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CAMPI ITALIANI Ghost course
GhostCOURSE
di Paolo Croce
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AFFETTUOSO AMARCORD DI COME IL GOLF SIA CAMBIATO NEGLI ULTIMI DECENNI E DI QUANTE SPERANZE DI NUOVI PERCORSI SIANO RIMASTE NEL LIBRO DEI SOGNI NON REALIZZATI
Iavorare in un Club di golf ai primi anni 80, non è stata cosa facile. Soprattutto quando la segreteria era un locale ristretto e privo degli strumenti tecnologici che oggi, bene o male, ne sono corredo indispensabile. Non mi riferisco ovviamente a PC, cellulari, tablet, e via discorrendo, che erano molto al di là da venire, ma anche ad ausilii già in uso a quei tempi, quali una semplice fotocopiatrice e una macchina da scrivere elettronica. I telefoni (uno) erano a disco rotante, per l’amministrazione si usava la calcolatrice a manovella e gli orari di partenza venivano battuti a mac china con più copie carbonate in carta velina. Per non parlare dei tabelloni gara che venivano rigorosamente compilati a mano con pennarelli di diversi colori. L’aiuto di una contabile mi era necessario, ma il suo orario era part time e il sabato pomeriggio e l’intera domenica, giorni tradizionali di gara, respiravo in totale solitudine l’odore di muffa dei faldoni disposti nell’archivio a vista e quello del cloro della piscina frapposta tra segreteria e tee buca 1. Le giornate di gare prevedevano un minimo di 14 ore continuative alternate tra funzioni di starter, centralinista, controllo score, giudice arbitro. E soprattutto quelle di ascoltatore professionista quando i giocatori, al rientro dal campo, snocciolavano le 18 buche raccontando colpo dopo colpo e con estrema dovizia di particolari il loro 98.
Durante la settimana le cose andavano un po’ meglio e potevo dedicarmi con più attenzione alle cure del campo ed alla sua manutenzione, Avevo la fortuna di potermi avvalere dei consigli di Attilio Filippi, ex Greenkeeper del Golf Torino e forse il primo perito agrario che si sia occupato di tappeti erbosi in Italia.
Questa telegrafica sintesi di tre anni di segretariato golfistico potrebbe sembrare irriverente e forse un filo irrispettosa. Non è così. Devo molto invece al Golf Club Le Fronde di Avigliana ( in queste pagine, una foto della
buca 2), per l’esperienza che mi ha permesso di vivere e per i bei ricordi dei soci e dirigenti che serbo da sempre nel mio cuore.
Lasciai il Circolo nelle fidate mani di Sergio Tealdo, amico e compagno di scritture, sul finire dell’83, con l’idea di finire gli studi di agraria e di poter un giorno occuparmi sempre di campi da golf, ma dal punto di vista della loro costruzione e manutenzione. Non dovetti però attendere molto perché nella primavera successiva Alberto Chiaraviglio, ingegnere ma anche Presidente del Comitato Regionale FIG del Piemonte, mi propose di realizzare, su suo progetto. Era un campo da golf a nove buche all’interno del galoppatoio di Vinovo, l’ippodromo di Torino. Il Conte Melzi d’Eril, che con la sua società gestiva anche gli ippodromi di San Siro e Capannelle, era il principale finanziatore. Era il 1984 e cominciava la mia avventura nella costruzione dei campi da golf.
Il disegno prevedeva un grande campo pratica, quattro corte buche appena al di fuori della pista (che nel corso dell’anno riuscimmo a seminare) e cinque buche di maggior respiro all’interno. Queste ultime ci fecero piuttosto dannare. Con pochi mezzi e risorse e guidando personalmente camion e ruspe, si affrontarono ostacoli tecnici di non poco conto.
