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Cancro prostata, sconfi ggere la resistenza
Uno studio pubblicato su Science Translational Medicine potrebbe aprire le porte a un nuovo approccio terapeutico per i pazienti con cancro alla prostata resistente alle cure che bloccano gli ormoni maschili (deprivazione androgenica). La terapia ormonale è un approccio comune, ma in breve tempo molti tumori diventano resistenti anche ai farmaci antagonisti del recettore androgenico, sviluppati appositamente come piano B. I ricercatori hanno scoperto due modifi cazioni consecutive a carico del recettore degli androgeni che portano all’aumento dei livelli della proteina ACK1. Hanno poi mostrato come una molecola inibitrice di ACK1 possa contrastare alcuni eventi che contribuiscono alla comparsa della resistenza nel tumore e ridurre la sua crescita in animali da laboratorio. Ora si tratta di sperimentare lo stesso approccio anche nell’uomo.
Una questione di ormoni
È noto che gli uomini hanno una tendenza più alta delle donne a sviluppare tumori, tra cui il tumore alla vescica, sebbene le ragioni non siano del tutto chiare. Uno studio pubblicato su Science Immunology dimostra che gli androgeni potrebbero contribuire a questa differenza tra i due sessi. I risultati degli esperimenti, condotti con diversi modelli animali di cancro alla vescica e tecniche di laboratorio, suggeriscono che il recettore degli ormoni androgeni possa regolare l’attività dei linfociti T CD8+, cellule del sistema immunitario che combattono i tumori ma possono essere disattivate dalla malattia. Una terapia che blocca gli ormoni maschili riduce il tumore e aumenta l’effetto dell’immunoterapia. I ricercatori hanno ora bisogno di ulteriori studi per capire perché nel cancro esiste una differenza tra i due sessi, in modo tale da sviluppare cure più personalizzate.
22,7%
37,6% 133
Alla scoperta del rischio
Un recente studio mostra come particolari “fi rme” molecolari potrebbero prevedere lo sviluppo del carcinoma epatocellulare (HCC) in pazienti con steatosi epatica non alcolica (NAFLD). I ricercatori hanno studiato 409 persone con NAFLD e hanno identifi cato, in pazienti con epatocarcinoma, 133 geni grazie ai quali hanno classifi cato i pazienti in gruppi di rischio. L’analisi di individui senza cancro ha mostrato che chi rientrava nel gruppo ad alto rischio aveva una probabilità di sviluppare l’HCC a 15 anni del 22,7 per cento, probabilità pari invece allo 0 nel gruppo a basso rischio. Dai geni, con un metodo bioinformatico, sono state ricavate quattro proteine misurabili nel sangue, utilizzate per classifi care ulteriori pazienti con NAFLD in base al rischio. La probabilità di HCC a 15 anni era del 37,6 per cento nei soggetti ad alto rischio e dello 0 per cento nei soggetti a basso rischio. Lo studio potrebbe permettere di capire quali pazienti con NAFLD possono evitare il monitoraggio continuo a causa del basso rischio di cancro.
Capire il rischio grazie al computer
Un gruppo di ricerca statunitense ha sviluppato un metodo automatico che potrebbe essere utilizzato per prevedere se i pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule o con tumori ginecologici risponderanno all’immunoterapia. Lo strumento, un classifi catore di immagini presentato su Science Advances, è stato usato per caratterizzare le immagini digitalizzate di campioni di tumore in base a come le cellule tumorali interagivano con i linfociti (ovvero le cellule immunitarie che si ritrovano nei tessuti) infi ltranti la massa tumorale. Ciò ha permesso di identifi care i pazienti che rispondono a diversi inibitori dei checkpoint immunitari attivi contro la proteina PD-L1 e di prevederne alcuni esiti clinici, inclusa la sopravvivenza. Inoltre, sono stati individuati pazienti con una bassa espressione di PD-L1 e a basso rischio, che potrebbero essere trattati direttamente con l’immunoterapia, senza che questa venga associata alla chemioterapia come fi nora raccomandato.
Il cancro al seno non dorme
Nel cancro al seno, il processo che culmina con la formazione delle metastasi potrebbe avvenire soprattutto quando si dorme. È quanto suggerisce uno studio su Nature. Partendo da prelievi di sangue, e a seguito di diversi esperimenti, i ricercatori si sono resi conto che, sia in un gruppo di 30 donne affette da cancro al seno sia in modelli murini del tumore, le cellule tumorali circolanti (CTC), cioè le cellule che dal tumore entrano nel circolo sanguigno per diffondersi nell’organismo, non sono immesse in continuazione ma soprattutto durante il sonno. Inoltre, quando prodotte nella fase di riposo, le CTC hanno un’elevata inclinazione a formare metastasi, a differenza di quelle formatesi in fase di veglia. Alcuni risultati indicano che la proliferazione delle cellule può essere infl uenzata dalle oscillazioni degli ormoni che regolano il ritmo circadiano. Il “tempo” potrebbe quindi essere un elemento da prendere in considerazione in futuro per la caratterizzazione e il trattamento del tumore al seno.
Più screening per chi è positivo all’HIV
Secondo uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, è importante che le persone HIV positive si sottopongano regolarmente allo screening e al trattamento delle lo screening e al trattamento delle lesioni precancerose a livellesioni precancerose a livello anale, per lo più lesiolo anale, per lo più lesioni squamose intraepini squamose intraepiteliali di alto grado teliali di alto grado (HSIL). Lo studio (HSIL). Lo studio ha coinvolto oltre 10.000 persone con più di 35 anni e HIV-positive che si sono sottoposte a un’anoscopia ad alta noscopia ad alta risoluzione. Sono risoluzione. Sono state rilevate HSIL in state rilevate HSIL in quasi la metà di esse. quasi la metà di esse. Una parte di questi pazienUna parte di questi pazienti ha continuato a effettuare solo ti ha continuato a effettuare solo lo screening, un’altra invece si è sottoposta anche lo screening, un’altra invece si è sottoposta anche a una cura. I risultati delle analisi mostrano che il trattamento delle lesioni ha ridotto di quasi il 60 per cento il rischio di progressione verso il cancro anale, sebbene non l’abbia azzerato, il che sottolinea la necessità da un lato di migliorare le terapie attualmente utilizzate per le HSIL, dall’altro di continuare a monitorare i pazienti anche dopo il trattamento.