NelMese 5/2008

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periodico di Cultura Turismo Economia direttore responsabile NICOLA BELLOMO sommario n. 5/2008 anno 42esimo Edizioni NUOVA GEDIM S.R.L. Direzione - Amministrazione - Pubblicità via Suppa, 28 - tel. 0805232468 70122 Bari - NUOVA GEDIM S.R.L. iscritta alla Camera di Commercio di Bari il 14/01/2008 al numero 503184 - “NELMESE” periodico di cultura turismo economia iscritto al n. 333 del “Registro dei giornali e periodici” del Tribunale di Bari 9 /11 / 1967 - Spedizione in abbonamento postale comma 34 - art. 2 - Legge 549/95 - Filiale di Bari - E’ vietata la riproduzione, anche parziale, di scritti e la riproduzione in fotocopia -. Nicola Bellomo ideazione Grafica. Massimo Clori Fotocomposizione. - Stampa: Pubblicità & Stampa - Via dei Gladioli 6 - 70026 Modugno/Bari tel. 0805382917 ABBONAMENTO ANNUO PER IL 2008 Euro 30,00 - LA COPIA - euro. 3,00 (con copertina plastificata euro 3,20) - CONTO CORRENTE POSTALE 20109708 INTESTATO A GEDIM GRUPPO EDITORIALE MERIDIONALE S.N.C. VIA SUPPA 28 BARI 70122

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SPETTACOLI

UNIVERSITA’ ILLUSTRATO L’IMPORTANTE RUOLO DEL GIOVANE PARLAMENTARE PUGLIESE

UN’OPERA MOZARTIANA COFINANZIATA DALLA FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI PUGLIA

Così Aldo Moro, il “Professore” alla Costituente

Arte & Finanza di Marisa Di Bello

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di Aldo Loiodice

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Antonio Castorani

STORIE DI GIORNALISTI / 4.

CULTURA

RICORDI DI UN CRONISTA DI VECCHIO CORSO

I RISULTATI DI UN’INDAGINE PROMOSSA DALL’UNIVERSITA’ DI BARI E DALLA SAIL SPA “GRUPPO GRANAROLO”. IL PREMIO “ANTONIO URCIUOLI”

Beni culturali petrolio di Puglia

Così fui contaminato da quella malattia chiamata giornalismo

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di Vito Cimmarusti

INTERVISTA A MARIDA LOMBARDO PIJOLA INVIATO SPECIALE DEL QUOTIDIANO IL MESSAGGERO

8 Giornalismo & Famiglia 31 di Alessio Rega

di Claudia Serrano

LIBRERIE & LIBRI / STORIA

E’ STATO CEDUTO IN CAMBIO DELLA “ROSSANI”

Il Palazzo della Prefettura dal Comune allo Stato 12 MEDICINA

RECENSIONE DEL LIBRO-INCHIESTA DI MARIDA LOMBARDO PIJOLA SUI PREADOLESCENTI

Tra bulli e lolite di oggi di Alessio Rega

AEROPORTO INCREMENTO DEL TRAFFICO PASSEGGERI AL MODERNO AEROPORTO INTERNAZIONALE

IL TRAPIANTO DEI CAPELLI PER RISOLVERE IL PROBLEMA DELLA CALVIZIE IN UN’INTERVISTA AL PROF. MICHELE ROBERTO. ANCHE INTERVENTI DI CHIRURGIA ESTETICA

Bari dal “Woytila” decolla il futuro

Più folti e più belli

COLLEGAMENTO DIRETTO DAL 15 MAGGIO

di Marisa Di Bello

L’ASSOCIAZIONE ALBATROS PER RICORDARE IL FAMOSO NUOTATORE PAOLO PINTO

di Daniela Mazzacane

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SENSAZIONI ED EMOZIONI IN MARE DI UNA GIOVANE NON VEDENTE

Con il nuoto superato il “limite”

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CREDITO

MEDICINA / NEL MONDO DEI CIECHI / 2.

Emozioni subacquee per non vedenti

di Alessio Rega

Bari vola a New York

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NUOVA GAMMA DI PRODOTTI

Banca Popolare di Bari,

rinnova la propria offerta 39

Abbonatevi a NelMese da 42 anni al servizio dei pugliesi e della Puglia, 30 euro per 11 numeri da qualsiasi mese nelmese - 5/2008 - 3


UNIVERSITA’

Così Aldo Moro, il “Professore” alla Costituente

Il prof. Aldo Loiodice, ordinario di Diritto costituzionale, illustra l’importante ruolo svolto dal giovane parlamentare pugliese alla Assemblea che nel 1948 generò la Carta Costituzionale. Rinforzato il legame con l’Università di Bari con la concessione nel 1975 del Sigillo d’Oro e la recente intitolazione dell’Ateneo Con l’intitolazione di Aldo Moro, l’Università di Bari ha recuperato il modello di un suo studente e di un suo docente per rilanciare l’Ateneo. Nel 1975 il Senato accademico concesse a Moro il Sigillo d’Oro. Si completa, perciò, il legame scientifico ed accademico fra l’Università di Bari ed il prof. Aldo Moro. È stato reso omaggio a chi ha diffuso e radicato nella società i contenuti ed i valori della sua personalità culturale e scientifica di matrice cattolica, rendendo onore all’Università di Bari. Questa rilevante caratteristica del “Professore” si coglie bene andando a riscoprire il suo ruolo nell’Assemblea Costituente. Ricordo le lezioni di filosofia del Diritto all’Università di Bari, nel 1960, su Stato e Società, su Persona e Diritto. La sua impostazione scientifica si ritrova nei lavori dell’Assemblea Costituente (1946-1947). Molti anni dopo lo incontrai all’Università di Roma, prima che andasse a tenere la lezione; gli feci omaggio di una mia pubblicazione sulla libertà di informazione e, nel colloquio, emerse ancora una volta il suo metodo scientifico applicato anche nel dialogo interpersonale. Avrei desiderato riprendere, con il prof. Moro, quella breve conversazione ma, due giorni dopo, venne rapito. Chi si immerge nei lavori dell’Assemblea Costituente trova chiaramente lo spessore che si coglieva nelle sue lezioni e nelle sue con-

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versazioni. DEPUTATO A 29 ANNI Aldo Moro, già Professore, fu eletto a 29 anni Deputato all’Assemblea Costituente nella circoscrizione di Bari e fu designato quale membro della Commissione per la Costituzione nota come Commissione dei 75 che fu incaricata di redigere il progetto di Costituzione. Moro fece parte della prima sottocommissione chiamata a dibattere intorno ai diritti e doveri dei cittadini. Nella fase finale dell’elaborazione costituzionale egli fece parte del Comitato dei 18, che era il comitato di redazione finale che si avvalse, appunto, della presenza di Aldo Moro e giunse a formulare il testo coordinato poi sottoposto all’assemblea. Nella prima sottocommissione egli è stato protagonista; questa fu la sede più vivace dell’elaborazione intellettuale che definì le line costituzionali e politiche del nuovo stato. All’inizio dei suoi lavori, nella sottocommissione, Moro fu incaricato di preparare l’indice dei lavori; di qui presero le mosse una prospettiva ed un metodo che hanno poi lasciato traccia nel testo costituzionale, esprimendo la sua personalità. Egli testimoniò la propria visione del mondo in maniera singolare ed interessante; invero, nei lavori costituenti, emerge la

Il prof. Aldo Loiodice sua capacità di recedere o di mediare e quando necessario, di non cedere su posizioni fondamentali; seppe coordinarsi con gli appartenenti al suo gruppo; ma intrattenne rapporti di dialogo umano con gli avversari politici. È facile notare il suo sforzo di trovare, sinteticamente, formule e soluzioni per soluzioni contrapposte. Nel suo lavoro costituente affiora la capacità di creare con i colleghi rapporti di fiducia e rispetto reciproco e di saperli utilizzare in modo da dimostrare che le soluzioni erano di comune utilità; erano, cioè, un servizio doveroso da offrire al popolo italiano. Egli richiamò spesso la sensibilità per l’opinione che avrebbe potuto generare nel popolo l’una o l’altra forma di un articolo. La sua testi-


L’ATENEO, DOPO 83 ANNI, DA MUSSOLINI A MORO

Il 7 maggio, alla vigilia del 30nnale barbaro assassinio dello Statista da Parte delle brigate rosse, il Senato Accademico dell’Università degli Studi di Bari con un solo voto contrario, ha deliberato l’intitolazione dell’Ateneo ad Aldo Moro. Il Rettore, prof. Corrado Petrocelli, che ha portato avanti la proposta con equilibrio, al termine della seduta ha dichiarato: “E’ stata una decisione presa dopo un’ampia e approfondita discussione, specchio del dibattito che si è sviluppato nella nostra Università”. monianza rispondeva, perciò, ad un dovere etico cristianamente adempiuto. Con essa egli volle esprimere anche la convinzione della compatibilità (e possibilità di convivenza costituzionale) di concetti ed ideologie aventi differente provenienza o risalenti a mentalità opposte. Egli affermò il primato di uno stato personalista e pluralista che non avrebbe senso ove non fossero garantiti i diritti della persona umana; questo era lo spirito della nuova “democrazia” che, pur avendo un’apertura sociale, non doveva però disconoscere l’esigenza di un’autorità collettiva. CONCEZIONE DELLO STATO Sostenne, comunque, una rottura con la precedente tradizione burocratica-accentratrice; si trattava, però, di una linea che incontrava ostacoli e diffidenze. Nell’Assemblea, spesso, non avevano compreso adeguatamente la funzione educativa che egli assegnava alla Costituzione. Anche a proposito dell’uguaglianza sostanziale sottolineò il carattere programmatico del testo costituzionale, al quale egli affidava il compito di indirizzare la legislazione eliminando il concetto che il Legislatore potesse ritenersi sovrano al di là dei limiti naturali di ogni potere dello Stato. Dopo vent’anni di arbitrio del potere esecutivo riaffermò che il potere dello Stato è giuridico e, quindi, necessariamente limitato. Questi concetti furono specificati coerentemente nell’elaborazione

Dicembre 1975: l’allora Rettore dell’Università di Bari prof. Ernesto Quagliariello consegna il Sigillo d’Oro all’on. Aldo Moro all’epoca, presidente del Consiglio dei Ministri (Photopress Pupilla) della normativa attinente ai diritti e doveri dei quali si occupò la prima sottocommissione. Egli non perseguiva la visione di uno Stato teologo, però riteneva che non fosse stravolta la libertà attraverso artificiosi meccanismi di sostituzione di un astratto dogma-laicista alla diffusa coscienza religiosa. Condannò i fraintendimenti sulla libertà, che non significa esser affrancati da ogni legge e quindi sottolineava l’esigenza di difendere la costituzione con meccanismi interni di garanzia. Molto interessante è il riferimento alla stampa, alle sue possibilità di manipolazione, al carattere pericoloso ed ambiguo che il giornalismo può assumere quando manchi l’os-

servanza della deontologia professionale. Sostenne, con gli intellettuali dell’epoca, l’idea di uno stato “personalista” e la difesa dei valori della persona umana; tale orientamento venne concentrato sulla prima parte della Costituzione nella quale venne sancito il valore della persona e la rilevanza dei rapporti Stato e Chiesa nell’affermare un diverso modello di Stato che finì per prevalere sul piano costituzionale. Nella rivista “Studium” diretta da Aldo Moro, si parlava di rivoluzione “personalista”; la persona umana assumeva un significato extra-territoriale, opposto allo stato, rispetto al quale assumeva il valore di un limite invalicabile; veniva, perciò, criticato lo statolatria di origine mar-

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Il prof. ALDO LOIODICE è ordinario di Diritto Costituzionale nell’Università. Svolge la professione forense da oltre quaranta anni negli studi associati di Bari, Roma, Lecce e Milano nei settori del Diritto Amministrativo con particolare riferimento agli appalti, ai lavori pubblici, all’urbanistica, all’energia rinnovabile, alle discariche dei rifiuti, all’ambiente ed alle farmacie ed alle questioni costituzionali. È stato componente del direttivo dell’Associazione dei Costituzionalisti e membro del Consiglio Nazionale Forense. E’ coordinatore della Fondazione per l’Innovazione Forense istituita presso il Consiglio Nazionale Forense. Quale componente del CNR e del Consiglio Superiore della P.A. ha partecipato ai progetti finalizzati sulla pubblica amministrazione; quale componente della Commissione per l’Accesso ai Documenti Amministrativi ha partecipato alla redazione del Regolamento nazionale in materia di accesso ai documenti amministrativi. E’ stato componente della Commissione governativa di controllo sulla Regione Puglia. Collaboratore della Enciclopedia del Diritto e della Enciclopedia Giuridica Treccani; è autore di numerosi scritti e monografie riguardanti la materia pubblicistica, il diritto all’informazione, le Regioni (urbanistica, lavori pubblici e sanità). xista. La mentalità rinnovata con la quale Moro si portò ad incidere sui lavori della Costituente generò un sistema globale ed organico di valori da difendere con un ritorno ai principi, riecheggiando la sensibilità di Maritain, creò una forma laica di politica; si distaccò dal modello americano della democrazia del New Deal con le sue ingenuità. Il suo metodo fu caratterizzato da piena indipendenza di coscienza e rispetto della sua opinione. Egli svolse un ruolo positivo e propositivo che fu inteso ad evitare una posizione che fosse solo apologetica e difensiva degli interessi della Chiesa contro quelli dello Stato, non condivise perciò i toni

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da crociata. Il suo sforzo metodologico venne indirizzato per dimostrare come l’affermazione dei valori cristiani sia riscontrabile anche nella tradizione socialista e comunista, con le dovute differenze e distanze. In tal modo propose di creare la Costituzione fondata sul consenso politico allargato, che fosse punto di arrivo nella comune riflessione ideologica; si trattò di un compromesso nobile. Non rinunciò, però, a difendere i tre capisaldi proposti da Dossetti: la precedenza della persona umana rispetto allo Stato, la socialità dell’Uomo che si esprime nelle comunità intermedie, l’intangibilità dei diritti fondamentali dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali. LA DOTTRINA SOCIALE La convergenza ideologica non gli impedì di criticare l’idea meramente tecnica della ricostruzione dello Stato. La Costituzione non deve essere solo il disegno di una nuova struttura organizzativa ma soprattutto una legge fondamentale di vita, il risultato di uno sforzo comune verso la verità. Delineò, in altri termini, una strategia di liberazione della mentalità cattolica dai pericoli di chiusura proponendo un’intuizione del mondo che supera il tecnicismo e formalismo costituzionale; ma in tal modo ha inserito nella Costituzione i principali valori della dottrina sociale della Chiesa. Nell’Assemblea Costituente, usciti dalle rovine della guerra, Moro portò il contributo di un ruolo positivo inteso a limitare l’apologia retorica di posizioni retrograde. Contro l’esibizionismo verboso, perciò, volle recare una testimonianza di vita concreta, attingendo alle sue doti scientifico-culturali, con l’impegno proteso verso la stagione che, conoscendo insieme diritti e doveri, potesse salvare l’uomo dalla tragedia delle “verità impazzite”. Aldo Loiodice


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CULTURA

Beni culturali, petrolio di Puglia Un vasto patrimonio che debitamente valorizzato potrebbe trasformare il turismo in una delle più importanti risorse dell’economia regionale. Questo profilo della Puglia è il risultato di un’indagine, condotta da Publica Res, presentata nella Tavola rotonda “Vivere di cultura” promossa dall’Università di Bari e dalla Sail Spa “Gruppo Granarolo”. A confronto mondo culturale ed economico

di Claudia Serrano

Nelle ultime settimane non si è fatto che discutere della pessima accoglienza che la città di Bari riserva ai croceristi che, seppure per poche ore, vi fanno tappa: negozi chiusi, chiese chiuse, Castello Svevo chiuso. È l’ora del pranzo e della pennichella. Così i turisti non hanno la possibilità di conoscere la città e Bari non sfrutta un’occasione di notorietà e di potenziali vendite commerciali. Se un domani le crociere annullassero la tappa nel capoluogo pugliese, non ci sarebbe da meravigliarsi! Altra provincia, tanto per fare un esempio: nella splendida oasi di Torre Guaceto, che dovrebbe costituire per tutto l’anno un’attrattiva per il turismo locale e non, nella stagione invernale la spiaggia versa in condizioni igieniche vergognose: rifiuti portati dal mare, avanzi di picnic, immondizia fuori dagli appositi (pochissimi) cestini… e dire che è una riserva naturale! Cosa manca alla Puglia per liberarsi da questa condizione di cecità? Ci sono o ci potranno mai essere le prerogative perché la regione impari a sfruttare le straordinarie risorse ambientali e culturali di cui è in possesso e farne una fonte di crescita economica? Questa questione, da sempre oggetto di interesse e approfondimento da parte di NelMese, è stata la tematica centrale di una tavola rotonda promossa dall’Università degli Studi di Bari e da Sail S.p.A. (Gruppo Granarolo) in

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Il Rettore dell’Università di Bari, Corrado Petrocelli

Il presidente di Sail Spa “Gruppo Granarolo”, Paolo Migliori

occasione della settima edizione del Premio “Imprenditoria e Innovazione Antonio Urciuoli” tenutasi presso il Palazzo Ateneo con la partecipazione di esponenti del mondo culturale, economico e politico pugliese. Tra gli altri Paolo Migliori, presidente di Sail Spa, Corrado Petrocelli, rettore dell’Università di Bari, Giancarlo Spadoni, caporedattore TG3 Rai Puglia, Vincenzo Divella, presidente della Provincia di Bari. “Vivere di cultura” il titolo dell’incontro, emblematico e dilemmatico: la Puglia può vivere di cultura? Può cioè trasformare il patrimonio culturale di cui dispone da quasimero corollario a fattore critico di sviluppo?

