La
Metallurgia Italiana
International Journal of the Italian Association for Metallurgy
n. 10 Ottobre 2018 Organo ufficiale dell’Associazione Italiana di Metallurgia. Rivista fondata nel 1909
GIORNATE NAZIONALI SULLA
xiii edizione
PALERMO - 3-5 LUGLIO 2019
PRESENTAZIONE
LE EDIZIONI
La XIII edizione delle Giornate Nazionali sulla Corrosione e Protezione si terrà a Palermo dal 3 al 5 luglio 2019, presso il Campus dell’Università degli Studi di Palermo. Le Giornate rappresentano l’evento di riferimento a livello nazionale per la discussione ed il confronto sulle questioni scientifiche, tecnologiche e produttive, nell’ambito della corrosione e protezione dei materiali. In particolare, il Convegno prevede la presentazione dei risultati raggiunti da vari gruppi di studio e da numerose aziende del settore, in forma orale e poster. Il Convegno si aprirà nel pomeriggio di mercoledì 3 luglio con la Cerimonia d’apertura e due plenary lectures, a cui seguiranno nei due giorni seguenti le sessioni tecniche. La Cena del Convegno sarà offerta la sera di venerdì 5 luglio.
spazio aziende e sponsorizzazione
Le aziende interessate alla sponsorizzazione dell’evento o ad uno spazio per l’esposizione di apparecchiature, la presentazione dei servizi e la distribuzione di materiale promozionale, potranno richiedere informazioni dettagliate alla Segreteria AIM: info@aimnet.it.
www.aimnet.it/gncorrosione
Organizzate da
con il patrocinio di
I II III IV V VI VII VIII IX X XI XII
1992 1994 1996 1999 2002 2005 2007 2009 2011 2013 2015 2017
Milano Milano Milano Genova Bergamo Senigallia Messina Udine M.te Porzio Catone Napoli Ferrara Milano
presentazione di memorie
Gli interessati a presentare memorie scientifiche dovranno inviare entro il 31 gennaio 2019, il titolo della memoria, i nomi degli autori con relative affiliazioni ed un breve riassunto. Le memorie potranno essere proposte: - compilando il form online presente sul sito dell’evento: www.aimnet.it/gncorrosione - inviando il riassunto e tutte le informazioni richieste a mezzo e-mail: info@aimnet.it
gnC PALERMO 2019
La Metallurgia Italiana
La
Metallurgia Italiana
International Journal of the Italian Association for Metallurgy
n. 10 Ottobre 2018 Organo ufficiale dell’Associazione Italiana di Metallurgia. Rivista fondata nel 1909
International Journal of the Italian Association for Metallurgy Organo ufficiale dell’Associazione Italiana di Metallurgia. House organ of AIM Italian Association for Metallurgy. Rivista fondata nel 1909
Direttore responsabile/Chief editor: Mario Cusolito Direttore vicario/Deputy director: Gianangelo Camona Comitato scientifico/Editorial panel: Livio Battezzati, Christian Bernhard, Massimiliano Bestetti, Wolfgang Bleck, Franco Bonollo, Bruno Buchmayr, Enrique Mariano Castrodeza, Emanuela Cerri, Lorella Ceschini, Mario Conserva, Vladislav Deev, Augusto Di Gianfrancesco, Bernd Kleimt, Carlo Mapelli, Jean Denis Mithieux, Marco Ormellese, Massimo Pellizzari, Giorgio Poli, Pedro Dolabella Portella, Barbara Previtali, Evgeny S. Prusov, Emilio Ramous, Roberto Roberti, Dieter Senk, Du Sichen, Karl-Hermann Tacke, Stefano Trasatti Segreteria di redazione/Editorial secretary: Valeria Scarano Comitato di redazione/Editorial committee: Federica Bassani, Gianangelo Camona, Mario Cusolito, Carlo Mapelli, Federico Mazzolari, Valeria Scarano Direzione e redazione/Editorial and executive office: AIM - Via F. Turati 8 - 20121 Milano tel. 02 76 02 11 32 - fax 02 76 02 05 51 met@aimnet.it - www.aimnet.it
n. 10 Ottobre 2018
Anno 110 - ISSN 0026-0843
Corrosione / Corrosion Trattamenti di anodizzazione su titanio commercialmente puro e resistenza a corrosione D. Prando, S. Beretta, F. Bolzoni, A. Brenna, M.V. Diamanti, M. P. Pedeferri, M. Ormellese 5 Studio del processo di anodizzazione per la protezione dalla corrosione di schiume metalliche S. Rossi, M. Fedel, F. Deflorian, M. Bizzotto 12 Effetto della finitura superficiale sul rilascio in soluzione di leghe a base rame utilizzate nell’industria di trafilatura della pasta G. Ghiara, C. Usai, R. Spotorno, P. Piccardo, A. Adobati 20 Effetto del carico ciclico sulla diffusione di idrogeno in acciai basso-legati M. Cabrini, S. Lorenzi, T. Pastore, D. Pesenti Bucella 26 Nitrurazione in scarica ionica a bassa temperatura di acciai inossidabili austenitici F. Borgioli, E. Galvanetto, T. Bacci 32 Attualità industriale / Industry news
siderweb LA COMMUNITY DELL’ACCIAIO
Gestione editoriale e pubblicità Publisher and marketing office: Siderweb spa Via Don Milani, 5 - 25020 Flero (BS) tel. 030 25 400 06 - fax 030 25 400 41 commerciale@siderweb.com - www.siderweb.com La riproduzione degli articoli e delle illustrazioni è permessa solo citando la fonte e previa autorizzazione della Direzione della rivista. Reproduction in whole or in part of articles and images is permitted only upon receipt of required permission and provided that the source is cited. Reg. Trib. Milano n. 499 del 18/9/1948. Sped. in abb. Post. - D.L.353/2003 (conv. L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB UD Siderweb spa è iscritta al Roc con il num. 26116 Stampa/Printed by: Poligrafiche San Marco sas - Cormòns (GO)
Manifestazioni AIM
44
Trattamenti superficiali ecocompatibili dell’alluminio per l’industria aeronautica A.Carangelo, A. Acquesta, T. Monetta 45 Scenari / Experts' Corner Pietro Pedeferri e la corrosione delle armature nel calcestruzzo F. Bolzoni, S. Beretta, A. Brenna, M.V. Diamanti, M. Ormellese, M.P. Pedeferri 53 Cedimenti strutturali e corrosione delle armature in opere in calcestruzzo armato e precompresso P. Pedeferri 55 Atti e notizie / Aim news Calendario degli eventi internazionali / International events calendar 73 Rubrica dai Centri
74
l’editoriale La Metallurgia Italiana Questo numero de “La Metallurgia Italiana” è dedicato alla corrosione dei materiali. La scelta fu fatta qualche mese addietro senza neanche pensare a quale sarebbe stata oggi la tremenda attualità di questo argomento. La tragedia del crollo del ponte Morandi di Genova del 14 agosto scorso con il suo terribile carico di vittime e feriti ha accesso all’improvviso i riflettori su tematiche spesso trascurate o rinnegate. I termini “corrosione”, “durabilità” e “degrado” sono tristemente assurti ad una popolarità mai raggiunta. Improvvisamente l’opinione pubblica si accorge che la “corrosione” non è solo scienza e teoria, ma è purtroppo un problema reale e tangibile. Eppure non sono pochi i continui allarmi che la comunità scientifica ha fatto e continua a fare nei confronti delle ricadute pratiche dei fenomeni corrosivi anche nel settore civile. A livello mondiale il recente studio pubblicato nel 2016 dell’associazione scientifica NACE International, che non a caso è stato denominato IMPACT, mostra un quadro aggiornato
Prof. Edoardo Proverbio Università degli Studi di Messina
(e impressionante) del costo della corrosione e dei sui effetti sull’economia delle nazioni. Alla luce dei recenti fatti l’intervista di apertura al video di presentazione dello studio, disponibile sui sito web http://impact.nace.org, dell’ex-ministro dei trasporti del Governo degli Stati Uniti d’America Ray LaHood appare quanto mai profetica. Proprio per sottolineare quanto sia importante che le competenze strutturali tipiche dell'ingegnere siano affiancate dalle indispensabili conoscenze sul comportamento dei materiali e sulla loro durabilità per fare quel salto di qualità che arrivi ad una nuova cultura del progetto e della gestione delle strutture ci è sembrato utile riproporre in questo numero della rivista, in tutta la sua attualità, un articolo del compianto prof. Pietro Pedeferri apparso nel 2003 sulla rivista l’Edilizia dal titolo: “Calcestruzzo armato e precompresso. Cedimenti strutturali e corrosione delle armature”. L’articolo è preceduto da una breve introduzione a cura del gruppo di ricerca del Politecnico di Milano specializzato nello studio della corrosione nelle strutture in calcestruzzo armato fondato proprio dal Prof. Pietro Pedeferri. Nell’editoriale del numero Luglio-Agosto 2017 de “La Metallurgia Italiana” dedicato anch’esso alla corrosione, mi soffermavo in chiusura sulla necessità di non abbassare mai la guardia e farsi ingannare dalla nostra presunta dimestichezza con le problematiche della corrosione: “Dalla struttura più semplice al dispositivo più sofisticato un banale accorgimento per la prevenzione della corrosione può determinare la differenza tra il funzionamento e il guasto catastrofico. La corrosione peraltro non è soltanto una questione economica, ma anche e soprattutto una questione di sicurezza”. Ancora una volta vorrei quindi sottolineare come la “consapevolezza” delle problematiche sia fondamentale, ed è infatti proprio su questo termine che gli organizzatori hanno deciso di basare il motto del maggior evento europeo nel settore della corrosione (il Congresso EUROCORR la cui edizione 2018 si è tenuta a Cracovia lo scorso settembre): “Applied science with constant awareness”. La corrosione non è però solo disastri e costi, difatti i processi elettrochimici alla base dei fenomeni corrosivi sono gli stessi che troviamo nei dispositivi per la conservazione dell’energia (ad es. batterie e accumulatori). Qui la corrosione si sfrutta per produrre energia. Ma un processo corrosivo sotto controllo è anche alla base delle tecnologie di anodizzazione e più in generale il punto di partenza per lo sviluppo di rivestimenti protettivi. Ed è proprio su queste tematiche che sono incentrate la maggior parte delle memorie presentate nella sessione corrosione del 37° Convegno Nazionale AIM alcune delle quali sono pubblicate su questo numero de “La Metallurgia Italiana”.
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
La Metallurgia Italiana - n. 9 2018 4
Corrosione
Trattamenti di anodizzazione su titanio commercialmente puro e resistenza a corrosione D. Prando, S. Beretta, F. Bolzoni, A. Brenna, M.V. Diamanti, M.P. Pedeferri, M. Ormellese
Qualora l’intrinseca resistenza a corrosione del titanio non fosse sufficiente per l’applicazione a cui è destinato, è possibile effettuare trattamenti superficiali di ossidazione anodica, stimolando lo sviluppo di uno spesso film protettivo (fino ad alcuni μm). Il risultato di tali trattamenti è strettamente correlato ai parametri con cui viene effettuato: potenziale raggiunto, densità di corrente, elettrolita utilizzato, finitura superficiale del metallo. Durante questo lavoro sono stati effettuati trattamenti di anodizzazione da 10 V a 200 V, comparandone poi la resistenza a corrosione in soluzione con alogenuri. L’ossidazione anodica è un processo veloce, economico, riproducibile e ben programmabile. Tuttavia, su parti con geometrie particolarmente complesse o di modeste dimensioni può perdere alcuni di questi vantaggi. Per far fronte a queste eventualità sono stati analizzati trattamenti di ossidazione chimica in NaOH e H2O2, comparandone l’aumento di resistenza a corrosione con quanto ottenuto mediante anodizzazione. I parametri di processo più rilevanti, tempo e temperatura di trattamento, sono stati analizzati e ottimizzati sino ad ottenere una valida alternativa al processo di ossidazione anodica.
PAROLE CHIAVE: TITANIO – TiO2 – OSSIDAZIONE CHIMICA – ANODIZZAZIONE – RESISTENZA A CORROSIONE
INTRODUZIONE Il titanio e le sue leghe sono apprezzati per la loro alta resistenza a corrosione in ambienti critici per la maggior parte dei metalli. Questa resistenza è dovuta alla formazione di un ossido sottile (1.5 nm - 10 nm) [1] ma compatto quando il titanio viene esposto all’aria. Queste proprietà, unite ad un’alta resistenza meccanica, tenacità a frattura e alla bassa densità, [2, 3] giustificano l’impiego del titanio laddove altri metalli risulterebbero inadatti, come ad esempio applicazioni offshore, ambienti acidi, applicazioni aerospaziali [4, 5], alte temperature, industrie chimiche ed alimentari [6–8], ambienti marini e persino contenimento per rifiuti radioattivi [9–12]. Tuttavia, persino il titanio è vulnerabile alla corrosione in ambienti particolarmente aggressivi [13]. Tra le forme di corrosione a cui è sensibile il titanio, la più diffusa e pericolosa è dovuta alla locale rimozione del film passivo ad opera di alogenuri concentrati, come nel caso di soluzioni saline (in pressione sopra i 200°C) o di soluzioni contenenti bromuri [1, 14]. Per migliorare ulteriormente la resistenza a corrosione del titanio è possibile applicare trattamenti che agiscono sull’ossido formato naturalmente dal titanio. Tra questi il più economico e dalla facile esecuzione è l’anodizzazione, che consiste nel polarizzare anodicamente il materiale a decine di volt, promuovendo l’ispessimento dell’ossido a spessori che variano da 40 nm a tensioni di cella pari a 10 V sino a 250 nm a fronte di una polarizzazione di 100 V [15, 16]. La polarizzazione anodica produce un film compatto, ben aderente al substrato e resistente a corrosione ed è stata oggetto d’investigazione in La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
lavori pregressi [17, 18]. Tuttavia, in caso di parti già installate, dalle geometrie complicate o particolarmente minute, la sua applicazione può non essere conveniente o addirittura fattibile. In questi casi l’ossidazione chimica diventa la miglior soluzione. Non richiedendo l’applicazione di alcuna corrente o particolari installazioni è adattabile a trattamenti in campo. Le soluzioni più comunemente usate per l’ossidazione chimica sono a base di idrossidi alcalini (e.g. NaOH, KOH) e il perossido d’idrogeno [19–21]. Gli idrossidi di sodio e potassio si dissociano in acqua rilasciando un catione metallico e un anione idrossido. Contrariamente ai metalli anfoteri (Al, Zn, Sn, Pb), che in ambiente alcalino formano complessi solubili metallo-
D. Prando, S. Beretta, F. Bolzoni, A. Brenna, M.V. Diamanti Politecnico di Milano, Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “G. Natta”
M. Pedeferri, M. Ormellese Politecnico di Milano, Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “G. Natta”; Consorzio INSTM, UdR Politecnico di Milano
5
Corrosion idrossido, il titanio è favorito dagli idrossidi, che promuovono la formazione del suo ossido di passività [22]. Gli studi sugli effetti del perossido d’idrogeno come agente ossidante su metalli sono meno frequenti in letteratura se compa-
rati alle soluzioni alcaline, il meccanismo proposto da Tengvall et al. [20] per la formazione dell’ossido metallico porta alle reazioni, in competizione, di formazione del diossido di titanio e lo sviluppo di ossigeno:
[1] [2]
Nella presente memoria si confronta il comportamento a corrosione di titanio ossidato per via chimica in NaOH e H2O2, confrontando i risultati con quanto precedentemente ottenuto su titanio anodizzato elettrochimicamente. MATERIALI E METODI Campioni di titanio commercialmente puro 20x20x1.6 mm (grado 2 nella designazione ASTM) sono stati ottenuti mediante tranciatura a freddo da una lastra laminata, lappati con carte abrasive in SiC con granulosità crescente sino a 320 grit. Per rimuovere eventuali contaminazioni dalla superficie si è proceduto ad una sonicazione di 4 minuti in etanolo seguita da ulteriore sonicazione in acqua distillata per 4 minuti. Anodizzazione I trattamenti di ossidazione anodica sono stati eseguiti in due diversi regimi: galvanostatico per campioni anodizzati fino a 120 V e in rampa di potenziale costante per campioni anodizzati da 120 V a 200 V. Nel primo caso la corrente è stata erogata da un alimentatore AimTTi PLH120 DC, capace di operare sino a 120 V e 0.75 A; nel secondo caso è stato impiegato un impianto pre-industrale personalizzato con tre rettificatori da 150 V l’uno e un limite massimo di corrente di 10 A. L’anodizzazione dei campioni in condizioni galvanostatiche è stata eseguita mantenendo una densità di corrente di 20 mA/cm2 fino al raggiungimento di una tensione di cella di 10 V – 20 V – 40 V – 60 V – 80 V – 120 V. I campioni anodizzati in rampa di potenziale sono stati ottenuti mantenendo una rampa in grado di arrivare alla tensione impostata in 2 minuti. Per verificare gli effetti di un’anodizzazione eseguita in tempi maggiori si è proceduto a trattamenti di durata 10 minuti sino al raggiungimento di 200 V. Tutte le anodizzazioni sono state effettuate in H2SO4 0.5 M a 25 °C. Ossidazione chimica L’ossidazione chimica è stata effettuata in due diversi bagni. L’idrossido di sodio è stato scelto come rappresentante per la categoria bagni alcalini per la sua facile reperibilità, stoccaggio e la sua tendenza a produrre film più compatti [19], e confrontato con il perossido d’idrogeno. Tutti i trattamenti sono stati eseguiti immergendo un campione di titanio in 100 ml di soluzione 10M per tempi compresi tra 1h e 72h ed a temperature di 25°C e 60°C. Sono state evitate temperature superiori a 60°C per scongiurare il pericolo di infragilimento da idrogeno dovuto 6
alla formazione di idruri di titanio a seguito dell’esposizione ad idrogeno generato dalla seguente reazione [22]: [3]
I trattamenti in H2O2 sono stati eseguiti alla concentrazione 10M con soluzione preparata al momento del trattamento diluendo una soluzione principale stoccata a 5°C al fine di prevenire il degrado termico del perossido. La durata dei trattamenti è variata da 6h a 24h con temperature da 25°C a 90°C. Procedura di prova Dopo il trattamento, la morfologia e lo spessore dell’ossido sono state caratterizzante mediante l’utilizzo di un microscopio elettronico SEM Stereoscan 360 e di un FeSEM Nova NanoSEM 450. La resistenza a corrosione dei campioni è stata caratterizzata tramite prove potenziodinamiche eseguite con il potenziostato Autolab M204 prodotto dalla MetroOhm, condotte in una cella da 1 litro in configurazione a 3 elettrodi, utilizzando un controelettrodo di titanio attivato ed un elettrodo di riferimento Ag/AgCl (SSC), esponendo all’elettrolita 1 cm2 di area del campione. Il potenziale di corrosione libera (OCP) è stato registrato per 1h prima dell’inizio di ogni test, attendendo così la sua stabilizzazione. Le prove potenziodinamiche sono iniziate 100 mV al di sotto del OCP e terminate a +8 V vs SSC o al raggiungimento di una densità di corrente di 10 A/m2 con una velocità di scansione pari a 20 mV/min. La corrente circolante e la differenza di potenziale tra campione ed elettrodo di riferimento sono state registrate tramite il software Nova ® 2.1.1. Come parametro per identificare la resistenza a corrosione si è scelta la resistenza alla corrosione localizzata causata da alogenuri, una delle forme più comuni e pericolose. Un precedente studio [23] ha rivelato lo ione Br- come il miglior alogenuro da utilizzare per questo tipo di prove, che sono quindi state condotte in una soluzione 0.5 M di bromuro di ammonio (pH 6). Poiché la durata dei test non ha ecceduto le 8h non è stato necessario procedere alla sigillatura della cella, precedenti studi hanno mostrato come in tali condizioni non ci siano evidenti deviazioni nella composizione chimica (ΔpH ≈ 0.05) o nelle condizioni fisiche del sistema (ΔT ≈ 2°C) [18].
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione RISULTATI E DISCUSSIONE Caratterizzazione superficiale In Fig. 1 si nota come la morfologia del campione cambi al variare della tensione di anodizzazione. Fino a 80 V la superficie è liscia e le uniche asperità sono dovute alla lucidatura del campione. Da 120 V appaiono alcuni nanopori, che aumentano
in numero sino a coprire tutto il campione a 150 V. La morfologia dei campioni trattati chimicamente è osservabile in Fig. 2. I campioni trattati con NaOH presentano uno strato di ossido superficiale estesamente fratturato; i campioni trattati in H2O2 mostrano invece un ossido superficiale a struttura lamellare.
Fig. 1 – Morfologia dei campioni anodizzati in regime standard a 30 V (sinistra), in regime di anodic spark deposition a 150 V (destra) / Anodized samples oxide morphology in standard condition at 30 V (right) and in anodic spark deposition at 150 V (right).
Fig. 2 – Morfologia dei campioni ossidati chimicamente in NaOH (sinistra) e in H2O2 (destra) / Samples oxide morphology chemically anodized in NaOH (right) and in H2O2 (right). Resistenza a corrosione del titanio anodizzato In Fig. 3 sono riassunti i potenziali di corrosione libera e i potenziali a cui si osservano eventi di corrosione localizzata su campioni anodizzati in regime galvanostatico e rampa di potenziale. Tutti i test sono stati ripetuti un minimo di 3 volte per assicurare sufficiente rilevanza statistica. Mentre il potenziale di corrosione libera, Ecorr, non mostra cambiamenti apprezzabili al variare delle condizioni di anodizzazione, il potenziale di rottura dell’ossido aumenta di un minimo di 2 V anodizzando il campione, persino alle tensioni più basse. All’interno delle anodizzazioni eseguite in condizioni galvanostatiche i campioni anodizzati a 80 V si comportano meglio degli altri, tuttavia la differenza è marginale e si può concludere che sotto i La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
120 V tutti i campioni abbiano resistenza a corrosione simile. Aumentando la tensione si passa in regime di “anodic spark deposition” (ASD), con conseguente aumento dello spessore dell’ossido. I campioni anodizzati sopra 150 V non riportano alcun attacco localizzato sino a 9 V di polarizzazione anodica nell’elettrolita di prova. La superficie dei campioni anodizzati in regime ASD è notevolmente più porosa dei campioni ottenuti con anodizzazioni standard, tuttavia in letteratura si riporta l’esistenza di uno strato interno più compatto, che funge da barriera tra lo strato esterno poroso e il metallo sottostante. Per questa ragione la resistenza a corrosione attesa di questi campioni è almeno pari a quella osservata per campioni anodizzati sotto 100 V. 7
Corrosion
Fig. 3 – Potenziale di corrosione libera e potenziale di rottura dell’ossido per campioni anodizzati in condizioni galvanostatiche (GS) o in rampa di potenziale (ramp) / Free corrosion potential and oxide breakdown potential of anodized samples in galvanostatic (GS) and constant ramp condition. Resistenza a corrosione del titanio ossidato chimicamente Il titanio anodizzato ha proprietà tribologiche migliori del titanio non anodizzato, tuttavia, lo strato di ossido superficiale può essere rimosso meccanicamente, con conseguenze sulla resistenza a corrosione. La Fig. 4 mostra la resistenza a corrosione di campioni ossidati chimicamente in NaOH a tempi da 1h a 72h, sia a 60°C che a temperatura ambiente. Mostrando come tale resistenza sia comparabile a quanto ottenuto con anodizzazioni standard, si evidenza la possibilità d’impiego di questo trattamento nel ripristino del film passivo laddove venisse accidentalmente rimosso in fase di installazione o di uso della parte trattata. Si osserva che a circa +4 V vs SSC viene raggiunto un plate-
au che non aumenta ulteriormente all’aumentare del tempo di trattamento. Tale plateau viene raggiunto in tempi inferiori all’aumentare della temperatura, apparendo dopo 6h a 60°C e dopo 24h a temperatura ambiente, sebbene sia necessario attendere tempi più lunghi per ridurre l’incertezza sperimentale sulla resistenza a corrosione raggiunta. Lo stesso risultato ottenuto con l’uso di NaOH è raggiunto ossidando chimicamente i campioni in H2O2 come mostrato in Fig. 5. Si osserva come la maggiore reattività del perossido d’idrogeno rispetto all’idrossido di sodio acceleri la formazione del film protettivo con il raggiungimento del medesimo plateau a tempi inferiori alle 6h indipendentemente dalla temperatura a cui il trattamento è condotto.
Fig. 4 – Potenziale di rottura dell’ossido per campioni ossidati chimicamente in NaOH 10M in tempi compresi tra 1h e 72h a temperatura ambiente e a 60°C / Oxide breakdown potential of samples chemically oxidized in NaOH 10M for 1h to 72h at temperature ranging from room temperature to 60°C. 8
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione
Fig. 5 – Potenziale di rottura dell’ossido per campioni ossidati chimicamente in H2O2 10M in tempi compresi tra 6h e 24h a 25°C, 60°C e 90°C / Oxide breakdown potential of samples oxidized in H2O2 10M for 6h to 24h at temperature ranging from room temperature to 90°C. CONCLUSIONI Il potenziale a cui si osserva corrosione localizzata su titanio commercialmente puro non trattato si attesta attorno a 1.5V vs SSC in NH4Br 0.5M. Tutti i trattamenti di anodizzazione, partendo da 10 V, aumentano tale potenziale critico di almeno 2.5 V. Tutti i trattamenti di anodizzazione in regime standard, ossia sotto 120 V, producono un aumento di resistenza a corrosione simile, con un leggero vantaggio dei campioni anodizzati a 80 V. Quando la tensione di anodizzazione sorpassa il valore critico di rottura del dielettrico dell’ossido e il regime passa ad ASD si osserva un ispessimento dell’ossido, che passa dall’or-
dine di grandezza di decine o poche centinaia di nm ad alcuni μm. La resistenza a corrosione dei campioni anodizzati in tale regime cresce notevolmente, portando il potenziale di corrosione localizzata sopra i 9 V, limite di rilevabilità dello strumento utilizzato. Qualora non fosse possibile utilizzare trattamenti di ossidazione anodica, l’ossidazione chimica diviene una valida sostituta. Soluzioni di NaOH 10M e H2O2 10M portano alla stessa resistenza a corrosione osservata con anodizzazioni standard a fronte di trattamenti di rispettivamente 24h e 6h a temperatura ambiente, o tempi inferiori a temperature superiori.
