5 minute read
RICERCA
RICERCA Stanchezza cronica
Fatigue, la stanchezza comune a Covid-19 e cancro
Dallo studio sugli strascichi del Covid-19 potrebbero derivare conoscenze utili per i pazienti oncologici che soffrono di stanchezza cronica, a dimostrazione del fatto che la ricerca non ha confini
a cura di ELENA RIBOLDI Alcune persone che si sono ammalate di Covid-19 non si ristabiliscono pienamente e, a distanza di mesi dall’infezione, sono ancora debilitate, anche se formalmente guarite. Questa condizione, che viene chiamata long Covid o sindrome post-Covid, è caratterizzata da estrema stanchezza, problemi di concentrazione e memoria e altre manifestazioni cliniche, come affanno respiratorio e mal di testa. In campo medico si usa un termine inglese, “fatigue”, per indicare una stanchezza profonda e immotivata che interferisce con la vita quotidiana. La fatigue è ben nota agli oncologi perché tormenta molti pazienti colpiti da tumore. A oggi si sa ancora poco del long Covid, ma sembra che alcuni dei meccanismi che generano la fatigue dopo l’infezione virale possano essere comuni alla fatigue da cancro. Da questo nuovo settore di ricerca potrebbero perciò derivare conoscenze importanti sulla fatigue in generale, a vantaggio di tutti i pazienti che ne soffrono.
UNA QUOTIDIANITÀ IRTA DI DIFFICOLTÀ
“Non è semplice dare una definizione di fatigue” afferma Fabio Penna, ricercatore del Dipartimento di scienze cliniche e biologiche dell’Università di Torino. “Non si tratta di ‘normale’ stanchezza, ma della sensazione costante di trovarsi in difficoltà a svolgere le proprie attività quotidiane e a provare interesse nella vita privata e sociale.”
La fatigue è tipica anche della vecchiaia. “Il malato oncologico, per via del tumore e di buona parte delle terapie utilizzate, mostra caratteristiche paragonabili a quelle di un individuo anziano.” Di conseguenza i malati di cancro e gli anziani vengono raggruppati nella categoria dei “fragili” di cui tanto si è parlato in questa pandemia, soggetti con un rischio elevato di finire in ospedale e di avere conseguenze gravi se colpiti da patologie fa-
Covid-19 fatigue infiammazione
cilmente affrontabili dal resto della popolazione. “La fatigue è un problema subdolo che impatta moltissimo sulla qualità della vita del paziente. Un elemento che accomuna pazienti con tumore, soggetti anziani e pazienti con long Covid è uno stato infiammatorio persistente” continua Penna. “L’infiammazione cronica, che sappiamo avere un ruolo nell’insorgenza del cancro, facilita l’insorgenza di fragilità e fatigue.” Scoprire un modo per intervenire è però tutt’altro che semplice. “Nella risposta a un tumore o a un virus l’infiammazione è necessaria, è il preludio alla risposta immune specifica che ha come obiettivo l’eliminazione della cellula tumorale o
del virus. Non possiamo pensare di bloccare l’infiammazione, ma dobbiamo modularla, guidarla nella direzione corretta perché interessi solo il bersaglio senza causare danni al nostro organismo.”
L’IMPORTANZA DELL’ESERCIZIO FISICO
“La fatigue è un problema concreto per i cancer survivors, coloro che hanno superato la malattia” aggiunge Penna. “Oggi l’obiettivo degli studi clinici è aumentare le probabilità di sopravvivenza dei malati e la loro longevità: il passo successivo deve essere offrire loro una buona qualità di vita.” Potrebbe essere necessario intervenire sulle abitudini del paziente. “Le prove che uno stile di vita attivo permette di migliorare la fatigue stanno aumentando” racconta Penna, che, grazie al sostegno della Fondazione AIRC, sta studiando la relazione tra la gravità della cachessia neoplastica (la perdita di massa muscolare che si osserva nei tumori avanzati) e della debolezza connessa e gli stili di vita. “Facciamo dei test per misurare la funzionalità fisica dei pazienti e, con gli smartwatch, verifichiamo quanto siano attivi a casa loro” spiega, sottolineando la valenza fortemente innovativa della ricerca. “Il paziente oncologico è sempre stato seguito in ospedale, noi andiamo a valutare le sue condizioni nel quotidiano.” L’obiettivo del progetto è capire se chi è più attivo abbia una prognosi migliore e minor fatigue. Le conclusioni di uno studio come questo possono verosimilmente essere applicate anche ai pazienti con long Covid.
FATIGUE POST-VIRALE
La sindrome post-Covid ricorda infatti altre condizioni mediche. “Esiste una sindrome che colpisce principalmente giovani donne, la sindrome della tachicardia posturale ortostatica (POTS), che nel 50 per cento dei casi compare dopo un’infezione virale” racconta Raffaello Furlan, direttore dell’Unità di clinica medica dell’Istituto Humanitas di Rozzano e professore di medicina interna presso l’Humanitas University. “I sintomi della POTS comprendono una eccessiva frequenza cardiaca quando la paziente si mette in piedi, dolore toracico, colon irritabile, fatigue e ‘brain fog’, la sensazione di avere la testa nella nebbia.”
La POTS condivide alcuni sintomi con altre malattie, come la sindrome da stanchezza cronica e la fibromialgia. In tutti questi casi il paziente trascura l’attività fisica e passa più tempo seduto e sdraiato che in piedi. “Il post-Covid è una sindrome post-virale che colpisce soprattutto chi ha avuto la forma grave della malattia e, nella mia esperienza, soprattutto i giovani” dice Furlan. “E i sintomi sono analoghi a quelli della POTS.” Il gruppo di Furlan ha avviato uno studio sul long Covid coinvolgendo un centinaio di pazienti ricoverati per Covid-19 durante la seconda e terza ondata della pandemia. “Raccogliamo dati sui sintomi, tra cui la fatigue, e informazioni sulle alterazioni a carico del controllo nervoso dell’apparato cardiovascolare, sulla qualità di vita e del sonno e sulle ripercussioni della sin-
drome a livello lavorativo.” Di nuovo si torna a parlare di infiammazione. “Esiste una stretta correlazione tra infiamLe analogie mazione e sistema nervoso aiuteranno a trovare una autonomo” afferma Furlan. Il sistema nercura efficace voso autonomo è la parte del sistema nervoso che controlla i visceri, ed è costituito da due sistemi, simpatico e parasimpatico, con attività generalmente opposte (per esempio, l’attività parasimpatica rallenta la frequenza cardiaca, mentre l’attività simpatica la aumenta). “L’attivazione del sistema parasimpatico si associa a una riduzione della liberazione di molecole infiammatorie e concorre a spegnere l’infiammazione, viceversa l’attivazione del sistema simpatico mantiene l’infiammazione. Si potrebbe pensare di agire sul sistema nervoso autonomo per modulare l’infiammazione cronica.” Un’ipotesi che ora sarà verificata con ricerche ad hoc, dai cui risultati potrebbero trarre beneficio anche i pazienti con fatigue da cancro.