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Il pane di una volta

SENATORE CAPPELLI, GENTIL ROSSO, MENTANA, FUNO E FRASSINETO SONO SOLO ALCUNE DELLE VARIETÀ DI GRANI RISCOPERTI

di Rosanna Scardi

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Il pane di una volta è ricco di sapori e profumi. Si va dal retrogusto di pane cotto a legna del Senatore Cappelli fino al profumo intenso del Mentana e alle note di vaniglia del Gentil Rosso. Queste varietà di grani donano al pane un gusto rotondo e aromatico. Ecco alcuni esempi.

ASTA DEL SERIO I GRANI COLTIVATI SULL'ALTOPIANO

In Val Seriana, Andrea Messa, di Nasolino, manager per oltre 40 anni presso multinazionali, ha girato il mondo e parla cinque lingue, ma una volta conquistata la pensione ha deciso di tornare al mestiere della sua famiglia, riportando i vecchi cereali in montagna, coltivandoli tra gli 800 e i 1.000 metri. Suo nonno Antonio, nel 1936, aveva vinto la medaglia d’oro della battaglia del grano di mussoliniana memoria come miglior produttore per qualità e quantità. Messa si è informato con gli anziani del luogo su quali fossero le varietà d’un tempo, scoprendo che fino agli anni Andrea Messa ’50 si coltivavano Ardito, Balilla, San Pastore e Mentana, grani ibridati dal 1932 al 1938. Zappa e aratro, ha deciso di ripiantarli insieme a segale alpina, orzo, grano saraceno, mais. Nel 2015 è nata l’associazione culturale “Grani Asta del Serio”: le coltivazioni sono sull’altopiano di Clusone, a Valbondione, Gandellino, Piario, Oltressenda Alta, Ardesio, Gromo, Villa d’Ogna e Fiume Nero. A Expo, il progetto è stato presentato più volte, di cui due in inglese e francese. La filiera è controllatissima, in ogni passaggio, dal campo fino alla tavola: la macinatura dei cereali avviene a pietra all’antico mulino Giudici azionato ancora ad acqua a Cerete Basso, mentre la vendita di farine, gallette, pane e altri prodotti da forno è nel negozio Valzella di Ardesio, gestito da tre soci. «Le nostre vallate sono state sempre autosufficienti nella produzione di grano per il loro sostentamento – spiega Messa -. Lo scopo dell’associazione è quello di riscoprire e valorizzare elementi culturali e colturali del nostro territorio».

MIDALI USA "IL GRANO DEL FARAONE"

Usa grani di una volta anche lo storico panificio Midali di Branzi, gestito da Baldovino, conosciuto anche come fotografo e documentarista naturalista, dalla moglie Karin e dal figlio David, che serve la Brembana, scendendo fino a San Pellegrino. Una di queste varietà è la Khorasan, che prende il nome della regione iraniana, dove venne descritto per la prima volta nel 1921, ma conosciuto già nell’antico Egitto. «Erroneamente questa farina di grano duro è chiamata Kamut in realtà è un marchio registrato di una società americana che lo commercializza – spiega Baldovino -. È stato coltivato per secoli in Anatolia, Egitto, era anche conosciuto come “grano del Faraone” (il fondatore della Kamut prese il nome dal suono di un geroglifico) e in Mesopotamia. Una sua varietà coltivata in Abruzzo e Irpinia, dove fu introdotta dai

