Rivista
gratuito - numero 16 dicembre 2019 - marzo 2020
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Speciale
vino Eric Rechsteiner per Zoom Giappone
zoom edItorIaLe L O SGUARDO DI ERIC RECHSTEINER
Dopo il nostro numero consacrato l’anno scorso al saké, vi proponiamo quest’anno di scoprire il vino prodotto in Giappone. Una storia cominciata a metà del XIX secolo, che ha impiegato molto tempo prima di conoscere il successo, a causa della mancanza di un pubblico attento. Da una trentina d’anni a questa parte, i giapponesi hanno imparato ad apprezzare il vino e le sue sfumature. Una vera opportunità per i produttori nipponici che hanno cominciato a presentare sul mercato prodotti sempre più raffinati ed elaborati. Risultato: guadagnano in notorietà e i loro vini cominciano ad ottenere premi internazionali che permettono loro di conquistare a poco a poco il cuore degli appassionati. Buona lettura!
LA REDAZIONE info@zoomgiappone.info
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miliardi di dollari. Si tratta del montante delle importazioni di vino in Giappone nel 2018. In valori, la Francia è il primo esportatore verso l’arcipelago nipponico (925 milioni di dollari) davanti al Cile e all’Italia, mentre per quanto riguarda i volumi è il Cile -con 77,9 milioni di litriche occupa il primo posto. La posizione dei vini francesi sul mercato giapponese si è rafforzata nel corso degli ultimi anni, mentre quella dei concorrenti è rimasta pressoché invariata.
Jiyugaoka, quartiere di meguro, tôkyô
© Eric Rechsteiner
Kampai
Fra le numerose attività che le giovani giapponesi apprezzano di più in questi ultimi anni figurano le degustazioni di cibo e bevande, a cui si sono recentemente aggiunte quelle dei vini, molto apprezzate per la loro qualità. Come succede spesso, si impegnano molto per conoscere al meglio ciò che le appassiona.
ECONOMIA L’export in
TURISMO attirare più
primis
stranieri
Kirin Holdings, fra i cui marchi spicca Château Mercian, una delle principali tenute vinicole giapponesi, desidera estendere il dominio dell’export verso l’estero. L’impresa ha fissato l’obiettivo di 67.000 casse esportate da qui al 2027. nel 2018 la cifra di riferimento è 44.000. La strategia dovrà naturalmente includere un aumento della capacità di produzione di uve senza la quale sarebbe impossibile rispondere positivamente a questa politica di export.
Il turismo legato al vino attira ogni anno fra i 20.000 e i 30.000 visitatori stranieri nei vigneti giapponesi. Una cifra ancora modesta, ma che le autorità vorrebbero veder aumentare. per riuscire nell’intento, le organizzazioni incaricate della promozione turistica in Giappone pubblicheranno delle brochure in inglese, per incitare i turisti a rendersi nelle regioni vinicole.
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We Are Japan. ana.co.jp/en/it
Milano M IL
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Bottiglie di vino prodotte da Misawa Winery, prefettura di Yamanashi.
C’era una volta il wain… Da qualche anno, i giapponesi manifestano un vero interesse per questa bevanda dalla storia movimentata.
p
er la maggior parte degli europei che non hanno mai gustato né sentito parlare del nihon wain (dall’inglese “wine” per “vino del Giappone”), sapere che attualmente sono in gran voga i vini locali giapponesi può sorprendere, come se si trattasse di una tendenza venuta da chissà dove. La storia del vino nell’arcipelago è assai recente. La sua produzione è cominciata nell’epoca Meiji, alla fine del XIX secolo. La preziosa bevanda, infatti, non è stata da subito apprezzata: il colore rosso, l'acidità ed il sapore, rispetto al saké, hanno
inizialmente disorientato i palati nipponici... Per abituare i giapponesi, nei primi tempi i produttori hanno aggiunto al vino degli aromi e dello zucchero, o mescolato del succo d’uva, dell’alcool e ancora dello zucchero. L’Akadama port wine è il più rappresentativo fra questi prodotti. È d’altra parte ancora disponibile in commercio sotto il nome di Akadama sweet wine. È soltanto negli anni Settanta che i giapponesi hanno timidamente cominciato ad avvicinarsi all’universo enologico. L’occidentalizzazione della loro alimentazione ha giocato un ruolo determinante in questo nuovo interesse. Sempre in quest’epoca la consumazione di vini “normali” ha superato quella dei vini zuccherati.
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Ma i prodotti dell’epoca erano lontani dall’essere vino di qualità. Si raccoglievano le uve schiacciate o rovinate, quelle destinate alla consumazione da tavola e non le varietà da vino, e se ne facevano vini acquosi. I giapponesi non erano consapevoli della necessità di piantare viti da vino. Senza contare che le imprese nipponiche importavano dei vini stranieri a buon mercato e li mescolavano, o compravano sempre all’estero del succo d’uva concentrato a cui venivano aggiunti acqua e zucchero per farlo fermentare. A tal punto che per lungo tempo la regione che produceva più vino era la prefettura di Kanagawa, vicino al grande porto industriale di Yokohama. Le fabbriche di vino erano costruite vicino al mare per non dover trasportare la materia prima. Una bevanda
zoom InCHIeSta che secondo le norme e i criteri europei non dovrebbe chiamarsi “vino”, aveva un gran successo commerciale. Molti giapponesi si ricordano di questi vini di qualità mediocre prodotti nell’arcipelago e possono testimoniare delle loro cattive esperienze. Sebbene il succo fosse importato, si poteva qualificare la bevanda come kokusan wain, “vino di produzione nazionale”, visto che una parte della produzione veniva realizzata all’interno del Paese. Per questo motivo gli autentici vignaioli giapponesi si sono battuti a lungo perché la denominazione di nihon wain fosse applicata soltanto ai vini prodotti interamente in Giappone, con uve raccolte localmente (denominazione in vigore dal 2015) per fare finalmente la differenza coi kokusan wain, esistenti ancora oggi. tAMAMURA toyoo, uno dei precursori in questo settore, proprietario del vigneto Villa d’Est, ma anche celebre autore di numerose opere dedicate alla gastronomia e ai vini francesi, conosce la storia del vino in Giappone a memoria. Si ricorda d’altra parte molto bene degli anni Settanta, quando i giapponesi non avevano ancora familiarità col vino: lui era appena tornato da un soggiorno di studi in Francia. In quell’epoca, in Giappone, i vini in commercio erano o costosissimi, o vini californiani popolari. Quando a volte la bottiglia sapeva di tappo, i commercianti non volevano sentirne parlare e dicevano: “E’ proprio quest’acidità a conferire carattere al vino…” Il pregiudizio secondo il quale il clima nipponico non era propizio alla coltura delle vigne si è rivelato duro a morire, persino fra i giapponesi stessi. È vero che piove in maniera abbondante e che l’umidità provoca delle malattie e la proliferazione di insetti nocivi. La prefettura di Nagano, considerata oggi come una delle regioni più rappresentative per la produzione di vino giapponese, era stata sconsigliata a tAMAMURA quando si è trasferito qui negli anni Novanta. Gli dicevano che faceva troppo freddo, che c’era troppa umidità per piantare delle vigne: “Se ho potuto lanciarmi nella produzione di vino malgrado le opinioni sfavorevoli, è senza dubbio perché ho cominciato tutto come un hobby, e non per farne il mio principale mestiere. Ho piantato cinque viti trent’anni fa e poco a poco, ho ampliato la superficie dei terreni. Oggi possediamo otto ettari di vigna” racconta con un sorriso. Il Giappone, grazie alle sue condizioni geografiche specifiche, possiede una grande varietà climatica e ai vignaioli si offrono più soluzioni. oggi, i vini sono prodotti in regioni molto diverse fra loro. Più della metà della produzione si concentra sempre attorno alle prefetture di Yamanashi e di Nagano, regioni in cui si coltiva tradizionalmente l’uva. tuttavia, secondo KAKIMoto Reiko, giornalista e specialista in vini giapponesi, la prefettura di Yamagata, col riscaldamento globale si rivelerebbe
come una regione promettente, e le regioni del nord come Hokkaidô, dove il numero di produttori aumenta, hanno come vantaggio quello di possedere terreni molto vasti. I produttori si trasferiscono anche ad ovest dell’arcipelago, per esempio a okayama, e sull’isola di Kyûshû, a sud. “Osservate gli Stati Uniti: il vino non è più prodotto soltanto in California. I vini sono realizzati in condizioni climatiche molto varie, a nord e a sud, nell’Oregon, in Texas o in Arizona. Dappertutto nel mondo, si può produrre del vino. Semplicemente, in certe regioni è necessario occuparsi maggiormente dell’uva e prenderne più cura, come in Giappone. Ben conoscere le caratteristiche climatiche locali ci permette di scegliere i vitigni appropriati. Il nostro lavoro consiste nell’operare delle scelte che convengano al meglio per il nostro territorio, ad ogni stadio della produzione”, spiega tAMAMURA toyoo. Dietro l’attuale entusiasmo per il vino si nasconde il numero sempre più importante di produttori (191 nel 2014, 303 nel 2018), conseguenza di ragioni strutturali. In Giappone, per ottenere la licenza di produttore di alcool, era necessario infatti rispettare una normativa molto rigorosa. Nel caso dei produttori di vino, un minimo di 6000 litri (8000 bottiglie) prodotti erano necessari per l’annata che seguiva l’ottenimento della licenza. Ma dal 2002, il governo ha instaurato un sistema di “zone d’eccezione” e un alleggerimento delle regole per aiutare lo sviluppo del settore. Da allora, è possibile richiedere una licenza anche per una piccola produzione di 2000 litri (2667 bottiglie). L’instaurazione di questo sistema pubblico ha spinto le banche ad alleggerire a loro volta le condizioni per i prestiti. Per le produzioni che necessitano in partenza degli investimenti consistenti (acquisto dei terreni per le vigne, delle piante e dei macchinari…), il fatto di concedere licenze a produzioni più piccole ha favorito i produttori e permesso lo sviluppo di piccole realtà artigianali. Di conseguenza, si assiste alla comparsa di una grande varietà di prodotti. “Da dieci anni a questa parte, osserviamo un’evoluzione drastica: più produttori, più territori, più vitigni, più cuvée. I profili dei produttori sono ugualmente molto vari. Alcuni si sono formati in Europa, hanno studiato nelle università europee, altri hanno imparato da autodidatta documentandosi su internet…” constata KAKIMoto Reiko. Evidentemente, quando si parla di “boom” del vino giapponese bisogna rispettare qualche sfumatura. Così come il successo del saké in Europa, più visibile nei media che nelle cifre concrete di vendita, un giapponese consuma in media soltanto 3,5 litri di vino all’anno, tra vini giapponesi e stranieri. La vendita di bevande a base di frutta (mele, uva) in generale rappresenta appena il 4,4% del volume dell’insieme delle vendite di bevande alcoliche, e i
vini della produzione giapponese occupano solo il 30% di queste vendite. I nihon wain non rappresentano che il 20% della produzione di vini prodotti in Giappone, il resto consiste ancora in vini fabbricati con succo d’uva importato o mix di vini stranieri. Il calcolo è presto fatto. Nel contempo però, il numero dei produttori aumenta considerevolmente. La maggior parte di loro è rappresentata da piccoli produttori, e visto che gli appassionati di vini giapponesi sono ogni giorno più numerosi, alcune produzioni esauriscono spesso in fretta i loro stock. Certe bottiglie estremamente contese sono diventate mitiche e quindi molto rare; la situazione è complessa. Alcuni dicono che il momento d’oro di questa tendenza è già stato raggiunto e sono soprattutto gli addetti ai lavori ad emettere giudizi prudenti. Hanno conosciuto diversi momenti di euforia commerciale che ogni volta avevano indotto a sperare che l’universo del vino integrasse la società giapponese in modo definitivo e stabile. E ogni volta sono rimasti delusi. Questa volta, la situazione è senza dubbio differente. In altri settori, come quello del pane o del formaggio, prodotti artigianali fabbricati dai giapponesi stessi e adatti ad accompagnare il vino, sono sempre più in voga. Le giovani generazioni sono più sensibili ai circuiti brevi, e non bisogna dimenticare il lato umano. KAKIMoto Reiko nota che per gli appassionati di vini giapponesi, la prossimità coi produttori è una qualità fondamentale. Si possono visitare le vigne, si può discutere coi produttori, avvertire una vicinanza con le bottiglie e le loro etichette in giapponese. È lo stesso rapporto che i francesi o gli italiani intrattengono coi loro vini locali. Il sentimento nel consumatore che si tratti del “loro vino”, favorisce la fidelizzazione della clientela nei confronti dei produttori. Le grandi aziende vinicole in Giappone che per troppo tempo si sono accontentate di produrre vino di cattiva qualità, si convertono finalmente ai “veri vini”. Cominciano a piantare vigne e producono due gamme: i vini popolari - che continuano ad essere il loro biglietto da visita - e vini di buona qualità. Bruce Gutlove, un newyorchese che ha studiato la biologia alimentare e la fermentazione presso l’Università della California, si è trasferito in Hokkaidô trent’anni fa e ha formato diversi produttori giapponesi. Sotto la sua influenza, i giovani produttori chiamati “Bruce children” producono vini di notevole qualità. ASAI Usuke, enologo leggendario e autore di numerose opere sul vino, soprannominato anche “il padre del vino giapponese contemporaneo” ha ugualmente contribuito a far emergere molti “Usuke boys”, suoi discepoli, che oggi realizzano vini riconosciuti a livello internazionale. Altro esempio: recentemente il Domaine de Montille in Borgogna ha deciso di creare un vigneto a
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Per molto tempo, si è ritenuto che il clima e il rilievo del Giappone non fossero propizi alla produzione vinicola.