Punto di partenza è stata l’indagine che Publica Res, società specializzata in indagini demoscopiche, ha condotto intervistando alcuni


Il Premio “Imprenditoria e Innovazione Antonio Urciuoli”è stato istituito nel 2001 dall’Università degli Studi di Bari e da Sail S.P.A. (Gruppo Granarolo), in collaborazione con Arti Puglia, Confindustria Bari, La Gazzetta del Mezzogiorno, Politecnico di Bari, Rai sede regionale Puglia, Sviluppo Italia Puglia e Tecnopolis Csata. Scopo del Premio, nel cui spirito rivive la figura del cavaliere Antonio Urciuoli, fondatore e Presidente di Sail S.p.A., è quello di riconoscere l’interesse e l’impegno di un giovane laureato dell’Università degli Studi di Bari verso le tematiche della crescita economica e sociale del Mezzogiorno. Il Premio consiste in una borsa di studio del valore di 13.000 euro ed è assegnato ad un laureato dell’Università degli Studi di Bari, che abbia realizzato una tesi di laurea sui temi dell’innovazione imprenditoriale, del potenziamento delle attività produttive nel Mezzogiorno e dello sviluppo dell’occupazione giovanile. Quest’anno il Premio è stato assegnato ad Anna Rosa Rana per la tesi in Economia e tecnica degli scambi internazionali dal titolo “Crm Open Source – Opportunità per aziende e pubbliche amministrazioni”. Ogni anno la cerimonia di premiazione è preceduta da una tavola rotonda a tema, aperta dalla presentazione di un sondaggio/ ricerca sui temi dell’economia e opinion leader del mondo intellettuale ed economico in merito al patrimonio culturale pugliese: stato attuale e possibilità, modalità e difficoltà per una sua futura valorizzazione. I risultati di questa ricerca, esposti dalla dott. Alessandra Salfi, hanno evidenziato una situazione paradossale: sebbene la Puglia disponga di un patrimonio culturale estremamente ricco e variegato, eccezionale e antico, a queste potenzialità non corrisponde un equivalente ritorno economico. Da

Da sinistra, il presidente di Sail Spa, Paolo Migliori, la vincitrice del Premio Anna Rosa Rana e il Rettore dell’Università di Bari, Corrado Petrocelli dell’occupazione in Puglia. All’incontro partecipano abitualmente rappresentanti delle istituzioni locali, imprenditori, professori universitari e giornalisti. L’appuntamento fornisce un’importante occasione di approfondimento sui vari aspetti dello sviluppo economico del territorio e sulle dinamiche sociali che animano il Mezzogiorno, dando voce alle diverse realtà che possono contribuire all’ampliamento delle attività produttive nel rispetto e attraverso la valorizzazione della regione.

Il cavaliere del lavoro avv. Antonio Urciuoli cosa dipende? Stando all’indagine di Publica Res prima di tutto dalla mancata razionalizzazione del processo di

valorizzazione dei beni culturali: si dedicano cioè poche attenzioni e investimenti a quelli che sono stati definiti “perle nascoste” e “brutti anatroccoli”, vale a dire, solo per fare alcuni esempi, il patrimonio archeologico pugliese, poco conosciuto e valorizzato, praticamente uno scrigno chiuso per i turisti; il patrimonio rupestre, costoso da restaurare e perciò abbandonato, i musei, chiusi o sottostimati, e così via. E invece si incanalano fondi ed energie sui cosiddetti “fuochi fatui”, eventi

I partecipanti alla tavola rotonda, da sinistra, Giancarlo Spadoni, caporedattore Tg3 Puglia, Paolo Migliori presidente di Sail Spa, Corrado Petrocelli Rettore dell’Università di Bari, Domenico Lomelo assessore all’Istruzione e Beni culturali della Regione Puglia, Domenico Di Paola amministratore unico Aeroporti di Puglia Spa, Raffaella Cassano ordinario di Archeologia classica dell’Università di Bari, Ruggero Martines sovrintendente regionale ai Beni culturali, Alessandro Isaia manager eventi culturali Olimpiadi di Torino 2006. Nell’altra pagina la Sala degli Affreschi del Palazzo Ateneo

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Amministrazione - Redazione: Via D. Nicolai, 39 - 70122 Bari Tel. 080/5214220 - Fax: 080/5234777 http://www.cacucci.it - e-mail: info@cacucci.it Librerie: Via B. Cairoli, 140 - 70122 Bari Tel. 080/5212550 - Fax: 080/5219471 Via S. Matarrese, 2/d - 70124 Bari Tel.-Fax: 080/5617175

NOVITA’ MAGGIO 2008 VINCENZO BAVARO

IL TEMPO NEL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO Critica sulla de-oggettivazione del tempo-lavoro

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consumistici come le feste in piazza, o alla moda come il trullishire (l’acquisto dei trulli da parte di stranieri), fenomeni che producono un vantaggio economico ed occupazionale solo temporaneo o stagionale. D’altronde gli eventi folkloristici o il mare sono fattori attrattivi importanti, ma che non possono garantire un turismo permanente. A ciò si aggiunga un altro dato: l’indotto del settore culturale in Puglia è esogeno, in altre parole sono perlopiù società non pugliesi ad organizzare gli eventi culturali di maggiore importanza! Un fatto, quest’ultimo, particolarmente mortificante, perché si ha la percezione che il primo ostacolo alla riqualificazione del nostro immenso potenziale culturale sia la scarsa conoscenza che ne abbiamo. Se a ciò si aggiungono l’esiguità di risorse finanziarie pubbliche e private (o forse solo il cattivo uso che se ne fa), l’assenza di dialogo tra un mondo culturale definito autoreferenziale e un mondo economico avvertito come scarsamente sensibile alla cultura, una disgregazione tra i soggetti operanti, pochi e scollegati tra loro, si ha già una chiara focalizzazione di alcuni dei fattori che contribuiscono a frenare lo sviluppo auspicato. Qual è allora la strategia suggerita perché la Puglia possa “vivere di cultura”? L’ideale sarebbe, prima di tutto, realizzare un continuo e prolifico confronto tra mondo culturale e mondo economico, un’interazione che conduca gli uni ad una maggiore apertura e gli altri a scommettere sugli investimenti culturali. Poi promuovere la conoscenza del nostro patrimonio e creare una solida coscienza sociale che ne garantisca la tutela, dal rispetto per l’ambiente alla lotta all’abusivismo; indispensabile creare un sistema integrato e reticolare tra i soggetti operanti, riprendere le attività di restauro e di catalogazione, valorizzare accanto ai beni materiali quelli immateriali (le tradizioni, i gusti, l’ospitalità); migliorare la qualità dei servizi offerti, destagionalizzarli, promuoverli e renderli fruibili attraverso un miglioramento della mobilità e delle infrastrutture; superare la

concezione del bene culturale da conservare “sotto vetro” e cominciare a considerarlo come “contenitore aperto”, da vivere; impegnarsi a creare uno sviluppo di qualità, sostenibile ed endogeno, che significa occupazione. Dovrebbe essere questo il profilo di una politica matura in grado di trasformare le potenzialità in risultati concreti. E non è un’utopia: esperienze similari sono state già realizzate con successo in altri territori, a cui noi dovremmo guardare come a dei modelli, pur nella consapevolezza di dover fare i conti con il nostro contesto. Interessante, per esempio, è stato l’intervento di Alessandro Isaia, che ha portato la sua esperienza di organizzatore delle Olimpiadi della Cultura di Torino 2006, illustrando la strategia seguita dalla città piemontese per valorizzare i propri beni culturali e trasformarli in pilastri dell’economia, anche oltre l’occasione costituita dalle stesse Olimpiadi. Tirando le somme dell’indagine proposta, si è arrivati alla conclusione che la Puglia possiede un immenso patrimonio culturale che potrebbe costituire una fonte di ricchezza straordinaria: i beni culturali sono il petrolio della Puglia! Le vie da seguire per sfruttarlo, per quanto impervie, sono state identificate ancora una volta. Ora c’è da chiedersi se esista un modo per passare dalle parole ai fatti. Che le parole abbiano una forza straordinaria è innegabile, ed è per questo che i risultati di questa indagine andrebbero forse divulgati anche oltre le quattro mura della Sala degli Affreschi dell’Ateneo, perché tutti prendano coscienza del paradosso in cui viviamo, ma anche delle possibilità di riscatto. Però, poi, una strada per passare dalle parole ai fatti ci deve essere, altrimenti si ha un gran bel daffare ad organizzare tavole rotonde, indagini e dibattiti, tutto è inutile se non c’è una volontà, forte, di realizzare i “sogni”.

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LIBRERIE & LIBRI / STORIA Il passaggio della proprietà del prestigioso palazzo di Piazza della Libertà allo Stato, ci offre l’occasione per ricordare alcune interessanti pagine della storia della Puglia e del capoluogo

Il Palazzo della Prefettura dal Comune allo Stato E’ stato ceduto in cambio l’area della dismessa Caserma Rossani. Chi ha fatto l’affare? Divampa la polemica sulla destinazione d’uso della nuova proprietà da ristrutturare e adeguare alle esigenze della comunità. Le caratteristiche architettoniche della costruzione, gli affreschi, il prezioso arredamento del “piano nobile”, gli eventi ospitati nel corso dei secoli. La memoria del lungo soggiorno del re Ferdinando II e la cerimonia per le nozze del principe ereditario Francesco con la principessa Maria Sofia Amalia di Baviera. Una monografia di Michele Cristallo di Adda Editore Dal 29 aprile scorso il Palazzo della Prefettura di Bari non è più proprietà del Comune, ma è stato acquisito al Demanio dello Stato. L’operazione, annunciata circa un anno fa, è stata perfezionata presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si è trattato di un baratto: Lo Stato ha ceduto al Comune di Bari l’area e le pertinenze della dismessa Caserma Rossani; il Comune ha ceduto allo Stato il Palazzo della Prefettura e la Chiesa Russa. Lo Stato a sua volta ha donato la Chiesa Russa alla Federazione della Russia, dando in tal modo attuazione ad un impegno assunto dall’allora presidente del Consiglio Prodi con il presidente Vladimir Putin in occasione del vertice Italia-Russia a Bari. In quella circostanza il presidente Putin rese omaggio alla tomba di San Nicola, particolarmente venerato nei Paesi dell’ex Unione Sovietica. La consegna della Chiesa Russa ha inteso così rinsaldare i rapporti di amicizia tra i due Paesi nel nome del Santo di Myra. Lo scambio Palazzo Prefettura-Caserma Rossani ha suscitato a Bari, negli ambienti politici e non aspre polemiche. I contestatori del baratto sostengono che nello scambio Bari ha ceduto un bene di grandissimo valore storico, architettonico e patrimoniale a fronte di un’anonima area, pur vasta e centrale, ma da ristrutturare per destinarla poi a ser-

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vizio della comunità. E sulla destinazione futura dell’area degli immobili è già in atto un dibattito con una buona dose di polemica. In effetti il Palazzo della Prefettura rappresenta una pagina importante nella storia di Bari e della Puglia. Non vogliamo entrare nella polemica circa la convenienza o meno dello scambio, ma cogliamo questa occasione per rileggere alcune pagine della vicenda storica barese che ha avuto come riferimento il prestigioso palazzo di Piazza della Libertà, tratte dall’opera monografica “Il Palazzo della Prefettura”, edito da Adda nel 1994 con testi di Michele Cristallo.

1806 BARI CAPITALE Sul finire del Settecento la Puglia non era rimasta indifferente alle vicende del periodo napoleonico e quando, il 15 febbraio del 1798, i Francesi entrarono in Roma e proclamarono la Repubblica, non furono pochi gli intellettuali che ritennero maturi i tempi per riscattarsi dall’oppressione borbonica. Il Regno delle Due Sicilie era in mano a Ferdinando IV il quale impose ai sudditi una leva forzosa per una inutile spedizione contro Roma. Il Borbone si rifugiò nella reggia di Caserta per lanciare una serie di proclami ai sudditi perché si armassero per scacciare i francesi invasori. La situazione, però, precipitò rapidamente e nel dicembre dello stesso anno Ferdinando IV dovette rifugiarsi in Sicilia. Le truppe del generale Championnet entrarono a Napoli. Nacque così la Repubblica partenopea. Gli eventi coinvolsero anche la Puglia e in molti Comuni fu piantato il cosiddetto “Albero della libertà”. Ma il sogno di dare vita a un grande moto di unità nazionale durò pochi mesi. “Quel manipolo di intellettuali esponenti della grande tradizione filosofica e letteraria dell’Italia Meridionale, non ebbero la collaborazione convinta dei ceti popolari ostili alle novità, dominati dall’ignoranza e dalla miseria, facile preda delle bande sanfediste del cardinale Ruffo che Ferdinando IV aveva armato dalla Sicilia.


