NelMese 6/2008

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periodico di Cultura Turismo Economia direttore responsabile NICOLA BELLOMO sommario n. 6/2008 anno 42esimo Edizioni NUOVA GEDIM S.R.L. Direzione - Amministrazione - Pubblicità via Suppa, 28 - tel. 0805232468 70122 Bari - NUOVA GEDIM S.R.L. iscritta alla Camera di Commercio di Bari il 14/01/2008 al numero 503184 - “NELMESE” periodico di cultura turismo economia iscritto al n. 333 del “Registro dei giornali e periodici” del Tribunale di Bari 9 /11 / 1967 - Spedizione in abbonamento postale comma 34 - art. 2 - Legge 549/95 - Filiale di Bari - E’ vietata la riproduzione, anche parziale, di scritti e la riproduzione in fotocopia -. Nicola Bellomo ideazione Grafica. Massimo Clori Fotocomposizione. - Stampa: Pubblicità & Stampa - Via dei Gladioli 6 - 70026 Modugno/Bari tel. 0805382917 ABBONAMENTO ANNUO PER IL 2008 Euro 30,00 - LA COPIA - euro. 3,00 (con copertina plastificata euro 3,20) - CONTO CORRENTE POSTALE 000088305263 INTESTATO A NUOVA GEDIM S.R.L. - VIA SUPPA 28 BARI 70122

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EDITORI

POLITICA RICORDO DELLO STATISTA A 30 ANNI DALL’ASSASSINIO DA PARTE DELLE BRIGATE ROSSE

La sua Vita, l’eredità di Aldo Moro

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RELIGIONI AL CENTRO MARIN CONVERSAZIONE DELL’ARCIVESCOVO DI BARI-BITONTO MONS. FRANCESCO CACUCCI

Famiglia, c’è posto per la parola di Dio?

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DIBATTITI DIBATTITO A RUTIGLIANO ORGANIZZATO DA PD E DA PDL CON LUCIANO VIOLANTE E ADRIANA POLI BORTONE

Federalismo, chi è questo sconosciuto?di Francesco De Palo 8 ISTITUZIONI REALISTICO DISCORSO DEL COMANDANTE DELLA REGIONE CARABINIERI DI PUGLIA GENERALE GIUSEPPE ROSITANI NEL 194° DELL’ARMA

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MEDICINA / NEL MONDO DEI CIECHI / 3.

Prosegue l’indagine del periodico

ILLUSTRATE LE TECNICHE E GLI ORIZZONTI DAL DIRETTORE DELLA CLINICA OCULISTICA DELL’UNIVERSITA’ DI BARI

Il trapianto di cornea di Carlo Sborgia

INTERVISTA ALLA PRESIDENTE DELL’AIDO PROVINCIALE DOTT. GIANNA PASCALI

Dai valore alla vita di Claudia Serrano

SUGGESTIVO VOLUME PROMOSSO DALLA BANCA POPOLARE DI PUGLIA E BASILICATA ED EDITO DA ADDA

Un evento culturale

E Pane fu di Claudia Serrano

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L’altro Garibaldi, commerciante a Bari

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UNA NOVITA’ STORICA DI RICCARDO RICCARDI DELLA CONGEDO EDITORE

INDUSTRIE L’AZIENDA ADERENTE ALLA SEZIONE METALMECCANICA DI CONFINDUSTRIA BARI E LEADER NELLE AUTOMAZIONI INDUSTRIALI

Marra, la soluzione da 40 anni di Francesco De Palo 30 Impegno & Successo 33 ECONOMIA / EDILIZIA ASSICURATA CORRETTEZZA E AFFIDABILITA’

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INDUSTRIE / EDILIZIA

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PRESENTATI AL FORMEDIL DI BARI SETTE MANUALI REALIZZATI DALL’ANCE PUGLIA PER CONOSCERE INNOVAZIONI E NORMATIVE

Fare impresa in edilizia di Tonino Ancona

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MANIFESTAZIONE PER FAR CONOSCERE I RISULTATI OTTENUTI E LE ATTIVITA’ DEI RICERCATORI GRAZIE ALLA GENEROSITA’ DEGLI ITALIANI

di Marisa Di Bello

LIBRERIE & LIBRI

L’Immobiliare Rubino 13 si certifica

MEDICINA / RICERCA / UNIVERSITA’

Malattie genetiche ci pensa la Telethon

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di Raffaele d’Ecclesiis

di Claudia Serrano

di Nicola Bellomo

Perle di Carta di Marisa Di Bello

di Luigi d’Ambrosio Lettieri senatore PDL

I Carabinieri

INTERVISTA AD ANGELA SCHENA SULLA STORICA CASA EDITRICE DI FASANO

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POLITICA A trent’anni dal suo assassinio ancora vivo il ricordo dello Statista e del suo impegno per “civilizzare” la politica e per costruire una democrazia compiuta. Il timore di pericolose nevrosi politiche. Il profondo significato della intitolazione dell’Università di Bari al giurista pugliese

La sua Vita, l’eredità di Aldo Moro di Luigi d’Ambrosio Lettieri Senatore della Repubblica del PDL

Qual è l’eredità che ci ha lasciato Aldo Moro? Rispondere a questo interrogativo impone una riflessione che dobbiamo fare con noi e per noi stessi e che va ben oltre gli obblighi imposti - a trent’anni dalla sua scomparsa - dalle molte (e sacrosante) commemorazioni tributate in queste ultime settimane al grande statista pugliese. Per poter fare degnamente un omaggio sentito, profondo e devoto alla più insigne vittima del terrorismo brigatista, che è innanzitutto un omaggio al suo ingegno e alla sua levatura morale, è necessario evitare di confinarne la figura nell’incubo della sua assurda prigionia, in quei 55 giorni durante i quali si è consumata una delle notti più lunghe e buie della storia repubblicana di questo Paese. Sarebbe infatti un errore ricondurre alle drammatiche fasi finali, alla mera dimensione del cosiddetto “caso Moro”, la figura e l’esperienza di quello che è stato uno dei più grandi uomini politici del nostro Paese. Ci sarebbe infatti il rischio di perdersi nello scivoloso sentiero della dietrologia sul quale è sempre impervio incamminarsi, così come quelli delle implicazioni internazionali e della ragion di Stato, delle vere o presunte

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segnalazioni ignorate, degli ordini di perquisizione bloccati, di immobilismi, silenzi e manipolazioni. Sarà la storia, alla quale Aldo Moro è già consegnato, a chiarire con i suoi strumenti, se e come potrà, ciò che ancora deve essere chiarito. Per ricordare in modo più degno e pieno il presidente della Democrazia Cristiana bisogna, a mio giudizio, concentrarsi sulla sua vita, perché solo così si potrà rispondere all’interrogativo iniziale e comprendere le criminali logiche e le perverse dinamiche del suo assassinio. Rievocare la figura di Aldo Moro vuol dire, dunque, in primo luogo celebrarne la vita; la sua incisiva moderazione; il patrimonio di sapiente e prudente mediazione e lungimiranza coraggiosamente lasciatoci quale eredità politica e umana. La prudenza è la parte più nascosta del vero coraggio ed entrambe queste qualità si contemperavano nella sua persona, sebbene egli sentisse quella particolare solitudine di chi vede più lontano degli altri. Il presidente Moro aveva consapevolmente colto già nel ’68 quel che si muoveva e premeva nella società italiana: la crisi dei vecchi equilibri, il travaglio e l’istanza di rinnovamento delle nuove generazioni e, quindi, nel maggio ’77 aveva lanciato l’allarme. Moro aveva sì un’idea di dove condurre il Paese, ma sapeva bene che la politica era ed è un processo al quale bisogna

continuamente associare gli altri. Egli era consapevole che occorreva del tempo, che bisognava saper aspettare e far maturare le situazioni, senza pretendere che le note “convergenze parallele” potessero comporsi da subito, così come differenze troppo accentuate potessero d’incanto essere annullate. Ciononostante, Moro riteneva di poter avvicinare ciò che gli appariva compatibile e possibile. Nulla è semplice in politica: la visione complessiva, la conoscenza del mondo, il paziente lavoro da sottile tessitore che egli mise in atto ne sono la testimonianza. Moro voleva affrancare il Partito Comunista Italiano da Mosca e legittimarlo come forza democratica e di governo; cominciare a costruire una democrazia adulta in cui la DC ed il PCI potessero legittimarsi a vicenda e pacificamente alternarsi al potere senza rischi per le Istituzioni democratiche, pur rimanendo partiti alternativi. Moro non voleva solo che i comunisti diventassero democratici, ma anche che il capitalismo italiano diventasse democratico, che la borghesia stessa di questo Paese diventasse più democratica di quanto non fosse. Egli non voleva più un sistema sempre diviso tra due “chiese”, entrambe con due diversi paradisi. Aldo Moro aveva intercettato la divisività nazionale, la “deformazione del volto umano dell’Italia”, come egli la chiamava, ovvero quell’odio reciproco che da sempre è stato una delle nostre più antiche caratteristiche (guelfi contro ghibellini, Nord contro Sud, laici contro clericali e così via). A Moro era toccata la missione di “civilizzare” la politica, con il fine ultimo di costruire una democrazia compiuta in visione del bene comune. Ma il terrorismo è nemico di chi


L’on. Aldo Moro all’epoca del rapimento e della uccisione da parte delle brigate rosse (marzo-maggio 1978) era presidente nazionale della Democrazia Cristiana. Accanto, il corpo esanime rinvenuto in un’auto in via Caetani a Roma

Il busto in bronzo di Aldo Moro e l’intero monumento, sistemato in un’aiuola della Piazza antistante la stazione centrale, intestata allo Statista, è opera del prof. Mario Colonna. Sulle colonne di pietra sono collocate sculture irregolari con incisi i nomi dei caduti di via Fani, i cinque della scorta di Moro, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Raffaele Iozzino, Francesco Zizzi vuole trasformare la società e non fu una circostanza casuale che il suo rapimento ed il successivo assassinio siano stati messi in atto a poche ore dall’insediamento del nuovo esecutivo monocolore democristiano di Giulio Andreotti, sostenuto dai voti parlamentari del Partito Comunista Italiano.

Oggi sentiamo che quella stagione non è mai stata a noi tanto vicina; nelle luci e nelle ombre; nelle aspettative e nei timori. Forse non siamo ancora ai “corsi e ricorsi storici”, ma il nostro Paese non è davvero del tutto immune dal rischio di ritrovarsi in una fase analoga

a quella degli anni Settanta. Ora come allora, dinanzi alla gravità dei problemi economici, sociali ed istituzionali, maggioranza di Governo e opposizione, nel rispetto dei diversi ruoli costituzionali, possono cercare nuove “convergenze” per il bene del Paese. Ma al pari delle luci, intravediamo anche l’allungarsi di ombre. Mi riferisco al pericolo di possibili impulsi estremisti e di frange eversive che potrebbero sciaguratamente materializzarsi con la nuova geografia politica configuratasi dopo il voto del 13 e 14 aprile scorso, col rischio di far precipitare il Paese in una incipiente stagione di destabilizzazione. Il riferimento è ovviamente a quei segmenti di società, ancora fortemente ideologizzati, che hanno ormai perduto la propria rappresentanza all’interno delle istituzioni nazionali, e proprio per questo potrebbero farsi portatori di pericolose nevrosi politiche. A distanza di trenta anni il tempo non ha sottratto nulla alla memoria collettiva del sequestro dell’on. Moro: come accade in tutte quelle che sentiamo essere drammatiche svolte della nostra personale esistenza, dopo le quali nulla torna uguale e che segnano un traumatico spartiacque tra il “prima” e il “dopo”, gli italiani ricordano come un fotogramma gli attimi concitati e convulsi in cui si diffondevano le prime notizie del rapimento dello Statista e dell’uccisione degli uomini della Sua scorta, come vengono ormai ricordati i cinque agenti, precipitati spesso nel limbo della dimenticanza comune e dei quali desidero per questo, ancora una volta, elencarne i nomi: maresciallo Oreste Leonardi, appuntato Domenico Ricci, brigadiere Francesco Zizzi, agente Raffaele Iozzino, agente Giulio Rivera. Dietro a quei nomi c’erano persone vere, volti, esperienze incarnate in vite concrete, biografie, famiglie. I nomi, come i volti, danno il senso di una fratellanza universale, ordinaria. I caduti in guerra o, in tempo di pace, le vittime del terrorismo rosso, nero, stragista o fondamentalista-religioso trovano requie se almeno i vivi hanno una verità storica condivisa in cui credere. E al riguardo, credo che tut-

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RELIGIONI

to il Paese dovrebbe fare proprie le parole che il Capo dello Stato, autentico interprete del sentimento nazionale, ha pronunciato qualche settimana fa in occasione del “Giorno della memoria” dedicato alle vittime del terrorismo, affermando che “noi non dimentichiamo, non vogliamo mai che venga dimenticato, il nostro debito nei loro confronti”. Non posso però concludere senza rivolgere almeno un pensiero alle lettere che Moro scrisse durante i giorni di prigionia, autentico patrimonio letterario. Esse ci hanno consegnato del presidente della DC una dimensione straziante. La sua scrittura, sia pure nella drammaticità delle condizioni in cui prese vita, riproduce in righe orizzontali il volo della sua voce; erige in colonne il sentimento autentico della pietà cristiana, la bellezza e il dolore; la visione del bene comune e la moralità dei suoi comportamenti. Diceva il Presidente Moro: “Io ci sarò ancora come un punto di contestazione e di alternativa”. Aldo Moro è ancora vivo, perché in lui c’era la forza della verità, la vis veri di quella ragione, di quell’umanità e sensibilità politica del grande Statista. Dopo trenta anni il tempo non ha sottratto nulla alla nostra memoria poiché non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo. In proposito, non posso che salutare con viva soddisfazione la recentissima decisione dell’Università di Bari di intitolare proprio ad Aldo Moro l’Ateneo dove egli insegnò quella scienza giuridica di cui era uno dei massimi cultori e che gli valse, insieme al riconoscimento della sua dirittura morale, della sua sensibilità politica e del suo profondo senso dello Stato e delle istituzioni, quel posto nell’Assemblea Costituente che ne fa, e davvero il titolo non è usurpato, un vero Padre della Patria.Il ricordo di quest’uomo di poco potere, ma di grande autorità non può dunque venir meno e neppure sbiadirsi. Semmai il contrario: infiniti sono i dettagli che possiamo ancora scoprire nell’esempio e nell’insegnamento dell’on. Moro, ma altrettanto infinito è il rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.