Hakodate e vi ha esportato 50.000 viti. Possiamo dunque sperare che una grande rivoluzione sia in corso. Bisogna dire che il lavoro di divulgazione compiuto da lunga data da persone come tAMAMURA toyoo ha portato i suoi frutti. Grazie ai suoi scritti, non soltanto ha trasmesso l’interesse per i vini “autentici” , ma ha testimoniato, con esempi concreti, cosa significa diventare viticoltori, o andare a vivere in campagna. In alcuni suoi libri dettaglia le legislazioni estremamente complesse dell’amministrazione giapponese, e l’iter necessario per la produzione del vino. Questo può servire da riferimento a coloro che aspirano a creare le proprie vigne, o al grande pubblico. La tripla catastrofe del 2011 (tsunami, disastro nucleare e terremoto) ha evidentemente giocato un ruolo non indifferente nel cambiamento di mentalità dei giapponesi. tAMAMURA toyoo racconta che prima erano soprattutto uomini sulla quarantina, o sulla cinquantina, appassionati di vini e provenienti da classi altolocate (medici, avvocati, o professionisti nella finanza…) a riconvertirsi al mondo del vino, investendovi i guadagni del loro precedente lavoro. Da otto anni ormai, sempre più giovani coppie si trasferiscono in diverse regioni per consacrarsi
all’agricoltura. Prima le donne erano piuttosto reticenti a seguire i mariti nella realizzazione del loro sogno di diventare viticoltore. oggi molte giovani donne, preoccupate per l’ambiente in cui crescono i figli (figli che talvolta devono ancora nascere!) pensano ad intraprendere questa nuova vita. La prova: 30% dei produttori di vino giapponese è costituita da donne. “Il settore del vino può essere il più moderno nel mondo della produzione”. È una frase che si sente dire spesso nell’universo del vino giapponese. Le tecniche di fabbricazione, gli errori da evitare o le astuzie da adottare si trovano facilmente sui siti in libera consultazione. Le donne vi partecipano, le relazioni sono sincere e chiare. Questo ambiente si è sviluppato recentemente in Giappone, il che ha evitato che venisse contaminato dalle vecchie abitudini maschiliste o dall’esclusività che poteva caratterizzare altri settori tradizionali nel Paese. Alcuni dicono che il prezzo dei vini giapponesi, non certo fra i meno cari se si tiene conto del costo della manodopera, rischia di essere un freno al loro successo popolare. Ma non sono i vini giapponesi a costare caro, sono gli alcool in generale che non sono “abbastanza cari” in Giappone. Le bottiglie di vino vendute nei supermercati, che siano del
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kokusan wain o dei vini stranieri, costano talvolta soltanto 500 yen (3,5 €). Una bottiglia di bevanda alcolica da 350 ml costa appena 100 yen (meno di 1 €) nei konbini, quei mini-market nipponici aperti 24 ore su 24. Difficile, in questo contesto, convincere le persone che i vini possono essere deliziosi, ma che le bottiglie possono costare fino a 20 €… È una situazione che suscita lamentele anche da parte dei produttori di saké. I saké di qualità rimangono sempre abbordabili rispetto ai vini europei, ma i giapponesi trovano i prezzi ancora troppo elevati. Per strano che possa sembrare, i giapponesi, per molto tempo, non hanno prestato attenzione al contenuto delle loro bevande. I grandi collezionisti di vini rappresentano davvero delle eccezioni. L’alcool era un mezzo di comunicazione fra uomini, che “andavano a bere” e mangiavano molto poco. Questa tendenza non è completamente svanita. L’impiegato di una grande azienda di bevande alcoliche mi ha un giorno confidato: “quando osserviamo i prodotti che si vendono meglio, emerge chiaramente che la maggior parte dei giapponesi cerca semplicemente di…ubriacarsi”. In seguito alla firma dell’accordo di libero scambio concluso con l’Unione Europea, quest’anno si assisterà all’abolizione delle tasse sui vini europei,
i prezzi di quest’ultimi stanno scendendo e la concorrenza si farà dunque ancora più rude. Quando uno straniero va in Giappone, ha tendenza a voler immergersi completamente nella realtà locale, andando nelle izakaya (trattorie giapponesi) e ordinando del saké…Ma coloro che conoscono un po’ questo Paese sanno bene che è proprio assimilando elementi venuti da fuori che il Giappone ha costruito la sua propria identità. Allora, perché limitarsi al saké, alla birra e ai whisky giapponesi questi ultimi due d’altra parte, di chiara origine straniera-? A chi è curioso di scoprire i vini giapponesi, tAMAMURA toyoo suggerisce di chiedere nei ristoranti se hanno vini locali nel menù. Se nei supermercati si può -ahimé- ancora trovare vini di produzione giapponese che non valgono la pena di essere degustati, possono riservare sorprese più piacevoli le bottiglie scelte dai ristoranti. L’interesse manifestato dagli stranieri può spingere i ristoratori ad arricchire ulteriormente la loro carta di vini pregiati. Malgrado la reticenza e la resistenza di alcuni, le cose avanzano. Dalla pubblicazione della sua opera-manifesto Chikuma wine valley sei anni fa, tAMAMURA toyoo ha realizzato la maggior parte dei progetti che aveva intrapreso. La sua “accademia del vino” attira quelli che desiderano immergersi nell’universo dei viticoltori, e gli ex allievi sono già diventati produttori. Ha ugualmente restaurato un antico negozio in un villaggio, appartenuto in passato ad un venditore di saké, per far rinascere questo luogo di incontro caro agli abitanti. Nello stesso villaggio, con l’aiuto della gente del posto, ha trasformato un’antica casa tradizionale in albergo, per permettere agli appassionati di vino di venire qui a vivere un’esperienza di turismo enologico. La rapidità con cui riesce a far decollare i suoi progetti è sorprendente. tAMAMURA toyoo afferma che per instaurare una dinamica all’interno della comunità, bisognerebbe prima di tutto avere l’appoggio delle municipalità, capaci di concepire una vera visione globale a lungo termine (ringiovanire la popolazione, accogliere nuovi agricoltori, concepire un villaggio eco-turistico, per esempio). Ha perfettamente ragione quando aggiunge che, affinchè la regione possa rimanere un riferimento nella produzione di vini, dovrebbe avere un polo di formazione, un’università dotata di una sezione enologica e agronomica, specializzata nella fermentazione. “Ci sono quelli che mettono in dubbio il fatto di riunire più produttori nella stessa zona. Io ci vedo solo dei vantaggi. Anche se la composizione della terra e il clima sono identici, secondo l’esposizione del suolo, il tipo di vigneti, il momento della vendemmia o della vinificazione, i vini prodotti non saranno mai gli stessi. Non esiste una sola soluzione, esiste un’evoluzione perma-
Célia Bonnin per Zoom Giappone
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Specialista del vino giapponese, Tamamura Toyoo difende una produzione che migliori nel tempo.
nente. È questo che appassiona: una bottiglia di vino è al tempo stesso l’espressione del territorio e quella della persona che vi lavora. Molti fra i produttori che conosco, ancora lontani dall’ottenere dei lauti guadagni, dicono che dopo una giornata di lavoro, contemplare le vigne scaccia ogni fatica. Per l’agricoltura, ci vuole una bella proiezione, una visione ampia. Il risultato del loro lavoro è il paesaggio” fa ancora notare. “Il vino è appassionante perché rappresenta una metamorfosi permanente. Anche presso uno stesso produttore, con lo stesso vitigno, si può sempre avere una sorpresa. Aprendo una bottiglia, o lasciando le bottiglie riposare nelle cantine… Non c’è mai routine coi vini, e soprattutto, è euforizzante poter assistere a tutte queste evoluzioni
vertiginose del vino giapponese” aggiunge KAKIMoto Reiko, dal suo punto di vista di appassionata.
Decine di anni di sforzi da parte dei produttori spiegano l’entusiasmo attuale. “Il bello del vino è che con le vigne si introduce una visione a lungo termine. Per produrre del vino bisogna prima di tutto piantare le viti, e aspettare cinque anni prima di poter vendemmiare. Le bottiglie possono maturare col tempo, e i vigneti saranno ancora là dopo la mia morte. Una volta che non ci sarò più, sarebbe meraviglioso se il mio villaggio continuasse ad avere cura dei miei vigneti, mi piacerebbe una targa che recitasse: “Pare che sia un certo Tamamura ad averle piantate, qui…” suggerisce tAMAMURA toyoo col sorriso. SEKIGUCHI RYÔKO
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zoom InCHIeSta TENDENZA Un settore più che promettente Sebbene le quantità prodotte restino modeste, ci sono tutte le condizioni per passare allo stadio superiore.