Il Palazzo della Prefettura che si affaccia su Piazza della Libertà. Accanto, il salone al piano nobile dell’edificio Il cardinale Ruffo dalla Puglia marciò verso Napoli dove preparò il ritorno di Ferdinando IV. Ma l’ascesa di Napoleone pose il Borbone in una situazione di isolamento, tant’è che Ferdinando fu costretto ancora una volta ad abbandonare Napoli e scappare in Sicilia. Il 15 febbraio del 1806 fece il suo ingresso in Napoli Giuseppe Bonaparte che il 30 dello stesso mese fu incoronato re di Napoli e delle Due Sicilie. Ebbe inizio così il decennio francese. Un decennio connotato da un processo di profonde riforme. Anche per Bari ebbe inizio una nuova stagione che avrebbe fatto del piccolo borgo marinaro una delle città più importanti e progredite del Meridione. Con la legge dell’8 agosto 1806 Giuseppe Bonaparte divise il territorio del Regno in Province, Distretti e Comuni. Con decreto emanato due giorni dopo designò Bari quale capoluogo di provincia al posto di Trani. Il nuovo ordinamento amministrativo prevedeva, nel capoluogo, la presenza di un Intendente, prima autorità della Provincia. Si creò in tal modo la necessità di un Palazzo dell’Intendenza. Il parlamento cittadino non esitò a deliberare la disponibilità a qualunque spesa necessaria per la sede dell’Intendenza. Ma il problema non era di facile soluzione. La spesa preventivata era ingente e il Decurionato non aveva ancora individuato le fonti

di finanziamento. Non solo, ma Bari rischiò di perdere l’etichetta di capoluogo di provincia. Nel luglio del 1808 Giuseppe Bonaparte ottenne dal fratello Napoleone la corona di Spagna. Sul trono di Napoli si insediò Gioacchino Murat, marito di Carolina Bonaparte, sorella dell’imperatore. Ebbene Murat con decreto del 26 settembre del 1808 dispose che la sede dell’Intendenza fosse Trani. Bari si ribellò e il re fece marcia indietro: con decreto del 7 novembre “riportò” a Bari la sede dell’Intendenza. La paura servì da stimolo per accelerare i tempi. Il Comune chiese e ottenne la concessione del Monastero di S. Domenico che, con la soppressione degli ordini religiosi s’era reso libero. Ebbe così inizio la fase di ristrutturazione che fu molto travagliata a causa di una serie di ostacoli di ordine burocratico, finanziario e tecnico e di infiniti contenziosi nel corso dei lavori che durarono anni. Gran parte dei lavori furono eseguiti tra il 1815 e il 1830. l’epoca nella quale era vivacissimo il dibattito intorno al piano di fondazione della città nuova elaborato dall’architetto Giuseppe Gimma. E il primo problema che si presentò ai progettisti della ristrutturazione del monastero dei Domenicani fu quello di integrare l’immobile nel tessuto urba-

nistico particolare che in quella zona si andava configurando: la città vecchia da una parte, il borgo murattiano dall’altra che cominciava a prendere fisionomia con costruzioni che facevano del Corso Ferdinandeo (l’attuale Corso Vittorio Emanuele II) il “cuore” della città nuova. Nel 1835 il Palazzo dell’Intendenza era ormai pronto. Ma non era stato ancòra costruito il piano superiore che fu completato nel decennio 1855-1865. La fisionomia del Palazzo ne risultò profondamente modificata, in meglio, ovviamente e in linea con le mutate esigenze dell’Intendenza prima e della Prefettura dopo. Negli anni precedenti, come abbiamo detto, alle difficoltà di ordine tecnico e finanziario, s’era aggiunto un lungo contenzioso tra il Comune e la Provincia sia sulla proprietà dell’immobile, sia sulle spese di manutenzione. La vertenza si sarebbe conclusa all’inizio del nuovo secolo. Infatti, nel dicembre del 1887 (era sindaco l’on. Giuseppe Capruzzi) il Comune chiese che il tribunale condannasse la Provincia a rilasciare l’intero palazzo con tutti i mobili esistenti, nonché a versare nelle casse comunali le somme lucrate per l’affitto di alcuni locali del palazzo e a pagare un adeguato corrispettivo per l’uso trentennale dell’immobile. E’ utile ricordare che dall’epoca della istituzione dell’Intendenza, all’indomani dell’unità d’Italia le rifor-

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me avevano modificato il quadro dell’ordinamento amministrativo per cui il palazzo di Piazza della Libertà era stato occupato dalla Provincia che vi aveva allocato gli Uffici del Provveditorato agli Studi, della Questura e dell’Ispezione di Pubblica Sicurezza. Un’altra ala era occupata dalla Prefettura. La Provincia ne rivendicava la proprietà sostenendo che da oltre mezzo secolo curava la

il torrione con l’orologio. Il tipico rosso pompeiano alternato al bianco offre un colpo d’occhio gradevole, in armonia con il contesto della piazza sulla quale si affacciano anche il Teatro Piccinni e il Palazzo di Città. Il pezzo pregiato della costruzione è il “piano nobile” dove hanno sede gli uffici del Prefetto, le sale di rappresentanza, l’appartamento del

Il re Ferdinando II (1830-1859) e il figlio Francesco II (18591860) e la consorte Maria Sofia di Baviera manutenzione del palazzo, ne pagava le imposte fondiarie, aveva provveduto a completare il secondo piano e a ristrutturare numerosi locali e che il Comune non aveva mai contestato “l’esercizio del più assoluto e completo dominio da parte della Provincia.” Come abbiamo detto, il contenzioso fu lungo e complesso. Nonostante la ripresa delle ostilità da parte del sindaco Capruzzi nel 1887, il Comune di Bari dovette attendere ancora qualche decennio prima di vedersi riconoscere il diritto di proprietà del palazzo. VISITA AL PALAZZO Il complesso ha le connotazioni tipiche dell’architettura ottocentesca. La facciata è scandita da una cortina tessuta dalle cornici che segnano la divisione dei piani e delle finestre tompanate. Il tutto è inquadrato da contrafforti angolari e dal cornicione terminale al di sopra del quale svetta

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“Presidente” e l’alloggio del Prefetto. Il cuore del piano nobile è il grande salone delle cerimonie ufficiali, di raffinata sobria eleganza, curato in ogni dettaglio: dal pavimento in marmo chiaro pregiato, al soffitto dipinto, ai preziosi lampadari, ai damaschi, alle preziose sete che adornano le pareti, alle preziose consolles opera di artisti del Settecento, alle specchiere,al policromo racconto nelle allegorie dei medaglioni. Questo salone nel corso degli anni ha ospitato lo sfarzo delle feste dei Borbone, dei Savoia, i pomposi ricevimenti del regime fascista, le celebrazioni della nascita della Repubblica, i vertici tra capi di Stato e di Governo italiani con Paesi amici dell’Italia. L’ultimo, in ordine di tempo quello tra Prodi e Putin. Le decorazioni del salone, compresi gli affreschi, furono eseguiti verso la fine degli

anni Trenta da Mario Prayer, torinese, trapiantato a Bari nel 1915 (suoi anche gli affreschi dell’Aula Magna del Palazzo Ateneo). Tra i mille avvenimenti, grandi e piccoli, che hanno scandito la secolare vita del Palazzo della Prefettura ricordiamo il lungo soggiorno del re Ferdinando II, dal 27 gennaio al 7 marzo del 1859. Bari, nel corso della sua millenaria storia, di sovrani ne aveva ospitati parecchi, ma la visita di Ferdinando II fu talmente sentita e vissuta dalla popolazione perché in quei mesi la città fu la capitale del Regno delle Due Sicilie. Ferdinando era già stato numerose altre volte in visita a Bari. Ma in quel gennaio 1859, giunse con tutta la famiglia reale e buona parte della corte per accogliere la principessa Sofia Amalia di Baviera, promessa sposa del principe ereditario Francesco duca di Calabria. La città si vestì a festa. L’arrivo del re fu salutato dalla folla con grande entusiasmo. Era sera e la città tutta era illuminata, ricorda lo storico barese Giulio Petroni “dal gran bagliore che si spandeva dalla miriade di lumi scintillanti ed aggruppati”. Le nozze tra il principe Francesco e Maria Sofia furono celebrate il 3 febbraio nel salone delle feste dove era stata allestita la cappella. Erano presenti la regina Mia Teresa, l’arciduchessa di Baviera Maria con l’arciduca Guglielmo, i Ministri, i Capi di Corte, i Gentiluomini di Camera, i Capi di Corte, gli Aiutanti Generali, il seguito di Arciduchi, Arcivescovi e Vescovi. Assente il re Ferdinando II il quale si era ammalato. E lasciò Bari in barella, il 7 marzo, dopo 40 giorni di soggiorno, dopo aver consegnato all’Intendente 120 ducati per i poveri di Bitonto e 2.000 ducati per i poveri di Bari e delle città vicine. Si imbarcò sullo stesso piroscafo che aveva portato a Bari la principessa Maria Sofia Amalia. Il re morì il 22 maggio. Non aveva ancora 50, aveva regnato per 29 anni. Il successore Francesco II sarebbe stato travolto dagli eventi che nel 1861 portarono all’Unità d’Italia. Cl.Se.


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MEDICINA

Più folti più belli Prima e dopo il trapianto

Tra medicina ed estetica, bellezza e benessere psichico, il trapianto dei capelli oggi appare l’unico mezzo idoneo a risolvere il problema della calvizie che solo nelle forme più lievi può beneficiare di cure farmacologiche. Ne parla il prof. Michele Roberto che da oltre dieci anni, a Bari, pratica nel suo centro questo tipo di intervento dal risultato certo e definitivo. Specializzato in Otorino e patologia cervico-facciale, il prof. Roberto effettua anche interventi di chirurgia estetica funzionale rino-cervico-facciale e utilizza nuove tecniche e metodologie nella prevenzione e trattamento dell’invecchiamento cutaneo. Costi, tempi e modalità di intervento. nelmese - 5/2008 - 16

di Marisa Di Bello

C’è un problema che affligge un gran numero di persone, in prevalenza uomini, spesso in età molto giovane, ed è la calvizie. Le varie pubblicità che propagandano risultati clamorosi sull’infoltimento del cuoio capelluto sono ingannevoli per il semplice motivo che, una volta atrofizzatosi il bulbo pilifero, nessun tipo di cura è in grado di ripristinarne la vitalità. Ecco perché, l’unica soluzione, quando si vogliano curare tutte le forme di alopecia, è l’autotrapianto monobulbare che consiste nel prelevare un certo numero di bulbi capilliferi dalle zone nucali e temporali per impiantarle in quelle che ne sono prive. In tal modo, i capelli trapiantati che appartengono allo stesso soggetto non cadranno più e saranno attivi tutta la vita, crescendo con lo stesso ritmo degli altri capelli. Questa tecnica che è considerata di “elezione”, proprio perché si tratta di trapianto autologo, cioè inerente allo stesso soggetto, garantisce una percentuale di attecchimento dei bulbi impiantati del 90-95%, con sedute che consentono di impiantare fino a 4000 - 5000 capelli per volta. Ogni seduta dura dalle 4 alle 5 ore e viene effettuata in anestesia locale. Il notevolissimo successo di questa metodica si basa sulla scoperta di Orentreich della teoria della “donor dominance” del bulbo capillifero. Secondo questa teoria i capelli mantengono la “memoria” della zona donatrice, per cui una volta impiantati in altra zona, continuano a crescere allo stesso modo della loro provenienza originale, non essendo più sensibili all’azione ormonale. Tra i pochissimi al Sud, ad effettuare questo tipo di intervento è il prof. Michele Roberto che opera a Bari e da oltre dieci anni è membro della ISHR, Società di Cura e Chirurgia della calvizie, fondata nel 1996, in occasione del 1° congresso sulla calvizie


Il prof. MICHELE ROBERTO, Medico chirurgo, Chirurgia estetica cervico-facciale, Otorinolaringoiatria, è nato a Molfetta. Studi: a Bari, Corso Cavour, 130 tel.080 5247933 e a Milano in Via Borghetto, 1 tel. 338 9268550. 1962, diploma di maturità classica presso l’Istituto Di Cagno Abbrescia di Bari. 1968, Laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Bari con 110/110 e lode. 1969, vincitore del premio “Lepetit” per la migliore dissertazione di laurea. 1971, specializzazione in Otorino e patologia cervico-facciale presso l’Università di Bari, con 50/50 e lode. 1972 e 1973, vincitore di un premio di operosità didattica e scientifica presso l’Università. 1994, Docente di Tecnologie Biomediche, Università di Bari. Dal 1998, Direttore Unità Operativa Otorino III Policlinico Bari. Pratica da oltre 10 anni la chirurgia della calvizie, concentrandosi in special modo sulle tecniche di autotrapianto con mini e micro-graft. In tal senso è stato tra i soci fondatori della Società Italiana di cura e chirurgia della Calvizie (Italian Society of Hair Restorafatto in Italia e che si tiene ogni anno per informare correttamente sull’argomento. Vi partecipano specialisti di fama internazionale appartenenti a varie branche della medicina (dermatologi, chirurghi plastici, otorinolaringoiatri ecc.), proprio perché questo tipo di intervento richiede competenze multidisciplinari. Il prof. Roberto, infatti, è specializzato in Otorino e Patologia Cervico-facciale e docente di Tecnologie Biomediche all’Università di Bari, cosa che gli consente un complesso di conoscenze necessarie per affrontare i vari aspetti del problema non soltanto per quanto attiene al trapianto dei capelli, ma anche in tutti quegli interventi di cura e di chirurgia estetica che pratica da molti anni, rinoplastica, ringiovanimento cutaneo, lifting e altro. Su questi argomenti che suscitano interesse in gran parte del pubblico, abbiamo chiesto al prof. Roberto particolari sul modo più idoneo per accostarsi al problema e per quanto riguarda la calvizie e per quanto riguarda i vari trattamenti di estetica per prevenire e curare l’invecchiamento cutaneo. Prof. Roberto, quali sono le in-

tion) di cui è stato Presidente per gli anni 2006 e 2007. 2008, coordinatore delegazione per il Sud per conto dell’Associazione Italiana ORL (AICEF) Chirurgia estetica funzionale rino-cervico-facciale. Soggiorni all’estero 1976-77, Clinical Instructor and Research Fellow presso il Department of Otolaryngology, University of Syracuse, N.Y. 1982, Research Fellow presso il Callier Center, University of Texas a Dallas 1986-1988-1993 Visiting Professor presso il Manhattan Hospital New York Membro delle seguenti Società: - Italian ORL Association of Facial Plastic Surgery; - European Academy of Facial Surgery; - Italian Society of Hair Restoration. E’ stato Presidente Rotary Bari Sud 1998-1999. Hobby: da anni si dedica all’arte fotografica e in tal senso ha pubblicato Teatri di Puglia (ed. Adda), Teatri preziosi e stravaganti (ed. Motta); Il rosso e l’oro (ed. Adda) sulla ricostruzione del Petruzzelli. E’ Presidente dell’Associazione culturale “La Corte fotografia e ricerca”. E’ giornalista pubblicista.

Il prof. Michele Roberto, figlio del prof. Vincenzo, primo libero docente di Puglia, fondatore con il prof. Lugli della Clinica Otorino della Facoltà di Medicina dell’Università di Bari dicazioni di utilizzo dell’autotrapianto? “Le richieste di trattamento medico o chirurgico sono: 1) alopecia androgenetica (la comune calvizie) che rappresenta circa l’80-90% delle richieste. 2) cicatrici di pregressi interventi cranici, neurochirurgici, da ustioni o da traumi che rappresentano il 2-4%. 3) sedi ectopiche (pube, sopracciglia etc.) l’1-2%. 4) alopecia femminile (1-2%)”. Allora, professore, possiamo finalmente offrire speranze certe a chi è afflitto da

calvizie? “Dopo tanti finti rimedi e pubblicità ingannevoli, possiamo indicare nell’autotrapianto dei capelli la soluzione certa per risolvere il problema che non è soltanto di carattere estetico, ma presenta grandi implicazioni di carattere psicologico per chi ne è affetto”. A quali finti rimedi fa riferimento? “Mi riferisco a quelle cure pubblicizzate come miracolose o all’impiego di parrucchini che, utilizzando anche delle colle e chiudendo i pori, possono aggravare la situazione. Si tratta comunque di rimedio che può essere riservato a casi estremi come ad esempio calvizie totale, debilitazione fisica etc.. Non parliamo poi dell’impianto di capelli sintetici che, oltre a provocare spesso fenomeni di rigetto, essendo dei corpi estranei all’organismo, sono destinati a cadere nel giro di pochi anni. Per tali motivi, in America questo tipo di impianto è vietato per legge”. Il trapianto che lei effettua con gli stessi capelli del soggetto con problemi di calvizie perché garantisce risultati certi?