BIBLIOGRAFIA [1]
Prando D, Brenna A, Diamanti MV, et al (2017) Corrosion of titanium: Part 1: Aggressive environments and main forms of degradation. Journal of Applied Biomaterials & Functional Materials 15: doi: 10.5301/jabfm.5000387
[2]
Banerjee D, Williams J (2013) Perspectives on titanium science and technology. Acta Materialia 61:844–879. doi: 10.1016/j. actamat.2012.10.043
[3]
Donachie MJ (2000) Titanium: A Technical Guide, 2nd Edition. ASM International
[4]
Boyer RR (1996) An overview on the use of titanium in the aerospace industry. Materials Science and Engineering: A 213:103– 114. doi: 10.1016/0921-5093(96)10233-1
[5]
Chang SY, Lin HK, Tsao LC, et al (2014) Effect of voltage on microstructure and corrosion resistance of microarc oxidation coatings on CP-Ti. Corrosion Engineering, Science and Technology 49:17–22. doi: 10.1179/1743278213Y.0000000097
[6]
Eylon D (1981) Titanium for Energy and Industrial Applications. Metallurgical Society of AIME
[7]
Froes FH, Eylon D, Bomberger HB (1985) Titanium technology: Present status and future trends. Titanium Development Association
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
9
Corrosion [8]
Virtanen S (2008) Corrosion of biomedical implant materials. Corrosion Reviews 26:147–172
[9]
Gorynin IV (1999) Titanium alloys for marine application. Materials Science and Engineering: A 263:112–116. doi: 10.1016/ S0921-5093(98)01180-0
[10] Griess JC (1968) Crevice Corrosion of Titanium in Aqueous Salt Solutions. Corrosion 24:96–109. doi: 10.5006/0010-931224.4.96 [11] Liu J, Alfantazi A, Asselin E (2014) Influence of cupric, ferric, and chloride on the corrosion of titanium in sulfuric acid solutions up to 85C. Corrosion 70:29–37 [12] Shoesmith DW, Hardie D, Ikeda BM, Noel JJ (1997) Hydrogen absorption and the lifetime performance of titanium nuclear waste containers. Atomic Energy of Canada Limited [13] Prando D, Brenna A, Diamanti MV, et al (2018) Corrosion of titanium: Part 2: Effects of surface treatments. Journal of Applied Biomaterials & Functional Materials 16:3–13. doi: 10.5301/jabfm.5000396 [14] Beck TR (1973) Pitting of Titanium II. One-Dimensional Pit Experiments. Journal of the Electrochemical Society 120:1317–1324 [15] Diamanti MV, Ormellese M, Pedeferri M (2010 Alternating current anodizing of titanium in halogen acids combined with Anodic Spark Deposition: Morphological and structural variations. Corrosion Science 52: 1824-1829. doi: 10.1016/j.corsci.2010.01.036 [16] Mohsen Q, Fadl-Allah SA (2011) Improvement in corrosion resistance of commercial pure titanium for the enhancement of its biocompatibility. Materials and Corrosion 62:310–319. [17] Prando D, Brenna A, Bolzoni FM, et al (2017) Electrochemical Anodizing Treatment to Enhance Localized Corrosion Resistance of Pure Titanium. Journal of Applied Biomaterials & Functional Materials 15:19–24. doi: 10.5301/jabfm.5000344 [18] Prando D, Brenna A, Pedeferri M, Ormellese M (2017) Enhancement of pure titanium localized corrosion resistance by anodic oxidation. Materials and Corrosion 69:503–509. doi: 10.1002/maco.201709815 [19] Kim C, Kendall MR, Miller MA, et al (2013) Comparison of titanium soaked in 5 M NaOH or 5 M KOH solutions. Materials Science and Engineering: C 33:327–339. doi: 10.1016/j.msec.2012.08.047 [20] Tengvall P, Elwing H, Sjöqvist L, et al (1989) Interaction between hydrogen peroxide and titanium: A possible role in the biocompatibility of titanium. Biomaterials 10:118–120 [21] Wang M, Wang W, He BL, et al (2011) Corrosion behavior of hydrophobic titanium oxide film pre-treated in hydrogen peroxide solution. Materials and Corrosion 62:320–325. [22] Richardson JA (2010) 2.21 - Corrosion in Alkalis. In: Shreir’s Corrosion. Elsevier, Oxford, pp 1191–1206 [23] Prando D, Nicolis D, Pedeferri M, Ormellese M (2018) Pitting corrosion on anodized titanium: Effect of halides. Materials and Corrosion, 69, 1441-1446: doi: 10.1002/maco.201810171 [24] Fazel M, Salimijazi HR, Golozar MA, Garsivaz Jazi MR (2015) A comparison of corrosion, tribocorrosion and electrochemical impedance properties of pure Ti and Ti6Al4V alloy treated by micro-arc oxidation process. Applied Surface Science 324:751–756.
10
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione
Anodization treatments to increase commercially pure titanium corrosion resistance Titanium owes its astounding corrosion resistance to a thin, compact oxide layer that is formed spontaneously when the metal is exposed to the environment. However, even titanium can be subject to corrosion in very aggressive environments. To enhance its corrosion resistance, it is possible to exploit the same mechanism that leads to the formation of the protective oxide layer and force its growth with an external contribution. This result can be obtained both with anodic and chemical oxidation. This study compares corrosion resistance enhancement after anodizing treatment up to 200 V with chemical oxidation in NaOH and H2O2 10M. Process variables like final anodizing voltage, chemical species used for oxidation, treatment duration and temperature, were studied to optimize the process and reach the higher corrosion resistance possible. Moreover, thermal treatment were exploited after chemical oxidation to a further increase in corrosion resistance.
KEYWORDS: TITANIUM – TiO2 – CHEMICAL OXIDATION – ANODIZATION – CORROSION RESISTANCE
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
11
Corrosion
Studio del processo di anodizzazione per la protezione dalla corrosione di schiume metalliche S. Rossi, M. Fedel, F. Deflorian, M. Bizzotto
Le schiume di alluminio a celle-chiuse suscitano molto interesse grazie alla loro bassa densità abbinata alle proprietà tipiche del metallo base che le rendono adatte a numerose applicazioni, dall’assorbimento acustico e di energia, alla resistenza alla fiamma fino ad applicazioni strutturali, se impiegate in strutture a sandwich. Il metodo di produzione, che più di altri permette di contenere i costi, porta però ad ottenere una morfologia superficiale complessa, la quale costituisce un punto debole per la resistenza a corrosione. Per migliorare il comportamento a corrosione le schiume di alluminio sono state sottoposte a due diversi trattamenti di anodizzazione, con potenziale costante e con corrente pulsata. Lo spessore e le difettosità dello strato di ossido ottenuto sono state valutate mediante osservazione al microscopio ottico ed al SEM. La protezione dalla corrosione invece mediante prove di corrosione accelerata. Particolare attenzione è stata posta all’influenza della microstruttura sulla crescita dell’ossido anodico.
PAROLE CHIAVE: SCHIUMA DI ALLUMINIO – AA 1070 – ANODIZZAZIONE – NEBBIA SALINO-ACETICA INTRODUZIONE Le schiume metalliche sono un materiale innovativo che, unendo buone proprietà meccaniche e fisiche ad una densità molto contenuta, sta assumendo sempre più importanza nel mondo industriale. In particolare le schiume di alluminio risultano particolarmente interessanti in virtù della bassa temperatura di fusione del metallo base che ne semplifica la produzione, per la sua bassa densità, e per la riciclabilità. Questi materiali trovano impiego in applicazioni in cui il risparmio in peso e la capacità di assorbire impatti sono fondamentali come nell’industria dei trasporti (1). Se abbinate a pannelli metallici per ottenere strutture a sandwich possono essere utilizzate anche per impieghi strutturali (2). Altre applicazioni si basano invece sulle ottime proprietà di assorbimento acustico e di infiammabilità (1). Negli ultimi decenni sono stati condotti numerosi studi aventi come oggetto le schiume metalliche, ma il comportamento a corrosione non è stato ancora studiato in modo approfondito ed è proprio in questo ambito che il presente studio vuole inserirsi. Esistono più metodi produttivi per ottenere le schiume metalliche ma grazie alla relativa semplicità, per i costi contenuti e per la produzione in larga scala, il metodo Alporas® risulta uno dei più utilizzati e versatili (1,3). Con questo metodo produttivo si ottengono dei grandi blocchi di schiuma di circa 2050 x 650 x 450 mm caratterizzata da una porosità chiusa (1). Ai fini dell’utilizzo finale il blocco di schiuma viene tagliato in pannelli. Questa operazione causa l’apertura della porosità chiusa e l’ottenimento di una morfologia superficiale molto complessa, che può rappresentare un punto di debolezza per la resistenza a corrosione a causa del possibile ristagno di soluzioni aggressive e di formazione di siti ad aerazione differen12
ziata. Risulta quindi di fondamentale importanza proteggere la superficie dai fenomeni corrosivi al fine di aumentare la durabilità ed ampliare i possibili campi di utilizzo del componente. Sono stati studiati vari metodi per migliorare il comportamento a corrosione delle schiume metalliche: la deposizione di rivestimenti organici, la realizzazione di rivestimenti in smalto porcellanato, la deposizione chimica di rivestimenti metallici, trattamenti di ossidazione al plasma e trattamenti d’anodizzazione tradizionale ne sono un esempio (3-5). Visto che la schiuma prodotta con questo metodo presenta un costo di produzione contenuto, risulta necessario che il metodo di protezione sia economico e di semplice applicazione nel contesto industriale. Inoltre risultano molto interessanti tecnologie che mantengano inalterate le caratteristiche quali l’infiammabilità e l’aspetto superficiale tipiche della schiuma utilizzata. Questa serie di requisiti ha indirizzato la scelta sul processo di anodizzazione il quale è il trattamento maggiormente utilizzato sull’alluminio e
S. Rossi, M. Fedel, F. Deflorian, M. Bizzotto Dip. Ingegneria Industriale, Università di Trento, Italy
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione le sue leghe. Una delle sfide da superare per una buona riuscita del trattamento di anodizzazione sulle schiume metalliche è la presenza di seconde fasi nel substrato, necessarie per processo di produzione (6,7). Numerosi studi mostrano infatti la sensibilità di questo trattamento alla presenza di intermetallici (8). Sono state eseguite due diverse tipologie di anodizzazione, tradizionale e con corrente pulsata, per indagare la diversa modalità di crescita dell’ossido anodico (9). Per entrambe si è fatta un’ulteriore distinzione eseguendo o meno il trattamento di sigillatura, al fine di determinarne l’effetto sulla protezione dalla corrosione.
METODI SPERIMENTALI La schiuma prodotta da Foamtech (Seoul, Corea del Sud) è costituita da lega di alluminio AA1070 con piccole percentuali di silicio e ferro. Durante il processo produttivo il metallo fuso viene portato ad una temperatura di 680÷720°C e vengono aggiunte piccole quantità di calcio con lo scopo di aumentare la viscosità del fuso e di idruro di Titanio (TiH2), che decomponendosi genera le bolle di gas (1). Dai pannelli di schiuma sono stati ricavati i campioni di dimensioni 90 mm x 25 mm x 9 mm. Per l’osservazione della struttura macroscopica della schiuma (Fig. 1), il calcolo della porosità planare, e la stima dell’area superficiale è stato utilizzato un microscopio stereoscopico Nikon SMZ25.
Fig. 1 – Immagine 3D della superficie della schiuma / 3D image of the foam sample Prima di sottoporre i campioni al trattamento di anodizzazione, la loro superficie è stata sottoposta ad un trattamento di sgrassaggio mediante immersione in acetone per 10 minuti con agitazione in ultrasuoni. Successivamente è stato eseguito il decapaggio mediante immersione in soluzione acquosa di NaOH 15wt% per 20 secondi seguito da immersione in soluzione acquosa di HNO3 10v/v% per 90 secondi. Dopo ogni singolo passaggio i campioni sono stati sottoposti a risciacquo in acqua demineralizzata. L’anodizzazione è stata condotta in una soluzione acquosa di acido solforico 15wt% mantenuta a 20°C mediante ricircolo di acqua ed utilizzando un catodo di acciaio inox. E’ stata valutata l’efficacia di due processi differenti di anodizzazione, il primo a potenziale costante (campioni SC) ed il secondo a corrente pulsata (campioni SP). I parametri utilizzati sono stati scelti in modo tale da ottenere uno strato La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
di ossido protettivo di spessore comparabile. Per i campioni SC si è imposto un potenziale di 12 V per una durata di 55 minuti. Per i campioni SP è stata imposta una corrente di 0,04 A/cm2 per 60 secondi e una corrente di 0,01 A/cm2 per 15 secondi per un tempo totale di 18 minuti. Al termine del trattamento di anodizzazione i campioni sono stati asciugati in una stufa a 50°C per 24 ore. Il procedimento di sigillatura è stato eseguito su alcuni campioni immergendo i campioni anodizzati in acqua demineralizzata a 100°C per una durata di 30 minuti (campioni SCS e SPS). Utilizzando gli stessi parametri e procedimenti sono state anodizzati inoltre dei campioni aventi geometria piana (lamine) al fine di poter eseguire un confronto. Le tipologie dei campioni sono esposte in Tab. 1.
13
Corrosion Tab. 1 – Panoramica dei campioni anodizzati (S sta per Schiuma, L sta per Lamina) / Overview of the anodized samples (S indicates foam, L indicates sheet) Anodizzazione a potenziale costante Non sigillati SC
Anodizzazione in corrente pulsata
Sigillati LC
SCS
Non sigillati LCS
I campioni anodizzati sono stati tagliati ed inglobati in resina epossidica e successivamente lappati (carte abrasive 800,1200,4000) e lucidati (pasta diamantata 1μm con etanolo come lubrificante). L’osservazione mediante microscopio ottico ZEISS AXIOPHOT e SEM JEOL IT 300 ha permesso di valutare la presenza, lo spessore e la qualità dello strato di ossido ottenuto con anodizzazione. Dal momento che durante la lucidatura alcune celle chiuse venivano aperte, si è scelto di inglobare i campioni utilizzando una resina additivata con un liquido penetrante rosso in modo da distinguere le celle che sono state aperte dopo anodizzazione, durante la preparazione dei campioni, da quelle che lo erano già prima del trattamento di anodizzazione. Il microscopio elettronico è stato utilizzato anche per ottenere informazioni riguardo alla microstruttura della schiuma. Con l’ausilio della sonda EDS è stato possibile eseguire delle analisi puntuali per individuare le seconde fasi presenti nella matrice di alluminio e la loro composizione chimica. La valutazione del comportamento a corrosione dei diversi campioni è stata eseguita mediante esposizione in camera a nebbia salino-acetica secondo la normativa ASTM G85 (5wt% NaCl, pH 3.1 e temperatura di 35°C) (10), poiché si tratta della più diffusa prova accelerata per valutare il comportamento a corrosione per campioni con applicazioni industriali. Pensando a possibili utilizzi come per esempio nelle infrastrutture nei trasporti la presenza di cloruri può essere presente in strutture in vicinanza al mare oppure per l’atmosfera prodotta dall’uso di sale antigelo. Si è deciso di utilizzare la prova in pH acido, come
SP
Sigillati LP
SPS
LPS
spesso in letteratura viene riportato, per evitare la passivazione dell’alluminio. RISULTATI E DISCUSSIONI Caratterizzazione schiuma Dopo aver pesato e calcolato il volume di 15 campioni, ricavati da zone diverse del pannello di schiuma, è stato possibile calcolare la densità dei singoli campioni di schiuma. Il valore medio ottenuto è di 0,36 g/cm3 (≈ 1/10 di quella dell’alluminio). Il pannello di schiuma si può ritenere omogeneo visto il basso valore di deviazione standard, pari a 0,038 g/cm3. L’utilizzo del software d’immagine NIS Elements 4.20 ha consentito di acquisire l’immagine 3D di figura 1, la quale è rappresentativa dell’irregolarità della superficie della schiuma. Questa morfologia rende il trattamento di anodizzazione di difficile realizzazione a causa della presenza di spigoli vivi che potrebbero modificare il campo elettrico oppure perché la soluzione potrebbe non raggiungere tutte le cavità presenti. Utilizzando il microscopio stereoscopico per osservare i campioni di schiuma inglobati e lucidati è stata ottenuta un’immagine binaria (Fig. 2a) nella quale la porzione chiara rappresenta le pareti delle celle. Dall’immagine binaria è stata calcolata la densità planare definita come il rapporto tra l’area delle pareti di cella e l’area della sezione (sezione rettangolare evidenziata in blu in Fig. 2a). Il valore medio è 79% mentre la deviazione standard di 4,6% indica che la struttura della schiuma è abbastanza omogenea.
Fig. 2 – Immagine binaria della sezione di schiuma / Binary image of the foam section Al fine di limitare l’influenza di eventuali non uniformità della schiuma, per entrambe le operazioni sono state osservate 11 sezioni di campioni differenti ricavati da zone differenti del pannello di schiuma e sono state realizzate sia sezioni longitu14
dinali che trasversali. Inoltre, utilizzando l’area binaria è stato possibile stimare l’area superficiale in contatto con la soluzione durante il trattamento di anodizzazione e durante le prove di impedenza elettrochimiche. Per ottenere la stima si è prima La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione calcolato il rapporto tra il perimetro reale della sezione di schiuma e il perimetro della sezione (rispettivamente evidenziati in rosso ed in blu in Fig. 2b). Il valore di tale rapporto (2,25 ± 0,38) è stato poi moltiplicato per l’area nominale del campione ottenendo la stima della superficie esterna reale. Questa stima pur fornendo un risultato realistico è soggetta ad alcune semplificazioni. Innanzitutto il perimetro dei pori interni non è stato tenuto in considerazione perché dalla sezione non si può sapere quali celle fossero aperte e quali chiuse prima del taglio. In secondo luogo, la sezione del campione non è costante lungo il suo asse longitudinale quindi con il procedimento descritto molte concavità delle celle non vengono tenute in considerazione. Al fine di poter interpretare al meglio i risultati del trattamento di anodizzazione, la microstruttura della schiuma di alluminio è stata osservata al SEM ed analizzata mediante analisi EDS. Com’è osservabile in Fig. 3, la microstruttura della schiuma è caratterizzata da una matrice di alluminio in cui si possono di-
stinguere quattro fasi principali: A: Reticolo interdendritico composto principalmente di alluminio, calcio e titanio. Con l’ausilio dei diagrammi di fase Al-Ca e Ti-Al si può affermare che il dominio eutettico sia costituito da Al4Ca e TiAl3 in accordo con altri studi (6,7). B: Particella costituita principalmente di titanio (15÷50μm) probabilmente residuo dell’agente schiumante che potrebbe non aver reagito completamente durante la produzione della schiuma. Questa ipotesi è sostenuta dal fatto che attorno al titanio è sempre presente una zona molto ricca in calcio, il quale aumenta la viscosità del fluido, che potrebbe impedire all’idruro di titanio di reagire completamente. C: particelle tondeggianti distribuite casualmente (10÷30 μm) costituite di alluminio, calcio e titanio definite come fase ternaria Al22CaTi2 da Amsterdam et al. (7). D: piccoli precipitati presenti sempre nelle vicinanze del reticolo interdendritico ricchi in ferro (6).
Fig. 3 – Immagine SEM della microstruttura della schiuma di alluminio / SEM image of microstructure of the aluminium foam La percentuale dei diversi elementi nelle varie zone analizzate sono riportate in tabella 2. Tab. 2 – Composizione chimica della matrice e dei precipitati individuati nell'analisi microsctrutturale / chemical composition of the matrix and of the precipitates individuated with the microstructural analisys
Massa normalizzata [%] Elementi
Matrice
A
B
C
D
alluminio
98,31
89,82
32,04
84,95
84,16
titanio
/
1,55
66,94
9,18
1,09
calcio
0,64
7,57
0,60
4,8
7,05
ferro
0,12
0,15
0,04
0,06
6,69
silicio
0,55
0,5
0,09
0,6
0,77
magnesio
0,39
0,41
0,3
0,41
0,25
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
15
Corrosion Caratterizzazione dello strato di ossido anodico In questo paragrafo verranno illustrati i risultati dell’osservazione dei campioni lucidati. Lo spessore dello strato di ossido è stato misurato in più punti per ogni singolo campione. Lo spessore maggiore è stato ottenuto sui campioni anodizzati a potenziale costante (SC, SCS), per i quali il valore medio risulta 8,45 ± 3 μm rispetto ai campioni anodizzati con corrente pulsata (SP, SPS) per i quali il valore medio risulta 6,6 ± 2,1 μm. Grazie all’osservazione al microscopio è stato possibile anche valutare la qualità dello strato protettivo ed individuare i difetti presenti. Quest’ultimi sono stati classificati in tre classi: 1. Crescita irregolare dovuta alla morfologia superficiale osservabile in Fig. 4a; sono situati in zone caratterizzate da una superficie altamente rugosa, zone caratterizzate da protuberanze, recessi o raggi di curvatura molto stretti.
2. Crescita irregolare dovuta alla presenza di seconde fasi sulla superficie del substrato come osservabile in Fig. 4b; la crescita dell’ossido anodico infatti è differente sulla matrice rispetto alle seconde fasi ed in particolare, per le seconde fasi di TiAl3, la crescita avviene più lentamente e meno uniformemente (8). 3. Mancata formazione dello strato protettivo sulle pareti di celle aperte; le celle aperte vengono distinte da quelle chiuse grazie alla resina da inglobo colorata. Se una cella viene raggiunta dal liquido colorato dovrebbe essere stata raggiunta anche dalla soluzione utilizzata durante l’anodizzazione e dunque lo strato di ossido dovrebbe essere osservabile. Questo difetto è causato probabilmente dalla presenza di bolle di gas intrappolate nel momento dell’immersione del campione o formatesi durante l’anodizzazione.
Fig. 4 – Immagini SEM dei difetti individuati nello strato di ossido anodico: protuberanza (a), presenza di seconde fasi (b) / SEM images of defects individuated in the anodic oxide layer: protuberance (a), effects connected to the presence of second phases (b)
Allo stesso modo è stato osservato anche lo strato di ossido ottenuto sui campioni di confronto (lamine). La differenza più evidente è il basso valore di deviazione standard, che indica una grande uniformità dello spessore dello strato di ossido. Nonostante i campioni di confronto siano costituiti da una lega differente (AA1050), e non contengano titanio e calcio, il confronto è utile al fine di capire l’efficacia del trattamento di anodizzazione senza l’influenza della morfologia complessa e delle seconde fasi. Nonostante la geometria e la composizione ottimali per l’esecuzione del trattamento di anodizzazione sono comunque presenti delle cricche nello strato di ossido. Essendo perpendicolari al substrato e con bordi netti, probabilmente sono dovute alla presenza di stress residui e all’elevato spessore dell’ossido protettivo, che per i campioni anodizzati in corrente pulsata presenta un valore medio di 13,5μm. Con le misurazioni dello spessore e la valutazione della qualità dello 16
strato di ossido è stato possibile constatare che i campioni di schiuma anodizzati a potenziale costante presentano uno strato di ossido più spesso ed uniforme. Prova di corrosione accelerata Al fine di investigare la protezione dalla corrosione offerta dallo strato di ossido anodico i campioni di schiuma anodizzati, sigillati e non sigillati, sono stati esposti in camera a nebbia salino-acetica. Il confronto è stato eseguito sia sui campioni di schiuma non trattati sia sui campioni piani realizzati utilizzando gli stessi parametri. Considerando la comparsa di prodotti di corrosione dell’allumiunio (Tab. 3) è stato possibile individuare quale trattamento permetta di ottenere uno strato di ossido protettivo più resistente all’ambiente di prova aggressivo.
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione Tab. 3 – Comparsa dei prodotti di corrosione / appearance of corrosion products Tempo di prova [ore] Campione S non anodizzata
24
48
72
144
216
312
327
465
528
X X
SC
X
SCS X
SP SPS
I campioni anodizzati mostrano un comportamento decisamente migliore rispetto ai campioni non trattati, i quali mostrano evidenti prodotti di corrosione già a 48 ore. I campioni anodizzati in corrente pulsata (SP, SPS) mostrano una resistenza inferiore a quelli anodizzati a potenziale costante (SC, SCS). In particolare sui campioni SP ed SPS i prodotti di corrosione compaiono già dopo 216-312 ore. Il trattamento di sigillatura risulta efficace sui campioni anodizzati a potenziale costante mentre non apporta nessun miglioramento per i campioni anodizzati in corrente pulsata. Questo comportamento probabilmente è dovuto alla maggiore presenza di difetti nello strato di ossido dei campioni SP ed SPS i quali riducono l’efficacia del trattamento di sigillatura.
X
Osservando i campioni di confronto a geometria piana si può apprezzare l’assenza di accumuli di prodotti di corrosione anche dopo 528 ore di esposizione all’ambiente aggressivo. Questo comportamento è indicativo dell’influenza negativa della morfologia superficiale sul trattamento di anodizzazione. Al termine della prova, dopo aver rimosso la maggior parte dei prodotti di corrosione mediante immersione in soluzione acquosa di acido citrico, i campioni sono stati osservati per individuare il punto di origine dell’attacco corrosivo. In Fig. 5 è riportato un esempio. I prodotti di corrosione risultano in corrispondenza di un poro aperto che ha favorito la formazione di una difettosità dello strato di anodizzazione.
Fig. 5 – Prodotti di corrosione sulla superficie del campione dopo esposizione a nebbia salino-acetica / Corrosion products on the sample surface after acetic salt spray exposure
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
17
Corrosion Conclusioni Dalle osservazioni al microscopio si è visto come la struttura superficiale della schiuma, molto complessa caratterizzata da recessi, protuberanze e celle difficilmente raggiungibili, e la sua microstruttura, ricca di seconde fasi, abbiano avuto una notevole influenza sulla crescita dell’ossido anodico. I campioni anodizzati a potenziale costante presentano lo strato protettivo più spesso ed uniforme. I risultati dell’osservazione al microscopio sono stati confermati dalle prove di corrosione. La presenza di difetti presenti nello strato di ossido influenza il comportamento a corrosione. Ad esempio, per i campioni SP,
aventi uno strato di ossido meno uniforme, il trattamento di sigillatura non è risultato efficace ed i campioni SP ed SPS hanno mostrato segni evidenti di corrosione già a 216-312 ore di esposizione. In conclusione si può affermare che data la notevole presenza di difetti nello strato protettivo dovuti sia alla struttura stessa della schiuma sia alla sua composizione chimica, il trattamento di anodizzazione incrementa solo leggermente la resistenza a corrosione del substrato. Per questa ragione i risultati ottenuti si possono ritenere adatti solamente per un utilizzo in un ambiente caratterizzato da un’aggressività medio-bassa.
BIBLIOGRAFIA [1]
Ashby MF, Evans AG, Fleck NA, Gibson LJ, Hutchinson JW, Wadley HNG. Metal Foams: A Design Guide. Woburn, MA: Butterworth-Heinemann; 2000.
[2]
Seeliger HW. Aluminium Foam Sandwich (AFS) Ready for Market Introduction. Adv Eng Mater. 2004; 6(6): 448-451.
[3]
Rossi S, Calovi M, Fedel M. Corrosion protection of aluminum foams by cataphoretic deposition of organic coatings. Prog Org Coat 2017; 109: 144-151.
[4]
Rossi S, Bergamo L, Fontanari V. Fire resistance and mechanical properties of enamelled aluminium foam. Mater Des. 2017; 132: 129-137.
[5]
Stergioudi F, Vogiatzis K, Gkrekos K, Michiailidis N, Skolianos SM. Electrochemical corrosion evaluation of pure, carbon-coated and anodized Al foams. Corros Sci. 2015; 91: 151-159.
[6]
Markaki AE, Clyne TW. The effect of cell wall microstructure on the deformation and fracture of aluminium-based foams. Acta Mater. 2001; 49: 1677-1686.
[7]
Amsterdam E, De Hosson JThM, Onck PR. Failure mechanisms of closed-cell aluminium foam under monotonic and cyclic loading. Acta Mater. 2006; 54: 4465-4472.
[8]
Saenz de Miera M, Curioni M, Skeldon P, Thompson GE. The behaviour of second phase particles during anodizing of aluminium alloys. Corros Sci. 2010; 52: 2489-2497.
[9]
Yerokhin A, Khan RHU. Anodising of light alloys in Surface engineering of light alloys: Alluminium, magnesium and titanium alloys. Oxford: Woodhead Publishing Limited; 2010.
[10] ASTM G85-02, Standard Practice for Modified Salt Spray (Fog) Testing, ASTM International, West Conshohocken, PA, 2002, www.astm.org 18
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione
Anodizing treatment to improve the corrosion behavior of metallic foam Closed-cell aluminium foams stimulate great interest due to their low density combined with typical proprieties of the base metal that make them suitable for many applications, from sound and energy absorption, to flame resistance and structural applications, if used in a sandwich structure. The most cost efficient production method produces a highly complex surface morphology that could be a weakness point in terms of corrosion resistance. To enhance the corrosion behaviour, the foams have been anodized in two different ways, at a constant potential and imposed a pulsed current. The thickness and the defectiveness of the oxide layer have been evaluated via optical and electronic microscope observation. The corrosion protection on the other side has been assessed by accelerated corrosion tests. Particular attention has been paid on the influence of foam microstructure on the anodic oxide growth.
KEYWORDS: ALUMINIUM FOAM – AA 1070 – ANODIZING – ACETIC SALT SPRAY
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
19
Corrosion
Effetto della finitura superficiale sul rilascio in soluzione di leghe a base rame utilizzate nell’industria di trafilatura della pasta G. Ghiara, C. Usai, R. Spotorno, P. Piccardo, A. Adobati
Questo studio è volto a valutare il rilascio ionico in soluzione di trafile metalliche comunemente utilizzate nel l’industria della pasta (CuAl10Fe3, CuZn40 Pb 0,05 wt. %, CuZn40 Pb 0,20 wt. %) durante stoccaggio. Sono stati valutati l’effetto della finitura superficiale sui prodotti di corrosione ed il rilascio in soluzione in un sistema simulante le condizioni di conservazione di queste leghe adottate da terze parti. Le analisi hanno evidenziato risultati differenti a seconda della lega in esame e del tipo di finitura superficiale, con variazioni significative in termini di rilascio per la lega CuAl10Fe3.