Scoprii infatti in quel periodo quanto bizzosi e imprevedibili potevano essere i puledri da Gran Premio i quali, abituati alla loro routine quotidiana, non tolleravano cambiamenti alle loro abitudini. Tra queste, anche quella di una visione omogenea del turf da calpestare. Scartata l’ipotesi di usare elicotteri (per ovvie ragioni di costi) e l’impiego di ponticelli mobili tipo Baley, si colse l’occasione delle grandi gelate invernali dell’85, quando, tanto per intenderci, metà degli ulivi toscani non arrivò a primavera. In quel mese di gennaio si lavorò di notte, a temperature
stabilmente inferiori a - 10 °C, realizzando passerelle di sabbia, di almeno 30 cm di spessore, poi bagnate e quasi immediatamente gelate, consentendo il transito dei mezzi. In meno di una settimana si effettuarono tutti i trasporti necessari e si portarono via i blocchi di sabbia gelata. Il piano della pista risultò sufficientemente integro e la poca sabbia rimasta venne.
Il Golf Club Vinovo venne aperto sul finire dell’85 e si giocò fino agli inizi del nuovo millennio quando la Juventus acquistò l’area del galoppatoio e ne fece il proprio centro di allenamento. Conservo ancora una foto aerea del campo, ed è tutto quello che è rimasto del campo di Vinovo in oltre 15 anni di attività.
Il circolo di Vinovo può essere considerato a tutti gli effetti un ghost course. Il fatto che tutto sommato la sua area abbia comunque avuto un riutilizzo, non limita più di tanto l’amarezza del fatto che un piccolissimo pezzo del patrimonio golfistico italiano non ci sia più.
In realtà il problema vero è che Vinovo non è il solo ghost course della nostra penisola. Spesso mi sono domandato se sia possibile fare un censimento preciso degli impianti golfistici che abbiamo perso nel corso degli anni. In effetti non è cosa facile, a volte infatti gli impianti hanno cambiato nome, mantenendo il campo, ma variando il nome del Club (Torvajanica che diventò Mare di Roma ad esempio). A volte il nome del club è
rimasto, ma è cambiato il campo e qui gli esempi sono molti e tra i più importanti possiamo citare il GC Torino (impianto prima a Mirafiori, poi alla Maddalena e infine alla Mandria), l’Ugolino (prima alle Cascine e poi sulla Chiantigiana), Varese (prima in Valganna e poi a Luvinate).
Piuttosto che scartabellare i vecchi annuari calendari FIG confrontando gli elenchi dei campi da golf di allora con la lista sul sito web della FIG e poi incrociare i dati con le foto di Google Earth per accertare se il campo sia tuttora in essere, preferisco in questa sede affidarmi ai ricordi, legandomi soprattutto alle iniziative alle quali ho collaborato, oppure ho avuto in qualche modo a che fare anche per brevi periodi e/o semplici visite. La mia non vuole essere una elencazione scientifica di impianti scomparsi, ma un semplice amarcord di un golf che non c’è più, e pazienza se farò errori ed omissioni, il tempo passa anche per me e la memoria ne risente...
Per iniziare da zone che in teoria dovrei conoscere bene mi vengono in mente gli impianti di Monforte d’Alba, 9 buche in mezzo ai vigneti, di Mondovi (9 buche), di Barolo (9 buche, ma progetto di 18). Per quest’ultimo sembra che ci sia uno spiraglio
QUI SOTTO, UNA GRADEVOLE BUCA DE L’OASI, PERCORSO DI 18 BUCHE (EX EUCALYPTUS) CHE ERA APERTO AD APRILIA (LATINA)
QUI ACCANTO, IL DISEGNO DEL PROGETTO DI GARY PLAYER E FRANCO PIRAS PER LE 18 BUCHE DI CORTONA. NE SONO STATE REALIZZATE NOVE, MA IL PERCORSO NON HA MAI APERTO
di una nuova rinascita e attendiamo con piacere buone nuove.
Spostandomi in Toscana, regione che amo molto e nella quale molto ho lavorato, abbiamo il caso limite di Cortona, progetto di 18 buche di Gary Player/Franco Piras di cui 9 integralmente realizzate con resort, anch’esso quasi terminato, e abbandonato da ormai quattro lunghi anni. Abbiamo anche il campo di Maremmello (9 buche nei pressi di Fonteblanda), e il progetto di Cavalsani Senior a Follonica le cui 18 buche sono state modellate, ma mai terminate. Anche se si parla adesso di un nuovo intervento dell’industriale Carlo Paolo Negroni. Nei pressi dell’attuale GC Bagnaia e dell’aeroporto di Ampugnano bisogna poi ricordare il GC Contea le Segalaie (9 buche).
