13 Magazine N. 144

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TARIFFA ROC: POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1 COMMA 1 - DCB - ROMA





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S O M M A R I O SPECIALE

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53 Fisioterapia

14 Gli occhi della guerra

53 Dietoterapia

15 La trincea di Fausto

54 Salute e benessere

21 Pacifico, non pacifista

55 Scienze

25 Libertà di stampa

61 Budget e Ricette

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66 Oroscopo

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COSTUME E SOCIETÀ

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X NEWS

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13 IMMOBILIARE

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MAGNAROMA

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31 Unioni civili: di che si parla 31 A passo di lumaca

25 RUBRICHE

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13 Editoriale 37 Libri

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39 Questione di cilindri 43 Arte e Cultura 47 Mode e Modi

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49 Salute e benessere 50 Spettacolando

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di Maurizio Carta

COLOPHON Anno 15 · n.144 · GENNAIO 2016 mensile d’informazione: politica, attualità, cultura, sport, spettacolo, moda www.13magazine.it Direttore Editoriale Claudio Petrollo claudio@visioni-grafiche.it

Direttore Responsabile Maurizio Carta maurizio@visioni-grafiche.it

Art direction Cristian Bifolco cristian@visioni-grafiche.it

Pubblicità Renata Di Santo - Floriana Giusti Giuseppe Regalbuto Amministrazione e Segreteria Ombretta Petrollo Collaboratori 13 Magazine Alessandro Cortellessa - Lucia Bianco Massimo Bolini Simona Bottoni - Palma Agosta Barbara Zorzoli - Sveva Guerreri Gaetano Gaggiottino - Penelope Salomone Editore Visioni Grafiche S.r.l. Direzione e Redazione Via delle Case Basse, 210/212 00126 Roma T. e F. 06.88540120 e-mail: info@visioni-grafiche.it

Stampa Distribuzione C.P.C.B. Service 13 MAGAZINE · tutti i diritti di riproduzione riservati. Salvo accordi scritti o contratti di cessione di copyright, la collaborazione a questo mensile è da considerarsi del tutto gratuita e non retribuita. 13 MAGAZINE · Reg. Trib. di Roma n.439/2009 del 18-12-2009

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“COME RIMEDIO ALLA VITA DI SOCIETÀ SUGGERIREI LA GRANDE CITTÀ. AI GIORNI NOSTRI, È L’UNICO DESERTO ALLA PORTATA DEI NOSTRI MEZZI.” Albert Camus ali, Indonesia, 12 ottobre 2002: nella zona turistica di Kuta scoppiano tre bombe. Una è nello zaino di un kamikaze, l’altra è in un’automobile e la terza viene posta fuori dal consolato americano di Denpasar. Al Paddy’s Pub muoiono 202 persone. I feriti sono 209. L’attentato colpisce soprattutto la comunità australiana. Nel locale molti ragazzi passano i loro giorni migliori per la fine della stagione scolastica. Nei successivi processi viene riconosciuta come responsabile l’organizzazione islamica Jemaah Islamiyah, la cui guida ideologica è Abu Bakar Bashir, al tempo alleato di Al-Qaeda, oggi ufficialmente associato al califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. Giacarta, Indonesia, 14 gennaio 2016: il copione si ripete. A seguito di un attentato rivendicato dall’Isis, muoiono 7 persone e si registrano una ventina di feriti. Il caso indonesiano, con il suo reiterarsi di fatti terroristici a distanza di anni, ricorda da vicino le dinamiche americane (attentato al World Trade Center del 1993, attentati alle ambasciate americane di Kenya e Tanzania nel 1998, 11 settembre del 2001, attentato alla maratona di Boston del 2013, strage di San Bernardino nel 2015), europee (Madrid 2004, Londra 2005, Bruxelles 2014, Parigi 2014 e 2015) e russe (prima e seconda guerra di Cecenia (1994–2009), strage del teatro Dubrovka del 2002, strage di Beslan del 2004, attentato a Volgograd del 2013, abbattimento aereo civile sul Sinai del 2015). Insomma, il terrorismo di matrice islamista è ormai il costante compagno di strada di un’intera generazione, con l’opzione a reiterarsi per chissà quanto tempo. Ma in questo esiste un grande rischio: che il mondo estraneo all’Islam si sclerotizzi, accetti questa condizione di minaccia permanente come naturale, immanente e ineliminabile. D’altra parte, è proprio questo il portato implicito del mantra che si ripete ogni volta che accade qualcosa: vietato farsi cambiare la vita, mutare abitudini, farsi condiziona-

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EDITORIALE

IL MENSILE

PIÙ DIFFUSO E LETTO DI ROMA

SUD

re nella propria libertà. Ed è già esattamente così. Esclusi i giorni immediatamente successivi alle stragi - quelli del martellamento televisivo, delle bandierine sui profili dei social network, delle facce preoccupate - l’effettiva reazione delle metropoli ai massacri è inesistente. Con gli stessi riflessi del cane di Pavlov, tutti tornano prontamente alla vita ordinaria, senza farsi troppe domande. Non stupisce dunque ciò che è accaduto il 10 gennaio scorso a Parigi. Il presidente Hollande, in Place de la République, presenziava alla scopertura di una targa per i 17 morti dell’anno prima (l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo). La cerimonia prevedeva i soliti inni, i soliti aforismi di scrittori morti e i soliti artisti testimonial. La piazza però era mezza vuota. Perché? Perché Place de la République è il luogo simbolo dell’inesorabile perdita d’identità di Parigi: uno slargo assediato dai caffè e dagli skater, il cui enorme monumento alla Repubblica (una statua in bronzo della Marianne) è tenuto nel lerciume, macchiato da scritte con la bomboletta e assediato da cartelli che ricordano, con mediocre retorica, i morti del Bataclan. Si parla della stessa piazza che verso l’imbrunire diventa il refettorio e il dormitorio pubblico di dozzine di persone, alcune delle quali si riparano come possono e la usano come vespasiano. È proprio a Place de la République che ogni giorno la parola “parigino” perde un pezzo del suo storico significato e diventa un sostantivo legato al solo certificato di residenza. D’altra parte è lo stesso clima che si vive a Londra, Amsterdam o nelle megalopoli americane e asiatiche. La città come inesistente comunità: somma di tanti nessuno. Dunque reagire a cosa? E in nome di che?

Distribuito nei seguenti quartieri: ACILIA - AXA - AXA MALAFEDE - CASALBERNOCCHI CASALPALOCCO - DRAGONA - DRAGONCELLO EUR - EUR TORRINO - INFERNETTO MADONNETTA - OSTIA - OSTIA ANTICA - VITINIA

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SPECIALE

di Maurizio Carta

GLI OCCHI DELLA GUERRA IL MONDO DEGLI INVIATI DI GUERRA, LA CRISI DEL GIORNALISMO NELLE AREE DI CRISI, LE EMERGENZE IN MEDIO ORIENTE E NEL MONDO. COSA NE PENSANO DUE GRANDI INVIATI: FAUSTO BILOSLAVO E GIANLUCA ALES

avid Randall è un collaboratore di giornali britannici, americani, russi e africani. Nel 2004 Laterza ha pubblicato in Italia “Il giornalista quasi perfetto”, un suo divertente libro sul mestiere di reporter. In un piccolo paragrafo intitolato “Determinazione a scoprire le cose”, Randall scrive: “Nel 1917 Floyd Gibbons del Chicago Tribune volle salire su una nave che aveva buone probabilità di essere silurata dai tedeschi per poterlo raccontare. Andò come previsto e lui fece il pezzo”. Nell’immaginario collettivo, nono-

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stante le tante trasformazioni della professione, l’inviato di guerra rimane più o meno questo: qualcuno che se la va a cercare, che correrebbe qualsiasi pericolo pur di portare a casa lo scoop. Ovviamente così non è; e non lo è soprattutto per chi conosce a fondo il proprio lavoro e ne capisce il senso. Oggi parlare di aree di crisi, di guerra e di terrorismo comporta rischi probabilmente molto maggiori che in passato. Parallelamente, è enormemente cresciuta la necessità di farlo e di farlo bene. Il motivo è semplice: è

impossibile farsi un’opinione sensata su molti problemi interni (immigrazione, sostenibilità del welfare, mercato del lavoro, eccetera) senza considerare l’incidenza sugli stessi delle tante aree di crisi vicine e lontane dall’Italia. Per questo abbiamo chiesto a due tra i migliori inviati italiani le rispettive opinioni sul loro lavoro e sui luoghi che raccontano da decenni. Ne esce un quadro complesso, sospeso tra speranza e sfiducia, fatalismo e tragedia, commozione e razionalità.


SPECIALE

LA TRINCEA DI FAUSTO austo Biloslavo può essere definito il rettore degli inviati di guerra italiani. Giornalista coraggioso e apprezzato da molte testate (Il Giornale, Il Foglio, Panorama e i maggiori telegiornali nazionali), ha iniziato la sua carriera nei primi anni Ottanta. Biloslavo ha raccontato l’Afghanistan invaso dall’URSS, le tante guerre africane (Sudan, Uganda, Mozambico, Ruanda, eccetera), il Medio Oriente, i Balcani, l’Ucraina e il Sud-Est Asiatico (in particolare le Filippine). Nel 1987 è stato incarcerato per circa 200 giorni a Kabul. Poco

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TRENT’ANNI PASSATI A RACCONTARE LE CRISI DEL MONDO. COME È CAMBIATO IL MESTIERE DI INVIATO, QUALI SONO I RISCHI PER L’ITALIA E CON CHE PROSPETTIVA GUARDARE ALLE TANTE GUERRE IN CORSO. INTERVISTA A FAUSTO BILOSLAVO tempo dopo ha subìto, sempre in Afghanistan, un grave attentato alla vita. Fondatore nel 1983 dell’agenzia di stampa Albatross, ha vissuto anche il dramma di perdere, a causa del lavoro, uno dei suoi soci e amici, il giornalista Almerigo Grilz (Mozambico, sempre nel 1987). Nonostante gli enormi rischi e i rovesci connessi alla professione, Fausto Biloslavo non ha mai smesso di fare con entusiasmo l’inviato di guerra. In un contesto editoriale che cambia e che fatica a sostenere i costi connessi alle testimonianze sul campo, ha anche inventato un nuovo modo di finanziare e realizzare reportage giornalistici. Dal 2013 è infatti promotore dell’iniziativa “Gli occhi della guerra”, un sito attraverso il quale i lettori scelgono i reportage meritevoli di essere realizzati e contribuiscono alla raccolta dei fondi necessari (www.gliocchidellaguerra.it). Con Fausto Biloslavo abbiamo discusso delle crisi in corso e dello stato della professione di inviato.

palestinesi erano musulmani ma non avevano una matrice islamica, salafita e fondamentalista come oggi. Era dunque molto diverso. C’erano però le premesse a quello che vediamo oggi. Se guardo indietro a questi trent’anni - e mi riferisco non solo al Medio Oriente ma anche ai Balcani, alle Filippine, all’Afghanistan - posso dire che sì, c’erano delle premesse. Durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan vennero appoggiati dall’Occidente i primi mujaheddin. Li si classificava come combattenti per la libertà. Poi negli anni Ottanta e Novanta (ricordo il caso dei mujaheddin provenienti dall’estero in Bosnia) si è visto che erano i germi di quello che poi sarebbe esploso con l’11 settembre, con l’invasione dell’Iraq e con la lunga e non completamente vittoriosa missione della Nato in Afghanistan. Alla fine sono arrivate le Primavere arabe e hanno dato la stura alle bandiere nere e a tutto il resto. C’è un filo conduttore del quale negli anni si vedevano i segnali d’allarme. Tutto questo grazie anche agli errori commessi in Occidente. Una domanda scontata ma che va fatta. Hai alle spalle circa 200 giorni di carcere in Afghanistan, un attentato alla tua vita (Kabul), l’esperienza della morte di colleghi e amici

Fai questo mestiere quasi da oltre trent’anni. Segui il Medio Oriente dalla fine degli anni Settanta. Secondo te, in questo lasso di tempo, il mondo islamico ha subito una mutazione genetica? Il radicalismo a cui è approdato è il risultato di premesse che già c’erano negli anni Settanta? Il mio primo reportage è stato durante l’invasione israeliana del Libano (1982). Che dire, come sempre si stava meglio quando si stava peggio, ai tempi della guerra fredda. Allora esisteva il terrorismo - ad esempio quello palestinese - ma era laico. I

