuri di noi stessi” aggiunge. Per godere di questo “momento autentico” insieme, il nostro orologio può così decidere di fermare il tempo con il sakè Kenbishi. in ogni caso, le iniziative di questa azienda sembrano più che mai attuali, l’orologio è dunque ben puntuale! SEKIGUCHI RYÔKO

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Il tôji è la Signora Imada

Come IMADA Miho, sempre più donne si sono lanciate nella produzione della “bevanda degli dei”.

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l Giappone ha sempre saputo conservare le sue tradizioni che perdurano da secoli, tradizioni che hanno ugualmente la loro parte oscura: numerosi mestieri e luoghi sono stati per un tempo infinito proibiti alle donne. Lo sport nazionale, il sumo, vede ancora il divieto per le donne di mettere piede sul ring (all’epoca edo, le donne non avevano nemmeno il diritto di assistere come spettatrici agli incontri); le donne non potevano accedere alle montagne sacre, quali il Monte Fuji e non potevamo partecipare a certe feste, senza parlare del teatro kabuki, ancora oggi interpretato unicamente da uomini, o del teatro nô, in cui le donne hanno fatto la loro apparizione soltanto nel dopoguerra. se, nell’ambito della gastronomia si cominciano a vedere chef donne apparire timidamente, rari sono quelli che possono aver visto una donna alla testa di un ristorante di sushi: secondo la credenza popolare, le donne non sono adatte a questo mestiere a causa delle mestruazioni o della temperatura più elevata delle loro mani che altererebbe la qualità del pesce… il mondo del sakè non sfugge a questo costume dettato dalla superstizione. si è detto per lungo tempo che lasciare entrare una donna in una cantina poteva corrompere il sakè. nel Giappone di oggi, tuttavia, decine di donne tôji (maestro

chai) lavorano nelle cantine e molte sono conosciute ed apprezzate per la qualità del loro sakè. nell’ambiente della fabbricazione della bevanda nazionale, il tabù sulle donne sembra dissiparsi più velocemente rispetto ad altri settori tradizionali. a akitsu, città della prefettura di hiroshima, reputata per la competenza delle sue “Hiroshima tôji”, abbiamo incontrato iMaDa Miho, una delle prime donne tôji, dell’azienda famigliare imada shuzô honten, fondata nel 1868. La fabbrica è situata nei pressi del Mare interiore, un mare calmo e ricco di pesce. “Si dice che il paesaggio ricordi quello della Sicilia” afferma: un clima temperato, delle colline dolci che sfiorano le rive, molti aranci e limoni. iMaDa Miho fa parte della generazione dei kuramoto tôji. Tradizionalmente, il kuramoto, padrone della fabbrica di sakè, non si occupava della produzione, ma si concentrava sulla gestione dell’azienda. Della produzione si occupava il tôji. Da una ventina d’anni invece, soprattutto nelle piccole e medie unità artigianali, i kuramoto si mettono a produrre sakè, sia per far fronte alla crisi del settore cominciata negli anni novanta, crisi che non permetteva più le nuove assunzioni, sia per rinnovare il settore, spinti dalla voglia di creare dei sakè liberi da certi cliché. Questa generazione sovente arriva da una riconversione professionale per poter riprendere la fabbrica di famiglia, oppure giunge nel settore per passione. iMaDa Miho non fa eccezione. agli inizi, l’idea di rientrare nella sua regione

Qualche tesoro della fabbrica di saké Imada fondata esattamente 150 anni fa. 8 ZOOM GIAPPONE N. 14 giugno - settembre 2019

natale per succedere alla testa della società famigliare non la tentava affatto. nel periodo della bolla economica degli anni ottanta, con un diploma universitario in tasca, per dieci anni lavora nel mondo della cultura e si occupa della produzione di spettacoli di teatro nô. il gruppo che promuoveva la creazione di nuove performance teatrali riceveva all’epoca un importante sostegno finanziario da parte dei mecenati giapponesi. Miho si è recata al festival di avignone per presentare le creazioni di TeshiGawara, portando con sé tutta la troupe di attori…Ma agli inizi del decennio successivo, la crisi è arrivata e Miho si ritrova senza lavoro, mentre la fabbrica di sakè famigliare rischia il fallimento. Lei è la più grande dei cinque fratelli e sorelle, e nessuno di questi vuole riprendere l’affare di famiglia. Decide quindi di rientrare. oggi, Miho lavora nel sakè da venticinque anni circa e il suo arrivo ha rappresentato una ventata di novità per la sua impresa. Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, non ha conosciuto situazioni di “dominazione maschile”. “Il tôji che ha lavorato a lungo nella nostra fabbrica mi ha accolto a braccia aperte e mi ha insegnato moltissime cose. Gli altri tôji della regione si sono dimostrati ugualmente di mentalità aperta” ricorda l’imprenditrice. e assicura che quest’apertura mentale caratterizza gli “Hiroshima tôji”. “La nostra regione è reputata per la sua acqua estremamente dolce. L’acqua poco mineralizzata non era adatta alla fabbricazione del sakè. È molto difficile procedere a una fermentazione senza rischi con un’acqua di questa qualità. Di fronte a questa situazione sfavorevole per la fabbricazione del sakè, gli Hiroshima tôji, si sono scambiati informazioni e savoir faire per riuscire, insieme, a migliorare la qualità del sakè regionale. Considerando questa difficoltà come una chance, hanno inventato il metodo ginno, una fermentazione lunga e a bassa temperatura, che fa emergere un aroma nobile grazie al quale la nomea degli Hiroshima tôji si è diffusa. Questi ultimi riuscirono ad essere riconosciuti come professionisti altamente qualificati e, sollecitati in tutto il Paese, partivano a lavorare in altre contrade. Questo può spiegare perché ad esempio, nel XIX secolo, TaKeTsUrU Masataka, il figlio di un fabbricante di sakè di Hiroshima, è partito in Scozia per imparare la fabbricazione del whisky. Abbiamo questa mentalità di viaggiatori, questa sete di imparare”, aggiunge. Conclude poi dicendo che, senza dubbio, questo spirito ha permesso la presenza delle donne nella fabbricazione del sakè. D’altra parte, quando è tornata nella fabbrica tradizionale di famiglia, due donne vi erano già im-


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ZOOM INCHIESTA cemente curiosa di scoprire il gusto nascosto nei piccoli semi di questo riso. Contrariamente alle varietà conosciute da molto tempo e impiegate nella produzione di sakè di qualità come la yamadanishiki, la hattansô, secondo la produttrice, conserva una sorta di forza selvaggia, una colonna vertebrale ben eretta, e il sakè prodotto con questo riso può perfettamente accompagnare dei piatti alle erbe aromatiche. in generale, il sakè si accorda male con le erbe dal sapore intenso, ma Miho assicura che la forza di

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piegate. Da bambina vedeva sua madre lavorare il sakè. Durante la stagione della produzione, i tôji e i kurabito (artigiani della fermentazione) dormono nella fabbrica. sua madre ogni giorno preparava i pasti per sette o otto artigiani, dall’alba fino a sera. “Si dice spesso che non c’erano donne nelle fabbriche di sakè, ma senza di esse, la produzione non sarebbe stata possibile, perché erano sempre le donne a sostenere e coadiuvare il lavoro degli uomini.” nella regione di Tôhoku, i tôji venivano accompagnati dalla loro moglie. “La presenza delle donne

Con il “suo” saké, IMADA Miho ha ottenuto per due anni di seguito il premio “Kura Master”.

è quindi un concetto relativo”. iMaDa Miho si è lanciata nell’universo del sakè di hiroshima a 33 anni e continua ad avanzare e a imparare. afferma di essersi sentita una professionista per la prima volta sette o otto anni dopo aver cominciato, quando il tôji che veniva a lavorare da sempre nell’azienda è andato in pensione e si è ritrovata a dover pianificare tutte le attività da sola. si è messa allora alla ricerca del gusto di quello che poteva diventare il “suo” sakè, al contempo unico e legato al territorio. ha capito che se il sakè è fatto da riso e acqua, visto che la qualità dell’acqua rimaneva immutata, poteva cominciare la ricerca di un riso particolare. in questo modo ha scoperto il riso endemico della regione, l’hattansô. Questa varietà, la cui taglia del chicco è due volte più grande delle varietà standard, quindi più difficile da coltivare, non esisteva quasi più. L’istituto di ricerca agronomica che conservava questi semi ha accettato di affidarle una piccola quantità perché potesse provare a coltivarli. alla domanda sul perché avesse deciso di prendere questa iniziativa non priva di rischi, che richiedeva tempo e energia, Miho risponde che era sempli-

questa varietà endemica permette questo abbinamento. L’imprenditrice si è poi lanciata alla ricerca di un gusto che potrebbe corrispondere ai piatti tipici della regione di akitsu, e ha concepito un sakè utilizzando del kôji bianco. in generale, durante la fermentazione, si utilizza il fungo kôji giallo, ma col bianco, l’acido citrico emerge maggiormente e si può così sposare a meraviglia con le ostriche, specialità di akitsu, o con gli altri frutti di mare offerti dal Mare interiore. Questa ricerca di varietà endemiche o di metodi di fabbricazione alternativi è una tendenza comune ai produttori appartenenti alle giovani generazioni: ricercano il senso del territorio, o un ritorno alle origini, e sono avidi di esperienze, per scoprire nuove opportunità per il mondo del sakè. i sakè di Miho sono il frutto del dolce paesaggio della regione, e sono oggi apprezzati non soltanto in Giappone, ma anche all’estero. Due cuvée hanno ottenuto per due anni di fila il premio “Kura Master”, una ricompensa creata dai sommelier francesi. oggi le donne non si accontentano più di un semplice ruolo di sostegno agli artigiani uomini, lavorano bensì al loro fianco sui luoghi della pre-