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Famiglia, c’è posto per la parola di Dio? “L’evangelizzazione in famiglia”, il tema affrontato da monsignor Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, nell’incontro organizzato dal Centro Culturale Demetrio Marin presso la parrocchia di Santa Croce in Bari. Dalle riflessioni dell’Arcivescovo il quadro di una famiglia cristiana travolta dall’iperattivismo della società e sempre più lontana dall’esperienza del Mistero

“La Famiglia” scultura in pietra di Marcello Gennari

Leggere la realtà con gli occhi di Dio. Da questa imprescindibile esigenza ha preso avvio il discorso tenuto da mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, sul tema dell’evangelizzazione in famiglia. Evangelizzazione in famiglia e non della famiglia, come ha precisato mons. Alberto D’Urso, parroco di Santa Croce, che ha introdotto l’incontro, svoltosi al Centro Culturale Marin, con il dott. Paolo Giusto, rappresentante del Gruppo famiglia della parrocchia attivo dal 1980, e con il professor Aldo Loiodice, presidente del Centro e ordinario di Diritto costituzionale dell’Università degli Studi di Bari. Quante volte proviamo veramente a leggere la realtà partendo dallo sguardo di Dio? Non siamo piuttosto inclini a dare per scontato di essere in grado di coglierla, interpretarla e viverla alla luce del Vangelo dal nostro punto di vista? Ma la realtà non si fa comprendere dai nostri occhi e ogni umana presunzione crolla quando ci si rende conto che qualsiasi lettura del mondo, anche quella scientifica e sociologica, è falsata se il punto di partenza non è lo sguardo di Dio. È questa capacità di discernimento, dono dello Spirito Santo, che deve conquistare una comunità cristiana che voglia rapportarsi con il mondo e le sue problematiche, sul piano sociologico e pastorale. Ed è anche il punto di partenza per poter guardare ad una realtà complessa qual è quella della famiglia cristiana. La famiglia, dalla quale tutto nasce, che dovrebbe essere una “piccola chiesa e un Vangelo vivente”, la famiglia che si evolve, cambia la sua composizione e cambia il modo di stare insieme; e che questi mutamenti siano o meno i segni di una


crisi della società, certo è che come si investe sulla preparazione al matrimonio, così, con la stessa dedizione, bisogna accompagnare la famiglia nel suo cammino. Ed è un percorso lungo, che non si improvvisa. Oggi la famiglia si trova in una situazione palesemente differente rispetto a venti anni fa, è mutata la società, sono cambiati i ritmi di vita, sono diverse anche le prospettive. Quale posto ha la Parola di Dio nella famiglia di oggi? Monsignor Cacucci si è soffermato su un fenomeno che ha definito macroscopico e della cui gravità bisognerebbe prendere coscienza: lo iato tra la partecipazione dei ragazzi agli incontri del catechismo e il loro assenteismo domenicale. In altre parole soltanto un’esigua percentuale dei ragazzi che frequentano il catechismo partecipa alla Messa domenicale, che dovrebbe essere il culmine del percorso settimanale, giorno di festa e di coinvolgimento. Le motivazioni di questo fenomeno sono diverse, le responsabilità varie, a volte dei genitori, a volte dei catechisti, ma ciò che conta è che, limitata a pochi incontri settimanali, stretti tra mille altri impegni, l’evangelizzaMons. Francesco Cacucci zione si riduce così solo alla Arcivescovo di Bari-Bitonto preparazione ai sacramenti. Dov’è la mistagogia, ovvero l’esperienza del Mistero? E se questi ragazzi non hanno la possibilità di compiere l’esperienza completa del Mistero, come potranno mai vivere l’entusiasmo della fede? Questi piccoli sono una risorsa immensa, per noi e per l’evangelizzazione, ma se non si dà loro la possibilità di un’esperienza completa di fede resta solo una generazione cresciuta in un iperattivismo peggiore di quello degli adulti, dove la Parola di Dio non è esperienza quotidiana e irrinunciabile, ma uno dei tanti impegni per il quale trovare un buco del proprio tempo; a questi ragazzi bisognerebbe dare la possibilità di prendere fiato, di riposarsi, di giocare anche, perché pure il gioco ha importanza, e occuparsene deve essere per gli educatori una responsabilità di vita e di autenticità. Devono poter sentire tutta la ricchezza di un’esperienza comunitaria perché, nonostante i problemi, le nostre parrocchie sono una risorsa immensa, un incontro impagabile, un punto di riferimento. Poi probabilmente molti di questi giovani nel corso della loro esistenza vivranno momenti di allontanamento da Dio, ma quel che si è ricevuto resta per tutta la vita. Queste riflessioni sono il dono della visita pastorale, quel momento di ritrovo che monsignor Cacucci ha detto essere per lui una grazia. Ma è una grazia anche per chi incontra una persona di tanta dottrina e umanità, capace di donare riflessioni che nascono “ex abundantia cordis”, dall’abbondanza del cuore. Una carezza per quelle generazioni, tra cui anche la mia, che hanno una sete di Dio e di assoluto che nessun iperattivismo potrà mai colmare. Claudia Serrano nelmese - 6/2008 - 7


POLITICA

Federalismo, chi è questo sconosciuto?

Interessante dibattito organizzato da PD e da PdL a Rutigliano, in occasione del sessantesimo anniversario della Costituzione, con l’on. Luciano Violante e la sen. Adriana Poli Bortone su un tema complesso e delicato

testi e foto di Francesco De Palo

Metti una fresca sera di inizio estate, aria bipartisan e tema complesso: “Il federalismo nel sessantesimo della Costituzione”, organizzato congiuntamente da Partito Democratico e Popolo delle Libertà. La deliziosa piazzetta Colamussi di Rutigliano a fare da cornice, il direttore del TG Norba, Enzo Magistà a moderare i relatori, l’ormai ex deputato diessino Luciano Violante e la senatrice di An Adriana Poli Bortone. Deputato dal 1979 a quest’anno, l’ex magistrato ed ex Presidente della Camera si scaglia contro il federalismo che il Governo vorrebbe attuare, reo, a suo dire, di provocare la spaccatura dell’Italia in due zone, un’area ricca ed efficiente (il Nord) ed una povera e non autosufficiente (il Mezzogiorno).

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Si tratta di una tematica meritevole di approfondite valutazioni che investono una serie di fattori e di ragioni distinte. Si pensi ad esempio al caso della Sicilia, dove il numero dei dipendenti regionali è pari a quello di tutta la Francia. “E’in questo caso che serve un federalismo equilibrato- riflette Violante- che garantisca la precisa responsabilità degli amministratori. Purtroppo al sud persiste un’organizzazione della politica non democratica, ma fondata sul notabilato”. Secondo la senatrice Poli Bortone invece il federalismo fiscale avrebbe “una sua gradualità, frutto della diversa consistenza delle singole regioni. Certo, serve una fetta di solidarietà che deve garan-

tire il minimo di tutela in tutta Italia, in virtù del concetto di unità nazionale che nessuno deve inficiare”. Ma allora, incalza Magistà, quale potrebbe essere il federalismo adatto per il sud? “Domanda sbagliata- replica l’on. Violante- dovremmo chiederci quale dovrebbe essere il miglior federalismo per il Paese, non per un’area specifica. E’necessario cogitare all’Italia nella sua globalità”. Il dado però sembra ormai tratto, stando alle ultime dichiarazioni del Ministro Roberto Maroni pare che il federalismo partirà in autunno. “Noi puntiamo al cosiddetto Governo del territorio- propone l’ex sindaca di Lecce ed europarlamentare- dobbiamo chiederci se la programmazione territoriale si


ENZO MAGISTA’ concili realmente con le concrete esigenze, è questo il vulnus della questione”. Nel nostro Paese, è utile rammentarlo, le proposte di federalismo fiscale sono concentrate sul fatto che le regioni padane vorrebbero a disposizione il 90% del gettito fiscale del proprio territorio, di modo che siano le Regioni stesse a provvedere alla riscossione delle imposte e non più la tesoreria unica. Proprio la sen. Poli Bortone ha nei giorni scorsi presentato il “Cantiere Puglia”, un progetto che mira ad inserirsi attivamente nel dibattito nazionale sul tema del federalismo fiscale senza esserne parte passiva, attraverso una proposta di legge firmata Puglia. Non un contenitore già confezionato, ma una spinta che dia il “la” al coinvolgimento diretto del territorio. Lo scopo è definire le

ADRIANA POLI BORTONE materie “concorrenti” che si ritengono di interesse strategico per la Puglia e, quindi, di possibile competenza esclusiva per la stessa Regione. “Il Sud- precisa la senatricenon deve subire i temi introdotti dagli articoli 116, 117 e 119 della nostra Costituzione, ma deve esser capace di dar vita ad un Federalismo attivo”. Puglia ma non solo. Il direttore Magistà sposta il dibattito fuori dai confini nazionali, coinvolgendo l’Unione europea. A proposito di federalismo europeo, al momento pare proprio non esserci se non nelle intenzioni. “Fino al secolo scorso- continua Violante- l’asse mondiale era rappresentato dall’Atlantico, ovvero Usa e Europa. Oggi l’asse è il Pacifico, cioè Cina, Giappone India e Usa, mentre noi siamo diventati una specie

LUCIANO VIOLANTE di periferia. Credo che per rientrare nel giro che conta dovremmo guardare con attenzione ai Paesi africani, che hanno un tasso di crescita annuo del 4% e che sono già preda di molti investimenti cinesi”. Ma come ha fatto l’Europa da centro del mondo e diventarne periferia? Violante non ha dubbi: “Il vecchio continente parla 17 lingue, mentre gli Stati Uniti una. Ecco spiegato l’arcano e poi il grave errore è stato di aver fatto ratificare il Trattato europeo dopo aver aperto ai Paesi dell’est”. Insomma, non solo un sud d’Italia che si troverà di fronte una novità legislativa e fiscale di non semplice comprensione, ma anche un sud del mondo, l’Africa, che potrebbe rappresentare la chiave di volta per il futuro.

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ISTITUZIONI

I Carabinieri Sottolineato il fermo impegno per la difesa delle istituzioni e per la salvaguardia dei diritti dei cittadini e nelle missioni di pace all’estero dal Comandante della Regione Carabinieri Puglia Generale di Brigata Giuseppe Rositani in occasione della celebrazione del 194esimo della Fondazione dell’Arma a Bari

di Nicola Bellomo

Il Comandante della Regione Carabinieri Puglia Generale Giuseppe Rositani mentre passa in rassegna lo schieramento nel cortile della Caserma Bergia, seguito dal Capo di Stato Maggiore colonnello Maurizio Delli Santi e dal comandante dello schieramento capitano Edoardo Campora Il momento più emozionante: quando si sono levate le malinconiche e struggenti note del “Silenzio” suonate da un trombettiere dinanzi al cippo dedicato a tutti i Carabinieri caduti e dove era stata deposta una corona d’alloro. Certamente in tutti i presenti il pensiero è andato ai tanti Carabinieri che nell’adempimento del loro dovere, si sono sacrificati per la difesa delle istituzioni e per la salvaguardia dei diritti dei cittadini, nonché nelle missioni di pace all’Estero. Il momento più emozionante è stato al centro della celebrazione del 194esimo della Fondazone dell’Arma svoltasi nel cortile della Caserma “Bergia”, durante la quale il comandante della Regione Carabinieri Puglia, Generale di Brigata dott. Giuseppe Rositani ha tenuto un discorso basato essenzialmente sull’attualità. Esaltato il sentimento di stima e di fiducia che tradizionalmente lega la Magistratura e l’Arma e che anche grazie all’intensità di questa sinergia oggi si possono vantare risultati di assoluta soddisfazione nella lotta alla criminalità, il Gen. Rositani ha illustrato alcune problematiche legate alla sicurezza sul territorio della regione, affrontate con azioni di contrasto predisposte con altre Forze di Polizia. Azioni di contrasto contro l’estorsione e l’usura che, se non combattute adeguatamente, potrebbero condizionare lo sviluppo economico della regione. I fenomeni di questi settori vanno atten-

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tamente seguiti per tutelare i soggetti a rischio quali piccoli imprenditori e commercianti avvalendosi anche del prezioso apporto delle organizzazioni anti racket e antiusura. Bisogna però creare anche un clima di fiducia collettiva nelle istituzioni con la convinzione che certi odiosi crimini possono e devono essere sconfitti. Stesso impegno nel combattere la criminalità cosiddetta “da strada”, fonte di collettiva insicurezza. Ma attenzione, ha avvertito il Gen. Rositani, al riguardo non esistono soluzioni miracolistiche. Il fenomeno si può ridurre con un’assidua azione di vigilanza e con la presenza più avvertita sul territorio di carabinieri in uniforme. Fondamentale rimane il ruolo del comandante delle stazioni disseminate nel territorio nonché quello del carabiniere di quartiere, che viene incontro alle rinnovate aspettative di sicurezza da parte dei cittadini. Una novità. L’attivazione a favore degli anziani e dei portatori di handicap del servizio di ricezione a domicilio delle denunce e l’adozione delle più avanzate tecnologie per dare la possibilità a tutti i cittadini di presentare eventuali denunce direttamente on line attraverso il sito internet www. carabinieri.it. A questo punto il gen. Rositani si è detto convinto che tutti i fenomeni criminosi non possono essere risolti solo con interventi di polizia, poiché è ac-


La Caserma Bergia al Lungomare Nazario Sauro di Bari certato che la formazione di essi sono favoriti dal degrado urbano. E’ la cosiddetta teoria del broken window, ha detto testualmente il Generale, secondo la quale le aree urbane degradate appaiono fuori di ogni tipo di controllo e per questo attraggono la criminalità violenta. Di qui la necessità di consolidare la cultura della legalità coinvolgendo altri soggetti: enti locali, autorità civili e forze sociali per conferire alla risposta di sicurezza lo stesso carattere di “globalità” assunto dalla domanda. E ciò perché, da un’analisi approfondita, è emerso come spesso causa di insicurezza ed allarme siano anche comportamenti antisociali che investono parte del mondo giovanile e che si manifestano con episodi di vandalismo e prepotenza.In pratica si tratta del bullismo che evidenzia piuttosto mancanza di senso civico che un vero e proprio fenomeno criminale. Di qui l’appello del gen. Rositani ad un concreto e corale sforzo in un’opera di educazione soprattutto rivolto ai giovani per fare apprezzare il rispetto delle norme, necessari strumenti regolatori della vita civile e collettiva. Anche in questo settore - ha ricordato il Comandante - l’Arma porta il suo contributo in termini di prevenzione. Tra l’altro, nello scorso anno scolastico, si sono svolti incontri con oltre 2mila studenti in 292 istituti di ogni ordine e grado. Nel suo discorso il Generale ha affrontato poi il problema della paura: di chi è stato già vittima della delinquenza e di chi si sente potenziale vittime di analoghi fatti delittuosi. E allora come spezzare questa spirale perversa? L’Arma ha il compito di spezzare appunto questa spirale perseguendo i criminali ma anche liberando il cittadino dalla sfiducia e dall’insicurezza quale condizione essenziale per lo sviluppo delle capacità individuali e di crescita del Paese. Infine, il comandante Rositani ha rivolto il suo plauso a tutti i componenti dell’Arma per la generosa e incondizionata dedizione per continuare ad essere un sicuro punto di riferimento, un solido pilastro ed una certezza di legalità al servizio del Paese. A conclusione della cerimonia sono stati consegnati numerosi riconoscimenti assegnati a ufficiali, graduati e militi distintisi in servizio. Nutriti gli applausi dei presenti quali esternazioni di simpatia e riconoscenza verso l’Arma.

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SOCIALITA’ / MEDICINA / 3.