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“Perché appunto non si tratta di elementi estranei al soggetto e il bulbo pilifero prelevato dalla nuca o dalle zone temporali, impiantato sulla parte calva ,mantiene la ‘memoria genetica’ del luogo di origine e continua normalmente la sua crescita per tutta la vita”. Quando e a chi consiglia di affrontare l’intervento? “Non prima dei 28-30 anni, l’età in cui l’andamento della calvizie è evidente. Cerco di dissuadere i

mastoplastica etc.) Un costo abbastanza contenuto, se si pensa che offre un risultato definitivo”. Da quello che si può vedere, sembrerebbe essersi abbassata molto l’età in cui si profila questo problema. Da che dipende? “Le cause possono essere tante. Inquinamento, alimentazione sbagliata, stress, uso di phon troppo caldi sono tutte

Il prof. Michele Roberto e la sua équipe giovani dai 18 ai 25 anni, proprio perché, non conoscendo ancora l’andamento del fenomeno, rischiano interventi poco appropriati. E’ comunque indispensabile far precedere l’intervento da un’indagine sui genitori perché quasi sempre la calvizie deriva da cause ereditarie”. Ci sono quindi giovanissimi che si rivolgono a lei? “Direi che sono i soggetti che più risentono del problema, ma io cerco di dissuaderli per i motivi che ho detto, perché non sono soggetti stabili né per quanto attiene la calvizie, né sotto un profilo psicologico. La fascia d’età che richiede questo tipo di intervento va fino ai cinquant’anni. A sessanta è più raro”. Quanto costa un intervento di trapianto? “Come un comune intervento di chirurgia estetica (rinoplastica,

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cause scatenanti ma non determinanti. Alla base c’è sempre un fattore ereditario e ormonale. Se è infatti un problema prevalentemente maschile, è perché il testosterone crea un enzima particolare nel bulbo pilifero, il D.h.t, che lo distrugge, provocando cioè una particolare forma di atrofia del bulbo”. Ci sono popolazioni in cui questo fenomeno è poco evidente. Per esempio, quando sono sbarcati i primi albanesi, la cosa che più saltava agli occhi erano le loro folte capigliature. Da che dipende? “Dipende dal fatto che ci sono cause genetiche e razziali, oltre che ambientali, alla base del fenomeno. Anche tra i neri e i cinesi, ad esempio, si registra poco questo fenomeno che tra gli europei e nel continente

americano è molto diffuso”. Per chi ha problemi di capigliatura rada cosa consiglia? “Se ci sono gli spazi per poter effettuare il trapianto, si può intervenire per un infoltimento, altrimenti ci sono ottimi medicinali che, presi per lungo tempo, servono ad irrobustire bulbi e capelli miniaturizzati destinati col tempo a cadere. Si tratta di due farmaci, la Finasteride che si assume per via orale e il Minoxidil che si usa come lozione. Sono cure non mutuabili dal costo comunque abbastanza contenuto che non va al di là dei 30-50 euro al mese”. Sono farmaci indicati anche per le donne? “No. Sono prevalentemente maschili, ad eccezione del Minoxidil, anche se la donna ha un problema diverso in cui concorrono cause genetiche e, più raramente, alterazioni ormonali come nel caso di disendocrinopatie”. Passiamo ora all’altro settore in cui lei opera, la chirurgia estetica funzionale rino-cervico-facciale”. Quale intervento è maggiormente richiesto e da chi? “L’intervento di chirurgia estetica più richiesto è quello di rinoplastica, prevalentemente da giovani dai 18 ai 30 anni, per due terzi donne e per un terzo maschi. E’ raro che venga richiesto più avanti negli anni. Questo tipo di intervento è tra i più antichi al mondo e il primo a praticarlo è stato nel mille a.C. un medico indiano, Susruta. Si trattava ovviamente non di ricostruzione ma di ricoprire con un lembo di pelle prelevata dalla fronte dello stesso soggetto la cavità che si creava dopo il taglio del naso, punizione riservata a ladri e prostitute. Una pratica ripresa nel Rinascimento dal Tagliacozzi, professore di anatomia a Bologna, per ripristinare questo tipo di mutilazione che colpiva quasi sempre coloro che si sfidavano a duello. Infatti, nel campus universitario di quella città, una statua lo rappresenta con un naso in mano”. Oltre alla rinoplastica, quale intervento è richiesto dai giovani? “La correzione delle orecchie a sventola. Ma qui si può intervenire


prestissimo, anche verso i sei-sette anni”. Un tipo di intervento estetico che lei pratica da molti anni è anche il lifting. A che età sarebbe opportuno farlo? “Certamente non prima dei 40 anni, ma qui giocano molto i fattori soggettivi e il tipo di pelle. Ci sono persone che anche oltre i 50 non hanno bisogno di alcun intervento”. E per chi non vuole sottoporsi

Una di queste è la biostimolazione che è un insieme di procedimenti utili a riattivare biologicamente le funzioni rigeneranti della pelle e in particolare la produzione di collagene tipo III, elastina e acido jaluronico. Questo viene fatto iniettando nella cute sostanze ricche di fattori di crescita”. Cosa sono e dove si trovano questi fattori di crescita che servono al ringiovanimento

Un esempio di rinoplastica, l’intervento di chirurgia estetica più richiesto per due terzi dalle donne alla chirurgia, qual è l’alternativa? “Oggi abbiamo a disposizione tecniche nuovissime per la prevenzione e il ringiovanimento cutaneo.

cutaneo? “La tecnica della biostimolazione utilizza il plasma e le piastrine che trattate in maniera adeguata vengono reiniettate nel derma del paziente.

Il trattamento ha lo scopo appunto di rigenerare la cute invecchiata e danneggiata. Il plasma è ricco di fattori di crescita ed è usato da vari anni nel campo della chirurgia orale, negli impianti dentali, in chirurgia ortopedica, in chirurgia plastica , con riduzione dei tempi di recupero. Si tratta di una biostimolazione autogena”. Ogni quanto tempo il trattamento deve essere ripetuto? “E’ sufficiente due volte l’anno”. E per quanto riguarda le macchie d’età, i capillari e le fini rughette del volto, cosa si può fare? “In questo campo viene in soccorso la nuova tecnologia della luce pulsata che ha aperto esaltanti possibilità, migliorando anche la trama e la consistenza cutanea, senza causare effetti collaterali. Si tratta di luce ad ampio spettro che stimola la formazione di collagene, rendendo la pelle più elastica e chiara. Invece, il trattamento con il laser permette il miglioramento di tutte le altre irregolarità cutanee. Altri trattamenti sono poi quelli per le macchie melaniche, il peeling esfoliante che stimola la rigenerazione del tessuto, il mesobotox, una miscela di aminoacidi e tossina botulinica, i fillers e la tossina botulinica, tutti interventi finalizzati alla correzione degli inestetismi e dell’invecchiamento cutaneo”. Marisa Di Bello

La passione della fotografia Bellezza chiama bellezza e forse è quasi consequenziale che chi opera in questo settore, anche nel tempo libero ne coltivi e ne apprezzi tutti gli aspetti. E cosa più dell’arte li rappresenta tutti? Arte nei monumenti, nell’architettura, arte del passato e del presente che la macchina fotografica del prof. Michele Roberto immortala sulla pellicola e propone in raffinati volumi. La fotografia come passione che lo vede nella doppia veste di autore e di collezionista gli fa prediligere particolarmente i temi legati all’ambiente e ai beni culturali. Presidente dell’Associazione Culturale “La Corte – Fotografia e Ricerca”, tra i lavori più importanti cui si è dedicato, le mostre ‘New York’ a Milano, una rassegna dedicata alla città di Bari, e una personale sui lavori di restauro della Basilica di San Nicola, al Castello Svevo dove ha sede l’associazione che ogni anno organizza un certo numero di mostre dedicate al territorio. Altro grande interesse quello per le architetture teatrali da cui sono nati i volumi ‘Teatri di Puglia’ edito da Adda, con testo di Michele Cristallo e prefazione di Giuseppe Gorjux, e ‘Il rosso e l’oro’ in cui, in collaborazione con la Sovrintendenza per i Beni Culturali di Puglia, ha documentato le varie fasi di restauro del Teatro Petruzzelli. Particolare per originalità oltre che per la bellezza dei soggetti, ‘Teatri – preziosi e stravaganti’ realizzato per la Provincia di Milano . Qui si può constatare come la fantasia nell’arte non conosce limiti e si scopre, ad esempio, che all’Aquila un teatro è stato ricavato in una chiesa e che a Brindisi ne esiste uno sospeso su ruderi romani. E ce ne sono di non meno originali ricavati nella rocca o in un hotel o nella cappella di una villa antica. Tutti esemplari unici che il tempo e la cura di chi è preposto alla conservazione di questi beni ha tramandato intatti nella loro bellezza fino ai nostri giorni. (m.d.b.)

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MEDICINA / NEL MONDO DEI CIECHI / 2.

Emozioni subacquee per non vedenti

Creata l’Associazione Albatros per ricordare Paolo Pinto il nuotatore di fama internazionale. Consolidata la metodica di insegnamento

di Daniela Mazzacane Paolo Pinto è stato uno dei più grandi nuotatori a livello nazionale ed internazionale. Ha vissuto i suoi ultimi anni di vita da non vedente e così dopo la sua scomparsa avvenuta nel dicembre 2004, la moglie Angela Costantino Pinto decise di fondare l’Associazione Albatros. Come nasce l’Associazione? “Volevo che il nome di Paolo restasse vivo nella memoria di chi lo ha amato ma soprattutto l’obbiettivo principale era quello di far conoscere Paolo e le sue imprese anche ai più giovani. Così nel gennaio del 2005 con un gruppo di amici creammo l’associazione, con scopi sociali, morali, sportivi, ludici e ricreativi e nel giugno dello stesso anno venne realizzato al Cus Bari il primo ‘Trofeo Paolo Pinto’ nel quale sono stati coinvolti ottocento atleti esibitisi in gare di nuoto a staffetta”. Da dove proviene invece l’idea di affiancare “Albatros” ad “Emozioni Subacquee”? “Subito dopo il ‘Trofeo Paolo Pinto’ io e due dei soci fondatori dell’associazione, Matteo Lorusso, preparatore atletico di Paolo ed Enzo Lotito, decidiamo di partire per le Isole Tremiti, per effettuare un corso di immersione subacquea. L’istruttore del corso, Manrico Volpi, durante quella settimana ci parlò di immersioni subacquee per ragazzi non vedenti e ci fece visionare un filmato di un corso realizzato all’Isola D’Elba in un progetto di elaborazione di una

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nuova metodologia didattica per l’insegnamento. In quel momento pensando a Paolo non vedente negli ultimi anni di vita e associando la sua passione per il mare nacque l’idea di creare ‘Emozioni Subacquee per non vedenti’. Sono stati tanti i ragazzi non vedenti che si sono avvicinati da subito a questa nuova realtà. E così siamo partiti con il primo corso che si è svolto a Bari per poi continuare con Gallipoli, Taranto e Venezia. Si è creato un gruppo di ragazzi molto affiatato che ancora oggi segue tutti i nostri itinerari”. E’ ancora raro oggi trovare questa metodica di insegnamento o si sta già diffondendo? “Oggi questa metodica può vantare un periodo di applicazione ormai consolidato con tanto di standard, supporti didattici, manualistica pubblicata e diversi corsi già effettuati con ragazzi non vedenti, con il pieno successo di tutti i partecipanti, comprese immersioni particolari come quelle sotto i ghiacciai. A sancire tutto questo, il prestigioso riconoscimento della CMAS Confederazione Mondiale Attività Subacquee, ottenuto da Albatros come ideale sigillo di qualità e innovazione. Infatti grazie a questo riconoscimento e al contributo della Provincia di Bari sono stati promossi corsi di formazione effettuati dall’Istituto Osservatori Radar per istruttori e guide subacquee di sub non vedenti e il merito della realizzazione effettiva dei corsi va ascritto soprattutto alla persona di Nicola Fracasso direttore dell’Istituto Osservatori Radar della Provincia di Bari.

Paolo Pinto e nell’altra pagina, in una delle sue epiche traversate. Accanto, l’immersione della subacquea non vedente Elisabetta Franco accompagnata dal suo istruttore Manrico Volpi. In basso, Angela Pinto


L’avv. Paolo Pinto nato a Bari nel 1937, è stato legale dell’Inail per 37 anni, si è dedicato allo sport fin da ragazzo praticando oltre al nuoto anche l’atletica leggera e la pallacanestro. La sua attività natatoria ebbe inizio in piscina presso il CUS Bari dove egli si distinse fino al 1974. Si dedicò poi al nuoto di gran fondo. Le tappe principali del suo curri-

Agosto 1979: primo italiano ad aver attraversato il Canale della Manica, 41 km, 7000 bracciate in 16 ore, record migliorato nell’agosto 1982 in 11 ore e 40. Gennaio 1982: gara internazionale 24 ore di nuoto nella piscina olimpica di Bruxelles, km. 64.500, nuovo record del mondo, primato italiano assoluto e 5° tempo mondiale di ogni epoca. Giugno 1983: Corsica Elba in 26 ore 33 minuti 107mila

Con il nuoto superato il “limite”

culum di nuotatore sono: attività natatorie in piscina: dal 1961 al 1972, campione e primatista sulle distanze dai 200 ai 1.500 stile libero. Il primato dei 1.500 sl è rimasto imbattuto per 9 anni. Per 3 volte capitano della squadra pugliese di nuoto nel triangolare Puglia-Calabria-Sicilia. Campione italiano di pallanuoto serie promozione con la squadra del CUS Bari. Traversate a mare: 20 settembre 1975: primatista italiano assoluto della traversata dello Stretto di Messina a sl da Punta Faro a Canitello in 36 minuti 42 secondi 3 primi. Gennaio 1978: unico nuotatore ad aver compiuto la traversata invernale dello Stretto di Messina a corpo nudo, secondo le regole della C.S.A. in acqua a temperatura -7° in 52 minuti. Ripetuta ancora una volta per festeggiare il millennio a gennaio del 2000 a ben 64 anni. Luglio 1979: attraversa il canale d’Otranto da Castro a Fanos, prima isola greca in 40 ore 43 minuti, 80 km, 45 miglia, record del mondo di permanenza in mare.

bracciate. Settembre ‘85: Stretto di Gibilterra in 5 ore 33 minuti. Dicembre 1988: avventura ecologica insieme al giornalista Mino Damato in Patagonia nella Terra del Fuoco nuotando con le balene, leoni marini e pinguini. Luglio 1989: nel lago Ontario primo record italiano delle 24 ore di nuoto. Ha nuotato senza nessuna protezione a Cavalese in un lago ghiacciato durante i campionati di sci nordico per una pubblicità alla Rai, nelle isole Azzorre, nell’Artico e nell’Antartico, con le balene e le foche, nel corso di manifestazioni internazionali finalizzate alla campagna per la conservazione di queste specie animale. Avvocato, giornalista e scrittore, Paolo Pinto ha collaborato per diversi anni con il giornalista Mino Damato, le reti Rai tv, con altre televisioni, con la Gazzetta del Mezzogiorno e altre testate giornalistiche. E’ scomparso nel 2004 a 64 anni. (d.m.)

