La Seconda

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ISBN: 978-88-31314-77-0 © 2021 Les Flâneurs Edizioni Les Flâneurs Edizioni è un marchio del Gruppo Editoriale Les Flâneurs Srl

Editing: Sara Saffi Progetto grafico: Mariano Argentieri Copertina: © Adobe Stock - olly Finito di stampare a marzo 2021 presso Creative 3.0 Srl • Reggio Calabria per conto di Les Flâneurs Edizioni


Giulia Basile

LA SECONDA



«Prima del risveglio tagliavo legna e portavo acqua; dopo il risveglio tagliavo legna e portavo acqua». Proverbio Zen


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La Seconda

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Capitolo 1

I miei diciotto anni erano passati da un pezzo e si poteva dire che avevo avuto già il tempo di vivere due vite: una da figlia e una da madre surrogata per le mie sorelle. Ma né quella di figlia né quella di madre erano state per me appaganti. La cosa peggiore era che finivo per considerarmi una donna di seconda scelta. Del resto così mi giudicava mio padre. La primogenita invece, lei sì, che era una donna di prima scelta, dalla vita normale. Fino a quando non successe… L’etichetta di normalità era una prerogativa di famiglia, visto che mia madre – e la sua prima di lei – fondava il proprio orgoglio nell’avere una famiglia normale. Lei era una casalinga dedita a casa e chiesa, mio padre un uomo normale che ogni sera tornava a casa, si buttava sulla sua poltrona, controllava che le figlie avessero fatto i compiti, e chiedeva: «Tutto bene? Come è andata la giornata?». E mia madre: «Normale». La sua vita era incanalata nella normalità e nulla la turbava. Infatti non si accorse nemmeno che il marito a cinquant’anni era un uomo vecchio dentro e senza progetti, pago – diceva lui – della sua condizione di marito servito e riverito, pago del suo lavoro che lo annoiava, ma che gli dava 9


abbastanza e gli avrebbe garantito la pensione e il meritato riposo. Ma, quale riposo? Da quando era nato si era fatto bastare quello che aveva e, sposando mia madre, è logico che l’avesse infettata; così lei aveva abbandonato l’università al primo anno della facoltà di Matematica. «A te la laurea non serve, io guadagno abbastanza, nel mio negozio gli strumenti musicali si vendono bene, ci sposeremo quest’anno, a che ti serve una laurea? Tu puoi stare a casa, fare quello che vuoi, e poi presto ti occuperai dei bambini… o no?!». E mia madre, inerme: «Sì, sì». Allora viveva la stagione dell’amore, anzi dell’infatuazione d’amore, e non ci pensò nemmeno a portare a termine il suo progetto di laurearsi e farsi un’indipendenza economica. Sposò mio padre con tutto il suo mondo piccolo borghese senza colori. Sposava il suo primo e unico uomo, indossava l’abito bianco con il lungo velo trascinato per le scale della cattedrale, aveva intorno tanti invitati che la riempirono di riso e petali di fiori e infine aveva un marito che l’amava e l’aveva scelta per i suoi meriti e le portava in dote una casa e un negozio di proprietà. Meta raggiunta: era finalmente una signora, padrona della sua vita. Avrebbe vissuto con l’uomo che voleva, con l’uomo che quando la stringeva a sé le faceva salire un brivido dal ventre fin nello stomaco, l’unico che l’avesse abbracciata e baciata svegliando il suo più profondo desiderio di donna. Tutto nella norma. Stento oggi a riconoscere in mia madre la donna nella foto del matrimonio con gli occhi raggianti di felicità. Non l’ho più vista così. L’ho cercata anch’io per me, quella felicità, ma la normalità, e tutte le regole che la mia famiglia aveva costruito come un recinto di difesa non c’erano più. Piano piano si erano sgretolate e io, come molte mie coetanee, dopo la fase adolescenziale, mi sono smarrita. Avrei dovuto salire su quelle macerie e ricostruire. Ma a quale prezzo? E perché? 10


Le ragazze che conoscevo sembravano avere una vita più facile della mia. Loro non avevano sorelle, erano figlie uniche o al massimo avevano un fratello col quale era facile fare battaglie generazionali. Insomma facevano causa comune perché nel branco, come la stampa spesso definiva un gruppo di adolescenti immaturi, si sentivano più forti e più pronti a combattere contro ogni impedimento ai loro desideri, giusto o sbagliato che fosse, liberi di agire. Ma per chi come me aveva tre sorelle, era difficile qualsiasi alleanza, sia in casa che fuori, anche se per logica doveva essere il contrario. Lo avevo sperimentato molte volte. L’unica mia esperienza di ribellione messa in atto con le mie sorelle che aveva funzionato era quella fatta contro il cibo, per ricattare mamma e ottenere quello che ci interessava. Questo caso però non faceva testo perché il nemico, debole com’era, subito mollava, assecondava i nostri capricci e cucinava ciò che noi preferivamo, salvo poi, sempre per capriccio, rifiutarlo con la scusa che repetita stufant. Cominciavamo sempre tutte insieme, come fosse un banco di prova, a pretendere di capovolgere le abitudini familiari. Finì che cambiavamo gusto e preferenze ogni quindici giorni e nostra madre – «Tanto fai la casalinga e tempo ne hai» – finì per passare ore e ore in cucina, e altre davanti alla tv per imparare ricette nuove e seguire i consigli sulle nuove tendenze degli adolescenti. Ma di noi quattro solo mia sorella Alba, la maggiore, forse più consapevole del suo impegno e sacrificio, non rendeva vano il suo lavoro, in balìa dei nostri sì e no, e piuttosto digiunava quando usciva col suo gruppo di amici in modo da poter poi mangiare a casa ciò che mamma aveva preparato. Dovette però soccombere a noi tre quando le proibimmo di assecondarla con la minaccia di raccontare a nostro padre tutto sull’intimità nata tra lei e il suo fidanzato. La martellammo 11