Nel mondo dei ciechi

Prosegue l’indagine di NelMese nel mondo dei non vedenti con l’intento, enunciato sin dalla prima “puntata”, di dare ampio spazio a una realtà troppo spesso ignorata dall’opinione pubblica. Nel numero di marzo l’avvio dei servizi con l’intervista di Claudia Serrano a Luigi Iurlo, presidente della sezione provinciale di Bari dell’Unione Italiana Ciechi, che ha illustrato le attività svolte dall’associazione tra mille difficoltà ma con tenacia. Lo stesso Iurlo ha voluto esprimere la sua soddisfazione per l’avvio dell’indagine inviando una lettera al Direttore, che pubblichiamo in questa stessa pagina, solo perchè è una conferma della validità dell’iniziativa. Completavano i servizi del numero di marzo il suggestivo ricordo del prof. Franco Anelli della visita di alcuni ragazzi non vedenti alle Grotte di Castellana, e la densa intervista di Marisa Di Bello al prof. Carlo Sborgia, direttore della Clinica Oculistica dell’Università di Bari, sulle principali cause di cecità e sul valore della prevenzione. Eccezionale l’esperienza, riportata da Daniela Mazzacane, nella seconda puntata, dei corsi di immersione subacquea per ciechi, organizzati dall’Associazione Albatros costituita da Angela Costantino, vedova del famoso nuotatore di fama internazionale Paolo Pinto. Un’avventura che ha aiutato molti ragazzi, tra i quali Elisabetta Franco, giovane sub non vedente, a superare il “limite” della cecità. Fiduciosi per l’attenzione che questa inchiesta di NelMese sta suscitando, sia dal punto di vista medico che umano e sociale, nei diretti interessati e non, in questo numero il prof. Carlo Sborgia, illustra le tecniche e gli orizzonti dei trapianti di cornea. Il che inevitabilmente porta ad ampliare il discorso al complesso problema delle donazioni di organi e tessuti sul quale Claudia Serrano ha intervistato la dott. Gianna Pascali, presidente della sezione provinciale dell’A.I.D.O, l’associazione donatori organi.

Abbiamo bisogno di più visibilità La sollecita il presidente della Sezione provinciale di Bari dell’Unione Italiana Ciechi e degli Ipovedenti Egr. Direttore, sono con la presente a ringraziarLa sentitamente per lo spazio riservato alla intervista all’Unione Italiana Ciechi pubblicata sul n. 3/2008 del suo periodico. L’Unione esiste da ormai quasi novanta anni e di conquiste sociali ne ha ottenute tantissime, dal diritto alla pensione sociale all’integrazione scolastica, dal diritto alla formazione professionale al diritto alle assunzioni obbligatorie grazie a leggi speciali; tuttavia, ancora oggi ci capita spesso di sentire gente che non ci conosce, che non sa che esiste un punto di riferimento per tutti i non vedenti e gli ipovedenti italiani. Questo accade perché non sempre ci viene riservata la giusta attenzione anche da parte dei media. E’ nostra abitudine dare la massima divulgazione alle diverse iniziative che adottiamo ma molto spesso la stampa e le tivù ci

snobbano o riducono al minimo indispensabile i comunicati che inviamo. Per l’Unione Italiana Ciechi è invece perentorio avere la massima visibilità perché questo significa poter arrivare a tutti, significa divulgare il nostro lavoro, significa dare la possibilità a tanti non vedenti ed ipovedenti di ottenere il giusto spazio in seno alla nostra società. Per questo sento il dovere di ringraziarla sentitamente per la grande attenzione avuta nei nostri confronti che mi auguro continuerà ad avere anche in futuro. E’ inoltre mio grande piacere ringraziare per il suo tramite la giornalista Claudia Serrano per la simpatia dimostrata nei miei confronti e dell’organizzazione che mi onoro di rappresentare. Distinti saluti. Luigi Iurlo

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NEL MONDO DEI CIECHI

Il trapianto di cornea Il trapianto di cornea, detto anche cheratoplastica (dal greco keratos, cornea), è un intervento chirurgico finalizzato alla sostituzione di una porzione di cornea con un’uguale entità di tessuto trasparente. Si parla di cheratoplastica perforante quando la porzione di cornea viene sostituita a tutto spessore, e di cheratoplastica lamellare quando si sostituisce solo uno strato, più o meno spesso, di tessuto corneale. La cornea è un tessuto trasparente che chiude anteriormente il bulbo oculare. Ha importantissime funzioni ottiche (rappresenta i 2/3 del potere diottrico totale dell’occhio), perché, insieme con il cristallino, contribuisce alla convergenza dei raggi luminosi sulla retina, consentendo la corretta messa a fuoco delle immagini. Per poter svolgere a pieno la sua funzione, la cornea deve mantenere il suo stato di trasparenza, normalmente assicurato dalla sua particolare struttura microscopica e dall’assenza di vasi sanguigni nel suo contesto. Qualunque malattia della cornea che ne alteri la struttura microscopica ed il suo particolare metabolismo si traduce nella perdita, più o meno marcata, localizzata o diffusa, della sua trasparenza per formazione di tessuto cicatriziale, opaco, o di neovasi (vasi di nuova formazione in una zona in cui sono normalmente assenti). Diverse patologie corneali, di natura infiammatoria/ infettiva, traumatica, tossica, o su base genetica, possono provocarne l’opacità con perdita di trasparenza e riduzione progressiva della capacità visiva. Tra queste ultime vi è il cheratocono, una malattia che colpisce prevalentemente i soggetti giovani, caratterizzata dal progressivo assottigliamento e sfiancamento della cornea. Il progredire della malattia può condurre anche all’opacizzazione o alla perforazione della cornea stessa. I pazienti affetti da cheratocono in fase iniziale possono trarre beneficio da trattamenti atti a rallentarne l’evoluzione (cross-linking con riboflavina e UV-A), ma quando la malattia è in fase avanzata, l’unica soluzione è la cheratoplastica. Altre patologie corneali danneggiano irreversibilmente le cellule che rivestono internamente il tessuto corneale (endotelio). L’integrità dell’endotelio corneale è fondamentale per garantire la corretta idratazione della cornea, che contiene una percentuale di acqua pari al 75%; l’endotelio svolge infatti un’importante funzione di barriera nei confronti dell’umore acqueo (liquido presente nella porzione anteriore dell’occhio e che bagna la superficie posteriore della cornea), impedendo che il tessuto corneale si imbibisca. L’aumento del tasso di idratazione della cornea per danneggiamento delle cellule endoteliali ne comporterebbe

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di Carlo Sborgia, direttore della Clinica Oculistica Università Bari

l’edema e la perdita di trasparenza, causando quello che comunemente viene detto “scompenso” corneale. Da quando è stato effettuato per la prima volta con successo, nei primi anni del ‘900, il trapianto di cornea ha subito una costante evoluzione, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. La cheratoplastica è un intervento di microchirurgia, eseguito con l’ausilio di un microscopio operatorio, effettuato nella maggior parte dei casi in anestesia generale. Si distinguono essenzialmente due tipi di cheratoplastica: perforante, se tutti gli strati della cornea opaca vengono sostituiti con un lembo corneale trasparente a tutto spessore, lamellare, se vengono sostituiti solo gli strati anteriori alterati con equivalenti strati di cornea trasparente. In entrambi i casi il chirurgo rimuove il tessuto malato e lo sostituisce con il tessuto corneale sano di un donatore. La cheratoplastica perforante si effettua quando la patologia compromette la cornea in tutto il suo spessore. Ha diverse indicazioni: ripristinare la trasparenza della cornea (in caso di opacità di natura cicatriziale, scompenso corneale, esiti di ferite); migliorare l’acuità visiva in caso di abnorme curvatura della cornea (cheratocono avanzato) quando essa non sia più correggibile mediante l’ausilio di occhiali o lenti a contatto; ripristinare un tessuto di spessore normale quando la cornea sia ridotta di spessore per un progressivo assottigliamento (cheratocono evoluto) o per una perdita di sostanza (ulcere, ferite). L’intervento si esegue in anestesia generale e prevede dapprima la preparazione del lembo da trapiantare. Si utilizza un lembo di donatore, cioè un disco di forma circolare di cornea trasparente prelevato a tutto spessore da un donatore subito dopo il decesso; esso, prima di essere utilizzato, viene sottoposto ad un periodo


Il prof. CARLO SBORGIA è nato a Nereto (TE) nel 1944, ha seguito gli studi universitari presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Napoli, laureandosi nell’anno accademico 1968/69 con il massimo dei voti. Nel 1973 ha conseguito, presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bari il Diploma di specializzazione in Clinica Oculistica con il massimo dei voti e lode. Assistente ordinario dal 1 aprile 1970. Dal 29/03/1976 gli è stata attribuita la qualifica di Aiuto Ordinario alla Cattedra di Clinica Oculistica. Dal 01/11/1989 al 31/12/1999 ha assunto la qualifica di Responsabile Primariale della Divisione di Oftalmologia Sociale del Policlinico di Bari e dal 01/01/2000 dell’Unità Operativa “Oftalmologia 1”. In data 1 agosto 1980 è stato nominato Professore Associato della disciplina “Oftalmologia Pediatrica” e dal 1 novembre 1994 è Professore Straordinario di Oftalmologia e dal 1 novembre 1997 è Professore Ordinario di Oftalmologia. Dal novembre 1999 a ottobre 2005 è stato Direttore del Dipartimento di Oftalmologia e Otorinolaringoiatria dell’Università degli Studi di Bari. Dal gennaio del 2000 è Direttore della Clinica Oculistica del Policlinico di Bari e dall’11 gennaio 2000 direttore del R.U.O. di Oftalmologia. E’ presidente della Società Oftalmologia Meridionale e della Società Italiana del Glaucoma. Nel 1997 è stato insignito del titolo di Grande Ufficiale della Repubblica. Il prof. Sborgia è autore di oltre 300 pubblicazioni su riviste indicizzate nazionali ed internazionali e di alcuni libri di testo fra i quali ricordiamo: “Manuale di malattie dell’apparato visivo” (Ed. Piccin). Svolge un’intensa attività congressuale in veste di relatore e di chirurgo. E’ socio di numerose Società scientifiche tra le quali: American Academy of Ophtalmology, Società Italiana di Oftalmologia, Società Francese di Oftalmologia, AICCER.

più o meno breve di conservazione, disinfezione, ed esame. Dalla cornea del donatore viene prelevata una porzione di tessuto, di diametro stabilito in base alle caratteristiche di ogni singolo caso, mediante un particolare trapano dotato di una lama circolare. Lo stesso procedimento viene poi effettuato sulla cornea del paziente ricevente, dove il tessuto malato è rimosso ed al suo posto verrà innestato il lembo del donatore, facendo in modo che i margini del lembo e quelli della cornea residua del ricevente coincidano il più possibile su tutta la loro circonferenza. Si procede poi a suturare tra di loro, per 360°, il lembo innestato e la cornea ricevente, cercando di mantenere costanti la tensione, la profondità, la simmetria e l’orientamento della sutura stessa. Nel postoperatorio l’occhio viene bendato per qualche giorno e si prescrive terapia con colliri per alcuni mesi. Il recupero funzionale dopo cheratoplastica perforante è piuttosto lento. Sono infatti necessari diversi mesi per raggiungere una visione discreta ed una stabilizzazione della cicatrizzazione; la sutura sarà rimossa dopo almeno un anno dall’intervento, e non in tutti i casi. L’acuità visiva dipende dalla trasparenza del lembo e dall’entità dell’astigmatismo postoperatorio, sempre presente, in quantità variabile, dopo un intervento di cheratoplastica. Sebbene la cornea sia un tessuto avascolare, quindi con rischio di rigetto più basso rispetto ad altri organi, quest’ultimo esiste sempre, per cui è importante la sorveglianza del paziente, che dovrà prontamente riferire al suo oculista la comparsa di qualsiasi segno (arrossamento, sensazione di corpo estraneo, bruciore, abbassamento del visus). Nella maggior parte dei casi il rigetto si risolve con una terapia adeguata, senza danni per il trapianto. La cheratoplastica lamellare si effettua quando la cornea non è compromessa in tutto il suo spessore, ma solo nei suoi strati anteriori. Consiste nella rimozione degli strati corneali danneggiati e nella loro sostituzione con equivalenti strati trasparenti di una cornea sana di donatore. L’intervento si può effettuare, a seconda dei casi, in anestesia generale o locale, e prevede differenti tecniche. Gli strati corneali malati possono essere asportati o mediante l’ausilio di un trapano in grado di sezionare lo strato corneale dello

spessore desiderato, o mediante alcuni laser (ad eccimeri o a femtosecondi). Il lenticolo del donatore verrà poi suturato alla cornea ricevente secondo le modalità descritte per la cheratoplastica perforante. Il decorso postoperatorio si caratterizza per la più bassa percentuale di rigetto rispetto alla cheratoplastica perforante (il rigetto è più frequente negli strati profondi della cornea che qui rimangono intatti e non vengono sostituiti). Esiste anche un terzo tipo di trapianto, di più recente introduzione e più difficile esecuzione, rappresentato dal trapianto endoteliale (o endocheratoplastica). Esso consiste nella sostituzione dell’endotelio corneale con un corrispondente strato di tessuto sano prelevato da cornea di donatore. Il trapianto endoteliale è effettuabile quando la cornea è alterata solo nella sua componente endoteliale. Presso la Clinica Oculistica del Policlinico di Bari gli interventi di cheratoplastica (lamellare, perforante, endocheratoplastica) sono circa 80 per anno e sebbene siamo ancora lontani dal parlare di soluzione del problema del trapianto, la situazione relativamente alla raccolta e disponibilità di tessuti e ai tempi di attesa, sta, molto lentamente, migliorando. La legge del 1° aprile 1999: “Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e tessuti”, introducendo il silenzio/assenso, ha posto le basi per un potenziale aumento delle donazioni. Purtroppo però, soprattutto nelle regioni del meridione d’Italia, da un lato non è ancora abbastanza diffusa la cultura della donazione, dall’altro non esiste una corretta sensibilizzazione al problema. I risultati di tutte le tecniche di cheratoplastica sono ormai più che soddisfacenti, garantiti dall’esperienza del chirurgo, dalla tecnica chirurgica adottata, da tutte le precauzioni messe in atto per il prelievo e la donazione del lembo da trapiantare, ma la condicio sine qua non perché un paziente affetto da malattia curabile con trapianto possa riacquistare la vista è che qualcun altro abbia avuto, durante la sua vita, le giuste motivazioni (morali, religiose, culturali) a donare, dopo la morte, i suoi organi e, nella fattispecie, le sue cornee.

