NelMese 10/2010

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anno quarantaquattresimo

10/2010 Euro 3,20 Periodico mensile di Cultura Medicina Turismo Economia sped. abb. post. 70% Fil. di Bari NUOVA GEDIM SRL via Suppa 28 Bari

nelmese DIRETTO DA NICOLA BELLOMO

Tornate le “Giornate” con la Regione e con l’Ipres

Il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e il presidente dell’Ipres Nicola Di Cagno

MEZZOGIORNO, GIOVANI E LAVORO: IL RUOLO DELL’UNIVERSITA’ E LA RICERCA SUL CAPITALE UMANO Parte da Gerusalemme Renato Dell’Andro: raccolta dei discorsi alla Camera il Calendario comparato 2011 Per sentirsi italiani veritieri, Prima stagione del rinato Teatro Petruzzelli contro la storia distorta To be or not to be: il piacere di fare teatro Alla Formedil corso per operatore edile di scavo archeologico, ad Egnazia FRANCESCO GIORGINO DELL’UNIVERSITA’ “ALDO MORO” DI BARI: PER IL DIABETE RICERCA E NUOVE CURE



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nelmese periodico di Cultura Medicina Turismo Economia direttore responsabile

NICOLA BELLOMO n. 10/2010 anno 44esimo Edizioni NUOVA GEDIM S.R.L. Direzione - Amministrazione - Pubblicità via Suppa, 28 - tel. 0805232468 - 0805220795 - 70122 Bari NUOVA GEDIM S.R.L. iscritta alla Camera di Commercio di Bari il 14/01/2008 al numero 503184 - “NELMESE” periodico di cultura medicina turismo economia iscritto al n. 333 del “Registro dei giornali e periodici” del Tribunale di Bari 9/11/1967 - Spedizione in abbonamento postale comma 34 - art. 2 - Legge 549/95 Filiale di Bari - E’ vietata la riproduzione, anche parziale, di scritti e la riproduzione in fotocopia -. Nicola Bellomo ideazione Grafica. - Stampa: Pubblicità & Stampa Via dei Gladioli 6 - 70026 Modugno/ Bari - tel. 0805382917 ABBONAMENTO ANNUO PER IL 2010 Euro 32,00 - LA COPIA - euro. 3,20 (con copertina plastificata euro 3,50) - CONTO CORRENTE POSTALE 000088305263 INTESTATO A NUOVA GEDIM S.R.L. - VIA SUPPA 28 BARI 70122 BONIFICO BANCARIO SU C/C N.1000/61567 intestato a NUOVA GEDIM SRL VIA SUPPA 28 - 70122 - BARI DEL BANCO DI NAPOLI, FILIALE 0620 VIA ABATE GIMMA 101 BARI IBAN IT41 D010 1004 0151 0000 0061 567

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Sommario RICORDI / POLITICA

STORIA /

RENATO DELL’ANDRO A 20 ANNI DALLA SCOMPARSA 5 STORIA / 150ESIMO DELL’UNITA’ D’ITALIA

PER SENTIRSI ITALIANI VERITIERI

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FIERA DEL LEVANTE / REGIONE PUGLIA / IPRES

SONO TORNATE LE “GIORNATE DEL MEZZOGIORNO”

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IL RUOLO DELLA UNIVERSITA’ E LA RICERCA SUL CAPITALE UMANO

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LA RICERCA DELL’IPRES E LE UNIVERSITA’ PUGLIESI

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DIRITTO

GIUSTIZIA MILITARE “PARALIZZATA” DIRITTO /

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FIERA DEL LEVANTE

GIUSTIZIA MINORILE “CREATIVA” OCCASIONI PER RICOMINCIARE MEDICINA /

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FIERA DEL LEVANTE

PER IL DIABETE RICERCA E NUOVE CURE

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STORIA / RELIGIONI

PARTE DA GERUSALEMME, IL CALENDARIO COMPARATO 2011 22 ENEC E FIERA DEL LEVANTE, PER IL MEDITERRANEO 23 DEL FUTURO

FIERA DEL LEVANTE

I GIOIELLI DI FEDERICO II

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SPETTACOLI

PRIMA STAGIONE DEL RINATO TEATRO PETRUZZELLI, BRILLANTE MA AD OSTACOLI

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I “PROTAGONISTI” DIETRO LE QUINTE