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parazione del sakè e alcune di loro diventano tôji, responsabili della produzione di sakè, grazie al fatto che il metodo di lavoro è cambiato. nell’epoca in cui gli artigiani lavoravano e vivevano insieme sul posto per mesi, era difficile per le donne far parte di questo mestiere. erano obbligati ad avere queste abitudini non solo perché venivano spesso da altre città, ma anche perché il lavoro cominciava molto presto la mattina ed era necessario sorvegliare giorno e notte l’evoluzione della preparazione del kôji, le spore di fungo indispensabili alla fermentazione. iMaDa Miho afferma che per la sua generazione, era necessario scegliere o il mestiere di tôji o una vita “da donna”: sposarsi e avere figli. oggi, grazie alle nuove tecnologie, si può gestire la temperatura del kôji a distanza. altri controlli di igiene o di fermentazione sono diventati più facili da compiere per merito delle innovazioni tecniche ed è possibile così avviarsi in una carriera di tôji, occupandosi al contempo della propria vita privata. Grazie agli uomini tôji che avevano il senso della trasmissione del sapere, Miho ha potuto così formarsi ed è ottimista riguardo al futuro delle donne in questo mestiere. Per descrivere il gusto del sakè della regione, la nostra tôji utilizza una parola davvero interessante: ko-aji. Per lei questo termine che significa “gusto delicato”, rappresenta l’essenza stessa del gusto locale. È il contrario di ô-aji, che significa invece “gusto grezzo”. se ô-aji è una parola comune, ko-aji rimane un termine poco utilizzato, soprattutto perché oggi, ad essere maggiormente richiesto è un gusto semplice, che si possa riconoscere immediatamente. Tornando al “gusto locale”, i pesci che vengono pescati nel Mare interiore, quali i mezzobecco del Giappone, i branzini, i calamari o altri pesci di piccola taglia, non possiedono grasso come i tonni. non possiedono quindi un gusto riconoscibile all’istante per tutti, ma bensì un sapore sottile, delicato. “È un gusto che…mormora” spiega. Questo ko-aji, lo si deve imparare. Bisogna essere attenti all’evoluzione impercettibile di un prodotto nel corso delle stagioni. secondo lei, i gusti dei sakè della regione tentano di accompagnare questo “gusto che mormora”. i sakè prodotti da Miho corrispondono perfettamente all’universo del ko-aji. Gustando uno di questi sakè, si avverte una leggera acidità che ricorda lontanamente il profumo dei limoni che punteggiano la collina, là dove abbiamo insieme contemplato il mare e dove Miho ha affermato: “Da qui non si vede niente che non sia bello”. È vero che il paesaggio da queste parti è particolarmente armonioso. e tutti saranno d’accordo nel dire che Miho ha trovato il posto ideale per produrre “i suoi sakè”, la sua creazione che incarna perfettamente il paesaggio di akitsu. S. R.


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Bere è una vera arte

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DEGUSTAZIONE

A seconda del recipiente utilizzato, il sakè cambierà sapore.

Per poter gustare le varie sfumature del sakè, la scelta del recipiente è fondamentale. Ecco alcuni consigli.

C

hi ha già avuto l’occasione di viaggiare in Giappone ha potuto assistere qualche volta a una scena singolare nei ristoranti del genere izakaya (trattorie alla giapponese): il cliente viene invitato a scegliere una coppa per il sakè fra diverse coppe e bicchieri di svariate forme, materiali e grandezze. Questa divertente scelta può influenzare di molto il gusto del sakè. È una delle caratteristiche peculiari di questa bevanda: il sapore cambia a seconda del recipiente che viene impiegato. Tradizionalmente esistono mille forme e mille materiali per le coppe da sakè: ceramica, porcellana, lacca, legno, bambù, vetro, stagno… soltanto per quanto riguarda la ceramica, il sakè può assumere un gusto diverso a seconda della forma, della taglia e dello spessore della coppa.

MiyashiTa yûsuke, direttore del ristorante Fushikino nel quartiere di Kagurazaka, a Tôkyô, non si limita a proporre un abbinamento tra pietanze sakè: gli abbinamenti riguardano anche le coppe. ogni piatto è accompagnato da un sakè servito alla temperatura adeguata - talvolta diluito con un po’ d’acqua per modificare la consistenza - e presentato in un contenitore che valorizzi gli elementi gustativi e olfattivi che dovrebbero emergere da quel sakè. Ci sono dunque molte varianti e molti fattori da prendere in considerazione. Troppo complicato? “È complesso ma appassionante proprio per questo!” risponde il ristoratore. “Ciò che è interessante, è che una bottiglia può avere più volti. Siamo noi a dover estrarre le diverse

INFORMAZIONI PRATICHE Fushikino, 4-3-11 Kagurazaka, Kagurazaka Tunashô Terrasse 2F, Shinjuku-ku, Tokio 162-0825. Tel. 03-3269-4556 www.fushikino.com

potenzialità contenute in un solo sakè”, afferma. Ci tiene poi a spiegare che esiste una forma di vetro specifica per ogni tipo di vino, non è tuttavia un’abitudine quella di variare i bicchieri nel corso delle degustazioni a meno che non si sia professionisti specializzati in questo savoir faire. si ha tendenza a credere che una sola forma sia adattata a un certo vino. Per il sakè, sono possibili diverse forme. MiyashiTa propone di degustare la stessa cuvée in coppelle differenti per rendersi conto concretamente delle differenze. Questo non vuol dire che sia necessario essere esperti per poter apprezzare le diverse sfumature di gusto. Potete divertirvi a fare una prova con una bottiglia di sakè che avete in casa, e con i diversi bicchieri che possedete. secondo MiyashiTa è bene conoscere i punti seguenti: • i vini contengono da 4 a 5 volte più di acidità rispetto al sakè, ecco perché i bicchieri da vino hanno spesso una foggia che permette loro di at-

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tenuare l’acidità e far emergere più rotondità. se un sakè viene bevuto in un bicchiere da vino, può perdere la sua acidità e risultare più dolce. • se la coppa è aperta, l’acidità sarà più intensa, se la coppa è invece a forma di pera, sarà la dolcezza a emergere per prima. si può provare a bere il sakè in un bicchiere del tipo Martini. • i sakè di tipo nama possono resistere a questa tendenza naturale. • si può creare l’abbinamento pietanze-vino-sakè con bicchieri da vino. in questa situazione, la mancanza di acidità del sakè può essere gradevole per riposare le papille affaticate dall’acidità del vino. si può servire ad esempio un sakè dopo un bianco, prima di passare al rosso. • Per i vini, il naso è più importante mentre per il sakè, il fukumika (“profumo imprigionato nel palato”) una volta che il liquido ha toccato il palato o il kaerika (“profumo di ritorno”) ovvero la sensazione retro-olfattiva nel naso e nella bocca una volta bevuto, sono elementi da prendere in considerazione durante la degustazione. Una volta che avete avvertito la metamorfosi del sakè nei bicchieri che avete a casa, potete acquistare una coppa tradizionale giapponese e continuare l’avventura. in Giappone, potete comprarne nei negozi o nelle gallerie di utsuwa (stoviglie giapponesi), ma avrete anche la possibilità di trovarne nei mercatini delle pulci. Le regole che valgono per i bicchieri da vino si applicano anche qui: con una coppa aperta, sentirete maggiormente l’acidità del sakè mentre con una coppa più chiusa, verranno più apprezzati l'umami e la dolcezza. se cercate il buon equilibrio, scegliete una forma di coppa né troppo aperta, né troppo chiusa. avrete poi la scelta fra le ochoko (piccole coppe), o le guinomi (coppe grandi) o potrete persino utilizzare una sobachoko (coppa impiegata per contenere la salsa tsuyu per i soba). Visto poi che le coppelle sono più piccole rispetto ai bicchieri da vino, non si versa direttamente il sakè dalla bottiglia. esistono diversi strumenti per questo gesto, come il tokkuri, l’ ochôshi, o ancora il katakuchi (dotato di un beccuccio), che possono contenere 160-180 ml di liquido e nei quali si travasa il sakè prima di servirlo nelle coppe. i tokkuri e gli ochôshi sono utilizzati per riscaldare il sakè a bagnomaria. anche in questo caso, se il recipiente è in stagno o in alluminio, si può avvertire un’importante acidità, mentre se è in ceramica, il gusto diventa più dolce. La porcellana è un equilibrio fra i due. esistono poi dei servizi di ochoko e tokkuri con gli stessi motivi e composti dalle stesse materie. si può scegliere liberamente una coppa che ci piace e portarla con sé, quando si viaggia ad esempio, un’usanza chiamata “my ochoko”. Dei servizi di ochoko con le loro custodie sono disponibili per chi vuole avvicinarsi al mondo del sakè.