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SPECIALE come Almerigo Grilz e tanti altri episodi al limite del rischio. Adesso hai anche una famiglia. Eppure continui a girare il mondo e a raccontare la guerra. Perché? Cosa ti spinge? Perché fondamentalmente ogni buon giornalista è un testimone, testimone anche della storia. E qualcuno questa storia deve raccon-

tarla. Ho imparato sulla mia pelle e quella degli amici perduti, facendo questo lavoro, che nessun pezzo vale la vita. Penso però che sia nostro dovere andare là dove i fatti accadono e raccontarli da cronisti, nella maniera migliore possibile, anche se l’obiettività assoluta non esiste e la verità è un mito, non compete a noi uomini. Noi possiamo raccontare piccoli episodi di un conflitto, di una grande guerra ma questo dovere di testimonianza non morirà mai, neanche quando appenderò il giubbotto antiproiettile al chiodo. Ci saranno altri che raccoglieranno il testimone. Vieni dal mondo della destra triestina e nell’ambiente giornalistico questo pedigree - più in passato che ora - non è mai stato ben accettato. È stata più dura, in virtù di questa giovanile passione politica, affermarsi nella professione? Esiste ancora oggi un pregiudizio ideologico tra giornalisti? Queste sono le stigmate che ti porti dietro per sempre. Anche se la realtà è che io militavo nel Fronte della Gioventù quando stavo al liceo. Dal momento che ho avuto la prima tessera da giornalista, quella da pubblicista,

non mi sono più iscritto a nessun movimento o partito. Le idee poi evolvono ma le stigmate dell’uomo nero te le porti dietro. Fosse stato il contrario, avessi avuto le stigmate della sinistra, sarei diventato direttore di qualche giornale. Quanto conta, nella scelta del tuo lavoro, la storia della tua famiglia? (Biloslavo è nipote di istriani della diaspora, costretti a scappare dalle loro terre a causa delle violenze perpetrate dai partigiani titini. Ndr). Ti sei anche occupato a fondo della tragedia degli infoibati... È contato. In realtà all’inizio mi ha spinto un desiderio d’avventura alla Corto Maltese: raccontare, scrivere, fotografare e sbarcare il lunario. Però dopo, soprattutto con il conflitto alle porte di casa, mi riferisco a quello della ex Jugoslavia, ho rivisto le stesse immagini che mi raccontava mia nonna (oltre che mio padre, ma mio padre era molto giovane quando è scappato dall’Istria). Si ricordava bene delle foibe e della tragedia degli italiani che avevano perso la seconda guerra mondiale e che, con l’avanzata delle truppe di Tito, avevano subito le violenze e l’esodo, come nel caso della mia famiglia. Ho ritrovato le stesse immagini e le stesse situazioni: il filo di ferro che per esempio legava le mani dei massacrati di Srebrenica. In generale ho ritrovato quel calderone jugoslavo nel quale nessuno poteva dire di essere innocente; da tutte le parti erano state commesse delle stragi e delle porcherie che ricordavano quelle della fine della seconda guerra mondiale. Quanto alle foibe, posso dire che negli anni Settanta erano un argomento tabù sui banchi di scuola. I testi di storia gli dedicavano due righe nelle quali si parlava solo dei fascisti. Io ho alle spalle questa storia familiare sia da parte paterna che materna: mio nonno è stato portavo via dai titini molto probabilmente per uno scambio di nome con un altro parente che era del regime fascista; pensa che non aveva fatto nemmeno il servizio militare per problemi di salute. Le foibe erano un tabù assoluto negli anni Settanta, è venuto leggermente alla luce negli anni Ottanta ed è esploso negli anni Novanta grazie alle inchieste e agli articoli che, ad esempio, abbiamo fatto su Il Giornale, portando alla luce questa vergogna. Da giovane eri un buon quattrocentista e in generale un appassionato di atletica. È una dote che ti è servita nel lavoro?

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SPECIALE

Sì, moltissimo. Fin da giovane ho fatto atletica: 400, 800, 2000 e corsa campestre. Tutto questo mi è servito per il fiato. Ancora oggi ce ne vuole per portare il giubbotto antiproiettile, l’elmetto e lo zaino. Non so fino a quando potrò farlo, però mi è servito molto, anche per scappare velocemente. Hai raccontato le crisi in Africa, nei Balcani, nel Caucaso, in Estremo Oriente, in Asia, in Medio Oriente. C’è un punto del mondo, un posto che hai raccontato in tutti questi anni, per il quale sei ottimista? Per il quale vedi vie d’uscita? In realtà tutte le guerre finiscono, prima o dopo. Il problema è sapere quando. Il genocidio in Ruanda sembrava una tragedia immane e irrecuperabile, eppure è finito anche quello (anche se nel paese comanda un padre-padrone). Le guerre civili in Angola e in Mozambico sono state terribili ma sono finite. Perfino il conflitto in Afghanistan, che dura da oltre trent’anni, prima o dopo dovrà finire. Io alla fine sono un inguaribile ottimista, ricordo la guerra civile in Libano: oggi ci sono altri problemi ma almeno la guerra è finita; a Beirut, nonostante qualche attentato sporadico, non si vive nemmeno troppo male. Spero di avere davanti a me gli anni, la salute e la forza per vedere alcune gran-

di guerre finire. I dieci anni di guerra nella ex Jugoslavia hanno lasciato di certo degli strascichi pesanti, il fuoco arde ancora sotto la cenere, ma anche quelli sono finiti. Cos’è la guerra per Fausto Biloslavo? Tutto questo tempo passato a raccontarla ha cambiato i tuoi punti di vista? Sì, certamente. Ho cominciato con i calzoni corti, da giovane, pensando che il mondo fosse in bianco e nero, e invece mi son reso conto - seguendo tante guerre - che ci sono molte sfumature di grigio, a volte terribili anch’esse. Non bisogna partire per un reportage di guerra con i paraocchi e la presunzione di avere la verità in tasca. Questi ultimi anni, in particolare, stanno dimostrando che è così: pensavamo che fosse meglio la democrazia al posto di dittatori come Gheddafi o personaggi autoritari come Mubarak e ci siamo resi conto che forse non avevamo visto giusto. Il pericolo più grande per l’Italia? È che sottovalutiamo, o meglio, siamo restii a intervenire alle porte di casa, ad esempio in Libia, dove le Bandiere nere stanno, con lo stesso copione dell’Iraq e della Siria, espandendosi. Se riuscissero a fare quello che hanno fatto in Medio Oriente, sarebbe una minaccia immanente dall’altra parte del Mediterraneo.

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SPECIALE

PACIFICO, NON PACIFISTA ianluca Ales è in forza a Sky Tg24. Dopo una lunga gavetta, un percorso professionale che lo porterà ad occuparsi di cronaca giudiziaria, economia, politica e molto altro, approda agli esteri.

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stabile dell’informazione. Dunque oggi la corrispondenza dall’estero sta riacquisendo le luci della ribalta. Certo, dopo tanti anni nei quali l’argomento è stato trascurato, un po’ di avventurismo e d’improvvisazione si vede. È poi cambiata la struttura del giornalismo. Trent’anni fa i giornalisti erano un potere. Oggi si è assistito a un depauperamento della professione, di conseguenza il giornalismo di esteri, che rappre-

LA STUPIDITÀ E LA NECESSITÀ (A VOLTE) DELLA GUERRA. I PROBLEMI DEL MEDIO ORIENTE E L’IMMATURITÀ DELL’OPINIONE PUBBLICA. GIANLUCA ALES RACCONTA IL SUO LAVORO E I LIMITI AD ESSO CONNESSI Negli anni si occupa di eventi di particolare importanza. Segue le elezioni palestinesi e la crisi a Gaza, il funerale di Arafat, la strage di Madrid dell’11 marzo, gli attacchi a Londra e Istanbul, la Guerra del Libano del 2006, i terremoti di Bam del 2003 e lo Tsunami del 2004 da Banda Aceh, in Indonesia. Ha inoltre raccontato diverse volte, in qualità di giornalista embedded, l’Afghanistan, paese nel quale si reca con costanza sin dalle elezioni del 2004. Con lui abbiamo parlato del momento che passa il giornalismo e degli attuali scenari caldi nel mondo... Hai detto che trent’anni fa, quando hai iniziato, interessarsi di politica estera era occuparsi dei piani alti del giornalismo. Oggi osservi che gli inviati occupano lo scantinato. Cos’è successo? Devo dire che le cose stanno cambiando anche da questo punto di vista. È successo quello che si poteva prevedere: con un Medio Oriente in fiamme non ci si poteva permettere di relegare le notizie estere ai piani più bassi dello

senta anche quello più costoso, ne ha pagato le conseguenze. Per dirla in parole povere: un tempo mandare in giro un inviato era una cosa che un giornale si poteva permettere. Oggi si preferisce delegare alla figura del freelance, che molto spesso è una persona brava, competente e capace, ma altrettanto spesso si improvvisa. Un inviato, se fa bene il suo lavoro, vede di tutto. In 25 anni di carriera ti saranno capitate molte cose, alcune delle quali forse non le hai nemmeno raccontate. Mi racconti un episodio che ti ha particolarmente commosso o colpito? Non ho mai avuto episodi di censura nella mia carriera. Se non ho parlato di alcune cose è perché è stata una mia valutazione autonoma. In Libano ad esempio mi fecero vedere dei cadaveri che secondo loro erano vittime di un bombardamento di armi chimiche. Io dunque chiesi se c’era un medico anatomopatologo che mi riuscisse a certificare che fossero state effettivamente vittime di armi chimiche. Mi dissero di no e io decisi di non espormi perché non avevo elementi che suffragassero la notizia. Non è il sensazionalismo che mi interessa. Tra gli episodi che mi hanno colpito ce n’è sicuramente uno a Cana, sempre in Libano. Durante un bombardamento estrassero il corpo di un bambino. Lì per lì pensammo che fosse vivo perché lo portavano in corteo. Poi invece ci accorgemmo con l’operatore che non si trattava di un salvataggio ma mostravano alle telecamere il corpo di un bambino senza vita. Un altro episodio lo cito in senso positivo. Quando stavo a Banda Aceh, successivamente allo tsunami del 2004, mi ricordo una gara di solidarietà dei locali: persone che aprivano casa agli sconosciuti o che adottavano dei

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SPECIALE bambini in attesa di trovare i genitori. Molte volte anche solo per proteggerli da eventuali rapitori o approfittatori. Hai seguito tante aree di crisi: Afghanistan, Israele, Palestina, Siria, Libano, eccetera. Mi dici uno scenario per il quale sei ottimista (se c’è) e uno per il quale sei pessimista? Siccome mi sono occupato fondamentalmente di Medio Oriente, direi che i fatti degli ultimi giorni dimostrano che c’è poco spazio per l’ottimismo. Non mi vengono in mente luoghi per i quali pensare a sviluppi positivi. Tra i punti in cui c’è maggior criticità possibile mi viene in mente il Libano. È una grandissima incognita: è schiacciato a sud dal conflitto tra Hezbollah e Israele, e a nord dalla guerra civile siriana. Un paese di 4 milioni e mezzo di abitanti e 1 milione di profughi. Un paese che ha già collassato più volte. Poi se penso all’Isis, a dir la verità non so se tra 5 anni continueremo a parlarne. Il problema è che il problema non è solo l’Isis. Noi paghiamo scelte folli dell’Occidente dall’inizio del Novecento in poi. Le scelte non sono mai indolore in politica estera. Se decidi di inventarti uno stato - poniamo il caso del Kuwait - non è che puoi pensare che la sua presenza sia priva di conseguenze. E infatti il Kuwait è la miccia che ha scatenato la prima guerra del Golfo. Lo scenario in cui hai corso più rischi? Sicuramente la Libia, quando è caduto Gheddafi. Arrivai insieme a un drappello di giornalisti italiani ed eravamo tutti impreparati allo scenario che ci si presentava. Pensavamo a una situazione sotto controllo e invece da subito, a Tripoli, ci trovammo di fronte al caos. Non a caso Quirico e altri tre giornalisti italiani vennero rapiti esattamente mezz’ora dopo che avevo fatto lo stesso loro percorso. Senza contare che mi sono trovato a fare una diretta mentre i cecchini sparavano contro l’albergo. Un’altra zona nella quale ho rischiato è stata il Libano. Mi sono trovato sotto i bombardamenti israeliani in diverse occasioni. In Afghanistan invece il mio convoglio finì su uno Ied (ordigno improvvisato, ndr) e dunque dovemmo passare la notte dentro il Lince in formazione e con possibili presenze talebane intorno. Sono stato minacciato diverse volte e hanno cercato di rapirmi un paio di volte. Di mio però cerco di non mettere troppo l’accento su certe esperienze perché si fa l’errore di descrivere i giornalisti di guerra come avventurieri, quando invece nella maggior parte dei casi sono solo persone che cercano di capire una realtà molto complessa. Correre rischi ha senso solo se questo ti permette di mettere in luce una verità altrimenti irraggiungibile. Altrimenti diventa una caccia all’adrenalina che non capisco. Tu hai una famiglia e tre bimbi. In altre sedi hai dichiarato che non rinunceresti a questo lavoro e che i tuoi cari lo sanno. Cosa ti spinge a correre dei rischi? Ognuno ha una risposta diversa a questa domanda. Fondamentalmente io credo che la spinta dietro tutti sia la solita: quella di testimoniare, nella sua drammaticità, la brutalità e la stupidità della guerra. Io credo che tutti quelli che si occupano di questo lavoro siano spinti da questo. Perché,

sì, è vero, esistono i fanatici dell’adrenalina. È inoltre vero che dal punto di vista giornalistico andare in guerra è facile: le notizie ti saltano addosso, se sei un minimo avvezzo al mestiere trovare da scrivere ogni giorno è semplicissimo. Ma è anche vero che l’inviato di guerra è una figura che non esiste quasi più. C’è l’inviato di esteri e uno degli aspetti è la guerra. Si dice che la libertà di stampa e un buon giornalismo siano delle componenti irrinunciabili dei regimi democratici compiuti: aumentano la qualità dell’opinione pubblica. Questa valenza civica del giornalismo, chiamiamola così, vale anche per chi si occupa di esteri?