PAROLE CHIAVE: CORROSIONE – RILASCIO – PASTA – BRONZI – STOCCAGGIO
INTRODUZIONE La pasta italiana è un marchio universalmente riconosciuto per qualità e corrispondenza al gusto del consumatore. Tali qualità sono legate al tipo di materia prima ed al processo produttivo. La trafilatura è tra le fasi più importanti nel processo di produzione della pasta alimentare (1). Per mezzo di un estrusore l’impasto viene forzato per compressione a passare attraverso una trafila dotata di inserti della forma desiderata (2). Tali inserti determinano, unitamente all’estrusione, il formato della pasta prodotta. A prescindere dall’impasto, la qualità organolettica del prodotto finale viene direttamente collegata al processo di trafilatura ed in particolare all’utilizzo di una lega definita come bronzo, la quale permette di ottenere finiture superficiali adeguate alle richieste dei consumatori (3,4). Questo processo distingue il prodotto di qualità (definita come aspetto superficiale, capacità di assorbire i condimenti, sensazione tattile) dal prodotto di base normalmente trafilato in teflon o acciaio inox (5). Il procedimento applicato è simile, tuttavia la scelta del materiale conferisce al prodotto caratteristiche differenti. I masselli dotati di inserti in teflon sono lisci e scorrevoli, consentono una maggiore velocità di produzione, e danno come risultato finale un prodotto dalla superficie liscia e dall’aspetto lucido (6). Le trafile in bronzo esercitano sull’impasto una frizione che produce sulla superficie delle micro lesioni le quali, a seguito del processo di essiccazione, conferiscono alla pasta carattere rugoso e poroso. Questo tipo di processo consente un maggiore trattenimento dei condimenti ma risulta più stressante per l’impasto, che deve essere pertanto prodotto a partire da semole di buona qualità. L’introduzione sul mercato di materiali con elementi di lega potenzialmente pericolosi se rilasciati 20
negli alimenti e la crescente attenzione per la qualità del cibo ai fini di migliorare lo stato di salute generale della popolazione, hanno portato alla definizione di misure di controllo sul sistema filiera industriale (7). Le direttive europee definiscono infatti i parametri correlati alle buone pratiche di manifattura e queste devono consentire livelli di igiene adeguati al consumo umano (8). Lo scopo di questo lavoro è la verifica del rilascio di diverse leghe a base rame sottoposte a due diverse finiture superficiali al fine di definire i parametri migliori in termini di igiene del prodotto finale. Sono state effettuate prove di immersione per 10 giorni in una soluzione di NaCl 0.1M in condizioni aerate e sono stati caratterizzati periodicamente sia i campioni che le soluzioni tramite tecniche microscopiche (SEM-EDS) e spettroscopiche (spettroscopia Raman e ICP-OES).
Giorgia Ghiara, Chantal Usai, Roberto Spotorno, Paolo Piccardo DCCI-Università degli studi di Genova, Via Dodecaneso 31, 16146 Genova, Italia
Andrea Adobati MetalLeghe s.r.l, Via Moie 705/b, 24059 Urgnano (BG), Italia
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione MATERIALI E METODI I campioni utilizzati per lo studio sono provenienti da masselli colati che vengono normalmente utilizzati per l’estrusione della
pasta. La tabella 1 mostra le composizioni nominali delle leghe in esame.
Tab. 1 – Composizione nominale in wt% delle leghe studiate/ Nominal composition in wt. % of the alloys studied Massa percentuale [wt%] Materiale
Lega
Al
As
Cu
Fe
Ni
Pb
Sb
Si
Sn
Zn
CuAl10Fe3
1
9.3 – 10.3
-
resto
2.75 - 4
1
-
-
-
-
-
CuZn40Pb 0,05%
2
≤ 0.3
-
59 -61
≤ 0.7
-
≤ 0.5
-
≤ 0.3
≤1
resto
CuZn40Pb 0,20%
3
≤ 0.4
≤ 0.05
59 -61
≤ 0.3
0.5
≤ 0.6
≤ 0.15
≤ 0.05
≤ 0.6
resto
Dato che la microstruttura del getto varia da punto a punto secondo le condizioni di raffreddamento, sono stati effettuati dei tagli in zone specifiche del massello: per tutti i tipi di leghe il prelievo è stato effettuato al cuore al fine di ottenere sezioni rappresentative. Le leghe sono poi state caratterizzate preliminarmente tramite le classiche tecniche metallografiche quali microscopia ottica ed elettronica dopo attacco metallografico con soluzione acquosa acida di FeCl3, al fine di evidenziarne composizione, microstruttura e fasi presenti. Sono state effettuate prove di rilascio in soluzione su due set di campioni a diverso grado di rugosità, rispettivamente sospensione diamantata da 1 μm (finitura A) e carta abrasiva1000 SiC (finitura B). Tali condizioni consistono nell’immersione prolungata delle trafile in acqua dove i residui di pasta ancora a contatto con i masselli contribuiscono al rilascio nel sistema di ioni cloruro (Cl-). Pertanto, per simulare condizioni di stoccaggio drastiche, si è scelto di utilizzare una soluzione di NaCl 0.1 M. Per entrambi i tipi di prove è stato monitorato l’andamento giornaliero del fenomeno in esame per un tempo totale di 10 giorni. Ciò è stato ripetuto per ogni set e per ogni lega per un totale di 60 prelievi. Le soluzioni sono state analizzate mediante spettroscopia atomica di emissione con sorgente a plasma indotto da radiofrequenze (ICP- AES) Sono state effettuate inoltre prove di corrosione ad immersione sui campioni di lega verificando la formazione dei prodotti di
corrosione con andamento giornaliero. Tutti i campioni sono stati caratterizzati utilizzando: microscopia ottica (LOM), al fine di osservare lo sviluppo dei prodotti di corrosione; microscopia elettronica a scansione (SEM), al fine di verificare lo stato della superficie; spettroscopia microRaman (μRS) al fine di caratterizzare la natura dei prodotti di corrosione sviluppatisi. RISULTATI Caratterizzazione preliminare La lega 1 mostra una microstruttura complessa e disomogenea in cui si possono distinguere cristalli primari di α circondati da una seconda fase non omogenea, identificata come β’. Si nota ai bordi di fase la formazione eutettoidica lamellare α+γ2. Sono inoltre ben visibili le inclusioni dovute alla presenza dei composti intermetallici Fe(δ), suddivisibili in due diverse tipologie: inclusioni dendritiche di dimensioni maggiori e globulari di dimensioni più ridotte (Fig. 1A). Le leghe 2 e 3 presentano entrambe una microstruttura omogenea composta da cristalli primari di β2 circondati da una seconda fase α (Fig. 1B). Sono inoltre visibili micro inclusioni disperse dovute al contenuto di Pb non miscibile con la matrice. A seconda del contenuto di Pb la microstruttura risulta caratterizzata da grani di diverse dimensioni. La sua maggior quantità determina infatti dimensioni del grano minori (Fig. 1C).
Fig. 1 – Micrografie 100x LOM delle leghe in esame dopo attacco con FeCl3: (A) lega 1; (B) lega 2; (C) lega 3/ 100x micrographs of the alloys after etching with FeCl3: (A) alloy 1; (B) alloy 2; (C) alloy 3. La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
21
Corrosion Rilascio in soluzione Nel comportamento a corrosione in soluzione di NaCl della lega CuAl10Fe3 è possibile osservare una tendenza comune per le due finiture superficiali. Il rilascio del Cu (Fig. 2A) assume un andamento crescente per entrambe le finiture. Tra i due set è tuttavia individuabile una significativa differenza in termini di quantità di rilascio, la cui ampiezza cresce con il tempo presentando una pendenza più marcata ed un rilascio più
elevato per la finitura B. L’ Al (Fig. 2B) presenta un andamento crescente, con picchi di rilascio localizzati in giorni diversi a seconda delle finiture (rispettivamente giorno 9 o 196h per la finitura A e giorno 1 o 4h e giorno 6 o 124h per la finitura B). Fatta esclusione per i massimi di rilascio localizzati, l’entità del fenomeno nelle zone di linearità risulta paragonabile per i due set di campioni.
Fig. 2 – Andamento della concentrazione in soluzione a seconda della diversa finitura per la lega 1 di: (A) Cu (B) Al. Risultati in μg/L. / Trend of the concentration in solution for alloy 1 according to the different surface finishing of: (A) Cu; (B) Al. Results in μg/L. Le leghe CuZn presentano un rilascio in soluzione caratterizzato da un andamento comune: in entrambe le leghe il fenomeno assume una tendenza di crescita molto più elevata per lo Zn che per il Cu. Per la lega 2 il grado di finitura superficiale A (1μm) influenza positivamente il rilascio del Cu ma non quello dello Zn, fenomeno che invece è invertito per la lega 3 (Fig. 3).
Se si considera il Pb non si nota una variazione del rilascio nel tempo in quanto dopo le prime ore di immersione la concentrazione del metallo in soluzione si attesta su valori comparabili per entrambe le finiture e per entrambi i sistemi, con valore medio di 12±2 μg/L (non visibile).
Fig. 3 – Andamento della concentrazione di Zn in soluzione a seconda della diversa finitura di: (A) lega 2; (B) lega 3. Risultati in μg/L. / Trend of the concentration of Zn in solution according to the different surface finishing of: (A) alloy 2; (B) alloy 3. Results in μg/L. Prove ad immersione Le prove ad immersione hanno permesso una migliore comprensione del meccanismo di corrosione sulla base della rugosità superficiale imposta ai provini. I prodotti di corrosione sviluppatisi sulla superficie della lega 1 22
sono in accordo con quanto riportato per leghe studiate in letteratura (9,10): si evidenzia una sottile film di ossidi costituito da Cu2O(s) ed Al2O3(s) con presenza di idrossidi e cloruri idrati (Fig. 4). La formazione di tale strato protettivo è coerente con il fenomeno della dealluminificazione, evidenziato per entramLa Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione be le finiture. Il meccanismo prevede la dissoluzione selettiva di Al, visibile nelle prime ore di immersione, e la conseguente formazione di uno strato di Al2O3, giustificato dai valori di rilascio. Le analisi evidenziano per entrambe le finiture superficiali corrosione localizzata per vaiolatura in corrispondenza delle inclusioni di Fe(δ). Vi è distacco delle inclusioni o dissoluzione e precipitazione di prodotti di corrosione di Fe ed Al contenenti
O e Cl nelle zone circostanti. L’influenza della finitura varia a seconda dell’elemento considerato e per entità di rilascio. In generale, per tutti gli elementi la finitura A (1 μm) determina un ritardo del processo di corrosione del pezzo. Sono stati infatti osservati picchi di rilascio con ritardi temporali significativi (96h per il primo processo e 72h per il secondo) per gli elementi Al e Fe.
Fig. 4 – Micrografie LOM e SEM della lega 1 che mostrano i prodotti di corrosione formatisi per la finitura superficiale A: (A) 25x LOM, 24h (B) 2500x SEM-BSE, 48h (C) 50x LOM, 96h; (D) 4000x SEM-SE, 240h/ LOM and SEM micrographs of alloy 1 showing corrosion products formed for surface finishing A: (A) 25x LOM, 24h (B) 2500x SEM-BSE, 48h (C) 50x LOM, 96h; (D) 4000x SEM-SE, 240h. I prodotti di corrosione sviluppatisi sulla superficie delle leghe 2 e 3 sono in accordo con quanto riportato per leghe studiate in letteratura (11): lo strato di corrosione primario sulla superficie è costituito prevalentemente da ossidi e idrossidi di Cu, con specie prioritaria Cu2O. Alla formazione di tale strato è rapportabile l’andamento del rilascio di Cu, molto minore rispetto a
quello dello Zn. In entrambe le leghe si sono osservati gli effetti tipici della dezincificazione. L’andamento fortemente crescente e l’elevata entità del rilascio di Zn sono quindi correlabili con la dealligazione selettiva dell’elemento. Tale processo ha avuto origine sulla fase β2 e sono infatti visibili (Fig.5) all’interno della fase, zone con morfologia tipicamente spugnosa.
Fig. 5 –Micrografie LOM e SEM delle leghe 2 e 3 che mostrano i prodotti di corrosione formatisi per le diverse finiture a 240h. Riga superiore, finitura A: (A) lega 2, 6x LOM; (B) lega 2, 50x SEM-BSE; (C) lega 3, 6x LOM; (D) lega 3, 1000x SEM-SE. Riga inferiore, finitura B: (E) lega 2, 6x LOM; (F) lega 2, 50x SEM-BSE; (G) lega 3, 6x LOM; (H) lega 3, 10500x SEM-SE/LOM and SEM micrographs of alloys 2 and 3 showing corrosion products formed for the different surface finishing after 240h. Top row, set A: (A) alloy 2, 6x LOM; (B) alloy 2, 50x SEM-BSE; (C) alloy 3, 6x LOM; (D) alloy 3, 1000x SEM-SE. Bottom row, set B: (E) alloy 2, 6x LOM; (F) alloy 2, 50x SEM-BSE; (G) alloy 3, 6x LOM; (H) alloy 3, 10500x.
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
23
Corrosion L’elevata concentrazione di Zn2+ in soluzione arricchisce lo strato di corrosione di ZnO e di Zn5(OH)8Cl2•H2O che sono osservabili in tempi e quantità diverse per le due finiture. Le analisi effettuate hanno inoltre permesso di evidenziare che le inclusioni di Pb, formatesi durante solidificazione, sono soggette a corrosione selettiva e prodotti di corrosione del Pb sono stati individuati in corrispondenza delle cavità formatesi. In base a ciò si può ipotizzare che la sua dissoluzione sia avvenuta nei primi momenti di immersione e che la finitura non abbia influito sul suo rilascio. Se si tiene conto esclusivamente dell’andamento del sistema senza focalizzarsi sull’entità del rilascio, è possibile identificare la finitura A (1 μm) come un fattore che induce un ritardo nel fenomeno. L’entità del ritardo temporale varia a seconda della lega considerata e dell’elemento in esame, in un intervallo compreso tra 24 e 72h. Inoltre, la percentuale di Pb nelle due leghe può parzialmente spiegare i valori confrontabili di rilascio di Cu e Zn a seconda della diversa finitura. Esso agisce sulla tipologia di attacco corrosivo e quindi sulla velocità di corrosione (12,13): la lega 3 si è infatti dimostrata quella con
resistenza a corrosione più elevata. CONCLUSIONI Dall’analisi dei dati ottenuti si può concludere che: . il diverso grado di finitura superficiale modifica il fenomeno modulando la velocità dei processi corrosivi, e può dunque aumentare il tempo di vita dei masselli in esercizio, riducendo nel contempo il rilascio in soluzione di alcuni elementi, in particolare Cu; . a fronte di valori di rilascio paragonabili, un maggior contenuto di Pb determina un effetto positivo sul sistema, rendendo la lega 3 meno soggetta a corrosione; . un basso contenuto di Pb (lega 2) favorisce l’insorgenza di corrosione localizzata in corrispondenza delle inclusioni, fenomeno che contribuisce a ridurre il tempo di vita del pezzo e causare un incremento di rilascio in soluzione degli altri elementi; . la lega CuAl10Fe3 si è rivelata essere quella maggiormente soggetta a corrosione.
BIBLIOGRAFIA [1]
Gray D.R, Chinnaswamy R. (1995) In: Food Processing: Recent Developments, A. G. Gaonkar, ed., Elsevier Science & Technology Books, London, pp. 241-268
[2]
Lelieveld H.L.M., Holah J., Gabric D., eds (2016). Handbook of Hygiene Control in the Food Industry, Woodhead Publishing, Cambridge
[3]
Lucisano M., Pagani M.A., Mariotti M., Locatelli D.P. (2008). Influence of die material on pasta characteristics. Food Res Intl ,41, p. 646–652
[4]
Mercier S, Des Marchais L.-P., Villeneuve, S., Foisy, M. (2011). Effect of die material on engineering properties of dried pasta. Procedia Food Sci, 1, p. 557–562
[5]
Trasca T.I., Groza I., Rinovetz A., Rivisi A., & Rado, B.P. (2007). The Study of the Behaviour of Polytetrafluoroetylene Dies for Pasta Extrusion Comparative with Bronze Dies. MATERIALE PLASTICE, 44(4), p. 307-309
[6]
Yoshino M., Ogawa T., Adachi S. (2013). Properties and Water Sorption Characteristics of Spaghetti Prepared Using Various Dies. J Food Sci, 78 (4), p. E520-525
[7]
JECFA (1982). Evaluation of certain food additives and contaminants. Twenty-sixth report of the Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives. World Health Organization, Technical Report Series 683
24
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione [8]
FAO/WHO (2010). Summary and conclusions of the seventy-third meeting of the Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives, Geneva, 8–17 June 2010. Rome, Food and Agriculture Organization of the United Nations; Geneva, World Health Organization.
[9]
Ateya B.G., Ashour B.A, Sayed S.M. (1994). Stress corrosion behaviour of an aluminium bronze in saline water, Corrosion, January 1994.
[10] Schussler A., Emer H.B. (1993). The corrosion of the nickel-aluminium bronzes in sea water. Protective layer formation and the passivation mechanism, Corrosion Sci., 34, p. 1793-1815. [11] Zhou P., Hutchison M.J., Erning J.W., Scully J.R., Ogle K., (2017). An in situ kinetic study of brass dezincification and corrosion, Electrochimica Acta, 229, p. 141-154. [12] Francis R., The Corrosion of Copper and Its Alloys, 2010. [13] Sugawara H., Ebiko H. (1967). Dezincification of Brass, Corrosion Sci., 7, p. 513-523.
The effect of surface finishing on the ionic release of copper-based alloys used in the industry of pasta extrusion This study is focused on the evaluation of the ionic release of metallic materials commonly used as dies in the Italian manufacturing of pasta (CuAl10Fe3, CuZn40Pb 0,05 wt. %, CuZn40Pb 0,20 wt.%) during storage. The effect of the surface finishing on the corrosion products and the ionic release were evaluated in a system mimicking common conservation procedures adopted by third parties. Analyses evidenced different responses according to the system under consideration and surface finishing with important variations in terms of release for the CuAl10Fe3 alloy.
KEYWORDS: CORROSION – RELEASE – PASTA – BRONZES – STORAGE
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
25
Corrosion
Effetto del carico ciclico sulla diffusione di idrogeno in acciai basso-legati M. Cabrini, S. Lorenzi, T. Pastore, D. Pesenti Bucella
Il lavoro sperimentale è volto allo studio dei meccanismi di infragilimento da idrogeno negli acciai al carbonio e basso legati, affrontandone, in particolare, il tema della diffusione dell’idrogeno all’interno del metallo in matrici sottoposte a uno stato di sollecitazione ciclica. I risultati mostrano una diminuzione del coefficiente di diffusione apparente all’aumentare del carico massimo del ciclo. La sollecitazione provoca una marcata e istantanea riduzione della concentrazione di idrogeno mobile all’interno del reticolo già da valori di carico pari al 55% del valore di snervamento, con un effetto che aumenta significativamente in campo plastico.
PAROLE CHIAVE: ACCIAIO BASSO-LEGATO – DIFFUSIONE DI IDROGENO – PROTEZIONE CATODICA – DEFORMAZIONE ELASTO-PLASTICA. INTRODUZIONE Gli acciai al carbonio e basso-legati sono diffusamente utilizzati per molte strutture operanti a contatto con i terreni o in acqua di mare. In tali applicazioni, sono protetti dalla corrosione generalizzata mediante rivestimenti protettivi e l’adozione di un sistema di protezione catodica, permettendo così la realizzazione di impianti durevoli e pienamente affidabili. Tali acciai sono pienamente compatibili con la protezione catodica, poiché sostanzialmente immuni da fenomeni di infragilimento da idrogeno in condizioni di normale utilizzo, in presenza di sollecitazione costante, anche in condizioni di sovrapprotezione a potenziali favorevoli alla formazione di idrogeno sulla superficie del metallo. Un meccanismo di infragilimento da idrogeno può però intervenire in particolari condizioni, caratterizzate da lente e progressive deformazioni in campo plastico [1–6], in presenza di alterazioni microstrutturali del materiale [7], per particolari forme di cedimento in assenza di protezione catodica, e.g. near neutral stress corrosion cracking (NNSCC) [8–10] e con sollecitazioni cicliche a bassa frequenza tipiche della corrosione fatica [1,3]. Negli ultimi anni la tendenza del mercato è quella di ricorrere ad acciai con resistenze meccaniche sempre più alte e, per questo, potenzialmente più suscettibili ai rischi di infragilimento. Il loro impiego diffuso richiede un’attenta valutazione della suscettibilità per prevenire i rischi di rottura. Per contenere il rischio di tali fratture, le normative di riferimento per la protezione catodica individuano i massimi valori di snervamento consentito e i valori di potenziale di protezione da applicare per proteggere in modo adeguato la struttura, limitando o annullando completamente lo sviluppo di idrogeno quale causa primaria. Dal punto di vista della progettazione di sistemi sicuri anche laddove sussista, invece, un rischio di infragilimento da idro26
geno, oggi si sono fatti significativi passi in avanti nella modellazione della protezione catodica, utile per evitare zone di rilevante sovrapprotezione catodica, garantendo comunque la corretta protezione sul resto della superficie [11–14]. In aggiunta ai limiti critici di potenziale fissati dalle norme di riferimento, un’altra importante questione è rappresentata dalla determinazione della quantità di idrogeno che penetra nell’acciaio, e del tempo impiegato per diffondere al suo interno, saturarne la matrice e causare l’innesco della frattura [15–21]. Molti sono i lavori che hanno tentato di analizzare la relazione esistente tra diffusione dell’idrogeno e insorgenza dei fenomeni di infragilimento, relazione la cui definizione rimane ancora aperta poiché non si sono ancora chiariti i meccanismi base che regolano l’interazione e la penetrazione dell’idrogeno in una matrice metallica sottoposta, inoltre, a uno stato di sollecitazione. Lo scopo di questo lavoro è, dunque, quello di approfondire i meccanismi di base della diffusione dell’idrogeno in un accia-
M. Cabrini, S. Lorenzi, T. Pastore, D. Pesenti Bucella Università di Bergamo, Dipartimento di Ingegneria e Scienze Applicate, Dalmine (BG), Italia Consorzio INSTM - UdR Bergamo, Firenze, Italia Consorzio CSGI, Firenze, Italia
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione io sottoposto a sollecitazione ciclica. Le prove di permeazione, condotte in accordo alla normativa internazionale, sono state effettuate su un acciaio HSLA a struttura sorbitica sottoposto a diversi livelli di sollecitazione ciclica ad ampiezza costante. Metodologia Sperimentale Le prove sono state condotte su un acciaio al carbonio di grado X65 in accordo alla normativa API 5L a struttura sorbitica. I provini sono stati estratti da un tubo commerciale seamless ad alto spessore, prelevati alla stessa profondità. Le prove di permeazione di idrogeno sono state eseguite su una cella di Devanathan-Stachursky riempita nel comparto anodico con una soluzione 0.1M NaOH con applicata una polarizzazione di +340mV vs Ag/AgCl (3MKCl). Nel comparto catodico è stata inserita una soluzione acquosa tamponata a pH 8.4 con 0.3M H3BO3 e 0.075M Na2B4O7 [22], mantenuta in ricircolo continuo durante tutta la prova. In accordo alla normativa internazionale ISO 17081:2014, è stata assicurata una carica di idrogeno in condizioni galvanostatiche, con densità di corrente catodica pari a 0.5 mA/cm2. La temperatura è stata mantenuta costante a 23 ± 0.5°C per l’intera durata della prova. Le prove di permeazione in condizioni di carico ciclico hanno previsto l’applicazione del ciclo di sollecitazione subito prima dell’inizio dell’attivazione della corrente catodica. È stata applicata una sinusoide con carico massimo compreso nell’intervallo 55÷110% della resistenza allo snervamento (TYS), ampiezza pari a ±10% di questa e frequenza di 10-2 Hz. Le prove di permeazione di idrogeno in assenza di sollecitazione sono state realizzate su laminette rettangolari di spessore 1 mm (provini denominati BM), mentre quelle sotto carico ciclico (provini denominati C) sono state condotte su provini di trazione ricavati in accordo alla normativa UNI EN 10002-1 [4], con pari spessore. La resistenza meccanica del materiale è stata misurata su provini identici a quelli utilizzati per le prove di permeazione sotto carico. Le prove hanno mostrato una un valore di carico di
snervamento (TYS) e di rottura (UTS) pari rispettivamente a 450 MPa e 570 MPa. Le curve sperimentali di permeazione sono state interpolate utilizzando il modello della pura diffusione e il modello proposto da Grabke e Riecke [23], che considera anche l’effetto della presenza di trappole reversibili e irreversibili. Risultati e discussione Le curve di permeazione rilevate nel corso delle prove mostrano uno spostamento a tempi molto più lunghi rispetto la curva di pura diffusione, stimabile con il valore comunemente accettato del coefficiente di diffusione dell’idrogeno nella ferrite, Dl=7.17 . -9 10 m2/s, proposto da Kiuchi e McLellan [24] (Fig. 1). Le curve sono espresse in termini di tempo normalizzato per poterle confrontare indipendentemente da piccole variazioni di spessore e dal mezzo in cui diffonde l’idrogeno. In assenza di sollecitazione, la curva mantiene un andamento simile a quello della pura diffusione, ma si prolunga il tempo necessario all’idrogeno per attraversare il metallo. In accordo al modello di Grabke e Riecke, tale ritardo è attribuibile alla presenza di trappole reversibili. In queste condizioni, l’interpolazione con il modello della diffusione, basato sull’integrazione della seconda legge di Fick, porta a una stima di un coefficiente di diffusione apparente (Dapp) nell’intervallo 6.2÷8.9·10-11 m2/s, con un valore medio pari a 7.5·10-11 m2/s, Il minore valore del coefficiente di diffusione apparente rispetto a quello nel reticolo della ferrite è in accordo con le considerazioni di Arafin e Szpunar [25] e Zhao et al. [26], che sottolineano come le microstrutture ferritico-bainitiche a basso tenore di carbonio siano caratterizzate da una significativa densità di dislocazioni, in grado di agire da siti trappola. In presenza di sollecitazione ciclica, il coefficiente di diffusione apparente si modifica. La Fig. 2 ne riporta la variazione in funzione del carico massimo del ciclo, espresso come rapporto tra lo sforzo nominale applicato (σ) e TYS dell’acciaio.
Fig. 1 – Curve di permeazione flusso adimensionale / tempo adimensionale (Φ flusso di idrogeno; Φ∞ flusso stazionario; t tempo di permeazione; s spessore )/ /Diffusion constant (Dapp) as a function of maximum loading during loading La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
27
Corrosion
Fig. 2 – Diffusività apparente (Dapp) in funzione del carico massimo applicato e della condizione di carico / Diffusion constant (Dapp) as a function of maximum stress during cyclic loading In condizioni di carico ciclico, si osserva una diminuzione di Dapp già con il carico massimo del ciclo pari al 55% TYS, seppure modesta. Il valore diminuisce progressivamente fino a 1.4·1011 m2/s, per valori di sollecitazione massima oltre il limite di snervamento. Appare così evidente che, per queste condizioni di carico, la deformazione plastica è in grado di aumentare in modo rilevante il numero di siti trappola nel metallo [27]. Tale aumento di trappole riduce l’idrogeno diffusibile, determinando così una riduzione del flusso durante il transitorio.
In accordo al modello di Grabke e Riecke, il rapporto Dapp/Dl può essere assunto quale indice per stimare la concentrazione delle trappole reversibili (Nt,r) in rapporto ai siti disponibili all’idrogeno nel reticolo (Nl). La Fig. 3 mostra la variazione della concentrazione delle trappole, così calcolate, in funzione della sollecitazione massima raggiunta nel ciclo di carico. Si evidenzia un incremento del numero di trappole reversibili di 5 volte, alla massima sollecitazione considerata nelle prove.
Fig. 3 – Densità di trappole reversibili (Nt,r) in funzione del carico applicato / Effect of maximum stress during cyclic loading on Nt,r/ Nl L’effetto di ritardo, però, non è può essere ricondotto solo a un aumento delle trappole reversibili. L’applicazione di una sollecitazione in campo plastico, induce non solo un ulteriore spostamento verso tempi più lunghi di diffusione, ma comporta anche una modifica significativa dell’andamento della curva di permeazione (Fig. 1). Questa tende a modificarsi nel tratto 28
iniziale del transiente, con un ritardo che comporta una diversa pendenza iniziale. Tale effetto è riconducibile a un aumento dei siti trappola di tipo irreversibile che tendono a saturarsi nelle fasi iniziali, prima di consentire all’idrogeno di diffondere verso gli strati più interni, sottraendo, così, idrogeno libero di muoversi al processo di permeazione. Per i valori di deformazione La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione plastica raggiunti nelle prove sperimentali condotte, relativamente modesti, l’effetto appare più contenuto rispetto a quello prevalente indotto dal moltiplicarsi delle trappole reversibili. Conclusioni Il lavoro sperimentale ha riguardato lo studio della permeazione dell’idrogeno all’interno di un acciaio di grado X65 in condizioni di assenza di carico e in presenza di sollecitazione ciclica. Sono stati applicati modelli di letteratura per calcolare i principali parametri che caratterizzano la diffusione nel reti-
colo metallico in presenza e in assenza di trappole reversibili e irreversibili. Condizioni di carico ciclico di poco superiori rispetto allo snervamento determinano un’intensificazione dei fenomeni di intrappolamento dell’idrogeno, con un effetto di significativa riduzione della diffusività apparente e un aumento considerevole delle trappole nel reticolo, principalmente quelle reversibili. La sollecitazione provoca una marcata e istantanea riduzione della concentrazione di idrogeno mobile all’interno del reticolo già da valori di carico pari al 55% del valore di snervamento e aumenta significativamente in campo plastico.