Ho già conosciuto Elisabetta in occasione di una serata di premiazione dell’associazione “Albatros Progetto Paolo Pinto” che io ho presentato. Era li tra quei ragazzi tutti non vedenti che avevano partecipato al primo corso di immersione subacquea. Ricordo di aver avuto una sensazione di ammirazione nei loro confronti perché erano cosi normali da non far trasparire alcun disagio, perché forse a differenza nostra che ci riteniamo normali, loro normali lo sono veramente. Ho percepito la gioia sincera di essersi riuniti tutti insieme per festeggiare un traguardo che per alcuni di loro era solo utopia. Ma non per Elisabetta che è sempre stata una persona tenace e ha deciso di fare del suo “limite” una marcia in più. Elisabetta Franco nasce 36 anni fa, vedente. All’età di tre anni contrae un’infezione da un gatto che si rivela letale per i suoi occhi. La malattia si chiama “uveite” perché colpisce l’uvea, la parte retrostante dell’occhio che tramite vasi sanguigni apporta nutrimento all’occhio. Perde subito l’occhio destro perché i medici non individuano la malattia. Poi capiscono di che cosa si tratta e iniziano a curarla

I RECORDS

Le sensazioni ed emozioni in mare di una giovane non vedente di Daniela Mazzacane

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Paolo Pinto durante un allenamento con il suo preparatore atletico Matteo Lorusso adeguatamente, consentendole di continuare a vedere con l’occhio sinistro, ma un glaucoma aggrava progressivamente la situazione e così perde definitivamente la vista nel 1997. Come hai conosciuto l’associazione “Albatros”? “Ho sempre avuto la passione per il mare. Con il mio amico Alessandro abbiamo parlato di un corso da sub per non vedenti che si teneva alle Cinque Terre. Volevamo andarci. Ma poi Alessandro che è consigliere del Cip tramite Beppe Strippoli ha conosciuto Angela Pinto che proprio in quel periodo stava organizzando a Bari il primo di questi corsi. I miei non erano d’accordo e anch’io avevo un po’ paura, ma poi ho deciso di imbarcarmi in questa avventura e oggi ho già conseguito il terzo livello”. Come è stato l’approccio con questa nuova realtà? “La prima immersione l’abbiamo fatta in piscina. Il primo approccio non è stato positivo soprattutto per la muta che inizialmente non sopportavo. Poi il contatto con il mare mi ha fatto vincere la paura, ho provato delle sensazioni diverse e una forte emozione nel passare dalla dimensione dell’aria a quella del mare. Il secondo livello lo abbiamo conseguito a Torre Guaceto la riserva naturale in provincia di Brindisi. E proprio a Torre Guaceto abbiamo sperimentato il primo Tran-

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setto Subacqueo per non vedenti che tecnicamente è la mappatura dei fondali praticato dai biologi marini che consiste nell’esplorare una determinata area. Tengo a dire che le immersioni nelle riserve naturali sono precluse ai non vedenti dagli ambientalisti, i quali ritengono che un non vedente potrebbe danneggiare con il tatto la flora marina, ma la nostra preparazione ci consente di capire come avvicinarsi al fondale”. Parlami invece della terza dimensione dell’attività subacquea e in che cosa consiste? “L’immersione è qualcosa di straordinario, la sensazione di fluttuare ti svuota la mente, quando poi è fatta in gruppo si crea un contesto di divertimento e di integrazione. Tutte queste sensazioni diventano ancora più intense quando l’immersione viene fatta in apnea. Io sono stata la prima ad immergermi in apnea durante i giochi mondiali della CMAS la Confederazione Mondiale Attività Subacquea.L’immersione in apnea esige una grande preparazione ma ti ripaga con un concentrato di emozioni. Quando sei sotto in apnea esisti solo tu e il tuo respiro e avverti una condivisione con te stesso, tutte le sensazioni diventano più forti”. Qual è la finalità di tutto questo? “Dal primo corso cominciato nel 2006 siamo partiti subito facendo turismo subacqueo all’isola d’Elba. La finalità è di raggiungere un grado tale di autonomia che ci consenta di andare da soli in vacanza in qualsiasi posto del mondo dove si praticano immersioni subacque”. Qual è oggi il tuo rapporto con Angela Pinto? “Considero Angela come una sorella, ci ha presi per mano e ci ha portati in questa bellissima avventura creando questo team rafforzato da un’amicizia che va al di là di tutto. Lei ha condiviso con noi gli insegnamenti e l’esperienza di Paolo che purtroppo non abbiamo avuto la fortuna di conoscere personalmente ma solo attraverso i suoi racconti e i suoi filmati”. Daniela Mazzacane


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SPETTACOLI

Arte & Finanza La Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia ha cofinanziato l’allestimento dell’opera mozartiana “La clemenza di Tito”, inserita nel calendario della stagione lirica della Fondazione Petruzzelli. Intelligente intesa per interventi nel settore culturale

Con soddisfazione si registra anche a Bari una sinergia da più parti e da lungo tempo invocata tra pubblico e privato, tra istituzioni artistiche e importanti gruppi finanziari. Questa volta ad esprimere una rinnovata forma di mecenatismo è la Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia, presieduta dal prof. Antonio Castorani, che ha cofinanziato l’allestimento dell’opera mozartiana “La Clemenza di Tito” rappresentata al Teatro Piccinni di Bari per la stagione lirica della Fondazione Petruzzelli. L’importanza dell’iniziativa sta nel fatto che si fa strada una sensibilità nuova anche qui al Sud, dove le resistenze ad investire nella cultura sono sempre state forti. Tale investimento, infatti, non è mai stato percepito come cosa importante non soltanto ai fini dell’immagine di chi se ne fa protagonista molto più di qualsiasi pubblicità, ma, agevolando la crescita culturale di una popolazione, ne acquista merito duraturo. Nella maggior parte dei paesi industrializzati questo tipo di

Il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia prof. Antonio Castorani collaborazioni è ormai molto diffuso come anche nel Nord Italia. Qui al Sud comincia appena ora a farsi timidamente strada. E questo, per una mentalità diffusa secondo cui la cultura non ha prezzo, nel senso che, essendo prodotto della mente, non debba costare niente, come se non comportasse tempo e fatica. Infatti, musica, pittura scrit-

Il regista Walter Pagliaro. Accanto, plastico di scena di Luigi Perego

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tura, in una parola l’ arte è quasi sempre mal retribuita o non retribuita affatto, non essendole riconosciuto valore materiale. Fortunatamente, qualcosa cambia ed è bene che a dare il segnale siano istituzioni forti come in questo caso la Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia. Perché, d’altro canto, si deve anche capire che il patrimonio artistico italiano, in opere e monumenti, è estremamente ricco e le risorse pubbliche non possono far fronte a tutte le necessità per sostenerlo e consentirne il godimento ad un sempre maggior numero di fruitori. Di qui l’opportuna decisione di finanziare in parte - su sollecitazione del sovrintendente della Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari, Giandomenico Vaccari - l’allestimento dell’opera mozartiana “La clemenza di Tito”. Composta da Mozart nel 1791, pochi mesi prima della sua morte, sul libretto del Metastasio rimaneggiato dal poeta di corte Caterino Mazzolà, per celebrare il 6 settembre di quell’anno a Praga l’incoronazione di Leopoldo


Wolfgang Amadeus Mozart e il libretto di scena II a re di Boemia, l’opera canta la storia di un re illuminato che usa clemenza anche con chi ha ordito il suo assassinio. Tito, infatti, perdona Vitellia che aveva armato il braccio di Sesto, suo innamorato e amico fraterno dell’imperatore, in un’utopia della fratellanza che immagina un mondo all’incontrario che il regista Walter Pagliaro ha collocato in un’architettura bizzarramente capovolta realizzata dallo scenografo Luigi Perego. Una struttura che occupa tutto lo spazio scenico e pare inserirsi perfettamente nell’ellisse del teatro. La cupola rovesciata come quel mondo diverso che solo l’artista sa immaginare diventa, secondo il regi-

sta, alcova di sogni giovanili e su di essa si muovono giovani protagonisti che per l’età meglio esprimono la pienezza dei sentimenti. Perché per cantare in modo credibile i temi della clemenza, della fratellanza, della solidarietà c’è bisogno di freschezza, soprattutto. Ma irromperà l’eros con tutta la sua forza a mandare in frantumi quel mondo e l’armonia interiore ed esteriore. Il dubbio, la delusione per il tradimento, il senso di colpa offuscherà i cuori, mentre un incendio ridurrà la cupola ad uno scheletro. Ma dalle ceneri della distruzio-

ne, piano piano rinascerà l’armonia perduta, anche se non sarà così per chi ha tradito che per sempre avvertirà il peso della sua colpa. L’ opera si segue facilmente perché musicalmente è semplice come la trama i cui recitativi nella rappresentazione del Piccinni sono stati di molto snelliti. Mozart, come si sa, non musicò il testo originale del Metastasio, ma la versione rimaneggiata dal Mazzolà che ridusse gli atti da tre a due e, diminuendo le arie solistiche, ne fece un’opera autentica, riprendendo al meglio la tradizione dell’opera seria che alla fine di quel secolo pareva ormai tramontata. Secondo i canoni di questa forma di teatro, venivano utilizzate voci acute per meglio sottolineare la giovinezza dei personaggi, per questo il cast è in prevalenza femminile: Bruce Sledge è Tito, Alexandrina Pendatchanska Vitellia, Cinzia Rizzone Servilia, Gabriella Sborgi Sesto, Stefanie Irànyi Annio, Mirco Palazzi Publio. Tutte voci fresche, pulite, convincenti. Ottima la prestazione del Coro della Fondazione diretto da Franco Sebastiani e dell’Orchestra sinfonica della Provincia di Bari diretta dal maestro Michael Guttler. Molto apprezzata dal pubblico tutta la rappresentazione sottolineata da numerosi applausi Marisa Di Bello

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STORIE DI GIORNALISTI /4. Nel numero di aprile è apparso un ampio servizio dedicato al direttore responsabile di NelMese, Nicola Bellomo in occasione del cinquantenario di iscrizione all’Ordine dei Giornalisti di Puglia , al fine anche di raccontare le difficoltà di vario genere di una professione , tra le più interessanti. In questo numero è la volta di altri due valenti giornalisti. Vito Cimmarusti, già inviato speciale e capocronista della Gazzetta del Mezzogiorno, nonché autore di un’opera teatrale e di un romanzo, iscritto all’Ordine da oltre quarantanni. Racconta, con vivacità e incisività, alcuni flash della sua straordinaria “passione”. Segue un’ampia intervista Marida Lombardo Pijola , inviato speciale del quotidiano romano “Il Messaggero”, che ha mosso i primi passi della sua carriera professionale nel 1974 su queste colonne. Ora si è dedicata anche alla scrittura ottenendo successo e popolarità per il suo primo libro-inchiesta di cui pubblichiamo la recensione

Nostalgie e ricordi di un cronista di vecchio corso

Così fui contaminato da quella malattia chiamata giornalismo Caro Nicola, scusa Direttore, mi chiedi di parlarti di me e della nostra professione. Mi chiedi una cosa difficile. Tu lo sai: noi giornalisti siamo sempre pronti, e più o meno bravi, a parlare degli altri e delle vicende altrui. Noi stessi non “facciamo notizia”, mai, anche se, ad analizzare la vita professionale di ciascuno di noi, ci sarebbe da mettere insieme una raccolta di racconti avventurosi, credo di estremo interesse sociale, spesso incredibilmente grotteschi, per il mischiarsi confuso di episodi lieti e tristi che costellano, dai primi agli ultimi, gli anni di professione, di tutti, indistintamente, quei contagiati dall’epidemia incurabile che è, appunto, il giornalismo. Una malattia che ci rende stoici, coscientemente disponibili ad ogni sacrificio e, a volte, umiliazione, pur di scrivere su un giornale, osservando e testimoniando la realtà che ci circonda. Ma di tutto ciò non ce ne rendiamo conto, accecati, come siamo, dalla passione per una professione che più la pratichi e più ti acceca. Convinti di essere

privilegiati perché la vita ci ha riservato di praticare la professione più bella del mondo. Forse anche questa convinzione è frutto di un altro sintomo della malattia di cui ti accennavo. In fondo non è la vita che ci sceglie, siamo noi che scegliamo, chi sa per quali arcani stimoli, questo genere di vita malgrado le infinite difficoltà e i guadagni non certo allettanti. Bene, per questi motivi ti racconterò di me, proprio come un ammalato cronico parla della sua malattia.

di Vito Cimmarusti

Divoravo i servizi degli inviati Fui colpito dall’epidemia senza che me ne accorgessi, sui banchi della scuola media. A quei tempi, imbevuto dei romanzi di Salgari, sognavo di viaggiare per il mondo e di vivere avventure straordinarie da raccontare. Non sapevo ancora che nel nostro gergo questo tipo di articolo si chiama reportage, non conoscevo ancora la differenza tra il cronista, l’inviato specia-

le e l’editorialista. Pensavo che fare il giornalista significasse solo viaggiare e raccontare. Al liceo e all’università divoravo i servizi dei grandi inviati speciali delle testate più importanti, soprattutto del Corriere della Sera e anche, perché no, della nostra Gazzetta del Mezzogiorno, e continuavo a sognare. Tanti anni dopo imparai che le

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LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO, APRILE 1978

LA STAMPA, MAGGIO 1985

Uno dei servizi sulla Stampa di Torino di cui Vito Cimmarusti è stato corrispondente dalla Puglia per 10 anni VITO CIMMARUSTI è giornalista professionista di comprovate capacità, serietà e dedizione ed ha svolto la sua lunga attività presso La Gazzetta del Mezzogiorno come cronista di nera dedicandosi anche a inchieste di vario genere come quella sulla delinquenza minorile, sul fenomeno della droga, sulle strutture ospedaliere. Particolarmente interessanti i servizi da inviato all’indomani della guerra lampo del 1967 tra Israele ed Egitto e quelli del 1977 sulla tragedia del terribile terremoto nel Friuli. Fu tra i vincitori del Premio collettivo “Cronista dell’anno” del 1978 assegnato alla Cronaca del quotidiano in occasione dell’assassinio del giovane militante di sinistra Benedetto Petrone. E’ stato anche capo cronista. Si è cimentato in testi teatrali trasportati sul palcoscenico con successo. Il primo scritto a quattro mani con Nunzio Ingrosso “U cazzarizze”, una farsa in dialetto barese con decine di repliche. Il secondo, firmato da solo, “La pupa sul sommier”, con regia di Luigi Angiuli un atto di accusa antiborghese. Nel 2005 con la Palomar ha pubblicato “La fine dell’estate” romanzo scritto intingendo la penna nell’inchiostro della memoria e dei sentimenti.