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’ora del vino giapponese sembra finalmente essere giunta. Dopo esser stato considerato per numerosi anni come un semplice mercato d’importazione per i produttori europei, americani e australiani, il Giappone sta diventando un produttore di vini raffinati che attirano ogni giorno di più l’attenzione degli esperti stranieri. tutto è cominciato nel 2013, quando un vino bianco della prefettura di Yamanashi, il Grigio di Kôshû del vigneto Grace 2012, ha ottenuto una medaglia d’oro ai Decanter Asia Wine Awards, sponsorizzati dal magazine britannico Decanter. Prima di ciò, nel 2004, un altro vino originario di Yamanashi, Aruga Branca, si era conquistato una medaglia d’oro ad un concorso francese. Questi primi exploit hanno fatto tacere tutti i detrattori che non smettevano di prendere in giro senza sosta i vini di Kôshû, e in particolare YAMAMoto Hiroshi, reso celebre per aver detto che questa regione era “essenzialmente sprovvista di personalità, come le donne giapponesi”. La popolarità crescente dei “vini del Giappone” è un fenomeno assai recente, che risulta da un certo numero di fattori. Da una parte, secondo il sommelier di fama internazionale ed editore del magazine Vinothèque, tASAKI Shin’ya, i media locali sono sempre alla ricerca del prossimo evento o fenomeno importante e oggi è il momento del vino. Diverse riviste e siti internet propongono storie di produttori locali e consigliano ai loro lettori di abbinare i vini col cibo. D’altra parte,
l’industria vinicola ha finalmente capito cosa sia necessario fare affinchè il vino giapponese acquisti prestigio. Per troppi anni, i produttori hanno seguito delle pratiche obsolete, vecchie di decenni, accontentandosi di approvvigionare il loro limitato mercato locale. Gli attori di queste produzioni si avvicinano oggi all’età della pensione (l’età media degli agricoltori della prefettura di Yamanashi, primo produttore d’uva del Giappone, era di 68,2 anni nel 2015) e sono progressivamente rimpiazzati da una generazione più giovane, che non ha paura di sperimentare nuovi metodi. Certi agricoltori ad esempio, piantano oggi dei vigneti a più elevata altitudine e in file ben ordinate, in stile europeo, al posto delle pergole tradizionali. Quest’ultime erano state pensate per aiutare ad accelerare la maturazione durante le estati giapponesi tristemente umide. Anche ARUGA Hiro, viticoltore di terza generazione della famiglia Aruga, detentrice di una medaglia d’oro per la sua attività, ha studiato in Borgogna prima di raggiungere il padre nell’azienda. Fa parte della giovane generazione di produttori freschi di studi in Europa, che applicano ora le loro conoscenze adattandole al clima e all’ambiente giapponesi, molto diversi da quelli incontrati durante la loro permanenza all’estero. Un contributo importante alla credibilità internazionale del vino giapponese è giunto nell’ottobre scorso, quando il governo ha adottato una nuova legge che stabilisce una distinzione importante tra il kokusan wain (vino nazionale) e il nihon wain (vino giapponese). I vini prodotti da un mix di uve locali e importate appartengono alla
I produttori più giovani hanno permesso alle tecniche di coltura di evolvere. 10 zoom GIappone N. 16 dicembre 2019 - marzo 2020
prima categoria. Il loro prezzo è basso, sono fabbricati da grandi imprese quali Suntory e Château Mercian del gruppo Kirin, e si trovano un po’ in tutti i grandi supermercati giapponesi. I secondi invece, sono elaborati con uve 100% giapponesi. Inoltre, per ottenere un’etichetta DoC (Denominazione di origine Controllata) devono essere composti almeno da 85% di uve della regione. Certo, non esistono vitigni propriamente giapponesi. Ad esempio, un’analisi realizzata all’Università della California a Davis ha mostrato come il Kôshû sia un ibrido composto principalmente da vitis vinifera (uva europea come lo chardonnay) e asiatica. tuttavia, l’evoluzione locale e progressiva del vitigno durante i secoli ha prodotto una varietà autoctona. Un numero crescente di piccole aziende vinicole ha raccolto la sfida e produce vini di grande qualità, 100% giapponesi. Il mercato nazionale in passato era dominato da Suntory e da altre grandi imprese, ma nel 2004, nuove regole hanno facilitato la creazione di aziende vinicole di lusso. Questa nuova concorrenza sembra aver avuto un’influenza positiva anche sui prodotti destinati al grande pubblico; le grandi imprese sono state infatti motivate a cercare mezzi per migliorare la qualità delle loro proposte. I quattro principali produttori di bevande prevedono ugualmente di raddoppiare la superficie dei loro vigneti da qui al 2027 per raggiungere un po’ meno del 20% dell’insieme di colture d’uva in Giappone. Nel febbraio scorso, il governo giapponese ha portato un contributo importante ai viticoltori e al mercato del vino in generale - grazie alla conclusione del trattato di libero scambio con l’Unione Europea, con l’obiettivo di eliminare reciprocamente gli ostacoli tariffari e non tariffari sulle importazioni di vino e di prodotti alimentari. Fino ad oggi, con tasse doganali che arrivavano a 94 yen per bottiglia, il mercato europeo era praticamente chiuso ai vini giapponesi. Le esportazioni di vino di Yamanashi sono state moltiplicate per venti nel corso degli ultimi cinque anni, ma i loro principali mercati esteri sono stati l’Asia e il Nordamerica. Le esportazioni di vino verso l’UE, nel 2016, hanno rappresentato soltanto 10 per un totale di 15 milioni di yen. Il nuovo accordo dovrebbe facilitare considerevolmente le cose in questo settore. Certo, il trattato è valido per entrambi, ciò significa che le importazioni di vino europeo aumenteranno proporzionalmente, ma questa nuova sfida dovrebbe fornire ai produttori giapponesi un
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Lo sguardo sul vino del Giappone è cambiato quando un vino di Kôshû ha conquistato, nel 2013 una medaglia d’oro ai Decanter Asia Wine Awards.
nuovo slancio per ridurre lo scarto esistente con l’Europa. Il Giappone rimane una novità sulla scena vinicola internazionale e resta ancora molto lavoro da compiere per raggiungere i livelli degli altri produttori. Secondo un’inchiesta del 2016, realizzata dall’organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (oIV), ad esempio, le esportazioni di vino giapponese non rappresentano che un’infima quantità di 56 chilolitri. Se paragoniamo questi dati a quelli dei pesi massimi nel mercato del vino quali Spagna, Italia e Francia, queste nazioni hanno esportato rispettivamente 2,28 milioni, 2,10 milioni e 1,50 milioni di chilolitri. tuttavia, mentre soltanto 0,35% del vino locale è esportato, la percentuale del vino giapponese venduto sui mercati esteri è regolarmente aumentata. Ad esempio, tra il 2015 e il 2016, le esportazioni hanno registrato un aumento del 30%. Nel frattempo, i consumatori giapponesi prestano finalmente attenzione a questi “vini del Giappone”.
Fino al 2003, erano ancora considerati come una novità e anche a tôkyô non era semplice trovarne. oggi, la maggior parte dei negozi ne propone almeno qualcuno, mentre diversi bar e ristoranti consacrano tutta la loro offerta alla produzione locale. Secondo un rapporto pubblicato nel 2016 da Wine Intelligence, il numero di consumatori che ha dichiarato di aver assaggiato dei “vini del Giappone” è passato dal 21% al 27% nel 2014, mentre più della metà delle persone intervistate aveva dichiarato di averne comprato nel corso degli ultimi sei mesi. Questi vini rappresentano circa 5% del totale consumato nel Paese. Il “vino del Giappone”, come definito ufficialmente, rappresenta meno del 20% del totale del vino fabbricato in Giappone. Queste cifre rimangono piuttosto insignificanti se rapportate alla consumazione globale di vino in Giappone, ma le quantità dovrebbero aumentare nei prossimi anni in quanto la qualità dei vini
prodotti dai viticoltori giapponesi è oggi portata a migliorare. Il recente entusiasmo per il vino si è accompagnato ad un aumento della quantità di uve da vino prodotte nel Paese. Fino a poco tempo fa, gli agricoltori giapponesi producevano soltanto dell’uva da tavola i cui resti e la cui produzione eccedente venivano utilizzati per la fabbricazione di vino. Uno studio portato avanti dal Ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e della Pesca rivela che 17280 tonnellate d’uva da vino sono state prodotte nel 2015. Questa cifra rappresenta il picco più alto dal 2003, anno in cui si è cominciato a redigere delle statistiche in merito. In fin dei conti, il buon vino giapponese sembra aver un avvenire promettente, in particolare dopo che il Kôshû e il Muscat Bailey A hanno ricevuto l’ambito riconoscimento dell’oIV. Il loro successo internazionale incoraggerà certamente altri viticoltori a migliorare i loro metodi di produzione e di etichettatura. JEAN DEROME
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zoom InCHIeSta SAVOIR-FAIRE ottimo livello per i giapponesi Per TaSaki Shin'ya, uno dei maggiori specialisti mondiali di vino, la produzione giapponese non manca certo di carattere. Quando si parla di vino giapponese, pochi sono competenti quanto il sommelier e esperto di liquori tASAKI Shin’ya, che dopo essersi diplomato all'Accademia del vino di Francia (corso da sommelier), ha conquistato la vittoria nel terzo concorso di sommelier del Giappone nel 1983, all'età di venticinque anni, mentre nel 1995 ha vinto il titolo di miglior sommelier del mondo. Zoom Giappone l'ha incontrato a tôkyô per parlare del presente e del futuro del vino giapponese. Ho sentito dire che all'inizio voleva essere uno chef, cosa l'ha spinta a intraprendere la carriera di sommelier? TaSaki Shin’ya: È una storia piuttosto semplice. Quando avevo sedici anni e volevo lavorare nel settore della ristorazione. Fare il sommelier non era una vera e propria professione in Giappone ed era impossibile ottenere una qualifica. All’ inizio degli anni Sessanta, per lavorare nella ristorazione, l'unica possibilità era quella di fare il cuoco. Ho quindi iniziato a lavorare in un ristorante giapponese, poi in uno di cucina francese, dove sono rimasto affascinato dal servizio offerto ai clienti. Nei ristoranti giapponesi tradizionali era un compito affidato alle donne; gli uomini si occupavano dei piatti, mentre nei ristoranti francesi erano molti gli uomini impiegati nel servizio. Sono quindi passato a quel settore, con l'intenzione di diventare maître d'hotel. Ma allora non sapevo niente sul vino, anzi, neanche l'avevo mai assaggiato e questo era un problema dato che nei ristoranti francesi ovviamente, la maggior parte dei clienti ordinava vino. Proprio
per questo, a diciannove anni, ho iniziato il mio percorso di tre anni in Francia per imparare tutto ciò di cui avevo bisogno e ho finalmente ottenuto il diploma da sommelier. Dopo il mio ritorno in Giappone, ho vinto il concorso nazionale per sommelier e di colpo tutti hanno iniziato a volermi parlare di vino, in maniera particolare di come coniugare al meglio vino e cucina giapponese, cosa ancora sconosciuta all’epoca, per questo ho deciso di diventare sommelier di professione. in Giappone il vino non è popolare quanto in Francia o in italia, dove viene consumato tutti i giorni. Qual è l'immagine attuale del vino in Giappone? T. S. : ovviamente il mercato locale non è importante come quello europeo, questo perché, a differenza di altri Paesi, il Giappone offre una scelta più ampia di alcolici più tradizionali, come il saké, la birra o lo shôchû (un liquore distillato dalle patate dolci) e perché si bevono diversi alcolici in base al cibo a cui si accompagnano o alla stagione. D'altra parte però, il vino non è considerato esotico come lo era una decina di anni fa e la maggior parte dei giapponesi ha bevuto vino almeno una volta o lo consuma regolarmente. Un'altra differenza interessante è come in Italia e in Francia il vino sia quasi parte della quotidianità, al punto che italiani e francesi, sin da bambini, si abituano a vedere bottiglie a tavola. Bevono perché il cibo ha un sapore migliore se accompagnato dal vino, è qualcosa che fanno spontaneamente. In Giappone, al contrario, si bevono alcolici per sentirsi meglio, spesso fino ad ubriacarsi, dimenticando così tutti i freni inibitori e conversando liberamente con gli altri. In molte situazioni sociali bere è fondamentale, si può anche smangiucchiare qualche spuntino, ma cibo e alcool non vanno per forza di pari passo in