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Dai valore alla vita

La donazione degli organi è un gesto di alta solidarietà, volontario e gratuito. La meritoria attività dell’AIDO provinciale presieduta da Gianna Pascali di Claudia Serrano

A nessun essere umano è dato conoscere con certezza il senso più intimo dell’esistenza, e gli interrogativi che da sempre attanagliano l’uomo restano privi di una risposta certa. Eppure non è possibile vivere senza chiedersi quale sia il senso della vita, esistere senza porsi il problema di dare un significato alla propria esistenza. E intanto ogni giorno ci porta via un po’ di noi e del nostro tempo, ed è proprio la morte, la grande sconosciuta di cui temiamo anche solo parlare, che ci chiede di fare i conti con il valore della vita. Non a caso “Dai valore alla vita” è il nome scelto per la settimana del trapianto di organi, tessuti e cellule, tenutasi dal 4 all’11 maggio. Perché forse è proprio la morte a dare significato e peso al vivere, e ne può dare di più attraverso una scelta quale quella della donazione degli organi, che fa della morte, non più fine a se stessa, un estremo atto di generosità e di speranza. Per quanto presente da sempre nella fantasia popolare e nella mitologia, la possibilità concreta di sostituire organi e tessuti malati con altri sani è, dal punto di vista scientifico, storia abbastanza recente: era il 1902 quando per la prima volta fu messa a punto, dal chirurgo Alexis Carrel, la tecnica per congiungere due vasi sanguigni, tecnica alla base dei primi trapianti di cuore e di rene su animali. Da allora la ricerca ha conosciuto straordinari progressi in questo campo, e ogni piccolo passo in avanti è stato una grande conquista per un’operazione, quale il trapianto di organi, tessuti e cellule, che permette di salvare la vita di molti ammalati, o di migliorarne le condizioni. “Chi riceve organi ritorna alla vita”, mi ha detto la dott. Gianna Pascali, presidentessa della sezione provinciale dell’A.I.D.O. (Associazione Italiana per la Donazione di Organi, Tessuti e Cellule), la Onlus che da oltre trenta anni si occupa di donazioni post-mortem su scala nazionale. L’ho incontrata per avere informazioni sulle

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donazioni e sulle attività dell’associazione, e sono tornata a casa piena di materiale... e di pensieri. Quando un organo è gravemente ammalato, ha spiegato la dott. Pascali, non sempre è possibile ripristinarlo e per alcune patologie l’unica possibilità rimane il trapianto; in altri casi non accedervi significa sottoporsi a cure come la dialisi, con tutte le difficoltà fisiche e psicologiche che queste terapie comportano, senza peraltro dare i risultati di un trapianto; senza contare che, in termini economici, un anno di dialisi corrisponde al costo di un trapianto. Presidentessa, come e quando si procede al prelievo degli organi? Quando una commissione medica, costituita da un medico legale, un anestesista-rianimatore e un neurofisiopatologo, accerta e documenta l’avvenuta morte cerebrale del paziente. In tal caso la respirazione artificiale può prolungare la funzione cardiaca per un tempo limitato, attraverso una sopravvivenza indotta indicata proprio in vista di un prelievo che consente di effettuare il trapianto, anzi i trapianti in quanto un donatore può salvare vari ammalati in relazione al numero di organi che può donare. La morte cerebrale è irreversibile? Sì, e la commissione medica accerta la cessazione totale e irreversibile di ogni attività del cervello solo dopo un periodo di osservazione non inferiore alle 6 ore consecutive. Ma prima di tutto, perché il trapianto sia possibile, deve esserci un donatore. E purtroppo, ad oggi, la scarsità di organi donati è il principale ostacolo alla crescita del numero di trapianti. Nel 2007 in Italia sono stati effettuati 3.021 trapianti, ma i pazienti in lista d’attesa sono 9.682 e dovranno attendere in media, a seconda

Gianna Pascali del trapianto, da 1,84 a 3,03 anni. E intanto la percentuale di mortalità in lista oscilla tra 1,30% e il 13,65%. In altre parole un numero elevato di ammalati muore perché l’offerta di organi è troppo bassa rispetto alla domanda. Quanti sono gli iscritti all’A.I.D.O.? All’A.I.D.O. sono iscritte un milione 200mila persone, nella provincia di Bari 12mila. I dati di queste persone vanno poi trasferiti al S.I.T. (Sistema Informatico Trapianti), una sorta di archivio informatizzato gestito dal Centro Nazionale Trapianti. La sottoscrizione avviene con un atto olografo, in assenza del quale, per la legge 91/99 si procede a chiedere il consenso ai familiari. Ma io penso che sia più facile dichiarare la propria scelta piuttosto che affidarla ai propri cari in un momento di dolore. La donazione è anonima? La donazione è anonima, o meglio, il ricevente se vuole può sapere chi è stato il donatore e se ritiene contattarne i familiari, ma non viceversa. Anche perché uno dei rischi maggiori di un trapianto è il rigetto, e per i familiari del donatore un rigetto può essere una seconda perdita, perché in qualche modo essi pensano che parte del loro caro continui a vivere nel corpo di un altro. Dare il proprio consenso alla do-


nazione è fare un grande dono. La donazione degli organi, tessuti e cellule è un gesto di solidarietà volontario e gratuito, che dà concrete possibilità di vita a molte persone. È questo il significato del simbolo del pellicano: si dice che a un certo punto il pellicano per salvare i propri figli si sia strappato il cuore dal petto per darglielo. Rappresenta quindi un gesto estremo di generosità e altruismo. Com’è la situazione dei trapianti di organi, di tessuti e di cellule in Italia? La situazione è paradossale, perché l’Italia è diventata un’eccellenza dal punto di vista sanitario e i cosiddetti “viaggi della speranza” non si compiono più verso l’estero, ma all’interno della stessa penisola, verso regioni come la Toscana, ad esempio. Però se poi si considera la situazione nel Mezzogiorno i dati cambiano. E infatti, con alla mano i dati definitivi sull’attività di donazione e trapianto nel 2007 in Italia, vediamo che i donatori effettivi sono stati 1.190, quelli utilizzati 1.098, con una media di 20,9 per milione di popolazione (p.m.p.) per i donatori effettivi rispetto ad una media europea di 18,8 p.m.p. Ma se si analizzano le attività di donazione per zone geografiche, si rileva che nel Nord i donatori sono 24,5 p.m.p., al Centro 21,4 e al Sud e alle Isole solo 1,7 p.m.p. Sul podio, al primo posto la Toscana, seguita dal Veneto e dal Friuli Venezia Giulia. La Puglia è solo al sedicesimo posto, con 9,2 donatori effettivi p.m.p., benché rispetto agli anni precedenti il numero sia aumentato. La Puglia è decisamente indietro rispetto alle altre regioni d’Italia. Secondo la sua esperienza perché? Per vari motivi. Innanzitutto per ragioni legate alle stesse strutture sanitarie pugliesi: in molte di esse mancano le neurologie per stabilire il coma irreversibile, manca cioè il personale per una commissione fissa. Infatti si sta pensando di creare una sorta di task-force. E poi per una serie di pregiudizi e paure ancestrali, purtroppo ancora radicati al Sud, che ostacolano la formazione di una cultura della donazione. Pregiudizi di carattere religioso? No, la maggior parte delle religioni non è contraria alla donazione di organi, e la Chiesa Cattolica si è espressa decisamente a suo favore: il Papa Benedetto XVI ha dato la

sua disponibilità alla donazione post-mortem e Giovanni Paolo II ha definito la donazione un atto di eroismo quotidiano. Sono altri i pregiudizi: la paura che il corpo del donatore resti deturpato, la paura di affrontare il problema della morte, l’assenza di fiducia nelle istituzioni sanitarie, e più in generale una forma di superstizione. Diciamo che le persone si ricordano della donazione solo quando ne hanno bisogno. Quanto può essere importante l’informazione per abbattere questi pregiudizi? Molto. L’A.I.D.O. si occupa soprattutto di formare una cultura della donazione, e per farlo la cosa più importante è parlarne. Per questo organizziamo seminari e approfondimenti, per esempio con il SISM (Segretariato Italiano Studenti di Medicina), abbiamo una rivista ufficiale, L’Arcobaleno, e operiamo nelle piazze, nelle scuole, soprattutto nelle superiori (anche perché non si può dare il proprio consenso alla donazione prima di aver raggiunto la maggiore età), ma anche nelle scuole medie e persino negli ultimi anni delle elementari. Tra l’altro prossimamente nelle scuole saranno distribuiti kit con testi e dvd. E la risposta è positiva? Sì, ed è molto più facile rapportarsi con i giovani, forse perché hanno meno timore ad affrontare il pensiero della morte, sicuramente anche perché hanno un superiore senso di solidarietà. La maggior parte delle richieste di informazioni per le adesioni all’A.I.D.O. le ricevo dai giovani. So che è possibile anche destinare il 5x1000 all’A.I.D.O. Come vengono utilizzati questi fondi? Il codice fiscale per destinare il 5x1000 all’A.I.D.O. è 800 23 51 01 69. I fondi vengono utilizzati per spot, trasmissioni, materiale informativo e controlli sulla trasparenza. Perlopiù, insomma, per fare opera di informazione, che è la cosa di cui si ha maggiore necessità al momento: bisogna che tutti sappiano cos’è la donazione degli organi. Poi la scelta di acconsentire o meno è e deve restare personale, ma deve essere una scelta consapevole.

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MEDICINA / RICERCA SCIENTIFICA / UNIVERSITA’

Malattie genetiche

ci pensa la Telethon L’iniziativa “Vicini alla ricerca” organizzata dalla Fondazione Telethon in nove città per far conoscere al pubblico i risultati ottenuti e le attività svolte dai ricercatori, grazie alla generosità degli italiani. Interessante ricerca sui nuovi farmaci per la cura della distrofia muscolare e delle canalopatie genetiche condotta a Bari da due docenti della Facoltà di Farmacia, Diana Conte Camerino e Annamaria De Luca, grazie ai finanziamenti messi a disposizione dalla Fondazione

di Marisa Di Bello Dove finiscono i soldi per la ricerca, una volta che le campagne per la raccolta dei fondi si chiudono? Arrivano realmente a destinazione o prendono altre strade meno confessabili? Sono queste le domande che tutti ci poniamo, ogni volta che siamo sollecitati a dare il nostro contributo. Ebbene, per Telethon si può essere certi della loro destinazione, per la trasparenza delle sue iniziative che mirano al finanziamento della ricerca sulle malattie genetiche rare, in particolare sulla distrofia muscolare, attraverso la maratona televisiva, poiché tiene a far conoscere di volta in volta ai suoi sostenitori come vengono spesi i soldi raccolti. Ricerca interna ed esterna Nata negli Stati Uniti già nel 1966 e in Italia nel ’90, grazie all’incontro tra Susanna Agnelli e la Uildm (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), Telethon ha incrementato di anno in anno i suoi fondi che al maggio 2008 risultano di 264.741.678 euro, divisi tra ricerca interna (per ricercatori che lavorano negli istituti di Telethon: l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina, il San Raffaele Telethon per la Terapia Genica che sviluppa i protocolli di terapia e l’Istituto Telethon Dulbecco che sviluppa la carriera di ricercatori eccellenti, consentendo a molti di loro il rientro in Italia) ed esterna. Dal ’90 sono stati 2098 i progetti di ricerca finanziati per un totale di 400

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malattie genetiche studiate. Una commissione di esperti, di volta in volta seleziona i progetti e i ricercatori più validi, finora 1341 (63% maschi e 37% donne) tra esterni (1264) e interni (77). Sensibilizzare l’opinione pubblica I risultati incoraggianti realizzati spingono a moltiplicare gli sforzi per il raggiungimento completo degli obiettivi, sensibilizzando l’opinione pubblica su questi temi e rendendo l’azione di Telethon più continua e costante, non legata solo alla raccolta fondi una volta l’anno. Ecco perché il 7 giugno, con l’iniziativa ‘Vicini alla ricerca’, per la prima volta i laboratori di ricerca in nove città italiane, tra cui Bari, sono stati aperti per far comprendere i temi della genetica, per mostrare dove e come lavorano gli scienziati e per aggiornare i malati e tutte le persone interessate sullo stato della ricerca sulle malattie genetiche, soprattutto quelle che per la loro rarità sono trascurate dagli investimenti pubblici e privati perché non garantiscono un ritorno economico come per le patologie più diffuse. Causate da alterazioni nel Dna, se ne conoscono oltre 6000 che singolarmente colpiscono poche persone, ma che, sommate, riguardano il 5% della popolazione totale. Tra le 400 malattie genetiche studiate grazie ai fondi Telethon, la priorità spetta alle distrofie muscolari, di Duchenne(DMD) e di Becker (DMB), la forma più lieve, che insieme rappresentano il 50% di tutte le distrofie. Sono malattie degenerative dei

muscoli, dovute a un’alterazione del gene della distrofina, localizzato sul cromosoma X. A parte rare eccezioni, ad esserne colpiti sono i maschi, che hanno una sola copia del gene, mentre nelle femmine ce ne sono due, per cui il deficit di una copia può essere compensato dall’altra. Di queste patologie e della ricerca sulle possibilità di cura, nella giornata barese di ‘Vicini alla ricerca’, hanno parlato due scienziate, Diana Conte Camerino e Annamaria De Luca, entrambe professori ordinari di Farmacologia presso la Facoltà di Farmacia dell’Università di Bari, che conducono studi farmacologici sulle malattie genetiche, nell’ambito di progetti finanziati da Telethon, fin dal primo anno della raccolta fondi e cioè dal 1990. Studi biofisici e farmacologici In particolare, la professoressa Conte Camerino che dirige un numeroso gruppo di ricercatori tra cui alcuni stranieri, articola la sua attività di ricerca nell’ambito degli studi biofisici e farmacologici delle patologie neuromuscolari e non, e delle canalopatie. Queste ultime sono malattie ereditarie caratterizzate da difetti a carico di geni che codificano per i canali ionici, strutture cellulari deputate a lasciar passare selettivamente delle specie ioniche attraverso le membrane, modulando l’eccitabilità della membrana e delle funzioni cellulari ad essa associate. I canali ionici, cioè, sono proteine di membrana che si trovano nelle cellule viventi di tutti i tessuti e che permettono i passaggi di ioni (di potassio, di cloro, di calcio, ecc.) da una parte all’altra della membrana cellulare. Questi meccanismi biofisici


ha portato anche a individuare in farmaci già in commercio per altre patologie proprietà che contrastano gli effetti della mutazione. Inoltre, siamo stati i primi a scoprire alcune classi di farmaci in grado di aprire e/o chiudere specifici canali ionici finora “orfani”, aprendo così la strada verso la possibilità di sviluppare nuove terapie farmacologiche per migliorarne le funzioni compromesse”. DIANA CONTE CAMERINO È nata e vive a Bari. E’ sposata ed ha due figlie. Carica attuale: professore ordinario di Farmacologia, Facoltà di Farmacia, Università degli Studi di Bari. E’ direttore della Sezione di Farmacologia del Dipartimento Farmacobiologico – Facoltà di Farmacia dell’Università degli Studi di Bari dove coordina un gruppo di ricerca di circa 25 persone (tra docenti, ricercatori, post-doc, dottorandi e tesisti). Si è laureata nel 1969 in Farmacia presso la Facoltà di Farmacia dell’Università degli Studi di Bari e si è specializzata in Farmacologia nel 1972. Tra il 1971 ed il 1973 ha svolto attività di ricerca in qualità di Associate Research presso il Dept. of Pharmacology and Cell Biophysics, College of Medicine, University of Cincinnati. Dal 1975 svolge la sua carriera accademica presso la Facoltà di Farmacia. Dal 1994 è professore Ordinario presso la stessa Istituzione.