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cose invece stavano diversamente e che anche viaggiare e raccontare vuol dire fare il cronista, sempre. E che, fare il cronista, è molto faticoso intellettualmente e fisicamente perché stare sui fatti in ogni momento della giornata costa fatica e sacrificio che si possono affrontare e sostenere solo se la professione scorre nelle vene, proprio come un batterio che nessun anticorpo può distruggere, insieme ai globuli rossi e bianchi. A scuola, come ti dicevo, realizzai un giornaletto scolastico sui fogli che strappavo dal quaderno a quadretti, servendomi di caratteri a timbro. Così cominciò la mia avventura professionale. O meglio così cominciò a manifestarsi la malattia che mi travolse e che ancora non ha smesso di scorrere nel mio sangue, malgrado il riposo forzato della pensione. Devo confessarti che ogni qualvolta metto piede in una redazione o in una tipografia, anche se oggi le tipografie non hanno più il profumo e il fascino dei nostri verdi anni, m’assale una frenesia che si trasforma in angoscia per la frustrazione che mi procura la coscienza di essere

ormai tagliato fuori dalla vita professionale attiva. Infinite delusioni Non starò a scriverti degli infiniti episodi che costellarono i miei primi passi giovanili nella spasmodica ricerca della mia strada al giornalismo professionale, né delle infinite delusioni di fronte alle difficoltà che incontravo e che dovevo superare da solo, voglio dire senza aiuti, proprio di chi non ha “santi in paradiso”. D’altronde questo è un argomento comune, che tu conosci molto bene. Il mio primo approccio con la carta stampata fu un settimanale che negli anni Cinquanta, ai tempi dell’università, io insieme ad Egidio Pani, a Napoleone Bartuli e Giuseppe Schito realizzammo a Bari procurandoci i soldi con la pubblicità e faticando come cavalli da soma. Si chiamava La Ribalta, parlava di politica e costume e conteneva il fuoco di giovani che avevano l’illusione di cambiare la nostra città e il mondo. Non raggiungemmo né l’uno né l’altro scopo, naturalmente, ma fu un banco di prova serio della mia volontà malata di continuare su quella strada intrapresa. Il secondo episodio fu un’espe-


rienza ancora più seria e sotto alcuni aspetti più entusiasmante: La Domenica di Puglia. Un altro settimanale che sempre in quegli anni realizzarono Giuseppe Gorjux insieme a Giuseppe Rossi, che erano gli editori. La redazione era sotto la cupola del vecchio glorioso palazzo de La Gazzetta del Mezzogiorno, di fronte alla stazione, un pezzo di storia demolito nei decenni successivi dall’ottusa cecità degli uomini per far posto all’attuale palazzo a vetri. La redazione era composta oltre che da me anche da Dino Maffia e Giovanni Pignataro, anch’essi giovani contaminati dalla nostra stessa malattia. L’approdo alla Gazzetta Alcuni anni dopo entrai ne La Gazzetta del Mezzogiorno ed iniziò seriamente la mia professione, per

quell’epoca, si potevano incontrare ad ogni angolo del centro di Bari, scalzi e laceri, con al collo cassettine di legno, che vendevano caramelle e cioccolatini. L’inchiesta mi occupò per un paio di settimane. Alla fine scrissi cinque cartelle dattiloscritte che consegnai titubante e ad un tempo speranzoso a Valentini. Attesi col batticuore un’altra settimana, finalmente l’articolo fu pubblicato senza che mi fosse stata toccata nemmeno una virgola, in apertura di cronaca. Fu la prima volta nella storia della Gazzetta, che il giornale affrontò una problematica sociale. Il pezzo non fu firmato, perché allora tutto ciò che veniva pubblicato in cronaca era per tradizione anonima. La mia fu solo una soddisfazione professionale che ricordo come fosse accaduto l’altro

anonimo e freddo linguaggio burocratico. Inviato sul fronte Israele-Egitto Fu probabilmente questa mia inclinazione professionale nell’osservazione approfondita del piccolo mondo che mi circondava a spingere Oronzo Valentini a mettermi alla prova con altre esperienze di maggiore impegno. I miei primi servizi importanti da inviato speciale, oltre a quelli di gravi fatti di sangue e per le rapine in banca che negli anni Sessanta cominciarono a verificarsi anche in Puglia, furono durante la Guerra dei Sette giorni in Israele, nel 1967. Una esperienza sui campi di battaglia i cui ricordi sono ancora vivi in me. Ricordi, anche questi, che non sono invecchiati. Immagini scolpite nella mia mente, come quelle dei cadaveri dei soldati egiziani in

1967: sullo sfondo il deserto di Giudea, a sinistra, un posto di blocco a Gaza dell’esercito israeliano nei giorni successivi alla fine della Guerra dei 7 giorni un anno sotto la direzione di Riccardo Forte e poi, per tanti anni, sotto l’indimenticabile direzione di Oronzo Valentini, il solo direttore, dei tanti che si succedettero, che mi ha lasciato profondi segni professionali. Ho lavorato sempre in cronaca occupandomi di nera e giudiziaria, ma soprattutto di inchieste a carattere sociale: sul disadattamento giovanile e i fenomeni di delinquenza giovanile. Mi appassionavano le vicende i cui protagonisti era la gente umile, vittime di una società matrigna. Il mio primo servizio – eravamo nel mese di maggio del 1960, esattamente quarantotto anni fa, purtroppo – fu una inchiesta proprio sui bambini disagiati che, a

giorno. Naturalmente questo esordio non mi “salvò” dalla gavetta che ogni cronista che vuole imparare il mestiere deve, ancora oggi, fare. Cioè la routine del giro quotidiano per commissariati, pronto soccorso, stazioni dei carabinieri, eccetera. La nera mi appassionò a tal punto che finii con l’approfondire i fatti che apprendevo dai mattinali della questura e dai rapporti della polizia agli ospedali. Imparai a guardare dentro gli episodi, ad analizzarli parlando direttamente coi protagonisti e scoprii un mondo umano che i verbali o i rapporti di polizia non rivelavano mai col loro

fuga nel deserto del Sinai. Ricordo che percorrendo le piste del Sinai a bordo di un gippone messo a disposizione dei giornalisti dal comando militare israeliano, ci si imbatteva in veri e propri percorsi della morte: sulla sabbia scorgevamo prima un fucile, dopo pochi metri uno zaino, poi un elmetto: “Tra poco troveremo il cadavere del proprietario di questi oggetti” spiegò la guida israeliana che accompagnava noi giornalisti. Infatti ecco il corpo bocconi sulla sabbia ormai divorato dalla rapida decomposizione provocata dal sole cocente a sessanta gradi. Quanti ne ho visti di cadaveri di poveri giovani soldati che avevano affrontato il deserto a piedi con

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la speranza di raggiungere le rive del canale di Suez e poter ritornare in patria. Poi vennero i servizi sulla Primavera di Praga nel 1968. Mi trovavo in vacanza in Cecoslovacchia (a quei tempi la Slovacchia non era nazione autonoma) con l’intento, anche, di scrivere dei pezzi sul nuovo clima creato dal governo liberale di Dubcek. Ma arrivarono i carri armati sovietici. Naturalmente la vacanza si trasformò in lavoro. Ma non potetti restare, perché non avevo accrediti dell’ambasciata della Cecoslovacchia di Roma e le autorità mi

ci soffocarono la Primavera di Dubcek. Ogni qualvolta ritornavo a lavorare nel piccolo mondo di cronista cittadino, avvertivo un vuoto professionale profondo, ma l’esperienza vissuta in quell’altra dimensione mi permetteva di scrivere delle modeste vicende di ogni giorno col taglio del reportage. Inviato in Friuli per il terremoto Poi vennero i servizi da inviato in Friuli per il terremoto, negli anni Settanta. Un mese stetti

ricca di testimonianze architettoniche, quasi tutte distrutte, e la coraggiosa laboriosità degli artigiani friulani che il giorno dopo il disastro erano già al lavoro per ripristinare le loro botteghe e i loro laboratori. La terza è un episodio in uno dei tanti accampamenti per la gente rimasta senza casa. Incontrai una vecchietta tutte rughe, le chiesi cosa le mancasse, mi rispose:” Il campanile della chiesa del mio paese, vede era lassù – e mi indicò un grumo di case diroccate sulla collina sopra il campeggio di fortuna -, prima lo guardavo e mi sentivo rassicurata, ora non c’è più e sento solo una stretta al cuore”. La Gazzetta fece una sottoscrizione per le popolazioni friulane colpite dal terremoto. La somma, in un assegno, mi fu fatta pervenire e io mi incaricai di consegnarla alla Prefettura di Udine a nome del giornale e dei suoi lettori. Per un altro mese girai per l’Italia, tra Roma, Milano e Bologna, per raccontare la rivolta degli studenti universitari. A Bologna ci furono due giovani uccisi, a Roma e Milano disordini e danneggiamenti selvaggi durante gli scontri tra la polizia e i movimenti studenteschi. A Roma per il sequestro Moro

Da sinistra, una farsa in dialetto barese ed il primo romanzo pubblicato nel 2005 rintracciarono in albergo e mi obbligarono a fare le valigie insieme a tutti gli altri stranieri, giornalisti e non. Avevo fatto alcune amicizie: Tamara Kulissova, una russa che lavorava come traduttrice alla Tass di Bratislava, e poi un pittore di Praga, Kubich. La sera prima della partenza ci ubriacammo di birra (a proposito sapevi che la birra ceca è la migliore del mondo, specialmente quella di un locale medioevale caratteristico di Praga, che si chiama U Fleku?) in casa di Kubich che, piangendo, mi regalò alcuni suoi quadri che conservo gelosamente in casa mia dicendomi questa frase: “Portali con te, almeno loro andranno in un mondo libero”. Nei giorni successivi Tamara mi inviò una serie di lettere nelle quali mi scrisse il diario dei giorni in cui i Sovieti-

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tra le rovine e i morti del Friuli, scorazzando tra le rovine dei paesi distrutti, lungo la ridente riviera carnica, con un autofurgone preso a noleggio, l’unico veicolo disponibile perché tutte le auto erano già state noleggiate dagli altri inviati speciali. La mia base era un albergo di Udine, dormivo in una stanza col muro di fronte al letto che aveva una lunga lesione provocata dalle scosse. Di fronte alle mie perplessità il direttore mi assicurò che non c’era pericolo di crollo e che, comunque, tutte le stanze erano, più o meno, lesionate. Di quella mia esperienza mi sono rimaste indelebili tre aspetti: i ruderi e lo stato di abbandono di Gemona, una deliziosa cittadina in collina,

L’ultimo servizio da inviato lo feci per il sequestro di Aldo Moro. A Roma, da parecchi giorni, c’era già l’inviato per eccellenza della Gazzetta, Italo Del Vecchio. Un giorno mi chiamò Oronzo Valentini e mi disse. “Voglio che tu vada a Roma a dare man forte a Italo perché circola voce che stiano per rilasciare Moro”. Andai e mi occupai delle indagini mentre Italo continuava a scrivere approfondimenti e indiscrezioni. Moro non fu rilasciato, ritrovarono solo il suo cadavere. Da allora cambiò tutto in Italia e anche alla Gazzetta. Alcuni anni dopo mi proposero di diventare capocronista e per un decennio ho diretto la cronaca. Forse feci male ad accettare un incarico di responsabilità che però mi costrinse e restare relegato in redazione e mi impedì di continuare a fare ciò che più ho amato della nostra professione: osservare le vicende umane e raccontarle. Vito Cimmarusti


STORIE DI GIORNALISTI / 5. / FUORICASA di Alessio Rega

Giornalismo e Famiglia

Interessante e corposa intervista con Marida Lombardo Pijola, giornalista del quotidiano romano “Il Messaggero”. I primi passi proprio su “NelMese”. Un’analisi approfondita del suo primo libro e sul mondo dei preadolescenti. Le difficoltà per una donna nel conciliare lavoro e famiglia

Marida Lombardo Pijola e qui sopra con il marito dott. Carlo Vitelli, primario di Chirurgia all’Ospedale San Giovanni di Roma e i tre figli Alessandro, 16 anni, Andrea 14 e Luca 12 Tutto è cominciato trentacinque anni fa, con una lettera inviata alla Gazzetta del Mezzogiorno per la rubrica dedicata a coloro che avevano ottenuto l’agognatissimo sessanta all’esame di maturità del Liceo Linguistico “Preziosissimo Sangue” di Bari. In quel breve messaggio, la giovane Marida Lombardo Pijola dichiarò che il suo sogno era quello di diventare una giornalista. Il caso volle che il curatore della rubrica fosse proprio Nicola Bellomo, il nostro Direttore, all’epoca redattore della “Cronaca di Bari”, il quale intuì, grazie al suo fiuto da talent scout, sin da subito le potenzialità della neodiplomata commissionandole, successivamente per le colonne di NelMese (dicembre 1974), il primo articolo “Stress da matricola”, una mini in-

dagine sulle peripezie burocratiche che deve affrontare il neo studente al momento dell’iscrizione all’Università. Fu il primo passo di una lunga ed impegnativa attività giornalistica. Già da molti anni Marida Lombardo Pijola è una giornalista affermata, una delle penne più autorevoli e più apprezzate del quotidiano romano “Il Messaggero” di cui è inviato speciale. E’ una dei tanti pugliesi “fuori casa” che è riuscita a trovare con successo la propria strada con non pochi sacrifici. Non è stato difficile mettermi in contatto con lei, mi è bastata una semplice e-mail nella quale le accennavo che avrei voluto intervistarla per NelMese, a distanza di 13 anni dalla

precedente intervista rilasciata ad un’altra valente “fuori casa” barese Porzia Bergamasco, ora direttore responsabile del periodico “Rodeo”. La risposta non si è fatta attendere, è arrivata subito, dopo poche ore. Tanti gli argomenti affrontati, dal successo del suo libro alle difficoltà che affronta una donna nel mondo del lavoro. E se prima soltanto il fatto di riuscire a lavorare era una conquista, oggi la nuova battaglia è quella di raggiungere i posti di vertice che tuttavia una società maschilista ancora preclude nel settore. * * * Non sempre per un giornalista è automatico dedicarsi alla scrittura. Nel tuo caso come è avvenuto questo passaggio?