David Midali - © Foto Lorenzo Magitteri

popoli balcanici nel 400, è la Saragolla: si producono delle pagnottelle sane, digeribili e bilanciate, ha poco glutine e un alto contenuto di selenio e beta carotene, eccellenti antiossidanti». Una farina di questo tipo può costare 1,8 euro al chilo, mentre il Senatore Cappelli, così chiamato in onore del senatore abruzzese Raffaele Cappelli, che l’ha promossa nei primi anni del ‘900, usato sempre da Midali, anche 2 euro. «Sono farine difficili da usare, dalla lievitazione più veloce e delicata», aggiunge. Avviato nel 1974 dai genitori di Baldovino e dal fratello, il panificio ha introdotto i grani fuori dal grande commercio rifornendo i ristoranti macrobiotici con il pane realizzato dal Pandas, una farina integrale e un’altra di tipo 2. Sono Punto Natura a Bergamo, la Tavernetta a Zogno, Un Cerro a Treviglio e Ca’ Al Del Mas a Serina. «Ai panificatori dico di aprire gli occhi, essere responsabili, di non comprare prodotti che costano poco e rendono solo gonfio il pane. E al cliente, che se una pagnotta non sa di nulla, di non mangiarla. Oltre a non essere buona, non gli farà bene», tiene a precisare Midali.

TILDE PREMIATO DAL GAMBERO ROSSO

Nella guida “Pane & Panettieri d’Italia 2021” c’è un’eccellenza bergamasca, Tilde, a Castel Cerreto, frazione di Treviglio. Il forno artigiano, con annessa bottega per la vendita diretta, è gestito da Simone Conti con la moglie Marisol Malatesta,

La raccolta del grano di Tilde

pittrice peruviana. Tilde è il simbolo dell’infinito, impresso nel loro pane, usato in spagnolo e, fin dal Medioevo, dagli amanuensi per abbreviare risparmiando carta e inchiostro. La tradizione è di famiglia: il nonno paterno era agricoltore e aveva un banco al mercato di Treviglio. Il padre, Pino Conti, con la sua storica gastronomia a Treviglio, li ha ispirati e guidati. Da Tilde Simone e Marisol lavorano un pane certificato biologico, in grandi pezzature, risultato di lunghe fermentazioni naturali e alte idratazioni. Nel loro pane si trovano una serie di vecchie varietà recuperate come la Mentana, profumata e morbida, coltivata dall’azienda agricola biologica Coste del Sole nelle Marche. «Al momento lavoriamo soprattutto con popolazioni evolutive di vecchie varietà di grano tenero, come la Solibam, coltivata e macinata dall’azienda agricola biologica Floriddia, situata in Toscana tra le colline pisane della Valdera – spiega Simone, che ha due lauree, una in lingue, l’altra in editoria, una parentesi di master in Gastronomia e Turismo Culturale all’Università di Scienze Gastronomiche e tanta esperienza tra Bristol e Londra, dove si è innamorato della panificazione -. La lavorazione avviene sempre con pasta madre viva, ovvero farina e acqua fermentata per molte ore in modo da rendere il prodotto il più duraturo e digeribile possibile. Il processo di lavorazione di 24 ore permette di valorizzare il sapore e le caratteristiche di questi grani». Segreti e tecniche che Simone ha imparato frequentando un master a Bra nel 2010. Tornato a Londra, ha preso spunto da ciò che accadeva a Hackney, il quartiere dove viveva con Marisol, dalla riscoperta delle botteghe e del cibo a chilometro zero. A Bristol, al Bordeaux Quay, ristorante all’avanguardia dal punto di vista della sostenibilità, ne ha appreso l’importanza, mentre all’E5 Bake House di Londra l’arte della panificazione, impastando ogni giorno a mano.