Laura Liverani per Zoom Giappone

ZOOM INCHIESTA

Ogni oggetto è un’opera d’arte.

È vero che le coppe cambiano il gusto, ma il piacere è anche e soprattutto estetico; il sakè di tipo nigori, un po’ torbido, sarà valorizzato in una coppa in lacca, il cui rosso caldo contrasterà con il candore del liquido. i sakè maturati jukusei koshu, lasciati fermentare diversi anni e caratterizzati da una tinta ambrata, possono essere serviti in bicchieri cesellati per apprezzare meglio la consistenza leggermente cremosa e il colore. allo stesso modo, si può scegliere una coppa in funzione della stagione: in primavera o in estate

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una coppa che regala freschezza, come i recipienti blu, o delle mini-coppe per bere rapidamente il sakè prima che si intiepidisca. in inverno può essere adatta una coppa che porti calore, con una ceramica spessa, dallo stile grezzo, color terra. Per le coppe o i tokkuri a motivi, si possono associare le piante o i fiori di stagione per essere in armonia con la natura! si può poi privilegiare la materia, in funzione della temperatura del sakè: le coppe di stagno conservano bene la freschezza mentre le coppe in


ceramica sono perfette con un sakè caldo. si può addirittura apprezzare un elemento che viene invece normalmente considerato come “perturbatore” per i bicchieri da vino: le coppe in legno di tuia portano un odore di fresco al sakè. Le differenze nei materiali procurano una sensazione particolare alle labbra e alle mani che stringono la coppa. si tratta dell’aspetto quasi sensuale dell’utsuwa giapponese, creato per essere tenuto a due mani. scegliere un utsuwa non è dunque soltanto una questione di estetica, è l’incontro a tutto tondo con un oggetto, con la materia che la compone e con le mani degli artigiani che l’hanno modellata, aiutandosi con l’acqua, con il fuoco, e con la resina, anima del legno… MiyashiTa yûsuke, maestro della cerimonia del té, fa notare che questa, ormai considerata come un’arte a 360°, sia diventata nel tempo sempre più sofisticata. all’origine di questi gesti, vi è l’idea di apprezzare tutti i tipi di té. Prima che la cerimonia prendesse la forma che conosciamo oggi, ci fu uno stadio in cui si facevano “competere” diversi tipi di té. se fossimo semplicemente rimasti a giudicare unicamente la qualità di uno rispetto a un altro, distinguendo semplicemente i buoni dai meno buoni, la cerimonia non avrebbe potuto includere la significativa parte dedicata all’estetica che abbiamo attualmente.

Laura Liverani per Zoom Giappone

ZOOM INCHIESTA

Non vi resta che servire la bevanda e degustarla.

Di conseguenza, perché l’atto di bere del sakè possa elevarsi al rango di arte, bisogna smettere di giudicare semplicemente il gusto del sakè. si dovrebbe partire dall’assunto che il sakè è una bevanda deliziosa e riflettere ai metodi per apprezzarla il più possibile, tenendo conto di tutti gli elementi che possiamo avere a disposizione (estetici, visivi, gustativi, olfattivi, culturali)

compresa addirittura la storia delle coppe, visto che possiamo bere il sakè in coppe antiche… solo così potremo apprezzare al massimo la bevanda che stiamo sorbendo, capace di valorizzare le pietanze e viceversa. Questa degustazione potrebbe così avvicinarsi sempre più a una forma d’arte. S. R.

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Cercando il perfetto connubio

Dopo i manga consacrati al vino, è tempo di scoprire quelli dedicati al sakè.

I

l successo mondiale di Kami no Shizuku, Drops of God, popolare manga (inedito in italia) che ha come tema centrale il vino, ha aperto la strada alla possibilità di usare i fumetti come veicolo di una rigorosa cultura enologica, avvicinando così anche un pubblico più giovane a questo affascinante mondo. L’entusiasmo dei giapponesi manifestato per l’originale opera di aGi Tadashi (nome collettivo scelto da KiBayashi shin e yuko, fratello e sorella uniti nell'ideazione e nel design di fumetti), pubblicata per la prima volta nel novembre 2014 nel Weekly Morning Magazine, ha spronato gli editori a proseguire nell’esplorazione di questo filone con il manga Sommelier di KaiTani shinobu, araKi Joh e hori Ken’ichi, che narra la storia di un giovane giapponese alla ossessiva ricerca del vino perfetto. Queste due fortunate serie hanno attirato un interesse forte verso la produzione vinicola, in particolare francese e italiana, permettendo anche di catturare un pubblico desideroso di imitare gli eroi dei manga, costruiti con uno stile simile a quello di un’inchiesta poliziesca. il vino però non è la sola bevanda ad interessare i mangaka, ultimamente infatti anche il sakè (nihonshu per i giapponesi) è diventato tema centrale di diverse serie di fumetti nipponici. Benché non abbiano tutti riscosso il medesimo successo di Drops of God o Sommelier, ne condividono la medesima ambizione: quella di dare ai lettori la voglia di partire alla scoperta di questa bevanda tradizionale ottenuta da riso fermentato. ogni storia narrata dai manga conquista un certo pubblico in quanto questo è un mercato molto settoriale e segmentato, ma è sempre comunque occasione per raccontare al mondo il gusto giapponese in ambito enogastronomico. Degli editori stranieri attenti potrebbero cogliere in questo un veicolo di comunicazione importante, anche in virtù del fatto che il nihonshu sarà protagonista a Japan expo, la grande fiera della cultura pop made in Japan che si volge ogni anno a Parigi (4-7 luglio www.japan-expo-paris.com) La prima edizione del salone del sakè (sakè Tasting) svoltasi nel giugno del 2013 a Parigi, ha mostrato l’entusiasmo che i francesi (e non solo!) hanno verso la produzione delle eccellenze nipponiche. ricordiamo a questo proposito l’idea che ha avuto nel 2015 Patrick Duval, grande promotore del gusto giapponese, di

Kami no Shizuku, Drops of God, popolare manga inedito in Italia.

Sommelier, di KAITANI Shinobu, ARAKI Joh e HORI Ken'ichi, è stato pubblicato dalla casa editrice Shûeisha.

diffondere un piccolo fascicolo in stile manga durante il salone del sakè; disegnato da yoshiKawa hugo e scritto da Patrick Duval stesso, Sakè Manga aveva l’obiettivo di rispondere alle molte curiosità dei visitatori sulla bevanda. ed ecco che ancora una volta il connubio sakè e manga si è dimostrato vincente! Un ot-

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timo mezzo, quello del fumetto, per veicolare contenuti e aneddoti in maniera leggera. anche in Giappone il connubio manga/sakè è stato importante per ridare valore a questa tradizionale bevanda che stava perdendo appeal; dal 1975 le vendite sono scese del 30% circa solo in Giappone, mentre il vino ha registrato una crescita annua del + 5%. oltre la metà dei giapponesi consuma vino almeno una volta alla settimana e circa il 7% quotidianamente. Dato interessante: sono le donne e i giovani adulti (25-44 anni) i più forti acquirenti e consumatori di vino. secondo un recente studio infatti le donne rappresentano il 55% degli enoestimatori totali . ora forse possiamo meglio capire perché i manga consacrati al sakè non riguardino solo il pubblico maschile! in questo scenario diviene quindi necessario pensare a delle storie che possano interessare anche le lettrici, come la serie di manga Somuriêru (Sommelière, ed. shûeisha, inedito in italiano) immaginata da araKi Joh e MaTsUi Katsunori, che ha infatti regalato un tocco di femminilità all’universo del vino, soddisfacendo l’esigente pubblico delle sue numerose e attente consumatrici. Per far rivivere il gusto del sakè, la maggioranza dei manga ad esso dedicato mette l’accento sull’associazione gourmet con la cucina giapponese, washoku, parola giapponese che indica e racchiude l’armonia del cibo. Dichiarato patrimonio immateriale dell’umanità dall’Unesco nel 2013, washoku rappresenta la spiritualità, l’equilibrio nutrizionale e salutare, la socialità, l’estetica e l’attenzione alla territorialità e alla stagionalità, e si fonda su conoscenze, competenze e pratiche tradizionali di scelta, lavorazione, e consumo del cibo, in correlazione costante con l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali. il manga Wakako zake, firmato da shinKyû Chie (inedito nel nostro Paese), racconta in episodi molto brevi come una giovane impiegata dell’ufficio MUrasaKi wakako inizi ad interessarsi alle bevande alcoliche in associazione alle sue scoperte culinarie. Durante tutto il primo episodio, apparso nel 2011, facciamo la conoscenza di wakako mentre è al bancone di un piccolo ristorante, intenta a consultare la carta dei jizake, ovvero i sakè del territorio, per scegliere quello che meglio si accompagna al salmone grigliato (shake no shioyaki). sola al bancone, la sua presenza incuriosisce in un luogo frequentato in prevalenza da uomini, e l’emozione che lei manifesta degustando il suo piatto e il suo sakè suscitano ancor più l’interesse dei vicini. L’intento, ovvio, non è quello di trasformare il lettore in uno