Giappone. Per esempio, molti amanti del vino scelgono di andare in un bar dopo cena, proprio per assaporare del buon vino. Per molto tempo i giapponesi hanno bevuto solo vino straniero, la situazione è cambiata di recente? T. S. : È sicuramente vero che in passato la qualità della produzione vinicola giapponese non poteva competere con quella francese, o italiana, o di altri Paesi. La produzione nipponica risale al 1870, ma quello fu un flop clamoroso. Nei decenni successivi il "vino fortificato" (con l'aggiunta di acquavite, o liquori o spezie) ebbe un grande successo e fino agli anni ’60 non si bevevano che Porto o altri vini dolci. Dieci anni dopo, il vino tedesco ha conosciuto una grande diffusione: i clienti di molti ristoranti francesi esclusivi erano medici che avevano studiato in Germania e di conseguenza prediligevano vino tedesco. Un altro vino molto apprezzato era il Mateus Rose, uno spumante portoghese, mentre negli anni ‘90 una società giapponese iniziò a importare vino spagnolo a ottimo prezzo, ovvero 290 yen (2.50€) a bottiglia. Intanto nel 1997 scoppiò l'entusiasmo per i polifenoli, che portò ad una preferenza per il vino rosso per via dei benefici dei polifenoli sulla salute. Si può quindi affermare che il vino si è diffuso in Giappone circa 20/30 anni fa. E cosa ne è del vino prodotto nell'arcipelago giapponese? T. S. : Come dicevo, i primi tentativi di produzione vinicola risalgono al diciannovesimo secolo, ma fino a qualche anno fa i marchi locali non erano nemmeno presi in considerazione: per molto tempo in Giappone non si è coltivata che uva da tavola. Quando non era sufficiente per la consumazione o quando la raccolta era
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Japan
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zoom CULtUra più abbondante della domanda, solo allora la si destinava alla produzione del vino (come si può immaginare l'uva da tavola non è esattamente la scelta più adatta per produrre del buon vino). Le cose hanno subito una svolta negli ultimi 20 anni, in parte dopo che il cabernet sauvignon e lo chardonnay sono diventati famosi in tutto il mondo e che molti stabilimenti vinicoli si sono sviluppati in diverse regioni. Più recentemente, un cambio generazionale ha contribuito in egual misura a cercare urgentemente un approccio diverso alla vinificazione: nel 2002, ad esempio, ho avviato una collaborazione con i proprietari di un vigneto a Nagano, per produrre un vino di qualità doc. Il problema è che per troppo tempo i viticoltori giapponesi si sono accontentati di lanciare sul mercato locale prodotti di qualità discutibile. E dunque, come ci si poteva aspettare, i risultati sono stati piuttosto scoraggianti, visto che l'80% del vino prodotto durante la prima annata risultava pessimo. Per fortuna quegli errori sono serviti da lezione e a Nagano, Yamanashi, Hokkaidô e in molte altre prefetture, la produzione è ormai ad un altro livello. È quindi diventato più facile presentare vino giapponese ai clienti? T. S. : Sono decisamente più aperti all'idea del vino locale. Nel quartiere di Nihonbashi, a tôkyô, collaboro con un ristorante che propone 300 varietà di vini diversi di Yamanashi e nient'altro, per fare un esempio. o ancora, sono consulente di un ristorante a Shinjuku, che dispone di 400 prodotti giapponesi. Gran parte dei vigneti si concentra nelle prefetture di Yamanashi, Nagano, Hokkaidô e Yamagata (vedi la carta a pagina 4-5). in cosa sono diversi tra loro? T. S. : ogni regione ha un clima particolare che ovviamente influenza le coltivazioni, in più le Alpi Giapponesi al centro dello Honshû creano un divario climatico enorme tra oriente e occidente. La regione dello Hokkaidô, ad
esempio, si distingue dal resto del Paese per il suo clima secco e per il riscaldamento climatico, che rendono questa regione più adatta alla presenza di vigne. I vigneti sono presenti quasi ovunque nel nord, e, in un futuro piuttosto imminente, Hokkaidô diverrà la migliore regione produttrice di vino in Giappone. Nagano è un'altra area che subisce gli effetti positivi delle temperature minime in aumento. In quanto prefettura montuosa, a più di 400 m di altezza, un tempo era assolutamente impensabile coltivarvi uva. Invece adesso è possibile trovare vigneti anche a 800 m. Al contrario, Yamanashi è circondata dalle montagne e le sue precipitazioni annuali sono simili a quelle di Bordeaux. A differenza di quest'ultima città però, dove piove in inverno quando non si coltiva l'uva, a Yamanashi piove spesso a giugno, agosto e settembre e la regione diventa una sorta di bacino di calore in costante aumento nella stagione estiva. Un altro problema che interessa il Giappone è che le piogge sono abbondanti anche in autunno, quando l'uva matura e vi è allo stesso tempo anche la stagione dei tifoni, che alza notevolmente il tasso di umidità. In generale è molto più facile produrre del vino bianco di qualità internazionale in Giappone che produrre quello rosso. Un tipico esempio di vino bianco giapponese è il Kôshû, dal gusto leggero e delicato, che si accompagna molto bene al pesce e alla cucina giapponese. Tôkyô non è mai stata una regione interessante per la viticoltura, ma ho recentemente sentito parlare di un progetto nel distretto di Nerima. T. S. : È un'area viticola in cui si usa una varietà di uva da tavola che cresce in questa regione e si chiama Takao. Che ci crediate o no esiste anche un viticoltore, ribattezzato Fukagawa, nel quartiere di Kôto. Sicuramente non ci sono dei vigneti in questo quartiere, non sarebbe corretto parlare di viticoltura. Si limita a comprare dell'uva altrove e a produrre il suo vino, che venderà in seguito nel suo ristorante. Se la
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capitale è piena di sorprese, addirittura nel campo della vinificazione, questi due progetti sono vini minori che non possono essere paragonati a marchi molto più importanti. Più che a tôkyô, la prefettura di Saitama, al nord, sembra essere promettente in questo campo, dato che ci sono tutte le condizioni necessarie perché vengano intrapresi grandi progetti. Secondo lei qual è il miglior modo di degustare il vino giapponese? T. S. : I vini locali sono freschi e leggeri, come piacciono ai giapponesi. Qualcosa come il vino bianco Kôshû accompagna molto bene la cucina giapponese, in particolare quella tradizionale proposta dai ristoranti. Si sposa quindi alla perfezione con un piatto di tempura, di sushi o di pesce bianco, di salmone o di capesante, ma non con uno di tonno. Inoltre un vino rosso interessante, recentemente riconosciuto a livello internazionale, è prodotto da una varietà di uva di Niigata, chiamata Muscat Bailey A. Ha un sapore di fragola, che lo rende adatto ai piatti di pesce, maiale e pollo, cucinati alla teriyaki. Pensa che il vino giapponese abbia un futuro a livello internazionale? T. S. : Da quando è stata emanata la nuova legge lo scorso anno, che stabilisce delle regole più rigide su cosa possa essere definito “vino del Giappone” (nihon wain) e cosa “vino di produzione nazionale” (kokusan wain), è stato fatto un grande passo in avanti per render il vino giapponese più credibile a livello mondiale. Contemporaneamente i vigneti sorgono ormai quasi ovunque. È il momento giusto per far conoscere i grandi prodotti giapponesi, vista la tendenza generale dei consumatori, anche all'estero, a preferire vini leggeri, come quelli prodotti in Giappone. Anche in occasione del G20 tenutosi a Ôsaka a giugno, abbiamo servito solo vino locale, che ha avuto un grande successo. TESTIMONIANZA RACCOLTA DA JEAN DEROME
RUMIKO TAKAHASHI
RAJA RAJA PRÉSENTE
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zoom CULtUra ESPERIENZA La nuova terra di mister Ôoka Ben deciso a fare di Okayama una nuova terra di produzione, il viticultore moltiplica le iniziative.
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ebbene il numero di produttori di vino rimanga ancor limitato in Giappone, troviamo tutti i tipi di profili: autodidatta, formati in una grande impresa o all’estero, eredi di un’azienda familiare… ÔoKA Hirotake è una figura singolare in questo campo, poiché, non soltanto ha affrontato la sua formazione in Francia fin da giovanissimo, ma ha creato il suo proprio vigneto, La Grande Colline nella valle del Rodano, dopo un’esperienza presso thierry Armand, celebre produttore di vini naturali. È conosciuto a livello internazionale e rispettato dai produttori francesi. Il suo ritorno in Giappone ha sorpreso tutti, a parte se stesso, ovviamente. Sapeva già che con la sua esperienza, restare in Francia gli avrebbe permesso di avanzare ulteriormente e di compiere cose meravigliose col vino, ma voleva provare a mettere in pratica il suo savoir faire in Giappone -un territorio e una sfida più difficili - per trasmettere il gusto dei vini naturali ai suoi compatrioti. Si è quindi ritrasferito in Giappone dopo vent’anni trascorsi in Francia. Ha scelto la regione di okayama, il cui clima somiglia a quello di Cornas, con una terra ben drenata e una buona esposizione alla luce solare. La regione è celebre per i suoi frutteti e per la coltivazione delle vigne, con la loro uva di alta qualità coltivata da più di cent’anni. Quest’uva coltivata con la più grande cura e un rigore tutto giapponese, è spedita nei negozi di lusso delle grandi città come tôkyô, Ôsaka… ÔoKA Hirotake si è presto reso conto dell’invecchiamento della popolazione locale, sebbene fosse in parte per l’educazione dei suoi figli che aveva deciso di rientrare in Giappone. La maggior parte degli agricoltori ha più di 65 anni, e molti abban-
donano la propria terra…L’agricoltura assorbe molto tempo e i giovani non hanno voglia di riprendere gli affari di famiglia. Per questo anche il numero di chi si dedica a questa attività è in decrescita. Egli ha allora incoraggiato i produttori della regione a coltivare le sue uve, convertendoli al biologico per i suoi vini. Spiega che la coltura delle uve da vino non necessita che un quinto del tempo necessario per coltivare le uve di lusso. Diversi produttori hanno risposto quindi positivamente alla sua proposta. Il risultato? Ha potuto produrre il suo primo vino col moscato di Alessandria, una varietà tradizionalmente coltivata a okayama. ÔoKA Hirotake vorrebbe così ridonare vitalità alla regione sviluppando contemporaneamente la sua produzione. Lavora soprattutto con HAYASHI Shingo, un agricoltore specializzato nella lavorazione delle uve, entrambi vogliono creare nuovi vitigni locali resistenti al clima giapponese, e lanciarsi nella coltura di vigne che non necessitino di alcun trattamento. Ha piantato diverse varietà in una parcella quasi selvaggia, per tentare di determinare quali vitigni potrebbero sopportare la coltura biologica. Altra tappa importante per ooKA Hirotake è poi evidentemente quella di esaminare la qualità del gusto delle uve propizie alla preparazione del vino. Qui “prendere il tempo che ci vuole” è la regola d’oro. Se si è riusciti a determinare le varietà più adatte al cima di okayama, è stato grazie alla pazienza. Sono stati necessari degli innesti, degli incroci, fare crescere le piante, verificare il tasso di zuccheri, la resistenza, preparare le viti e piantarle in quantità sufficiente per la produzione del vino. Soltanto dopo tutte queste operazioni si può verificare se è proprio questo vitigno che sarà utilizzato. È davvero un lavoro da titani. Ma i volti di questi due uomini sono radiosi. HAYASHI
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afferma che la passione e il desiderio di veder nascere un buon vino nella regione lo spingono a lavorare con pazienza. Investire come privato in questo lavoro con obiettivi a lungo termine ottenuti attraverso incroci di vitigni non è affatto semplice. “Non bisogna parlarne troppo alle nostre mogli, ci criticherebbero e direbbero che parliamo solo di sogni…roba da uomini”, esclamano, ridendo. ÔoKA Hirotake produce ugualmente del vino con un vitigno chiamato Shôkôshi, originato da un incrocio con una varietà endemica, lo yamabudô (uva di montagna), resistente alle malattie e adatto a una coltura organica. Per certi vitigni la cui coltivazione è incompatibile col clima piovoso del Giappone, il produttore propone di utilizzare le serre in vetro, caratteristiche di okayama e esistenti da ormai un secolo grazie alla coltura degli alberi da frutto. In questo modo, le serre tradizionali non sono più abbandonate, e le uve non patiscono a causa dell’umidità. Farle crescere a bordo serra con le radici all’esterno risolve anche il problema dell’irrigazione. ÔoKA Hirotake stesso coltiva il Syrah nella sua serra. In un’altra parcella di terreno, si scorgono delle viti di Savagnin, e si intuisce che le piante stanno “sperimentando” il loro nuovo ambiente, il loro territorio. Parlare di territorio non è scontato per i vini del Giappone perché bisogna dapprima riflettere alla natura della regione, piantare vigneti in armonia con la terra, immaginare un metodo di produzione che funzioni a lungo termine, sostenibile finanziariamente tanto per i vignaioli che per i produttori. Quelli che conoscono i vini realizzati da ÔoKA Hirotake nel corso del suo periodo “francese” dicono di avvertire ancora oggi, malgrado i cambiamenti di luogo e di vitigni, una tonalità che gli è propria. Prova che il vino è sempre il risultato di un’osmosi tra il lavoro degli uomini
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Dopo una lunga esperienza in Francia, Ôoka Hirotake si è trasferito a Okayama.