BIBLIOGRAFIA [1]
M. Cabrini, S. Lorenzi, P. Marcassoli, T. Pastore, Hydrogen embrittlement behavior of HSLA line pipe steel under cathodic protection, Corros. Rev. 29 (2011) 261–274. doi:10.1515/CORRREV.2011.009.
[2]
L. Barsanti, M. Cabrini, T. Pastore, C. Spinelli, Effect of microstructure on the hydrogen-embrittlement behaviour of HSLA steels under cathodic protection, 2008. doi:10.1016/B978-008044635-6.50065-0.
[3]
M. Cabrini, T. Pastore, Hydrogen diffusion and EAC of pipeline steels under cathodic protection, in: Fract. Nano Eng. Mater. Struct. - Proc. 16th Eur. Conf. Fract., 2006: pp. 1005–1006.
[4]
M. Cabrini, S. Lorenzi, P. Marcassoli, T. Pastore, Effect of hydrogen diffusion on environmental assisted cracking of pipeline steels under cathodic protection | Effetto della diffusione dell’idrogeno sui fenomeni di environmental assisted cracking di acciai per pipeline in condizioni di protezione catodi, Metall. Ital. 100 (2008).
[5]
M. Cabrini, S. Lorenzi, P. Marcassoli, T. Pastore, Hydrogen embrittlement resistance of plastically strained pipeline steels | Resistenza all’infragilimento da idrogeno di acciai per tubazioni deformati plasticamente, Metall. Ital. 99 (2007).
[6]
M. Cabrini, L. Migliardi, T. Pastore, C. Spinelli, Effect of cathodic potential and strain rate on hydrogen embrittlement of HSLA steels, in: Hydrog. Eff. Mater. Behav. Corros. Deform. Interact. - Proc. Int. Conf. Hydrog. Eff. Mater. Behav. Corros. Deform. Interact., 2003: pp. 979–988.
[7]
G. Razzini, M. Cabrini, S. Maffi, G. Mussati, L.P. Bicelli, Effect of the heat-affected zones on hydrogen permeation and embrittlement of low-carbon steels, in: Mater. Sci. Forum, 1998: pp. 1257–1266.
[8]
M. Cabrini, S. Lorenzi, T. Pastore, F.M. Bolzoni, Environmentally assisted cracking of pipeline steels in CO2 containing environment at near-neutral pH, Corros. Rev. 35 (2017) 1–15. doi:10.1515/corrrev-2017-0053.
[9]
L. Barsanti, F.M. Bolzoni, M. Cabrini, T. Pastore, C. Spinelli, Hydrogen-embrittlement resistance of X100 steels for long-distance high-pressure pipelines, 2008. doi:10.1016/B978-008044635-6.50066-2.
[10]
M. Cabrini, S. Lorenzi, Marcassoli P., T. Pastore, NN-SCC assessment of steels for buried pipelines by means of 3 point bending tests | Studio della NN-SCC di acciai per tubazioni interrate tramite prove di flessione in tre punti, Metall. Ital. 102 (2010) 5–11.
[11] B. Bazzoni, S. Lorenzi, R. Marcassoli, T. Pastore, Current and potential distribution modeling for cathodic protection of tank
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
29
Corrosion bottoms, Corrosion. 67 (2011). [12] B. Bazzoni, S. Lorenzi, P. Marcassoli, T. Pastore, Current and potential distribution modelling for cathodic protection of tank bottoms, 2008. [13] B. Bazzoni, S. Lorenzi, P. Marcassoli, T. Pastore, Cathodic protection of tanks bottom by means of linear grid anodes. Current and potential distribution | Protezione catodica del fondo di serbatoi con sistemi ad anodi lineari distribuiti. Distribuzione del potenziale e della corrente, Metall. Ital. 100 (2008) 7–10. [14] M. Cabrini, S. Lorenzi, T. Pastore, Corrosion Behavior of Carbon Steels in CCTS Environment, Int. J. Corros. 2016 (2016) 1–7. doi:10.1155/2016/3121247. [15] T. Hyodo, M. Iino, A. Ikeda, M. Kimura, M. Shimizu, The hydrogen permeation and hydrogen-induced cracking behaviour of linepipe in dynamic full scale tests, Corros. Sci. 27 (1987) 1077–1098. doi:10.1016/0010-938X(87)90100-4. [16] E. Fallahmohammadi, F. Bolzoni, G. Fumagalli, G. Re, G. Benassi, L. Lazzari, Hydrogen diffusion into three metallurgical microstructures of a C-Mn X65 and low alloy F22 sour service steel pipelines, in: Int. J. Hydrogen Energy, 2014. doi:10.1016/j. ijhydene.2014.06.122. [17] E. Fallahmohammadi, F. Bolzoni, L. Lazzari, Measurement of lattice and apparent diffusion coefficient of hydrogen in X65 and F22 pipeline steels, Int. J. Hydrogen Energy. (2013). doi:10.1016/j.ijhydene.2012.11.059. [18] E. Fallahmohammadi, F. Bolzoni, M.V. Diamanti, L. Lazzari, Hydrogen permeation in pipeline steels, in: Tech. Proc. 2012 NSTI Nanotechnol. Conf. Expo, NSTI-Nanotech 2012, 2012. [19] M. Cabrini, S. Lorenzi, Pipeline Steels: Hydrogen Diffusion and Environmentally-Assisted Cracking, Encycl. Iron, Steel, Their Alloy. (2016). doi:10.1081/e-eisa-120052658. [20] M. Cabrini, S. Lorenzi, S. Pellegrini, T. Pastore, Environmentally assisted cracking and hydrogen diffusion in traditional and highstrength pipeline steels, Corros. Rev. 33 (2015). doi:10.1515/corrrev-2015-0051. [21] M. Cabrini, O. Cogliati, S. Maffi, Effetto della microstruttura sulla diffusione dell’idrogeno in acciai al carbonio per pipeline, Metall. Ital. 95 (2003) 13–20. [22] S. Modiano, J.A. Carreño, C.S. Fugivara, A. V. Benedetti, O.R. Mattos, Effect of hydrogen charging on the stability of SAE 10B22 steel surface in alkaline solutions, Electrochim. Acta. (2005). doi:10.1016/j.electacta.2005.05.022. [23] H.J. Grabke, E. Riecke, Absorption And Diffusion Of Hydrogen In Steels, Mater. Tehnol. (2000). doi:669.14.018.85:669.778:62 0.193. [24] K. Kiuchi, R.B. McLellan, The solubility and diffusivity of hydrogen in well-annealed and deformed iron, Acta Metall. (1983). doi:10.1016/0001-6160(83)90192-X. [25] M.A. Arafin, J.A. Szpunar, Effect of bainitic microstructure on the susceptibility of pipeline steels to hydrogen induced cracking, Mater. Sci. Eng. A. (2011). doi:10.1016/j.msea.2011.03.036. [26] M.C. Zhao, K. Yang, F.R. Xiao, Y.Y. Shan, Continuous cooling transformation of undeformed and deformed low carbon pipeline steels, Mater. Sci. Eng. A. (2003). doi:10.1016/S0921-5093(03)00074-1. [27] A.J. Kumnick, H.H. Johnson, Deep trapping states for hydrogen in deformed iron, Acta Metall. (1980). doi:10.1016/00016160(80)90038-3. 30
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione
Effect of cyclc loading on hydrogen diffuson in low alloy steels M. Cabrini, S. Lorenzi, T. Pastore, D. Pesenti Bucella
The experimental work is aimed to the study of the hydrogen embrittlement mechanism in carbon and low-alloy steels. In particular, the theme of hydrogen diffusion within the metal in matrices subjected to cyclic loading is addressed. Literature models have been applied to fit experimental hydrogen permeation curves obtained in the presence and in the absence of reversible and irreversible traps (Figure 1). Relevant shift to the left of the permeation curve has been noticed mainly due to the application of load at values exceeding yield stress. At 110%TYS - i.e. in presence of plastic strain – the shape of the curve also modifies due to the presence of irreversible traps that subtract diffusible hydrogen. However, their effect is slight at the highest maximum load considered in this work. Significant reduction in apparent diffusion coefficient (Figure 1) and considerable increase of the number of traps (Figure 2) - mainly reversible ones – has been noticed as maximum load exceeded the yield strength. Cyclic loading at tensile stress slightly higher than the yield strength of the material increases hydrogen entrapment phenomena. The stress causes a marked and instant reduction of the concentration of mobile hydrogen within the metal lattice since 55% of the yield strength and increases significantly in the plastic field.
KEYWORDS: LOW ALLOYED STEELS - HYDROGEN DIFFUSION - CATHODIC PROTECTION - ELASTO-PLASTIC STRAIN
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
31
Corrosion
Nitrurazione in scarica ionica a bassa temperatura di acciai inossidabili austenitici F. Borgioli, E. Galvanetto, T. Bacci
La nitrurazione a bassa temperatura è particolarmente interessante per il trattamento degli acciai inossidabili, perché consente di limitare la precipitazione di nitruri che avviene invece nei processi effettuati sugli acciai basso legati o da utensili, per i quali vengono impiegate di solito temperature di circa 500 °C o superiori. Nella presente ricerca la nitrurazione a bassa temperatura, realizzata con il processo in scarica ionica, è stata effettuata sull’acciaio inossidabile austenitico AISI 304L, e sono state valutate le caratteristiche microstrutturali, di microdurezza e di resistenza a corrosione in funzione dei parametri di trattamento (temperatura, pressione, durata). Le condizioni di processo influenzano le caratteristiche degli strati superficiali modificati, che risultano costituiti da uno strato più esterno, in cui è presente la cosiddetta fase S, soluzione solida soprassatura di azoto nel reticolo espanso e distorto dell’austenite, e uno strato più interno, in cui è presente una soluzione solida di atomi interstiziali (azoto, carbonio) in austenite. La precipitazione di nitruri e la loro quantità dipendono dalle condizioni di nitrurazione: quantità maggiori sono state rilevate all’aumentare della temperatura e del tempo e al diminuire della pressione di trattamento. Tutti i trattamenti causano un aumento della microdurezza superficiale: lo spessore complessivo degli strati modificati induriti e la durezza superficiale aumentano con la temperatura e con la durata, e con il diminuire della pressione di processo. Lo studio della resistenza a corrosione dei campioni nitrurati, testata in una soluzione al 5 % di NaCl con il metodo potenziodinamico, evidenzia come la nitrurazione a bassa temperatura consenta di ottenere un miglioramento rispetto all’acciaio non trattato soprattutto se gli strati modificati prodotti hanno uno spessore adeguato e quantità ridotte di nitruri.
PAROLE CHIAVE: ACCIAIO INOSSIDABILE AUSTENITICO – NITRURAZIONE – PROCESSO IN SCARICA IONICA – FASE S – RESISTENZA A CORROSIONE INTRODUZIONE Le condizioni di nitrurazione degli acciai basso legati o da utensili non possono essere utilizzate per gli acciai inossidabili poiché alle temperature solitamente impiegate (circa 500 °C o superiori) si formano elevate quantità di nitruri di cromo che, se da un lato consentono un aumento della durezza superficiale, dall’altro causano una diminuzione della resistenza a corrosione per l’impoverimento di cromo dalla matrice [1,2]. Operare a temperature più basse, come avviene nella cosiddetta nitrurazione a bassa temperatura, consente invece di limitare la formazione di nitruri di cromo. Negli acciai inossidabili austenitici trattamenti di nitrurazione effettuati a temperature inferiori a 450 °C producono strati superficiali modificati ben diversi da quelli ottenuti su acciai basso legati. Mentre in questi ultimi si ottengono strati nitrurati costituiti da uno strato di composizione più esterno, più sottile, in cui sono presenti nitruri, e uno strato di diffusione più interno e più spesso [3], negli acciai inossidabili austenitici si forma di solito una struttura a due strati in cui lo strato più esterno, di spessore maggiore, è costituito da una soluzione solida soprassatura di azoto nella cella cubica a facce centrate espansa e distorta dell’austenite, nota come fase S o austenite espansa, mentre nello strato più interno, di spessore minore, è presente una soluzione solida di 32
atomi interstiziali (azoto, carbonio) in austenite [4-7]. La fase S, che può contenere fino a circa il 10 % in peso di azoto [4], ha elevata durezza (fino a circa 1500 HV [4]) e consente di migliorare la resistenza a corrosione degli acciai inossidabili austenitici in soluzioni contenenti cloruri [1,2,4,5]. La possibilità di ottenere strati superficiali modificati, che permettano di incrementare la durezza degli acciai inossidabili austenitici mantenendo o addirittura aumentando la loro resistenza a corrosione, dipende dalle condizioni di nitrurazione. In particolare, la formazione di nitruri risulta influenzata non solo dalla temperatura [1,4], ma anche dalla durata del trattamento
Francesca Borgioli, Emanuele Galvanetto, Tiberio Bacci Dipartimento di Ingegneria Industriale (DIEF), Università di Firenze, via S. Marta 3, 50139 Firenze
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione [1]. Un ulteriore parametro da tenere in considerazione è la pressione della miscela dei gas di trattamento, in particolare quando si utilizza il processo in scarica ionica. Tale processo, in cui il pezzo da trattare costituisce il catodo del sistema, consente un’efficace rimozione dello strato passivo degli acciai inossidabili e quindi una nitrurazione uniforme [4,8]. La pressione di trattamento va ad influire sia sul cammino libero medio dei costituenti del plasma sia sulla tensione tra gli elettrodi, e quindi sull’energia degli ioni e degli atomi neutri che si formano [9,10], influenzando l’efficienza della nitrurazione. Lo scopo della presente ricerca è stato quello di valutare gli effetti dei principali parametri di trattamento della nitrurazione a bassa temperatura (temperatura, pressione, durata), effettuata utilizzando il processo in scarica ionica, sulle caratteristiche degli strati modificati prodotti su un acciaio inossidabile austenitico di largo impiego, AISI 304L. Sono state studiate la microstruttura, le fasi presenti, la microdurezza superficiale e la resistenza a corrosione in soluzione acquosa al 5 % di NaCl dei campioni nitrurati, e sono state confrontate con quelle dei campioni non trattati. Procedura sperimentale Campioni prismatici (30x17x3 mm) sono stati ricavati da una barra di acciaio AISI 304L ricotto (diametro: 60 mm); la composizione chimica dell’acciaio era la seguente (% peso): C 0.019, Cr 18.32, Ni 9.10, Mn 1.12, Si 0.67. I campioni sono stati levigati con carte abrasive (SiC) e lappati con panni diamantati fino ad una granulometria di 6 μm. L’analisi diffrattometrica ha evidenziato la presenza, oltre che dell’austenite, γ-Fe (c.f.c.), dei picchi caratteristici della ferrite, -Fe (c.c.c.). I trattamenti in scarica ionica sono stati effettuati in un impianto di laboratorio simile, nelle sue linee essenziali, a quelli industriali, descritto in precedenti pubblicazioni [11]. Prima del trattamento di nitrurazione i campioni sono stati sottoposti ad un trattamento di sputtering catodico allo scopo di rimuovere il naturale strato di passività e consentire un trattamento di nitrurazione uniforme. Il trattamento di sputtering è stato condotto ad una pressione di 1.3 mbar con un’atmosfera costituita da 80 vol. % N2 e 20 vol. % H2, fino alla temperatura di 380 °C. Successivamente, la pressione e la temperatura sono stati portate fino ai valori nominali per la nitrurazione. I trattamenti di nitrurazione sono stati effettuati a temperature selezionate
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
tra 400 e 500 °C, con pressioni comprese nell’intervallo 2.5 – 10 mbar, per durate di tempo variabili tra 1 e 8 ore, utilizzando una miscela di gas di trattamento costituita da 80 vol. % N2 e 20 vol. % H2. La tensione e la densità di corrente variavano, per trattamenti effettuati a 10 mbar, tra 175 ± 5 V e 2.2 ± 0.1 mA cm-2 (T = 400 °C), e 190 ± 5 V e 3.2 ± 0.1 mA cm-2 (T = 500 °C); per trattamenti effettuati a 430 °C, tra 175 ± 5 V e 2.6 ± 0.1 mA cm-2 (p = 10 mbar) e 260 ± 5 V e 1.4 ± 0.1 mA cm-2 (p = 2.5 mbar). La microstruttura dei campioni trattati è stata esaminata mediante tecniche di microscopia ottica e elettronica a scansione (SEM) e microanalisi (EDS). La microstruttura dei campioni nelle sezioni trasverse è stata delineata utilizzando come attacco gliceregia acetica (3 ml HCl, 2 ml HNO3, 2 ml acido acetico, 1 goccia di glicerolo). Le fasi presenti negli strati superficiali sono state identificate mediante diffrazione di raggi X (sorgente: Cu Kα; λ= 1.5406 Å) in configurazione Bragg-Brentano. Nei grafici, per ciascuno spettro di diffrazione, l’intensità è in scala quadratica. Misure di microdurezza Knoop sono state effettuate sulla superficie (carico: 50 gf) e sulla sezione (carico: 10 gf) dei campioni. Il comportamento a corrosione è stato studiato, per mezzo di curve di polarizzazione, ponendo a contatto i campioni con una soluzione aerata al 5 % di NaCl. La soluzione è stata preparata con acqua bidistillata e reagenti di purezza analitica; le prove sono state condotte a temperatura ambiente. Le curve di polarizzazione sono state ottenute utilizzando una cella orizzontale in Pyrex in configurazione a 3 elettrodi impiegando come riferimento un elettrodo Ag/AgCl (3.5 M KCl) e come controelettrodo una griglia di platino. La superficie del campione esposta all’elettrolita è stata di 1 cm2. Le curve di polarizzazione sono state ottenute, dopo un periodo di stabilizzazione di 24 ore, utilizzando una velocità di scansione di 0.3 mV s-1. Per valutare la riproducibilità sono state eseguite tre prove per ciascun tipo di campione. Risultati e discussione Morfologia e microstruttura I trattamenti di nitrurazione producono strati superficiali modificati, le caratteristiche dei quali dipendono dai parametri di trattamento e sono riassunte in Tabella 1.
33
Corrosion T (°C)
p (mbar)
t (h)
Fasi (Phases)
d (μm)
HK0.05
400
10
5
fase S
4.1 ± 0.2
368 ± 6
430
10
5
9.8 ± 0.5
1350 ± 50
450
10
5
1419 ± 61
10
5
1451 ± 58
2.5
5
1401 ± 64
5
5
1369 ± 57
7
5
1355 ± 55
10
1
fase S
3.8 ± 0.3
357 ± 6
430
10
3
fase S, ƐN’, (CrN)
10.5 ± 0.6
430
fase S, ƐN’, CrN, [Ɛ-M2-3N]
11.4 ± 1.0
430
fase S, ƐN’, CrN, [Ɛ-M2-3N]
12.1 ± 0.9
430
fase S, CrN, Ɛ-M2-3N, γ’-M4N
45.1 ± 1.2
430
fase S, ƐN’, CrN, [Ɛ-M2-3N]
16.6 ± 1.0
500
fase S, ƐN’, (CrN)
7.0 ± 0.5
955 ± 30
430
10
8
fase S, ƐN’, (CrN)
12.0 ± 0.9
1380 ± 58
fase S, ƐN’
Tab. 1 – Caratteristiche degli strati modificati (fasi presenti nello strato modificato più esterno; spessore complessivo degli strati, d; microdurezza superficiale, HK0.05) di campioni di acciaio AISI 304L nitrurato come indicato. Le fasi indicate in parentesi tonde sono presenti in piccola quantità; le fasi indicate in parentesi quadre sono ipotizzate in base all’analisi microscopica. La microdurezza superficiale dell’acciaio non trattato è 262 ± 4 HK0.05. / Modified layer characteristics (phases present in the outer modified layer; whole thickness of the layers, d; surface microhardness, HK0.05) of AISI 304L samples nitrided as indicated. Phases in round brackets are detected in small amount; phases in brackets are hypothesized on basis of microscopy analysis. Surface microhardness of the untreated steel is 262 ± 4 HK0.05. Dopo la nitrurazione, sulla superficie di tutte le tipologie di campioni nitrurati si rendono evidenti i bordi di grano ed i geminati della fase austenitica madre. All’interno dei grani sono
inoltre osservabili bande di scorrimento, mentre alcuni bordi di grano risultano più in rilievo rispetto a quelli adiacenti o tendono a protendersi su di essi.
Fig. 1 – Morfologia della superficie (a) (microscopio ottico) e un suo particolare (b) (SEM) di un campione nitrurato a 430 °C, 10 mbar per 5 ore. / Surface morphology (a) (light microscopy) and a detail (b) (SEM) of a sample nitrided at 430 °C, 10 mbar for 5 h. Tale morfologia, osservata in nostre precedenti pubblicazioni [10] e anche da altri autori [4,12], è dovuta sia ad un fenomeno di etching da parte del plasma durante lo sputtering catodico e la successiva nitrurazione, sia a deformazioni plastiche localizzate che si verificano durante la formazione dello strato
34
modificato. Tale morfologia è tanto più evidente quanto più la temperatura o la durata del trattamento aumentano, o la pressione di trattamento diminuisce. Le micrografie delle sezioni di campioni nitrurati sono mostrate in Fig. 2.
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione
Fig. 2 – Micrografie degli strati superficiali modificati di campioni nitrurati nelle seguenti condizioni: 400 °C e 10 mbar (a), 430 °C e 10 mbar (b), 430 °C e 2.5 mbar (c), 450 °C e 10 mbar (d), 500 °C e 10 mbar (e) (durata del trattamento: 5 h) /Micrographs of the modified surface layers of samples nitrided as follows: 400 °C and 10 mbar (a), 430 °C and 10 mbar (b), 430 °C and 2.5 mbar (c), 450 °C and 10 mbar (d), 500 °C and 10 mbar (e) (treatment time: 5 h).
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
35
Corrosion L’analisi metallografica evidenzia una regione superficiale modificata costituita da due strati sovrapposti, separati l’uno dall’altro e dalla matrice da strette zone attaccate. Come osservato anche in nostri precedenti studi [5,10,11], negli strati modificati i bordi di grano appaiono come la continuazione di
quelli della matrice austenitica. L’analisi diffrattometrica mostra che nello strato più esterno è presente principalmente la fase S, mentre la presenza di nitruri dipende dalle condizioni di trattamento (Fig. 3, 4).
Fig. 3 – Diffrattogrammi di campioni non trattati (a) e nitrurati a 400 (b), 430 (c), 450 (d) e 500 (e) °C (pressione: 10 mbar; durata: 5 h) / X-ray diffraction patterns of samples untreated (a) and nitrided at 400 (b), 430 (c), 450 (d) and 500 (e) °C (pressure: 10 mbar; time: 5 h).
Fig. 4 – Diffrattogrammi di campioni non trattati (a) e nitrurati a 430 °C per 1 (b), 3 (c) e 8 (d) h (pressione: 10 mbar) / X-ray diffraction patterns of samples untreated (a) and nitrided at 430 °C for 1 (b), 3 (c) and 8 (d) h (pressure: 10 mbar).
36
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione Lo strato più interno è costituito da una soluzione solida di atomi interstiziali (azoto, carbonio) nella struttura c.f.c. dell’austenite, γ(N,C), che risulta espansa, ma senza raggiungere le maggiori dimensioni della fase S, come osservato precedentemente [5,11]. L’effetto della temperatura sulle caratteristiche degli strati modificati è stato valutato mantenendo costanti pressione (10 mbar) e durata (5 h) del trattamento. Quando i campioni sono nitrurati a 400 °C, gli strati risultano molto sottili (Fig. 2 a) e non sono state rilevate quantità apprezzabili di nitruri (Fig. 3 b). Nello strato più esterno dei campioni trattati a 430 °C si osservano gruppi di linee di scorrimento, che dalla superficie si estendono all’interno dello strato (Fig. 2 b). Negli spettri di diffrazione (Fig. 3 c), oltre ai picchi della fase S, sono presenti anche i picchi della soluzione solida di azoto nella martensite esagonale, ƐN’ (e.c.). Tale fase, analoga alla martensite indotta da sforzi esterni [13], è legata alle deformazioni plastiche localizzate dovute alla formazione degli strati modificati, che causano zone estese di difetti di impilamento (stacking faults) nel reticolo c.f.c. Quantità molto piccole di CrN (c.f.c.) risultano presenti in forma di precipitati essenzialmente sulla superficie dei campioni, come evidenziato dall’analisi microscopica. Con il trattamento a 450 °C estese zone di nitruri sono presenti nello strato più esterno come zone fortemente attaccate, sia lungo il bordo dei grani sia all’interno dei grani stessi (Fig. 2 d). Negli spettri di diffrazione i picchi di CrN risultano ben delineati (Fig. 3 d). La presenza del nitruro Ɛ-M2-3N (M = Fe, Cr, Ni, Mn) (es.), che può formarsi in seguito alla distorsione del reticolo esagonale compatto della martensite ƐN’ e a una disposizione ordinata degli atomi di azoto [14], può essere ipotizzata sulla base dell’osservazione metallografica, anche se i picchi caratteristici di una struttura ordinata non sono presenti nello spettro di diffrazione. A titolo di esempio è mostrata anche la microstruttura di un campione nitrurato a 500 °C (Fig. 2 e). Lo strato, molto spesso in confronto a quello dei campioni trattati a temperatura inferiore, risulta fortemente attaccato, indice della presenza di un’elevata quantità di nitruri che, secondo l’analisi diffrattometrica, risultano essere CrN, Ɛ-M2-3N e γ’-M4N (c.f.c.) (Fig. 3 e). Lo spessore complessivo degli strati modificati aumenta all’aumentare della temperatura di trattamento, grazie alla maggiore diffusione dell’azoto (Tabella 1). La formazione di nitruri è influenzata non solo dalla temperatura, ma anche dalla pressione di trattamento (Tabella 1). Operando a 430 °C per 5 ore si osserva che al diminuire della pressione di trattamento da 10 a 2.5 mbar si ha la formazione
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
di precipitati di nitruri sia al bordo dei grani che all’interno dei grani stessi (Fig. 2 b, c), e i precipitati sono tanto più numerosi quanto è più bassa la pressione. Inoltre lo spessore complessivo degli strati modificati tende ad aumentare. Tali risultati sono dovuti al fatto che, operando a pressioni più basse, aumentano il cammino libero medio dei costituenti del plasma e la tensione tra gli elettrodi, cosicché si ha un aumento dell’energia associata sia agli ioni, che producono un maggiore sputtering della superficie [9], sia agli atomi neutri, ottenendo una maggiore efficienza del processo di nitrurazione [10]. All’aumentare della durata del trattamento, per una nitrurazione effettuata a 430 °C e 10 mbar, l’analisi diffrattometrica (Fig. 4) mostra uno spostamento dei picchi della fase S verso angoli minori, indice di un aumento medio dei parametri di cella dovuto alla solubilizzazione di una quantità maggiore di azoto; inoltre la martensite ƐN’ risulta rilevabile solo quando lo strato modificato è sufficientemente spesso, come nel trattamento a 3 h (Fig. 4 c). La presenza di piccole quantità di CrN è rilevabile solo per tempi più lunghi (5 e 8 h; Fig. 3 c e 4 d, rispettivamente). Lo spessore complessivo degli strati modificati aumenta con il tempo di trattamento, in accordo con le leggi della diffusione (Tabella 1). Microdurezza Misure di microdurezza Knoop sono state effettuate sulla superficie di campioni non trattati e nitrurati; i risultati sono mostrati in Tabella 1. Tutti i campioni nitrurati presentano una durezza superficiale che risulta essere significativamente più alta rispetto a quella dell’acciaio non trattato (262 ± 4 HK0.05). All’aumentare della temperatura di trattamento si osserva un aumento della durezza, sia a causa dell’aumento dello spessore degli strati induriti sia per il fatto che a temperature superiori a 450 °C aumenta significativamente la quantità di nitruri aventi elevata durezza. Al diminuire della pressione i valori di microdurezza superficiale tendono a aumentare, a causa della precipitazione di nitruri negli strati modificati. Con l’aumento della durata di trattamento si osserva un aumento della durezza superficiale, dovuto all’aumento dello spessore degli strati induriti. I profili di microdurezza di campioni nitrurati a diverse temperature (pressione: 10 mbar; durata: 5 h), pressioni (temperatura: 430 °C; durata: 5 h) e durate (temperatura: 430 °C; pressione: 10 mbar) sono mostrati in Fig. 5.