LA 47 47A 7A A EDIZIONE DE DELL FESTIVA FESTIVALL SI SVO LGERÀ DA SVOLGERÀ DALL 21 GENNAIO AL 2 FFEBBRAIO. EBBRAIO. TROV A MAGGIORI TROVA INFORMAZIONI IN FORMAZIONI BDANGOULEME.COM SU BDANGOU LEME.COM

FESTIVAL INTERNA NTERNA ATIONAL TIONAL DE LA BANDE DESSINÉE ANGOULÊME PALMARES 2019

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©Le Fauve / Lewis Trondheim / 9eArt+

PRIX DU MEILLEUR ALBUM MOI, CE QUE J’AIME, C’EST LES MONSTRES EMIL FERRIS MONSIEUR TOUSSAINT LOUVERTURE t F FAUVE AUVE D’A NGOULÊME D’ANGOULÊME PRIX SPÉCIAL SPÉCIAL DU JURY JURY LES RIGOLES BRECHT EVENS ACTES SUD BD t F FAUVE AUVE D’ANGOULÊME D’ANGOULÊME PRIX DE LA SÉRIE SÉRIE DANSKER HALFDAN PISKET PRESQUE LUNE t F FAUVE AUVE D’ANGOULÊME D’ANGOULÊME PRIX RÉVÉLA RÉVÉLATION TION TED DRÔLE DE COCO ÉMILIE GLEASON ATRABILE t F FAUVE AUVE D’ANGOULÊME D’ANGOULÊME PRIX DU PA PATRIMOINE TRIMOINE LES TRAVAUX D’HERCULE D’HERCUL GUSTAVE DORÉ 2024 t F FAUVE AUVE POLAR SNCF SNCF VILLEVERMINE – TOME 1 L’HOMME AUX BABIOLES JULIEN LAMBERT SARBACANE t F FAUVE AUVE D’ANGOULÊME D’ANGOULÊME PRIX JEU JEUNESSE NESSE LE PRINCE ET LA COUTURIÈRE JEN W WAN ANG AKILEOS t F FAUVE AUVE D’ANGOULÊME D’ANGOULÊME PRIX DE LA BA BANDE NDE DESSINÉE DESSINÉE ALTERNATIVE AL TERNATIVE EXPÉRI X IMEENTTATION SAMANDAL

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© Masuda Masafumi - Matsumoto Kyûjo / Shûeisha 2016

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© Masuda Masafumi - Matsumoto Kyûjo / Shûeisha 2016

Di ritorno dalla prefettura di Akita con il prezioso e raro Umakaramansaku, SASA Takehisa protegge la sua bottiglia di sakè come se fosse il suo bambino! Il manga è pensato appositamente per un pubblico femminile.

Ippon!! Shiawase no nihonshu, creato da MASUDA Masafumi e MATSUMOTO Kyûjo, ha per ambizione di interessare anche il pubblico femminile al sakè, guidandolo in un viaggio di scoperta.

specialista di sakè, capace di spiegare la differenza tra un junmai e un ginjô, ma è quello di evidenziare ciò che il personaggio sente mentre abbina cibo e bevande. La presenza di numerose onomatopee e la scelta del mangaka di descrivere in dettaglio le successive fasi della degustazione, concentrandosi sulle reazioni di wakako, permette di dare forza a un racconto il cui tema ripetitivo potrebbe altrimenti annoiare. ritroviamo facilmente negli atteggiamenti di questa giovane donna quella del Gourmet solitario (Kodoku no gurume, inedito in italia) in cui il racconto era scandito sempre dal tema cibo e bevande. Wakako zake ha riscosso un grande successo nell’arcipelago, dove sono già

stati editati undici racconti e realizzato anche un adattamento televisivo sia in versione fiction (tre stagioni, 2015-2017) che animazione (2015). il pubblico femminile ha apprezzato in particolare la spontaneità del personaggio e la semplicità con la quale si interessa alla degustazione del sakè. wakako ben rappresenta e incarna il cambiamento sociale del Giappone, Paese in cui le donne, ancora fino al XiX secolo, bevevano il sakè solo il giorno del loro matrimonio. eppure, prima di aderire al modello occidentale per cui le “donne per bene non bevono alcool”, le giapponesi ne consumavano, come lo dimostra la famosa raccolta di poesie Man’yôshû, la più antica collezione di poesie

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di waka giunta fino a noi. risalente all’epoca heian (794-1185) raccoglie diversi poemi che fanno menzione delle preferenze femminili per questa bevanda. Persino il padre degli studi sul folclore giapponese, yanaGiTa Kunio, ci ricorda che sino al XV secolo, in tutte le fabbriche di sakè, erano le donne le responsabili della produzione e del servizio. non stupisce quindi che alcune donne (v. pagg. 8-10) stiano riavvicinandosi a questa antica tradizione divenendo tôji (mastro) e che appaiano sul mercato manga in cui le donne sono le vere esperte di questa bevanda divina. Ippon!! Shiawase no nihonshu (non edito in italiano) di MasUDa Masafumi e MaTsUMoTo Kyûjo, si differenzia da Wakako zake per la cura e l’attenzione che gli autori mettono alla messa in valore del sakè e al ruolo attribuito alla loro eroina, sasa Takeha, per riuscire in questa impresa. a soli 24 anni, questa semplice impiegata del grande magazzino Kuroki, vede il suo destino professionale totalmente stravolto il giorno in cui il suo capo le affida la missione di riunire i migliori nihonshu per il 50° anniversario dell’azienda. Dal 2015 le avventure di questa giovane donna appassionano le lettrici, affascinate dalla curiosità con la quale si addentra nel mondo del sakè, accompagnando il lettore in un viaggio attraverso tutto il Giappone e acquistando così una expertise unica che le consentirà di superare il responsabile (uomo) della sezione sakè della sua azienda! ecco così che comincia per lei una nuova vita, una cui tappa fondamentale sarà un viaggio nella prefettura di akita, dove incontrerà saTô Jôji, il gioviale responsabile di hinoMarU Jôzô, uno dei laboratori di sakè più emblematici del



© Razwell Hosoki / Nihon Bungei Sha 1996

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IWAMA Sôtatsu, poeta di haiku, è un uomo felice quando mangia e beve del buon sakè, approfittando del piacere del momento presente, in accordo e armonia con le stagioni e la natura.

Paese, che gli farà visitare e conoscere la sua meravigliosa fabbrica fondata nel 1689. Lì sasa vi degusterà il raro Umakaramansaku, uno speciale sakè con un tasso di purezza al 55%, che la incanterà. alla fine di ogni capitolo una scheda dettagliata sul sakè e i suoi produttori permette al lettore di approfondire la conoscenza dei prodotti menzionati. Gli autori del manga Horoyoi shubô hanno fatto qualcosa di simile, proponendo alla fine di ogni racconto una nota sulle bottiglie presentate accompagnate anche da un piatto regionale. noGaMi hironobu e naGao Tomohisa non puntano su un pub-

blico esclusivamente femminile benché i protagonisti siano un uomo e una donna, colleghi di lavoro. Ueno hiroki e la sua collega MUraTa Kyôko vanno insieme in diversi ristoranti alla scoperta dell’abbinamento perfetto tra piatto e bevanda. hiroki è l’archetipo dell’impiegato giapponese mentre Kyôko è più dinamica e intraprendente. L’idea del manga è quella di presentare e far conoscere prodotti alcolici rari, attraverso i quali si svelano alcuni lati del carattere dei personaggi, in un parallelismo inedito. Vengono descritti anche, oltre al sakè , diversi tipi di shôchû, alcool distillato molto