ASTINO, IL PANE CON 130 VARIETÀ DI FRUMENTO

È il pane della iperbiodiverità per eccellenza. Sarà prodotto, per la seconda volta, in autunno con 130 varietà di frumento, tra cui Senatore Cappelli, San Pastore, Farro, Spelta, Monococco, Gentil Bianco, Ardito, Mentana, coltivate nella Valle della Biodiversità, sezione di Astino dell’Orto Botanico “Lorenzo Rota” di Bergamo. Il progetto ha uno scopo divulgativo ed è realizzato in collaborazione con il Crea, Centro di ricerca cerealicoltura e colture industriali: le spighe vengono raccolte e trebbiate per ottenere la granella. L'Associazione Amici Orto Botanico di Bergamo e l’Istituto Politecnico di Fondazione Ikaros insieme all’Associazione “Grani Asta del Serio” si occupano della molitura per ottenere la farina. Infine, con il supporto di Aspan - Associazione Panificatori Artigiani della Provincia di Bergamo, gli allievi dell’Istituto Politecnico di Fondazione Ikaros panificano il prodotto. Le varietà sono state messe a dimora nell’inverno del 2019, coltivate biologicamente e raccolte nell’estate successiva. «Sono soddisfatto del risultato e delle adesioni: ottenere un pane con ben 130 varietà di frumento è qualcosa di straordinario. Ogni farina dà il proprio contributo alla lievitazione e al sapore - commenta Gabriele Rinaldi, direttore dell’Orto Botanico -. È un lavoro di squadra che vede la partecipazione di tanti volontari e professionisti. La biodiversità è un valore irrinunciabile, è questo il grande messaggio che intendiamo comunicare».

TRADIZIONI di Leonardo Bloch

Mestüra, inferigno e melgòt Le ricette della storia

Nella storia del cibo i drastici capovolgimenti del gusto sono all’ordine del giorno. Se oggi la benché minima striatura di grasso in una fettina è da molti esecrata, durante il medioevo il pregio delle carni era tanto più elevato quanto più pervasiva era la loro marezzatura. La cultura del chilometro zero, ai nostri giorni saldamente in voga, in passato era invece aborrita per via del suo profondo radicamento negli usi alimentari degli zotici. Il più emblematico tra questi sovvertimenti ha probabilmente avuto luogo nel dominio della panificazione. È nozione comune che attualmente il prezzo dei prodotti da forno ottenuti con l’impiego di sfarinati integrali o di cereali minori, spesso aulicamente denominati grani antichi (segale, sorgo, miglio), sopravanzi considerevolmente quello del pane bianco di frumento. Eppure sino a non più di un secolo fa questa gerarchia di valore e di gradimento era perfettamente invertita. Le pagnotte dalle molliche candide e soffici, fatte di fior di farina, rappresentavano un articolo del tutto elitario, tanto da venir designate nel vocabolario vernacolare del Tiraboschi come pa de lüsso, ed erano esclusivo appannaggio dei ceti più abbienti. La plebe urbana doveva invece contentarsi del pa de mestüra, nel cui impasto erano commisti poco frumento e parecchia segale, o del pane inferigno, ricco di cruschello. Le rare pagnotte che finivano nei forni del contado, laddove imperava la polenta, venivano per lo più elaborate partendo dalla farina di granoturco (pa de melgòt), mentre in montagna e nelle valli si utilizzava la farina di castagne (pa de farina d’castegne). A riprova di quanto fosse ambito nel medioevo il pane bianco, le cronache riportano casi di giovani che prendevano i voti solo per potersene cibare nei monasteri, dato che altrimenti mai avrebbero potuto nemmeno assaggiarlo. Oltre alla segale, la cui coltivazione era assai diffusa sin da tempi antichi nella bergamasca, altri cereali minori - che secoli fa erano denominati biade in quanto principalmente destinati all’alimentazione del bestiame - trovavano in passato impiego nella panificazione soprattutto in circostanze emergenziali. Tra questi vanno annoverati il miglio ed il panìco, dai quali si ottenevano prodotti di qualità non disprezzabile ma da consumarsi appena estratti dal forno, dato che l’assenza di glutine con il raffreddamento li induriva sino a renderli incommestibili. Alla farina di sorgo, seme della saggina, si ricorreva solo durante le carestie più severe. E nei periodi di più aspra penuria assieme alle graminacee veniva mietuta e passata alla macina anche la zizzania, la cui compresenza nelle pagnotte era tutt’altro che disdegnata dai villici in virtù dei suoi effetti allucinogeni.

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