37
Corrosion
Fig. 5 – Profili di microdurezza di campioni nitrurati a diverse temperature (pressione: 10 mbar; durata: 5 h) (a), pressioni (temperatura: 430 °C; durata: 5 h) (b) e durate (temperatura: 430 °C; pressione: 10 mbar) (c) / Microhardness profiles of samples nitrided using different temperatures (pressure: 10 mbar; time: 5 h) (a), pressures (temperatures: 430 °C; time: 5 h) (b) and times (temperatures: 430 °C; pressure: 10 mbar) (c). Tutte le tipologie di campioni trattati presentano nello strato modificato elevati valori di microdurezza che diminuiscono abbastanza rapidamente fino ai valori della matrice. Nei campioni in cui è prevalente la fase S sono misurati valori massimi nello strato di circa 1350 HK0.01, imputabili a tale fase [4], mentre nei campioni in cui il contenuto di nitruri è molto elevato, come in quelli trattati a 500 °C, la presenza di queste fasi fa raggiungere valori significativamente più alti (circa 1850 HK0.01). Lo spessore dello strato indurito aumenta all’aumentare della temperatura e della durata del trattamento, e al diminuire della 38
pressione di nitrurazione, in accordo con le osservazioni morfologiche. Comportamento a corrosione Le curve di polarizzazione rappresentative di campioni non trattati e nitrurati a diverse temperature (pressione: 10 mbar; durata: 5 h), pressioni (temperatura: 430 °C; durata: 5 h) e durate (temperatura: 430 °C; pressione: 10 mbar) sono mostrate in Fig. 6.
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione
Fig. 6 – Curve di polarizzazione di campioni non trattati e nitrurati a diverse temperature (pressione: 10 mbar; durata: 5 h) (a), pressioni (temperatura: 430 °C; durata: 5 h) (b) e durate (temperatura: 430 °C; pressione: 10 mbar) (c) (soluzione: 5 % NaCl, aerata) / Polarization curves of samples untreated and nitrided using different temperatures (pressure: 10 mbar; time: 5 h) (a), pressures (temperatures: 430 °C; time: 5 h) (b) and times (temperatures: 430 °C; pressure: 10 mbar) (c) (solution: 5 % NaCl, aerated).
Per tutti i campioni l’andamento tensione-corrente di tali curve è quello caratteristico di un materiale con comportamento passivo, con una densità di corrente anodica molto bassa, che aumenta marcatamente per un valore del potenziale (Epit), in corrispondenza del quale si ha l’instaurarsi di fenomeni di corrosione localizzata. Nei campioni non trattati questo andamento è ben rilevabile, e dopo il test la superficie dei campioni presenta diversi pit molto profondi e fenomeni di crevice in corrispondenza della guarnizione di teflon. La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Il comportamento a corrosione dei campioni nitrurati dipende dalle condizioni di trattamento, che influenzano le caratteristiche degli strati modificati. Per tutti i campioni nitrurati si osserva un aumento del potenziale di corrosione rispetto all’acciaio AISI 304L non trattato. L’estensione della zona di passività risulta dipendere sia dallo spessore dello strato sia dalla presenza di nitruri. Valutando l’influenza della temperatura (Fig. 6 a), per i campioni nitrurati a 400 °C, che hanno uno spessore ridotto degli 39
Corrosion strati modificati, Epit è di poco superiore (∆E ~ 30 mV) rispetto al materiale non trattato (Epit = + 250 mV (Ag/AgCl)). La superficie dei campioni presenta molti pit poco profondi. Per i campioni nitrurati a 430 °C, aventi strati modificati di spessore
maggiore e una quantità di nitruri molto bassa, il tratto di passività è significativamente più esteso con Epit = + 580 mV (Ag/ AgCl). La superficie dei campioni presenta un danneggiamento limitato, con pit poco profondi (Fig. 7 a).
Fig. 7 – Particolari della morfologia della superficie dopo il test di corrosione di campioni nitrurati a 430 (a) e 500 (b) °C / Details of the surface morphology after corrosion test of samples nitrided at 430 (a) and 500 (b) °C.
Quantità maggiori di nitruri causano una diminuzione di Epit fino a valori inferiori a quelli del materiale non sottoposto a trattamento. Se i nitruri sono in quantità non troppo elevata, come nei campioni nitrurati a 450 °C, dopo il test la superficie presenta numerosi pit poco profondi. Quando invece la quantità di nitruri presente negli strati modificati è alta, come nei campioni nitrurati a 500 °C, il ramo di passività risulta marcatamente ridotto e le correnti anodiche tendono a raggiungere i valori caratteristici del materiale non trattato. In questo caso il danneggiamento della superficie è elevato con pit profondi (Fig. 7 b). Per quanto riguarda l’influenza della pressione di nitrurazione sul comportamento a corrosione (Fig. 6 b), Epit tende a diminuire al diminuire della pressione. Tale fatto è imputabile alla maggiore quantità di nitruri che si formano alle pressioni più 40
basse (2.5 – 5 mbar). L’analisi delle curve di polarizzazione dei campioni nitrurati per durate di trattamento diverse (Fig. 6 c) evidenzia che anche lo spessore degli strati modificati ha un ruolo importante: all’aumentare della durata del trattamento si ottengono strati modificati più spessi, che consentono di avere una migliore resistenza a corrosione, con un aumento di Epit fino a circa + 620 mV(Ag/AgCl) per il campione nitrurato a 8 h. I risultati ottenuti suggeriscono che la capacità degli strati superficiali modificati, ottenuti con trattamenti di nitrurazione a bassa temperatura, di avere una resistenza a corrosione superiore al materiale non trattato dipende sia dalla presenza di nitruri che dallo spessore degli strati stessi. Piccole quantità di nitruri, come quelle rilevate nei campioni nitrurati a 430 °C a 10 mbar per 5 e 8 ore, non pregiudicano la possibilità della La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Corrosione fase S di incrementare in modo significativo la resistenza a corrosione in presenza di cloruri. D’altra parte, anche in assenza di nitruri, spessori troppo sottili, come quelli dei campioni nitrurati a 400 °C per 5 h o a 430 °C per 1 h, fanno sì che il valore del potenziale, per cui si ha l’instaurarsi di fenomeni di corrosione localizzata, sia confrontabile o di poco superiore rispetto a quello dell’acciaio non trattato. Conclusioni Trattamenti di nitrurazione a bassa temperatura, realizzati mediante il processo in scarica ionica, sono stati effettuati sull’acciaio inossidabile austenitico AISI 304L variando la temperatura (400 – 500 °C), la pressione (2.5 – 10 mbar) e la durata (1 – 8 h). La nitrurazione produce strati superficiali modificati, le caratteristiche dei quali dipendono dalle condizioni di trattamento. L’analisi microstrutturale evidenzia una struttura costituita da due strati, uno strato più esterno, più spesso, in cui è presente la fase S, e uno strato più interno, in cui è presente una soluzione solida di atomi interstiziali (azoto, carbonio) nell’austenite. La presenza di ulteriori fasi, in particolare nitruri, insieme alla fase S dipende dalle condizioni di trattamento. Deformazioni plastiche localizzate sono legate alla formazione di una soluzione solida di azoto nella martensite esagonale, ƐN’. La preci-
pitazione di nitruri di cromo e di ferro tende ad aumentare con la temperatura e con la durata, e con il diminuire della pressione di nitrurazione. Tutti i trattamenti causano un aumento della microdurezza superficiale: lo spessore complessivo degli strati modificati induriti e la durezza superficiale aumentano con la temperatura e con la durata, e con il diminuire della pressione di trattamento. La resistenza a corrosione in una soluzione al 5 % di NaCl dei campioni nitrurati, rispetto al materiale non sottoposto a trattamento, risulta dipendere sia dallo spessore degli strati modificati che dalla quantità di nitruri presenti. Spessori troppo sottili degli strati modificati, anche costituiti dalla sola fase S, riescono a garantire solo un miglioramento limitato. La resistenza a corrosione tende invece a peggiorare quando si ha una precipitazione di nitruri relativamente elevata. D’altra parte, con spessori adeguati degli strati modificati anche piccole quantità di nitruri, come quelle presenti nei campioni nitrurati a 430 °C, 10 mbar, per 5 e 8 h, non pregiudicano la resistenza a corrosione, che risulta marcatamente più alta di quella dell’acciaio non trattato. Ringraziamenti Un particolare ringraziamento all’Ing. Francesco Marini, prematuramente scomparso.
BIBLIOGRAFIA [1]
T. BELL, Surface engineering of austenitic stainless steel, Surf. Eng. 18 (2002) 415-422.
[2]
K.H. LO, C.H. SHEK, J.K.L. LAI, Recent developments in stainless steels, Mater. Sci. Eng. R 65 (2009) 39-104.
[3]
J.M. O’BRIEN, D. GOODMAN, Plasma (Ion) Nitriding, in ASM Handbook, vol. 4, ASM International, Materials Park, OH (USA), 1997, p. 420-424.
[4]
H. DONG, S-phase surface engineering of Fe-Cr-Co-Cr and Ni-Cr alloys, Int. Mater. Rev. 55 (2010) 65-98.
[5]
F. BORGIOLI, E. GALVANETTO, T. BACCI, Low temperature nitriding of AISI 300 and 200 series austenitic stainless steels, Vacuum 127 (2016) 51-60.
[6]
T. CZERWIEC, H. HE, S. WEBER, C. DONG, H. MICHEL, On the occurrence of dual diffusion layers during plasma-assisted nitriding of austenitic stainless steel, Surf. Coat. Technol. 200 (2006) 5289-5295.
[7]
T. CHRISTIANSEN, K.V. DAHL, M.A.J. SOMERS, Nitrogen diffusion and nitrogen depth profiles in expanded austenite: Experimental assessment, numerical simulation and role of stress, Mater. Sci. Tech. 24 (2008) 159-167.
[8]
J. BARANOWSKA, Importance of surface activation for nitrided layer formation on austenitic stainless steel, Surf. Eng. 26 (2010) 293-298.
[9]
C. RUSET, S. CIUCA, E. GRIGORE, The influence of the sputtering process on the constitution of the compound layers obtained by plasma nitriding, Surf. Coat. Technol. 174-175 (2003) 1201-1205.
[10]
F. BORGIOLI, A. FOSSATI, E. GALVANETTO, T. BACCI, G. PRADELLI, Glow-discharge nitriding of AISI 316L austenitic stainless steel: influence of treatment pressure, Surf. Coat. Technol. 200 (2006) 5505-5513.
[11]
F. BORGIOLI, A. FOSSATI, G. MATASSINI, E. GALVANETTO, T. BACCI, Low temperature glow-discharge nitriding of a low nickel austenitic stainless steel, Surf. Coat. Technol. 204 (2010) 3410-3417.
[12]
W. LIANG, X. XIAOLEI, X. JIUJUN, S. YAQIN, Characteristics of low pressure plasma arc source ion nitrided layer on austenitic stainless steel at low temperature, Thin Solid Films 391 (2001) 11-16.
[13]
M.K. LEI, Phase transformations in plasma source ion nitrided austenitic stainless steel at low temperature, J. Mater. Sci. 34 (1999) 5975-5982.
[14]
M.K. LEI, Y. HUANG, Z.L. ZHANG, In situ transformation of nitrogen-induced h.c.p. martensite in plasma source ion-nitrided austenitic stainless steel, J. Mater. Sci. Lett. 17 (1998) 1165-1167.
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
41
Corrosion
Low temperature glow-discharge nitriding of austenitic stainless steels F. Borgioli, E. Galvanetto, T. Bacci The nitriding conditions used for low alloy steels or tool steels cannot be employed for stainless steels, since the treatment temperatures (approx. 500 °C or higher) cause the formation of large amounts of chromium nitride, CrN. As a consequence, together with an increase of surface hardness, a marked decrease of corrosion resistance in usually observed, due to the depletion of Cr atoms from the matrix. CrN precipitation can be inhibited with the low temperature nitriding process. For austenitic stainless steels nitriding at temperatures lower than 450 °C produces modified surface layers with a double layer structure, having a thicker outer layer, in which a supersaturated solid solution of nitrogen in the expanded and distorted f.c.c. austenite lattice, known as S phase or expanded austenite, is present, and a thinner inner layer, which consists of a solid solution of interstitial atoms (nitrogen, carbon) in austenite. The S phase has a nitrogen content up to about 10 wt. %, and it shows very high hardness (up to 1500 HV) and improved corrosion resistance in chloride-ion containing solutions. Treatment temperature and time are known to influence the characteristics of the modified surface layers, in particular regarding nitride precipitation; however, also treatment pressure plays an important role, especially when the glowdischarge process is employed for nitriding. In the present research the influence of treatment parameters (temperature, pressure, time) on the microstructural, microhardness and corrosion resistance characteristics of low temperature glow-discharge nitrided AISI 304L was studied. Prismatic samples (30x17x3 mm) were cut from an annealed bar (diameter: 60 mm) and then they were ground and polished up to 6-μm diamond suspension. Before the nitriding treatment the samples were heated up 380 °C by means of a cathodic sputtering performed at 1.3 mbar with 80 vol. % N2 and 20 vol. % H2. After this step temperature and pressure were increased up to their nominal value. Nitriding treatments were carried out at temperatures chosen in the range 400 – 500 °C, at pressures in the range 2.5 – 10 mbar and for times from 1 to 8 h, using a gas mixture of 80 vol. % N2 and 20 vol. % H2. The characteristics of the modified surface layers depend on treatment conditions. The surface of the nitrided samples has an etched appearance, delineating the austenitic microstructure with the characteristic twins; moreover, shear lines are observable within the grains and reliefs are present at grain boundaries (Fig. 1). These features are due to both the sputtering and nitriding processes and local plastic deformations caused by the formation of the modified surface layers, and they are more noticeable as the treatment temperature and time are higher, or the pressure is lower. The modified surface layers have a double layer microstructure (Fig. 2), consisting of a thicker outer layer, in which the S phase is detected, and a thinner inner layer, in which a solid solution of interstitial atoms (nitrogen, carbon) in f.c.c. austenite lattice, γ(N,C), is present. In the outer layer, the presence of further phases together with S phase depends on treatment conditions (Figs. 3, 4; Table 1). Local plastic deformations cause the formation of a solid solution of nitrogen in h.c.p. martensite, ƐN’. Precipitation of chromium, CrN (c.f.c.), and iron-based, Ɛ-M2-3N (hex.), γ’-M4N (c.f.c.) (M = Fe, Cr, Ni, Mn), nitrides tends to increase as the treatment temperature and time are higher, or the pressure is lower. The thickness of the modified layers as a whole tends to increase as the treatment temperature and time increase, due to larger nitrogen diffusion, or the pressure decreases, since at lower pressures higher discharge voltage and mean free path occur, and they cause the increase of ion and fast neutral energy and thus a more efficient nitriding process (Table 1). All nitrided sample types have higher surface microhardness in comparison with the untreated steel, and the hardness values tend to increase as the modified layers are thicker and the amount of nitride precipitates is larger (Table 1). In the modified layers microhardness values are very high, and then they steeply decrease to matrix values (Fig. 5). The thickness of the hardened layers is in accordance with morphology observations. Corrosion behaviour of untreated and nitrided samples, tested in a 5 % NaCl aerated solution using the potentiodynamic method, is typical of passive materials subjected to localized corrosion when potential value is higher than a threshold (Epit) (Fig. 6). All the nitrided sample types have corrosion potential values higher than that of untreated AISI 304L, but the passive potential range and surface damage depend on the thickness of the modified surface layers and the amount of nitride precipitates, which are influenced by treatment conditions (Fig. 7). Thin modified surface layers, as those obtained when nitriding is performed at 400 °C for 5 h or at 430 °C for 1 h, do not allow a marked increase of Epit in comparison with that of the untreated steel. Large nitride amounts, as those observed when the treatment temperature is 450 °C or higher, or the pressure is 5 mbar or lower, cause a decrease of corrosion resistance. On the other hand, modified surface layers, which have an adequate thickness and a fairly small amount of nitride precipitates, as those of samples nitrided at 430 °C, 10 mbar for 5 and 8 h, allow to significantly increase the corrosion resistance in comparison with that of untreated AISI 304L.
KEYWORDS: AUSTENITC STAINLESS STEEL – NITRIDING – GLOW-DISCHARGE PROCESS – S PHASE – CORROSION RESISTANCE
42
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
in evidenza
Corso
Failure analysis X Edizione
21-22-28-29 novembre 2018 Milano . Monza . Soncino Organizzato da
In collaborazione con SRL Centro Ricerca - Prove Materiali - Tarature
Il termine inglese, “failure analysis” indica, in generale, lo studio delle cause all’origine di uno scopo non raggiunto. In ambito tecnico il termine è strettamente legato al concetto di avaria, in campo meccanico al concetto di rottura. Trovare le cause che hanno portato ad una “failure” consente di individuare le responsabilità, siano esse collocabili in fase di progetto, di fabbricazione o di esercizio e di predisporre le adeguate misure correttive; la “failure analysis costituisce dunque, se correttamente e regolarmente utilizzata, un fattore essenziale nello sviluppo tecnologico. Come ormai sua tradizione il Corso, intende fornire ai partecipanti un quadro completo dei presupposti e degli strumenti su cui si basa l’intera disciplina della Failure analysis. Verranno così affrontati e descritti i vari possibili meccanismi di danno e la loro dipendenza dalle condizioni d’esercizio che poi sfociano in difetti che propagandosi portano a rottura, le tecniche d’indagine oggi disponibili, la strumentazione d’indagine usualmente impiagata. La presentazione degli argomenti sarà affidata a docenti con comprovata competenza ed esperienza specifica sugli argomenti trattati, esperienza derivante da anni di attività in ambito industriale e accademico. Coordinatore del Corso: Carlo Fossati
IL PROGRAMMA COMPLETO E TUTTE LE INFORMAZIONI SONO DISPONIBILI SUL SITO www.aimnet.it
#corso #formazione #failure #analysis #indagine #rottura #difetti #materiali
Le manifestazioni AIM AIM meetings and events
2018 GLI ACCIAI INOSSIDABILI - 10a EDIZIONE Corso - SEGR Milano, 7-8-14-15 novembre OTTIMIZZAZIONE DEI PROCESSI TERMOCHIMICI E MECCANICI NELL’INDUSTRIA MECCANICA GdS - Centro TTM Provaglio d’Iseo c/o GEFRAN, 8 novembre LA PRODUZIONE DI GETTI PER APPLICAZIONI STRUTTURALI. ASPETTI METALLURGICI E DI PROCESSO GdS - Centro P Travagliato (BS) c/o IDRA, 9 novembre RIVESTIMENTI - 1° modulo Rivestimenti PVD e CVD Corso modulare - Centro R Roma, 14-15 novembre FAILURE ANALYSIS Corso - Centro CCP 20-21-28-29 novembre GLI UTENSILI DIAMANTATI GdS - Centro MP Vicenza, 22 novembre CLEAN TECH - 4TH EUROPEAN CONFERENCE ON CLEAN TEHNOLOGIES IN THE STEEL INDUSTRY Convegno Internazionale Bergamo, 28-29 novembre CREEP Corso - Centro ME Milano, 11-12 dicembre Modulo avanzato Milano, 6 febbraio 2019
2019 ECHT 2019 - HEAT TREATMENT & SURFACE ENGINEERING FOR AUTOMOTIVE Convegno Internazionale Bardolino, Lago di Garda. 5-6-7 giugno XIII GIORNATE NAZIONALI SULLA CORROSIONE E PROTEZIONE Convegno – SEGR. Palermo, 3-4-5 luglio
Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria AIM e-mail: info@aimnet.it oppure visitare il sito internet www.aimnet.it
44
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Attualità industriale Trattamenti superficiali ecocompatibili dell’alluminio per l’industria aeronautica a cura di: A.Carangelo, A. Acquesta, T. Monetta Le leghe di alluminio per uso aeronautico mostrano eccellenti proprietà meccaniche ma richiedono misure specifiche di protezione dalla corrosione. Un tipico processo industriale prevede l’utilizzo di soluzioni al Cr(VI) che rende il trattamento affidabile e relativamente economico. Sebbene il cromo sia efficace nel ridurre la corrosione, rappresenta un notevole rischio per la salute. Secondo direttive europee, a breve le industrie dovranno eliminare l’uso del Cr(VI) in tutte le fasi della produzione e bisognerà definire un processo che ne eviti l’utilizzo. Questo lavoro si concentra principalmente sui processi al cromo trivalente (TCP). Le soluzioni che vengono utilizzate per i TCP sono attualmente disponibili in commercio ed i campioni trattati con questi processi sono sottoposti a numerosi test, da parte di più organizzazioni, per stabilire la loro efficacia nel ridurre la corrosione delle leghe di alluminio. PAROLE CHIAVE: LEGA DI ALLUMINIO – CROMO TRIVALENTE – CROMO ESAVALENTE – PROCESSO AL CROMO TRIVALENTE
A.Carangelo, A. Acquesta, T. Monetta Dipartimento di Ingegneria Chimica, dei Materiali e della Produzione industriale, Università degli Studi di Napoli "Federico II", Italia anna.carangelo@unina.it, annalisa.acquesta@unina.it, monetta@unina.it
INTRODUZIONE La lega di alluminio 2024-T3 è ampiamente utilizzata nell'industria aeronautica grazie alle sue eccellenti proprietà meccaniche, essa, però, è soggetta a corrosione quando esposta in alcuni ambienti aggressivi [1, 2]. Per fornire resistenza alla corrosione sono ampiamente utilizzati i trattamenti superficiali [3-5] e in particolare, per proteggere la superficie dell'alluminio e promuovere l'adesione della vernice, sono tradizionalmente usate soluzioni a base di cromo esavalente [6, 7]. Tuttavia, il cromo esavalente è altamente tossico e cancerogeno [8-9], la legislazione è, e sarà, sempre più stringente riguardo al suo uso ed al suo smaltimento [10]. È nata quindi la necessità di sviluppare alternative a ridotto impatto ambientale [11-13]. Con la richiesta di un'alternativa più sicura, non c'è dubbio che sia necessario definire e testare un processo che possa essere prontamente industrializzato. Il processo dovrà essere in grado di fornire lo stesso livello di protezione dalla corrosione ottenuto dai trattamenti attualmente in uso. Un possibile ciclo industriale, che prevede l’utilizzo di cromo trivalente, è stato identificato e brevettato da Matzdorf et al. [14]. Diversi autori [15,16,18] hanno dimostrato che il rivestimento ottenuto si componeva di due strati: uno stra-
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
to esterno composto da ossido misto di zirconio-cromo ed uno stato interno di ossido di alluminio. Inoltre diversi autori hanno validato le proprietà autoriparatrici del rivestimento formato usando il processo al cromo trivalente (TCP) [15, 16]. Lo scopo di questo articolo è stato quello di valutare i risultati presenti in letteratura, relativi a processi alternativi eco-compatibili, che potessero sostituire il classico ciclo industriale che utilizza soluzioni a base di Cr(VI) per proteggere la superficie dell'alluminio. Molti autori hanno studiato gli effetti della presenza del cromo trivalente nel rivestimento di conversione confrontandoli con quelli ottenuti con il ciclo “classico” focalizzando l’attenzione sulla lega di alluminio 2024-T3. Dall’analisi della letteratura si evince che uno dei prodotti che potrebbe evitare l’uso del Cr(VI) è costituito da una soluzione contenete sali di Cr(III) e zirconio. La soluzione così formata può essere applicata per immersione o spray. FORMAZIONE E STRUTTURA DEL RIVESTIMENTO TRIVALENTE I rivestimenti ottenuti, utilizzando soluzioni basate sul cromo trivalente (TCP) e sali di zirconio, formati tramite immersione, si sviluppano attraverso vari step. La formazione
45
Industry news dello strato di conversione sembra essere associata ad un aumento del pH all'interfaccia. Si ritiene che lo stadio iniziale sia la dissoluzione dello strato di ossido naturale che ricopre l’alluminio [17]. La reazione di riduzione dell'ossigeno e la reazione di evoluzione dell'idrogeno determinano un aumento locale del pH nei siti catodici, che induce la precipitazione dell’ossido nel bagno. Quindi si presume che una certa dissoluzione del film di ossido naturale sia un precursore essenziale durante la formazione del rivestimento TCP. Inoltre Li et al. [17], ritengono che il film di Cr (III) si formi sulla maggior parte delle aree della lega di alluminio, ma non su quelle ricche di Cu. Sebbene nessuna specie Cr(VI) sia stata rilevata immediatamente dopo la formazione del rivestimento (o nella soluzione TCP), il Cr(VI) è stato a volte osservato dopo l’asciugatura in aria. Li et a. [17] hanno effettuato prove di spettroscopia Raman sui provini rivestiti al Cr(III) dopo 4 giorni di immersione in soluzione aerata di 0.5 M Na2SO4. Gli autori hanno osservato che i picchi di os-
sido di Cr(III) e di Cr(VI) non sono distribuiti uniformemente sull'intera superficie rivestita, piuttosto sembrano localizzati all'interno e intorno ai pits [17]. I primi lavori di Nickerson et al. [16] indicano che il rivestimento a seguito del TCP è essenzialmente formato da zirconio e ossigeno con un inibitore di ossido di cromo trivalente idrato. Una versione semplificata della struttura TCP proposta da Nickerson è presentata Fig. 1. La struttura dell’intero rivestimento, mostra un primo strato costituito da Al, O, F, seguito da uno strato centrale composto da ossidi di zirconio e cromo (III) e da uno strato esterno costituito da Zr, Cr(III), O, F. D’altra parte, il rivestimento costituito esclusivamente da ossido di zirconio fornisce scarsa protezione dalla corrosione; mentre, aggiungendo piccole quantità di ossido ed idrossido di cromo trivalente, la resistenza alla corrosione aumenta e si forma un rivestimento di conversione non tossico e non cancerogeno.
Fig. 1 – Struttura del rivestimento proposta da Nickerson et al. [16]./Coating structure as proposed by Nickerson et al. [16].
Altri autori hanno proposto un modello di rivestimento composto da ossido di zirconio e Cr (III) disposti in una struttura a due strati. Guo et al. [15] hanno mostrato che il rivestimento TCP è costituito principalmente da ossido di zirconio con una piccola quantità di Cr(III). Questo è mostrato schematicamente nella Fig. 2. Guo ha osservato la presenza
46
di ossido e/o ossifluoruro di alluminio all'interfaccia tra il substrato AA2024-T3 e il rivestimento TCP. Inoltre lo spessore dello strato dipende dalla durata del processo di conversione chimica, che varia da 40 a 70 nm dopo 10 minuti di immersione.
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Attualità industriale
Fig. 2 – Struttura del rivestimento proposta da Guo et al. [15]./Coating structure as proposed by Guo et al. [15].
Fig. 3 – Struttura del rivestimento proposta da Qi et al. [18]./Coating structure as proposed by Qi et al. [18].
Gli studi di Qi et al. [18] hanno, invece, evidenziato la formazione di uno strato di conversione esterno ricco di Cr(III) e zirconio e di uno strato interno ricco di alluminio (Fig. 3). Infatti, secondo Qi, il rivestimento di conversione del cromo trivalente formato sul substrato di alluminio, è costituito da due strati principali. Lo strato esterno, che costituisce la maggior parte dello spessore del rivestimento, è composto dalle specie AlF 3, Al 2O3, AlO xF, Cr (OH) 3, CrF 3, Cr 2(SO4)3, ZrO 2 e ZrF4. Lo strato interno, invece, è ricco di alluminio, con la presenza di ossido e fluoruro. Gli autori hanno concluso che lo strato di rivestimento interno fornisce la principale protezione contro la corrosione. Sebbene le varie strutture proposte dai diversi autori non sono identiche, tutti riportano uno strato interno di Al, F, O. Lo strato esterno (o due strati esterni nel caso di Nickerson) è costituito da zirconio, cromo(III), ossigeno. Sia Nickerson La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
che Qi riportano la presenza di fluoruro nello strato esterno, mentre Guo non osserva la presenza di quest’ultimo. Inoltre Qi osserva la presenza di zolfo (probabilmente contenuto nel bagno del rivestimento) su tutto lo spessore del rivestimento, ma né Nickerson né Guo la riscontrano. CARATTERISTICHE DI RIPARAZIONE DEL RIVESTIMENTO TCP Uno dei più importanti vantaggi dei rivestimenti di conversione del cromo esavalente è il fenomeno dell’ autoriparazione. Tali rivestimenti contengono un riserva di Cr(VI) solubile, che può migrare nelle aree danneggiate, ridursi a Cr (III) insolubile ed inibire la corrosione. Nei primi lavori, Nickerson et al. [16] hanno indicato che il rivestimento trivalente presenta una caratteristica di autoriparazione inferiore rispetto a quella riscontrata in un cam47
Industry news pione trattato in soluzione al cromo esavalente. Altri autori hanno riscontrato tale proprietà. Infatti, Guo [19] è stato in grado di dimostrare le proprietà autoriparatrici del rivestimento formato usando il TCP attraverso l’utilizzo di una
particolare cella elettrochimica (Fig. 4). Il design della cella prevede l’utilizzo di due lamine di AA2024-T3 separate tra loro da una guarnizione contenente una soluzione acquosa 0.5 molare di NaCl.