e quello della terra. Il caso di ÔoKA è esemplare: a partire dal suo ritorno in Giappone, ha individuato i terreni da far sviluppare e ha elaborato progetti su più fronti, perché la regione arrivasse a distinguersi per i suoi vini. Un progetto nato dalla filosofia del “vivere insieme”. Esemplare anche perché è la filosofia di molti
produttori giapponesi, poco importa la maniera con cui viene applicata. Numerosi sono coloro che notano lo spirito di solidarietà che vige fra i giovani produttori. ÔoKA Hirotake propone, fra le altre cose, delle formazioni e degli stage destinati ai giovani amatori, al fine di incitare i produttori a trasferirsi qui. Ha ugualmente come obiettivo quello di riunire i produttori
biologici di ogni prodotto (verdure, riso, frutta, allevatori di maiali e polli, fattori…) per avviare un ciclo di produzione organica con un riciclaggio di materie previsto ad ogni stadio. Questa visione è abbastanza ambiziosa ed appassionante per coinvolgere le nuove generazioni e convincerle a seguire le sue orme. SEKIGUCHI RYÔKO
BUONO A SAPERSI Le donne in difesa del vino giapponese
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e donne appassionate di vini giapponesi portano la loro energia in ciascuna delle tappe di promozione di questo nettare ancora poco conosciuto. Innanzitutto le produttrici. Il settore del vino in Giappone ha potuto beneficiare della presenza di donne estremamente attive e la lista di quelle che realizzano un lavoro ammirevole è notevolmente lunga. Presso Takeda Winery nella prefettura di Yamagata, è K ISHIDAIRA Noriko che, dopo quattro anni di formazione in Francia, ha ripreso il vigneto di famiglia, piantato settant’anni fa. IKENo Mie, responsabile della tenuta vinicola Domaine Mie Ikeno, ha lasciato il suo lavoro di editrice per continuare gli studi a Montpellier e ottenere un diploma di vinificazione. Al suo ritorno in patria, ha deciso di creare la sua tenuta a Yamanashi, e produrre dei vini prodotti unicamente dalle uve delle sue vigne, decisione ancora rara all’epoca.
tAKANo Hiroko che lavora come responsabile della vinificazione presso Fujikko Winery, ha invece ricevuto la sua formazione da ASAI Usuke, e ha contribuito notevolmente a migliorare la qualità di questo vigneto gestito da una società agro-alimentare. MISAWA Ayano di Chûô Budôshu Grace Wine, ha studiato in Francia, in Cile, in Sudafrica e ha creato una cuvée prodotta a partire da un vitigno endemico, il Kôshû, che ha ottenuto il primo premio al concorso internazionale Decanter World Wine Award. Perché un buon prodotto passi fra buone mani, è necessario avere delle persone capaci di promuovere le sue qualità presso un vasto pubblico: KAtoRI Miyuki, è LA giornalista specializzata nei vini, soprattutto giapponesi. Ha pubblicato diversi libri sul tema (guide, ritratti di produttori, libri di ricette che si accordano alle cuvée nipponiche, ecc.) e ha largamente contribuito alla popolarità di questo
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settore per troppo tempo sconosciuto ai più. KAKIMoto Reiko, ugualmente giornalista e appassionata di vini giapponesi da molto tempo, ha non soltanto scritto articoli, ma organizza personalmente e regolarmente delle visite presso piccoli produttori, o delle degustazioni koppu no kai (letteralmente: serata dei bicchierini). L’obiettivo è quello di rendere i vini più famigliari, la giornalista propone dunque di degustarli in bicchieri senza gambo. Reiko sostiene i piccoli produttori che
non hanno i mezzi per occuparsi di una comunicazione efficiente da soli. Infine, per essere davvero una buona consigliera e una efficace ambasciatrice di questi vini, non mi resta che confidarvi un segreto e trasmettervi l’indirizzo di un luogo discreto quanto delizioso e traboccante umanità, come se ne trovano sovente a Kyôto. Tasuku (1F Yontomikaikan, 615 Nishidaimonji-chô, Tominokôji Shijô Agaru Chûkyô-ku, Kyôto 604-8054), è il nome di un bar specializzato nei vini giapponesi, nascosto in un quartiere che ricorda il Giappone degli anni 50-60. Il mini-bancone da otto persone, sovente pieno, è gestito da un’autentica appassionata di vini di Yamanashi, Ikenishi Yuka. Si può degustare qui una bella selezione di bottiglie con un assortimento di stuzzichini preparati dalla proprietaria stessa. Un luogo privilegiato per penetrare nell’universo del vino giapponese. S. R.
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INCONTRI La storia di una vera esperta
“Esperta di vini”, ICHIKAWA Mariko aiuta uno dei suoi amici ad organizzare delle sessioni di degustazione.
ICHIKAWA Mariko, esperta di vini, è riuscita a trasformare una passione in una caratteristica della sua personalità.
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ormalmente quando un giapponese decide di lanciarsi in una nuova attività, si sforza di fare del suo meglio per conoscerne tutti gli aspetti. Gli appassionati di vino non fanno certo eccezione, anzi: non solo leggono libri, ma partecipano ad atelier e corsi di formazione nonché
a degustazioni guidate. C’è chi, però, si spinge oltre, e ICHIKAWA Mariko ne è un bell’esempio. Nata e cresciuta a tôkyô, non è una professionista del vino (lavora infatti in tutt’altro campo) e non si considera nemmeno particolarmente preparata, eppure si può davvero definire come una vera “esperta di vini”. Ecco cosa ci spiega la giovane donna: “L’Associazione giapponese sommeliers propone due tipi di diplomi: uno da sommelier e l’altro da esperto. Per avere la qualifica di sommelier si deve acquisire oltre ad un’appro-
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fondita conoscenza dei vini, una comprovata esperienza nei ristoranti e passare un esame sul servizio a tavola. Gli aspiranti esperti, come me, sono testati solo sulle conoscenze teoriche e sulla capacità di degustazione”. tra le altre cose ICHIKAWA Mariko aiuta un amico a organizzare tutti i mesi delle degustazioni guidate: “Il mio amico è un piccolo ma attento importatore di vini francesi che acquista lui stesso recandosi regolarmente nel sud della Francia alla ricerca di vini naturali, il meno possibile trattati chimicamente, e la dif-
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zoom CULtUra ferenza si sente eccome! Inoltre si impegna a difendere anche il vino giapponese prodotto nella prefettura di Nagano.” Il suo interesse per il Nettare degli Dei risale all’infanzia: “A mia mamma piaceva il vino, amava in particolare i vini corposi, strutturati, e anche io, rispetto a quelli leggeri che invece erano e sono ancora piuttosto in voga in Giappone”. Mariko ci racconta di aver assaggiato per la prima volta il vino a diciotto anni (l’età minima per poter bere bevande alcoliche in Giappone è di venti anni), e che nonostante il suo interesse spazi dal saké alla birra passando per il shôchû, il vino resta la sua bevanda prediletta.“Per me confrontato alla birra o al saké, il vino resta facile da bere e da accompagnare con il cibo; la birra mi piace ma solo in alcune stagioni dell’anno, mentre il vino lo riesco ad apprezzare sempre. Sia al ristorante che a casa, la scelta del vino è un momento di piacere per me: leggere le etichette, cercarne le origini e sperimentare gli abbinamenti migliori, tutte queste sono fonti di soddisfazione”. Quando le chiedo perché ha una preferenza per un certo vino, lei torna al periodo in cui viveva negli Stati Uniti e studiava a New York design e comunicazione: “Quando ho iniziato a lavorare viaggiavo molto e spesso le riunioni si rivelavano piene di tensioni, ma dopo, davanti ad un buon
bicchiere di vino, l’atmosfera cambiava, tutti si rilassavano e le tensioni accumulate svanivano come per magia… Così ho iniziato ad interessarmi alla cultura del vino e alla sua storia, volevo capire perché le persone di diversi Paesi avessero punti di vista e gusti diversi così culturalmente radicati, e in queste serate passate con amici stranieri ho ripensato al Giappone, alle mie abitudini e credenze. Ad esempio i mei colleghi della Nuova Zelanda sceglievano sempre vini del loro Paese spiegando cosa li rendesse così unici. All’epoca la mia conoscenza sui vini giapponesi era limitata e ascoltando cosi tante storie ho preso coscienza di due cose in particolare: volevo imparare di più sul mondo dei vini, in particolare sui vini giapponesi. Infatti ho cominciato a viaggiare e visitare le aziende vinicole a Yamanashi e Nagano in particolare”. Come gli italiani e i francesi, anche Mariko ha iniziato a prendere l’abitudine di bere un bicchiere di vino ogni giorno, durante i pasti o alla sera dopo il lavoro. “Spesso vado a serate di degustazione o mi ritrovo con gli amici per bere un bicchiere e cucinare insieme qualcosa. Anche la stagione della fioritura dei ciliegi (hanami) si accompagna bene a dei pique-niques in cui provare il piacere di un buon vino in compagnia. Fino a poco tempo fa il vino era sinonimo di cucina occidentale,
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ora progressivamente si inizia ad abinare il vino anche alla nostra cucina tradizionale giapponese: ad esempio quando mangio del sushi preferisco il vino bianco al saké”. Benché Mariko prediliga i vini rossi, è aperta ad ogni scoperta: “Ho iniziato con i francesi e gli italiani, i grandi classici, per spostarmi poi verso altre scelte come “le vin d’or” e i vini americani fino ai vini dolci. Sto imparando a conoscere anche i vini del Cile e dell’Argentina che hanno il vantaggio di essere economici. Recentemente poi ho acquistato dei vini israeliani, bulgari e mediorientali. Ogni volta che vado in un Paese assaggio il vino locale che ha sempre un gusto diverso nel luogo di produzione, e questo è un gran piacere! Da giapponese mi piace l’idea di un vino prodotto con uve nostrane da abbinare alla nostra cucina, benché rispetto ad altri il nostro si presenti come un prodotto delicato, ancora poco strutturato, che con il tempo sto imparando ad amare. Sono stata alla prefettura di Yamanashi da un amico contadino e ho avuto la fortuna di assaggiare dei vini interessanti. Per questo, sapendo bene la difficoltà di riuscire a coltivare una buona uva da vino, credo che i nostri viticoltori dovrebbero essere maggiormente sostenuti e incoraggiati”. GIANNI SIMONE
zoom CULtUra CULTURA Il vino al centro della cultura pop Manga, romanzi e film: testimonianza in la prova. La prima di queste è stata scritta da SAimmagini dell'interesse dei giapponesi per NADA Ikki, mangaka, creatore di dôjinshi (rivista il vino. indipendente di manga) e grande estimatore di
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e è vero che in Giappone la passione per il vino è recente, gli autori di questi manga, libri e film non si sono però fatti attendere per introdurre questa novità nei loro racconti.
