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PREVENZIONE

PREVENZIONE Genomica e rischio

La prevenzione personalizzata è ancora troppo giovane

Sottoporre tutti a un test genetico per individuare eventuali anomalie che potrebbero, un giorno, dare origine a un cancro, ma anche essere del tutto innocue, è una strategia inutile. La prevenzione individualizzata ha applicazioni precise e limitate, che aumenteranno man mano che crescono le conoscenze sui tumori

a cura di popolazione, nonché strumenCARLOTTA JARACH Terapie sempre più personalizzate per ogni malato: è questo l’approccio più avanzato alla cuti importanti per abbassare il rischio individuale. Le misure preventive possono essere prese prima dell’insorgenza della malattia (in questo caso si parla di prevenzione primaria), ra del cancro. La medicina di quando la malattia è già preprecisione vorrebbe però fare sente, seppur ancora all’esorun passo avanti, fornendo a Una ricetta dio (prevenzione secondaria), ognuno di noi la propria, personalissima, personale per prevenire o dopo averla curata, per evitare l’insorgericetta per prevenire più effiil cancro re di recidive (prevenzione cacemente i tumori. Utopia o terziaria). realtà? A livello di politiche sanita-

Da tempo sappiamo che rie e sanità pubblica esistono una diagnosi precoce e una diverse strategie: alcune, cocorretta prevenzione sono ele- siddette paternalistiche, cermenti fondamentali per ridur- cano di scoraggiare il consure l’impatto del cancro sulla mo di prodotti specifici, come sigarette o alcolici, attraverso per esempio l’introduzione di tasse ad hoc, altre hanno un respiro più ampio e puntano al miglioramento, più o meno diretto, degli stili di vita dei singoli individui – come campagne informative e di sensibilizzazione del rischio. Queste e altre strategie di prevenzione ragionano secondo una valutazione del rischio a livello di popolazione generale, o tutt’al più su macrogruppi a rischio (per età, per condizioni lavorative…). Cosa potrebbe accadere se si cambiasse il paradigma, ovvero si sviluppassero strategie di prevenzione incentrate sulle caratteristiche dei singoli individui?

I CERCHI CONCENTRICI

Per capire meglio il contesto in cui si inserisce la prevenzione di precisione (così come viene chiamato questo approccio personalizzato), si possono immaginare le strategie di prevenzione come una serie di cerchi concentrici. Nel cerchio più largo abbiamo le indicazioni rivolte a tutta la popolazione, per lo più di tipo legislativo e normativo. Sono indirizzate a tutti, sia a coloro che sono esposti sicuramente al fattore di rischio, sia a chi può venirvi a contatto indirettamente. Un esempio classico è il divieto di fumare nei luoghi pubblici al chiuso, che riduce sia le possibilità dei fumatori di fare un danno a se stessi, sia quelle dei non fumatori di essere esposti a un rischio indiretto.

Nel cerchio immediatamente più interno si trovano tutte le iniziative basate su un approccio più mirato a coloro che sono ad alto rischio. In ambito oncologico, esempi in tal senso sono i test di screening per chi ha familiarità per certi tumori, e si trova quindi ad avere un rischio più elevato di incidenza di malattia, ma anche i test di screening riservati a determinate categorie (per età o sesso), come il Pap test o la mammografia.

Esiste poi un terzo cerchio, più piccolo, al cui interno troviamo la prevenzione di precisione, i cui destinatari sono i singoli individui e il loro personale profilo di rischio. In tal senso è nota (e ha costituito una sorta di spartiacque) nella storia dei test genetici a fini preventivi la vicenda di Angelina Jolie, portatrice di una mutazione del gene BRCA1, che, come quella del gene BRCA2, aumenta nettamente il rischio di ammalarsi di tumore al seno e all’ovaio (e per i maschi di tumore alla prostata) rispetto alla popolazione generale. L’attrice è stata il primo personaggio pubblico a raccontare il proprio percorso individuale, dalla valutazione genetica, resa necessaria dalla presenza nella sua famiglia di casi precoci di cancro al seno e all’ovaio, alla sofferta decisione di sottoporsi a una mastectomia bilaterale preventiva.

Queste tre tipologie di strategie di prevenzione non hanno un ordine gerarchico, ma sono complementari: le strategie di prevenzione di precisione necessitano, più delle altre, di una conoscenza estremamente approfondita delle basi molecolari del cancro, nonché di un’analisi puntuale delle risposte individuali agli interventi preventivi.

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IL RISCHIO NON È PER TUTTI UGUALE

Non tutti gli individui, anche se esposti allo stesso fat-

tore di rischio, hanno la medesima probabilità di ammalarsi: nella maggior parte dei casi giocano un ruolo importante la suscettibilità del singolo, l’età, il sesso, le condizioni di salute prima della malattia e, come già detto, le caratteristiche genetiche.

Le strategie di precisione, basate sulle caratteristiche del singolo individuo, risponderebbero proprio al problema delle diagnosi che si perdono a causa di iniziative che, per quanto mirate, non sono abbastanza specifiche, riuscendo meglio a identificare il rischio tumorale e quindi le misure di prevenzione più adatte.

“Uno dei problemi che abbiamo oggi è decidere cosa far rientrare nella definizione di prevenzione di precisione” afferma Francesco Perrone, direttore della Struttura complessa di sperimentazioni cliniche dell’Istituto nazionale tumori Fondazione Pascale di Napoli, e presidente eletto dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM). “La prevenzione primaria attraverso i vaccini (per esempio la somministrazione del vaccino antiHPV alle ragazzine di 12 anni) può essere considerata una misura personalizzata e già in essere. Rientra nella prevenzione personalizzata già largamente utilizzata anche l’uso di specifici farmaci. Approcci più specifici, invece, sono ancora in una fase molto embrionale: in teoria possono essere utili, ma di fatto stiamo ancora studiando se e quando funzionino.” È il caso per esempio della caratterizzazione molecolare di lesioni precancerose, possibili bersagli di una terapia preventiva, un’idea proposta da molti ma che non è ancora diventata lo standard nella pratica clinica.