Fig. 4 – Schematizzazione della cella elettrochimica./Schematic electrochemical cell.
Una delle lamine di AA2024-T3 era stata trattata in una soluzione TCP mentre l'altra era stata utilizzata tal quale. Sebbene i campioni non fossero in contatto fisico, i risultati hanno mostrato la presenza della specie Cr sul campione non trattato, dimostrando che il rivestimento TCP può rilasciare il cromo che viene trasportato in una regione adiacente non rivestita. Inoltre, Guo è stato in grado di misurare la resistenza di polarizzazione (Rp) di una superficie non trattata posta accanto ad una superficie rivestita con TCP. L’autore ha verificato che il valore di Rp era circa il doppio rispetto a quello misurato su di un campione esposto alla stessa soluzione ma non in prossimità della superficie rivestita di TCP. Poiché Rp è inversamente proporzionale alla velocità di corrosione, questa evidenza sperimentale ha suggerito che il cromo rilasciato dalla superficie rivestita da TCP è stato trasportato in una regione non rivestita, riducendo la velocità di corrosione in quella regione. STANDARD TECNOLOGICI E PROCEDURE PER LA PREPARAZIONE E TEST I rivestimenti TCP sono stati, per la prima volta, testati dalle industrie militari statunitensi. In particolare, un tipico processo TCP nel campo militare, include un rivestimento
48
di conversione, un primer e una finitura finale. A seconda dei requisiti dello standard militare utilizzato, il primer può contenere o meno cromo esavalente. Nel corso degli anni un certo numero di standard militari sono stati riqualificati al fine di includere dei trattamenti che prevedevano l’uso di soluzioni prive di Cr(VI). Alcuni standard militari statunitensi sono stati ammessi in organizzazioni civili. I due standard di maggiore interesse per questi tipi di ricerche riguardano la resistenza alla corrosione delle leghe di alluminio: MIL-DTL-81706 [20] e MILDTL-5541F [21]. In particolare, la specifica MIL-DTL-81706 riguarda i rivestimenti di conversione chimica sulle leghe di alluminio. Prima che un prodotto per il rivestimento di conversione chimica possa essere utilizzato per trattare i materiali secondo la norma citata, deve essere inserito nell'elenco dei prodotti qualificati e sottoposto a test rigorosi. Questo standard richiede una serie di caratteristiche: (i) resistenza alla corrosione, (ii) adesione della vernice (nastro bagnato), (iii) nastro bagnato dopo la riparazione, (iv) peso del rivestimento (solo Classe 1A: AA2024-T3, AA7075-T6), (v) bassa resistenza elettrica (solo Classe 3: AA6061-T6), (vi) durata di conservazione. Per quanto riguarda i test di resistenza alla
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Attualità industriale corrosione per la Classe 1A, i campioni non verniciati da testare devono essere in grado di superare 336 ore di test con nebbia salina secondo ASTM-B117 [22], con la superficie inclinata di 6 gradi rispetto alla verticale senza mostrare alcuna evidenza di corrosione ad occhio nudo. Anche la norma MIL-DTL-5541F riguarda i requisiti dei rivestimenti di conversione chimica qualificati applicati sulla superficie di componenti in leghe di alluminio. Il requisito per la massima resistenza alla corrosione della Classe 1A è che 5 pannelli di AA2024-T3 non verniciati devono essere esposti a 168 ore di nebbia salina in conformità con ASTMB117 [22]. Alla fine del test devono avere non più di 5 pits per pannello e meno di 15 pits in totale per 5 pannelli. I dati ottenuti a seguito di vari test effettuati da organizzazioni militari, civili ed da organismi di ricerca, rivelano che le prestazioni dei rivestimenti TCP sono relativamente variabili, a seconda del pretrattamento, del fornitore, delle condizioni di prova e della lega ed è difficile trarre una conclusione definitiva sull'idoneità del rivestimento TCP attualmente di-
sponibile, come sostituto affidabile dei rivestimenti Cr(VI) in applicazioni tecnologiche, per la maggior parte delle leghe di alluminio. Comparando, infatti, il comportamento a corrosione di alcune di esse (2024-T3, 7075-T6, 5083-H131, 2219-T87) rivestite, di volta in volta, con TCP, Cr(VI) o Crfree (Tab.1) si può affermare quanto segue: (i) le leghe AA2024-T3, AA7075-T6, AA5083-H131, rivestite con Cr(VI) o TCP non mostrano segni di corrosione fino a 336 ore, come richiesto dalla norma ASTM B117; (ii) le leghe AA2024-T3 e AA7075-T6 rivestite con l’utilizzo di soluzioni Cr-free hanno mostrato una buona resistenza alla corrosione fino a 48 ore; mentre la lega AA5083-H131 ha resistito fino a 168 ore; (iii) la lega 2219-T87 ha mostrato la migliore resistenza alla corrosione quando rivestita con TCP. Alla luce di tali risultati, il rivestimento TCP mostra, complessivamente, una resistenza alla corrosione paragonabile a quello offerto dal Cr(VI) e nettamente migliore del Cr-free.
Tab. 1 – Risultati di test di corrosione su diverse leghe di alluminio rivestite con Cr(VI), TCP e Cr-free, espressi secondo lo standard ESTCP (Environmental Security Technology Certification Program)./ Corrosion test results of different aluminium alloys coated with Cr(VI), TCP and Cr-free, expressed according to ESTCP standard (Environmental Security Technology Certification Program).
Lega
Cr(VI)
TCP
Esposizione in ore
Cr-free
Esposizione in ore
Esposizione in ore
48
168
336
48
168
336
48
168
336
2024-T3
10.0
10.0
10.0
10.0
10.0
10.0
8.0
3.0
-
7075-T6
10.0
10.0
10.0
10.0
10.0
10.0
9.0
6.0
-
5083-H131
10.0
10.0
10.0
10.0
10.0
10.0
10.0
9.0
7.0
2219-T87
10.0
5.4
5.0
10.0
9.0
9.0
-
-
-
È noto che all’aumentare della concentrazione di rame presente nella lega, diminuisce la resistenza a corrosione di quest’ultima. Inoltre, la presenza del rame influisce anche sulle prestazioni offerte dai rivestimenti di conversione TCP e al cromo esavalente. In questo contesto, la fase di pulitura e disossidazione della superficie del materiale, che determina la composizione chimica superficiale e la sua microstruttura, potrebbe essere critica nel determinare la cinetica di deposizione del film e, in definitiva, le sue proprietà. Questo aspetto non ha ancora ricevuto la meritata attenzione in letteratura e molti studi sono in corso.
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
CONCLUSIONI Dall’analisi della letteratura si evince che i rivestimenti ottenuti utilizzando il TCP hanno mostrato, in alcune occasioni, prestazioni migliori dei rivestimenti al cromo esavalente e, quindi, questo processo potrebbe essere un ottimo candidato alla sostituzione del ciclo classico. La ricerca dovrebbe concentrarsi sulla comprensione degli effetti che i diversi parametri di processo hanno sulla qualità del rivestimento. Sulla base dei risultati attualmente disponibili, non è irrealistico immaginare di poter ottenere un film protettivo con proprietà comparabili, se non superiori a quelle attualmente fornite dalle soluzioni a base di cromo esavalente. 49
Industry news BIBLIOGRAFIA [1]
Chen G.S., Gao M., Wei R.P. Microconstituent-induced pitting corrosion in aluminium alloy 2024-T3. Corrosion. 1996; 52:8-15.
[2]
Buchheit R.G., Martinez M.A., Montes L.P. Evidence for Cu ion formation by dissolution and dealloying the Al2CuMg intermetallic compound in rotating ring-disk collection experiments. J. Electrochem. Soc. 2000; 147:119-124.
[3]
Wernick S., Pinner R., Sheasby P.G. The surface treatment and finishing of aluminum and its alloys, Teddington: Finishing, Ohio, 5th ed. ASM International;1987.
[4]
Monetta T., Acquesta A., Carangelo A., Bellucci F. Considering the effect of graphene loading in water-based epoxy coatings, J. Coat. Technol. Res. 2018; 15:923-931.
[5]
Monetta T., Acquesta A., Carangelo A. The effect of graphene on the protective properties of water-based coatings on Al2024T3. International Journal of Corrosion. 2017; 2017.
[6]
Lunder O., Walmsley J.C., Mack P., Nisancioglu K. Formation and characterization of a chromate conversion coating on AA6060 aluminum. Corros. Sci. 2005; 47:1604-1624.
[7]
Leggat R.B., Taylor S.R., Zhang W., Buchheit R.G. Corrosion performance of field-applied chromate conversion coatings. Corrosion. 2002; 58:283-291.
[8]
Zang W., Buchheit R.G. Effect of ambient aging on inhibition of oxygen reduction by chromate conversion coatings. Corrosion. 2003; 59:356-362.
[9]
EPA Federal Register, National Emission Standards for Hazardous Air Pollutants for Source Categories: Aerospace Manufacturing and Rework Facilities, Vol. 60 (170), September 1995, p 45947.
[10] Federal Register No. 71: 10099-10385, 2006, p.71. [11] Carangelo A., Curioni M., Acquesta A., Monetta T., Bellucci F. Application of EIS to in situ characterization of hydrothermal sealing of anodized aluminum alloys: Comparison between hexavalent chromium-based sealing, hot water sealing and ceriumbased sealing. J. Electrochem. Soc. 2016; 163:C619-C626. [12] Carangelo A., Curioni M., Acquesta A., Monetta T., Bellucci F. Cerium-based sealing of anodic films on AA2024T3: Effect of pore morphology on anticorrosion performance. J. Electrochem. Soc. 2016; 163:C907-C916. [13] Mitton D. B., Carangelo A., Acquesta A., Monetta T., Curioni M., Bellucci F. Selected Cr(VI) replacement options for aluminum alloys: a literature survey. Corros Rev. 2017; 35:365–381. [14] Matzdorf C, Kane M, Green J. Patent No. 6375726. USA. 2002. [15] Guo Y, Frankel G. Characterization of trivalent chromium process coating on AA2024-T3. Surf Coat Technol. 2012; 206:38953902. [16] Nickerson W.C, Lipnickas E. Characterization of a viable non-chromated conversion coating for aluminum and its alloys by electrochemical and other methods. Tri-Service Corrosion Conference. 2003. [17] Li L., Swain G.P., Howell A., Woodbury D., Swain G.M. The formation, structure, electrochemical properties and stability of trivalent chrome process (TCO) coatings on AA2024. J. Electrochem. Soc. 2011; 158:C274-C283. [18] Qi J.T., Hashimoto T., Walton J., Zhou X., Skeldon P., Thompson G. Trivalent chromium conversion coating formation on aluminium. Surf. Coat. Technol.. 2015; 280: 317-329. [19] Guo Y. A Study of Trivalent Chrome Process Coatings on Aluminum Alloy 2024-T3. 2011. PhD Thesis. The Ohio State University. [20] MIL-DTL-81706. Chemical conversion materials for coating aluminum and aluminum alloys. 2004. [21] MIL-DTL-5541F. Chemical conversion coatings on aluminum and aluminum alloys. 2006. [22] ASTM B117. Standard practice for operating salt spray (fog) apparatus. 2011.50
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Attualità industriale Environmentally-friendly aluminum surface treatments for aeronautical industry edited by: A.Carangelo, A. Acquesta, T. Monetta As part of a multi-year R&D project, aimed at developing forged components with improved performance, the development and application of calculation tools to predict the thermal and microstructural evolution during heat treatment is in progress. In this work, after description of the modeling approaches, the optimal heat treatment conditions for large forgings made of medium and high alloy steels are discussed through virtual simulation examples. With reference to forged components for applications in the power generation and oil & gas sectors, the following aspects are analyzed: cooling characteristics of different industrial quenching fluids; prediction of the microstructure and hardness after quenching, and the latter even after tempering treatment; design of the heat treatment in order to reduce the risk of quenching cracks.
KEYWORDS: FORGINGS – QUENCHING – TEMPERING – THERMAL-MICROSTRUCTURAL MODELS – PHASE TRANSFORMATIONS –- QUENCHING FLUIDS – STRESS FIELD
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
51
in evidenza
Corso
Gli acciai inossidabili X Edizione
17-18-24-25 ottobre . 7-8-14-15 novembre 2018 Milano Centro Congressi Fast Organizzato da
L’Associazione Italiana di Metallurgia propone una nuova edizione del Corso avanzato sugli acciai inossidabili, dedicato a tecnici, ricercatori, professionisti e in generale agli operatori italiani del settore. Questa iniziativa offre ai partecipanti l’opportunità di approfondire e aggiornare le proprie conoscenze ed in particolare consente alle aziende del settore di programmare un’adeguata azione di formazione e aggiornamento del proprio personale. La decima edizione del Corso si sviluppa su un unico modulo distribuito in 8 giornate. Il Corso tratta in modo esaustivo la metallurgia ed i trattamenti termici degli acciai inossidabili, le diverse famiglie e le relative proprietà, i processi produttivi, le lavorazioni ed i prodotti, la saldatura e la sinterizzazione. Ampio spazio sarò inoltre dedicato alle norme di riferimento e alle specifiche di acquisto, oltre che ai criteri di progettazione e alla scelta del materiale in funzione degli impieghi. L’ultima giornata vedrà protagonista il mercato e le applicazioni degli acciai inossidabili. Le lezioni, di carattere monografico, sono connesse tra loro in modo logicamente consequenziale, così da facilitare ai partecipanti l’apprendimento e l’approfondimento panoramico degli argomenti trattati. I docenti di estrazione industriale e in minor parte accademica sono in grado di fornire ai partecipanti, nelle lezioni e nei dibattiti che le seguono, la diretta testimonianza delle proprie esperienze professionali. Per favorire inoltre il contatto tra i partecipanti e le realtà del mercato degli inossidabili, è organizzata durante le prime due giornate del Corso (17 e 18 ottobre 2018) la presentazione di “tavoli informatori” approntati a cura di diverse aziende sponsor. Coordinatori del Corso: Mario Cusolito, Sandro Fraccia
#corso #formazione #acciai #inossidabili #inox #metallurgia #processi #prodotti
IL PROGRAMMA COMPLETO E TUTTE LE INFORMAZIONI SONO DISPONIBILI SUL SITO www.aimnet.it
Experts’ corner Pietro Pedeferri e la corrosione delle armature nel calcestruzzo a cura di: F. Bolzoni, S. Beretta, A. Brenna, M.V. Diamanti, M. Ormellese, M.P. Pedeferri Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica 'Giulio Natta' - Politecnico di Milano
Il tema della corrosione, a cui è dedicato questo numero speciale de La Metallurgia Italiana, nell’ultimo periodo, in seguito al tragico crollo del ponte Polcevera a Genova, è stato portato alla ribalta delle cronache giornalistiche, suscitando una maggiore attenzione da parte del pubblico. In passato era opinione comune che le strutture in calcestruzzo armato fossero intrinsecamente durevoli. A partire dalla fine degli anni '70, di fronte all'aumentare dei casi di degrado, ai rischi per la sicurezza e agli alti costi di manutenzione, nonché a cedimenti di strutture importanti quali la Congress Hall di Berlino (1980) e diversi ponti negli USA e in Europa, la prospettiva è cambiata. E’ risultato evidente come la corrosione delle armature possa provocare conseguenze come distacchi di calcestruzzo, la cui caduta può causare incidenti e lesioni anche di grave entità, o addirittura, in casi limite, provocare il crollo della struttura. Ormai è noto, almeno dagli anni ’80, che per prevenire la corrosione delle armature è necessario realizzare un calcestruzzo di qualità adeguata in relazione all’aggressività ambientale: corretto mix design (progetto della miscela), e in particolare un basso rapporto acqua/cemento, una corretta messa in opera e stagionatura e un adeguato spessore di copriferro (CEB, Bulletin No. 182) [1]. Di fondamen-
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
tale importanza sono i controlli, da effettuare sia durante l’esecuzione dell’opera sia successivamente, durante l’esercizio, mediante ispezioni e monitoraggi, che consentono una corretta programmazione e realizzazione della manutenzione. Lo studio e la razionalizzazione dei fenomeni di corrosione delle armature hanno portato negli anni '90, a livello internazionale, alla comparsa di normative (EN 206) e all’aggiornamento dei codici di progetto, in Europa l’Eurocodice 2 [2-3]; queste innovazioni sono state recepite in Italia dalle “Norme tecniche per le costruzioni” (2008 e 2018) [4]. La comparsa delle normative e l'aggiornamento dei codici di progetto con capitoli dedicati alla durabilità hanno migliorato notevolmente l'approccio alla progettazione, ma questo non basta. E nemmeno è sufficiente l'uso di modelli come il FIB Model Code [5], che richiedono specifiche competenze per comprendere le leggi chimico-fisiche che stanno alla base delle equazioni presenti nel modello e conoscere i parametri da utilizzare nel modello stesso. Solo affiancando le competenze relative al comportamento dei materiali e alla loro durabilità alle indispensabili competenze in ambito strutturale è possibile fare un salto di qualità nella durabilità delle costruzioni: deve quindi cambiare profondamente la cultura del pro-
getto. Per questi motivi riteniamo utile ripubblicare, a quasi 10 anni dalla sua scomparsa, un articolo del prof. Pietro Pedeferri dal titolo: “Calcestruzzo armato e precompresso. Cedimenti strutturali e corrosione delle armature” apparso nel 2003 sulla rivista l’Edilizia (ringraziamo l’editore per il permesso). Ricordiamo anche ai lettori che il 30 novembre prossimo si svolgerà presso il Politecnico di Milano una Giornata di studio “Pietro Pedeferri” - Dalla ricerca all’industria: le nuove frontiere dell’ingegneria della corrosione. A partire dagli anni ’80 Pietro Pedeferri fondò al Politecnico di Milano un gruppo di ricerca specializzato nello studio della corrosione delle armature. Inizialmente collaborò con lui il prof. Tommaso Pastore, poi a partire dall'inizio degli anni '90 si aggiunsero altri allievi, tra i quali vogliamo ricordare il prof. Luca Bertolini, scomparso lo scorso anno. Il gruppo di ricerca, anche attraverso progetti europei COST, collaborò con gruppi di ricerca all’avanguardia, sia italiani che europei, guidati da: i prof. Cigna e Proverbio (Università di Roma), i prof. Collepardi, Moriconi e Fratesi (Università di Ancona), i prof. Schiessl, Isecke, Nurnberger (Germania), il prof. Page (Gran Bretagna), il prof. Polder (Olanda) la prof. Andrade (Spagna), il prof. Elsener (Svizzera). Oltre ai risultati raggiunti nel campo della ricerca, per esempio l'invenzione
53
Scenari della tecnica della prevenzione catodica, presente nella normativa internazionale [6], oltre a decine di articoli specialistici, Pietro Pedeferri scrisse e coordinò libri
di taglio scientifico e divulgativo [7-10]; insieme ai suoi collaboratori organizzò corsi di formazione permanente, rivolti ai tecnici che lavorano nel mondo delle
costruzioni. Pubblicò una serie di articoli (oltre 20) sulla rivista l’Edilizia [11-12] e sull’Industria italiana del cemento.
Fabio Bolzoni, Silvia Beretta, Andrea Brenna, Maria Vittoria Diamanti, Marco Ormellese, MariaPia Pedeferri
RIFERIMENTI [1]
CEB, Durable Concrete Structures, n. 148 (1st ed.) 1982; n. 182 (2nd ed.) 1989;
[2]
EN 1992-1-1, Eurocode 2: Design of Concrete Structures – Part 1: General Rules and Rules for Buildings.
[3]
EN 206-1, Concrete – Part 1. Specification, Performance, Production and Conformity.
[4]
D.M. 17 gennaio 2018 “Norme tecniche per le costruzioni” (ed. precedente 2008)
[5]
Model Code for service life design, International Federation for Structural Concrete, FIB, Bulletin n. 34; 2006
[6]
EN ISO 12696 – Cathodic protection of steel in concrete.
[7]
P. Pedeferri, L. Bertolini, La corrosione nel calcestruzzo e negli ambienti naturali, Mc-Graw Hill, Milano, 1996.
[8]
P. Pedeferri, L. Bertolini, La durabilità del calcestruzzo armato, McGraw-Hill, Milano, 2000.
[9]
L. Bertolini, B. Elsener, E. Redaelli, P. Pedeferri, R. Polder, Corrosion of Steel in Concrete: Prevention, Diagnosis, Repair, WileyVCH, Weinheim, 2° ed. 2013 (1° ed. 2004).
[10]
P. Pedeferri, La corrosione delle armature nel calcestruzzo, AICAP, 2007.
[11]
P.Pedeferri, La prevenzione della corrosione nelle costruzioni in cemento armato, L'edilizia , 77-90, marzo 1992.
[12]
P.Pedeferri, La prevenzione del degrado. Solo chi sa, sa fare, Edilizia 15, n.3, pp. 28-32, 2001.
54
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Experts’ corner Cedimenti strutturali e corrosione delle armature in opere in calcestruzzo armato e precompresso a cura di: Pietro Pedeferri Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica 'Giulio Natta' - Politecnico di Milano Riassunto La corrosione delle armature è stata spesso causa o concausa di cedimenti strutturali in opere in calcestruzzo armato (c.a.) e precompresso (c.a.p.). Nella quasi totalità dei casi il fenomeno è stato reso possibile dalla cattiva qualità del materiale cementizio, da copriferri inadeguati o addirittura localmente mancanti, da dettagli costruttivi fantasiosi, da mancanza di manutenzione. Situazioni di questo tipo si riscontrano soprattutto negli edifici costruiti nel periodo che va dal 1950 al 1975 quando nessuno si poneva il problema della durabilità delle opere che si andavano costruendo, ma purtroppo non mancano gravi situazioni anche su opere terminate dopo il 1975. Nell’articolo si illustra la fenomenologia della corrosione e si analizzano le cause: la carbonatazione del calcestruzzo e la penetrazione dei cloruri. In seguito si analizzano alcuni esempi di cedimenti e crolli di diversi tipi di strutture: l’edificio di Via Pagano a Palermo (1999), il ponte di Santo Stefano presso Taormina (1999), la Congress Hall di Berlino (1980), la piscina di Zurigo (1985), l’incidente alla Fiera di Milano (1997).
1. Premessa La corrosione delle armature è stata spesso causa o concausa di cedimenti strutturali in opere in calcestruzzo armato (c.a.) e precompresso (c.a.p.). Nella quasi totalità dei casi il fenomeno è stato reso possibile dalla cattiva qualità del materiale cementizio, da copriferri inadeguati o addirittura localmente mancanti, da dettagli costruttivi fantasiosi, da mancanza di manutenzione e quindi, in definitiva, da errori o da negligenze commessi in sede di progetto, di costruzione o di gestione della struttura oppure nel confezionamento, messa in opera o maturazione del calcestruzzo. Situazione di questo tipo si riscontrano soprattutto negli edifici costruiti nel periodo
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
che va dal 1950 al 1975 quando nessuno si poneva il problema della durabilità delle opere che si andavano costruendo e non era raro l'impiego di calcestruzzi inadeguati “non solo in assoluto ma soprattutto in relazione alla consuetudine - allora assai diffusa – di identificare nelle ridotte dimensioni delle sezioni dei pilastri una ragione di economia per il costruttore ed una prova di abilità del progettista.” [1] Purtroppo non mancano gravi situazioni corrosionistiche anche su opere terminate dopo il 1975. Ad esempio nel porto industriale di Manfredonia, collaudato nel 1979, la corrosione sta interessando pesantemente non solo l’armatura più esterna, ma ha già portato a rottu-
ra diversi cavi di precompressione (Foto 1); oppure nelle palazzine a Molfetta, consegnate ai proprietari nella seconda metà degli anni novanta (sic!), gli attacchi di corrosione sono ormai di entità tale da richiederne lo sgombero (in parte già avvenuto).
55
Scenari
Fig. 1 – Porto di Manfredonia: corrosione generalizzata dell'armatura lenta e rottura da corrosione dei tiranti di una trave precompressa./Manfredonia harbour: general corrosion of reinforcing bar and failure due to corrosion of high strength bars of prestressed beam Va detto che anche le costruzioni in c.a e c.a.p. perfettamente progettate e costruite non sono eterne come in genere si riteneva fino agli anni ’70: la loro vita è limitata proprio dalla corrosione delle armature. Peraltro se l’ambiente non contiene cloruri non ci sono difficoltà a progettare strutture con vite di servizio fino 75-100 anni e forse anche più, almeno in climi temperati. Nel caso invece di presenza di questi ioni, come succede alle strutture marine o ai ponti su cui si utilizzano sali antigelo, si è in grado di evitare attacchi corrosivi nelle parti più sollecitate solo per trenta o al più quarant’anni. Per assicurare vite di servizio più lunghe è necessario ricorrere a speciali protezioni aggiuntive (armature resistenti a corrosione, prevenzione catodica, rivestimenti, inibitori e altro ancora). Per inquadrare il problema dei cedimenti
56
strutturali provocati dalla corrosione è necessario premettere alcune considerazioni generali sui fenomeni corrosivi nel calcestruzzo in relazione ai quali, negli ultimi vent’anni, è stato raggiunto un buon livello di comprensione. (Per approfondimenti vedi [2].) 2. La corrosione nelle opere in c.a. e in c.a.p. In soluzioni alcaline con pH>11,5 e in assenza di cloruri, il ferro si ricopre di un sottilissimo film protettivo di ossido di qualche nanometro di spessore. In queste condizioni, che sono dette di passività, il processo corrosivo non avviene. Nei confronti delle armature il calcestruzzo si comporta come una soluzione alcalina perché il liquido presente nei suoi pori capillari è costituito da una soluzione di NaOH e di KOH con pH in generale compreso tra 13 e 13,5 (i valori più elevati
quando il cemento utilizzato è quello Portland, quelli più bassi con i cementi di miscela) e quindi le protegge perfettamente. Purtroppo, nel tempo, il calcestruzzo può perdere questa sua caratteristica e il film protettivo viene distrutto. Questo succede anzitutto a causa della carbonatazione, cioè della reazione di neutralizzazione della soluzione presente nei pori capillari del calcestruzzo ad opera dell’anidride carbonica atmosferica; e, in secondo luogo, in seguito alla penetrazione dei cloruri, in genere provenienti da sali disgelanti o dall’acqua di mare. La conseguente distruzione del film protettivo, che nel primo caso avviene su tutta la superficie delle armature raggiunta dalla carbonatazione mentre nel secondo si produce solo localmente, è dunque la precondizione perché la corrosione possa avvenire. Perché poi la corrosione si produca effettivamente è
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Experts’ corner necessaria anche la presenza di acqua e di ossigeno. Nella vita delle strutture in calcestruzzo armato si possono quindi individuare due fasi nettamente distinte: una prima di innesco della corrosione, in cui si producono i fenomeni che portano alla distruzione del film protettivo; e una seconda di propagazione dell’attacco che inizia nel momento in cui il film viene distrutto e termina una volta che la corrosione ha portato a danni non più accettabili. Il tempo di innesco dipende soprattutto dalle caratteristiche del calcestruzzo e dallo spessore di copriferro; il periodo di propagazione dalla velocità di corrosione a sua volta legata all’umidità del calcestruzzo e alla presenza o
meno di cloruri. La carbonatazione. La penetrazione della carbonatazione segue una legge parabolica del tipo: s= k √t dove: s è lo spessore dello strato carbonatato, t il tempo. k è un coefficiente che dipende dalle caratteristiche del calcestruzzo e da fattori ambientali. k diminuisce riducendo il rapporto acqua/cemento e garantendo una compattazione e una stagionatura ad umido sufficientemente lunga; e, per quanto riguarda l’esposizione, assume i valori più alti per umidità relative (U.R.) comprese fra 50% e 70%, mentre tende a zero per U.R. sia molto basse (<40%) che molto alte (> 90%).