Ti rispondo semplicemente. In un mondo globale non puoi più pensare di limitare le tue opinioni al tuo piccolo orticello. Lo vedi anche nella politica italiana: sul tema dell’immigrazione non puoi prendere posizione a prescindere dalla conoscenza dello scenario mediorientale. Si rischia di dire corbellerie. È fondamentale conoscere quello che succede nel cortile di casa. Non possiamo più tenere gli esteri all’angolo. In un tuo intervento pubblico ti sei schierato contro la schizofrenia dell’opinione pubblica. Hai ricordato i fatti jugoslavi: fino all’intervento, ci si scandalizzava perché c’era una carneficina in corso e non si interveniva; poi, quando si è intervenuti, il problema era che i nostri militari erano diventati a loro volta macellai. Come se ne esce? Questo è il problema del pacifismo a oltranza. Io lo dico sempre: sono pacifico ma non sono pacifista. Non si può pensare che la pace sia un valore assoluto da difendere rispetto ad eventuali carnefici. Puoi essere pacifista quanto vuoi, ma contro l’ISIS devi intervenire con le armi. Devi ovviamente calibrare l’intervento ma non puoi evitarlo. È come l’amputazione: una persona può essere forse favorevole o contraria all’amputazione? No. È una cosa drammatica, tragica, che ti devasta la vita, ma che forse te la salva. Quindi la guerra certe volte va considerata come un intervento chirurgico demolitivo ma necessario. Sinceramente un intervento squisitamente politico contro l’Isis non me lo so immaginare.

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di Palma Agosta

SPECIALE

A P M A T S I D À T R E LIB I DATI DICONO CHE L’ITALIA È ANCORA LONTANA DAGLI STANDARD EUROPEI

ultimo rapporto di “Reporter senza frontiere” parla chiaro: nel 2015 sono stati uccisi 110 giornalisti, due terzi dei quali fuori dagli scenari di guerra (nel 2014 era esattamente il contrario: i due terzi dei giornalisti erano stati assassinati nelle zone di guerra). Se a questo si aggiunge che i rapiti sono aumentati del 35% e che gli incarcerati salgono a quota 153 (si distinguono Cina, Egitto, Iran, Eritrea e Turchia), si capisce come il momento che passa il giornalismo non sia dei migliori. D’altra parte, lo stesso segretario dell’ONU, Ban Ki-Moon, ha dichiarato: “Sono profondamente preoccupato per i fallimenti che riguardano la necessaria riduzione della frequenza e della scala della violenza riservata ai giornalisti, nonché della quasi totale impunità legata a tali crimini” (agosto 2015). Per i delitti contro i giornalisti esistono metri e misure molto diverse. Se tutti ricordano benissimo l’eccidio di Charlie Hebdo, i 12 morti del 7 gennaio 2015 (8 dei quali giornalisti), molti meno ricordano i nomi di Avijit Roy, Ananta Bijoy, Washiqur Rahman, Niloy Chakrabarti: quattro blogger del Bangladesh assassinati tra il febbraio e l’agosto dell’anno scorso. La loro colpa? Erano laici che credevano nella tolleranza, nella libertà di pensiero e di parola. Una colpa imperdonabile per i membri di Ansar al-Islam (gruppo legato ad al-Qaeda) e l’Ansarullah Bangla Team. C’è poi il caso specifico italiano. Sempre stando a una classifica mondiale stilata da Reporter senza frontiere, nel 2014, ultimo anno per cui il dato è disponibile, l’Italia scende per libertà di stampa al 73esimo posto, tra la Moldavia e il Nicaragua, perdendo ben 24 posizioni rispetto

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all’anno precedente. In ogni caso, “Il peggioramento globale è incontestabile” - si legge - “nel 2014 c’è stata una drastica caduta della libertà d’informazione. Due terzi dei 180 Paesi censiti hanno avuto un risultato peggiore rispetto all’anno passato”. Dal 2000 al 2014, a livello internazionale, sono stati uccisi 1298 giornalisti. Nel 2015, oltre agli otto morti nella strage a Charlie Hebdo, si registrano delitti in Yemen, Messico, Armenia, Turchia, Ucraina, Colombia, Guatemala, Iraq, Afghanistan, Sud Sudan e Zambia. Anche l’Italia ha la sua ecatombe: almeno 28 giornalisti italiani sono stati uccisi negli ultimi 50 anni (11 in Italia e 17 all’estero). Per capire il problema italiano sono utili i dati diffusi nel corso del convegno “Proteggere i giornalisti, conoscere le verità scomode”, promosso da Fnsi e Ordine dei giornalisti in collaborazione con l’associazione “Ossigeno per l’informazione”. In Italia ci sono migliaia di giornalisti che subiscono minacce a causa del loro lavoro. Negli ultimi sette anni i casi verificati da Ossigeno sono stati 2035.

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SPECIALE Dal 2009 il clima intimidatorio, il conflitto di interessi in materia radiotelevisiva e la concentrazione della proprietà editoriale sono indicati nei rapporti annuali di Freedom House e di Reporter senza frontiere fra le cause del declassamento dell’Italia nelle graduatorie internazionali sulla libertà di stampa: in Italia l’informazione è definita “parzialmente libera” a differenza degli altri paesi dell’Unione Europea, in cui l’informazione giornalistica è “libera”. L’ATTIVITÀ DI OSSIGENO Nei primi 358 giorni del 2015 Ossigeno ha documentato minacce a 405 giornalisti, con un aumento del 10% rispetto al 2013. Inoltre ha reso note minacce ad altri 116 giornalisti per episodi degli anni precedenti venuti a galla solo adesso. Sul sito www.ossigenoinformazione.it, per ogni caso l’Osservatorio aggiunge il numero dei giornalisti minacciati al Contatore che è pubblicato in homepage

insieme alla cartina che indica la distribuzione degli episodi Regione per Regione. Il Contatore indica sia il numero dei giornalisti che hanno subito intimidazioni nell’anno in corso sia il totale registrato dall’Osservatorio dal 2006 a oggi. Dal 1° gennaio 2015 il Contatore ha avuto un incremento di 521 unità e il totale ha raggiunto quota 2666. Secondo le stime di Ossigeno esposte in uno studio del 2011, dietro ogni intimidazione documentata dall’Osservatorio almeno altre dieci restano ignote perché le vittime non hanno la forza di renderle pubbliche. Dal 2015 Ossigeno partecipa al progetto europeo denominato European Centre for Press Media Freedom (ECPMF) ed è fra i fondatori del Centro Internazionale per la libertà di Stampa, istituito a Lipsia (Germania) a giugno del 2015. Insieme ai suoi partner, Ossigeno è impegnato a far conoscere a livello internazionale il paradosso italiano di un paese libero e democratico in cui si verificano migliaia di minacce e intimidazioni senza che le autorità intervengano per impedirle e senza che i giornali ne parlino. Fra l’altro Ossigeno propone di applicare in altri paesi il suo metodo di monitoraggio attivo (Ossigeno Censorship Detector) che è stato codificato e sperimentato con efficacia in Italia, dove ha rivelato l’esistenza e la consistenza di una moderna forma di censura che probabilmente affligge anche altri paesi formalmente liberi.

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COSTUME E SOCIETÀ

di Palma Agosta

UNIONI CIVILI: DI CHE SI PARLA

IL DIBATTITO È SPESSO CONFUSO E PIENO DI INGLESISMI. ECCO I PRINCIPALI PUNTI DEL DISEGNO DI LEGGE CIRINNÀ i definiscono unioni civili tutte quelle forme di convivenza fra due persone, legate da vincoli affettivi ed economici, che non accedono volontariamente all’istituto giuridico del matrimonio, o che sono impossibilitate a contrarlo, alle quali gli ordinamenti giuridici abbiano dato rilevanza o alle quali abbiano riconosciuto uno status giuridico. Grazie alla rilevanza statistica delle unioni civili, e l’ampio dibattito sulla parità dei diritti tra eterosessuali ed omosessuali promosso dagli attivisti LGBTQ, numerosi Paesi si sono dotati, negli ultimi anni, di una legislazione per riconoscere e garantire diritti per i componenti dell’unione. Nell’Unione europea che si occupa del con apposite risoluzioni dal 1994 - il quadro relativo alla legislazione sulle convivenze è oggi molto variegato. Alcuni Paesi hanno adottato l’unione registrata, chiamata anche partnership o coabitazione registrata, che garantisce specifici diritti e doveri anche alle coppie dello stesso sesso. I diritti e doveri possono essere identici, lievemente diversi o molto diversi da quelli delle coppie normalmente sposate. La registrazione è a volte aperta anche alle coppie etero non sposate; è il caso della Geregistreerd Partnerschap, unione re-

S

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gistrata approvata nei Paesi Bassi, e del PACS (“Patto civile di solidarietà”) approvato in Francia. In alcuni casi invece l’unione civile è ammessa esclusivamente per coppie omosessuali. Altri Paesi hanno scelto di regolarizzare le unioni civili con la coabitazione non registrata, con la quale alcuni diritti e doveri sono automaticamente acquisiti dopo uno specifico periodo di coabitazione. Alcuni Paesi europei - tra essi Paesi Bassi, Belgio e Spagna - oltre ad aver approvato il riconoscimento giuridico delle coppie non coniugate di qualunque sesso, hanno aperto il matrimonio alle coppie dello stesso sesso per realizzare la parità perfetta tra etero e omosessuali. Il Parlamento europeo lo scorso settembre ha chiesto a nove Stati membri su 28 di “considerare la possibilità di offrire” alle coppie omosessuali istituzioni giuridiche come “la coabitazione, le unioni di fatto registrate e il matrimonio”. La richiesta è inserita nel paragrafo 85 del rapporto sulla Situazione dei diritti fondamentali nella Ue approvato oggi a Strasburgo. L’Italia, come è noto, si sta adeguando. Ma quali sono i contenuti del Disegno di legge Cirinnà, il provvedimento che in merito fa tanto discutere? Quali sono i diritti dei gay con le nuove norme, e come viene disciplinata la convivenza di fatto per le coppie omosessuali ed eterosessuali? Cosa succede per il cognome, la casa, la pensione, le decisioni in caso di malattia o di morte, l’eredità? Il decreto riguarda le unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze. È composto da due capi e 23 articoli. Il primo capo inserisce nel nostro ordinamento l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso quale “specifica formazione sociale”, ai sensi di quanto prevede l’articolo 2 della Costituzione. Si tratta dunque di un legame diverso dal matrimonio fra eterosessuali, anche se presenta molti doveri e diritti in comune con esso. Il secondo capo disciplina la convivenza di fatto, sia eterosessuale che omosessuale.


COSTUME E SOCIETÀ Per costituire un’unione civile bisogna essere maggiorenni e recarsi di fronte all’ufficiale di stato civile con due testimoni. L’ufficiale provvede alla registrazione. L’unione non è possibile quando una delle due persone sia già sposata o abbia un’altra unione; una delle due persone sia interdetta; sussistano rapporti parentela analoghi a quelli che impediscono il matrimonio; una delle due persone sia stata condannata per omicidio del coniuge dell’altra persona o di chi le sia stato unito civilmente. Nel caso di rinvio a giudizio o di sentenza non definitiva l’unione è sospesa. Chi si unisce deve indicare il regime patrimoniale e l’eventuale adozione di un cognome comune. È anche possibile anteporre o posporre al cognome comune il proprio. I diritti e i doveri derivanti dall’unione sono disciplinati dall’articolo 3. Tra i più rilevanti: fedeltà, assistenza morale e materiale, coabitazione, contribuzione ai bisogni comuni, potere e dovere di concordare l’indirizzo della vita familiare, estensione delle disposizioni di legge e dei contratti previste per matrimoni e coniugi anche alle unioni. Per l’eredità si applicano le stesse norme esistenti per i coniugi. L’articolo cinque disciplina un caso controverso: quello della stepchild adoption, ovvero l’adozione del figliastro. Si tratta dell’istituto per il quale una delle due persone

può adottare il figlio naturale dell’altra, come avviene per i coniugi. Chi gli è contrario sostiene che, aprendo all’adozione del figlio naturale di un compagno, aumenti il numero di coloro che si recheranno all’estero nei paesi in cui è possibile avere un figlio pagando la donna che poterà a

termine la gestazione. Al suo posto si propone dunque un istituto simile all’affido, detto “affido rinforzato”, con più tutele per il minore, ma più blando dell’adozione. L’articolo dovrebbe essere modificato con un emendamento al Senato. Un’unione civile si scioglie con le stesse modalità di un matrimonio. Il disegno di legge disciplina anche le pensioni di reversibilità. Al coniuge spetta una parte della pensione del partner defunto. Detta norma si applica in caso di unione civile tra persone dello stesso sesso, ma non in caso di convivenza. Secondo le stime più accreditate, il costo per lo Stato potrebbe arrivare a regime a una quarantina di milioni l’anno. Il testo disciplina inoltre le convivenze, cioè un rapporto che lega due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia che non siano né matrimonio né unione civile. I diritti e i doveri della convivenza sono la reciproca assistenza in caso di malattia, di ricovero, la possibilità di visita in carcere. Ciascun convivente può inoltre designare l’altro quale suo rappresentante con pieni poteri in caso di malattia o di morte per le decisioni in materia di salute, donazione di organi, funerali. In caso di morte di uno degli attori, il convivente superstite ha il diritto di continuare ad abitare nella stessa casa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore ai due anni, e comunque per non più di cinque anni. Il convivente ha inoltre diritto di succedere al deceduto nei contratti di affitto. Ai conviventi si applicano le regole riguardanti i nuclei familiari per l’assegnazione delle case popolari. In tema di mantenimento o di corresponsione di alimenti in caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilirà la corresponsione per un periodo proporzionale alla durata della convivenza. Se un convivente lavora nell’impresa dell’altro gli spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare, a meno che tra i due non esista un altro rapporto di società o di lavoro subordinato. Gli altri campi in cui un convivente è parificato al coniuge sono l’interdizione, l’inabilitazione, il risarcimento dei danni. Il contratto di convivenza è lo strumento con il quale i conviventi fissano la comune residenza, le modalità di contribuzione alla vita comune e il regime patrimoniale. Il disegno di legge arriverà in aula al Senato il 26 gennaio.