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apprezzato in Giappone. in tutto il primo episodio Kyôko accompagna il suo chef, Kuri, in un bar del quartiere shinbashi di Tokyo, specializzato nel nihonshu. “Ne ho letto in un libro e poiché vi erano menzionati dei sakè interessanti ho pensato di prenotare”, con questa battuta si apre il viaggio che condurrà i due compagni alla scoperta di due rari saké prodotti nella prefettura di Tottori: due daiginjô della birreria suwaizumi, la cui particolarità è utilizzare dei lieviti di fiori (hana kôbo) nel processo di fermentazione, conferendo un aroma e un profumo unici al prodotto. il manga diviene così strumento didattico in cui in ogni capitolo si trovano informazioni tecniche interessanti. il racconto stresso non ha un intreccio significativo al di là del desiderio di condividere esperienze gustative originali. il nihonshu è qui sempre accompagnato da piatti semplici che ne esaltano le note gustative e olfattive; il piacere è sempre presente e i personaggi lo esprimono perfettamente, anche attraverso le espressioni del volto. La nota particolare è che il fumetto è stato pubblicato nel magazine Manga Sunday, letto soprattutto da un pubblico di impiegati la cui vita professionale non è esattamente all’insegna del piacere! Purtroppo dopo la soppressione di Manga Sunday non è stato più pubblicato. nello stesso filone troviamo anche Sakè no hosomichi il cui titolo fa riferimento a Oku no hosomichi (Lo stretto sentiero verso il profondo Nord) importante opera di haibun del poeta giapponese MaTsUo Bashô, considerata uno dei maggiori testi della letteratura giapponese del periodo edo, è scritta sotto forma di un diario di viaggio in prosa e in versi. il manga scritto da razwell hosoki mette in scena un impiegato dell’ufficio iwaMa sôtatsu il cui principale piacere nella vita è il cibo, oltre alla scrittura di haiku. Le sue brevi avventure portano i lettori alla conquista degli istanti di piacere e felicità che lui descrive nei suoi brevi poemi. il nihonshu pur non essendo il protagonista di questo manga, è comunque centrale nei pensieri di questo impiegato ventinovenne, prototipo di una certa categoria di persone in Giappone; una routine professionale scandita da momenti di frustrazione e una vita privata caratterizzata da difficoltà relazionali con le donne, spingono iwaMa sôtatsu verso l’alcool per trovare momenti di soddisfazione e di scambio. La lettura di questo fumetto è interessante proprio per il suo sguardo sul cambiamento dei costumi nella società nipponica: se un tempo bere da solo al bancone un bicchiere di saké era quasi impensabile, essendo contrario allo spirito giapponese della convivialità e della condivisione, ora non è più così inusuale. i


© Oze Akira / Kôdansha 1988 © Nogami Hironobu - Nagao Tomohisa / Jitsugyô no Nihon Sha 2005

SAEKI Natsuko ha deciso di lasciare la sua carriera a Tokyo per lanciarsi nella produzione di sakè, molte prove l’attendono, come questo primo test alla cieca, necessario per essere presa sul serio in un mondo prettamente maschile.

Guidato dalla sua collega in un piccolo bar di Tokyo, Hiroki scopre dei sakè molto particolari il cui lievito (kôbo) è ottenuto da fiori (hana kôbo) come il tarassaco e il garofano. In tutto il Giappone solo una trentina di birrifici di sakè ricorrono a tali ingredienti.

protagonisti di questa serie lo fanno abitualmente anche se vorrebbero avere uno scambio relazionale con gli altri, ma non riescono. La scena in cui il protagonista decide di lasciare la città con le sue dosi di sakè da quattro soldi, acquistate ai distributori automatici di bevande, ben illustra la desolazione e la sconfitta umana. il suo comportamento infastidisce i vicini, fino a quando un uomo più anziano non comprende la sua solitudine e inizia a comunicare con lui. Con i suoi quarantatré volumi già pubblicati, le avventure di iwaMa sôtatsu hanno conquistato un vasto pubblico, soprattutto maschile, che ben si ritrova in questo personaggio, simbolo della disillusione del Giappone contemporaneo.

altri manga con protagonista il sakè prendono come punto di vista non quello dei consumatori ma quello dei produttori, il primo tra di essi è stato Natsuko no sakè, sempre purtroppo inedito in italia, di oze akira, pubblicato per la prima volta tra il 1988 e il 1991 nella nota rivista giapponese di manga Weekly Morning. La serie affronta le difficoltà incontrate dagli agricoltori e i produttori di nihonshu, portando l’attenzione sulle difficoltà di questo mondo attraverso le vicende di una donna che cerca di farsi strada in un ambiente prettamente maschile. La protagonista, saeKi natsuko, lascia il suo lavoro di pubblicitaria per rilevare la fabbrica di sakè di famiglia, in seguito alla malattia del fratello.

Questo aveva il sogno di realizzare il migliore sakè del Giappone grazie ad una varietà di riso speciale, il Tatsunokishi. Per riuscirci la giovane donna dovrà affrontare molte dure prove. La serie, che ha visto un fortunato adattamento televisivo, tratta inoltre il delicato tema della depressione delle campagne, caro a oze akira, che ne scriverà nuovamente anche nella serie Kurôdo (pubblicata in Giappone tra il 2006 e il 2009 in Big Comic original). La vicenda si svolge nella prefettura di shimane, una delle regioni più colpite dall’invecchiamento della popolazione e narra di come un americano con una discendenza giapponese, Claude Buttermaker, cerchi di dare nuova vita alla fabbrica dei suoi antenati. La barriera linguistica (Claude non parla giapponese e i suoi interlocutori masticano appena l’inglese) e le difficoltà amministrative non gli impediscono però di avanzare nei suoi ambiziosi progetti, anche grazie alla complicità di nuovi amici nipponici. Un aspetto interessante di questo manga è la meticolosa descrizione del lavoro del mastro produttore di sakè. oze akira guida il lettore con ammirazione in questi luoghi in cui si perpetuano riti e savoir faire antichi, grazie al lavoro di persone appassionate che da semplici ingredienti riescono a produrre una bevanda tanto sofisticata. La scelta della prefettura di shimane è legata anche al fatto che è lì che si trova izumo, uno dei bastioni della religione scintoista, per la quale il sakè è la bevanda sacra degli dei. ODAIRA NAMIHEI

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Esprimere il gusto dei sakè

Fra le sue numerose attività, KANKI Kanako si è data per missione quella di definire l’universo gustativo del nihonshu.

Laura Liverani per Zoom Giappone

O

ggi ci congratuliamo per il gran numero di sakè, nihonshu in giapponese, proposti dalla nuova generazione di produttori. Malgrado la diminuzione del numero di quest’ultimi e la stagnazione delle vendite, sembra proprio che non abbiamo mai conosciuto prima così tanti metodi e gusti differenti, senza parlare delle varietà di riso utilizzate e dei diversi stili di etichette. affinchè tutte queste ricchezze siano riconosciute, e per differenziare un saké da un altro, dobbiamo mettere in valore gli sforzi di coloro che sanno trasformare i sapori in parole, arte indispensabile alla percezione del gusto. KanKi Kanako è un’editrice free lance che si è occupata per un lungo periodo dei numeri “speciale sakè” della rivista culinaria Dancyu. Kanako ha dato un grande contributo a questa trasformazione in parole del gusto dei sakè. Quando si tenta di spiegare e di esprimere, di aprirsi ad altri mondi, le parole sono fondamentali. L’editrice ha realizzato questo lavoro prima di tutto perché l’universo del nihonshu fosse compreso dalle donne, e l’ha fatto pubblicando un libro, O-sake no jikan (il momento del sakè), edito una ventina di anni fa. ‘Sono cresciuta in un’epoca in cui le persone bevevano sempre lo stesso sakè, spesso quello della regione in cui vivevano. Quando non c’è bisogno di fare paragoni, non è necessario saper esprimere il gusto a parole. Da quando sono venuta a Tokyo per lavorare nell’editoria ho scoperto i sakè provenienti dalle altre regioni. Ho quindi proposto la redazione di questo libro, o-sake no jikan, affinché le donne potessero imparare ad apprezzare il sakè da sole. Nel corso della riunione di redazione, i redattori più anziani di me mi hanno detto esplicitamente: Che cosa contano di fare, bevendo il sakè? Non si capisce la ragione per cui le donne dovrebbero berne!” ricorda Kanako. in quell’epoca si beveva per liberarsi dallo stress procurato dal lavoro, un’attività dunque prettamente maschile. Bere del nihonshu non aveva nulla a che fare con l’idea di degustazione. si diceva anche che i veri amatori di sakè avrebbero dovuto berlo col sale come accompagnamento. nel libro O-sake no jikan, KanKi Kanako propone differenti abbinamenti tra pietanze e sakè, perché le donne possano trovare i nihonshu di loro gradimento, da degustare sapendo descrivere il gusto. Da una ventina d’anni ormai, Kanako continua a lavorare all’edizione di riviste e a scrivere articoli