sono alla base di diverse funzioni, anche vitali, della cellula. Gli effetti delle canalopatie I difetti genetici possono alterare questa funzione del canale o in eccesso o in difetto, compromettendo quindi le normali funzioni fisiologiche con effetti e necessità terapeutiche differenti. Il numero ampio dei canali e dei tessuti coinvolti fa sì che le canalopatie colpiscano numerosi organi: il muscolo scheletrico (miotonie e paralisi periodiche), il cuore (aritmie fatali), il cervello (epilessie), il rene (sindrome di Bartter e Dent disease) e molti altri tessuti vitali. “La cosa grave – ha detto la professoressa Conte Camerino – è che solo il 5% dei farmaci va a bersagliare i canali ionici e che su 240 miliardi di dollari spesi, solo 8 sono destinati a questi farmaci. Ma è proprio su di essi che si basa la nostra ricerca che ci

I meccanismi patogenetici La professoressa De Luca incentra la sua ricerca principalmente sui meccanismi patogenetici e sulla farmacologia pre-clinica della distrofia muscolare di Duchenne (DMD). E’ questa una malattia genetica con esito fatale, i cui sintomi si manifestano intorno ai 2-3 anni di vita, causata dalla mancanza della proteina distrofina nei muscoli scheletrici, difetto che porta ad una progressiva degenerazione muscolare. La sua ricerca è finalizzata all’ identificazione di nuove strategie farmacologiche più efficaci e meno tossiche dei glucocorticoidi attualmente in uso. “La nostra ricerca – ha precisato – tende a individuare farmaci in grado di agire e contrastare i complessi processi cellulari e molecolari coinvolti nella cascata fisiopatologia delle fibre muscolari distrofiche. Spesso riusciamo ad evidenziare che alcuni medicinali già in uso hanno effetti positivi anche su queste malattie rare, e questo ci dà la possibilità da un lato di valutare l’opportunità di proporre alle case farmaceutiche di allargarne le indicazioni d’uso e dall’altro di studiare farmaci analoghi e/o modificati per migliorarne l’efficacia per le patologie di cui ci occupiamo. Per farmaci meno tossici Gli effetti terapeutici dei farmaci vengono valutati attraverso fasi di indagine multidisciplinari , usando come modello animale il topo distrofico, con l’obiettivo da un lato di aumentare la comprensione dei meccanismi che sviluppano la malattia e dall’altro di proporre i farmaci che risultano più effica-

ANNAMARIA DE LUCA E’ nata a Messina e vive a Bari. Carica attuale: professore Ordinario di Farmacologia, Facoltà di Farmacia, Università degli Studi di Bari. Coordina un gruppo di ricerca (circa 10 persone tra ricercatori, postdoc, dottorandi e tesisti) - dedicato allo studio farmacologico preclinico sulla Distrofia Muscolare di Duchenne - presso i laboratori di Farmacologia del Dipartimento Farmacobiologico della stessa Facoltà. Si è laureata nel 1985 in Farmacia presso la Facoltà di Farmacia dell’Università degli Studi di Bari e si è specializzata in Farmacologia Applicata nel 1987. Ha svolto periodi di post-doc all’University College di Londra (UK) (Department of Anatomy and Embriology) e presso l’Università di Ulm (Institute of General Physiology; Germania). Ha svolto la sua carriera accademica in Farmacologia presso la Facoltà di Farmacia di Bari come ricercatore (dal 1991), professore associato (dal 2000) e professore ordinario (dal 2005).

ci e sicuri sul modello animale per studi clinici sul paziente”. Il futuro quindi si basa su farmaci meno tossici e sulla terapia genica-cellulare. Compiacimento per il lavoro che svolgono le due scienziate è stato espresso dal preside della facoltà, Marcello Ferappi, e dal rettore Corrado Petrocelli che ha lamentato l’esiguità dei fondi destinati dallo Stato alla ricerca e ha sottolineato l’importanza del sostegno che Telethon offre a tanti scienziati affinché si possa giungere alla cura di tutte queste gravi patologie. All’iniziativa “Vicini alla ricerca” hanno inoltre partecipato con i loro interventi la presidente del comitato regionale della Sezione Uildm, Emma Leone, e il manager del Comitato Scientifico Fondazione Telethon, Francesca Sofia, che ne ha introdotto e presentato gli obiettivi.

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EDITORI

Perle di carta

Sono le opere pubblicate con gusto ed eleganza dalla Schena Editore di Fasano, nello stabilimento situato a pochi metri dallo splendida costa adriatica di Savelletri, creata nel lontano 1947 da Nunzio Schena e oggi diretta da sua figlia Angela che ne rappresenta la continuità. I testi sono dedicati in gran parte alle bellezze artistiche e letterarie del territorio, con l’intento di far conoscere e diffondere la cultura pugliese

di Marisa Di Bello Era il 1947 quando Nunzio Schena aprì a Fasano la sua tipografia. Lo spingeva la passione per quest’arte che seppe esprimere sempre con grande raffinatezza a cui si aggiunse in seguito l’intento di far conoscere ad un pubblico, il più vasto possibile, la cultura pugliese. Questi furono infatti i due elementi che caratterizzarono il suo lavoro e che poterono esprimersi al massimo quando, nel ’50, affiancò all’attività tipografica quella editoriale, oggi diretta con le stesse finalità da sua figlia Angela che ne ha preso le redini dal ’96. Nata in mezzo ai libri, non poteva che subirne il fascino, così la sua carriera quasi naturalmente la porta prima ad aprire una libreria, nei locali che avevano ospitato nei primi anni la tipografia, quando quest’ultima nel ’74, si trasferisce verso la marina, nel viale della stazione, oggi viale Nunzio Schena, e, successivamente ad occuparsi dell’omonima casa editrice. All’inizio con i tre fratelli, Antonio, Carlo e Roberto, l’unico che ancora lavora in azienda, e dal ‘96 come diretto-

re editoriale, quando il padre, fattosi anziano, capisce che ad aver ereditato la sua stessa passione per il libro è lei, Angela. Una passione che ha saputo trasmettere a tutta la famiglia. Ai figli, Paola, di 27 anni, che già cura l’aspetto amministrativo della casa editrice, Mauro, di 22, che studia psicologia a Chieti e Claudio, di 19, che a Milano studia design della comunicazione. Quest’ultimo, molto interessato al discorso grafico, ha già prodotto la sua prima copertina per un libro di Sabino Caronia “L’ultima estate di Moro”. Anche il marito, Aldo Giannoccaro, con cui Angela Schena è sposata da 29 anni, è stato coinvolto dallo stesso entusiasmo e, messa da parte la sua laurea in ingegneria, si occupa a tempo pieno della libreria, a Fasano nella centrale via Egnazia. Memoria storica della casa editrice, lo zio materno, Cosimo Iasiello, autentica colonna dell’azienda, che da cultore ed esperto dell’arte grafica, ha la

1991, Angela Schena dona alcune pubblicazioni a Giovanni Spadolini durante una visita alla Casa Editrice

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2003, Nunzio ed Angela Schena

grande dote di cogliere istintivamente i gusti del cliente e di realizzarli al meglio. Inoltre, due dei nipoti, Titti e Nunzio, figli del fratello Carlo, lavorano in azienda, occupandosi rispettivamente della contabilità e della produzione. Nell’ampia sede di viale Nunzio Schena, una grande ala conserva religiosamente i vecchi macchinari che servivano a stampare con inchiostro e caratteri di piombo, una zona museale di grande interesse storico. Angela Schena la indica con una certa nostalgia, ma i tempi sono i tempi, tutto è velocizzato e ridimensionato, anche il numero dei dipendenti – da cento che erano ora sono venti - con l’avvento delle nuove tecnologie. “Si rimane un po’ freddi - dice - quando gli autori portano i loro lavori in un dischetto. Mi piacerebbe avere tra le mani il manoscritto, sfogliarne le pagine, ma


è lo scotto che si paga al progresso che per tanti aspetti ha facilitato il nostro lavoro”. Oggi la casa editrice Schena ha un proprio sito su internet (www schenaeditore.com) e conta un catalogo di oltre 2000 volumi, per la gran parte dedicati alle bellezze naturali e artistiche del territorio e alle varie espressioni della cultura pugliese. Li contraddistingue una veste raffinata e non poche sono le pubblicazioni illustrate dai più importanti pittori pugliesi come Adolfo Grassi,

pubblicazioni le ha dato maggiori soddisfazioni per come sono state realizzate e per il successo riscosso presso i lettori. “I volumi che ci hanno dato maggiori soddisfazioni, anche sotto il profilo del mercato, sono quelli che riguardano il territorio, che ci consentono di diffondere la nostra storia, l’archeologia, la natura, uomini e cose di Puglia. Sono questi il nostro fiore all’occhiello che ci dà modo di

te della libreria. Quale dei due lavori le piace di più? “Quando la tipografia si spostò dove si trova attualmente, mio padre mi propose di aprire una libreria nei locali che rimasero liberi: me ne sarei occupata senza nessuna interferenza da parte sua. L’idea di essere autonoma e di poter disporre di tanti libri,da leggere oltre che da vendere, mi convinse e, per oltre 20 anni, ho avuto modo di fare esperienza sul campo, imparando a conoscere il mercato del 2003, Angela Schena con Umberto Veronesi alla presentazione del libro di Nicola Simonetti e Mimma Sangiorgi “Il colera in Puglia”. Qui accanto, l’accademico dei Lincei Cosimo Damiano Fonseca consegna il premio “Valle dei Trulli”per la collana “Ori di Puglia”. Sotto, 2007, nel Salone del Circolo Unione di Bari presentazione del libro “In una notte di mezza estate”: da sinistra, il prof. Giovanni Dotoli, il prof. Aldo Trione dell’Universita di Napoli, il Rettore dell’Università di Bari prof. Corrado Petrocelli, Angela Schena e la prof. Santa Fizzarotti Selvaggi

Manlio Chieppa, Michele Damiani. Alcune sono edite anche in lingua straniera come il volume sulla Cattedrale di Trani in tedesco, quello sugli insediamenti rupestri in inglese o la guida del Salento in lingua giapponese e numerosi volumi della Collana Biblioteca della Ricerca in francese, in inglese, in tedesco, in spagnolo. Importanti poi le collane, davvero numerose, tra cui meritano una menzione speciale, quella di filosofia, ‘Sapientia’, e di poesia ‘Polimnia’, entrambe dirette dal prof. Pietro Magno, ‘Artepsiche’ diretta dalla professoressa Santa Fizzarotti Selvaggi, ‘Pochepagine’ diretta da Giorgio Saponaro, ‘Biblioteca della Ricerca’ diretta dal prof. Giovanni Dotoli, che comprende diverse sezioni cui danno il loro contributo studiosi di varie università italiane e straniere. * * * Signora Schena quale di queste

esprimerci anche da un punto di vista artistico perché, oltre ai testi abbiamo modo di curare l’impaginazione delle immagini. E questo fa la differenza”. Dal ’96 lei è il direttore editoriale dell’azienda, dopo essersi occupata lungamen-

libro e i gusti dei lettori. Ma il mio amore per il libro è a tutto campo e si può dire che è cresciuto con me, prima come lettrice, poi come libraia e infine all’interno della casa editrice, quando, negli anni Novanta, mio padre mi coinvolse in questo lavoro che lui non poteva

Giugno 2008, la presidente del Club Lions Fasano-Egnazia Angela Schena consegna il guidoncino del Club a mons. Girasoli socio onorario

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più seguire come prima”. Il suo ingresso nella casa editrice, soprattutto quando ne è diventata direttore, ha segnato una svolta? “Non è stato facile apportare dei cambiamenti perché mio padre aveva carisma e un rapporto tutto particolare con gli autori, non badava troppo all’aspetto economico, cosa che non senza difficoltà, ho dovuto curare io, impostando diversamente le cose”.

“La qualità. Noi abbiamo sempre ritenuto che un buon libro, oltre alla validità del testo, debba avere anche una bella veste, invitante. Poi, è importante anche il discorso distributivo, perché il libro deve circolare”. Cosa pensa dell’esperienza dei Presidi del Libro? “Inizialmente ero scettica, ma mi sono dovuta ricredere. Ho notato il grande interesse che suscitano nel pubblico dei

anno abbiamo ospitato il giornalista Antonio Caprarica, due anni fa il regista Pupi Avati.Quest’anno sarà l’undicesima edizione”. Oltre al lavoro,che sicuramente assorbe gran parte del suo tempo, ha altri interessi? “Non è facile ritagliarsi del tempo per altre attività, tenendo conto che spesso sono impegnata con le presentazioni dei libri fuori dagli orari di ufficio. Tuttavia, sono impegnata da diversi

Angela Schena con il marito Aldo Giannoccaro. Accanto, Paola, Nunzio e Titti rispettivamente figlia e nipoti di Angela Schena

Qual è il criterio che la guida nelle scelta dei testi da pubblicare? “Cerco di essere selettiva, evitando pubblicazioni fini a se stesse. Poi, mi è sembrato opportuno incrementare il discorso delle collane perché rappresentano una continuità nello sviluppo dei temi”. E il mercato di riferimento? “Il nostro mercato è prevalentemente regionale, trattandosi per lo più di opere relative al territorio, ma abbiamo distributori in varie regioni d’Italia e spediamo direttamente in qualsiasi nazione”. Quali difficoltà incontra nel suo lavoro? “Al di là dei problemi derivanti dal mercato, troppi scrittori e pochi lettori, la grande inflazione che c’è nel settore. Con l’avvento della stampa digitale, tutti si improvvisano editori, anche le copisterie. Naturalmente, si tratta di pubblicazioni mancanti dell’ISBN (International Standard Book Number), cosa che consente ad un libro di essere rintracciato facilmente e immesso in un circuito di banche dati bibliografiche”. Cosa distingue un buon editore?