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di Palma Agosta

A PASSO DI

LUMACA

OTTAVO RAPPORTO DI EUROMOBILITY SULLA MOBILITÀ SOSTENIBILE NELLE PRINCIPALI 50 CITTÀ ITALIANE

on una media di 58,4 automobili ogni 100 abitanti, gli italiani detengono il record di motorizzazione in Europa: un dato che la dice lunga su quanto la pubblica amministrazione rimanga attaccata a logiche passate. Euromobility è un’associazione italiana senza fini di lucro che promuove un’azione culturale volta a stimolare l’introduzione di nuove forme di mobilità e trasporto. Un rapporto appena emesso aiuta a capire cosa c’è da fare. Timidi i passi in avanti. Se infatti nel 2014 si registravano 61,6 automobili ogni 100 abitanti, nel 2015, come già detto, siamo a quota 58,4: un numero sempre molto e al di là della media europea di circa 48 auto ogni 100 abitanti. In Italia le città con il maggior indice di motorizzazione sono L’Aquila e Potenza, la prima con 75,3 e la seconda con 71,9 auto ogni 100 abitanti, seguite da Perugia (69,5) e Campobasso (69,0). Le città invece più virtuose, dove circola il minor numero di auto per abitante, sono Venezia (41,7), Genova (45,9), Bologna (50,6) e Firenze (51,3). Ma è sul fronte delle nuove pratiche di mobilità che il Paese arranca. L’80% dei nostri connazionali non conosce il car sharing, un servizio che permette di utilizzare un’automobile su prenotazione, prelevandola e riportandola in un parcheggio vicino al proprio domicilio. E dire che nel car sharing credono invece gli utenti stessi, considerando che il loro numero complessivo continua ad aumentare (+11,9% nel 2012 e +7,8%

C

COSTUME E SOCIETÀ

nel 2013 su base nazionale) persino in città come Palermo e Roma; dunque, per una volta, non solamente nel Nord. L’offerta di trasporto pubblico rimane il maggior problema italiano. La maggiore disponibilità di posti per kilometro e per abitante si registra a Milano, Cagliari, Roma e Bergamo, che scalza Torino dalla quarta posizione. Il maggior numero di passeggeri per abitante spetta invece a Milano, Venezia, Roma e Trieste. Rispetto allo scorso anno, in ben 37 città su 50 si è registrata una riduzione dell’offerta di trasporto pubblico. Riduzioni addirittura a due cifre percentuali nelle città di Forlì, Latina, Messina, e Salerno. Nota positiva, invece, per Novara, che ha incrementato di molto l’offerta di trasporto pubblico (+18,5%). Un servizio di trasporto pubblico poco efficiente si riflette sul basso utilizzo dei servizi da parte dei cittadini. A Latina, in media, un cittadino utilizza l’autobus soltanto 7 volte in un anno. A Siracusa si sale solo 9. A Potenza 11.

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Sconsolanti i dati sui parcheggi e le aree preservate dal traffico. Sul primo fronte Venezia si riconferma saldamente prima in classifica (155 parcheggi di scambio ogni 1.000 autovetture circolanti), staccando di gran lunga Piacenza (73), sola al secondo posto. Terzo posto per Bergamo con 57. Tuttavia sono ben 13 le città al di sotto di 10 stalli ogni 1.000 autovetture circolanti. Firenze scalza Bologna dal vertice della classifica per dotazione di parcheggi a pagamento (150,5 ogni 1.000 autovetture circolanti contro i 150,0 di Bologna). Le città con il minor numero di parcheggi a pagamento sono Sassari, Bolzano, Siracusa, Monza, Catanzaro, Trieste, Perugia e Terni, con meno di 20 stalli per 1.000 autovetture. A L’Aquila non sono presenti parcheggi a pagamento. Poi c’è il problema delle aree pedonali. Se si eccettua Venezia, che offre quasi 5 mq di area pedonale per abitante, solo il Comune di Firenze offre quasi un mq (0,98) ad abitante, seguita da Cagliari (0,96). Per il resto delle città italiane, lo spazio destinato ai soli pedoni è sempre inferiore a 0,8 mq per abitante. Chi si occupa di mobilità sostiene che la reale alternativa a tutto questo possa essere solo il mondo delle due ruote. Il dato positivo è che in Italia è in continuo aumento la costruzione di piste ciclabili. Legambiente ha provveduto anche ad elaborare una graduatoria dei comuni italiani che si sono distinti in questo senso. Le città più virtuose in tema di piste ciclabili sono Reggio Emilia e Lodi, accompagnate da Modena, Mantova, Vercelli, Cremona, Forlì, Ravenna, Cuneo, Ferrara, Piacenza e Padova. Non mancano però i casi che fanno discutere. Nella città di Milano il 65% delle piste ciclabili non sono a norma di legge presentando, tra le inadeguatezze più palesi, segnali sbagliati, corsie interrotte o che finiscono nel traffico, marciapiedi da condividere con i pedoni. Parallelamente allo sviluppo delle ciclabili si è ormai sempre più diffuso il servizio di bike sharing (la condivisione di

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biciclette attraverso una card), una scelta di mobilità sostenibile compiuta ormai da 150 amministrazioni comunali. I risultati, in realtà stentano, ad avvicinarsi a quelli del resto d’Europa, ma possono comunque definirsi incoraggianti. Modena, Cuneo e Milano sono le tre città italiane più impegnate a combattere l’inquinamento atmosferico tramite questo servizio. Alcuni numeri danno la dimensione del ritardo italiano. A Roma le bici da utilizzare in comune sono appena 105, cifre irrisorie in confronto ai 2,7 milioni di abitanti. Davvero nulla a che vedere con le 2500 biciclette disponibili a Bruxelles (i cui abitanti sono 175.000). Sempre a Bruxelles le auto condivisibili sono 227, a Monaco 345, mentre in Italia 113 a Torino, 86 a Milano, 36 a Palermo. E tutto questo senza toccare il servizio dei classici mezzi pubblici. I dati sono sicuramente lontani a quelli di capitali europee come Parigi, dove il rapporto del bike sharing è di una bici ogni 100 abitanti. Le singole iniziative di alcune città fanno ben sperare in un miglioramento continuo. Sull’onda tedesca - dove è in progetto una vera e propria autostrada riservata ai mezzi a due ruote che colleghino città importanti come Dortmund e Duisburg - la città di Pesaro sta progettando la “bicipolitana”, una sorta di metropolitana di superficie dove possono circolare solo biciclette tradizionali o elettriche. Tutta la città sarà a misura di ciclista, con ben trenta zone ad accesso limitato, in modo del tutto gratuito e ad impatto nullo. A Lecce è prevista una grande opera di infrastruttura ciclabile che sia in grado di collegare il capoluogo e dei suoi diversi quartieri con la zona turistica di San Cataldo. In favore anche alla conservazione del paesaggio, è stata realizzata a Siena una pista ciclabile sul percorso della vecchia ferrovia che univa Colle di Val d’Elsa e Poggibonsi; splendido esempio di recupero del territorio in difesa del verde naturale. Sempre a scopo turistico, molto interessante è a Roma l’idea di una pista ciclabile intorno al Colosseo: tutto ciò non fa altro che puntare sempre più alla valorizzazione del territorio. Insomma, anche se a passo di lumaca, qualcosa sta cambiando.


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di Simona Bottoni

LIBRI

ADELANTE, CANTAUTORE FABIO VENERI RACCONTA LA PASSIONE PER LA MUSICA LATINO-AMERICANA delante, cantautore è il terzo libro che Veneri dedica alla musica latino-americana, il secondo con Zona, una casa editrice con spiccata vocazione alla musica ed alla canzone: pubblica, infatti, i libri del Club Tenco e quelli del Meeting delle Etichette Indipendenti di Faenza, molta saggistica musicale e libri + CD a metà tra musica e scrittura. Mantovano, classe ’77, Fabio Veneri è laureato in Scienza

A

della Comunicazione a Bologna, è giornalista e curatore del portale “Cultura Latina” (www.culturalatina.it) per la promozione della cultura latino-americana in Italia. Nel suo libro si fondono, in forma insperatamente armoniosa stante la diversità degli assunti, le interviste e gli incontri con i cantautori latino-americani ed iberici più significativi, col racconto appassionato dei movimenti musicali e con appunti di viaggio riletti ed organizzati. Ne viene fuori un ritratto originale della canzone in lingua spagnola e portoghese e un’utile guida per avvicinarsi a mondi musicali straordinariamente ricchi e vicini alla no-

stra sensibilità. La canzone, secondo l’autore, è la forma espressiva che unisce con maggior forza i due lati dell’Oceano Atlantico latino (l’America centro-meridionale e la Penisola Iberica). Ancor più della narrativa e della pittura, e al pari soltanto della poesia, il canto è il ponte culturale più solido, e al contempo più stringente, che collega i due lembi di crosta terrestre divisi dal mare. La genesi di ognuno dei ritmi musicali che caratterizzano i paesi di lingua spagnola o portoghese è una storia di continue andate e ritorni, di commistioni e note spurie, di trasformazioni che si celebrano e maturano nei punti d’incontro, nei crocicchi, nelle darsene, nei lazzaretti. Ogni singolo paese vanta numerosi generi ascrivibili all’evoluzione della musica popolare, la cui fama, in molti casi, ha travalicato le barriere geografiche della nazione di riferimento. Il libro si divide in quattro capitoli: il primo è una riflessione complessiva sulla canzone latino-americana a partire da alcuni tipi fondamentali. Il secondo raccoglie interviste con cantautori latino-americani o con figure di riferimento che raccontano epoche e momenti storici di grande rilevanza per lo sviluppo della canzone. Evidenzia inoltre le nuove tendenze in atto. Il terzo capitolo è dedicato ad alcuni argomenti, dalla letteratura al cinema. Infine il quarto illustra alcuni percorsi di avvicinamento e conoscenza alla canzone latina ed ai suoi autori con una serie di consigli d’ascolto e di brevi introduzioni alle parole ed ai significati delle canzoni. “Questo libro - come sostiene Fabio Veneri nell’introduzione - è come un cerchio che si chiude. Probabilmente non l’ha disegnato Giotto, è imperfetto come tutte le umane vicende, ma è una sorta di summa di un’attività che da oramai dieci anni mi porta a stretto contatto con la musica e la canzone del mondo latino”. E poi prosegue: “Il tema dell’unità culturale latino-americana è uno degli argomenti che più volte ricorre nei testi e che in qualche modo rappresenta un filo rosso che unisce i vari materiali presenti nel libro”. Infine: ”…il periodo storico che fa da cornice al materiale raccolto in questo libro va dagli anni Sessanta del secolo passato fino ai giorni nostri. Questo arco temporale ha visto dapprima la nascita e poi lo sviluppo di quel movimento continentale chiamato nueva canción latino-americana. Oggi non ha più senso utilizzare questo termine per definire i nuovi cantautori […]. Ciò che non cambia è il senso profondo dell’arte del cantare […] Vale sempre la celebre frase di Víctor Jara, in questo senso: Una canzone che è stata coraggiosa sarà sempre una canzone nuova”.