MaNGa Qualsiasi discussione a proposito di vino e cultura pop non può che cominciare da The Drops of God (Kami no Shizuku), manga di grande successo creato da AGI tadashi e illustrato da oKIMoto Shû. Il protagonista, Shizuku, è figlio di un celebre enologo che gli lascia una vasta e preziosa collezione di bottiglie; per ricevere questa eredità Shizuku dovrà però dimostrarsi capace di riconoscere e descrivere i dodici vini preferiti dal padre. Il manga è splendidamente illustrato e molto preciso nella presentazione dei vini, grazie alla grande conoscenza e all’entusiasmo di AGI tadashi. L’enorme successo presso gli estimatori di vino e di manga è soprattutto dovuto al modo entusiasmante e poco ortodosso con cui la bevanda è presentata. Una delle descrizioni più celebri ne paragona il profumo ad un concerto rock, “con sfumature di farfalla danzante su un laghetto ed un retrogusto divino”. Quando Shizuku assaggia per la prima volta il Mont Perat, ha delle visioni indistinte di chitarristi scatenati e fan in delirio: il gruppo si rileva poi essere quello dei Queen e l’acidità del vino è comparata alla voce di Freddy Mercury. L’opera ha avuto una influenza straordinaria, al punto che le vendite dei vini presentati sono aumentate del 130% nel primo anno di pubblicazione. Nominare semplicemente un vino poteva bastare ad aumentarne le vendite del 20- 30% in Giappone e fino al 50% a taiwan, in Cina e in Corea. La serie si è fermata con l’uscita del numero 44, non senza lasciare qualche questione irrisolta. Gli autori hanno quindi scelto di riallacciarsi all’opera con un seguito chiamato Matrimonio, il cui sottotitolo La lunga ricerca arriva alla fine ci presenta il nostro protagonista Shizuku completare la sua iniziazione cercando la migliore sintonia tra cibo e vino. Secondo la tradizione il vino è ritenuto un buon abbinamento per la cucina francese o italiana, ma per gli autori del manga questo può essere associato a qualsiasi cibo, con degli esiti talvolta sorprendenti. Per quanto riguarda i manga non bisogna sforzarsi troppo per trovare delle protagoniste femminili, e molte storie pubblicate con il titolo di Wain Gâruzu (Wine Girls) ne sono
vini. Prima sul web ed in seguito grazie a diversi volumi, il fumetto giapponese ha fatto ricorso ad un processo molto efficace: la personificazione degli oggetti. Nelle sue puntate infatti, i dodici personaggi principali sono delle varietà d’uva umanizzate, ciascuna con un proprio aspetto e carattere. Nel 2015 l’autore ha avuto l’idea di presentare ai fan i vini e le zone di produzione che preferiva, cominciando a caricare online i suoi disegni e le sue storie; ognuna delle protagoniste è modellata su un tipo diverso di uva, con una personalità che sembra riprodurne le caratteristiche principali. Il Cabernet Sauvignon, ad esempio, è una ragazza vivace e curiosa dai capelli corti, mentre sua sorella maggiore, Merlot, è più matura e ha i capelli lunghi: il loro legame è molto forte, non per niente queste due varietà sono alla base di molti grandi Bordeaux. Le due sorelle compaiono nel primo racconto di SANADA, insieme a tanti altri personaggi., tra cui possiamo citare Garmay (utilizzato per il Beaujolais nouveau), che incarna una ragazzina educata ma un po’ infantile, oppure il Pinot Noir, coltivato in Borgogna e rinomato per il suo gusto vellutato, che viene rappresentato da una ragazza un po’ altezzosa e infine il Cabernet Franc, una varietà che prospera nei climi più rigidi, il cui alter ego è una ragazza che ama gli indovinelli e gli scherzi di cattivo gusto. A S ANADA Ikki non basta però presentare soltanto i prodotti più popolari e già conosciuti, vuole esplorare nuovi orizzonti, ad esempio recandosi assiduamente a degustazioni ed eventi vari per scoprire e proporre vini ancora poco noti in Giappone. Non siate quindi sorpresi di trovare un vino tailandese chiamato Malaga bianco, trasposto nel manga con una ragazza dai capelli corti e la pelle olivastra. Wain Gâruzu è uno yonkoma, un manga in quattro vignette, con numerose note alla fine di ogni episodio, così che anche i meno esperti di vino possano cominciare a conoscere il mondo affascinante ma complesso del buon vino. Il secondo titolo della serie Wain Gâruzu è stato scritto da MAtSUYAMA Sanshirô, attore e cantante dai molti talenti, ed è ambientato nella prefettura di Nagano, rinomata per le sue uve ed il suo vino. L’autore immagina che ci sia a Shiojiri un liceo che propone un corso di vinificazione, la protagonista è una ragazza che da Kamakura si trasferisce a Shiojiri, dove vive la famiglia della madre e qui farà la conoscenza di due nuove amiche. Una ha deciso di rinunciare al suo sogno, diventare
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medico, per dedicarsi al vigneto di famiglia ed evitarne il fallimento; l’altra invece ha dedicato la vita al tennis nella speranza di diventare una professionista, sogno frustrato dall’improvvisa malattia dell’amato padre, che mette a rischio il suo ristorante italiano. L’imprevisto convince la giovane a lanciarsi nella produzione di un vino artigianale con la speranza di confortarlo. Sotto la guida di un professore rigoroso ma caloroso le tre si fanno conquistare dal fascino esotico del mondo del vino, dedicando anima e corpo per arrivare al loro scopo: creare qualcosa di speciale. Il duo composto dallo sceneggiatore JÔ Akira e dall’enologo HoRI Ken’ichi ha già creato finora tre manga sul vino. Il primo, Sommelier, è disegnato da KAItANI Shinobu e ci presenta Jo, un sommelier appunto, capace di giudicare il vino come nessun altro ma che rinuncia alla vita dei concorsi e dei premi per viaggiare per il mondo, alla ricerca di un vino misterioso che ha gustato soltanto una vola molti anni prima. Il suo viaggio è costellato di incontri con bizzarri personaggi che aggiungono un tocco umano e caloroso alla storia. Shin somurie Shun no Wain (Il vino del nuovo sommelier Shun) racconta invece la storia di KItAMURA Shun, sommelier d’eccezione che ha consacrato l’intera vita all’arte del buon vino e accetta la proposta di un amico di lunga data, incontrato casualmente, di lavorare in un nuovo ristorante. Questa sfida si trasforma in un processo di continua crescita e maturazione per questo genio del vino. Il manga è stato poi adattato alla televisione, con in primo piano INAGAKI Gorô, allora membro del popolare idol group SMAP. JÔ Akira et HoRI Ken’ichi hanno anch’essi esplorato l’universo dei sommelier, che conta una presenza femminile in continua crescita, con il loro Ra Somuriêru (La sommelier). Protagonista è una ragazza che, rimasta orfana, si iscrive in un’università francese per studiare la scienza della distillazione. Una volta ottenuto il suo diploma torna in Giappone, dove inizia a lavorare per il ristorante L’Espoir come apprendista ed benché accompagnata dal suo responsabile per tutto l’apprendistato, non riesce a ben relazionarsi con i clienti ed è infine licenziata. Passo dopo passo però imparerà a comunicare con gli altri, facendo fruttare le sue conoscenze sul vino. Come altre opere, questo manga contiene numerose spiegazioni sulla cultura e la storia del vino ed è quindi particolarmente adatto agli interessati poco esperti. La coppia vincente mangavino ha anche funzionato nel senso opposto, con alcuni produttori della regione di Katsunuma,
nella prefettura di Yamanashi, che hanno creato una singolare collezione di vini ispirati al mondo dell’animazione e dei manga. La collezione comprendeva vini rossi, bianchi e rosé, ma il suo punto di forza erano le bottiglie stesse e in particolare le loro etichette, illustrate con quarantacinque personaggi tratti da serie popolari, come Gegege no Kitarô o ancora Galaxy Express 999 (Ginga Tetsudô 999). Come si poteva immaginare le bottiglie sono andate a ruba.
Eric Rechsteiner per Zoom Giappone
LETTEraTura Rispetto ai manga, la letteratura ed il cinema giapponesi hanno impiegato più tempo ad usare il vino come tema centrale, anche se lo scrittore KAIKÔ takeshi aveva già pubblicato negli anni ’70 il suo famoso Romanée-Conti 1935. Dopotutto il fenomeno del vino in Giappone è abbastanza recente e subisce la concorrenza, anche nel mondo dell’arte, del saké, della birra e di altri alcolici. Possiamo ad esempio citare il romanzo Van sho wo anata ni (Vino caldo per voi) di KoNDÔ Fumie, che si svolge nel piccolo ristorante francese Pas Mal, con sette tavoli ed un bancone con spazio per massimo cinque persone. Lo chef del ristorante ha studiato in Francia ed è tanto appassionato alla cucina quanto ai piccoli misteri della vita quotidiana, che tenta di risolvere come un autentico detective. Qual è la vera identità della signora che ama la bouillabaisse? E perché la signora Miriam ha smesso di produrre il suo eccellente vino caldo? L’intero libro alterna ed unisce descrizioni di piatti meravigliosi a enigmi veri e propri. MURAKAMI Ryû, uno dei nomi più noti della letteratura giapponese, ha pubblicato nel 1998 una collezione di racconti sotto il titolo Wain ippai dake no shinjitsu (inedito in Italia e non tradotto) che ruota attorno al vino. ogni storia comprende un vino diverso: La-Tâche, un Bourgogne, presta il suo complesso aroma ad una storia dove la confusione regna sovrana. Un Château Margaux riporta invece un po’ di conforto in una notte passata ad attendere invano un rapporto. La sommelier è un’opera del duo Jô Araki et Hori Ken’ichi, illustrata da MATSUI Katsunori.