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lettori e anche dei non lettori perché la gente ha bisogno di essere stimolata a conoscere meglio il libro e gli autori. Come libreria fornisco i libri per gli incontri che si svolgono a Fasano, ma mi piacerebbe, se se ne presentasse l’occasione, di entrare a farvi parte come editore”. Ci sono delle iniziative collegate alla casa editrice? “Già da dieci anni, dal 1998, la casa editrice ha istituito il ‘Premio Nazionale di Narrativa Valerio Gentile’, riservato ai giovani. Il premio consiste nella pubblicazione dell’opera vincitrice nella collana Pochepagine. L’iniziativa nacque a seguito di un vicenda tragica che si verificò a Fasano: il ragazzo che dà il nome al premio,figlio di carissimi amici,scomparve tragicamente a soli 17 anni. Era appassionato di letteratura e per questo, con la famiglia, pensammo di offrire un’opportunità ad altri ragazzi che avessero i suoi stessi interessi. La premiazione avviene ogni anno in agosto, alla Selva di Fasano alla presenza di noti esponenti del mondo della cultura, lo scorso

anni nel Comitato Femminile CRI, inoltre nell’ambito del Club Lions Fasano Egnazia, di cui sono socia fondatrice, ho ricoperto il ruolo di presidente per l’anno in corso e sono stata riconfermata nella carica per il prossimo anno sociale. E’ senz’altro impegnativo organizzare gli eventi, i meeting, i services in un Club Lions ma fortunatamente posso contare sulla collaborazione dei soci, primo fra tutti mio marito. Nell’ultimo meeting, tenutosi alla Selva di Fasano sabato 31 maggio, abbiamo nominato socio onorario Sua Eccellenza mons. Nicola Girasoli, essendo quest’ultimo, oltre che Nunzio Apostolico di Zambia e Malawi, anche Arcivescovo titolare di Egnazia Appula. Monsignore è stato ben lieto di accogliere l’invito ad entrare nel nostro Club, sentendosi coinvolto dal senso di appartenenza al sito archeologico di Egnazia che, per noi fasanesi, rappresenta le nostre origini e, con estrema generosità ha dichiarato il suo intento di farsi promotore di un’iniziativa che prevede l’istituzione di un Premio destinato a giovani laureati con tesi di laurea sul sito di Egnazia”. Marisa Di Bello


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LIBRERIE & LIBRI

Un evento culturale La Banca Popolare di Puglia e Basilicata che ho l’onore di presiedere è una banca moderna, per la consistenza dei suoi mezzi, per la complessità della sua attività, per il tecnicismo della sua condotta; un organismo efficiente e dinamico, al passo con i tempi e sensibile ad ogni stimolo e fermento che nasca dal territorio in cui opera. Una banca che è cresciuta nel corso del tempo anche attraverso il sostegno a pubblicazioni di pregio, tutte aventi il medesimo obiettivo: l’approfondimento e la conoscenza sempre più capillare del territorio in cui operiamo, passaggio imprescindibile ai fini di una sua definitiva affermazione non soltanto in campo economico, ma anche in quello sociale, civile, culturale. In questa occasione il nostro sostegno va ad un aspetto “trasversale” della cultura e della civiltà mediterranea, proseguendo un viaggio intrapreso lo scorso anno con un volume sull’olivo e sull’olio: quest’anno tocca al grano e ai prodotti da esso derivati, dunque ad uno dei principali elementi di coesione all’interno del bacino mediterraneo, capace di plasmare il paesaggio con i suoi cicli vegetativi fino a diventare primato commerciale ed alimentare di queste terre. Attraverso la Puglia e la Basilicata seguiamo la traccia che porta dal grano al pane. Percorriamo una strada che conduce dal paesaggio agricolo - inteso come territorio, storia, produzione - a quello culturale - fatto di eredità concrete, ovvero di tecniche e strumenti, anche immateriali, come le tradizioni, i simboli, la memoria collettiva. Ci soffermiamo sul prezioso dono di Cerere e sulla sua trasformazione in cibo fondamentale e identitario fortemente legato alla storia sociale, agricola e alimentare delle due regioni. Non dimentichiamo che grano, olivo e vite - e dunque pane, olio e vino rappresentano quella suggestiva “trilogia mediterranea” attorno a cui ruotano non solo simboli e rituali ma economia, cultura e valori di attualità estrema per chiunque operi nella direzione dell’integrazione tra popoli e culture. Per questa ragione la Banca Popolare di Puglia e Basilicata è orgogliosa di promuovere questo volume e - ancora una volta - un evento culturale, riconfermando la sua presenza in un settore impegnato ad esaltare l’immagine di due regioni attive, ricche di storia, arte e cultura. Dare un impulso concreto alla loro crescita culturale ed economica è d’altronde un impegno doveroso per un Istituto che si sente profondamente radicato nel territorio e crede fortemente nelle sue potenzialità. Raffaele D’Ecclesiis Presidente della Banca Popolare di Puglia e Basilicata

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di Claudia Serrano Dai campi di grano alle nostre tavole, con il volume, promosso dalla Banca Popolare di Puglia e Basilicata ed edito da Adda, si ripercorre la storia antica di un sapore unico, che ha disegnato il paesaggio e l’identità pugliese “Quante cose mi sono persa”. Era questo il pensiero che continuava a tornarmi in mente mentre leggevo il volume promosso dalla Banca Popolare di Puglia e Basilicata, dal grano al pane (Adda Editore), a cura dello scrittore lucano Raffaele Nigro, la cui varia e ricca produzione letteraria si conferma un continuo e innamorato dialogo con il Sud. In un mondo in cui abbiamo disimparato a chiederci da dove vengano le cose che troviamo sulla nostra tavola e quale sia la loro storia e il percorso che hanno compiuto, troppo abituati ad avere sempre a portata di mano il prodotto finito (da qualcun altro) e con ampia varietà di scelta, in una società in cui la lenta ritualità ha ceduto il passo alla fretta, sembra strano, quasi obsoleto, ripercorrere la strada che parte dal grano e arriva al pane. È come riavvolgere la pellicola di un vecchio film,


E Pane fu stupendosi però di scoprirlo ancora attuale, ed è un modo diverso per parlare di Puglia: perché seguire il cammino che porta il grano dorato dei campi al pane fragrante spezzato tra le mani (in un gesto che ha il sapore di una cosa che è così da sempre), significa attraversare paesaggi, storia, professioni, rituali, credenze, insomma tutto quel che costituisce l’identità di un territorio. Quel che oggi siamo, e anche quel che rischiamo di perdere: tutti quei rituali, ad esempio, che accompagnavano e valorizzavano la produzione del pane, dandole un senso più profondo e intimo, e poi i luoghi, i gesti, le attese, gli odori, di cui ora possiamo solo raccogliere le poche testimonianze sopravvissute, cercando di custodirle e di proteggerle dalla modernità, sì, ma per quanto? Forse oggi è meno facile pensare al grano e al pane come fondamenti di identità culturale, eppure per millenni l’agricoltura mediterranea è ruotata intorno ad essi, andando a cementare non solo l’economia e la dieta alimentare della “trilogia mediterranea” (grano, olivo e vite), ma anche un simbolismo complesso e variegato, in cui, soprattutto, il pane è celebrato come cibo sacro: il pane da spezzare con le mani per non ferirlo con il coltello, da non sprecare né gettare, al punto che le briciole di pane cadute involonta-

riamente andavano recuperate e baciate in segno di devozione; il grano che veniva lanciato agli sposi prima di essere sostituito dal riso, in quanto simbolo di fecondità e moltiplicazione, e al rovescio il “grano del sepolcro”, antica tradizione attestata soprattutto nel Gargano per adornare i sepolcri la sera del Giovedì Santo. Il che ci porta alla strettissima relazione tra il pane e la religione: Bet-lehem significa “casa del pane”, forse perché il villaggio era circondato da campi di frumento, e poi i continui riferimenti biblici, il miracolo della moltiplicazione dei pani, le parole di Gesù “Io sono il pane della vita”, la trasformazione del corpo di Cristo in pane nell’Ultima Cena, sono tutti segni del ruolo fondamentale giocato da questo alimento nella vita quotidiana dell’uomo, da sempre. E Omero già l’aveva detto, quando aveva usato l’espressione “mangiatori di pane” come sinonimo di uomini. Seguire la storia di questo cibo antico e insostituibile, che prima è grano color oro, poi farina (un tempo con la fatica dei contadini, oggi con un processo tutto meccanizzato che ha luogo nei granai), e infine pane attraverso un’arte forse nata in Egitto, è reimparare a dare senso a una

parola che lo sta perdendo. Così da apprezzare ancor di più quella grande varietà di qualità di pane del nostro territorio: il pane di Altamura, il primo in Europa a vantare il marchio DOP, il pane di Laterza, l’incredibile assortimento di pane del Tarantino, dalla voccula cu lli puricìni (chioccia con i pulcini) per il periodo pasquale, alle pupe per le bambine e i galletti per i maschietti; senza contare poi i derivati dal pane: friselle, focacce, taralli, bruschette, tutto il goloso patrimonio immortalato dagli scatti di N. Amato, S. Leonardi e O. Chiaradia, in una policromia che fa venire l’acquolina in bocca. Le loro fotografie e i testi di Raffaele Nigro, Stefania Mola, Vito Carrassi, Vittorio Marzi, Luigi Tedone e Nicola Sbisà sono le orme che Adda Editore ci offre per ripercorrere la strada di un passato-presente. Per il resto rimangono le storie, quelle che sentiresti raccontare fino all’infinito, dalle più tenere, come quella della “vampuglia”, piccoli pezzi di massa che in Basilicata venivano sfornati per primi per placare i bambini più impazienti, ai divertenti scongiuri per favorire il processo di lievitazione, del tipo “Cresci o pan come il cul del cappellan”! Le storie che fanno pensare “quante cose mi sono persa nascendo oggi”.

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LIBRERIE & LIBRI

L’altro Garibaldi, commerciante a Bari

Era il fratello minore di Giuseppe l’eroe dei due mondi, Felice che da giovane si trasferì da Nizza come agente di una società francese che migliorò la produzione dell’olio di oliva di Bitonto Dopo le presentazioni di Bari e Roma lo studioso barese Riccardo Riccardi, autore del volume “L’impresa di Felice Garibaldi fratello dell’eroe dei due mondi”(Congedo Editore), è giunto nell’arcipelago della Maddalena per presentare il suo lavoro nell’ambito delle celebrazioni garibaldine, che si sono tenute dal 31 maggio al 2 giugno scorso, riscuotendo un vivo successo da parte del pubblico e degli addetti ai lavori. A Caprera, proprio nel compendio garibaldino, si è parlato del forte legame che Giuseppe Garibaldi e tutta la sua famiglia ha avuto con Bari e Bitonto e con il resto della Puglia. Un legame con la nostra “Terra” dettato dalla presenza di Felice Garibaldi, il fratello minore dell’Eroe, che per quasi vent’anni ha vissuto in Puglia curando interessi commerciali che gravitavano nel comparto olivicolo, riportando

anche quelle straordinarie innovazioni che hanno dato all’olio bitontino la fama di olio di “buona qualità”. Anche a Caprera, come a Bari

Da sinistra, l’autore Riccardo Riccardi e il pronipote dei due Garibaldi di Nizza Giuseppe Garibaldi che ha curato la prefazione del libro

e a Roma, Riccardi ha avuto al suo fianco la presenza del pronipote Giuseppe Garibaldi - che ha curato la prefazione del volume - il quale ha evidenziato il forte legame della sua famiglia con la “Terra di Bari” ed ha auspicato che quanto prima, proprio nell’isola del suo avo, venga ripristinato l’antico oliveto ed il relativo frantoio che il suo avo impiantò con le proprie mani, a memoria di un’azienda agricola che potremmo definire oggi “d’eccellenza”. Il volume di Riccardi, proprio per questi aspetti - l’ulivo come elemento catalizzatore dei traffici commerciali anche tra la Puglia e la Sardegna -, ha suscitato la curiosità del pubblico in quanto tutti sono a conoscenza delle imprese del “Generale” Garibaldi ma pochi del successo imprenditoriale del fratello Felice. Felice Garibaldi, infatti, si trasferì giovanissimo da Nizza a Bari per avviare, come agente di commercio della società della famiglia ebrea Avigdor, sempre di Nizza, una redditizia attività nel settore della produzione dell’olio d’oliva. Aveva soli ventidue anni e per tratto e per statura era molto somigliante al fratello Giuseppe. Ma non solo, era tenace e caparbio nel raggiungere gli obiettivi negli affari come Giuseppe lo è stato nei successi militari. Anch’egli contribuì assieme a molti imprenditori d’origine ligure e provenzale - il pioniere in assoluto fu Pierre Ravanas, ideatore dell’applicazione del torchio di ferro a pressione idraulica in sostituzione di quello a mano - alla nascita della migliore produzione olearia della Conca di Bari e, più che altro, dell’olio bitontino che divenne, nel giro di qualche lustro, l’olio di buona qualità che soddisfaceva i palati più esigenti. Il suo forte dinamismo contribuì a

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migliorare le tecniche di produzione dell’olio grazie all’introduzione di una maggiore attenzione alla raccolta delle olive dall’albero, selezionando i vari frutti e non mischiando qualità diverse di olive. Il testo - ricchissimo di documenti, lettere e testimonianze -, però, non solo delinea le dinamiche commerciali ed economiche del Mezzogiorno, in un periodo storico in cui si formava sempre più corposa-

Se a Bari nacque la mitica figura del «negoziante» come quella di Vito Diana, di Giuseppe Milella, di Giuseppe Favia e tanti altri, i quali crearono un’impresa flessibile e presero le distanze dalla carriera marinara dei loro antenati - trasformando una città a vocazione prettamente marittima in un polo commerciale di incontenibile espansione -, a Bitonto, invece, molti rappre-

Bari, Corso Cavour, già via della Marina, come era nel 1876 (da Perotti 1975)

mente la strategia politica e sociale della borghesia, ma racconta di un periodo in cui chi aveva capacità e una buona dose di rischio poteva realmente “fare” una rivoluzione. Felice Garibaldi, infatti, trovò un ambiente mercantile barese in espansione, con famiglie che seppero nel giro di qualche lustro, in un borgo murattiano in crescente espansione, conquistare grandi fortune economiche per se stessi e per l’intera cittadinanza.

sentanti della facoltosa borghesia ma anche dell’antica aristocrazia – come i Sylos, i Valente, i Sisto – capirono che dovevano investire nella buona produzione dell’olio con la riqualificazione dei loro antichi frantoi chiamati dalle nostre parti “trappeti” in quei nuovi macchinari che il Ravanas aveva importato dalla Francia, rivoluzionando i metodi di raccolta e di spremitura delle olive.

Il “trappeto” acquisito da Felice Garibaldi a Bitonto era in via Crocifisso in una località detta “Poppanna”. Molti furono i rapporti d’affari con gli imprenditori bitontini che divennero i suoi principali interlocutori: Gaetano Calia, i fratelli Sisto, Nicola Marrone, Francesco Floriello e tanti altri. Una borghesia intraprendente che costruì, all’ombra degli ulivi, dei veri e propri imperi finanziari e, pertanto, le fondamenta di quella che sarebbe diventata l’economia più rilevante del Mezzogiorno. Felice Garibaldi, però, non solo coltivò rapporti con gli imprenditori locali ma anche con quelli francesi che, in quegli stessi anni, si trasferirono in Terra di Bari come Pierre Ravanas, i nizzardi Suè, Brivio e Chartroux, i liguri Rocca e Aicardi. Con loro partecipò, anche se in modo marginale, ai sussulti costituzionalisti baresi del 1848-49. Felice, dopo 17 anni vissuti a Bari e Bitonto, in seguito ad una grave malattia all’apparato digerente dovette ritornare nella sua città natia, dove morirà tra le braccia di suo fratello Giuseppe, nel 1855. Rimasto celibe, lascerà il suo ricco lascito ai due fratelli maggiori, Giuseppe e Michele. Il Generale con questa eredità, più i risparmi guadagnati attraverso i suoi traffici via mare in Sud America, avrà modo di acquistare una parte di Caprera e quella mitica “casa bianca” da dove partì per realizzare quell’impresa che avrebbe cambiato il destino degli Italiani. (Da.Ma)

PROF. MICHELE ROBERTO La Società di Cura e Chirurgia della calvizie, con sigla ISHR (Italian Society of Hair Restoration) è stata fondata a Roma nell’aprile del 1996 in occasione del 1° congresso sulle calvizie fatto in Italia. La Società fu fondata da specialisti di varie branche (dermatologi, chirurghi plastici, otorinolaringoiatri etc.) allo scopo di dare un aspetto multidisciplinare al problema. E’ ormai universalmente accettato che il trattamento di prima scelta per la calvizie comune è un farmaco che si assume per via orale (la Finasteride) oppure una lozione (il Minoxidil). Quando però si vogliono curare definitivamente tutte le forme di Alopecia si ricorre all’autotrapiantomonobulbare. Questa è una tecnica di microchirurgia delle calvizie che consiste nel prelievo di un certo numero di bulbi capilliferi dalla zone nucali e temporali e nell’impianto di queste in aree che sono prive. I capelli trapiantati non cadranno più, saranno attivi tutta la vita e continueranno a crescere con lo stesso ritmo degli altri capelli. Questa tecnica considerata di “elezione” è generalmente utilizzata, vista l’ottima percentuale di attecchimento (circa 90-95%) di bulbi impiantati con sessioni chirurgiche sempre più ampie (megasessione) che portano ad impiantare fino a 3.000-4.000 capelli a seduta. Il successo di questsa tecnica chirurgica la si estende anche a varie forme di Alopecia cicatriziale (ustioni, interventi chirurgici, trauma cranici, radioterapia, patologie del cuoio capelluto) come anche in altre parti del corpo, sopracciglia o pube ed anche nell’Alopecia femminile.