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di Alessandro Cortellessa

QUESTIONE DI CILINDRI

OPEL LANCIA

#ADAMYOURSELF ell’era digitale, c’è ormai la possibilità di ordinare on-line l’automobile che si vuole. Basta andare sul sito della casa e personalizzare il tutto secondo i propri gusti. Ma le case oggi fanno anche di più, sfruttando le infinite potenzialità creative di un pubblico ampio come il mondo intero, lanciando concorsi per disegnare la propria versione ideale di una vettura, e tanto è più accattivante la cosa quanto più l’auto è di grande successo e un modello diffuso a livello globale. Al di là del piacere di partecipare a simili contest, inoltre, c’è anche la reale possibilità che qualcuno noti il nostro tratto creativo e, perché no, il tutto si possa trasformare in un lavoro in giro per il mondo. Via dunque al libero sfogo della personalità stilistica e all’estro digitale, qualcosa che per i giovani nati nell’era dei computer è probabilmente già insito nel rapporto quotidiano con i software e l’hardware. La Opel ha appena lanciato un contest, che durerà dodici mesi, per personalizzare la sua citycar Adam. Innanzitutto ha lanciato il guanto della sfida prima a dieci blogger di fama mondiale, i quali hanno già creato, in base ai rispettivi stili, la loro Opel Adam. Poi ha allargato il discorso partecipativo e ha coinvolto i fan Adam di tutto il mondo. In Italia ovvia-

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mente non mancano creatività ed estro artistico. Dunque saranno in molti a partecipare al concorso, disegnando la propria Adam ideale e mettendola ai voti sui social. Tra le migliori creazioni, la vincente diven-

A DICEMBRE È PARTITO IL CONTEST ONLINE CHE PER UN ANNO VEDRÀ LA COLLABORAZIONE DI DIECI FASHION BLOGGER EUROPEI terà la versione Adam Limited Edition e il vincitore sarà il testimonial della campagna di lancio. Versatile, distintiva, di successo, sin dal suo lancio nel 2013, Opel Adam ha continuato a conquistare il pubblico grazie al suo spirito sportivo, ma al tempo stesso glamour, capace di rispecchiare le infinite personalità dei suoi possessori. Lo spirito e le innumerevoli possibilità di personalizzazione di Adam favoriscono un approccio di co-creazione: Opel ha ora deciso di lasciare ad ogni cliente la possibilità di personalizzarla dalla testa alle ruote, seguendo i suoi gusti. Attraverso la campagna online #ADAMYOURSELF, Opel ha quindi creato uno spazio virtuale per tutti gli appassionati di Adam. “Con #ADAMYOURSELF andiamo a collocarci proprio dove si trova la maggior parte dei fan e dei futuri possessori di ADAM, ovvero nel mondo dei social media”, ha dichiarato Tina Müller, Chief Marketing Officer di Opel, nel descrivere la nuova campagna online. “Attraverso le star del lifestyle digitale riusciremo non solo ad avvicinarci molto alle tendenze di stile dei gruppi ai quali intendiamo

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QUESTIONE DI CILINDRI rivolgerci, ma potremo invitarli a diventare una parte di Adam e ad esprimere la loro personalità e creatività attraverso quest’auto unica.” L’avvio ufficiale di questa campagna è avvenuto lo scorso 3 dicembre nell’ex capannone di produzione K48, presso la sede Opel di Rüsselsheim. Erano presenti all’evento le star del lifestyle digitale di diverse nazionalità, ovvero Nilam Farooq (Germania), Nicoletta Reggio (Italia), Victoria Magrath (Regno Unito), Lukasz Jakobiak (Polonia), Caroline Bassac (Francia), Joao Manzarra (Portogallo), Mascha Feoktistova (Paesi Bassi), Lorna Weightman (Irlanda), Vanja Milicevic e Jelena Karakas (Serbia). Questi blogger, famosi in tutta Europa e nel mondo, hanno spiegato come se-

guono le varie tendenze, quali sono gli stili del momento e perché considerano Opel Adam l’auto ideale per dar libero sfogo alla loro creatività e personalità artistica. Mark Adams, vice presidente Design Europe, e il suo team di designer hanno inaugurato lo spazio creativo a disposizione dei fashion blogger. In concomitanza con questo evento ufficiale è stato inaugurato nei diversi Paesi europei il micro-sito della campagna http://www.adamyourself.com (http://www.adamyourself. com/it- it per l’Italia), attraverso il quale chiunque potrà personalizzare la propria Adam e farla partecipare al contest. Una giuria formata da rappresentanti di Opel e dai dieci blogger europei sceglierà la migliore personalizzazione di ciascun Paese che poi, a partire dall’autunno del 2016, verrà inserita in gamma come Limited Edition “ADAM YOURSELF”. L’aspetto più particolare è che i vincitori diventeranno anche i testimonial della campagna pubblicitaria Adam Limited Edition nei rispettivi Paesi. Fino ad allora saranno i fashion blogger a raccontare le loro esperienze con il mondo di Adam sul blog del mini sito. Attraverso #ADAMYOURSELF, i blogger accompagneranno le loro comunità alla scoperta di Opel ADAM e delle sue infinite possibilità di personalizzazione, oltre a condividere le loro esperienze sui social network e sul sito del contest #ADAMYOURSELF.

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CoBrA: UNA GRANDE AVANGUARDIA

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EUROPEA (1948-1951) l gruppo CoBrA nacque ufficialmente l’8 novembre 1948 al Caffé dell’Hotel Notre-Dame di Parigi, grazie all’iniziativa di Asger Jorn, Constant, Karel Appel e Corneille, Christian Dotremont e Joseph Noiret. Che per nome scelsero l’acronimo formato dalle prime sillabe delle loro città di provenienza: Copenaghen (Co),

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Bruxelles (Br), Amsterdam (A). La sigla, coincidendo col nome di un rettile, fornì l’emblema iconografico e conferì ulteriore smalto alle prorompenti e rivoluzionarie idee estetiche del movimento, incentrate sul rifiuto dell’accademismo e sull’esaltazione della forza del colore e della spontaneità creativa. Ai fondatori presto si unirono altri artisti tra i quali Carl-Henning Pedersen, Lucebert e, tuttora viventi, Pierre Alechinsky e K.O. Götz. A distanza di quasi settant’anni dall’evento parigino, l’immaginifica espressività di CoBrA (ri)vive nella mostra, a cura di Damiano Femfert e Francesco Poli, organizzata dalla Fondazione Roma-Arte-Musei, in collaborazione con la Die Galerie di Francoforte - storica galleria del Gruppo - attraverso 150 opere, tra dipinti, sculture e lavori su carta, accompagnate da pubblicazioni e foto. Tra i prestatori importanti musei, incluso quello di Amstelveen esclusivamente dedicato al Gruppo, pietra miliare dell’espressionismo astratto europeo, e collezionisti privati, tra i quali Ugo Nespolo. Info su www.fondazioneromamuseo.it

AFFINITÀ ELETTIVE DA

DE CHIRICO A BURRI FINO AL 13 MARZO PRESSO LA GALLERIA D’ARTE MODERNA a rassegna presenta al pubblico romano alcuni capolavori del Novecento, in particolare dagli anni Venti ai Sessanta, provenienti dalla collezione di Luigi Magnani (1906-’84) fondatore del museo parmense che porta il suo nome, musicologo e compositore oltre che amante delle arti visive - accostandoli a quelli coevi appartenenti alla galleria capitolina. Le “affinità” - scopriranno i visitatori - sono molteplici e coinvolgono artisti quali Marino Marini, Giacomo Manzù, Ettore Colla, Leoncillo, Mafai, Scialoja, Gino Severini, Alberto Savinio, solo per citare alcuni au-

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ARTE E CULTURA tori delle circa cento opere esposte. Ad esempio, L’enigma della partenza di de Chirico, una delle gemme della collezione Magnani, è confrontato con alcuni dipinti della raccolta romana che della speculazione metafisica presentano spunti e rimandi formali. E, ancora, al prezioso fondo parmense di Giorgio Morandi e di Filippo De Pisis, dei quali Luigi Magnani fu infaticabile collezionista, è giustapposta una selezione di opere della Galleria d’Arte moderna che testimonia la ricerca sul tema della natura morta da parte di artisti italiani contemporanei. Info su www.galleriaartemodernaroma.it

ROMA TRA MAPPE E MEDAGLIE. MEMORIE DEGLI ANNI SANTI FINO AL 17 GENNAIO PRESSO IL COMPLESSO DEL VITTORIANO ichiarativa già nel (sotto)titolo è la ricca e ben articolata mostra sulla Città eterna e le trasformazioni subite dal tessuto urbano in concomitanza dei giubilei: gli anni santi che dal XV secolo si sono avvicendati sino a quello straordinario, in corso, indetto da papa Francesco. Curatori: Silvana Balbi de Caro e Flavio Celestino Ferrante. Da non perdere. Info su: www.comunicareorganizzando.it

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RITORNO ALLO SPETTACOLO opo alcuni anni di crisi che avevano fatto registrare una decisa flessione della spesa relativa a cinema, teatro e spettacolo in generale, il 2015 ha evidenziato una netta ripresa in tutt’Italia: traina il Nord ma il Sud non è da meno. La fotografia dell’anda-

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CINEMA, TEATRO, MUSICA, CULTURA: NEL 2015 INGRESSI E INCASSI IN CRESCITA mento dell’anno ci è stata fornita dai dati rilevati dall’Osservatorio Siae, Società italiana degli autori e degli editori dello spettacolo. Gli italiani tornano a spendere in spettacolo, dagli eventi sportivi, al cinema, al teatro, ai concerti, alle mostre e alle esposizioni. Nel settore della cultura in termini ampi. Una sorta di rivincita dopo gli ultimi anni che avevano mostrato un andamento decisamente negativo, frutto soprattutto di una reazione molto pessimista alla crisi. Ma veniamo ai numeri. Nei primi sei mesi del 2015 si registra la ripresa di tutti i settori dello spettacolo. Gli ingressi sono aumentati del 3,64% rispetto al 2014, così come la spesa al botteghino (+5,67%), la spesa del pubblico (+9,26%) e il volume d’affari complessivo (+11,46%). I dati sul cinema mostrano invece un aumento del 4,46% degli ingressi, del 9,26% della spesa botteghino e del 10,88% del volume d’affari. Nella top ten dei primi sei mesi c’è una netta predominanza di film americani, con un solo titolo tricolore, “Si accettano miracoli” di Alessandro Siani, piazzato al quinto posto dopo “Cinquanta Sfumature di grigio”, “American Sniper”, “Fast & Furious 7” e “Avengers: Age of

Ultron”. Sul fronte teatrale tutti gli indicatori sono in crescita (spettacoli +2,79%; ingressi +0,13%, spesa al botteghino +4,28%, spesa al pubblico +5,91%, volume d’affari +5,85%). Per i concerti la situazione è ancora migliore: la spesa al botteghino supera i 137,4 milioni di euro (+7,28%), ma si segnalano anche un numero più ampio di spettacoli (+8,09%), più ingressi (+8,84%), una più forte spesa del pubblico (+7,17%) e un maggiore volume di affari (+4,18%). E la tendenza non vale solo per gli appuntamenti pop di grande richiamo, ma per tutti i settori della musica, dalla classica alla leggera con una nota particolare per il jazz, dove la spesa al botteghino è cresciuta del 15,87% rispetto al 2014. Nello sport, a fronte di una leggera diminuzione del numero degli spettacoli (-1,29%), crescono la spesa del pubblico (+21,09%), il volume d’affari (+20,14%), la spesa al botteghino (+4,03%) e gli ingressi (+2,48%). E il 2016, come è noto, è iniziato con film da incassi record. Quo Vado? di Checco Zalone sta continuando a infrangere record su record. Prima del 2011 il titolo italiano di maggior successo era La vita è bella di Roberto Benigni. Poi arrivò Che bella giornata (sempre Zalone), che con i suoi 40 milioni di euro e passa riuscì a conquistarsi la vetta. Adesso, con Quo vado? il comico pugliese sembrerebbe proprio sulla via di superarsi. Complice una distribuzione massiccia (si parla di circa 1300 sale), durante le sue prime 24 ore di programmazione il film ha guadagnato la sfavillante cifra di 7 milioni di euro, strappando il trofeo come miglior apertura a Harry Potter e I doni della morte. Altra menzione doverosa va al film cult Star Wars VII, che in appena 20 giorni batte Avatar e diventa ufficialmente il film che ha incassato di più nella storia degli Stati Uniti: ha superato i 760 milioni di dollari di incassi.