ricordandole ogni minuto le sue parole: «Stai lontana dai giovanotti e dalle amiche già zoccole» come le definiva lui. Così anche Alba cominciò ad ammutinarsi all’ora di cena, solo che noi mangiavamo nel tempo della buon’uscita concessa, lei invece approfittava di quel tempo per incontrare il suo amore e dunque rimaneva a digiuno. S’indeboliva e perdeva colorito e bellezza ogni giorno. Scoppiò una tragedia greca quando si accorse che il fidanzato usciva con Loredana, la sua migliore amica! Il fatto fu tanto più grave perché Loredana non lo negò, ma lo ammise subito promettendo che, essendo stata una mera serata di sesso, lo avrebbe allontanato per rispetto della loro amicizia. Raccontò anche i particolari: era successo quella sera in cui per l’anniversario dei nostri genitori eravamo andati tutti al ristorante e loro due si erano ritrovati da soli. Poi, incurante del dolore che stava dando alla sua migliore amica, con la sua naturale faccia tosta, prese a dire peste e corna di lui, per come considerava e trattava le donne, ma non poté fare a meno di lodare il suo «saperci fare con le carezze, con le parole durante e dopo l’amplesso, e soprattutto con il suo tocco da pinguino». Proprio come il pinguino pizzica la femmina e poi si allontana velocemente, così aveva fatto lui per molte volte ‒ disse ‒ fino ad accrescere il desiderio e costringerla a fare tutto ciò che lui voleva. E mentre mia sorella si sentiva morire, ormai ridotta un cencio di manzoniana memoria, Loredana con spavalderia concluse il suo racconto, precisando che non aveva mai goduto tanto in vita sua. Alba non ci pensò due volte a cacciarla fuori di casa e la cosa assurda fu che Loredana ne rimase sorpresa! Non si rendeva conto di cosa avesse fatto. ***

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Loredana si faceva notare per la voce melodiosa e squillante come le campane di paese a mezzogiorno, e il seno turgido e appuntito che era sbocciato all’improvviso già dalla terza media. In un primo momento se ne vergognava ma poi cominciò a mostrarlo con spavalderia. Riusciva così a calamitare l’attenzione di tanti ragazzi, della sua età o più grandi, che cominciarono a non toglierle gli occhi di dosso e a seguirla a un suo minimo cenno di disponibilità. La sua prima volta era stata a quattordici anni con il fratello di Noemi, la sua compagna di banco. Lui però non sapeva che pesci prendere e dunque fu subito messo da parte e dimenticato. Lei cercava altro, cercava emozioni forti. Così passò in rassegna tanti altri studenti del liceo e raccontò ingrandendole altrettante diverse e intriganti avventure. Qualcuno ci credeva, qualcuno no e finì per essere temuta dalle donne, ma anche dagli uomini, per paura che l’esperienza nota a tutti del fratello di Noemi facesse da monito alla loro performance e che una sua parola in giro li esponesse al ludibrio. Il gruppo, si sa, è crudele e basta poco per farsi delle idee distorte. Succede spesso, ahimè, che godere delle disgrazie altrui faccia sentire rinfrancato dalle proprie. Infatti l’influenza di Loredana costrinse i più deboli, caduti nella sua rete, a cambiare addirittura residenza e inseguire falsi miti. Il pensare e il sentire di Loredana affondavano nei disastri della sua famiglia. Odiava gli uomini per colpa di due donne: la madre, che tradiva il padre con un ragazzo di quindici anni più giovane di lei e la socia tuttofare del padre con cui lui tradiva sua madre. Fu costei infatti, la brava avvocata, a difendere il suo amante in tribunale per l’assegnazione a loro di Loredana, la figlia che ‒ al di là delle carte giuridiche ‒ non volle più tra i piedi al raggiungimento dei diciotto anni. La nuova signora Troilo aveva detto subito a Loredana che non poteva entrare e uscire da casa come le faceva comodo, e che c’erano 13


delle regole da rispettare. Col suo solito accattivante sorriso Loredana le comunicò semplicemente che, se non la smetteva di voler gestire la sua vita, avrebbe presentato al giudice il dossier della loro tresca, chiedendo di andare a vivere a casa della madre, nonostante odiasse il pensiero che coccolasse un suo coetaneo invece che lei. Pensava che se tutte le donne fossero state uguali a sua madre, due secoli di lotte femminili sarebbero andate in malora, annegate nel perbenismo di facciata. Infatti molte sono paghe di vedere le cose cambiate a parole, salvo poi a rimanere schiave nelle quattro mura domestiche, dove continuano a essere tradite, a ubbidire a suon di ceffoni, stupri e depressione, fino all’acido in faccia e ai femminicidi. L’egocentrismo e la trasgressiva violenza nel comportamento di Loredana erano un po’ il frutto di questo miscuglio di pensieri, compresa la convinzione che la causa principale delle separazioni e dei divorzi, che si diffondevano a macchia d’olio in tutto il mondo, era stato il benessere. Alla faccia della fame! Col tempo però si rese conto che quando si parlava di certe donne non era questione di rispetto e di diritti, c’era proprio volontà di emergere distruggendo l’avversario.

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