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INDUSTRIE L’azienda, aderente alla Sezione Metalmeccanica di Confindustria Bari è leader nell’automazione industriale sia su impianti fissi che mobili e si avvale della pluriennale esperienza dello staff tecnico. L’ampia sede è all’interno della zona industriale, accanto ai più importanti clienti ed alle sedi dei maggiori corrieri nazionali. A colloquio con l’amministratore unico Luigi Marra. Nuovi sistemi andranno in Cina “Problem solving”, ovvero soluzioni ai problemi. Questa la mission quarantennale della Marra Srl, azienda fondata nel 1968 come ditta individuale dall’attuale amministratore unico Luigi Marra, specializzata nella vendita con assistenza tecnica di prodotti qualificati nel settore dell’oleodinamica, pneumatica, elettroidraulica nonchè per i componenti riguardanti la trasmissione fluida-meccanica. Innanzitutto congratulazioni, quest’anno ricorrono quarant’anni di attività della vostra azienda, un traguardo significativo. “Cosa provo? L’emozione e la consapevolezza di aver realizzato un qualcosa di positivo, di essere riconosciuto come uno dei migliori tecnici nel campo”. Come è iniziata l’attività della Marra? “Inizialmente ero un dipendente della Robert Bosch spa di Milano. Dopo aver frequentato un corso di specializzazione nel capoluogo lombardo mi hanno assegnato la zona della Puglia, così ho iniziato a svolgere questo tipo di attività tecnico commerciale. In seguito si sono accorti che questa tipologia di lavoro con una dipendenza diretta non era sufficiente, per cui la dirigenza decise di costituire un’agenzia sul territorio che fosse autonoma dalla casa madre e comunque la mia figura sarebbe rimasta come corrispondente della Robert Bosch”. Con quale vantaggio? “Beh, per il semplice motivo che la nostra attività contempla al suo interno anche l’esigenza di un’officina, per l’assemblaggio dei particolari. Vendere esclusivamente particolari sarebbe stato assolutamente limitativo, per cui mi ‘costrinsero’, buon per loro ed anche per me, a costituire un’azienda ex novo, che progressivamente si è sviluppata”. In quale direttrice mosse i primi passi sul mercato? “Era il 1968, iniziammo ad acquistare macchine e in seguito ad assumere personale specializzato per l’assemblaggio di particolari”. Insomma, da riferimento di una grande azienda… “A grande azienda riferimento di altre grandi aziende, precisamente”. Di quanta forza lavoro dispone? “Tre operai specializzati, uno o due ingegneri (di-

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Marra, la soluzione

da 40 anni di Francesco De Palo

pende dal carico di lavoro) che curano la fase progettuale, un responsabile commerciale e due figure che trattano il marketing e le relazioni esterne”. Uno di questi rappresenta un po’ la memoria storica dell’azienda, vero? “Ebbene sì, è qui con noi da trentacinque anni. Si tratta del capo officina, il mio diretto riferimento che traduce materialmente i miei progetti teorici in applicazioni pratiche”. Quanto è complesso il mercato dell’automazione industriale? “Nel Nord Italia più che da noi, come attività dovremmo rivolgerci ai costruttori di macchine utensili. La differenza sta nei numeri, perché al nord esiste un mercato enorme mentre in Puglia è oggettivamente di minor entità, infatti i costruttori di macchine si possono contare sulle dita di una mano”. Ciò vi crea un ulteriore disagio? “Certamente. Noi ci occupiamo di progettazioni e di impianti che però sono una percentuale bassa, mentre in alta Italia allorquando si procede alla medesima progettazione se ne vendono una quantità cinquanta volte maggiore. Quindi scontiamo una mole enorme di lavoro progettuale, che però non si tramuta in volumi commerciali consistenti. Questa è la realtà”. Il comparto meccanico della provincia di Bari costituisce da sempre la spina dorsale del nostro sistema industriale: come si approccia la sua azienda a questo scenario? “Noi abbiamo un vincolo, quello di non poter co-


Luigi Marra, amministratore unico della Marra srl, accanto ad un classico impianto a fluido. Sotto, una complessa centrale oleodinamica la vera specializzazione della Marra. Nell’altra pagina, l’esterno della Marra srl in viale De Blasio 9 nel cuore della Zona Industriale di Bari www. luigimarra.it

struire macchine, ci occupiamo dei componenti, in virtù della logica di automazione. Qualora iniziassimo a costruire, ad esempio, macchine per agricoltura, perderemmo la clientela, in quanto da fornitori ci trasformeremmo in concorrenti”. Con quali inconvenienti ha dovuto raffrontarsi in questi quarant’anni, prima per insediare e poi per far progredire la sua azienda? “In primis quelle di natura economica, in seguito quelle derivanti dalla concorrenza. Le altre aziende del settore non disponendo di una struttura come la nostra, hanno evidentemente costi inferiori. La nostra peculiarità è che disponiamo di un autentico story board degli ultimi otto lustri. Noi non solo ci occupiamo degli aspetti squisitamente commerciali, come assicurare una fornitura o provvedere alla riparazione di un braccio meccanico, ma assicuriamo che l’intero procedimento

rientri all’interno di una linea di lavoro, la stessa che la Bosch inizialmente mi aveva imposto. Una scelta dispersiva dal punto di vista finanziario, ma altamente utile da quello pratico”. Un vero e proprio archivio di pezzi prodotti e realizzati, dunque. “Esattamente, siamo in grado ad un’azienda che è stata nostra cliente anche trent’anni fa di offrire risposte precise in merito al servizio da noi fornito. Tutto ciò ha un costo, ma ci consente di essere l’unica realtà sul territorio a poter assicurare tale attività con garanzie certe per i clienti”. Quale il periodo che ritiene maggiormente esaltante? “Senza dubbio i primi anni, direi gli anni settanta. In quel periodo l’automazione rappresentava una novità assoluta per il territorio, per cui era molto stimolante proporre l’innovazione dal punto di vista professionale, risolvere problemi che apparivano insormontabili, realizzare macchine”. La soddisfacevano i primi riscontri? “Non è stato facile far comprendere alla clientela i benefici dei nostri servizi. Soprattutto in agricoltura l’avvento delle macchine tecnologicamente avanzate ha rappresentato una vera e propria rivoluzione, si pensi ai cilindri idraulici, ai bracci meccanici. Quindi ho dovuto propagandare il prodotto, provarlo, e perché no, anche rischiare”. Ha anche dovuto “formare” i suoi clienti? “Certamente, perché era una tecnologia che mentre al nord era praticata da tempo, qui al sud si affacciava per la prima volta”. Flessione del mercato e aspra concorrenza: le è capitato di confrontarsi con queste due problematiche? “L’automazione industriale non è precipua ad un solo settore, dal momento che si spazia dall’agricoltura alla meccanica, dall’artigianato alla lavorazione della plastica, quindi ne risulta uno scenario particolarmente diversificato. Fortunatamente non abbiamo mai vissuto crisi specifiche, l’unico momento di difficoltà ci si è presentato quando sono venuti a mancare alcuni clienti non dal punto di vista tecnologico ma commerciale. Posso citare il caso della Pignone, per la quale nel corso degli anni abbiamo realizzato centinaia di banchi prova, che hanno rappresentato il nostro fiore all’occhiello”. Si riferisce a quando la Pignone fu assorbita dalla General Electric? “Esatto, e da quel momento quella branca specifica accusò una flessione, come era naturale e conseguenziale che fosse. Penso inoltre a Calabrese, altro nostro cliente”. Come sta in salute l’imprenditoria barese? “Difficile dirlo con certezza, perché sul territorio alcuni grandi imprenditori sono oggettivamente in difficoltà e non si comprende bene il perché”. Alla luce della sua esperienza in cosa dovrebbe migliorare il rapporto tra impresa e territorio? “I parametri da valutare sono numerosi, ma personalmente credo che innanzitutto si debba acquisire la mentalità dell’imprenditore, in assenza della

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capito che sarebbe diventato un imprenditore? “Spesso alcune situazioni della vita prescindono dalla nostra volontà e sono determinanti. Ad un certo momento, l’azienda madre mi ha quasi costretto a trasformarmi da dipendente in imprenditore. Era il 1968 e la passione per questa materia ha fatto il resto”. All’epoca quindi lei si è adeguato ad un’esigenza precisa. Crede che oggi le nuove generazioni dei trentenni abbiano questa capacità di adeguarsi al mercato del lavoro? “Bisognerebbe avere trent’anni per poter rispondere. Io posso dire la mia, frutto della mia cultura e del mio modo di analizzare cause ed effetti”. Una chiave di lettura potrebbe essere un sano interscambio di competenze ed esperienza da un lato, e di innovazione ed entusiasmo Il dott. Alberico Marra, responsabile amministrativo quale non si ha la capacità di risolvere i problemi e questo forse prescinde anche dal territorio. Ritengo altresì che in assenza di questa cultura non ci sia territorio che tenga”. Che valenza attribuisce a due aree di intervento come l’internazionalizzazione e la modernizzazione? “Senza la modernizzazione non vi può essere internazionalizzazione, dal momento che in assenza della possibilità di impiantare nuove tecnologie non sarebbe verosimile affacciarsi fuori dal recinto di casa”. Crede che con il contributo di strumenti associativi come Assindustria e di cabine di regia come l’Arti ci potranno essere ricadute positive quando ci si andrà a confrontare con mercati internazionali? “In un mercato sconosciuto è certamente più difficile presentarsi da soli piuttosto che in un gruppo solido composto da molte unità, anche se personalmente pongo la volontà dell’imprenditore al primo posto in una sorta di scala di azione. Chi persegue nella convinzione di voler agire in solitudine, beh, forse non ha “quello” spirito imprenditoriale di cui parlavo prima. Ad oggi è indispensabile associarsi e trasferire idee per soddisfare le richieste”. Si riferisce a forme di partenariato mirate? “La nostra azienda lo ha fatto collaborando con la ‘Graziano trasmissioni’ e con un’altra grande impresa a noi complementare per appuntare una serie di nuovi sistemi che andranno in Cina: ecco il vero know-how”. A proposito di Cina, come si batte questa, non più nuova, ma temibile concorrenza? “Con la nostra qualità e con la nostra innovazione, in poche parole con il made in Italy. Ad esempio, produrre un pezzo come un cilindro abbattendo i costi è semplicissimo, farlo in modo assolutamente innovativo è più complesso. Sta tutta qui la differenza”. Scorriamo la galleria dei ricordi: quando ha

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Un impianto a fluido per applicazioni nel settore agricolo dall’altro, non le sembra? “Esatto, ma dipende sempre dagli interlocutori. Vi sono giovani più inclini all’ascolto che metabolizzano consigli e valutazioni, altri invece che si mostrano irrimediabilmente refrattari. I giovani di oggi che appartengono a questa seconda categoria lo sono in modo più accentuato rispetto a quelli della mia generazione che avevano comunque una visione sui generis della vita. Noi eravamo più malleabili, più disposti al confronto, meno avvinghiati alle posizioni di partenza”. Non c’erano le possibilità di oggi. “E si ascoltavano anche maggiormente i consigli paterni, io ad esempio ho svolto servizio come Ufficiale dei Carabinieri, poi ho cambiato strada perchè mi consideravo un ribelle. Non era concepibile per quell’epoca lasciare l’Arma e una carriera assicurata, era considerata una scelta fuori da ogni logica. Oggi viviamo un’altra vita, dove il pericolo è rappresentato dalla facilità di poter cambiare strada”. Tre consigli ad un giovane imprenditore all’inizio della carriera. “Formazione, applicazione e soprattutto voglia di andare avanti. La componente caratteriale è fondamentale perché consente di superare gli ostacoli con la forza di volontà. Spesso oggi si crolla al primo ‘no’”.


Impegno & Successo “La mia maggiore soddisfazione? Aver sostituito in fabbriche importanti sistemi di automazione datati e radicati, con pezzi fatti da noi ex novo”. Non usa giri di parole Luigi Marra, nato a Bari il 25 maggio 1943, nello svelare emozioni ed orgogliosi traguardi. Da quarant’anni, non solo saldamente al timone dell’azienda di famiglia, ma anche felicemente sposato e padre di tre figli: Angela che insegna lingue a Rutigliano, Antonella che fa parte di un corpo di ballo a Milano e Alberico. Quest’ultimo, dopo la laurea in economia ed un master fa parte in pianta stabile dell’organigramma societario. Amante della musica (“di tutti i generi”) e dei viaggi

“Personalmente non riesco a dire di no, sono attirato professionalmente dalle problematiche, quindi corro il rischio di esporre le mie idee alla concorrenza, ma è un inconveniente che ho messo nel conto”. Lavoro ventiquattr’ore su ventiquattro? Non lontano dalla realtà, perché una volta messo il piede fuori dall’azienda la mente continua a riflettere su cause ed effetti, abbozzando ipotesi di risoluzione per problemi e future manovre. “No, l’imprenditore non stacca mai la spina, ma mi riferisco a quelli come me con un rapporto quasi paterno nei confronti dell’azienda. Mi piace arrivare di buon mattino in azienda con delle risposte precise”.

Luigi Marra con la moglie Giuliana, con le figlie Angela e Antonella e il nipotino Christian (“porterò sempre nel cuore Granada e Venezia”) Luigi Marra è il classico imprenditore che ha costruito la propria azienda da solo, mattone dopo mattone, con la tenacia e la determinazione: “In molti contesti aziendali, - riflette guardando indietro - dove dovevo confrontarmi con altri tecnici e responsabili, ho avuto il coraggio di impormi in quanto a scelte e valutazioni. Qualcuno ci ha creduto e mi ha dato la possibilità di realizzare la macchina così come l’avevo progettata”. Ricordi particolari? Molti, fra tutti la già citata Pignone, dove la prova di valvole per oleodotti dinanzi a clienti arabi durava dagli otto ai dieci giorni. “Noi siamo riusciti ad abbattere il tempo del collaudo sino a due giorni, raggiungendo un traguardo sino a quel momento impensabile”. Senza dimenticare le sfide di ogni giorno, come possono essere le emergenze contingenti. Adesso è il turno della Marina Militare per conto della quale pochi mesi fa, ammette con orgoglio “abbiamo risolto un intoppo notevole”. La nave anfibia “San Giusto” necessitava di interventi urgenti di manutenzione sui sitemi di movimentazione delle ancore. E’ stata sufficiente una telefonata “per metterci in moto e andare in loco, dove per la gioia del Capitano di Vascello Carlo Celerino, abbiamo sanato il guasto”. Ma qual è il segreto per imporsi all’attenzione del mercato?