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Qual è stata la motivazione che ti ha portata a scegliere di scrivere un libro? Spesso i giornalisti scrivono libri, o sognano di scriverne, o ne hanno uno nel cassetto. E’ un modo per infrangere il limite angusto di spazio, di tempo, di temi, di approfondimento, di linguaggio nel quale è perimetrata la loro attività quotidiana di scrittura. E’ come quando un operatore cinematografico sogna di fare il regista, od un meccanico sogna di fare il pilota di Formula uno. Per chi è vincolato al rigore della cronaca, poi, la possibilità di lasciar galoppare la fantasia, di inventare le storie piuttosto che riferirle soltanto, è come una specie di riscatto, di rito liberatorio. Nel mio caso si tratta di un libro a metà tra la narrativa e l’inchiesta. La trama è vincolata al racconto e alla documentazione di una realtà che era quasi del tutto sconosciuta.

scioccate. Io stessa sono rimasta scioccata, nella scoperta di questo mondo sommerso, di questa generazione invisibile, di questa doppia vita collettiva che era sfuggita al controllo degli adulti, media compresi. Il mondo dei bambini, (perché di bambini si tratta), è poco osservato, poco ascoltato, poco rispettato, poco tutelato. Né è una prova inquietante la voglia di rimozione collettiva sui fenomeni che ho raccontato, sebbene riguardino ormai la stragrande maggioranza dei ragazzini tra i nove ed i quat-

INTERNET, PENSIERI E SEGRETI IN LIBERTA’ La scelta del tema molto probabilmente è legata alla tua esperienza giornalistica. Come ti sei avvicinata alla realtà che hai voluto raccontare? Frugando su Internet, che è ormai il luogo privilegiato di una vita virtuale e parallela, nel quale vengono esternati senza alcun pudore riti, abitudini, pensieri, segreti, cose che lasciano a volte senza fiato, e che ho fedelmente trascritto nel mio libro. Ma ho anche indagato nelle discoteche pomeridiane e nelle scuole. E, soprattutto, ho parlato con tanti ragazzini delle scuole medie, che avevano in realtà una gran voglia di raccontarsi, di essere ascoltati da un adulto che si mostrasse interessato alla loro vita, senza giudicarli. I protagonisti delle mie cinque storie li ho scelti tra di loro. Potrebbero essere i miei figli, i figli di chiunque. Il tuo libro, per alcuni aspetti scioccante, ha suscitato l’attenzione di buona parte dell’opinione pubblica. Quali sono state le reazioni della critica e soprattutto dell’ambiente giornalistico? Lo hai detto tu stesso: reazioni

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Marida Lombardo Pijola agli esordi della sua attività giornalistica tordici anni. Io sono soltanto una cronista. Com’è possibile che nessuno se ne fosse accorto, prima? Tu hai fotografato uno spaccato del mondo giovanile senza però sbilanciarti in maniera troppo esplicita nei giudizi. Ti chiedo, allora, cosa ne pensi dei preadolescenti e degli adolescenti di oggi e soprattutto se ci sono dei possibili rimedi alla situazione che hai descritto? Domanda difficilissima. Non sono una sociologa, né una pedagoga, sono una madre preoccupata come tutte, ed

una giornalista che ha fatto il suo lavoro: raccontare. Se vuoi, anche denunciare, perché poi ognuno si assumesse poi le proprie responsabilità, nell’ambito del suo ruolo. Non credo ci siano formule alchemiche, per venirne fuori. E non credo che ce ne sia davvero e fino in fondo un’autentica volontà. Le responsabilità di cui parlavo sono molteplici e complesse. Io non sono in grado di dare lezioni a nessuno. Né voglio o posso puntare il dito in una direzione piuttosto che in un’altra. Non ne ho i titoli. Ma penso che i soggetti interessati siano molti, in una sinergia diabolica, una catena di azioni e di omissioni che si sono saldate in una trappola. La famiglia e la scuola, questo è ovvio, entrambe in crisi di identità, di prestigio, di ruolo, di passioni, di strumenti. Ma anche chi non garantisce ai genitori i tempi per conciliare famiglia e lavoro; chi, attraverso la televisione, bombarda questi ragazzini di messaggi scadenti e trasgressivi; chi li ha cinicamente trasformati in un target di consumo, alimentando in loro cattive abitudini, e una visione distorta e fuorviante della vita; chi permette che si aggirino nevroticamente in quel territorio di agguati che può essere la Rete, senza alcun controllo e senza alcuna regola; chi non riesce a contaminarli con le buone idee o con le passioni; chi non riesce o non vuole attivare una politica per l’infanzia attenta, credibile, efficace; chi non riesce o non vuole contrastare il potere delle lobbies che li sfruttano per quella grande fonte di reddito che sono. E potrei continuare ancora a lungo. E’ un accerchiamento che non lascia scampo. Non voglio fare la catastrofista. Ma penso che questi ragazzini siano figli primogeniti, e innocenti, di una vertiginosa caduta di valori, di ideali, di principi, amplificata e diffusa come un virus da un uso compulsivo delle tecnologie. Sono la riproduzione in miniatura di tutti i difetti, gli stereotipi, le apatie interiori della società occidentale, che si sta svuotando di sogni sul futuro. In particolare, come donna, come giudichi queste bambine e il loro comportamento? E soprattutto in cosa le trovi


distanti da quelle delle generazioni precedenti? Non le giudico. Le guardo con infinita tristezza, con grande tenerezza, mentre, con l’ingenuità delle bambine che sono, come se trattasse di un nuovo gioco, si travestono da adulte trasgressive. Manipolano i loro corpi come se i loro corpi fossero altro da sé, strumenti di seduzione o di mercificazione, da esibire, da riprendere con i cellulari, da usare per aumentare il loro prestigio e il loro potere, da scambiare per una ricarica telefonica, un po’ di euro, un po’ di consenso da parte

interiore, il proprio vuoto, e il vuoto che le circonda. Il risultato è un salto indietro di decenni rispetto alle battaglie per liquidare quello stereotipo che un giorno, secoli fa, retoricamente chiamavamo “donna oggetto”. Ma le bambine non ne hanno alcuna colpa. DIFFICOLTA’ DEI GENITORI DI ACCETTARE LA REALTA’ Da quello che hai potuto constatare, quale parte di pubblico ha recepito più di ogni altra il tuo libro? E dai

smo. Così la deriva sta diventando sempre più incontrollabile, e l’età dei comportamenti trasgressivi si sta abbassando ulteriormente. Lo scopo del libro era questo: un pugno nello stomaco. Gli insegnanti sono stati allarmati dal mio libro, ma non meravigliati più di tanto: si tratta di una mutazione genetica che, nell’esperienza scolastica, si cominciavano a cogliere da tempo, anche se nessuno ne aveva mai organizzato gli elementi di conoscenza come rivelazione di un fenomeno collettivo. I segnali d’allarme dei docenti, peraltro, cadevano nel nulla: i genitori facevano orecchie da mercante. Ai più piccoli, quelli di cui scrivo, ne ho esplicitamente sconsigliato la lettura. I giovani lo hanno letto molto, e lo hanno interpretato come la registrazione di una realtà che tra di loro, più o meno, era già nota. Anche se neppure tra loro si pensava che fosse così estesa. IMPEGNATIVO CONCILIARE FAMIGLIA E LAVORO

2001: l’allora presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati della provincia di Bari, avv. Vito Nanna mentre consegna la targa ricordo all’avv. Achille Lombardo Pijola per i 50 anni di professione legale del branco, un po’ di “successo”. Credono che sia giusto così. Successo, bellezza, danaro, visibilità, prestigio. Nessuna fatica. Scorciatoie. Sono i messaggi coerenti che hanno ricevuto dal mondo della televisione, del cinema, della pubblicità, della moda, dell’abbigliamento, persino dei cartoni e dei giocattoli. A volte anche dal mondo della famiglia. E nessuno, proprio nessuno, le ha protette. E’ l’estrema propagine del consumismo: il consumo di se stesse. Sotto ci sono solitudini infinite, un bisogno nevrotico di calore, di attenzione, di infrangere l’aridità, la noia che nascono dal vuoto

giovani quali risposte hai avuto, se ce ne sono state? Molti genitori ne sono rimasti sconvolti, e spero che lo choc sia servito per aprir loro gli occhi su quello che non volevano sapere né vedere. Se non tutti i ragazzini agiscono i comportamenti estremi che racconto, tutti li trovano naturali, e tutti sono a rischio. Il branco richiede omologazione assoluta attorno ai suoi riti, e i riti sono quelli. Pochi hanno il coraggio di affrontare l’esperienza della diversità, che è considerata un disvalore. Di subire l’emarginazione, la derisione, il bulli-

Prendendo spunto dal tuo libro e passando a considerare aspetti della tua vita personale, come può una donna in carriera conciliare i tanti impegni lavorativi con quelli familiari e con l’educazione dei figli? Non sono una donna in carriera. Sono una donna che lavora, come quasi tutte. Cercando, come tante, l’equilibrio difficilissimo tra due tempi di vita paralleli, tra due ruoli, due responsabilità che non convergono, che risultano spesso incompatibili, a causa dello scarsissimo supporto, sia familiare che sociale, che viene dato alle madri lavoratrici. Cerco di far da contrappeso alla mia assenza con la tenerezza, con il buon esempio, ammesso che sia buono. Ma non so se basta. Sconto, come tutte, una solitudine e una patologia sociale che sono la causa principale della denatalità nel nostro Paese. E forse, almeno in parte, sono concause della deriva che ha travolto i nostri figli: siamo state costrette a lasciarli molto soli, a mostrarci stanche e perdenti, incoraggiando in loro l’aspirazione a modelli di vita meno impegnativi. Anche per via della scarsissima condivisione dei ruoli di accudi-

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mento e di formazione dei figli da parte dei papà. Tu svolgi una professione in cui c’è ancora una forte prevalenza maschile. E’ ancora difficile per una donna fare carriera e soprattutto raggiungere ruoli di vertice? Ci sono stati dei cambiamenti da quando hai iniziato questo lavoro? Quando ho cominciato a lavorare, a “La Gazzetta del Mezzogiorno”, nel ‘79, ero la terza donna assunta con contratto a tempo indeterminato nella storia del giornale. Oggi le donne giornaliste sono maggioranza. L’informazione ha scoperto il loro talento, la loro sensibilità, la loro capacità di racconto e di analisi, che nasce anche dal loro saper andare all’essenza delle cose, dalla loro curiosità e dal loro interesse per la vita vera. Doti che la maternità amplifica a dismisura. Il giornalismo maschile è talvolta, non sempre, più conformista, arido, autoreferenziale. Eppure il famoso soffitto di cristallo è ancora lì. A parte i settimanali femminili, è rarissimo trovare donne ai posti di comando, come, peraltro, in quasi tutti i settori dell’economia, della politica, dell’amministrazione. E quando questo accade, raramente si tratta di giornaliste mamme. Ancora, e più che mai nel giornalismo, ad una donna viene implicitamente richiesto di scegliere tra i figli e la carriera. Eppure un’esperienza rappresenta il valore aggiunto dell’altra, si arricchiscono reciprocamente in modo straordinario, sono assolutamente complementari. E’ uno spreco di talenti, una perdita secca, per il mondo del lavoro e per la società. L’INIZIALE CONTRASTO DEL PADRE AVVOCATO Quanto è stata importante la tua famiglia e in particolar modo tuo padre, noto e valente avvocato, nel sostenerti nella tua scelta professionale? Per i miei figli, quando erano piccoli, ho deliberatamente fatto un passo indietro nella professione. Mi sono autocollocata sotto un cono d’ombra. Ho rinunciato a occuparmi di politica per argo-

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menti meno impegnativi. Ho preso lunghe aspettative. Non è stato un sacrificio. E’ stata la scelta più gratificante e più saggia della mia vita. Anche perché i miei figli mi hanno restituito con gli interessi, sia sul piano affettivo che su quello professionale, tutto ciò a cui credevo di aver rinunciato. Se non avessi avuto l’osservatorio privilegiato di tre figli, forse non avrei mai deciso di occuparmi di minori, e non avrei mai scritto questo libro. La vita, alla lunga, premia le scelte fatte per una buona causa. Mio padre, scomparso l’estate scorsa, è stato un faro. Aveva un carattere difficile, una fortissima personalità, un carisma straordinario. Non era contento, inizialmente, della mia scelta professionale. Considerava il lavoro di giornalista inadatto ad una donna. Magari avrebbe preferito che facessi l’avvocato accanto a lui, che è stato un grande penalista. Ci sono state un po’ di discussioni. Ho un carattere molto forte anch’io. In seguito mio padre è stato felice e orgoglioso del fatto che avessi voluto seguire la mia strada. Ha compreso che tutto quanto avevo da spendere, sul piano della passione professionale, dell’impegno, dell’identificazione con il mio lavoro, del coraggio, lo avevo imparato da lui. Ho un solo rimpianto: quello di non aver potuto passare più tempo accanto a lui. Ma questo, purtroppo, lo capisci solo dopo. Hai lasciato Bari ormai già da molti anni. Come è il rapporto con la tua città di origine? Quali i ricordi più piacevoli? Ogni angolo di Bari è lo sfondo di un pezzettino della mia vita. Ogni passeggiata è una passeggiata proustiana, tra i ricordi. Ho un’appartenenza sdoppiata. Benchè viva a Roma da venticinque anni con marito e tre figli romanissimi, e lavori nel quotidiano della capitale, tornare a Bari per me è sempre un po’ come tornare a casa. Non solo perché ci vivono mia

madre, i miei fratelli, i miei otto nipoti, i miei zii. Il fatto è che, col passare degli anni, il legame con le radici si rivela sempre più profondo, è come un percorso circolare che ti riporta al punto di partenza, credo accada a tutti. I ricordi sono quelli dell’infanzia, dell’adolescenza, dei primi anni di lavoro, un po’ buoni e un po’ cattivi, come sempre, quando navighi lungo quel percorso complicato che è la ricerca della tua identità, l’elaborazione delle tue scelte di vita, il censimento delle tue passioni. Quello che dicevamo prima: i sogni sul futuro. Che sono un’incognita. Sinceramente, la gioventù non mi manca. E’ faticosa. Non tornerei mai indietro. DOPO IL PRIMO ALTRI DUE LIBRI, ROMANZI Dopo il successo di “Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano principessa” quali sono i progetti per il futuro? Continuerai ancora a percorrere la strada della scrittura? Il principale progetto sono i figli. Sono adolescenti, e il loro futuro che mi sta più a cuore, in questo momento delicato della loro vita. Direi che questo è ovvio. E poi lavoro, cercando di continuare a raccontare come posso il mondo dei preadolescenti, di far partire altri segnali d’allarme, di intaccare quel muro di indifferenza che circonda la vita dei bambini. Qualcuno ha sentito parlare di bambini, durante la campagna elettorale? Inoltre sto collaborando alla sceneggiatura di un film che sarà tratto dal mio libro. E ho firmato con Bompiani per altri due libri. Stavolta romanzi, o almeno tentativi. Uno è già a metà. Parla di madri e di bambini. Non è un’impresa facilissima scrivere un romanzo, per una che fa la giornalista da trent’anni. Una che legge come una disperata, e quindi ogni giorno si misura col talento letterario altrui, sentendosi piccola, perdente, velleitaria. Ma questo è il mio nuovo sogno sul futuro. Non so come andrà a finire. Però mi ritengo molto fortunata ad avere un sogno nuovo.