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VG

visioni grafiche


di Massimo Bolini AmM/Collegio Guide Alpine Italiane - Istruttore Nordic Walkingreen

SALUTE E BENESSERE

FUGGIRE VERSO LA

NATURA

a neve è ormai arrivata e come ogni anno saranno in molti a scegliere la montagna come destinazione di vacanza. Spesso però montagna vuol dire confusione, ingorghi e tanta gente concentrata negli

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TERMINATO IL TEMPO DEI CENONI, È IL CASO DI RIPRENDERSI UNO SPAZIO PER SÉ. NON LONTANO DA ROMA… stessi posti. Certo, in questo periodo le proposte iniziano a diversificarsi, ma se si ha veramente l’intenzione di staccarsi dalla massa la prima regola da seguire è quella di togliere anziché aggiungere: innanzitutto togliere chilometri. Non c’è infatti bisogno di arrivare sulle Alpi per vivere le emozioni della neve. Esistono alcune località, neanche troppo distanti, che qualsiasi guida di montagna saprà indicare per come rimangono nel cuore, per la pace, la bellezza e l’atmosfera che sanno trasmettere. Non lontano da Roma, il primo posto che viene in mente per una gita in giornata è senz’altro Greccio (provincia di Rieti), un caratteristico borgo con annesso il Santuario Francescano (entrambi inclusi dall’UNESCO come Patrimonio Mondiale dell’umanità). Proprio il Santuario ha reso famoso in tutto il mondo Greccio, poiché fu scelto da San Francesco come teatro di uno dei momenti più alti e appassionati della sua esistenza: la prima rievocazione della Natività di Betlemme della storia del Cristianesimo, avvenuta nella notte di Natale del 1223. Sempre nella provincia di Rieti, altro posto degno di nota è il Monastero delle Clarisse Eremite di Fara in Sabina, situato in uno storico Castello le cui origini si perdono nell’alto medioevo e legato alla storia della vicina abbazia di Farfa. Nel monastero vi è anche una foresteria dove si può soggiornare per trascorrere alcuni giorni nella solitudine ed il silenzio, un’esperienza molto particolare, specialmente se unita ai piaceri del palato: le Suore producono una serie di leccornie che sono in vendita nel convento (ottima la marmellata di arance amare). Per chi voglia, invece, vivere un’esperienza unica in montagna, il consiglio è

TERMINATO IL TEMPO DEI CENONI, È IL CASO DI RIPRENDERSI UNO SPAZIO PER SÉ NON LONTANO DA ROMA… di trascorrere una notte al Rifugio Sebastiani, nel Parco Regionale del Velino Sirente. Ottimamente gestito, il rifugio è accessibile da Campo Felice, lontano dalle chiassose piste da sci. Il sentiero non presenta difficoltà e particolari dislivelli ed in questo periodo dell’anno è praticabile con le ciaspole, cosa che rende più affascinante la gita. Sempre nel Parco del Velino Sirente, in particolar modo per gli appassionati di storia e di misteri, ci sono alcune località dove forte era la presenza dei Cavalieri Templari: San Panfilo d’Ocre, dove si può soggiornare in un’antica abbazia fortificata e godere di uno dei paesaggi più belli dell’Abruzzo; Fontecchio, affascinante borgo medievale; Pieve di Santa Maria del Ponte, dove era presente una Comanderia Templare; Stiffe, piccolissimo paesino famoso per le sue affascinanti grotte (in questo periodo vi è allestito anche un suggestivo Presepe). Infine, nel Parco Nazionale Gran Sasso Monti della Laga, un altro posto che merita una visita è senz’altro il fortilizio di Rocca Calascio, situato a 1460 metri d’altezza, tra le fortificazioni più alte d’Italia: domina infatti l’altopiano di Campo Imperatore. Qui il paesaggio è talmente suggestivo - ricorda le Highlands Scozzesi - che è stato scelto per la realizzazione dei film Ladyhawke e Il Nome della rosa. Insomma, intorno alla Capitale sono molte le località di montagna belle e da riscoprire, anche per incrementare quelle piccole attività che in questi luoghi rappresentano l’unico sostentamento di alcuni coraggiosi piccoli imprenditori e delle loro famiglie. Fortilizio di Rocca Calascio

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SPETTACOLANDO

di Barbara Zorzoli

STAR CHE ODIANO I SOCIAL MEDIA: ADELE, LE GEMELLE OLSEN, DREW BARRYMORE SONO SEMPRE DI PIÙ LE STAR CH E CONTRO I SOCIAL. DOPO ESSEN SI SCHIERANO A ONEILL, LA MODELLA CHE ODIA INSTAGRAM , ECCO LE CELEB CHE RINNEGANO TWITTER, FACEBOOK & CO. Ashley Olsen: “Twitter mi rende ansiosa” Mary-Kate Olsen: “Abbiamo passato tutta la nostra vita a cercare di tutelare la nostra privacy, perciò postare la nostra vita privata sui social significherebbe andare contro il nostro modo di essere” Emma Stone: “Sembra che l’occupazione principale di tutti sia coltivare la propria vita sui social e scegliere quale immagini siano al top”. Jennifer Lawrence: “Io non uso Twitter e non sono molto pratica con i cellulari e la tecnologia, non riesco a tenere il passo con le email, perciò l’idea di un profilo social per me è impensabile...” Kristen Stewart: “Twitter mi fotte ogni santo giorno della mia vita. La gente scrive e posta cose tipo “Sono seduto accanto a Kristen Stewart in questo momento”. Vedo persone con le facce sui loro cellulari intente a mettere Like e mi verrebbe da dire: Lascia il tuo c...o di telefonino e vivi la tua vita! Mi fa diventare pazza questa cosa! Ed è come calpestare la vita di qualcuno senza alcun riguardo. Ed è dilagante. Tutti possono farlo. Comprare una macchina fotografica e diventare un paparazzo; avere un profilo Twitter e diventare un giornalista. Lo trovo davvero fastidioso.” Kate Winslet: “I social hanno un enorme impatto sull’autostima delle donne in giovane età, perché tutto quello che fanno è diventare come non sono seguendo modelli irreali. Cosa comporta questo? Disturbi del comportamento alimentare. Mi fa ribollire il sangue. Ed è per questo motivo che in casa nostra nessuno ha un profilo social”. Tyra Banks: “Si dice #nofilter ma sapete che c’è un fottuto filtro su ogni foto? O forse c’è un fotoritocco in corso, ma stanno mentendo. Bé, questa mattina, ho deciso di darvi un assaggio della vera me. Volevo cancellare un po’ le mie occhiaie, poi mi sono detta: No Ty, mostrati come sei. Nuda e cruda. Allora eccomi qui. Forse penserete: Wow sembra rude. E se è così, bene! Vi meritate di vedere la vera me! #CrudeReale” Drew Barrymore: “Non mi piace affatto questa compulsione, informazioni in tempo reale, la mancanza di privacy, questo aspetto strano del mondo” Daniel Radcliffe: “Io non ho Twitter e non ho Facebook, e penso che questo renda le cose molto più facili, perché se si

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va su Twitter a dire a tutti quello che si sta facendo momento per momento, per poi pretendere di avere un vita privata, nessuno prenderà prendere sul serio questa richiesta.” Scarlett Johansson: “Sono sempre sorpresa dal fatto che alcuni attori hanno un account su Twitter. Immagino che lo usano in un modo che funziona per loro. Io preferisco che la gente non abbia accesso alla mia vita personale. Se riuscirò a restarne fuori, sarò una donna felice.” Julia Roberts: “I social sono un po’ come zucchero filato: sembra così attraente, e non si può resistere. Poi basta un attimo per finire con le dita appiccicate sullo schermo...” George Clooney: “Preferisco avere un esame rettale in diretta tv da un collega con le mani fredde che avere una pagina di Facebook”. Adele: “Sicuramente è più difficile evitare di essere sui social che esserci. Penso che molte persone tendono a partecipare, perché è più facile, ma non riesco proprio. Io sono a disagio con questo genere di cose”.

2015: LE SEPARAZIONI CHE PIÙ HANNO FATTO PARLARE A HOLLYWOOD

i sono le famiglie che sembravano solidissime, come Ben Affleck & Jennifer Garner, talmente simbiotici da essersi meritati il nomignolo di Bennifer, e Gwyneth Paltrow & Chris Martin con il loro “scoppiamento consapevole”, ma anche coppie più azzardate come Demi Moore e Ashton Kutcher, che pure sono rimasti sposati per diversi anni. E poi i tira-e-molla infiniti, sempre a favor di gossip, come quelli di Justin Bieber & Selena Gomez, dei “vampiri” di Twilight Robert Pattinson & Kristen Stewart, e di Miley Cyrus & Liam Hemsworth. Non potevano mancare neanche divorzi clamorosi come quelli di Tom Cruise & Katie Holmes e di Heidi Klum e Seal, ma la lista non finisce certo qui. Chi saranno i prossimi?

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SPETTACOLANDO ESTERI

GEORGE CLOONEY DIVENTA PAPÀ: AMAL ALAMUDDIN È INCINTA

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icogna in arrivo in casa Clooney. Arriva prepotentemente dall’America la notizia che la consorte, all’anagrafe Amal Alamuddin, sia incinta. Le foto del pancino sporgente parlano chiaro e raccontano del momento bellissimo vissuto da una delle coppie più in vista di Hollywood. Secondo il settimanale Life&Style, George Clooney diventerà papà a 54 anni, anche se a preoccupare è il peso della consorte: solo 45 chili. Ma non solo. Non è una novità che l’attore sia “allergico” ai bam-

bini, tanto da dichiarare spesso di non volerne. Inoltre, a causa dei molteplici impegni lavorativi di entrambi, in realtà i due piccioncini pare riescano a vedersi non più di una settimana al mese, tanto che diverse volte i media che si occupano di gossip hanno parlato addirittura di divorzio in corso. Che la signora Amal Alamuddin voglia tenerselo stretto?

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dalle malattie prevenendole. Prevenire e curare il nostro stato di salute attraverso un approccio olistico e nella maniera più naturale possibile è qualcosa di propedeutico all´intervento puramente inteso a fini estetici, quindi, prevenire, curare e ripristinare la funzione d´organo, ivi compresa quella cutanea, sono tre aspetti che non è possibile scindere se si vogliono ottenere risultati che possano garantirci non solo il recupero di uno stato estetico gradevole ma anche il ripristino delle funzionalità compromesse con il tempo e conseguentemente l´implementazione del benessere. Tutti i trattamenti vengono eseguiti con strumenti di ultimissima generazione, abbiamo a disposizione una piattaforma multi-applicazione modulare per il trattamento di oltre 30 malattie della pelle e depilazione che permette di trattare più tipi di pazienti e condizioni con massimi risultati. Siamo a Vostra disposizione presso lo Studio Medico di Medicina Estetica Rigenerativa in Piazzo Eschilo 8/9 - Tel 06.50930113


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STRETCHING: LUCI ED OMBRE È molto dibattuto se lo stretching debba considerarsi parte integrante degli allenamenti di qualsivoglia attività fisica. Nel mio mestiere la domanda è pressoché quotidiana: fa bene? fa male? è meglio prima o dopo gli allenamenti, meglio farlo “a caldo” o “a freddo”? In questo breve articolo mi limiterò a spiegarne le potenzialità in modo da fornire alcune informazioni per poter rispondere a questi dubbi. La potenza espressa da un muscolo è correlata alla sua lunghezza oltre che alle sue capacità contrattili. Il muscolo, inoltre, si comporta come un elastico: sottoposto ad un singolo brusco allungamento finirà per riprendere la sua lunghezza iniziale, mentre se viene mantenuto in allungamento tenderà a mantenere la lunghezza raggiunta. Un tempo ideale di allungamento non esiste. Per i miei pazienti consiglio da 1 a 3 minuti per gruppo muscolare, abbinando sempre una respirazione diaframmatica profonda durante lo stretching, in modo da renderlo più efficace e tollerabile, riducendo più velocemente le tensioni muscolari. Immediatamente, comunque, l’allungamento muscolare determina un’acuta perdita di forza del muscolo stesso, riducendone le performance. Per questo motivo molti allenatori sconsigliano lo stretching prima di eseguire una prestazione sportiva. È doverosa però una distinzione: un amatore che gioca 2 volte a settimana a calcetto non può comportarsi come un professionista che si allena 2 volte al giorno. Un uomo che lavora 8 ore al giorno e poi va a fare la sua attività fisica avrà bisogno di riattivare la muscolatura e di “oleare” le articolazioni prima di richiedere al proprio fisico uno sforzo. In questo caso consiglio di eseguire, prima dell’allenamento, una mobilizzazione articolare, per ridare fluidità ad articolazioni e muscoli, ma senza tenere posizioni troppo a lungo, e alla fine dello sport dedicare almeno 15 minuti allo stretching che permetterà di evitare i fastidi muscolari tipici delle ore successive all’allenamento. Per ottimizzare al meglio questo tempo prezioso potete rivolgervi ad un fisioterapista o ad un personal trainer che potrà personalizzare la vostra routine di stretching in modo da renderla più performante.

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PANCIA GONFIA, DOLORI ADDOMINALI, DISTURBI CRONICI COME DIARREA O STIPSI? ELIMINIAMO PER UN PERIODO I FODMAP. Molti pazienti che soffrono di colon irritabile, seguendo una dieta lowFODMAP proposta e validata dai ricercatori della Monash University di Melbourne, presentano un notevole miglioramento. I FODMAP (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides and Polyols) sono contenuti in molti cibi ad esempio: OLIGOSACCARIDI: grano, segale, cipolla, piselli, aglio, carciofi, finocchi, legumi DISACCARIDI: latte e derivati MONOSACCARIDI: miele, mele, pere, ciliegie, anguria, succhi

POLIOLI: nei dolcificanti come sorbitolo, mannitolo, xilitolo, maltitolo contenuti in mele, pere, albicocche, ciliegie, pesche, prugne, anguria, funghi, cavolfiore, caramelle, gomme da masticare. I ricercatori australiani sostengono che sospendendo e poi riducendo questi alimenti si ha una attenuazione ed a volte scomparsa della sintomatologia. Per impostare una dieta lowFODMAP equilibrata vi consiglio sempre di consultare il vostro medico di fiducia!

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SALUTE E BENESSERE

di Sveva Guerreri

TORNARE IN

FORMA

CON LA DIETA

DEI COLORI

a dieta dei colori, chiamata anche cromodieta, è un regime alimentare in cui si preferisce un determinato alimento in base al suo colore proprio, perché ad esso coincidono specifici elementi nutritivi. Il principio che conduce a diminuire il peso corporeo è dunque legato all’azione positiva dei colori presenti nei cibi.