“Poi ci sono le sindromi genetiche che inducono un aumentato rischio di cancro: sono, al momento, gli ambiti nei quali ci avviciniamo di più alla prevenzione basata sulle caratteristiche genetiche che dovrebbe essere la vera e propria prevenzione di precisione” commenta Perrone. “In questo caso, le decisioni sono basate sulla presenza o l’assenza di una specifica anomalia genetica. Facciamo un esempio: se si diagnostica un tumore della mammella o dell’ovaio in una paziente portatrice di una mutazione BRCA1 o BRCA2, e si fa di conseguenza un counseling genetico della famiglia, si possono identificare altri soggetti portatori che hanno quindi un’elevata probabilità di sviluppare la malattia. E così si aprono spazi per strategie di tipo preventivo (per esempio, controlli più frequenti e serrati, o con tecnologie più specifiche) e di cura (per esempio scegliendo una classe di farmaci invece di un’altra).”

PREVENZIONE Genomica e rischio

TECNOLOGIE NEXT GENERATION SEQUENCING

Identificare chi ha una predisposizione ereditaria al cancro è centrale in oncologia. In questo compito vengono in aiuto nuove tecnologie di sequenziamento del DNA, soprattutto di Next Generation Sequencing (NGS). Si tratta di analisi genetiche che permettono di studiare il DNA a tempi e costi contenuti. Non senza difficoltà: infatti, spesso si ottengono molte più informazioni del dovuto e, aspetto ancora più problematico, non sempre queste informazioni sono semplici da interpretare (o rilevanti). Non conosciamo tutte le possibili alterazioni genetiche alla base delle specifiche malattie, e per questo non avrebbe senso fare screening su individui sani senza familiarità. “Con questi test troviamo anomalie genetiche che in un’elevata percentuale di casi non significano nulla” commenta Perrone. “Non sono cruciali per la crescita del tumore, non sono utili come bersaglio terapeutico; sono legate al fatto che il nostro DNA di errori ne fa, e ne fa tanti, ma la maggior parte di essi fortunatamente non scatena alcuna patologia e non crea problemi. Fino a quando ciò accade in concomitanza con la comparsa della malattia, costituisce un semplice rumore di fondo nella diagnostica genomica. Ma se il rumore di fondo compare anche nella popolazione sana e non siamo capaci di individuarlo come tale, diventa un problema che porta a un eccesso di interventi preventivi.” PRO E CONTRO

Con una strategia di prevenzione di precisione, si potrebbero identificare sottogruppi di persone sane per le quali il rischio di sviluppare malattia è più alto che nella popolazione generale. Con però un sostanziale rovescio della medaglia: “Si tratta pur sempre di un aumento di rischio, non di una diagnosi o di una certezza” spiega Perrone. “Possiamo solo stimare gli indicatori di rischio, ma non calcolare la probabilità che la malattia si presenti. Agendo con strategie di prevenzione personalizzata sulla popolazione sana, otteniamo da una parte il vantaggio di far entrare chi è più a rischio in programmi di sorveglianza serrata, offrendo quindi la possibilità concreta di una diagnosi anticipata e una miglior probabilità di guarigione; dall’altra, però, se generalizziamo questa strategia, andiamo incontro a un grosso problema di sovradiagnosi, ovvero sottoponiamo a controlli costosi e a volte anche potenzialmente fastidiosi o pericolosi tante persone che non ne avrebbero bisogno. Infine, qualsiasi fattore di rischio si identifichi, quando lo si utilizza per interventi su larga scala, ha un impatto sociale. La diagnosi di un’anomalia genetica, nel contesto delle società evolute dei Paesi ricchi, può diventare uno stigma e dare problemi. Basti pensare agli Stati che hanno sistemi sanitari privati basati su assicurazioni: negli Stati Uniti, per esempio, sapere di essere portatori di un’anomalia ge-

netica che aumenta il rischio di tumore potrebbe comportare polizze assicurative nettamente più elevate.” La prevenzione “à la carte” basata sulle caratteristiche personali è quindi, al momento, più un obiettivo da perseguire che una realtà, con l’eccezione delle malattie di origine genetica, in cui si orienta la valutazione sulla base della storia familiare. Non esiste infatti un test unico che permetta di individuare eventuali mutazioni genetiche che aumentano il rischio di specifici tumori. Per ciascuna mutazione si devono mettere a punto e validare esami appositi. Un altro problema di questo approccio così puntuale è la necessità di identificare per ogni tumore il gene (o la mutazione) chiave, quello che è effettivamente all’origine della trasformazione maligna: un compito tutt’altro che semplice, dal momento che la maggior parte delle forme cancerose è il risultato di un gran numero di mutazioni concomitanti, ciascuna delle quali ha il proprio peso. “La ricerca scientifica offre opportunità straordinarie, Un singolo ma bisogna essere cauti nel test genetico non predice passare dal laboratorio alla pratica quotiil rischio diana troppo precocemente” conclude Perrone. “Nel caso delle prevenzione personalizzata, è importante soprattutto non far passare l’errato messaggio che basta sottoporsi una tantum a un test genetico qualunque per scoprire a quali malattie si andrà incontro e attuare quindi misure per prevenirle.”

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