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La scienza ai fornelli

di Laura Bernardi Locatelli

In cucina prevale il mito della creatività, dell'estro dello chef, ma anche della sperimentazione. Eppure persiste una certa resistenza nell'abbandonare le proprie ricette e convinzioni, mentre si è decisamente più pronti a inseguire nuove tecniche di cottura e prodotti di tendenza, spesso senza interrogarsi sul perché e sui reali vantaggi. Abbiamo chiesto a due ricercatori universitari, al “chimico” per antonomasia Dario Bressanini, e alla neuroscienziata Anna D'Errico, esperta d'olfatto, impegnata anche nella ricerca internazionale sugli effetti del Covid-19 sulla perdita di sapore, anosmia e chemestesi, di sfatare alcuni falsi miti e pregiudizi legati al mondo dell'enogastronomia.

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Barbara Torresan ©

«La cucina è un grande laboratorio»

Le reazioni e trasformazioni sono la base della cucina eppure c'è sempre una certa diffidenza verso la chimica, come per i prodotti di sintesi. Basti vedere lo stato di allerta di fronte alla dicitura in etichetta E300, che altro non è che la cara, buona, vecchia vitamina C. Stesso discorso per gli ogm, temuti e osteggiati e per l'olio di palma, da moderare sì, ma non tanto più del burro. Sono solo alcune delle convinzioni resistenti e dei falsi miti che il chimico più seguito d'Italia, Dario Bressanini, nonché ricercatore all'Università dell'Insubria, smonta a colpi di scienza, formule, provette e prove in diretta. Celebre la sua pasta senza fuoco, perché - mostra- è inutile continuare a far bollire l'acqua dopo aver buttato i maccheroni: basta mescolare, mettere il coperchio e cuociono alla perfezione anche a fornello spento (e senza inutile spreco di gas). Il suo blog è il canale di divulgazione scientifico più seguito d'Italia, per non parlare dei numeri dei social, da super influencer. Grande anche il seguito dei suoi libri, da “Pane e bugie” alla prima enciclopedia scientifica culinaria, dall'esordio con “La scienza della pasticceria” al più recente, “La scienza delle verdure”, passando per la chimica della bistecca e dell'arrosto. Lo abbiamo intervistato al telefono, in una pausa tra un impegno accademico e l'altro: «Mi sto concentrando sulla ricerca universitaria- spiega-. Mi concedo sempre almeno un anno di stop tra un libro e l'altro».

Con la pandemia crede che sia cresciuta la fiducia nella scienza anche in cucina?

Direi di no, almeno dal mio osservatorio sui social. Viene ancora vista con un certo scetticismo, specialmente nel comparto alimentare. La sensazione è che ci si appelli alla scienza per risolvere un problema imminente come ci insegna questa pandemia, ma sul fronte gastronomico alla fine ci si affida alla ricetta della nonna, che continua a essere inconfutabile o quasi.

Quanto farebbe bene alla ristorazione un ripasso di chimica degli alimenti?

Sarebbe davvero utilissimo. In molti Paesi l’attenzione è molto alta, a partire dalle scuole e grandi chef, come Heston Blumenthal, vantano collaborazioni scientifiche. Noto però con grande piacere un maggior interesse e una maggiore apertura nei giovani chef e nei ragazzi, meno prigionieri delle tradizioni.

Rileva una carenza nella nostra scuola alberghiera?

Il problema riguarda in generale la scuola italiana. Partiamo da un dato di fatto: in moltissimi istituti non ci sono nemmeno i laboratori.

E dove ci sono si prepara troppa besciamella e si studia poco chimica?

Guardi che preparare la besciamella perfetta è importante. Grazie anche all’aiuto della chimica. Il latte deve essere freddo e mai caldo per evitare i grumi, per esempio.

Quali sono i vantaggi di un'alleanza tra scienza e cucina? Sappiamo che ha migliorato il purè della Bowerman e che dietro ad altre ricette c'è il suo zampino.