L’editrice freelance ha lavorato soprattuto per la rivista Dancyu.

sul gusto, in particolare quello del sakè! L’editrice dichiara che questa presa di coscienza e questo desiderio di condurre il sakè all’ esterno dell’ambiente abituale, l’attenzione portata a quelli che non conoscono per forza questo mondo è flagrante presso i giovani produttori, come viene testimoniato dall’evoluzione delle etichette. Quest’ultime - alcune fanno pensare ai vini naturali - portano in sé un messaggio che contiene una filosofia comune, caratteristica di questa nuova

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generazione. L’editrice nota ugualmente che questi giovani produttori compiono notevoli sforzi perché la filosofia, i metodi e i differenti gusti siano espressi attraverso un’accurata scelta di parole. Fa notare poi che l’intenzione di trasmettere un messaggio è ben visibile, soprattutto presso i produttori che si lanciano in ricerche innovative, o nella produzione di sakè naturali. oltre a recare le informazioni obbligatorie, l’etichetta è diventata



un autentico terreno d’espressione. KanKi Kanako afferma che l’aroma apprezzato dai giovani amatori di sakè in questo momento ricorda il gusto dello yogurt o del vino rosso, del burro rancido, nel passato definito nell’ambiente del sakè come “l’odore di aria stantia “ o addirittura, “odore di vomito”. Kanako stessa ha vissuto l’esperienza di giungere ad amare tardi un aroma che per lungo tempo non aveva saputo definire con le parole. soltanto quando qualcuno le suggerì che profumava di noce, poté identificarlo e finalmente apprezzarlo. secondo lei, la parola aiuta non soltanto a differenziare un gusto dall’altro, ma anche a influenzare la nostra percezione del gusto stesso. nell’ultimo mook che ha editato, interamente consacrato al sakè, la sua intenzione meticolosa di cercare le parole adatte appare chiaramente. oltre agli articoli scritti da giornalisti specializzati, ritroviamo un’inchiesta che Kanako ha realizzato presso alcuni cavisti al fine di conoscere le annate ideali per accompagnare le pietanze a base di pesce e diverse interviste a cuochi che esprimono le loro preferenze sui sakè che potrebbero accompagnare certe ricette a base di carne. in un’altra rivista ha chiesto ai proprietari di un bistrot di descrivere un’annata di sakè aiutandosi

con delle metafore, comparando la bevanda a un uomo o a una donna, con tanto di aggettivi e espressioni più o meno fantasiose (“nobile e discreto, la gioventù dinamica, la ragazza che si può presentare a tutti, l’uomo il cui vecchio pullover lavorato a maglia attribuisce uno charme indiscutibile…“). L’editrice ha poi consacrato una lunga riflessione di sedici pagine sulla parola karakuchi (letteralmente: salato, piccante, ma usato anche come sinonimo di “secco“): significa dunque che il gusto è alcolizzato, poco zuccherato, leggero, metallico? al contempo accessibili al grande pubblico e piacevoli da leggere, le sue pubblicazioni possono venire considerate come autentici manuali di espressioni gustative.

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i lettori scoprono così la possibilità di esprimere lo stesso gusto in diversi modi, e gli “esperti”, gli chef e i cavisti intervistati, sono invitati a trovare le parole adatte per descrivere in maniera personale il sakè che stanno bevendo o che apprezzano particolarmente. Per Kanako, arricchire il mondo del sakè con le parole, è una vera e propria missione. il suo desiderio di trasmettere l’arte di esprimere il gusto non si limita al giapponese. in uno dei suoi mook, ha introdotto infatti delle espressioni in inglese su una decina di pagine, con alcune parole chiave come “vivido, grana fine, astringente, ampio respiro, chiaro, marshmallow, penetrante, dal profumo di legno, torbido”. L’editrice ammette che fino ad oggi il vocabolario del sakè si era appoggiato essenzialmente a quello del vino per rendere certi gusti comprensibili. Ma dal momento che attualmente sono gli stranieri ad interessarsi all’universo del sakè per conoscerlo più in profondità, è tempo di creare un lessico adeguato ed espressioni ad hoc per meglio apprezzare, riconoscere i gusti che non si sono apprezzati secondo il loro giusto valore e per infine poter descrivere un mondo con più precisione e sfumature. SEKIGUCHI RYÔKO

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nuova importante icona

Dopo i manga, gli anime e la cucina, il sakè si impone come un fondamentale elemento del soft power giapponese.

Odaira Namihei per Zoom Giappone

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alla fine della Guerra Fredda all’inizio degli anni novanta, il Giappone cerca di farsi un posto al sole nel mondo. Dopo aver vissuto nell’ombra degli stati Uniti che garantivano la sua sicurezza e permettevano lo sviluppo della sua economia, il Paese del sol Levante si è ritrovato nella necessità di assumere nuove responsabilità. il “nano politico”, come veniva spesso definito, doveva diventare capace di imporsi sulla scena internazionale. Ma per riuscirci, questo richiedeva sforzi, tempo e mezzi. in un contesto mondiale in piena evoluzione, con l’aumento dell’importanza della Cina sullo scacchiere geopolitico asiatico, il Giappone ha potuto beneficiare di situazioni e elementi favorevoli perché la sua immagine attraverso il mondo ne risultasse vincente. a differenza di altri Paesi che si sono appoggiati sulla loro potenza militare per imporsi, il cosiddetto hard power, la nazione nipponica ha saputo valorizzare soprattutto la propria cultura, il soft power, per migliorare la sua immagine all’estero. i manga e i film d’animazione sono diventati così gli ambasciatori della nazione, sebbene, almeno agli inizi, la diffusione della cultura popolare non facesse parte di una strategia governativa prestabilita. soltanto agli inizi degli anni 2000 le autorità giapponesi si sono rese conto dell’importanza di questa sfera culturale e inventato di conseguenza la strategia del Cool Japan. rapidamente, hanno cercato di ampliare il campo della cultura popolare. Dopo i manga e l’animazione, la cucina (washoku) sarebbe diventata il nuovo obiettivo dell’amministrazione nipponica. L’interesse mostrato dagli stranieri verso le specialità

Kamotsuru è una delle fabbriche più importanti della regione di Hiroshima. www.kamotsuru.jp

giapponesi è stata così l’occasione per mettere in valore la produzione agricola nazionale in un momento in cui quest’ultima soffriva di numerose difficoltà. D’altra parte, la necessità di distinguere chiaramente i “veri” ristoranti giapponesi dai “falsi” - e ce ne sono molti - ha condotto il governo a creare un label. Una maniera di appropriarsi di una tendenza che si era manifestata senza che le autorità ne fossero all’origine. La moda della cucina giapponese è, - ricordiamolo - giunta dall’america del nord con l’entusiasmo dei consumatori americani per il sushi, negli anni 1980-1990. Con l’ottenimento dell’iscrizione del washoku nella lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco nel 2013, le autorità giapponesi sono riuscite, in qualche sorta, a raggiungere l’obiettivo desiderato.

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ecco perché oggi si sono lanciate nella promozione del sakè nel mondo. non soltanto questo permette di trovare nuovi sbocchi commerciali a un prodotto in difficoltà nell’arcipelago da diversi decenni; la valorizzazione del sakè consente anche di creare una nuova “icona di influenza” non trascurabile. Dopo aver mancato il business del whisky, che non ha avuto bisogno di aiuti istituzionali per sedurre il mondo intero, era necessario riscattarsi con un altro prodotto. e non esisteva miglior candidato del nihonshu, dal momento che il sakè rappresenta l’essenza della cultura ancestrale giapponese. Quando si sa a che punto il vino costituisca uno strumento di influenza per la Francia, si può capire perché il governo giapponese abbia fatto del sakè una delle sue priorità. Questa strategia


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La fabbrica Dojima si è stabilita vicino a Cambridge. https://dojimabrewery.com/

non si limita all’europa, ma punta a espandersi in tutto il mondo. a metà settembre scorso, l’ambasciata giapponese in india ha organizzato a nuova Delhi per il secondo anno consecutivo, una degustazione di nihonshu. Come spiega il giornalista del Times of india presente all’evento, l’edizione di quest’anno è stata più importante di quella tenutasi nel 2017. “La promozione in India è conforme agli sforzi che puntano a rafforzare la presenza del Giappone nelle abitudini degli indiani”, aggiunge. oggi, l’india è in asia uno degli alleati più importanti del Giappone di fronte alle ambizioni del mercato cinese. Diventa quindi essenziale valorizzare l’immagine del Paese. Per questo obiettivo il sakè è un elemento molto utile, essendo “un punto d’ingresso per la comprensione della cultura giapponese”, come conferma il giornalista indiano.