Tra bulli e lolite di oggi Un libro scioccante, un viaggio-inchiesta nel mondo dei preadolescenti italiani. La scoperta di un universo fatto di sesso, droga e violenza e di genitori sempre più assenti. Opera prima di Marida Lombardo Pijola, barese, giornalista de “Il Messaggero”

nisti, e sia quello che in gergo romanesco vengono chiamati “bori”, quelli che solitamente vivono nelle periferie più degradate. Sono i bulli e le lolite di oggi, ragazzini appartenenti ad una generazione di veline e calciatori, dove gli unici valori che veramente contano sono i soldi, il successo e la bellezza. Per inseguire questi nuovi miti moderni, sono disposti a tutto, persino ad usare il proprio corpo come un giocattolo, a sperimentare il sesso come strumento per un piacere effimero, da consumare al volo nel bagno di una discoteca o di una scuola. Le ragazze, che aspirano a diventare cubiste o model-

La prima cosa che mi ha colpito, sfogliando le pagine di “Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano principessa” (Bompiani Edizioni), di Marida Lombardo Pijola, giornalista de “Il Messaggero”, è stato l’inserto fotografico a colori posto nel bel mezzo del libro. Gli scatti, scioccanti a tal punto da togliere il fiato, immortalano ragazzine, di al massimo quattordici anni, che ballano seminude e disinibite sui cubi di alcune discoteche italiane. In un primo momento ho pensato alle giovani immigrate, costrette a farlo perché spinte da necessità economiche o perché sfruttate dalle organizzazioni malavitose. Tuttavia, addentrandomi e lasciandomi incuriosire dalla lettura, mi sono reso subito conto che la situazione è invece molto più inquietante di quella che mi ero appena immaginato. Ho scoperto un mondo completamente sommerso, fatto di discoteche pomeridiane, di sesso, di droga e di violenza. Ma ciò che più di ogni altra cosa mi ha lasciato allibito sono i protagonisti di questo universo. Si tratta di quelli che tradizionalmente vengono definiti preadolescenti, ragazzini di età compresa tra i dieci e i quattordici anni, che popolano le nostre città e che appartengono a tutti i ceti sociali, senza alcuna distinzione. Tra di loro, infatti, ci sono sia quelli che provengono dai quartieri alti, i cosiddetti “pariolini”, figli di famiglie alto borghesi e di professio-

le, spesso lo fanno addirittura a pagamento, svendendosi l’anima, rinunciando ai sentimenti e alle emozioni più vere, quelle che non si possono comprare, quelle per cui non si può fissare nessun prezzo. E come se non bastasse si lasciano filmare mentre fanno sesso e sono quasi orgogliose quando i video delle loro prestazioni vengono diffusi tra i dj o i gestori dei locali. Marida Lombardo Pijola fotografa, dunque, una realtà oscura ben mascherata dall’apparente ingenuità e innocenza che si ritiene tipica della loro età ma anche, contemporaneamente, dalla cecità colpevole degli adulti, troppo distratti dal lavoro e dai propri impegni. Ciò

che accomuna questi bambini non è soltanto la smania di bruciare le tappe, ma è anche un profondo vuoto esistenziale, la paura di non esistere e di non essere accettati dagli altri. Per scongiurarla cercano di affermare la loro identità nel branco in cui vivono, imitando i modelli negativi che la televisione propone con la forza di un vero e proprio bombardamento. Per non sentirsi esclusi indossano gli stessi abiti rigorosamente firmati e si tengono costantemente in contatto attraverso il rito quotidiano degli sms. Eppure sono terribilmente soli anche se nascondono e soffocano la loro solitudine su Internet, nelle chat e nelle comunità virtuali che affollano il web. Marida Lombardo Pijola ci racconta le loro storie, senza commentarle, lasciando che siano loro a parlare, con il loro gergo e il loro linguaggio sgrammaticato, ricco di abbreviazioni e di acronimi. Un codice quasi inaccessibile agli adulti ma che riempie le chat e i loro blog, questi ultimi surrogati virtuali dei vecchi diari segreti, ma che di segreto invece non hanno più nulla. Gli adolescenti di oggi hanno scoperto un modo nuovo di comunicare anche se, leggendo tra le righe dei loro discorsi, è facile capire come in realtà la loro sia una comunicazione unidirezionale, fatta il più delle volte di insulti e di minacce verso chiunque. E il bersaglio preferito della loro rabbia e del loro malessere sono spesso i genitori, accusati di essere troppo invadenti o al contrario, e forse anche paradossalmente, terribilmente assenti nelle loro vite. Il libro scorre rapido e appena ho finito di leggerlo, i miei ricordi sono tornati violentemente ai miei dodici o tredici anni, quando ancora frequentavo la scuola media e i miei unici interessi erano collezionare figurine e dare calci ad un pallone. E quando si parlava di sesso lo si faceva a bassa voce, con un sorrisino imbarazzato stampato sul viso mentre il mondo degli adulti lo si imitava quasi goffamente. Eppure io ho solo ventitré anni, non è passato un secolo. Alessio Rega

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AEROPORTO

Bari, dal “Woytila” decolla il futuro Il modernissimo aeroporto internazionale si sta dimostrando uno strumento utile per far fronte all’incremento del traffico passeggeri, due milioni nel 2007. Numerosi i voli di linea gestiti da 14 compagnie aeree tra cui l’Alitalia. Una grande varietà di negozi, dai gioielli all’abbigliamento ai libri, alla ristorazione Il nuovo aeroporto internazionale “Karol Woytila” di Bari, gestito dalla società Aeroporti di Puglia, di cui è amministratore unico ing. Domenico Di Paola, ha una storia abbastanza recente. L’attuale terminal, infatti, è stato inaugurato nel 2005 dopo solo tre anni dagli inizi dei lavori mentre nel 2006 si è conclusa la realizzazione della nuova torre di controllo. La nascita della stazione aeroportuale si rese necessaria sia in quanto la vecchia struttura non era più in grado di far fronte ad un traffico di passeggeri in continua espansione e sia per le particolari esigenze di modernizzazione e sicurezza richieste dal trasporto aereo. Un aeroporto efficiente e tecnologicamente all’avanguardia costituisce un formidabile volano per l’economia locale, contribuendo allo sviluppo del turismo e favorendo, di conseguenza, anche l’occupazione in tutta l’area interessata. Esso rappresenta, inoltre, un fattore importante di competizione per quanto riguarda la promozione del territo-

rio in cui è presente, garantendo un vantaggio significativo sulle aree concorrenti. E’ nel rispetto di queste premesse che si colloca lo scalo barese, candidandosi a svolgere un ruolo fondamentale nel rilancio del Mezzogiorno d’Italia ed ergendosi a punto di riferimento per l’intera regione sotto il punto di vista del traffico aereo. La moderna aerostazione si sviluppa su un’area di circa trentamila metri quadrati distribuiti su cinque livelli di cui uno riservato agli arrivi e al ritiro bagagli e un altro alle partenze, progettati in modo tale da dividere i flussi ed evitare congestionamenti, soprattutto durante i periodi più critici come quello estivo. Infine, è presente un ultimo livello in cui sono situati gli uffici e la sala conferenze. I vari piani, integrati fra di loro e privi di barriere architettoniche, sono collegati da un rapido sistema di scale mobili e ascensori.

Domenico Di Paola amministratore unico Aeroporti di Puglia I vantaggi che derivano dalla nuova struttura e dall’organizzazione ad essa collegata sono evidenti, come dimostrano in modo lampante i dati relativi al traffico passeggeri. L’aeroporto barese, infatti, ha registrato negli ultimi anni un costante incremento del trend di crescita del numero dei viaggiatori. Nel 2007 lo

Una delle sale di attesa e, a destra, una delle pareti mobili realizzata dal Gruppo Mangini di Putignano

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scalo è stato frequentato da oltre due milioni di persone, seicentomila in più rispetto al 2004 quando ancora doveva sorgere il nuovo terminal. Questo sensibile aumento è stato favorito anche dal potenziamento del network dei collegamenti nazionali, ma soprattutto dall’avvio di nuove linee verso alcune delle più importanti città europee come Londra, Parigi e Colonia. Un’attenzione particolare è stata rivolta anche nei confronti dei paesi dell’est europeo, con voli diretti in Albania e in Romania, realtà emergenti sotto il profilo economico e con forti

commerciali e non, tra cui una banca e un bar/tabacchi. Per gli amanti dello shopping, il terminal offre anche una grande varietà di negozi: dagli esclusivi gioielli di Mossa Gioiellieri dal 1850 si passa all’abbigliamento delle marche più esclusive, fino ad arrivare ai libri e ai prodotti tipici della nostra regione. I più golosi possono, invece, usufruire dei cinque punti di ristoro dislocati tra l’area arrivi e quella partenze. Inoltre gli ampi spazi destinati alle sale da attesa garantiscono

Una suggestiva veduta notturna dell’esterno dell’aeroporto internazionale di Palese-Macchie intitolato a Papa Woytila legami con la Puglia. Nello scalo operano, per regolari voli di linea, 14 compagnie aeree, tra cui ovviamente il vettore nazionale, Alitalia. Per quanto riguarda il traffico giornaliero, invece, Bari offre quotidianamente tra gli ottanta e novanta voli, diluiti tra arrivi e partenze. Questo dato tuttavia varia nel periodo estivo e in occasione di ponti o di festività (Natale e Pasqua soprattutto) in funzione dei numerosi voli charter che vengono operati. Per questa estate alcune delle destinazioni che verranno raggiunte partendo dal capoluogo pugliese sono Rodi, Creta e Santorini in Grecia, Siviglia, Ibizia e Palma in Spagna, Lisbona, Vienna, Lourdes e molte altre. L’attuale aerostazione è stata concepita non più come un semplice luogo di imbarco e di sbarco, ma come una struttura complessa e articolata, in grado di soddisfare le diverse esigenze dei viaggiatori e dotata di un molteplice numero di servizi ausiliari e integrativi. Per questo, proprio come una piccola città nella città, nel terminal si può avere accesso a numerosi esercizi

i livelli più elevati di comfort per i passeggeri mentre una serie di schermi al plasma permette ai viaggiatori di ricevere immediatamente informazioni sugli orari dei voli e su i gate destinati all’imbarco, operazione quest’ultima resa più veloce dalla presenza di 28 banchi per il checkin. Per i turisti, infine, sono previsti diversi punti informazione e alcuni desk per il noleggio delle auto nonché un servizio per il recupero bagagli. Parcheggiare in aeroporto è facile e comodo. Questo grazie ad un’ampia area di parcheggio che dispone di circa 2300 posti di cui 45 destinati ai disabili. Lo scalo si trova a 8 km dal centro della città, in zona Palese-Macchie, ed è facilmente raggiungibile anche attraverso un servizio di trasporto pubblico. Inoltre, è prevista la realizzazione di un collegamento ferroviario che metterà in comunicazione la Stazione Centrale di Bari direttamente con lo stesso aeroporto. La conclusione dei lavori è attesa per il 2010. Alessio Rega

NOVITA’

Bari vola a New York Il collegamento via Bologna, è un’occasione straordinaria per la Puglia. Una valida spinta per il turismo e per lo sviluppo economico Bari e New York non sono mai state così vicine. E questo è possibile grazie al volo di linea che collega il capoluogo pugliese, via Bologna, con la più grande ed importante metropoli statunitense ma soprattutto mondiale. Il collegamento, attivo dal 16 maggio al 12 settembre ogni venerdì, con partenza dal “Karol Wojtyla” e con arrivo al terminal 4 del prestigioso “John F. Kennedy”, sarà gestito dalle compagnie congiunte Meridiana ed Eurofly. Uno degli aspetti che più colpisce di questo nuovo servizio, come ha messo in evidenza Giuseppe Russo, direttore commerciale della compagnia aerea italiana, è sicuramente il basso costo, con tariffe vantaggiose di sola andata che partono da 199 euro tasse incluse. Il collegamento con la Grande Mela, inoltre, sarà effettuato con comodi e moderni Airbus A330. Questo nuovo volo intercontinentale, per cui ci sono già circa 1800 prenotazioni, rappresenta una novità assoluta per la Puglia, in quanto mai prima di ora la regione si era dotata di regolari collegamenti diretti con gli Stati Uniti d’America. A questo straordinario risultato si è giunti attraverso un lavoro congiunto che ha coinvolto gli assessorati regionali al Turismo e ai Trasporti, nonché l’ENIT (Ente Nazionale Italiano per il Turismo). Particolarmente importante è stato anche il ruolo svolto dal management degli Aeroporti di Puglia, come sottolineato dal direttore generale Marco Franchini, il quale ha evidenziato la grande sintonia stabilita con l’Amministrazione regionale per la realizzazione di questo progetto. La capacità di

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aver fatto sistema, infatti, è risultata determinante, in quanto ha permesso a tutte le componenti in gioco di confrontarsi e di trovare le soluzioni migliori e più vantaggiose per tutti. Il successo organizzativo è stato rimarcato anche dall’Assessore regionale ai Trasporti, Mario Loizzo, particolarmente entusiasta del risultato raggiunto a tal punto da definire il nuovo collegamento aereo “un arricchi-

La raggiungibilità può, nello stesso tempo, decretare il successo turistico della stessa regione poiché permette di incrementare il numero di turisti americani e non. La Puglia, attualmente, si colloca al decimo posto, tra le regioni italiane, nella scelta dei turisti d’oltreoceano. Quello verso la nostra regione non è ancora un turismo di massa, in quanto sem-

mento di straordinario valore per la Puglia”. Approfittando dell’occasione, l’assessore ha annunciato un significativo potenziamento del servizio di trasporto su bus verso gli aeroporti pugliesi. Il nuovo collegamento aereo costituisce un ulteriore tassello anche per quanto riguarda lo sviluppo dell’intero sistema aeroportuale, sia sul piano della qualificazione infrastrutturale, con l’implementazione di nuovi e moderni servizi di sicurezza, che su quello delle destinazioni raggiunte. Esso contribuirà, dunque, a far aumentare il numero dei passeggeri che transitano nell’aeroporto barese, il quale già può vantare un interessante trend positivo, come si evince dal confronto dei dati relativi ai primi tre mesi di quest’anno con quelli dello scorso primo trimestre, con un aumento di oltre cinquanta mila unità. Sul potenziamento della quota turistica pugliese negli Stati Uniti si è soffermato l’assessore al Turismo, Massimo Ostillio che ha sottolineato come il Bari-New York non sia una velleità, ma il frutto di un ragionamento economico-sociale.

bra presentare le caratteristiche tipiche di un turismo d’elite orientato prevalentemente verso itinerari artistici e soprattutto enogastronomici. Tra le tante possibilità che il nuovo volo offre, l’assessore Ostillio intravede anche un importante strumento per l’internazionalizzazione delle imprese locali. E, infatti, dietro al Bari-New York si celano, in realtà, anche ulteriori grandi progetti. In particolar modo sotto l’aspetto economico in quanto, come affermato da Domenico Di Paola, amministratore unico degli Aeroporti di Puglia, questo volo rappresenta una grande opportunità per far conoscere al mercato nordamericano le eccellenze che la regione vanta ad ogni livello. Si tratta, quindi, di un altro piccolo passo per il rilancio del Mezzogiorno, una scommessa sulla quale Eurofly ha deciso di puntare. Non resta, quindi, che preparare le valigie e partire! Alessio Rega

Nuova gamma prodotti per professionisti, imprese e famiglie

Banca Popolare di Bari, rinnova l’offerta commerciale La Banca Popolare Bari rinnova la propria gamma prodotti con il lancio di nuovi conti dedicati ai professionisti e alle imprese, e di un prestito per i privati che offre condizioni particolarmente vantaggiose. Nel primo caso rientra il conto “Professionisti Plus” che ha come target i liberi professionisti che prediligono l’operatività on-line ed offre, tra l’altro, il pagobancomat e la carta di credito e il servizio Pos a condizioni agevolate. Nel secondo invece, i conti “Impresa Light” ed “Impresa Full”. Questi due nuovi conti sono stati appositamente studiati per venire incontro alle esigenze dei piccoli operatori commerciali e delle imprese, e includono diversi servizi particolarmente utili, tra cui l’internet banking e il phone banking. Inoltre, sia per il conto “Professionisti Plus”, sia per quelli “Impresa Light e Full”, il canone mensile, già particolarmente contenuto, resterà bloccato fino al 2010. “My Credit Sun” è invece un nuovo prestito lanciato sul mercato per rispondere alle necessità di liquidità di famiglie e single. In un momento così difficile per l’intero sistema economico questo prestito permette, infatti, di poter disporre, in tempi brevissimi, di un capitale compreso tra i 1.500 ed i 30.000 euro, da rimborsare in comode rate. Inoltre, questo prodotto è abbinato al concorso “Soddisfatti e Premiati”, che sarà valido fino al 31 luglio. I vincitori, che saranno sorteggiati seguendo una procedura ministeriale certificata da un notaio, riceveranno un premio di 5.000 euro in buoni d’acquisto. Per avere informazioni più dettagliate su questi nuovi prodotti della Popolare di Bari è possibile consultare il sito internet www. popolarebari.it oppure passare in una delle filiali più vicine.

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