Una volta che il copriferro si è carbonatato, se nel calcestruzzo non sono presenti cloruri, la corrosione si produce in maniera generalizzata e con velocità non trascurabili solo per U.R. superiori all'80% (figura 2). Per U.R. comprese tra 80% e 90% la velocità rimane comunque modesta cioè solo di qualche μm/anno; invece quando l'U.R. supera il 90-95%, passa a qualche decina di μm/ anno. Questo significa che all'interno di edifici o nelle zone schermate dalla pioggia il calcestruzzo carbonatato non dà luogo a problemi di corrosione delle armature (salvo ovviamente in condizioni particolari per cui si umidifica: ad esempio per perdite d'acqua o per risalite capillari).
Fig. 2 – Tipico attacco da carbonatazione./Typical carbonation induced attack Siccome nelle condizioni in cui la velocità di carbonatazione del calcestruzzo è elevata, la velocità di corrosione delle armature è trascurabile e viceversa, se l'umidità nel calcestruzzo rimane costante (alta o bassa che sia) la corrosio-
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
ne non si produce. Sono quindi critiche le condizioni di esposizione caratterizzate da condizioni di umidità variabili per cui risulta favorita, seppur in tempi diversi, sia la carbonatazione nel calcestruzzo, sia l'attacco corrosivo dell'acciaio.
Se nel calcestruzzo carbonatato sono presenti cloruri, anche in tenori molto inferiori a quelli necessari per innescare la corrosione nel calcestruzzo alcalino, le cose cambiano. In questo caso la corrosione procede anche per U.R. comprese
57
Scenari tra 50 e l'80% e quindi anche all'interno di edifici. La corrosione da cloruri. I cloruri possono provocare la corrosione delle armature quando la loro concentrazione supera una certa soglia. In pratica il rischio di corrosione è basso per un contenuto di cloruri alla superficie delle armature inferiore a 0,4% (in massa rispetto al contenuto di cemento) ed elevato per tenori superiori a 1%. Nella maggioranza dei casi i cloruri provengo-
no dall’esterno. Il periodo di innesco della corrosione - dato dal tempo necessario perché i cloruri diffondano attraverso il copriferro e si accumulino alla superficie delle armature fino a raggiungere il valore critico - è regolato dalla seconda legge di Fick e dipende quindi dalla concentrazione superficiale dei cloruri, dalle caratteristiche del calcestruzzo e dallo spessore di copriferro. L'attacco dei cloruri è localizzato e penetrante (figura 3) e, potendo raggiungere velocità anche di parecchie centi-
naia di μm/anno, è in grado di portare in pochi anni a riduzioni inaccettabili della sezione delle armature. Per contrastarlo si deve quindi agire soprattutto sul tempo di innesco, utilizzando calcestruzzi di bassa porosità e permeabilità ai cloruri (caratterizzati quindi da basso rapporto acqua/cemento e dall’impiego di cementi d’alto forno o comunque di miscela) e spessori di copriferro sufficientemente elevati.
Fig. 3 – Tipico attacco da cloruri./Typical chloride induced attack Va osservato che nel caso di strutture completamente immerse in acqua, anche se la corrosione si innesca, il ridotto apporto di ossigeno alle armature mantiene la velocità di corrosione su valori molto bassi. Per questo motivo problemi di corrosione non si manifestano nelle parti immerse delle opere marine in c.a.. L'infragilimento da idrogeno. I metalli sotto specifiche condizioni metallurgiche, ambientali e di carico posso58
no essere soggetti a fenomeni corrosivi che provocano cricche nel materiale, noti con il nome di corrosione sotto sforzo (Stress Corrosion Cracking, SCC). In alcune condizioni le cricche penetrano nel materiale perché la loro punta si ossida a causa della reazione anodica del processo di corrosione; in altri casi perché l'idrogeno atomico prodotto dalla reazione catodica ne infragilisce la punta (da qui il nome di infragilimento da idrogeno) e ne provoca la rottura. Que-
sta seconda variante è quella che porta al cosiddetto cedimento da idrogeno (o HIC: Hydrogen Induced Cracking) degli acciai ferritici ad alta resistenza. I fenomeni di SCC si producono solo in presenza di specifici accoppiamenti materiale metallico/ambiente. Purtroppo nel caso degli acciai ad alta resistenza uno degli ambienti che può provocare l'infragilimento è l'acqua, quella piovana in particolare, se rimane a lungo a contatto con l'acciaio all'interno di zone La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Experts’ corner costrette, spazi chiusi, guaine non iniettate o malamente iniettate per cui il suo pH, il tenore di ossigeno disciolto e quindi il potenziale del metallo si abbassano consentendo la formazione di idrogeno atomico, la specie chimica al centro del meccanismo di formazione e di crescita delle cricche. Queste variazioni delle caratteristiche dell'acqua sono in genere provocate da processi di corrosione (ad esempio causati da aerazione differenziale, accoppiamento galvanico, presenza di film di magnetite, e altro ancora) di entità modesta e di per sé innocui, ma
sufficienti, in ambienti chiusi o in regioni costrette, a creare nelle zone anodiche - che si acidificano - condizioni di possibile formazione di idrogeno atomico. Se poi l'acqua contiene cloruri o è di per sé acida, le cose peggiorano ulteriormente. L'idrogeno atomico che provoca l'infragilimento non si sviluppa sulle armature se queste sono ricoperte da calcestruzzo alcalino e senza cloruri. Si può verificare invece in presenza di difetti o di lacune nel calcestruzzo o laddove la carbonatazione o i cloruri hanno distrutto le condizioni di passività. Una volta che l'idroge-
no atomico si è prodotto alla superficie dell'acciaio, questo penetra al suo interno e si porta nelle zone di massima sollecitazione di trazione, che sono quelle immediatamente anteriori ai difetti presenti alla superficie del materiale. Se la quantità di idrogeno e le sollecitazioni di trazione sono sufficientemente elevate, e il materiale è suscettibile all'infragilimento da idrogeno, in queste zone si formano cricche che a loro volta avanzano con questo stesso meccanismo finchè non si perviene alla rottura di schianto del materiale (figura 4).
Fig. 4 – Tipica rottura di tiranti per infragilimento da idrogeno./Typical failure due to hydrogen embrittlement
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
59
Scenari La velocità di avanzamento delle cricche può variare da valori trascurabili a qualche millimetro all'anno in dipendenza dalle caratteristiche dell'acciaio, dell'ambiente e dallo stato di sollecitazione presente all'apice della cricca. La situazione peggiore si ha per i materiali ad alto snervamento e bassa tenacità per i quali possono bastare cricche da corrosione di dimensione ridottissima per innescare la rottura di schianto. Un po' come succede con il vetro quando lo si incide con una punta di diamante. Nel settore delle costruzioni il problema dell'infragilimento da idrogeno riguarda solo gli acciai con snervamento superiore ai 900 MPa. Non interessa quindi le armature delle usuali strutture in c.a. La suscettibilità delle armature per c.a.p. dipende notevolmente dalla struttura del materiale al termine del
trattamento termo-meccanico utilizzato per conferire loro resistenza meccanica. In pratica la produzione dei tiranti può avvenire: per trafilatura a freddo seguita da distensione o per tempra seguita da rinvenimento. Le armature temprate e rinvenute sono molto suscettibili (e per questo sono state praticamente tolte dalla produzione), quelle incrudite a freddo (di gran lunga le più utilizzate) lo sono poco. In una posizione intermedia si colloca la suscettibilità delle barre ad grosso diametro con struttura finale perlitica che si ottengono per lavorazione a caldo seguita da deformazione a freddo e distensione. In ogni caso la suscettibilità degli acciai all'infragilimento cresce con la loro resistenza meccanica. In prove condotte secondo le norme FIP, i tempi di rottura di un acciaio deformato plasticamente a freddo si riducono di
100 volte quando la sua resistenza viene portata da 1700 a 2000 MPa [3]. Il numero dei cedimenti di strutture in c.a.p. dovuti all'infragilimento di idrogeno, rapportato con il numero delle applicazioni degli acciai ad alta resistenza rimane molto basso e col passare degli anni lo diviene sempre più perché i materiali più suscettibili non sono più in produzione. Ciononostante ancora negli anni '90 si sono avuti diversi collassi strutturali di questo tipo soprattutto in Germania dove l'impiego degli acciai temprati e rinvenuti è stato in passato più diffuso. Uno di questi collassi è riportato nella foto 5. Ovviamente gli acciai ad alta resistenza sono soggetti anche alle usuali corrosioni per carbonatazione e da cloruri.
Fig. 5 – Cedimento di una trave di ponte per SCC dei tiranti in Germania. (1995)/ Failure of a bridge deck due to SCC of high strength bars
60
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Experts’ corner Le conseguenze strutturali della corrosione. La corrosione delle armature porta ad una progressiva riduzione dei margini di sicurezza su cui si fonda la progettazione strutturale. Infatti, anzitutto causa la riduzione della sezione resistente delle armature con conseguente diminuzione della loro capacità di sopportare i carichi statici o dinamici. In particolare la corrosione delle staffe, che sono le prime ad essere raggiunte dall’azione depassivante della carbonatazione o dei cloruri, può comprometterne la capacità di confinamento e, quindi, instabilizzare le armature principali. In secondo luogo riduce l’aderenza tra le armature e il calcestruzzo o addirittura l’annulla, almeno nei casi di armature lisce, se l’attacco raggiunge nell'acciaio penetrazioni anche solo dell'ordine di 50-100 μm in calcestruzzi compatti e circa 200 μm in calcestruzzi molto porosi. (Questi ultimi per essendo meno protettivi e meno resistenti, riescono infatti ad accomodare all'interno dei loro pori una quantità maggiore di ruggine prima che il calcestruzzo inizi a microfessurarsi attorno alle armature e quindi a perdere l'aderenza all'acciaio). D’altra parte la corrosione genera ossidi che occupano un volume molto maggiore rispetto a quello del ferro da cui provengono e che possono quindi causare fessure nel copriferro fino anche a provocarne l’espulsione o la delaminazione con riduzione della sezione resistente del calcestruzzo. Infine, in particolari condizioni, può produrre idrogeno atomico che può innescare su acciai suscettibili di infragilimento da idrogeno rotture fragili. Consideriamo ora gli aspetti corrosionistici di alcuni cedimenti strutturali al fine di mettere in evidenza il preoccupante livello di vulnerabilità che le costruzioni in c.a. o in c.a.p. possono andare acquisendo nel tempo quando sono soggette a corrosione. La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
3. Il crollo dell'edificio di Via Pagano a Palermo (1999) Alle 19.40 dell’11 marzo 1999, in via Pagano a Palermo, crollò un edificio di sei piani edificato nel 1969. A partire dalle 19.00 risultarono evidenti i segnali di cedimento (frantumazione dei vetri, fessurazioni delle pareti, rumori, rottura dei telai delle porte) per cui tutti gli inquilini si misero in salvo, tranne due pensionati abitanti nei piani alti del palazzo, che non riuscirono ad abbattere la porta blindata rimasta incastrata e un vigile del fuoco che cercava di salvarli. Ad una prima ispezione visiva delle macerie si notò una notevole ossidazione delle superficie delle armature per cui la commissione tecnica nominata dalla Procura venne allargata anche a esperti di corrosione e di materiali. Le indagini condotte [4] consentirono di appurare che il crollo era stato innescato dal cedimento di uno o più pilastri dello scantinato che risultarono: sottodimensionati, costruiti con calcestruzzo di qualità scadente, fortemente indeboliti dalla corrosione, e alcuni soggetti anche a tardive opere di manutenzione straordinaria proprio per cercare di porre rimedio ai guasti provocati della corrosione peraltro evidenti da un decennio. (La richiesta di lavori di manutenzione straordinaria su parti dello scantinato in condizioni precarie, era all'ordine del giorno dell'Assemblea condominiale già dal 1991; ma la litigiosità dell'assemblea, sfociata in una serie di ricorsi legali, ne impedì l'esecuzione in tempo utile). Indagini geognostiche esclusero invece qualsiasi correlazione tra il crollo dell'edificio e il substrato di fondazione. Analisi del calcestruzzo dei pilastri del seminterrato. La bassa massa volumica, l'elevato assorbimento d'acqua, il basso tenore di silice solubile, indicarono che per il
confezionamento del calcestruzzo erano stati utilizzati ridotti contenuti di cemento e elevati rapporti acqua-cemento e quindi si era ottenuto un materiale molto poroso, poco resistente e poco durevole. Le prove meccaniche effettuate su campioni prelevati dalle macerie confermarono la bassa resistenza del conglomerato che risultò dell’ordine dei 12-16 MPa (resistenza cubica). Nel calcestruzzo si rilevò anche la presenza di cloruri che si ritrovarono distribuiti in tutta la massa cementizia. Questo significa che erano stati immessi nell'impasto al momento della costruzione (probabilmente attraverso la sabbia prelevata in vicinanza del mare e non lavata). Il loro tenore era relativamente modesto e in genere inferiore alla soglia critica per innescare i fenomeni corrosivi nel calcestruzzo alcalino, ma sufficienti per far avvenire la corrosione anche per U.R. comprese nell'intervallo 60-80% e quindi anche nello scantinato del palazzo. Il copriferro risultò di spessore adeguato e mediamente pari a 3 cm. Analisi relative alla corrosione. Il copriferro di molti pilastri dello scantinato risultò fessurato e in ampie zone, soprattutto nella parte bassa, delaminato. La carbonatazione era penetrata all'interno del calcestruzzo fino a una profondità variabile ma comunque di almeno 5 cm, e quindi ben oltre le staffe e le armature principali che si trovano rispettivamente a 2,5 e 3 cm dalla superficie. Sulle armature si riscontrò soprattutto nella loro parte più bassa: .un diffuso attacco corrosivo di tipo uniforme, tipico della corrosione da carbonatazione con riduzione (nella zona dei pilastri vicina al pavimento) di almeno un millimetro del diametro delle barre di armatura principali (lisce), di diametro iniziale pari a 20 mm (figura 6);
61
Scenari
Fig. 6 â&#x20AC;&#x201C; Crollo di via Pagano a Palermo: pilastro dello scantinato vicino a quelli che hanno originato il crollo./ Collapse in Palermo, via Pagano: in the basement, near to those pillars that caused the failure
un assottigliamento delle staffe, di diametro iniziale ø = 6 mm, in alcune zone .anche superiore a 2 mm, con conse-
62
guente riduzione della sezione trasversale superiore al 60%; la presenza di strati di prodotti di corrosione di diversi
millimetri (figura 7) nelle zone piĂš corrose delle armature;
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Experts’ corner
Fig. 7 – Crollo di via Pagano a Palermo: croste di prodotti di corrosione sulle armature principali dei pilastri./ Collapse in Palermo, via Pagano: crusts of corrosion products on the main rebars of the pillars
. la riduzione tra il 25 e il 30% della sezione resistente di alcuni pilastri a causa del distacco del copriferro. Al di fuori delle zone che avevano innescato il collasso, si osservarono anche sporadici attacchi localizzati tipo pitting prodotti dalla presenza di cloruri - il cui tenore in quei punti evidentemente superava il tenore critico - con riduzioni della sezione di alcune armature in qualche caso fino al 50%. Alcune valutazioni. Lo sviluppo temporale dei fenomeni corrosivi nei pilastri dello scantinato venne ricostruito nel modo seguente [5]. Dato l'andamento parabolico della penetraLa Metallurgia Italiana - n. 10 2018
zione della carbonatazione nel tempo nell’ipotesi realistica che il parametro k fosse rimasto invariato dal momento della costruzione (1969) a quello del crollo (1999), e assumendo una penetrazione della carbonatazione all'interno del calcestruzzo dopo 30 anni pari a 50 mm, il coefficiente k risultò pari a 50 mm/√30anni = 9,13 mm/anno1/2, (valore compatibile per un calcestruzzo poroso operante in ambiente con umidità relativa 50-80%). Noto il valore di k, fu semplice ricavare che la carbonatazione aveva raggiunto le armature principali dopo circa 11 anni, e che pertanto la corrosione sulle armature era iniziata presumibilmente
nel 1980. Siccome la riduzione della sezione delle stesse misurata dopo il crollo superava 1 mm, la velocità di corrosione risultava di almeno 25 μm/anno. (Questi valori notevolmente più elevati di quelli che si riscontrano in genere all'interno degli edifici, erano dovuti all'azione dei cloruri presenti nel calcestruzzo carbonatato, di cui si è sopra detto). Si potè quindi dedurre che la totale perdita di aderenza armatura-calcestruzzo e la formazione nel calcestruzzo attorno alle armature delle prime microcricche si erano verificate dopo circa 8 anni, cioè nel 1988, una volta che lo spessore dell'acciaio corroso aveva raggiunto i 200 μm. In modo analogo nel caso delle staffe, 63
Scenari che si trovavano ad una profondità di 25 mm, si ottenne un tempo di innesco di circa 8 anni; quindi si potè desumere che la loro corrosione era iniziata addirittura nel 1976. 4. Il crollo del ponte di Ponte di
Santo Stefano presso Taormina (1999). Nella notte del 23 marzo 1999, meno di due settimane dopo il collasso della palazzina di via Pagano a Palermo, vicino a Taormina dove la statale 114 corre a circa 50 metri dal mare, crollò il ponte di
Santo Stefano: senza alcun avviso premonitore, senza che il ponte fosse stato in alcun modo sovraccaricato, anzi senza che alcun automezzo venisse coinvolto e quindi, fortunatamente, senza vittime (figura 8).
Fig. 8 – Ponte di S. Stefano dopo il crollo./ S. Stefano bridge after the collapse
Anche per questo la stampa nazionale non ne diede praticamente notizia. Il ponte era una struttura postcompressa ottenuta unendo conci prefabbricati in opera. La postcompressione era stata applicata nell'ultima fase della costruzione introducendo tiranti d’acciaio ad elevata resistenza in condotti di 40 mm di diametro ottenuti per perforazione dei conci. L’opera, progettata da Morandi, era stata costruita nel 1954. Era costituita da quattro campate con luci di 18,50 m, per una lunghezza complessiva di 78 m e una larghezza di 12,50 m. Per la sua particolare ubicazione il lato est del ponte era spesso soggetto a forti venti spiranti dal mare verso terra. 64
Dalle prime investigazioni fu subito evidente che almeno parte dei condotti in cui erano alloggiati i trefoli in acciaio costituiti da fili di 5 mm di diametro di acciaio basso legato ad alta resistenza trafilato a freddo (con sollecitazioni di snervamento allo 0,2% e rottura rispettivamente pari a 1640 e 1800 MPa) non erano stati correttamente iniettati con boiacca cementizia, anzi in alcuni tratti il riempimento mancava del tutto. Ciononostante i trefoli presentavano modesti segni di corrosione tranne in alcune zone dal lato mare, dove il copriferro raggiungeva i valori minimi, risultava contaminato da cloruri e presentava fessurazioni longitudinali; e in corrispon-
denza ai giunti tra i conci precompressi. In queste zone l’attacco aveva ridotto drasticamente la sezione resistente del trefolo fino anche, in alcuni punti, a distruggerlo completamente. Il calcestruzzo del copriferro nella zona dei tiranti risultò di buona qualità con una resistenza a compressione dell’ordine dei 50 MPa, ma di spessore disuniforme tanto da non superare in alcuni punti il centimetro. La disuniformità era causata dal fatto che gli alloggiamenti dei tiranti per la postcompressione non risultavano correttamente allineati. Le analisi di laboratorio consentirono di escludere la presenza di cricche nelle armature e quindi anche l’ipotesi di corLa Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Experts’ corner rosione sotto sforzo per infragilimento da idrogeno che, per gli acciai ad alta resistenza, va presa a priori in considerazione. Dalle analisi precedenti risultò che le cause che avevano portato al crollo erano da ricercare in errori soprattutto nella fase di costruzione dell'opera, intollerabili in una struttura progettata per operare in vicinanza del mare, quali: condotti non allineati con conseguenti copriferri localmente ridotti; parziale e, in alcuni tratti, totale assenza di riempimento; non corretta sigillatura dei giunti; inesistenza di manutenzione e di controlli. Per ulteriori precisazioni si rinvia alle pubblicazioni [6-7] dalle quali ho ripreso le notizie qui riportate. Alcune considerazioni. Il crollo del ponte di S. Stefano dà l'occasione per alcune considerazioni. La prima riguarda la maggior vulnerabilità dei ponti precompressi a conci, a causa delle difficoltà che si incontrano nel mantenere nel tempo i tiranti in condizioni di completa protezione nella zona dei giunti tra i vari conci e in corrispondenza agli ancoraggi. Addirittura soprattutto in seguito al crollo di Ynysy-Gwas del 1985 e ad altre situazioni critiche prodottesi su altri ponti sempre
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
a causa alla corrosione da cloruri dei tiranti nella zona dei giunti, il Ministero dei trasporti del Regno Unito nel 1992 proibì nuove costruzioni di questo tipo. Il bando venne abrogato nel 1996 per le strutture a conci gettate in luogo ma è ancora operante per quelle a conci prefabbricati. Queste restrizioni non furono e non sono invece ritenute necessarie nelle altre nazioni. (Peraltro da qualche anno la costruzione dei ponti di questo tipo è stata vietata dalla Japan Highway Pubblic Corporation l'ente che controlla la maggioranza delle autostrade giapponesi [8]). I progettisti e i costruttori riuniti in un Congresso FIB sulla durabilità dei tiranti delle strutture post-compresse tenuto recentemente in Belgio [9], hanno sostenuto, sulla base dell'esperienza degli ultimi 50 anni, l'affidabilità di queste strutture se correttamente progettate e costruite. Il problema è che non sempre, in passato soprattutto, le cose sono state fatte correttamente. E purtroppo non esistono ancora tecniche di monitoraggio o di ispezione in grado di valutare le condizioni dei tiranti dentro le guaine dei ponti in esercizio. La seconda considerazione riguarda la banalità degli errori che spesso hanno causato catastrofici cedimenti strutturali indotti dalla corrosione che si sono
verificati anche su altre tipologie di ponti. Ad esempio il crollo inaspettato del ponte sul fiume Schelde in Belgio, avvenuto con conseguenze drammatiche nel 1992, si è verificato a causa di un dettaglio costruttivo messo in opera pensando di rendere più elegante la struttura. A questo fine nei pilastri venne effettuato un intaglio che ha favorito il ristagno dei cloruri provenienti dalla soletta, ridotto localmente lo spessore di copriferro e quindi provocato la corrosione delle sottostanti armature ad alta resistenza e, alla fine, il crollo. È questo uno dei tipici cedimenti da corrosione che Peter Schiessl chiama SIC (Stupidity Induced Cracking o, se preferite, Stupidity Induced Corrosion). Anche da noi gli 'abbellitori' di strutture non mancano. C'è ad esempio chi, forse per superare Ictino e Callicrate, si ispira nel progettare i pilastri dei ponti alle colonne scanalate del Partenone. Altri prediligono intagli trasversali. Probabilmente costoro non sanno che laddove una scanalatura o un intaglio riduce il copriferro ad esempio del 25%, il tempo di innesco della corrosione da carbonatazione praticamente si dimezza; anzi, se la struttura è inquinata da cloruri, a dimezzarsi è addirittura la vita di servizio (figura 9).
65
Scenari
Fig. 9 – Ponte con pilastri scanalati./ Bridge with grooved pillars La terza considerazione riguarda le protezioni aggiuntive. Nel caso di uso massiccio di sali antigelo o nelle zone più critiche di strutture marine spesso non basta evitare gli errori per avere affidabilità sufficiente per l'intera vita di servizio prevista. A volte può risultare necessario, almeno per le parti più sollecitate, ricorrere a misure di protezione aggiuntiva le quali spesso richiedono controlli e manutenzione più ancora della struttura stessa. Alcune richiedono anche di essere attivate. Ricordo a questo proposito che alla fine degli anni '80 - ’inizio anni ‘90, su più di 120.000 m2 di nuovi viadotti e ponti autostradali, soprattutto alpini, a conci prefabbricati postcompressi, ufficialmente al fine di "rendere durevoli manufatti costosi, ridurre al minimo l'onere della 66
manutenzione ed eliminare gli elevati costi sociali derivanti dai cantieri di lavoro che ostacolano il traffico sulle carreggiate in esercizio", ma in effetti anche per ridurre la vulnerabilità dei tiranti nella zona di giunzione tra i conci, venne installata la cosiddetta prevenzione catodica, con costi tutt'altro che indifferenti. (Si tratta di una tecnica nata in Italia in quella occasione e poi diffusasi in tutto il mondo per prevenire la corrosione su strutture che si prevede possano essere inquinate da cloruri.) L'aumento di affidabilità conseguito grazie a questa innovazione venne a lungo reclamizzato. Ma nella grande maggioranza dei casi gli impianti predisposti per la prevenzione, anche se pronti per entrare in funzione (allora), non vennero attivati: forse per evitare complicazioni di gestione o forse
per una cultura della prevenzione tipica del mondo dell'ingegneria civile che stenta a vedere nelle costruzioni opere che negli ambienti aggressivi modificano in peggio le loro proprietà nel tempo e quindi richiedono per contrastare questo degrado e contenerlo entro limiti accettabili, competenza e cura nelle fasi di progetto e di costruzione ma anche monitoraggi e controlli in quella successiva di gestione dell'opera. Lascio infine che il lettore tragga l'ultima considerazione, che si ricollega peraltro anche al punto precedente, una volta che avrà letto i due punti seguenti ripresi dalle conclusioni di due interventi al convegno FIP sulla durabilità dei tiranti per strutture precompresse già citato, tenuti dai delegati statunitense e canadesi. Il primo: «Le normative sono state La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Experts’ corner migliorate, ora rimane la sfida di avere maestranze qualificate e di istruirle.» [10] Il secondo: «I progettisti dovrebbero ricevere un'istruzione più approfondita sulla durabilità sia durante i corsi universitari sia successivamente nell'ambito dei corsi di istruzione permanente.» [11]
5.I crolli di Berlino (1980) e di Zurigo (1985) Negli anni '80 due cedimenti strutturali causati dalla SCC impressionarono particolarmente l'opinione pubblica e il mondo degli esperti. Il primo si verificò il 21 maggio 1980,
quando, improvvisamente e senza alcun preavviso, crollò una parte della copertura della Congress Hall di Berlino (figure 10 e 11).
Fig. 10 – Congress Hall di Berlino dopo il crollo/ Berlin Congress Hall after the collapse
Fig. 11 – La Congress Hall di Berlino dopo la ricostruzione/ Berlin Congress Hall after the reconstruction
L'edificio, dono degli Stati Uniti alla città divisa dal muro, era stato costruito in calcestruzzo armato e precompresso, a partire dal 1957 e inaugurato nel 1961 dal presidente Kennedy in occasione della sua famosa visita a Berlino in piena guerra fredda. Il crollo fortunatamente avvenne di notte con l'edificio chiuso La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
al pubblico, per questo causò 'solo' una vittima. L'inchiesta appurò che il cedimento ebbe luogo in seguito alla rottura per infragilimento da idrogeno di alcuni tiranti di precompressione temprati e rinvenuti (cioè del tipo più suscettibile) nella zona di giunzione tra i pannelli precompressi che costituivano il tetto e
l'anello ovale in calcestruzzo armato a cui erano ancorati. Il processo che portò alla rottura venne ricostruito nel modo seguente [12]. Il calcestruzzo di ricoprimento delle guaine, criccato e permeabile, subì nel giro di pochi anni un rapido processo di carbonatazione. La conseguente corrosio67
Scenari ne delle guaine, in lamierino di acciaio, consentì all'acqua di penetrare al loro interno dove, malamente protetti in parte da incompleto strato di calcestruzzo e in parte da un rivestimento bituminoso, erano alloggiati i tiranti. La conseguenza fu l'innesco in questi ultimi di cricche da SCC e la loro propagazione fino a pro-
vocare il collasso della struttura. Il fatto impressionò molto non solo per l'importanza dell'edificio, che era stato spesso additato a modello delle nuove costruzioni in precompresso, ma soprattutto perchè fino a poche ore prima del crollo nell'edificio si era tenuto un affollato concerto.
Il secondo incidente avvenne a Zurigo nel 1985 e provocò il crollo del controsoffitto di duecento tonnellate in calcestruzzo armato di una piscina costruita 13 anni prima, causando 12 vittime e molti feriti (figura 12).