In Emilia ho solo l’esempio delle 9 buchette di Cesenatico, mentre nelle Marche occorre annoverare il GC Schito a Treia (9 buche) e 9 buche di cui quasi nessuno ha ricordo, quelle di Pieroni nei pressi di Monteferro (AN). In Abruzzo abbiamo il campo già modellato di Avezzano (18 buche) mai arrivato alla semina, mentre nel Lazio l’elenco delle sparizioni diventa corposo.
Cominciò il campo di Nettuno, 18 buche su progetto di Marco Croze, che inaugurato nei primi anni 90, oggi ospita in parte un vivaio di tappeto erboso. Seguirono le 9 buche del GC Pallavicina a Zagarolo, poi il campetto della Ferratella all’Eur e quindi in tempi relativamente più recenti le 18 buche dell’Arco di Costantino. Spiace poi annoverare tra i più recenti ghost course anche il GC l’Oasi (già Eucalyptus) di Aprilia, 18 buche da sempre proprietà dei coniugi Lanza.
Spingendoci più a sud le cose non migliorano. In Campania come non ricordare le 18 buche del G.C. le Costiere nei pressi di Salerno e anche l’ampliamento al contrario del campo del GC Volturno a Castelvolturno. Qui nel 2003, su progetto di Davide Mezzacane, presero il via i lavori per il raddoppio delle originarie 9 buche andando direttamente a modellare la spiaggia. Le 18 buche vennero inaugurate due anni dopo e in contemporanea si avviarono i lavori per altre 9 buche con progetto di ulteriori 9. Oggi resistono in qualche modo le vecchie prime nove buche, mentre le buche “spiaggiate” sono in condizioni di emergenza. Del resto non vi è più nulla.
È ancora viva la delusione della chiusura di Riva dei Tessali in Puglia, 18 buche disegnate sempre da Marco Croze all’interno della Pineta che lambisce lo Ionio. Si è a conoscenza di tentativi di salvataggio e si spera che in questo caso la sparizione sia reversibile...
Niente da fare invece in Calabria per i campi di Porto d’Orra (9 buche nei pressi di Catanzaro) e di Sibari, altre 9 buche completate, ma mai aperte al gioco.
Per la Sardegna, mi viene in mente il campetto a 9 buche di Tortolì ad Arbatax, e mentre si è in attesa di capire cosa succederà alle 18 buche di Is Arenas (OR) e al campo a 9 buche di Flumini (Cagliari). Occorre citare anche le 9 buche di Stintino, di cui ricordo, oltre alla magnifica posizione, anche una troppo fugace presenza nel novero dei campi italiani.
E chiudiamo con la Sicilia, dove sembra proprio che il golf non ce la faccia ad attecchire. In ordine cronologico di chiusure occorre dare la precedenza al campetto di Pantelleria, di cui nessuno probabilmente ricorda l’esistenza, per poi catalogare le 18 buche delle Madonie, messo una prima volta all’asta giudiziaria nel 2014 ed arrivato a novembre dell’anno scorso alla decima e positiva ordinanza di vendita.
Le nove buche in contrada Trappitello, sul versante nord dell’Etna (ma il progetto era di 18 con tanto di resort), sono state realizzate e subito abbandonate anni fa. Oggi fungono da argine del fiume Alcantara e lo scheletro in cemento armato delle strutture dell’albergo ne rappresenta lo sfondo. Migliore sorte non ha avuto il GC Le Saie (18 buche a firma Franco Piras) a Carlentini (medesima proprietà) ad oggi sequestrato con relativo resort e completamente abbandonato. L’unica buona notizia siciliana consiste nel Verdura, la cui riapertura è programmata, virus permettendo, con buche nuove di zecca.