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UN METODO SEMPLICE PER SMALTIRE SENZA STRESS I CHILI DI TROPPO In ambito medico, i colori sono sempre stati usati per alleviare le condizioni psicologiche negative e per curare i disturbi mentali. Non è qualcosa di miracoloso: il cervello umano davvero riceve e rielabora l’immagine del colore e dà in base ad esso un tipo di risposta dell’organismo piuttosto che un’altra. Il tipo di colore caratterizza poi le preziose componenti nutritive per la nostra salute: vitamine, antiossidanti e sali minerali. Esiste dunque un modello, una sorta di spettro cromatico dei cibi. Vediamolo: • Cibi bianchi (aglio, cipolla, cavolfiore, finocchi, riso): sono alimenti in cui sono presenti elementi antiossidanti dalle proprietà depurative e in grado di normalizzare il colesterolo “cattivo”. Dal punto di vista cromatico, il colore bianco rilassa e distende, dà speranza per il futuro e fiducia nel prossimo. • Cibi rossi (fragole, cocomero, pomodori, ravanelli, lamponi, ciliegie): svolgono un ruolo antitumorale e antiossidante. Aiutano inoltre la perdita di peso, perché risvegliano il metabolismo e lo rendono più attivo. Il rosso è

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il colore dell’energia, del fuoco e delle emozioni. • Cibi giallo-arancio (albicocche, arance, mandarini, carote, kaki, zucca, pesche, nespole, peperoni, melone): contengono beta-carotene, la cui funzione è quella di proteggere la pelle dall’invecchiamento. Hanno inoltre anche proprietà diuretiche che contrastano la cellulite. L’arancione svolge un’azione rasserenante e induce sensazioni di allegria ed ottimismo. Il giallo invece aiuta la concentrazione e stimola l’intelletto. • Cibi blu-viola (mirtilli, melanzane, prugne, fichi, uva nera, barbabietola): riparano i capillari e i vasi sanguigni, coadiuvano la vista, ma sono anche indispensabili nella prevenzione delle patologie cardio-vascolari e diabetiche. Infine, attenuano il senso di fame, perché hanno una funzione rilassante. • Cibi verdi (insalate, broccoli, bietole, asparagi, carciofi, prezzemolo, spinaci, zucchine, uva bianca, kiwi): possiedono la clorofilla, che svolge un ruolo antiossidante e disintossicante. Sono inoltre ricchi di magnesio e acido folico. Questi tipi di cibo, infine, diminuiscono l’appetito e aumentano il senso di sazietà nell’arco della giornata. È bene ricordarsi che il blu come il verde sono colori rilassanti, familiari e amichevoli: tendono ad attenuare l’ansia e a far tornare il buon umore. Occorre però fare una raccomandazione: per seguire la dieta dei colori sarebbe meglio consumare circa cinque porzioni di frutta e verdura ogni giorno - sia cruda che cotta - uno per ogni varietà di colore: blu/viola, verde, bianco, giallo/arancio e rosso. Questo regime alimentare si suggerisce di adottarlo seguendo in seguito anche una dieta di mantenimento. Infine un’ultima accortezza: mentre si segue la cromodieta, si consiglia di curare anche la scelta del colore della tovaglia e dei piatti su cui si mangia. È infatti sconsigliato apparecchiare con nuances troppo vivaci. Le tinte migliori per dimagrire sono quelle pastello, visto che il nostro cervello le associa alla lentezza e al relax.


di Gaetano Gaggiottino

SCIENZE

CAMMINARE SCALZI: COME

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nche se sono in molti a pensarlo, girare per casa scalzi non è un toccasana per la salute della circolazione. Per avere benefici nella camminata servono un centimetro e mezzo di tacco per gli uomini e quattro centimetri per la donna. Queste inclinazioni della pianta del piede producono benefici alle articolazioni della caviglia e non affaticano la schiena. È inoltre assolutamente controindicato far camminare i bambini scalzi sul pavimento: il fatto che sia duro e liscio favorisce infatti il piede piatto. Il fondo ideale, per chi ama camminare scalzo, è quello di un prato, possibilmente umido, e quello di una spiaggia (la sabbia). Effetto antistress garantito.

ROBOT ALL’OPERA

LA CARTA DI MILANO a conclusione di Expo ha lasciato ai posteri una sfida su cui c’è poco margine per giocare. Ogni giorno quasi un miliardo di esseri umani (805 milioni) non hanno di cosa nutrirsi. Allo stesso tempo, gli sconvolgimenti climatici pongono l’ambiente in grave pericolo. Così, 500 esperti provenienti da tutto il mondo hanno concorso alla scrittura della cosiddetta Carta di Milano. Il documento, consegnato a Onu e Fao, indica l’indirizzo da

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olo nel 2014 gli interventi di chirurgia robotica eseguiti in Italia sono stati 11.000. La chirurgia robotica è un’evoluzione delle laparoscopie mininvasive, cioè di quegli interventi in cui si inseriscono gli strumenti chirurgici in incisioni di pochi millimetri. I bracci robotici miniaturizzati e la visione tridimensionale ingrandita permettono di operare anche in uno spazio molto ristretto. Tutto ciò con un’ottima visuale e una grande precisione. I robot consentono inoltre movimenti che normalmente non sarebbero possibili alla mano umana, nonché la realizzazione del tutto senza tremori. Ovviamente l’androide non sostituisce l’uomo ma è sempre il chirurgo ad operare. Osservando il campo operatorio da una speciale consolle di comando, è il medico che aziona a distanza i numerosi bracci. I grandi vantaggi della robotica sono dovuti alla possibilità di fare operazioni complesse con minori rischi rispetto a quelli della chirurgia tradizionale. Da questo punto di vista l’apporto dei robot è particolarmente apprezzato negli interventi alla prostata, in quelli che riguardano la rimozione di piccoli tumori ai reni e nelle isterectomie, soprattutto quelle delle donne obese. In tutti questi casi il robot fa davvero la differenza.

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seguire alle politiche agricole nei prossimi anni. Il testo della Carta riconosce la funzione fondamentale dell’agricoltura, la sua dimensione legata al nutrimento ma anche all’ambiente, al territorio, alla biodiversità e al paesaggio. Dopo migliaia di anni bisogna riportare l’agricoltura nei suoi binari, applicando però il metodo moderno garantito da un approccio scientifico integrale. Insomma l’agricoltura va rinnovata utilizzando tutte quelle pratiche agricole di eccellenza volte all’innovazione e alla ricerca di sani equilibri tra la natura e la società. Questa è la visione al centro della Carta di Milano.

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“HO FATTO IL CONDONO… TUTTO APPOSTO!!!” bbiamo deciso questa volta di dedicare questo articolo al condono edilizio, poichè molto spesso nel raccogliere i documenti necessari per la vendita di un immobile il venditore ci dichiara con semplicità che, pur essendoci stato un abuso, lui ha fatto il condono! “Dice sempre: non si preoccupi, è tutto apposto! Se la casa era dei genitori poi, “si figuri“ dice, “mio padre era tanto preciso...”. Così ci mettiamo a guardare i documenti e 90 su 100 il condono è incompleto. “Fare” e portare a termine un condono, non vuol dire avere fatto una domanda, con tanto di bollettini pagati. Per dire che un condono sia una pratica chiusa ed accettata da parte della pubblica amministrazione, vuol dire avere in mano la CONCESSIONE IN SANATORIA. Questo “meraviglioso” e tanto prezioso documento, non è altro che l’assoluzione scritta da parte della pubblica amministrazione dal grande peccato di “abuso edilizio” e senza di esso in Paradiso non ci si va. In linea di massima, salvo comunque alcuni casi, le domande di condono edilizio di cui alle leggi 28 febbraio 1985 n.47, 23 dicembre 1994 n. 724, sono state lavorate da parte dell’ufficio condoni, che ha rilasciato al richiedente il fatidico documento; ( magari anche dopo 30 anni...). Molto meno l’ultimo di cui alla legge 24 novembre 2003 n.326. In caso di vendita di un immobile e, comunque io consiglio sempre, anche se non dobbiamo vendere, di armarsi di calma e buona volontà, ed esaminare lo stato di una domanda di condono presso l’ufficio preposto( da noi via di Decima) e controllare se per esempio la comunicazione da parte del Comune per il ritiro sia stata spedita ai precedenti proprietari (l’ufficio condoni non è informato sui trasferimenti di proprietà), se per esempio sia stata richiesta della documentazione aggiuntiva mai presentata od altri adempimenti non assolti. Controllare inoltre se oneri e oblazioni siano stati versati correttamente e nei tempi dovuti (motivo purtroppo di possibile diniego). Che fare se dobbiamo vendere od acquistare con un condono ancora in lavorazione da parte dell’ufficio condoni?: accertarsi che l’iter della richiesta sia corretto, non ci siano probabilità di diniego, farsi rilasciare da un tecnico iscritto all’albo una dichiarazione in cui si affermi proprio ciò, e se ne assumi la responsabilità, allegandolo al rogito notarile. Molto e molto ci sarebbe ancora da dire al riguardo, ogni caso poi può essere diverso, il messaggio era solo quello che se affermate di avere condonato, dovete avere in mano la concessione in sanatoria. Vi mostriamo un documento di concessione in sanatoria ritirato, cosi’ potrete controllare tutte le vostre “scartoffie” e riconoscerlo subito. Magari siete fortunati e non lo sapete.

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Fatti, Notizie, Curiosità e Approfondimenti di Palma Agosta per chi vive nel Municipio X

CENTRO ESCHILO: NECESSARIA LA RIAPERTURA IN TEMPI STRETTI

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rent’anni di attività che animano l’Axa e tutto l’entroterra di Ostia: il Centro Eschilo è per generazioni di residenti un irrinunciabile punto di riferimento

primi due tempi (8 a 6 e 5 a 4), i capitolini hanno dato vita a una memorabile rimonta che gli ha permesso di vincere l’edizione 2016 del torneo. A Roma sono quasi 300 le squadre che praticano pallacanestro ai più diversi livelli. Il successo della San Paolo è stato una sorpresa perché nessuno accreditava la squadra come capace di un’impresa del genere. Merito di quei genitori che credono nello sport.

PER-CORRI LA LEGALITÀ: LE INIZIATIVE DA GENNAIO AD APRILE iniziativa “Per-corri la Legalità” prevede la realizzazione di vari eventi informativi/formativi, che si svolgeranno da gennaio ad aprile 2016. Il fine è diffondere il valore della legalità, in particolare contrastare il fenomeno dell’usura. Sostenuta da Tano Grasso, Presidente Onorario della FAI - Federazione Antiracket Italiana, che sarà presente all’incontro del 25 gennaio al Teatro del Lido di Ostia, l’iniziativa prevede diversi appuntamenti. Il 25 gennaio, alle 10, il testimone di giustizia Salvatore Castelluccio incontrerà gli studenti al Teatro del Lido di Ostia (via delle Sirene, 22). Il 7 aprile, dalle ore 10 alle ore 13, gli studenti delle scuole del territorio partecipano alla staffetta presso lo Stadio “Pasquale Giannattasio” di Ostia (ex-Stella Polare). Sempre ad aprile, alla fine del mese, la cittadinanza sarà coinvolta in una corsa competitiva su strada di 12 km e ad una camminata non competitiva di 3 km. In quest’occasione saranno presentati i lavori prodotti dagli studenti sul tema della legalità e dell’usura, che potranno costituire oggetto di riflessione per la società civile e per le istituzioni.

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del quotidiano. Parzialmente danneggiato dal disastroso incendio del 23 dicembre (otto gli esercizi coinvolti), il Centro rischia di dover fare i conti, oltre che con le distruzioni delle fiamme, con le lentezze della burocrazia. A scopo precauzionale è stata infatti interdetta all’attività commerciale tutta l’area. Cinquanta esercizi commerciali e centocinquanta famiglie invocano dunque celerità nello svolgimento dei necessari rilievi e nel lavoro delle autorità preposte. Più passa il tempo, più la chiusura degli esercizi integri li pone in una situazione di oggettiva sofferenza. La redazione di 13 Magazine è vicina al Centro Eschilo e ai suoi dipendenti.

LA SAN PAOLO OSTIENSE ESPUGNA PADOVA inizio gennaio, dal 1998, si tiene a Padova un importante torneo di minibasket giovanile (l’età è di circa dieci anni). Visto il periodo si chiama “Torneo della befana”. Dell’atmosfera dell’epifania ha però solo il nome. Sono infatti quaranta le squadre che arrivano da tutta Italia e che si contendono il trofeo davanti a 2500 spettatori. Quest’anno ne parliamo perché la San Paolo Ostiense, realtà sportiva che attrae da decenni tanti ragazzi del quadrante compreso tra l’Eur e Ostia, ha vinto in finale contro un’importante squadra locale, la Virtus Padova. Persi i

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di Lucia Bianco (inviate le vostre ricette a luciabianco@hotmail.it)

BUDGET E RICETTE

SAPORI DALLA TOSCANA

DUE RICETTE PER SPERIMENTARE LE SQUISITEZZE INVERNALI DEL CENTRO ITALIA

er il mese di gennaio mi piace suggerire i sapori della Toscana. La prima ricetta riguarda i mitici “biscotti di Prato”, più noti come cantucci. La seconda, il tradizionale paté di fegatini di pollo: una delizia che dovrebbe essere sempre in frigo sotto forma di vaset-

to. Ideale per una merenda, un invito improvviso, un antipasto veloce oppure, a seguito di un invito a cena, come gradito pensiero accompagnato da una bottiglia di vino.