Non solo propositi e strategie di azione, ma anche riconoscenza per i maestri del passato, anzi per un maestro in particolare, l’ingegner Steinaus, direttore tecnico della Robert Bosch “che mi ha insegnato i fondamentali della tecnica e la logica di questi sistemi, dal momento che si trattava di una materia che non era prevista negli istituti scolastici. E’stato il mio punto di riferimento dal punto di vista tecnico ed anche commerciale, a lui devo tutto”. Ma le sfide del futuro sono dietro l’angolo, il mercato oggi chiede sempre di più principalmente dal punto di vista innovativo, come una maggiore automazione, la razionalizzazione degli impianti, il che rappresenta un’esigenza reale e concreta per ogni azienda. Certo, un ruolo importante lo gioca anche la voglia di lavorare e di sacrificarsi, in assenza della quale “l’imprenditore si trova costretto a dover ottimizzare, in poche parole a risparmiare. Spesso si arriva anche all’eccesso, ma la tendenza purtroppo è irreversibile”. “Il mio lavoro? Il più difficile ma anche il più affascinante - conclude -. E`complesso a causa di una serie di sfide quotidiane contro le quali bisogna misurarsi e possibilmente vincere, ovvero stare sul mercato, aggredirlo, prevederne le richieste. Affascinante perché offre delle soddisfazioni impareggiabili”. Francesco De Palo

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ECONOMIA / EDILIZIA

L’Immobiliare Rubino si “certifica”

E’ utile per distinguersi nella giungla del mercato immobiliare. Assicurata correttezza, affidabilità e trasparenza Per continuare a distinguersi in un mercato immobiliare sempre più complesso e competitivo come quello pugliese, l’Immobiliare Rubino di Bari (13 filiali e 70 addetti) ha scelto di far certificare la propria qualità. Da 25 anni tra i protagonisti principali del mercato regionale, puntando sempre sulla qualità totale e assoluta, l’Immobiliare Rubino ha deciso di tutelare ulteriormente la propria clientela e, tra i primi gruppi immobiliari del Mezzogiorno,

ne immobiliare. “Offrire standard ancora più elevati in termini di correttezza, affidabilità e trasparenza è, infatti, una precisa scelta della nostra Organizzazione” – spiega Andrea Rubino, fondatore e presidente dell’Immobiliare Rubino – “che da sempre si pone come obiettivo primario e fondamentale la soddisfazione della propria clientela”. La Certificazione di Qualità è stata rilasciata all’azienda da

male, con la condivisione delle informazioni e un’uniformità di lavoro che portano notevoli benefici: le pratiche vengono gestite allo stesso modo e con gli stessi requisiti, il personale è controllato, gli errori possono essere previsti ed evitati, i dati di analisi disponibili consentono di individuare campi di miglioramento. “Il lavoro di un’agenzia certificata viene costantemente registrato e controllato da personale esterno specializzato” – conclude Andrea Rubino – “e deve essere

Andrea Rubino, presidente dell’Immobiliare Rubino srl di Bari e accanto una delle più efficaci pubblicità della sua azienda ha ottenuto la certificazione del proprio sistema di gestione qualità secondo la normativa internazionale UNI EN ISO 9001:2000. Una garanzia in più per la clientela, che si traduce tra l’altro nella “certificata” certezza del controllo assoluto di pratiche, procedure, personale e tutela della privacy. E nella sicurezza di poter contare sulla massima chiarezza e trasparenza in ogni fase dell’intermediazio-

QualityRE, società specializzata nella certificazione delle agenzie immobiliari, e prevede l’applicazione e il rispetto di un insieme di procedure volte a garantire alla clientela efficienza, controllo e trasparenza in un settore nel quale per le famiglie e per le imprese sono in gioco serenità e interessi enormi. Un’agenzia certificata offre un livello organizzativo interno otti-

svolto secondo una serie di parametri. Bisogna, per esempio, garantire massima chiarezza e correttezza nella comunicazione pubblicitaria e nella modulistica utilizzata, che deve essere costantemente aggiornata e revisionata, è indispensabile adottare rigorose procedure a tutela della privacy degli utenti e poi monitorare il loro livello di soddisfazione in relazione ai servizi offerti”. (d.m.)

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INDUSTRIE / EDILIZIA

ISTRUZIONI PER L’USO

Fare impresa in edilizia

Realizzati dal Crised sette manuali per consentire a tutte le componenti del sistema - imprese, professionisti, lavoratori - di aggiornare le conoscenze con cui gestire innovazioni, normative e competizione basata sulla qualità dei prodotti. La presentazione presso la Formedil di Bari presieduta dall’ing. Michele Matarrese

di Tonino Ancona

“Il settore dell’edilizia sta affrontando oggi in termini di qualità delle procedure, ciò che il sistema industriale fa da tempo. L’elevazione della soglia di qualità delle proprie produzioni è il risultato del connubio tra le competenze interne e le esigenze della collettività”. Così ha esordito l’ing. Vito Bellomo, presidente della Sezione di Bari dell’ANCE (Associazione Nazionale Costruzioni Edili) nel corso della presentazione dei sette manuali realizzati nell’ambito del progetto CRISED (Centro Risorse Interprovinciale Servizi per l’Edilizia) nella sala convegni della FORMEDIL Bari. Si è parlato, anche, di un supporto multimediale, di un portale dedicato al settore edile e alle sue esigenze di adeguamento tecnologico, della creazione di cinque Centri Risorse Provinciali e della costante ricerca per rispondere alle necessità del comparto pugliese. “E’ stata un’idea vincente - ha affermato l’ing. Michele Matarrese, presidente del Formedil-Bari – nonché originale per un settore costituito da tante piccole imprese che, da sole, non avrebbero mai potuto realizzare un progetto di questo genere. Il valore aggiunto di questa iniziativa sta proprio nel fatto che ci fornirà adeguate e opportune conoscenze del mercato. Siamo arrivati alla redazione di questo programma in quanto c’è stata una significativa concertazione fra gli industriali e il sindacato. Abbiamo progettato dei servizi innovativi ed integrativi in modo da consentire a tutto il sistema, alle imprese, ai

professionisti, ai lavoratori di aggiornare e di arricchire la cosiddetta ‘cassetta degli attrezzi’ con cui gestire innovazioni, normative e competizione basata sulla qualità dei prodotti”. Dal canto suo il direttore del Formedil Bari dott. Luigi Aprile ha rilevato che il “Crised è nato come idea progettuale per la creazione di una struttura multimediale di servizi a disposizione del sistema edile, quindi di imprese, professionisti, progettisti, lavoratori, ma anche delle associazioni. Si è partiti dal presupposto che l’edilizia è un settore di per sè composto da imprese che difficilmente riescono a soddisfare il loro know-how con il proprio organico. Hanno bisogno di una consulenza esterna che indichi funzioni e priorità per la loro organizzazione interna”. Chiaramente è stato un lavoro d’équipe in cui è prevalso il convincimento di attualizzare, rendere operativo un supporto di integrazione per le nuove esigenze del sistema. I protagonisti di questo lavoro sono stati l’ANCE Puglia, presieduta dall’ing. Salvatore Matarrese, capofila, le cinque scuole provinciali della Puglia, SMILE Puglia ed Euroga per la parte tecnica. Alla fine il testimone verrà passato al Formedil Puglia. Dal primo luglio sarà pronto un portale web www.crisedpuglia.org. Il dott. Aprile nel rilevare che si è partiti dall’analisi dei fabbisogni per definire i servizi specialistici da gestire in chiave interattiva ha soggiunto: “Gli obiettivi che ci siamo posti sono stati quelli di costruire, creare una infrastruttura di information e comunication tecnology, quindi servizi avanzati,

Michele Matarrese

Luigi Aprile

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Vito Bellomo

Nicola Costantino


I SETTE MANUALI REALIZZATI NELL’AMBITO DEL PROGETTO CRISED (CENTRO RISORSE INTERPROVINCIALE SERVIZI PER L’EDILIZIA)

finalizzati a soddisfare esigenze di adeguamento tecnologico, di favorire l’innovazione e la compatibilità del sistema delle imprese edili pugliesi. E’ stata messa in campo un’analisi dei fabbisogni di tipo informativo e consulenziale. E’ stato appurato, attraverso un questionario analizzato dall’ Università di Lecce, che il 95% delle imprese edili pugliesi di piccole, piccolissime dimensioni, ha avvertito la necessità di questo supporto. Ci si è rivolti ad un campione rappresentativo, costituito da 309 imprese. Sono state effettuate 286 interviste. Sulla base di questi esiti sono state definite le priorità e gli ambiti per i sette titoli editoriali e per l’architettura e l’organizzazione tecnologica del portatile on line. E’ stato realizzato anche un DVD con contenuti multimediali per avere continui aggiornamenti sulle tematiche, anche perché il nostro settore sconta, in questo periodo, una difficoltà nel reperimento di risorse

Giovanni Calabrese

Salvatore Bevilacqua

specializzate”. Qundi il prof. Nicola Costantino, ordinario di Ingegneria economico-gestionale presso il Politecnico di Bari ha detto che “lo scopo di questa iniziativa è stato quello di aiutare a crescere la managerialità delle nostre imprese, soprattutto dal punto di vista qualitativo. Il mercato indica che non c’è spazio per le aziende di grandi dimensioni”. Secondo un censimento nazionale realizzato negli ultimi 10-15 anni, le imprese del settore sono passate da circa 450.000 a 650.000 a parità di addetti complessivi. Il 58% hanno un addetto e il 42% ne hanno tre. “E’ cresciuto tanto perché siamo passati da una composizione del mercato che vedeva il 60% della spesa complessiva in Italia per le nuove costruzioni e il 40% per gli interventi sul recupero e manutenzione. Oggi abbiamo quasi il 2/3 della spesa concentrato sugli interventi

Fabrizio Nardoni

Crescenzo Gallo

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La sede della Formedil di Bari realizzata nel 2004 in Strada Arginale Lamasinata dell’esistente”. Il quadro normativo per la certificazione della qualità delle imprese, un elenco di norme che si occupano, non solo, degli aspetti qualitativi, ma anche delle tematiche organizzative e delle linee guida per la loro realizzazione, è stato il contributo dato dall’ing. Giovanni Calabrese, esperto in sistemi di Gestione Qualità ed Ambiente. “Da verifiche ispettive fatte nell’arco di un quinquennio per conto di un ente di certificazione sono risultate anomalie che riguardano: a) l’inadeguato controllo del subappalto e fornitura in generale; b) mancato controllo dei processi realizzativi; c) insufficienti documentazioni delle registrazioni interne; d) mancato riesame dei contratti stipulati con il cliente; e) inadeguate apparecchiature di misurazione. Se vogliamo che i sistemi di gestione della qualità svolgano un ruolo chiave e che servano a far posizionare meglio, dal punto di vista di competizione delle imprese, è necessaria una razionale organizzazione interna in modo da definire priorità e i reali fabbisogni”. La perentorietà dell’ing. Vito Bellomo, presidente ANCE Bari, è un deciso incentivo a non demordere. E’ un entrare a gamba tesa, tanto per usare un termine calcistico, con cui ha voluto indicare che “questa è una spinta che la Puglia con le sue cinque Province non può assolutamente sottovalutare per realizzare un sistema imprenditoriale di alta qualità. Si è assunta la consapevolezza che, a livello provinciale e regionale, si vada verso un’omogeneizzazione dei comportamenti. L’importante è fare in modo che l’intero complesso imprenditoriale pugliese sia configurato attraverso organizzazioni anche di tipo medie-piccole in modo che tutte vengano portate ad una stessa soglia di qualità e competenze”. Non fa sconti il presidente dell’ANCE. Non si è posto alcun ostacolo. Bisogna superare certe barriere per affermarsi. “E’ logico che le organizzazioni di sistema, quali, appunto le nostre, hanno avuto la lungimiranza di approcciare tali problemi. Oggi mettiamo sul tappeto delle opportunità. Io auguro che le possano utilizzare tutte, in modo che si crea una maggiore e diffusa imprenditorialità di alta qualità sul nostro territorio. Questa iniziativa vuole incentivare tale aspirazione”. Ed è arrivato il monito al sistema impresa. “In prima linea, sia la classe imprenditoriale che il sistema delle costruzioni sono chiamati a scendere

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in campo e dare una testimonianza delle proprie capacità”. Il suo intento è che si pongano in essere le premesse per dare un carattere di internazionalizzazione all’intero segmento dell’edilizia. “Ci si deve attrezzare per un futuro che, al di là, di quelli che sono i cicli congiunturali che ha l’edilizia, noi abbiamo il dovere di guardare, con estrema positività, soprattutto alla funzione che la Puglia è chiamata a svolgere all’interno di un sistema più ampio che non è solo quello nazionale, ma molto più allargato a tutto il sistema del Mediterraneo. Ne discende la necessità di realizzare sul nostro territorio infrastrutture che devono esaltarne la qualità”. Per il sindacalista Salvatore Bevilacqua, in rappresentanza di Feneal-Uil, Filca-Cisl, Fillea-Cgil di Bari, l’edilizia in Puglia, con questa iniziativa si è posto un obiettivo ambizioso ed all’avanguardia per come si gestisce un’impresa edile. L’organizzazione e la gestione manageriale di un’impresa significa non solo lavorare sull’immediato, ma anche sulla programmazione. “Noi in Puglia – ha relazionato Crescenzo Gallo, vice presidente del Formedil Puglia – abbiamo avuto nell’ultimo semestre 53.579 addetti censiti nelle casse edili. Si rispetta, così, la forza lavoro di 6 addetti per imprese. Bari ha avuto, nell’ultimo anno, 25.400 addetti dei quali 2.614 apprendisti, 9.887 gli operai comuni. E’ il 50% di addetti non specializzati. E’ una percentuale molto alta che ha il suo riflesso sulla qualità delle imprese. I lavoratori stranieri denunciati ,presenti sempre a Bari, sono stati 1.603 provenienti dall’Albania e Romania. Sono 70% dei lavoratori non italiani. E’ necessario traguardare obiettivi di formazione di eccellenza, anche verso gli impiegati. Bisogna, comunque, implementare in tutti gli addetti sia la formazione sulla sicurezza, sia sulle metodologie delle costruzioni che abbiamo sul nostro territorio. Noi come Formedil dobbiamo porci come la punta di diamante di un’intensa ed efficiente attività formativa”. Le conclusioni del dott. Fabrizio Nardoni, presidente del Formedil Puglia. “Questo progetto è stato finanziato per il 65% dalla Comunità Europea e per il restante35 % dalle nostre scuole e dall’ANCE. Noi cercheremo di fare da supporto con questo portale porta a porta e avviare un significativo sistema che possa agevolare le imprese e i lavoratori”.


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