29

IL TRIS D’ASSI DI VACCARI

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DELL’ANDRO pag. 5

S PE T T ACO LI / FU O RI CA S A

TO BE OR NOT TO BE: IL PIACERE DI FARE TEATRO

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LIBRERIE & LIBRI

L’ALBERO DELLA LIBERTA’ BOCCASILE, L’IMMAGINE E’ DONNA I RAPPORTI DELL’ARTISTA CON BARI

34 CALENDARIO pag. 22

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CULTURA

PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA ALLA SCRITTRICE GIANNA SALLUSTIO

IL TRIS D’ASSI DI VACCARI pag. 31

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EDILIZIA / FORMAZIONE

DAL CANTIERE ALLO SCAVO, SI PUO’

40 APRILE-FORMEDIL BARI pag. 40

ARTE

“OLTRE IL MEDITERRANEO”

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RICORDI / POLITICA

Renato Dell’Andro a 20 anni dalla scomparsa

Sarà presentato a Roma il 28 ottobre un volume con tutti i discorsi alla Camera dei Deputati, su iniziativa del vice presidente vicario on. Antonio Leone. L’indimenticabile docente universitario e uomo politico fu anche giudice della Corte costituzionale

I

l 29 ottobre di vent’anni fa, nel 1990, scompare Renato Dell’Andro, un “grande” barese che, brillando di luce propria, illumina tanti campi in cui opera. A 18 anni nel 1940 si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari e la sua prima lezione da discente coincide con la prima lezione da docente di Aldo Moro. Inizia sin d’allora un sodalizio che si protrae lealmente e fedelmente sino alla scomparsa, nel 1978, di Aldo Moro. Dell’Andro continua anche dopo ad onorare e ricordare il suo Maestro, tramandando e trasmettendo il suo pensiero in ogni campo, giuridico, politico, istituzionale. Nella sua poliedrica attività è, da cattolico integerrimo, punto di riferimento di tante generazioni che lo apprezzano e seguono nei 40 anni di insegnamento all’Università di Bari presso la Facoltà di Giurisprudenza fino al 1985, quale docente di Filosofia del Diritto, Diritto penale, Procedura penale. Negli ultimi anni del suo impegno accademico, è preside dal 1982 al 1985 di Giurisprudenza conferendo slancio e credibilità all’intera Facoltà e all’Università di Bari. In precedenza Dell’Andro è anche magistrato per 8 anni dal 1947 al 1955, allorché sceglie definitivamente la carriera accademica. Dell’Andro svolge anche attività forense: un caso per tutti, processo Percoco a Bari nel quale l’imputato per l’uccisione dei genitori e di un fratello è condannato all’ergastolo ma in appello l’avv. Gironda nella difesa chiede e ottiene l’“aiuto” del prof. Dell’Andro il quale in una famosa arringa dimostra la follia dell’imputato facendo trasformare l’ergastolo in un ricovero in manicomio criminale. Il suo impegno è ampio e si sviluppa anche nel campo sociale e politico. Nel 1959, chiamato da Aldo Moro, è candidato al Comune di Bari dove in un epica battaglia elettorale batte in voti di lista e di preferenza il senatore della Repubblica Araldo di Crollalanza, unanimemente riconosciuto come un galantuomo, epica figura durante il Fascismo, podestà di Bari nonché attivo Ministro ai Lavori pubblici.

Fiera del Levante, settembre 1978. Commemorazione dell’onorevole Aldo Moro a pochi mesi di distanza dall’uccisione da parte delle brigate rosse, da parte dell’on. Renato Dell’Andro all’epoca sottosegretario alla Giustizia. Al tavolo, da sinistra, Luigi Ferlicchia, segretario provinciale della DC, Angelo Pastore, presidente provinciale DC, il sen. Giuseppe Giovanniello, l’on. Dell’Andro, l’on. Nicola Vernola, l’avv. Enzo Sorice, assessore regionale alla P.I., l’avv. Carlo Forcella e Angelo Marino, presidente della Camera di Commercio di Bari (Foto Ficarelli - Archivio NelMese) E dopo varie rielezioni a Sindaco di Bari, Dell’Andro nel 1963 è eletto alla Camera dei Deputati con oltre 54mila voti di preferenza nella lista della Democrazia Cristiana. Moro è lo sponsor dell’operazione che si avvale, data la vasta preparazione giuridica, nell’operazione politica di centro-sinistra che lo vede Capo del Governo, di uomini validi nel difficile e tortuoso iter politico nazionale. Dell’Andro assolve bene al suo compito e si distingue nella vasta gamma di problematiche legislative che gli vengono sottoposte. Sono tante e qualificate le iniziative e i provvedimenti che portano la sua firma ed il suo apporto che oggi a 20 anni di distanza, la Camera dei Deputati, per iniziativa del vice presidente vicario Antonio Leone, ha fatto stampare un volume a ricordo e memoria, che sarà presentato il 28 ottobre a Roma, nella stessa Camera. Dell’Andro è sottosegretario alla Giustizia (1968-1979) ed un anno sot-