CANTUCCI

FEGATINI DI POLLO

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INGREDIENTI • 500gr di farina • 500gr di zucchero • 500gr di mandorle con la buccia

INGREDIENTI • 4 uova intere • 1 bustina di lievito • 1 buccia grattugiata di un limone

PREPARAZIONE

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ccendete il forno a 180°. Se avete la planetaria usatela altrimenti vanno bene le fruste elettriche. Battete le uova con tutto lo zucchero e la buccia del limone per almeno 15 minuti: devono diventare gonfie e bianche. Setacciate la farina con il lievito ed unitene un cucchiaio alla volta alle uova (non smettete mai di lavorarle). Spegnete le fruste ed unite a mano le mandorle; lasciate dunque riposare qualche minuto. Ricoprite la placca del forno con la carta forno. Con le mani bagnate usate l’impasto per fare dei salsicciotti lunghi quanto la teglia, larghi due centimetri ed alti altrettanto. Nella placca di solito ne entrano 4. Infornateli e dopo 15 minuti controllate che il bordo sia colorato. Toglieteli dal forno, rovesciateli in modo da avere la carta sopra, con uno strofinaccio bagnato inumidite la carta forno e staccatela delicatamente dai quattro salsicciotti. Con un coltello affilato tagliate i vostri dolci a fettine di un centimetro: dovete fare in fretta perché se il dolce si asciuga si frantuma. Dunque rimettete tutti i tozzetti nella teglia. Ripetete sino ad esaurimento del composto (con la quantità di farina di questa ricetta vengono tre teglie). Quando tutti i tozzetti saranno pronti, rimetteteli in forno per una decina di minuti e saranno pronti. Fateli freddare e conservateli in scatole di latta o di plastica foderate con tovaglioli di carta. Sono buonissimi...

• 500gr di fegatini di pollo • 1 cipolla bianca • 1 carota grande • 3 noci di burro (tre cucchiaini) • olio evo per saltare i fegatini in padella • 1/2 bicchiere abbondante

di vino rosso • 2 foglie di alloro • 3 acciughe sott’olio • 1 manciata di capperi sotto sale (sciacquarli prima di usarli) • sale e pepe

PREPARAZIONE

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ulite bene dal grasso e dai filamenti i fegatini, sciacquateli. A parte, tritate grossolanamente cipolla, carota e sedano e fate rosolare il tutto in padella con una noce di burro ed un giro d’olio. Fate appassire il trito, aggiungete i fegatini e le foglie di alloro. Fate rosolare per 5 minuti girando spesso. Sfumate con il vino e continuate a cuocere per una

decina di minuti. Togliete l’alloro, aggiungete le acciughe ed i capperi dissalati e fate cuocere per altri dieci minuti. Regolate di sale e di pepe. Mettete il composto in un frullatore, aggiungete due noci di burro e date una frullatina: deve risultare granuloso (attenzione a non farlo diventare tipo omogeneizzato). Quando è freddo mettetelo nei vasetti e coprite con dell’olio. Consiglio di prepararlo con un giorno in anticipo così si insaporisce bene.

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MAGNAROMA ROSSO PACHINO

INDIRIZZO Via Gregorio Antonucci, 35 TELEFONO 06.52357078 - 320.4542295 CARTE DI CREDITO Tutte NUMERO POSTI 90 APERTO Tutti i giorni (dal lunedì alla domenica) solo la sera FACEBOOK rosso pachino

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SPECIALITÀ > PIZZERIA FORNO A LEGNA - PIZZE GIGANTI PER TUTTI I GUSTI - PRIMI PIATTI - SPECIALITÀ DI CARNE Il Ristorante Pizzeria Rosso Pachino, conosciuto come una certezza nel campo della ristorazione, propone da sempre ai suoi clienti grande professionalità, ottimi piatti, ingredienti selezionati e da qualche mese anche... un nuovo locale, in Via Gregorio Antonucci 35, ancora più ampio, ancora più accogliente! Aperto tutti i giorni solo la sera, questo delizioso ristorante-pizzeria basa la sua cucina su piatti tipici della più conosciuta cucina romana. Dai primi come l’amatriciana, la cacio e pepe o la gricia ai secondi a base di carne come le tagliate (varie tipologie) o le bistecche di carne italiana da accompagnare a succulenti contorni dall’amato sapore nostrano. Superlativa è la pizza, cotta rigorosamente nel forno a legna. Pizze tonde, alla pala, alte, basse, piccole, giganti da gustare al tavolo, a portar via o a domicilio... decisamente, un vero paradiso per gli amanti della pizza e non solo!

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MAGNAROMA ROSSO PAPILLON

INDIRIZZO Via Giovanni della Penna, 57/59 TELEFONO 344.2031495 CARTE DI CREDITO Tutte tranne American Express e Diners NUMERO POSTI 30 RIPOSO SETTIMANALE Domenica APERTO Solo la sera - La prenotazione è gradita FACEBOOK Ristorante Rosso Papillon

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SPECIALITÀ > PESCE All’interno dell’Hotel Maximo, in una location calda e accogliente, questo delizioso ristorante è il luogo perfetto, dove gli amanti dell’ottima cucina e della buona compagnia, potranno trascorrere una piacevole serata assaporando le fantastiche pietanze preparate dallo chef Alessandro. I tradizionali piatti di pesce e carne, con eccellenti variazioni dello chef, compongono il ricco menù offerto, che incontra e allieta i diversi gusti dei clienti. Il Ristorante, aperto solo la sera, dispone di 30 coperti e durante la stagione estiva offre anche il servizio all’aperto. L’atmosfera particolare ed intima renderà unica la vostra cena e sarà un valore aggiunto all’eccellente cucina. Atmosfera che non può essere ulteriormente descritta se non citando lo slogan del Ristorante Rosso Papillon: “Uno chic che non impegna”. Non vi resta che prenotare e venire a provare di persona!

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LA CAPANNINA SPECIALITÀ > PESCE - VIVAIO ASTICI E ARAGOSTE INDIRIZZO Lungomare A. Vespucci, 156

Presso lo stabilimento “La Capannina”

TELEFONO 06.56470143 CARTE DI CREDITO Sì (No Diners) PARCHEGGIO Sì NUMERO POSTI 200 RIPOSO SETTIMANALE No APERTO Pranzo e Cena FACEBOOK La Capannina Ostia

ZONA OSTIA


MAGNAROMA EL TORO LOCO

INDIRIZZO Via degli Strauss, 74 TELEFONO 06.50910583 CARTE DI CREDITO Sì NUMERO POSTI 40 posti a sedere RIPOSO SETTIMANALE Sempre aperto APERTO 11:00-15:00 · 17:00-02:00 FACEBOOK Eltoroloco Ristorante SITO www.eltoroloco.it

ZONA

INFERNETTO

SPECIALITÀ > FAST FOOD - CARNE - COCKTAILS - BIRRA Accogliente e giovane, questo pittoresco locale è il luogo ideale per un pranzo di lavoro, per godersi un favoloso aperitivo (a partire dalle 19:00) o gustarsi una piacevole cena a base di carne guarnita da deliziosi contorni. Il menù offre carni sceltissime, cucinate sapientemente (come la mandrugata, el tornado, el gallo loco, le tiras de pollo), insalate saporite ricche di ingredienti freschissimi, contorni a base di verdure o patate fritte e, per finire, una gamma di panini da leccarsi i baffi! Il tutto da accompagnare ad una selezione di birre di alta qualità e dolci fatti in casa... imperdibili. E se i più grandi si trattano bene con speciali prelibatezze anche i più piccoli potranno partecipare al banchetto con un menù tutto dedicato a loro, semplice e leggero. El Toro Loco vi aspetta dalle 11:00 alle 15:00 e dalle 17:00 fino alle 2 di notte, tutti i giorni. Gradita prenotazione.

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OROSCOPO DI GENNAIO

di Alehandra

ARIETE 21/3 · 20/4

AMI JAMES

6/4/1972

Se fate attenzione ai fraintendimenti, gennaio filerà liscio. In questo periodo avete molta voglia di polemizzare (anche quando non serve) e non dovete sottovalutare le tensioni verbali. È facile che una qualsiasi discussione degeneri ben al di là delle vostre intenzioni iniziali. Dunque volate basso: le soddisfazioni arriveranno sicuramente.

BILANCIA 23/9 · 22/10

MARTINA HINGIS

30/9/1980

TORO 21/4 · 20/5

HANNAH DAVIS

5/5/1990

I propositi buoni non mancano. Per il nuovo anno avete voglia di vivere e di cambiare le vecchie regole. Dunque spazio al vostro spirito d’iniziativa, all’esigenza di comunicare, alla necessità di viaggiare e di scoprire cose nuove. Sul fronte dei rapporti affettivi sarete invece un po’ nervosi. Il consiglio è di usare pazienza e tolleranza.

SCORPIONE 23/10 · 21/11

CHE GUEVARA

14/6/1928

8/11/1966

SAGITTARIO 22/11 · 21/12

FRIDA KAHLO

6/7/1907

SIA

CAPRICORNO 22/12 · 20/1

TRIPLE H

27/7/1969

PSY

ACQUARIO 21/1 · 19/2

ALESSANDRA MASTRONARDI

18/2/1986

VERGINE 23/8 · 22/9

KIM YU-NA

5/9/1990

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Sarà un mese bellissimo dal punto di vista della realizzazione dei progetti pratici. Ottimo momento per allargare il giro delle amicizie, per arricchire la vita sociale, per coltivare degli interessi al di fuori del lavoro. Qualche problemino negli affetti, in particolare quelli familiari. Mercurio sarà però al vostro fianco e vi aiuterà a comunicare propriamente.

È il vostro gennaio. Per molti di voi sarà mese del compleanno e le configurazioni astrali sono tutte a vostro favore. Siete brillanti, comunicativi, presenti e vivi. Vi sentite bene e trasmettete agli altri la forza della vostra forma. In famiglia e nelle relazioni di coppia sarete pronti a prendere le cose più alla leggera e ad infondere sicurezza.

31/12/1977

LEONE 23/7 · 22/8 Dovete solo tenere a bada la vostra vena polemica e il vostro modo di essere irruenti. È l’effetto di Marte in Scorpione: un quadro astrale che non vi rende affatto concilianti. Per il resto, vi aspetta un ottimo gennaio. Sarà un periodo produttivo e ricco di progetti rivolti al futuro. Dunque datevi da fare con la grinta che vi caratterizza.

Sarà un mese nel quale vivrete con il freno a mano tirato. Il punto è proprio questo: non fatevi intimorire o bloccare dalle paure. Cercate piuttosto di usare il buon senso, l’intelligenza e l’istinto per tirarvi fuori da situazioni scomode. Dunque avanti tutta, perché alla fine il favore degli astri non vi manca. Buttatevi e vedrete che saprete nuotare!

19/12/1975

CANCRO 22/6 · 22/7 L’anno inizia con il botto: gli impegni sono tanti. Ciò vi porterà a una vita frenetica con punte di nervosismo. Il trigono di Marte sarà al vostro fianco e vi aiuterà a reggere alla situazione. Forza e determinazione non vi mancheranno e anche Mercurio è dalla vostra parte. Insomma, sarà un mese leggermente sofferto ma pieno comunque di soddisfazioni.

L’umore migliora, dunque qualcosa sta cambiando. In generale, il mese si presenta come pieno di vita e di cambiamenti. Sarà un gennaio fatto di riflessioni, ripensamenti, dubbi, dilemmi. Non fatevi confondere dal vortice delle domande, gli astri sono decisamente con voi e ve ne daranno dimostrazione. È giunto il momento che la ruota giri in senso positivo.

GORDON RAMSAY

GEMELLI 21/5 · 21/6 Mese altalenante, che riserva novità e situazioni che potrebbero richiedere maggiore impegno. Alcune cose potrebbero sembrarvi incomprensibili e vi faranno preoccupare non poco. Cercate di avere fiducia e di guardare in avanti: elasticità e capacità di adattamento vi serviranno per superare il momento delicato. Tutto passerà.

Siete nervosi e proprio per questo il consiglio è: calma! Cercate di rimanere padroni di voi stessi, tranquilli e lucidi. Su ogni fronte, che sia quello della famiglia o degli amici, cercate di contare fino a dieci prima di parlare. Avete Mercurio in quadratura, dunque l’importante è prendere tempo. Rimandate le decisioni importanti.

Non vi dimenticherete facilmente di questo gennaio. Sarete parecchio tesi e nervosi, perché vedete che la vita intorno a voi si muove in maniera incontrollata. Potreste stare sul guardingo sia dal punto di vista della famiglia, dell’amore e del lavoro. Cercate di non farvi il sangue amaro e di guardare alle cose positive. Non sono poche.

PESCI 20/2 · 20/3

LUCIANO SPALLETTI

7/3/1959

Se venite da un periodo di incertezze, gennaio è il mese giusto per sciogliere i dubbi. Mercurio è dalla vostra parte e potrete usare quest’alleanza per migliorare i rapporti amicali e familiari. Vi basta essere diretti nel dire ciò che volete. Dall’inizio del mese avete poi Marte in Scorpione: significa forza di volontà e spirito positivo.



visioni grafiche

TARIFFA ROC: POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1 COMMA 1 - DCB - ROMA

VG


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