Ho collaborato con Cristina Bowerman per alleggerire il suo purè esaltando sapore e consistenza, lavorando sulla gelificazione degli amidi e con il pasticciere Gianluca Fusto. A volte basta qualche piccolo consiglio per ottimizzare il procedimento. Ma soprattutto bisogna provare e riprovare. La cucina è un'attività sperimentale, un fantastico laboratorio di chimica, un grande esperimento scientifico quotidiano. A volte mi scrivono chef, ponendo dei quesiti particolari, cui mi limito a rispondere a livello teorico. Ma il mio invito è a sperimentare, ovviamente in modo scientifico. E qui sta la difficoltà principale.

Da dove si parte?

Si va per tentativi, ma mai a casaccio. Contano solo l'evidenza scientifica, le prove, i fatti. Con lo stesso rigore da laboratorio si affrontano bistecche, meringhe, verdure e soufflè. Mi è capitato di tenere una lezione di pasticceria nella scuola d'Alta cucina Alma. Abbiamo provato e riprovato la realizzazione di biscotti di frolla tradizionali. E ho mostrato agli studenti cosa succede, attraverso errori e modifiche al procedimento.

Le viene in mente il nome di uno chef particolarmente rigoroso? O c'è qualche modello da seguire?

Mi piace seguire in tv le dimostrazioni di Heston Blumenthal: ricordo una puntata dedicata alla realizzazione delle patate arrosto perfette, cambiando tipologia di patate e modificando temperature e procedure. Perché una cosa è certa: le ricette sono sempre perfettibili e i grandi chef lo sanno.

Quali sono i pregiudizi e falsi miti più resistenti in cucina?

L’idea che se una ricetta è sempre stata fatta in un certo modo questo sia anche il metodo migliore è una convinzione resistente. Ricordo il putiferio scatenato sui social dalla mia ricetta del limoncello veloce. Il limone dà il massimo dell’estrazione in un giorno, massimo due di infusione in alcool. Si è aperto l’inferno: mi scrivevano dalla costiera amalfitana che il tempo minimo di infusione è di 30 giorni per tradizione. C'è poi chi ha provato la mia ricetta e ne è rimasto sorpreso. E c’è chi ha tenuto a dirmi che perfino la nonna di Sorrento ha apprezzato la mia versione. Chissà poi se seguirà la mia di ricetta o andrà avanti a realizzare la sua.

Ci sono tecniche di cottura che vanno di moda. C'è il momento in cui si cuoce tutto a bassa temperatura, l'era della vasocottura, il trionfo della fermentazione. Cosa ne pensa?

La cottura la fa la temperatura e non il metodo. Il microonde ha senso per ortaggi e verdure ricchi d’acqua che normalmente farei bollire come asparagi, zucca, peperone e cavolfiori. Cuocere a bassa temperatura una carota non ha senso, è una tecnica eccellente per le proteine, ma non ha alcun vantaggio per gli ortaggi. Il punto è che per moda si fa qualsiasi cosa. Senza interrogarsi sul perché e sui vantaggi si finisce col seguire la corrente. Quanto alla fermentazione, sempre più in voga, credo che fermentare a caso senza una certa tradizione e cultura per farlo, come accade invece nei paesi asiatici, possa anche essere pericoloso. Ma ahimè c'è ancora chi si vanta di utilizzare acqua di mare per cucinare.

A livello casalingo quali errori si fanno più di frequente?

Le uova vanno tenute in frigorifero, checché ne dica Alessandro Borghese. Melanzane e peperoni sono frutti tropicali che soffrono a temperature basse. Le patate e le cipolle non vanno mai in frigo. E poi - a costo di ripetermi - bisognerebbe accantonare una volta per tutte la convinzione per cui il procedimento di una ricetta tradizionale o di famiglia sia sempre il migliore.