CiNEMa Quando i giapponesi hanno tentato di fare un film sul vino, si sono prima rivolti a quanto era già stato prodotto all’estero e nel 2009 è uscito il remake di Sideways, cinque anni dopo il successo dell’originale americano. Nel 2014 MISHIMA Yukiko ha scelto lo Hokkaidô per girare il suo terzo lungometraggio, Budô no namida (A Drop Of The Grapevine), un film che racconta di due fratelli isolati che producono vino e pane a partire dal grano e dall’uva che coltivano autonomamente. Il fratello maggiore Ao è in particolare un uomo ostinato e chiuso in se stesso, che sorride e parla molto raramente. Un giorno la loro routine monastica è però messa in dis-
cussione dall’arrivo di una viaggiatrice. Quest’ultima scombussola il loro intero stile di vita, presentando ai due fratelli un nuovo modo di vedere la vita e la felicità, facendo capire loro che gli uomini, come i grappoli d’uva, non possono prosperare nella solitudine. Uno degli ultimi film a mettere in scena il vino, uscito nel 2018, s’intitola Usuke Boys e ha vinto il premio dell’interpretazione al festival del film di Madrid. Il lungometraggio è ispirato dal libro di KAWAI Kaori, che ha ottenuto il Shogakukan Nonfiction Award 2009, e racconta la storia di un gruppo di appassionati del vino e del loro rapporto con con una vera e propria leggenda,
ASAI Usuke, un viticoltore considerato il padre del vino giapponese contemporaneo (vedi pp. 6-9). I giovani sono dapprima convinti che il vino giapponese non raggiungerà mai il livello delle grandi referenze europee, ma cambieranno idea quando assaggeranno il Merlot Kikyôgahara prodotto da ASAI. Questo incontro straordinario muta per sempre la loro vita: lasciano il loro lavoro e cominciano a darsi alla viticoltura, con la missione di produrre un buon vino giapponese applicando gli insegnamenti del maestro. Non vi resta che trovare queste opere e gustarle in compagnia di una buona bottiglia. G. S.
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zoom CUCIna SCOPERTE Il miglior modo di bere Nel cuore di asakusa, presso la Maison de IsshoVin un’interessante iniziazione alla produzione vinicola giapponese.
InFormazIone pratICHe maISon de ISSHoVIn, 1-9-5, asakusa, taitôku, tôkyô (7 minuti dalla stazione di asakusa) aperto tutti giorni dalle 15 alle 23. tél. 03-6231-5103 piatti a partire da 300 yen (2,5€), calici di vino a partire da 600 yen (4,5€), bottiglie a partire da 3000 yen (25€), vino in bottiglie Isshôbin a partire da 4500 yen (40€).
Eric Rechsteiner per Zoom Giappone
S
pesso ci dimostriamo esitanti davanti ad una bevanda che non conosciamo, temiamo di commettere un errore magari e di non saper scegliere. tranquilli, direbbe IWAKURA Hisae, proprietario del ristorante bar La Maison de IsshoVin, a Asakusa, uno dei quartieri turistici di tôkyô. Grande appassionata di vini giapponesi da circa quindici anni, parla delle sue bottiglie come se fossero dei bambini adorati. Un’atmosfera rilassata regna nel suo accogliente locale, con i tavoli disposti attorno ad una grande piastra da cucina. Come in un simpatico bistrot i clienti possono scegliere, ognuno secondo gusto e fame, dei mini assaggi, stile tapas, accompagnati da vini giapponesi ma anche birre artigianali e saké. “Qui io voglio fare scoprire dei vini che si possano bere più e più volte, e sempre con piacere. Ho anche scelto un ambiente informale ma curato, volevo che si creasse un’atmosfera familiare tra i clienti, affinché possano ad esempio chiedere senza indugi a qualcuno nel tavolo vicino quali bottiglie preferisca. Ognuno è libero di passare qui il suo tempo come gli piace: si può semplicemente venire a bere un bicchiere e mangiucchiare qualcosa, oppure mangiare in gruppo e ordinare una magnum”, ci
Nel suo ristorante Iwakura Hisae condivide con i clienti il suo amore per il vino giapponese.
assicurano. D’altronde il nome stesso del ristorante, La Maison du IsshoVin è un gioco di parole tra isshôbin, che indica una bottiglia di saké isshô (un’unità di misura equivalente a 1,8 litri), e il vino. Il saké è stato a lungo imbottigliato in bottiglie isshô, circa l’equivalente di una magnum. Sembra anche che in alcune regioni viticole, come quella di Yamanashi, i produttori utilizzassero queste bottiglie riservate al saké per imbottigliare il vino destinato al consumo locale. Isshôbin evoca la condivisione, un’atmosfera popolare ed una certa vicinanza comune, i vini infatti sono serviti in dei bicchieri senza stelo, in maniera informale e in un clima familiare. IWAKURA Hisae dà molta importanza al rap-
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porto umano, cercando di incontrare almeno una volta i produttori presso i quali compra le bottiglie. “Ciò che mi appassiona è che sono molto spesso dei piccolissimi produttori a produrre i vini giapponesi, c’è un rapporto quasi intimo tra il vino e la persona.: lo spirito di ciascuno di loro si sente in questo nettare divino”, ci confida. IWAKURA usa spesso la parola “dashi”, come per il brodo giapponese con tonno fermentato, per descrivere il gusto del vino. Se infatti il vino è un prodotto della fermentazione, i vini giapponesi, prodotti nel territorio, non dovrebbero avere qualcosa di dashi o perfino di miso (pasta di soia fermentata)? Ma cosa fare quando non si conosce la regione
zoom CUCIna e nemmeno la coltivazione? Per guidarci nel mondo del vino giapponese le abbiamo chiesto le bottiglie che raccomanderebbe in diverse situazioni. un cliente straniero si trova per un breve periodo in Giappone ed è la sua ultima sera a Tôkyô prima di riprendere il volo. Cosa gli consigliate? (nome della partita, annata, regione, varietà, nome del produttore o del vitigno) 1. Beau Paysage 2009, Yamanashi, Cabernet franc, oKAMoto Eishi (Beau paysage) Affascinante, sensuale, sorprendente, un aroma che ricorda i templi asiatici. Sentiamo la forza e la complessità dell’uva, delle quali non possiamo più scordarcene dopo averle sentite: chi lo berrà ne manterrà un ricordo indelebile. 2. Kido private reserve cuvée Akari 2010, Nagano, Chardonnay, KIDÔ Akito (Kidô winery) Piccolissimo produttore e altissimo controllo. Berla significa aprirsi una nuova strada. Lo spirito della bottiglia è chiaro e ben strutturato, si ha voglia di prendersi il giusto tempo per degustarla. Siamo fieri di questo vino giapponese. 3. Nana-tsu-mori Multi vintage, Hokkaidô, Pinot Noir, SÔGA takahiko (Domaine takahiko) Un vino dalla struttura ampia, ma allo stesso tempo concentrato. Lo si può degustare durante tutto il pasto. Un vino creato grazie ad una profonda conoscenza dell’uva, capace di dare dell’energia extra prima di tornare nel proprio Paese.
spesso, servito in una bottiglia isshôbin. una giovane coppia arriva nel vostro ristorante. Può darsi che siano già insieme, può darsi di no ma si piacciono e questo si vede. Volete che la loro serata sia perfetta e che escano un po’ più vicini rispetto agli inizi della serata. Cosa servite? 1. Sans Soufre Blanc, (vin pétillant), Yamagata, Delaware, KISHIDAIRA Noriko (takeda Winery) Vino della prima viticultrice in Giappone a produrre bollicine con del Delaware, una verità tradizionalmente coltivata a Yamagata. Un gusto puro, universale e rassicurante, capace di cambiare mano a mano che il nettare si apre. Un vino rilassante e adatto a chiunque per qualsiasi occasione. 2. Koko 10 R Pinot Rosé 2017, tochigi, Pinot noir, Coco farm Creato nelle vigne di pinot noir più antiche del Giappone. Seducente, molto umami, elegante ed affascinante, dal profumo inebriante. Questa bottiglia potrà certamente animare la tavola. Per concludere, potreste consigliarci una bottiglia da bere da soli, a casa o in un ristorante, magari quando ci si sente un po’ tristi o un po’ deboli e c’è bisogno di consolarsi e recuperare le forze?
un amante del saké viene nel vostro ristorante. Ha un pregiudizio sui vini, come convincerlo?
Kurisawa Blanc, Hokkaidô, varietà miste (una dozzina in media), N AKAZAWA Kazuyuki et Yukiko (Nakazawa Vineyard) Sono stati i pionieri di questo metodo. troverete l’intensità del Gewurztraminer senza troppo zucchero, questo vino dal contorno chiaro vi solleverà teneramente dalle vostre fatiche e vi darà la forza di continuare.
Kôshûsan Budôshu, Yamanashi, Kôshû, FURIYA tadao (Kitanoro Jôzô) Uva molto matura, molto umami, equilibrato,
ora però spetta a voi tuffarvi nell’universo del vino giappoense. SEKIGUCHI RYÔKO
Zoom Giappone è pubblicato dalle Edizioni Ilyfunet 12 rue de Nancy 75010 Paris - Francia Tel: +33 (0)1 4700 1133 / Fax: +33 (0) 4700 4428 www.zoomgiappone.info info@zoomgiappone.info Deposito legale: a pubblicazione ISSN: 2492-7414 - Stampato in Francia Responsabile della pubblicazione: Dan Béraud Hanno partecipato a questo numero: Odaira Namihei, Gabriel Bernard, SEKIGUCHI Ryôko, Silvia Madron, Gianni Simone, Mario Battaglia, Sara Sesia, Eva Morletto, KOGA Ritsuko, Eric Rechsteiner, Johann Fleuri
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TAKACHI Yoshiyuki, KASHIO Gaku, TANIGUCHI Takako, ICHIKAWA Chiho, MASUKO Miho, Marie Varéon (concezione grafica) Pubblicità: info@zoomgiappone.info
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Tanja Houwerzijl per Zoom Giappone
Château Mercian è il successore della Dai-Nihon Yamanashi Budoshu Kaisha fondata durante la metà del XIX secolo.
Sulle tracce dei vini di Kôshû Prodotto nella prefettura di Yamanashi, questo nettare è oggi considerato come uno dei migliori vini del Paese.