Fig. 12 – Crollo del controsoffitto della piscina di Zurigo./ Collapse of counter-roof of a swimming pool in Zurich Il controsoffitto era appeso alla copertura con tiranti di acciaio inossidabile AISI 304 fortemente incruditi per aumentarne la resistenza. La causa del crollo fu identificata nella SCC dei tiranti che si
era prodotta là dove questi fuoriuscivano dal calcestruzzo (se fossero stati immersi non sarebbe successo niente). L'analisi dei tiranti in prossimità della zona fratturata, mostrò la presenza di
molte cricche ramificate all'interno delle quali fu facile evidenziare la presenza di cloruri (figura 13).
Fig. 13 – Crollo del controsoffitto della piscina di Zurigo. Cricche ramificate presenti nei tiranti./ Collapse of counter-roof of a swimming pool in Zurich. Branched cracks in the rods 68
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Experts’ corner Per capire le cause di questo collasso è necessario ricordare che la piscina era riservata per tre giorni alla settimana a portatori di handicap. In questi tre giorni la temperatura dell'acqua era mantenuta a 37 °C. Per il resto della settimana veniva invece riportata a 27°C. Nei giorni in cui l'acqua era a 37 °C si produceva una forte evaporazione del cloro utilizzato per disinfettare l'acqua, che poi condensava al disopra del controsoffitto alla superficie dei tiranti per accumularsi alla loro base, nella zona di contatto con il calcestruzzo, e dare luogo a cloruri e ipoclorito. Ed è lì che le cricche si sono prodotte. 6. L'incidente alla Fiera di Milano (1997) Il giorno di capodanno del 1997 nei
nuovi padiglioni espositivi alla Fiera di Milano in fase di ultimazione al Portello, si produsse, senza alcun segno premonitore, la rottura di schianto di una barra di acciaio ad alta resistenza di sostegno delle solette dell'ultimo piano. Risultato: una piastra di 400 m2 si inclinò paurosamente. Nei giorni successivi una seconda barra e poi una terza seguirono le sorti della prima. A questo punto il fenomeno apparve in tutta la sua gravità e ne parlò anche la stampa cittadina. L'Ente Fiera corse energicamente ai ripari e fece mettere in sicurezza tutte le solette a rischio con un imponente operazione di puntellatura. Poi fece sostituire tutte le barre, ben 800, e questa volta, per non sbagliare, impose una doppia protezione: uno speciale rivestimento per le barre e il riempimento con cera delle guaine.
Le barre di 35 mm di diametro (in acciaio basso legato a struttura perlitica lavorato a caldo con carico di snervamento e rottura pari circa 1100 MPa e 1300 MPa, tenacità a frattura non superiore a 30 MPa√m e soggette a sforzi indicativamente pari a 800 MPa), erano rimaste per quasi due anni senza protezione all'interno di guaine non iniettate che si erano subito riempite di acqua piovana. Alla loro superficie si era sviluppata una modesta e di per sé innocua corrosione generalizzata. Si erano però anche innescate diverse microcricche da infragilimento da idrogeno (figura 14), la maggiore delle quali ben presto, anche per bassa tenacità del materiale, degenerò in una cricca instabile con conseguente rottura di schianto.
Fig. 14 – Cedimento delle barre presso la Fiera di Milano: microcricche da infragilimento da idrogeno presenti sulle barre nelle vicinanze della frattura/ Failure of high strength bars, Milano Fair exhibition: hydrogen embrittlement microcracks near to the fracture I danni diretti, legati ai costi per la puntellatura delle solette e per la sostituzione delle barre, ammontarono a parecchi miliardi di vecchie lire, e quelli indiretti, dovuti al ritardo di più di sei mesi nell'utilizzazione dell'immobile e alle penali per le fiere saltate, a parecchie decine di miliardi. Senza contare il danno di immagine. Fortunatamente il cedimento
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
non causò vittime. Il caso merita qualche ulteriore considerazione per chiarire meglio il ruolo svolto dalla corrosione nel portare a rottura il materiale. Lo facciamo prendendo a prestito dalla meccanica della frattura una grandezza, il fattore di intensità degli sforzi (KI), definita nel modo seguente: KI=ßσ√(Π.a) dove ß è un fattore di
forma, σ è la sollecitazione nominale applicata, a è la lunghezza del difetto acuto, nel nostro caso la profondità della cricca. È noto dalla teoria della SCC che la cricca da corrosione sotto sforzo non avanza finchè il fattore di intensità degli sforzi KI risulta inferiore ad un valore critico detto KI,SCC il cui valore dipende sia dal 69
Scenari metallo che dall'ambiente [13]. È pure noto dalla meccanica della frattura che esiste un valore del fattore di intensità degli sforzi KI detto KIC al di sopra del quale si può avere propagazione instabile della cricca. KIC misura pertanto la tenacità a frattura del materiale. Se dunque (a causa di sollecitazioni elevate e presenza di difetti acuti) KI> KI,SCC, la cricca avanza penetrando all'interno
del materiale. Man mano che la sua lunghezza cresce, aumenta KI; finché una volta che la sua penetrazione ha raggiunto il valore per cui per cui KI supera KIC, si produce la rottura di schianto della barra. Sostituendo nella relazione: KI=ßσ√(Π.a) KIC a KI, si ottiene la lunghezza della cricca che innesca la frattura del materiale (acr) che quindi vale: acr=KIC2/(ß2σ2Π).
Pertanto, ritornando alle barre del Portello (ricordando che per le barre KIC=30 MPa√m, ß= 0,6 data la particolare geometria del pezzo e della cricca, la sollecitazione nominale applicata pari a 800 MPa) si ricava che le cricche da SCC diventano critiche quando penetrano nelle barre per solo 1,2 mm. Esattamente quello che successe (figura 15)
Fig. 15 – Cedimento di barre presso la Fiera di Milano: sezione di frattura di una barra. La piccola zona dove i fenomeni corrosivi hanno creato l'innesco è visibile in alto/ Failure of high strength bars, Milano Fair exhibition. The little zone where corrosion created the crack initiation is visible at the top Alcune domande con appendice. Per fortuna, come si è detto, il cedimento non causò vittime. Ma ci si chiese, non senza qualche brivido: «Cosa sarebbe potuto succedere se la rottura delle barre non si fosse prodotta un mese e mezzo prima dell'inaugurazione dei nuovi padiglioni quando la struttura era ancora vuota e non caricata, ma dopo l'inaugurazione con i saloni affollati da migliaia di visitatori e il tetto dell'edificio, adibito a parcheggio, pieno di macchine?» E poi: «È mai possibile che un cedimento
70
di quel tipo sia successo in un'opera così importante progettata da ingegneri famosi, con il collaudo in corso d'opera da parte luminari di prestigio, seguita da direttori di lavoro qualificati, costruita da società di livello internazionale? È mai possibile che una società tedesca, leader mondiale nel suo settore, abbia potuto commercializzare e la normativa italiana accettare barre che una cricca da corrosione di dimensione millimetrica può portare al collasso quando la sollecitazione applicata è ancora lontana dallo
snervamento?» È possibile, è possibile. O meglio, sette anni fa è stato possibile. Tanto è vero che è successo. C'è ancora una parte della storia che merita di essere raccontata e, visto che l'incidente non è terminato in tragedia, ci sia consentito di farlo scherzarci sopra. Dunque eravamo rimasti al punto in cui tutte le ottocento barre a rischio erano state sostituite con altre nuove, protette e con le relative guaine accuratamente sigillate. E così per quanto riguarda i padiglioni non ci furono più
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Experts’ corner problemi. Ma per un ponte esterno le cose andarono diversamente. Infatti l'anno seguente, verso la metà di giugno, una delle barre di sostegno del sovrappasso a tre livelli, che unisce due padiglioni della Fiera attraversando viale Teodorico, si ruppe di schianto come le precedenti. La rottura questa volta non fece notizia se non per le fastidiose conseguenze sul traffico che dovette essere interrotto per qualche giorno; ma attivò i
responsabili del Portello, forse già un po' tesi, che fecero subito montare da una parte e dall'altra del sovrappasso due potenti puntelli fatti di travi di acciaio al carbonio («Basta con materiali che possono dare infragilimento da idrogeno!» devono aver detto) ben ancorati nel bel mezzo del marciapiede sottostante da gettate di calcestruzzo non certo tali da non farsi vedere. Lo scopo di sostenere il sovrappasso in caso di bisogno e quindi
di renderlo durevole e sicuro era finalmente raggiunto! Certo la scelta estetica del progettista che, aveva previsto tre ponti sospesi e non invece puntellati, veniva penalizzata. Ma era ora che qualcuno facesse prevalere le esigenze della sicurezza e della durabilità sulle pretese dell'estetica! Chi transita in via Teodorico può vedere ancora questi puntelli con le travi colorate di giallo (figura 16).
Fig. 16 – Uno dei due sostegni (in giallo) dei sovrappassi tra due padiglioni alla Fiera di Milano./ One of the two support (in yellow) between two pavillons of the Milano Fair exhibition Sembra quasi che si sia voluto dar loro la massima visibilità. Giusto! Alla fine sono loro a dare al sovrappasso la certezza di rimanere tale, e a provare che le vie alla durabilità, come quelle del Signore, La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
sono infinite. E poi sono il simbolo di come troppe volte si affrontano i problemi della sicurezza e della durabilità. E cioè: dapprima li si ignora, o quasi. Poi, quando si sono manifestati, si cerca
in qualche modo di metterci una pezza. Anzi un puntello. Sempre che non sia già successo l'irreparabile.
71
Scenari Abstract Corrosion of rebars often provoked, or contributed to, structural failures of reinforced or prestressed concrete structures. In almost all the cases the phenomenon was made possible by concrete bad quality, insufficient or even locally absent concrete cover, imaginative structural details, lack of maintenance. These situations were found mostly in the constructions built in the period 19501975, when nobody considered the issue of the durability of constructions; unfortunately, some serious situations affect structures realized even after 1975. The paper initially presents the rebars corrosion and its causes, concrete carbonation and chloride penetration. In the second part, some failures and collapses are analysed: Via Pagano building in Palermo (1999), Santo Stefano bridge near Taormina (1999), Berlin Congress Hall (1980), a swimming pool in Zurich (1985), Milano fair exhibition (1997).
BIBLIOGRAFIA [1]
F. Palmisano, A. Vitone, C. Vitone, V. Vitone, La prevenzione del rischio di crollo attraverso la disciplina dei criteri di valutazione dell'affidabilità di una struttura, Atti del convegno 'Crolli e affidabilità delle strutture', Napoli, 85, Maggio 2003.
[2]
P. Pedeferri, L. Bertolini, La durabilità del calcestruzzo armato, McGraw-Hill, Milano, 2000
[3]
U. Nürberger, Corrosion induced failures in prestressed concrete structures and preventive measures', Otto Graf Journal, 9, 1998
[4]
C. Dell'Amore, P. La Greca, C. Modena , A. Russo, Relazione di consulenza tecnica alla Procura della Republica, presso il Tribunale di Palermo, 2000
[5]
P. Pedeferri, Relazione di Consulenza tecnica alla Procura della Repubblica, presso il Tribunale di Palermo, 2000
[6]
E. Proverbio, G. Ricciardi, 'Failure of a 40 years old post tensioned bridge near seaside', Proc. Eurocorr 2000, London , Sept., 2000
[7]
E. Proverbio, G. Laganà, V.Venturi, Il collasso di ponte S. Stefano, L'Edilizia, 3, 32-37, 2001
[8]
H. Mutsuyoshi, Present Status of the durability of post-tensioned tendons in the United States . TR-CEB-FIP, Atti del convegno del convegno FIP, 'Durability of post-tensioning tendon', Gent, 75, november 2001
[9]
A.A,V.V, Durability of post-tensioning tendons., Atti del convegno FIP 'Durability of post-tensioning tendon', Gent, november 2001
[10]
C.L. Freyrmuth, Status of the durability of post-tensioing tendons in the United States . TR-CEB-FIP, Atti del convegno del convegno FIP 'Durability of post-tensioning tendon' Gent, 43, november 2001
[11]
J. Harder, N,R., Webster, Durability of post-tensioning tendons, Atti del convegno FIP 'Durability of post-tensioning tendons', Gent, 51, november 2001
[12]
B. Isecke, Failure Analysis of the Collapse of the Berlin Congress Hall' in 'Corrosion of reinforcement in Concrete Construction. Ed . A.P. Crane, Hellis Horwood Limited, 79, 1983.
[13]
72
P. Pedeferri, Corrosione e protezione dei materiali metallici, Ed. CLUP, 1978
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
Aim news Calendario degli eventi internazionali International events calendar
QUOTE SOCIALI AIM 2018 (ANNO SOLARE) Benemeriti (quota minima) 1.750,00 €
November 18-21, Jeju, South Korea 6th International Conference On Advanced Steels (ICAS 2018) November 28-29, Bergamo, Italy 4th European Conference on Clean Tech Technologies in the Steel Indutry (CLEAN TECH 4)
Sostenitori (quota minima)
750,00 €
Ordinari (solo persona)
70,00 €
Seniores
25,00 €
Juniores
15,00 €
2019
La quota dà diritto di ricevere
March 10-14, San Antonio, USA TMS 2019 148th Annual Meeting & Exhibition
la rivista dell’Associazione, La
June 5-7, Bardolino, Garda Lake, Italy ECHT 2019 - heat treatment & surface engineering for automotive
Metallurgia Italiana (distribuita in formato digitale). Ai Soci viene riservato un prezzo speciale per la
June 13-15, Guangzhou, China 2019 China International Metal & Metallurgy Exhibition
partecipazione alle manifestazioni
June 25-29, Düsseldorf, Germany METEC & 4th ESTAD 2019
pubblicazioni edite da AIM.
August, Xi’an, China 10th Pacific Rim International Congress on Advanced Materials an Processing (PRICM10) September 1-5, Stockholm, Sweden EUROMAT 2019 June 13-15, Guangzhou, China 2019 China International Metal & Metallurgy Exhibition June 25-29, Düsseldorf, Germany METEC & 4th ESTAD 2019
AIM e per l’acquisto delle
Per ulteriori informazioni, iscrizioni, rinnovi:
AIM, Via F. Turati 8 20121 Milano Tel.: 02 76021132/76397770, fax: 02 76020551 e-mail: amm.aim@aimnet.it www.aimnet.it
September 1-5, Stockholm, Sweden EUROMAT 2019 September 9-13, Cracow, Poland EUROCORR 2018 September 30 - October 2, Graz, Austria 10th European Stainless Steel Congress, Science and Market 6th European Conference and Expo Duplex
Politecnico di Milano - Giornata di Studio “Pietro Pedeferri” – 30 novembre 2018 In occasione del 10° anniversario dalla scomparsa del prof. Pietro Pedeferri, PoliLaPP (Laboratorio di corrosione dei materiali del Politecnico di Milano) organizza per il 30 novembre 2018 la Prima Giornata di Studio “Pietro Pedeferri” - Dalla ricerca all’industria: le nuove frontiere dell’ingegneria della corrosione. L’incontro, che si terrà al Politecnico di Milano in Aula De Donato, sarà articolato con presentazioni scientifiche di esperti accademici e dell’industria con l’intento di coniugare in modo sinergico la scienza e l’ingegneria della corrosione. La partecipazione è gratuita previa registrazione sul sito PoliLaPP al seguente link http://polilapp.chem.polimi.it/ news/?lang=it La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
73
Le Rubriche - Centri di studio Attività dei Comitati Tecnici CT LAVORAZIONI PLASTICHE DEI METALLI (LPM) (riunione del 25 maggio 2018) Iniziative future - Per mancanza di tempo e disponibilità, è stata spostata alla primavera 2019 presso una azienda del bresciano la GdS dal titolo: “Nel mondo del fare – l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo sono in continua evoluzione”, incentrata sulle tematiche di colata, stampaggio, estrusione, additive manufacturing. - Per la primavera/estate 2019 è prevista la manifestazione “Diatriba tra acciaieria e laminatoio sui difetti per prodotti lunghi e tubi senza saldatura”, sotto forma di GdS con durata forse di due giornate in due diverse acciaierie. Il presidente Capoferri ne discuterà con Mapelli, neo-presidente del CT Acciaieria per cercare collaborazioni. - Diverse altre GdS sono in agenda, e si attende il momento propizio di mercato e la disponibilità delle parti per organizzarle. I temi più probabili sono: “L’acciaio e i derivati”, incentrata sulla produzione di reti, aghi ecc.; “Il processo di produzione di acciaio dalla fusione alla laminazione”; “I processi di deformazione in campo aerospaziale”, “I trafilati in acciaio al carbonio e le relative applicazioni”, “Le normative degli acciai”, per estendere la cultura sul tema vista la scarsa conoscenza del senso che hanno le prove richieste dalla norme. CT METALLURGIA DELLE POLVERI E TECNOLOGIE ADDITIVE (M) (riunione del 6 giugno 2018) Consuntivo di attività svolte -La “Scuola di Metallurgia delle Polveri” (19-20 aprile 2018 a Imola e 10-11 maggio a Maene di Martellago) ha riscosso un buon successo. I questionari di soddisfazione, compilati dai partecipanti, hanno mostrato apprezzamento per organizzazione ed argomenti trattati. Un particolare ringraziamento alle aziende ospitanti Sacmi e Pometon per la loro disponibilità. Manifestazioni in corso di organizzazione - La GdS “Utensili diamantati” è stata fissata per il 22 novembre 2018 a Vicenza. La stesura del programma è quasi completa, manca solo la conferma di alcuni relatori. Iniziative future -Il vice-presidente Rampin segnala che il CT Trattamenti Termici e Metallografia ha proposto una collaborazione per organizzare una GdS “Trattamenti termici e finiture per additive manufacturing”. Alcuni membri del CT dubitano che i tempi siano maturi per dedicare una intera giornata a questo argomento: forse si potrebbero inserire delle presentazioni all’interno di una giornata su trattamenti termici con tema più ampio. -Sempre a proposito delle tecnologie additive, si discute sulla opportunità di organizzare una breve convegno e una GdS su “Materiali per additive: produzione e caratterizzazione delle polveri”. Stato dell’arte e notizie
rali. Aspetti metallurgici e di processo” è confermata per il 9 novembre e si svolgerà a Travagliato (BS) presso la Idra. Il coordinatore Valente ha avuto assicurazioni sulla presenza di tutti i relatori e la visita allo stabilimento dell’azienda ospitante.
CT TRATTAMENTI TERMICI E METALLOGRAFIA (TTM) (riunione del 20 settembre 2018)
Iniziative future
-Il 37° Convegno Nazionale AIM di Bologna (12-13-14 settembre 2018) ha visto un’ottima partecipazione di pubblico, di relatori con memorie qualificate e di aziende sponsor, come conferma il segretario generale Bassani: ottima la partecipazione alla sessione inaugurale, alle premiazioni e all’evento sociale. Il presidente Petta ringrazia il CT “Sviluppo Trattamenti Termici”, alla cui riunione ha partecipato, per l’interesse manifestato ad eventuali sinergie e collaborazioni con il CT TTM ed il suo programma di formazione. Durante la discussione è emersa l’esigenza di aumentare il tempo per intrecciare relazioni con gli altri partecipanti e con gli espositori: per quanto possibile, si potrebbe posizionare la presentazione delle memorie all’interno dell’area espositiva. Questa formula viene ritenuta adatta oltre che opportuna per il Convegno Nazionale Trattamenti Termici e il CT ha già concordato di procedere in tal senso per le future edizioni, a partire da quella del 2020; mentre risulta di più difficile realizzazione per il Convegno Nazionale AIM poiché è solitamente ospitato dalle Università, anche per dare visibilità ai dipartimenti in cui si insegna la metallurgia. Inoltre il Convegno Nazionale AIM è caratterizzato per la sua natura multidisciplinare da un elevato numero di memorie.
-A proposito della GdS su Raddrizzatura/Deformazione, il coordinatore Gramegna presenta una bozza del programma che viene discusso dal CT. Il titolo sarà “Deformazione dei pressocolati: cause e rimedi” e si terrà a Torino nel marzo/aprile 2019. -Master Progettazione Stampi: l’argomento non viene discusso ma resta all’ordine del giorno. Stato dell’arte e notizie -Un nuovo membro esperto in acciai per stampi viene accolto nel CT. -Il “Capitolato Acciai” è disponibile in italiano in rev. 8 e in inglese in revisione 5: la versione inglese va aggiornata. Si discute se fare un unico documento bilingue o due documenti separati, e se è il caso di pubblicare una versione cartacea CT MATERIALI PER L’ENERGIA (ME) (riunione del 13 settembre 2018)
-La GdS “Problematiche dei materiali nei cicli combinati tradizionali e innovativi” si è svolta a Milano il 28 giugno 2018. Pinciroli, coordinatore della giornata, riferisce che vi sono stati 40 partecipanti, con 17 relatori. La discussione è stata vivace e di elevato livello tecnico/ scientifico. Il coinvolgimento di progettisti ed utilizzatori ha fatto sì che la giornata avesse un taglio rivolto principalmente ai componenti (turbina e generatore), limitando così lo spazio dedicato alle problematiche relative ai materiali. Ad esempio, la fatica termica è stata trattata nell’ambito della tematica della progettazione; gli esercenti si sono mostrati interessati in generale ai sistemi per il monitoraggio del danno, volti ad ottenere indicazioni di tipo predittivo. L’esercizio discontinuo degli impianti a ciclo combinato è stato trattato in quasi tutte le presentazioni ma, per motivi di riservatezza, non sono state approfondite le modalità di intervento. L’esame dei questionari compilati dai partecipanti al termine della giornata evidenzia richieste per approfondimenti in sessioni più ampie, dedicate ciascuna ai differenti aspetti citati. Il Comitato decide, trascorso un tempo congruo, di ripensare ed aggiornare l’iniziativa per riproporla inserendo trattazioni più di dettaglio e possibilmente anche qualche “case study”. Manifestazioni in corso di organizzazione -Il Corso sul Creep dovrà necessariamente svolgersi entro il 2018 per rispettare il calendario fornito a Fondimpresa, sulla base del quale le aziende possono ottenere finanziamenti per la partecipazione alle iniziative di formazione AIM. La parte “base” del corso si svolgerà nelle date 11 e 12 dicembre a Milano, mentre la parte “avanzata” sarà posticipata a gennaio. Gli interventi saranno quelli dei corsi precedenti, salvo un relatore non più disponibile. Iniziative future
CT PRESSOCOLATA (P) (riunione del 17 luglio 2018)
- Ripamonti riferisce che la GdS “Leghe di Nickel e Superleghe” non è ancora stata pianificata, anche ser alcuni relatori sono già stati contattati. La data prevista è nella seconda metà del 2019.
-Le due GdS sulla fatica termica, dal titolo “Aumento della produttività degli stampi attraverso un controllo specifico della fatica termica” si sono svolte il 9 e 10 maggio al Kilometro Rosso di Stezzano (BG). Il coordinatore Fulvio Piana si ritiene soddisfatto del risultato raggiunto, anche se stigmatizza l’assenza delle fonderie, e commenta i dati che emergono dai questionari di soddisfazione. La valutazione dei partecipanti è stata in generale rivolta verso l’”ottimo”, con una ampia fascia di “buono” e qualche “sufficiente”. Manifestazioni in corso di organizzazione -La GdS ”La produzione di getti per applicazioni struttu-
74
Manifestazioni in corso di organizzazione
Consuntivo di attività svolte
-Due nuovi membri partecipano per la prima volta alla riunione del CT.
Consuntivo di attività svolte
Consuntivo di attività svolte
Stato dell’arte e notizie
- Gotti riferisce circa i lavori del GdL Creep Italiano, che prosegue le attività di caratterizzazione del tubo saldato in P92 e del forgiato. La prossima riunione dell’ECCC si terrà nel mese di ottobre, in questa occasione potrebbero nascere altri spunti. Viene comunque confermata una buona collaborazione tra i partecipanti, in particolare quelli italiani, che sono in numero sufficiente a portare avanti al meglio le attività. Per il 37° Convegno Nazionale AIM, nella mattinata del 14 settembre, è stata organizzata una sessione dedicata al Creep e ai lavori svolti nell’ambito del GdL Italiano e in quello Europeo
-La GdS “Trattamenti termici degli acciai per stampi a caldo e a freddo per il settore automotive” si terrà a Ivrea nella sede di Confindustria Canavese l’11 ottobre 2018. La locandina è stata distribuita, e si cercherà di raccogliere iscritti anche sul territorio del Canavese. -La GdS “Ottimizzazione dei trattamenti termochimici e dei processi meccanici nell’industria meccanica” si terrà l’8 novembre 2018 a Provaglio d’Iseo (BS) presso la Gefran. Morgano, coordinatore della giornata, presenta la scaletta degli interventi ormai definiti, che comprendono anche una visita allo stabilimento dell’azienda ospitante. -Il convegno ECHT 2019 “Heat Treatment & Surface Engineering for automotive”, si svolgerà a Bardolino del Garda (VR) dal 5 al 7 giugno 2019. Morgano, che sarà Chairman del convegno, e il presidente Petta, raccomandano di pubblicizzare l’evento e coinvolgere il maggior numero possibile di partecipanti italiani in quanto nel corso del 2019 ci saranno diverse manifestazioni internazionali su argomenti simili. Iniziative future
-In assenza del coordinatore Pellizzari, il presidente Petta fa il punto della situazione sulla GdS “Trattamento termico di materiali e componenti prodotti per manifattura additiva”, co-organizzata con il CT “Metallurgia delle polveri”. La manifestazione si terrà presso la Beamit di Fornovo Val di Taro nel marzo 2019: c’è un programma preliminare e sono già stati ipotizzati i relatori. -Il coordinatore De Sario conferma la disponibilità e l’interesse della proprietà Vimifasteners di Reggiolo (RE) a portare avanti l’organizzazione di una GdS su “Bulloneria e trattamenti termici”, impostata sulla bulloneria speciale, settore che, al momento, è di particolare interesse. De Sario preparerà una bozza del programma, che comprende anche una visita all’azienda. -Per ottobre 2019 si prevede di organizzare una GdS su “Utilizzo acciai nei sistemi frenanti”. Massa, coordinatore della giornata, farà le opportune verifiche e proporrà una scaletta di interventi. Stato dell’arte e notizie
-Tre nuovi candidati al CT partecipano alla riunione e presentano la loro attività. Il comitato li accoglie all’unanimità. CT AIM / ASSOFOND – FONDERIA (F) (riunione del 27 settembre 2018)
Manifestazioni in corso di organizzazione -La riunione è stata interamente dedicata al XXXIV Congresso di Fonderia che si svolgerà nei giorni 15 e 16 novembre 2018 a S. Eufemia – Brescia presso il Museo Mille Miglia. Il presidente Caironi sottopone ai presenti la versione preliminare del programma delle sessioni tecniche del Convegno; vengono poi approfonditi i dettagli del programma, vengono nominati i presidenti di sessione e stabilite le tempistiche.
La Metallurgia Italiana - n. 10 2018
save the date www.aimnet.it/echt2019.htm
Heat Treatment & Surface Engineering for Automotive 5-7 June 2019
Organised by
Prospective authors wishing to present papers are invited to submit a tentative title and an abstract of about 300 words (in English) to the Organising Secretariat (aim@aimnet.it) by December 6, 2018. The abstract should provide sufficient information for a fair assessment and include the title of the paper, the author’s names and contact details (address, telephone number and e-mail address). The name of the presenting author should be underlined. There are two ways to submit papers: • fill in the form on the conference web site at http://www.aimnet.it/echt2019.htm • send the requested information by e-mail to: aim@aimnet.it A poster session will be included if the number of accepted paper exceeds the space available for oral sessions. The Conference language will be English.
Verenging voor Warmtebehandelingstechniek
EXHIBITION & SPONSORSHIP
call for papers
In cooperation with
The Conference will feature a table-top exhibition that will represent many areas of industry with latest equipment, facilities and instruments, products and services in the field of heat treatment and surface engineering. Companies will be able to reinforce their participation and enhance their corporate identification by taking advantage of benefits offered to them as Contributing Sponsors of the Conference. Companies interested in taking part in the tabletop exhibition or sponsoring the Conference may contact the Organising Secretariat.
DIGITALIZATION In tempi di rapida evoluzione del mercato, si desidera ottimizzare gli impianti per rimanere sempre davanti. Noi ascoltiamo. Impariamo. Offriamo: i nostri specialisti di automazione e digitalizzazione, vi aiuteranno a implementare la conoscenza dei vostri
impianti
incrementandone
lâ&#x20AC;&#x2DC;efficienza,
riducendone i costi operativi e aumentandone la produttivitĂ . Qualunque sia la vostra visione, noi la realizzeremo per voi.
Leading partner in the world of metals
www.sms-group.com