Eppure la cucina tradizionale è stata tramandata, come diventate ristoratrici stellate. La nostra è ancora una cucina casalinga?

Sono d'accordo con quanto ha sempre affermato Bocuse: il patrimonio culinario casalingo è un valore insostituibile. Quando ero negli Stati Uniti per il dottorato, mi facevo spedire da mia mamma alcune ricette e così ho iniziato a mettermi ai fornelli. Però nulla vieta di migliorare anche le ricette tradizionali di casa. È così che nasce, ad esempio, la mia versione scientifica del ragù alla bolognese (pubblicata sul suo blog "Scienza in cucina", ndr). Quanto agli italiani, credo che in pochi dedichino tempo alla cucina.

Non crede che il lockdown abbia portato a una riscoperta di piatti tradizionali?

Ma la panificazione è un'arte che richiede tanta preparazione e tecnica, infatti credo che in molti abbiano gettato la spugna. Le vecchie ricette si stanno perdendo. Alla fine si porta in tavola una pasta veloce, magari con un sugo già pronto, e delle fettine di carne, cotte frettolosamente.

Siamo messi così male?

Manca l'alfabetizzazione. La distanza tra produzione e consumo è sempre più marcata. Non si conoscono nemmeno i tagli di carne perché si compra tanto confezionato, si va meno dal macellaio e non si è più abituati a vedere le mezzene appese... Se chiedo cosa sia il caglio o come nascano i formaggi,

ha sempre sostenuto Bocuse, dalle Mère, donne di casa

No. C'è stata la rincorsa al lievito e tutti a panificare in casa. beh credo siano in pochi a rispondermi correttamente.

Eppure l'attenzione per la cucina non è mai stata così alta, a partire dai media.

È un fenomeno a cui ho già assistito negli Stati Uniti negli anni Novanta. Si parla di cibo, si guardano trasmissioni in tv come show, intrattenimento, ma credo che alla fine siano ben pochi a mettersi ai fornelli. E poi non credo neppure che Masterchef e dintorni insegnino molto: ho assistito ad una spiegazione errata della reazione di Maillard. Molti la confondono con la caramellizzazione, che è tutta un'altra storia.

Ecco, spieghiamo la madre delle reazioni chimiche in cucina in estrema sintesi.

Avviene ad alte temperature, tra gli amminoacidi delle proteine e gli zuccheri. La carne di manzo contiene zuccheri a sufficienza per sviluppare la reazione di Maillard. Altre richiedono l’aggiunta di vino, marinature, limone, anche arancia, o miele per glassare. La reazione accelera anche con un elemento alcalino, come il bicarbonato di sodio.

Ha un grande seguito su blog e social, per non parlare dei suoi libri di cucina. Possibile che la tv non le abbia proposto uno spazio?

La divulgazione scientifica in Italia non ha spazio mediatico, a differenza di quanto accade ad esempio nel Regno Unito sulla BBC. In Italia è particolarmente in voga il vecchio format con uno show di cucina o uno chef “prima donna”. Mi sono anche proposto per una trasmissione in tv, ma sui grandi media la scienza in cucina non sembra essere d'interesse.

ANNA D'ERRICO «L'enogastronomia è una questione di naso»