Q
uando il cielo è sgombro, KoNDÔ Nobuyuki scorge il monte Fuji all’orizzonte mentre si occupa delle sue vigne. Nella calma olimpica di un pomeriggio di maggio, osserva i primi germogli, sfiora i rami con la punta delle dita. I grappoli non saranno pronti per la vendemmia prima di settembre. Per il momento quindi, si limita a sorvegliarli, come il latte sul fuoco. Si occupa da solo dei suoi venticinque ettari. Il suo vigneto, Komazono, esiste dal 1952 e produce ormai soltanto vino organico. “Lavoro solo l’uva di Kôshû, dalla buccia viola, a partire dalla quale si produce soprattutto vino bianco. Rispetto le tecniche tradizionali antiche e scegliendo la via del biologico, affronto una sfida supplementare” spiega. Il vino organico è in effetti una sfida considerevole in Giappone, “le stagioni delle piogge di giugno e settembre, rendono fragili i grappoli e favoriscono le malattie. A settembre, quando siamo prossimi alla raccolta e poco prima che giungano i primi acquazzoni, copro a mano ogni grappolo con un ombrellino di carta”, aggiunge il viticoltore. Un lungo lavoro da certosino. Komazono si trova nella cittadina di Kôshû, nella prefettura di Yamanashi, prima regione produttrice di vini in Giappone. Il municipio conta a esso solo una trentina di vigneti degli 89 presenti nella prefettura. Essenzialmente, si tratta di piccoli produttori che si impegnano a produrre il miglior vino
possibile. Lo scorso inverno, la giuria femminile della sesta edizione del Sakura Japan Women's wine awards ha consegnato il premio del miglior vino bianco a KoNDÔ Nobuyuki, per la sua cuvée Tao Kôshû. Komazono era in competizione con numerosi vini del mondo intero. L’uomo, sulla cinquantina e padre di tre figli, è alla testa della tenuta vinicola dal 2015 e non nasconde la sua fierezza davanti a questo riconoscimento. Per lui, la chiave di un buon vino risiede nella ricerca di una personalità, di un carattere affermato. Secondo lui, il Giappone è oggi assolutamente capace di produrre del vino eccellente. “Se una donna é bella, é bella in tutti i Paesi, vero? Ma il suo carattere cambia, le personalità sono diverse a seconda delle regioni del mondo in cui abita” fa notare, con un leggero tono da seduttore. “È la stessa cosa per il vino, allora come paragonarli? Ogni vino possiede le proprie ricchezze”. A Enzan, vicino a Kôshû, tSUCHIYA Yukari gestisce l’azienda vinicola Kizan (https://kizan.co.jp), fondata 85 anni fa, e constata le stesse cose. “Oggi la qualità del vino giapponese non cessa di progredire. Ha più forza, più gusto, più carattere. Per i giapponesi il vino ha avuto, per lungo tempo; l’immagine di un prodotto di lusso, per forza costoso, per forza straniero, unicamente presente nei ristoranti gastronomici. Oggi la situazione è diversa, la bevanda ha subito un processo di democratizzazione e si trova facilmente nelle izakaya e nei ristoranti di yakitori. È di buona qualità e ha un prezzo accessibile. I clienti si rendono ugualmente conto che il vino giapponese si sposa meglio
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con la cucina locale” confida la produttrice. ospitata in una splendida residenza signorile antica di 130 anni, la cooperativa Kizan confeziona 40.000 bottiglie all’anno, essenzialmente a partire da uve locali. “Abbiamo una certa pressione per migliorare in continuazione la qualità, ma siamo pronti a cogliere la sfida e abbiamo sempre più domanda” spiega. La coppia ha studiato la microbiologia e l’enologia, in Giappone e in Australia, per essere alla punta dei nuovi metodi di fabbricazione. Kozo, il marito di Yukari, terza generazione di Kizan, ha anche studiato i metodi di fabbricazione tradizionali francesi. “In Giappone accumuliamo le difficoltà. Le stagioni delle piogge arrivano in due momenti chiave nella crescita dei vigneti: alla fioritura e appena prima della vendemmia, questo porta diverse malattie. Il suolo è ugualmente più acido e deve dunque essere migliorato regolarmente. Le superfici dei vigneti sono poi più piccole che altrove, talvolta meno di un ettaro, su pendici scoscese o difficilmente accessibili, questo limita la possibilità di meccanizzazione” riconosce. A tutto ciò si aggiunge l’immagine del vino giapponese che ha sempre patito di una cattiva reputazione presso i consumatori. “Nel passato, la popolazione locale beveva una sorta di succo d’uva alcolizzato, piuttosto spesso, di color marrone, economico ma sgradevole. Si comprava in bottiglioni che venivano condivisi in famiglia, a tavola. Lo si beveva in diversi momenti della giornata. Il vino propriamente detto, è comparso più tardi” racconta tSU-
zoom VIaGGIo sono migliorati, la tendenza cambia. Se la parte di vino giapponese non rappresenta più che 5% della consumazione locale, la proporzione potrebbe arrivare al 10% nel corso del prossimo decennio, affermano diversi specialisti. “Il vino prodotto a Yazmanashi dieci anni fa, non ha più nulla a che vedere con quello che viene prodotto attualmente. Il gusto è completamente diverso. All’epoca, non avrei mai bevuto del vino di Kôshû, oggi, è in assoluto il mio preferito” afferma oMAtA Marie, 32 anni, guida specializzata nella viticoltura giapponese. Dopo aver abbandonato una vita trascorsa nel dipartimento vendite di grandi società come Shiseido, The Japan Times o ancora Tesla, l’affascinante trentenne ha affrontato una riconversione professionale azzardata. Appassionata dal territorio e dai prodotti della sua regione natale, Yamanashi, dove vive da sempre, ha a cuore la condivisione delle ricchezze del patrimonio locale. “Anche quando lavoravo a Tôkyô, preferivo affrontare 1h45 di treno ogni mattina e ogni sera, piuttosto che rinunciare a vivere a Yamanashi”, racconta. Grande viaggiatrice, ha girato il mondo, visitando da sola più di una cinquantina di paesi in una decina d’anni. “Ho una leggera preferenza per la Francia dove mi sono recata otto volte. Amo scoprire nuove culture viaggiando, mi sono resa conto che nessuno sapeva che il Giappone producesse del vino e ho avuto il desiderio di promuovere la mia regione, a modo mio”, aggiunge. oggi lavora come guida al servizio di viticoltori e viaggiatori stranieri, in tour privati (www.facebook.com/yamanashiwineries). “Permetto ai produttori locali che non hanno il tempo di comunicare a proposito delle loro competenze e che non parlano inglese di tessere legami con l’estero”. Lei li consiglia e nota che “le persone partono sempre piacevolmente sorprese. Perché sì, c’è ogni sorta di vino di qualità in Giappone, in particolare a Yamanashi. Si trovano anche vini naturali o prodotti in biodinamica. Il vino di Kôshû ha ugualmente una specificità che viene chiamata “l’aroma ginjôshu”, aroma simile a quello del saké, che lo rende adatto a abbinamenti perfetti con la cucina locale”. La storia della viticoltura giapponese attinge le sue origini nel 1877. All’epoca tAKANo Masanori et tSUCHIYA Ryûken, dipendenti della prima cooperativa vinicola giapponese, la Dai-Nihon Yamanashi budoshu kaisha, hanno intrapreso un viaggio in Francia, sul cammino dei vigneti del Paese europeo fra i più celebri nella produzione vinicola. Passeranno in Francia quarantasei giorni e impareranno le basi del savoir faire prima di tornare e dare l’avvio a una produzione vinicola su grande scala, nella prefettura di Yamanashi. L’uva selezionata è la varietà locale, il Kôshû, coltivato in Giappone da 1300 anni, originario del Caucaso e giunto qui attraverso la Via della Seta. La varietà presenta il doppio vantaggio di essere resis-
Tanja Houwerzijl per Zoom Giappone
CHIYA Yukari. Da quando i metodi di fabbricazione
Il comune di Kôshû ospita una trentina di produttori di vino. dicembre 2019 - marzo 2020 N. 16 zoom GIappone 29
Tanja Houwerzijl per Zoom Giappone
zoom VIaGGIo
KONDÔ Nobuyuki gestisce il vigneto Komazono dal 2015.
tente alle malattie, alla pioggia e al freddo e di avere una texture fresca, con una sottile acidità. Negli anni Settanta, la cooperativa diventa Château Mercian, oggi l’impresa di riferimento nel mondo del vino giapponese. “Il nuovo nome ha permesso di fare riferimento alla Francia, Château per i vigneti francesi e Mercian per merci, grazie” spiega Nakamura Kazuaki, viticoltore per l’impresa. “In Giappone, quando si prepara del saké ad esempio, abbiamo cura di ringraziare il riso, l’acqua e gli agricoltori che ci hanno permesso di arrivare al prodotto finale. Qui abbiamo ripreso l’idea a nostro modo, nel settore del vino.” Quel mattino, una decina di curiosi sono arrivati per visitare le cantine della famosa cooperativa che ha visto nascere i primi litri di vino giapponese, 140 anni fa. Château Mercian (chateaumercian.com/en) coltiva dell’uva Kôshû e Muscat Bailey A a Yamanashi, ma anche dello Chardonnay e del Merlot nella prefettura di Nagano. La cooperativa progetta di ingrandirsi con l’acquisizione prevista per questo autunno di un nuovo vigneto, Mariko, a Nagano. “Il vino giapponese si sposa innegabilmente meglio rispetto agli altri vini con la cucina dell’arcipelago” assicura NAKAMURA Kazuaki. “Il vino Kôshû è eccellente col sushi e il sashimi, i vini rossi si sposano bene con la cucina famiglia giapponese, rappre-
sentata ad esempio dal maiale allo zenzero o dal bue macinato. Siamo assolutamente convinti che il mercato stia ancora per estendersi e per progredire ulteriormente”. A Kôshû e dintorni, sembra che tutta la popolazione locale vibri e viva al ritmo dell’uva, elevato al rango di autentica star locale. La fattoria Miura (www.miurayafarm.com), nel comune di Enzan, coltiva uva da tavola su circa due ettari. Una vita difficile ma piena di soddisfazioni secondo MIURA Makoto, 47 anni. ogni mattina si alza alle 4h. Da maggio a ottobre, sa che non potrà permettersi un solo giorno di riposo. “Tutto comincia nel momento in cui compaiono i primi grappoli. Devo sorvegliarli. Coltivo del Kyohô, del Peony, del Moscato.” A Kôshû, tutti hanno una storia legata a questo frutto. MIURA Makoto è arrivato qui nel 2013, con la moglie Kahoko et la loro bambina Akiho, di 10 anni. “Siamo originari di Kamaishi, nella prefettura di Iwate, a nord-est dell’arcipelago. Dopo il grande terremoto del 2011, abbiamo avuto voglia di cambiare vita. Avevo cambiato diversi posti di lavoro, sono stato anche impiegato in un’impresa nel settore dell’elettricità, ma ho sempre carezzato il sogno di diventare agricoltore un giorno”. Il sisma e lo tsunami sono stati un elettrochoc per questa famiglia che ha lasciato tutto per cominciare una nuova vita. “Mio padre aveva un’impresa legata alla pesca” spiega Kahoko. “Agli inizi ho fatto fatica
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ad abituarmi alla vita quotidiana in montagna, io, figlia del mare. Mi sono sentita rinchiusa. Poi ho cominciato ad apprezzare la vita qui, e oggi sto bene”. La loro figlia, portatrice di handicap, dispone di un miglior accesso alle cure rispetto a quando la famiglia viveva nel tôhoku. “Amiamo molto il vino bianco, il vino Kôshû che facciamo provare con piacere e soddisfazione alla gente di passaggio” spiega. oltre al suo lavoro nei campi, la famiglia apre le porte della fattoria e propone un servizio di bed and breakfast e ristorazione ai viaggiatori. “È un vero piacere accogliere nuovi abitanti nella regione” si congratula da parte sua tSUCHIYA Yukari. “È ottimo per l’economia locale e siamo felici di vedere nuove persone aprire qui nuove aziende agricole e vinicole. Sapete, non c’è un’autentica concorrenza fra noi. La domanda per i nostri vini aumenta, ma siamo già fin da ora al massimo delle nostre capacità produttive, quindi nuove braccia sono sempre benvenute!” JOHANN FLEURI
per arrIVare In partenza daLLa StazIone dI SHInJUKU, a tôkyô, prendere il treno azusa in direzione della stazione di Ôtsuki sulla linea Chûô. Ci vogliono circa 75 mn per percorrere il tragitto. a Ôtsuki, cambiate per una linea locale in direzione di Katsunuma-budôkyô (circa 20 mn). a Katsuma-budôkyô, taxi e autobus saranno a vostra disposizione.
Quasi un secolo fa, Shanghai attraversava un periodo di grandi cambiamenti. Settori interi della città erano sotto amministrazione straniera, e regnava la povertà. Arrivato nel 1921 come corrispondente stampa, lo scrittore Ryonosuke Akutagawa vi incontrò uomini e donne testimoni della rivoluzione cinese. Questo sceneggiato in due parti, largamente ispirato dalla sua opera“Shanghai Yūki”, intreccia con delicatezza le realtà dell’epoca con l’universo letterario di Akutagawa.
Prima Parte Seconda Parte
Sabato 28 dicembre 18:10 Domenica 29 dicembre 18:10
Disponibile in VOD : www.nhk.or.jp/nhkworld/en/ondemand/video