Da singapore a Melbourne, in australia, nel mese di giugno e a san Francisco in settembre, il mondo vive ormai al ritmo dei saloni dedicati al sakè, dove i produttori nipponici vengono a presentare le loro produzioni e a contribuire di conseguenza al prestigio e all’immagine del loro Paese. Così come il manga, che ha visto l'interesse di generazioni di autori stranieri ispirarsi a quest'arte pop tipicamente nipponica, (tra cui il francese Tony Valente), così il sakè suscita ora il medesimo entusiasmo, dimostrando quanto la cultura giapponese si sia imposta al di fuori delle frontiere dell'arcipelago. Questo desiderio di imitazione traduce a qual punto la cultura giapponese si è imposta nel nostro quotidiano. se l’india non si è ancora lanciata nella produzione di sakè, l’europa ha già al suo attivo diversi esempi. si può citare la

norvegia, dove il produttore di birra nogne o si è lanciato nel sakè nel 2010; o la spagna dove la Kensho Sakè esiste dal 2015. il numero di iniziative in questo settore cresce in tutta europa. in Francia, hervé Durand ha creato, nel 2016, Kura de Bourgogne a Vendenesse-lès-Charolles, in saône-et-Loire. si tratta di bevande e condimenti giapponesi “secondo la tradizione della Borgogna”, come suggerisce la descrizione del loro sito internet. si può citare inoltre l’esempio dell’inghilterra con la fabbrica Dojima, ospitata in un castello del XViii secolo, nelle vicinanze di Cambridge, o ancora la ditta Kanpai, a Londra, la cui parola d’ordine è: “Japanese traditions, London style”. non c’è alcun dubbio: il sakè costituisce davvero uno strumento d’influenza non trascurabile per il Giappone. ODAIRA NAMIHEI

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Consumare il sakè fino alla feccia

Il sakekasu, residuo compatto ottenuto dalla pressatura del sakè, è un prodotto di scarto molto in voga nell’arcipelago.

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in numerose regioni del Giappone si consumano verdure in salamoia (tsukemono), caratteristico accompagnamento per riso e tè, per il quale il sakekasu viene utilizzato come ingrediente base per la fermentazione. in particolare a narazuke, nella regione di nara, viene consumato associato a carne di pesce marinata, chiamata kasuzuke, considerata un piatto molto raffinato. il sakekasu è utilizzato da sempre. Già nella più antica raccolta di poesie giunta a noi, il Man’yôshu (Vii-Viii secolo), si fa menzione di una bevanda popolare a base di questo prodotto diluito in acqua calda. Durante l’era edo i giapponesi già ne conoscevano i benefici, e lo chia-

Pacchetto di sakekasu.

Il sakekasu appare in numerose ricette per addolcitore e dare un retrogusto di sakè ai piatti

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ella lavorazione del sakè non si getta via nulla; ad esempio la polvere di riso ottenuta dalla raffinatura del chicco viene utilizzata nella produzione delle gallette di riso, mentre il residuo di sakè, (sakekasu) viene commercializzata come condimento per zuppe e minestre. Questa compatta pasta beige e profumata è infatti ricchissima di proteine, vitamine (B1, B2, B6), fibre vegetali, minerali e aminoacidi, ed è quindi l’ingrediente perfetto per una colazione completa e nutriente. si può anche consumare da sola, dopo averla grigliata e cosparsa di zucchero. Tradizionalmente veniva utilizzata per marinare le verdure e permetterne così la conservazione, grazie all’alcool in essa contenuta, e l’aggiunta di preziosi elementi nutritivi che forniva.

mavano anche tenigiri sake o “sakè che si può prendere in mano” o anche sakebone, ovvero “resti del sakè”. L’amazake invece, un saké zuccherato a base del sedimento, era allora una bevanda estremamente popolare. rispetto ad oggi, in cui il sakè è consumato principalmente in inverno, all’epoca invece i mercanti di amazake si avventuravano per le strade soprattutto in estate per portare questa bevanda energetica nei vari paesini, sfidando il caldo torrido. Da allora la parola amazake è classificata come nome dell’estate per gli autori di haïku. Persino lo shôgun, consapevole dei benefici

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la freschezza a portata di mano

Come riposta all’entusiasmo suscitato dall’amazake, Morinaga ne propone una variante frizzante.

effetti dell’amazake, ne calmeriava i prezzi. L’aceto di riso è rimasto prezioso per lunghi periodi, a causa della rarità del riso stesso, fino all’inizio del XiX secolo, quando si è sviluppato un aceto a base di sakekasu, molto più economico, e attualmente utilizzato per il condimento del riso da sushi. Benché il sakekasu sia facilmente reperibile in qualsiasi supermercato, il suo consumo è diminuito dagli anni settanta in seguito ai cambiamenti nelle abitudini alimentari, per cui i grandi produttori di sakè hanno cominciato a venderlo anche come prodotto ad uso agrario. Ultimamente stiamo però assistendo ad una inversione nelle abitudini dei consumatori, grazie al ritorno in auge degli alimenti fermentati. La pubblicità esalta i benefici effetti antiossidanti sulla pelle e la salute, e su internet si possono trovare diverse varietà di sakekasu, ogni produttore ne promuove il suo tipo, corrispondente alla cuvée, e il cui gusto e aroma differisce in base alla lavorazione del sakè. L’amazake è commercializzato da differenti marche, in ver-

sione sia calda che fredda, aromatizzato al limone o allo zenzero, ed è venduto anche nei tanto diffusi distributori di bevande. L’akazu, aceto di sakekasu, quasi pressoché scomparso durante la seconda metà del XX secolo, ha fatto la sua ricomparsa in alcuni ristoranti di sushi, insieme ai suoi prodotti derivati, anche piuttosto inusuali, quali caramelle, gelati e dolcetti vari, fino ai prodotti di bellezza. Diversi libri di ricette propongono l’uso del sakekasu in vari piatti come nella preparazione del manjû (tipico dolce giapponese) o dell’anpan, panino ripieno di marmellata di fagioli rossi, tradizionalmente preparato con sakadane, lievito ottenuto da riso e da kôji, il malto, come per la preparazione del sakè. il sakekasu cotto diffonde un aroma simile al formaggio e può essere così aggiunto a impasti salati. Prendete una ciotola di riso accompagnata da verdure e pesce narazuke e accompagnate il tutto con un bel bicchiere di sakè e vedrete come sarete soddisfatti! SEKIGUCHI RYÔKO

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Il riso prodotto a Niigata è considerato il migliore del Paese.

IN VIAGGIO Niigata, La prefettura di Niigata ospita il più grande numero di distillerie, con 90 stabilimenti.

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ono le 9:40 di sabato nella città portuale di niigata, bagnata dal mar del Giappone. Davanti al centro congressi di Toki Messe, delle lunghe code attendono con frenesia l’apertura del Sakè no jin, il più grande salone dedicato al sakè del Giappone. organizzato da quindici anni, il festival permette di scoprire ed assaggiare le bevande prodotte dalle 85 aziende sulle 90 presenti nella prefettura di niigata. appena le porte d’ingresso del Toki Messe si aprono, i primi visitatori, dopo aver atteso anche varie ore, si gettano letteralmente sugli stand dei produttori che in due giorni vedranno passare 130.000 persone in un’atmosfera da festa tutt’altro che sobria in cui il sakè scorre a fiumi. a niigata, dove un inverno rigido e innevato la fa da padrone per sei mesi, si dice che con un tale clima ci si merita un buon sakè. L’emblematica bevanda giapponese è “l’armonia perfetta tra riso e acqua”, ci ricorda KiTazawa akiko, rappresentate della storica imayo Tsukasa. “La vera arte risiede nella scelta del riso, nel suo grado di raffinazione, nella qualità dell’acqua usata e nel controllo della fermentazione”, la chiave della

la terra promessa

purezza della bevanda è proprio la raffinazione: più il riso è raffinato più il sakè diventa prezioso e delicato. niigata ha da tempo scommesso tutto su questo. La prefettura vanta un record di consumo (12,4 litri per abitante): il sakè è un vero tesoro. Lo si cura e si è orgogliosi di avergli dato la nobiltà che gli consente di recuperare oggi la sua popolarità. “A inizio anni ’70, eravamo davvero nel momento di picco del mercato del sakè in tutto il Giappone”, racconta oDaira shunji, presidente delle distillerie di sakè di niigata; “subito dopo la guerra la produzione si era completamente fermata, a causa della carestia bisognava risparmiare ogni chicco di riso per nutrirsi. Quando si poté poi tornare a distillare il sakè, fu davvero una festa!”. Progressivamente però, di fronte alla concorrenza del vino, della birra e anche del shôchû (alcool distillato a partire da patate dolci), i giapponesi incominciano a sdegnare il sakè, visto come desueto. a niigata il consumo è sempre stato alto, il picco è arrivato più tardi e ha persino toccato il punto più alto nel 1998, spiega oDaira shunji. La prefettura contribuisce ad innovare il processo con dei metodi produttivi unici e emerge tra le migliori regioni produttrici, insieme al Kansai (la regione di osaka e di Kyôto), altra eccellenza del sakè. ancora secondo oDaira shunji, la ragione del