La perdita di olfatto (anosmia), sapore (ageusia) e chemestesi, mostrano i test effettuati, l'esperienza del consumo di carne». tra gli effetti rilevati del Covid-19, si è rivelata una privazione Esiste anche un galateo per i fiori da mettere in tavola, come sensoriale disabilitante, che ha mostrato per assenza l'impor- insegnano i giapponesi: «I narcisi e altri mazzi particolarmente tanza dell'olfatto nella degustazione di piatti, vini e bevande. odorosi sono banditi dalle tavole. In generale, nonostante la Su questo aspetto, con un pool di scienziati internazionali grande tradizione di incensi e profumazioni, in Oriente prevale del Global Consortium for Chemosensory Research, si sta il rispetto e non vi sono mai profumazioni invadenti». Puzze e concentrando anche la neuroscienziata bergamasca Anna profumi non esistono, ma vi sono semmai odori e aromi da D'Errico, ricercatrice alla Goethe Universitat di Francoforte. interpretare e ciò è influenzato da fattori individuali, psicoloL'esperta in olfatto, studia da sempre, dentro e fuori dal la- gici, sociali e culturali. «Ciò che per qualcuno è un aroma piaboratorio, l'uso degli odori, dal ruolo dei feromoni alla Scuola cevole, per altri può essere un odore sgradevole. Per esemInternazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste ai mec- pio, noi in occidente non siamo abituati al sentore di carne canismi con cui il cervello decifra cruda dei mercati asiatici, dove stimoli olfattivi al Max-Planck Institute of Biophysics di Franco«GLI ODORI CUI ASSOCIAMO tra mezzene appese, pollame e frattaglie domina un odore che forte. È autrice de “Il senso per- RICORDI POSITIVI a noi sa di cane bagnato». Per fetto”, selezionato quest'anno tra i finalisti del premio Galileo per la SI IMPRIMONO PIÙ A LUNGO non parlare della colazione coreana e giapponese: «Piatti ferdivulgazione scientifica, libro che segue all'omonimo blog attivo da NELLA MEMORIA» mentati come il kimchi coreano e il natto nipponico, mangiati anni, dedicato a odori improbabili per tradizione a colazione, proe puzze (im)possibili (perfectsen- vocano in Occidente reazioni di seblog.com). La scienziata, che adora il soffritto d'aglio e disgusto, nausea e fastidio, viceversa i formaggi che noi apcipolla ma si lascia sedurre dalla profumeria d'autore, sotto- prezziamo hanno spesso in Asia un odore troppo forte». linea l'importanza di aprire le narici per riappropriarsi di una Anche la memoria gioca un ruolo chiave: non è solo un “tosensibilità poco ascoltata e lasciarsi guidare dal senso più pos” letterario, come nella Recerche di Proust con le famose sensuale che la natura ci abbia donato. Non senza sfatare madeleine: «Gli odori cui associamo ricordi positivi si imprialcuni miti: «Il sommelier e il degustatore hanno nasi normali, mono più a lungo nella memoria». allenati con training specifici, che durano anni e portano ad arrivare a cogliere e distinguere centinaia di odori». Anche ai nasi migliori capita d'essere tratti in inganno: «Sono stati condotti diversi esperimenti scientifici curiosi. È stata proposta in degustazione una verticale di vini bianchi, colorati però ad hoc come vini rossi. Ebbene, il risultato delle schede di degustazioni è stata l'associazione di caratteristiche e descrittori tipici di vini rossi per vini che in realtà non lo erano affatto». Di contro, anche i descrittori influenzano la degustazione: «L'acido caprilico e butirrico dei formaggi portano a odori caratteristici, che ricordano anche quello dei calzini sporchi o del sudore. La reazione di fronte all'etichetta “calzino sporco” è stata diversa rispetto a quella “cheddar cheese”, eppure in entrambi i casi stavano annusando lo stesso odore». Ultimamente sono di gran moda i cocktail aromatizzati con profumi, ultima frontiera della mixology: «Il fragrance pairing crea un'esperienza sensoriale olfattiva di confronto tra essenze, memorie odorose e degustazione. Mandy Aftel, la capostipite della corrente indie della profumeria d'autore negli Usa, ha sviluppato fragranze usate dagli chef per esaltare le caratteristiche dei piatti. Essenze naturali che non vanno a sostituire ingredienti, ma che esaltano le ricette». L'industria alimentare sta testando un'atmosfera modificata da utilizzare all'interno delle confezioni di carne: «L'aroma di rosmarino, utilizzato nell’atmosfera interna delle confezioni, migliorerebbe, come La neuroscienziata Anna D'Errico

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