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successo si trova prima di tutto nella qualità del riso utilizzato, un prodotto locale e ritenuto tra i migliori del Paese. anche la scelta di una raffinazione più profonda va in questa direzione e garantisce un gusto più nobile e secco. Quello che è stato nominato dagli abitanti Niigata Tanrei. “Da una trentina di anni, abbiamo deciso di puntare su una varietà di pratiche che favoriscano la produzione di sakè di alta qualità e oggi sono questi prodotti a vendere di più. I giapponesi consumeranno meno sakè in quantità, ma sono pronti a spendere per delle qualità migliori.” La classificazione delle categorie del sakè si basa sulla raffinazione del chicco di riso, visto che il cuore è la parte più ricca in amido. il riso base, il junmai shu, è raffinato al 70% o oltre; per il sakè tokubetsu-junmai-shu, si usa invece un riso raffinato al 60% o oltre; per il junmai ginjô-shu, meno del 60 %. infine per il migliore, il junmai dai-ginjô, si tratta di riso raffinato al 50% o meno. “Per alcuni dei nostri sakè, siamo scesi fino a una raffinazione dei chicchi del 35%”, precisa KiTazawa akiko, mentre entra nelle sale della distilleria in cui lavora, la ditta iMayo Tsukasa, che sorge nel pieno centro di niigata dal 1767, una istituzione in tutto l’arcipelago. non è passato molto che già l’odore del riso e il profumo del


legno, unico materiale dell’edificio, stuzzichino le narici. “Secondo una leggenda la distilleria IMAYO Tsukasa si trovava una volta nel cuore di una montagna qui vicino, ma nessuno sapeva esattamente dove”, prosegue la rappresentate della ditta. ”Si è spostata qui durante l’era Edo e si è ingrandita attorno a questa struttura in legno.” nel fondo della sala, un piccolo altare emerge da un soppalco raggiungibile con una ripida scala. “Qui veniamo a pregare il dio del sakè, che ha il suo tempio a Nara”, ci spiega. Una leggera variazione nella temperatura può compromettere l’intero processo di fermentazione e quindi la produzione dell’alcol. ecco perché si prega che tutto vada per il meglio e che il gusto sia perfetto al momento di imbottigliare. a niigata, più ancora che una tecnica ancestrale, il sakè è una religione. sicuramente non sarà oBaTa rumiko a dirci il contrario: l’erede della distilleria obata shuzô, che produce il famoso sakè Manotsuru, è la sola donna a capo di un tale stabilimento nella prefettura. al Sakè no jin si presenta con un grande sorriso, si trova al festival per far degustare il cru della famiglia ai visitatori. il suo sguardo benevolo tradisce comunque la fierezza di rappresentare l’isola di sado, da cui proviene, e un carattere ben affermato. all’inizio non si sentiva destinata in alcun modo a seguire questa difficile strada “ho fatto degli studi di comunicazione e di cinema, che è la mia passione e ho fatto carriera a Tôkyô, fino ai miei 28 anni, quando però mio padre si è brutalmente ammalato. Ho avuto molta paura e mi sono resa per la prima volta conto che la sua vita non era eterna.” in quel momento è allora tornata a sado, per riprendere le redini della distilleria di famiglia fondata nel 1892. oggi il padre è più sano che mai e lei non rimpiange nemmeno un attimo la sua scelta. “Abbiamo recuperato un’antica tecnica che si basa sui gusci delle ostriche che utilizziamo per il trasporto dell’acqua. Noi ci prendiamo grande cura dell’ambiente e delle materie prime: così e solo così può nascere il vero sakè”, ci spiega sorridendo. al largo di niigata si profilano le montagne di sado: sui suoi campi e sulle sue risaie possiamo vedere il volo del toki, l’ibis del Giappone, celebre emblema della prefettura ed animale in via di estinzione. Questo piccolo paradiso si sta però spopolando e conta ora solo cinque distillerie sulle più di cento di una volta. “Da qualche anno hanno chiuso la scuola elementare. Questo è un luogo magico, possiamo osservare il più bel tramonto di tutto il Giappone” oBaTa rumiko è tornata ad investire qui e nel 2010 vi ha aperto un secondo stabilimento fondando poi nel 2014 una scuola dove si organizzano dei seminari di formazione. Produrre sakè è “come occuparsi di un bebè, bisogna trasmettere il savoirfaire.” ancor più vero dal momento in cui

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Le risaie occupano gran parte del paesaggio.

oBaTa shuzô usa delle tecniche tradizionali dove il riso è fermentato a mano e all’antica “in sacchi che pendono dal soffitto”. anche lei raffina il riso al 35%. “Si tratta di un sakè con una personalità fuori dal comune, berlo è come incontrare una donna che vorremo vedere e rivedere ancora”. oBaTa rumiko si è aperta al mondo e al momento propone le sue bottiglie in 14 Paesi, tra cui stati Uniti, singapore e Corea. se in europa la popolazione confonde con troppa facilità lo sgradevole alcol di riso cinese servito in degli pseudo-ristoranti di sushi con il raffinato sakè giapponese, degli intenditori si adoperano per far scoprire la bevanda agli inesperti. Lo chef

stellato Guy Martin ad esempio propone dalla primavera i prodotti di sette distillerie di sakè di niigata nel menù del suo ristorante, due stelle Michelin. Lo chef del Grand Véfour, che “ha viaggiato in Giappone 100 volte” si dice sedotto da questo “Paese che colpisce nel profondo”. si è infatti convertito al sakè, quello di niigata in particolare, e ha selezionato di persona i sette della sua carta. secondo la consistenza, più secca o più dolce, Guy Martin li abbina volentieri al foie gras, al carpaccio de saint-Jacques, alle ostriche o ancora a dei dessert a base di cioccolato, di mele o agrumi ou agrumi. “Sono convinto che ben presto si parlerà

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La distilleria Imayo Tsukasa, nel cuore della città di Niigata, è stata fondata nel 1767.

dei grands crus di sakè con la stessa considerazione di quelli di vino, e questo accadrà in tutto il mondo”, afferma deciso. oDaira shunji non può che essere d’accordo, per lui il futuro del sakè è nella ricerca di una sempre maggiore qualità. Per questa ragione sta istituendo un partenariato con l’università di Bordeaux e l’università di niigata propone dalla primavera un indirizzo sakè nelle sue formazioni. “Vogliamo creare un’enologia del sakè come in Francia esiste quella del vino, la specializzazione

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permetterà di continuare su questa strada eccezionale”, ci spiega, aggiungendo che per il momento non c’è motivo di spingere le vendite troppo oltre. “Niigata ha numerose distillerie, ma si tratta di piccoli stabilimenti a gestione familiare che non producono grandi quantità. Si tratta più che altro di conservare l’eccellenza nel trasmettere queste complesse tecniche, che permettono un gusto che si avvicina sempre di più alla perfezione: leggero, dolce ma anche ricco.” L’unione perfetta di riso e acqua. JOHANN FLEURI

PER ARRIVARCI ALLA PARTENZA DA TOKYO, prendete il Jôetsu Shinkansen in partenza dalla stazione di Tôkyô o di Ueno. Contate tra i 90’ e i 120’, in base al treno. Ci sono varie partenze ogni giorno. LA DISTILLERIA IMAYO TSUKASA organizza quotidianamente tour guidati e gratuiti del suo stabilimento (ad ogni ora a partire dalle 9). Si trova a 15’ a piedi dalla stazione (uscita Bandai). 1-1 Kagamigaoka Chûô-ku Niigata 950-0074 http://imayotsukasa.co.jp/en/

Zoom Giappone è pubblicato dalle Edizioni Ilyfunet 12 rue de Nancy 75010 Paris - Francia Tel: +33 (0)1 4700 1133 / Fax: +33 (0) 4700 4428 www.zoomgiappone.info info@zoomgiappone.info Deposito legale: a pubblicazione ISSN: 2492-7414 - Stampato in Francia Responsabile della pubblicazione: Dan Béraud Hanno partecipato a questo numero: Odaira Namihei, Gabriel Bernard, SEKIGUCHI Ryôko, Silvia Madron, Gianni Simone, Mario Battaglia, Sara Sesia, Eva Morletto, KOGA Ritsuko, Eric Rechsteiner, Johann Fleuri, Laura Liverani, KANEKO Kazumi TAKACHI Yoshiyuki, KASHIO Gaku, TANIGUCHI Takako , ICHIKAWA Chiho, MASUKO Miho , ETORI Shok, NANKE Kaise , Marie Varéon (conception graphique) Pubblicità: info@zoomgiappone.info

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