tosegretario alla Pubblica Istruzione (1973-1974), distinguendosi per varie iniziative: riforma dei Codici di Diritto penale e di Procedura penale, riforma sulla Legge per l’Università, riforma del Diritto di Famiglia, Legge sull’adozione, Legge sulla Costituzione, Legge sulle Regioni, Riforma carceraria, e quant’altro. Quindi, nel 1985, come giudice della Corte costituzionale, elabora la storica sentenza di portata mondiale “ignorantia legis” n. 392 del 30 marzo 1988. Alla Corte costituzionale dette vita a 46 sentenze ordinarie e a 142 ordinanze: un lavoro immane in cinque anni, sino alla morte nel 1990. Dell’Andro sapeva dirigere un’orchestra, suonava il pianoforte ed era competentissimo del mondo lirico.

LUIGI FERLICCHIA

presidente Federazione Centri studi “Aldo Moro e Renato Dell’Andro”

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STORIA / 150ESIMO ANNIVERSARIO DELL’UNITA’ D’ITALIA

Premessa ADERISCO IN PIENO A QUANTO VA DICHIARANDO IL CAPO DELLO STATO GIORGIO NAPOLITANO IN QUESTI ULTIMI MESI IN PREVISIONE DELLE CELEBRAZIONI NEL 2011 DEL 150ESIMO ANNIVERSARIO DELL’UNITA’ D’ITALIA. EGLI HA SOTTOLINEATO PIU’ VOLTE LA NECESSITA’ DI “FAR RIVIVERE NELLA MEMORIA E NELLA COSCIENZA DEL PAESE LE RAGIONI DI QUELLA UNITA’ E INDIVISIBILITA’ CON CUI NACQUE L’ITALIA” E ANCORA “FONTE DI COESIONE SOCIALE E BASE ESSENZIALE DI OGNI AVANZAMENTO TANTO DEL NORD QUANTO DEL SUD, IN UN SEMPRE ALTO CONTESTO MONDIALE”. NEL CONTEMPO, PERO’, SENTO LA NECESSITA’ DI INDAGARE MEGLIO SU COME E’ STATA ATTUATA QUESTA UNITA’ E SULLE CONSEGUENZE NEGATIVE PER IL SUD D’ITALIA CHE HANNO INFLUITO NEI DECENNI SUCCESSIVI E FORSE FINO AI TEMPI NOSTRI, IN PRATICA, SULLO SVILUPPO SOCIO-ECONOMICO DELLE SUE POPOLAZIONI. REPUTO, PERTANTO, UN DIRITTO-DOVERE, QUALE GIORNALISTA ED EDITORE CHE OPERA DA 50 ANNI NELLA SUA TERRA, DI FAR CONOSCERE MEGLIO LA STORIA DI QUANTO E’ AVVENUTO ALL’INDOMANI DELL’UNITA’ D’ITALIA SCRITTA SPESSO A SENSO UNICO. PER QUESTO INTENTO DA SEMPRE HO PUBBLICATO ARTICOLI E NOTE DOCUMENTATE SULLA REALE SITUAZIONE ESISTENTE NEL REGNO DI NAPOLI E NEL REGNO DELLE DUE SICILIE E SULLE CONTROVERSE SITUAZIONI VERIFICATESI ALL’INDOMANI DELLA UNITA’ D’ITALIA. Nicola Bellomo

Per sentirsi italiani veritieri

L’autore della nota partendo dal commento al libro-denuncia del giornalista pugliese Pino Aprile, che ha riscosso notevole interesse in tutta Italia, si sofferma da studioso sulle situazioni politiche, economiche, industriali e sociali nel Regno delle Due Sicilie. Molti avvenimenti sono stati alterati dalla storia a senso unico dando una visione distorta delle popolazioni meridionali. La necessità di una serena e documentata rilettura della storia degli anni che seguirono all’Unità d’Italia.

“T

DI

erroni”, così ha voluto apostrofare Pino Aprile il suo ultimo libro, tanto per evidenziare sin dal titolo usando il tipico gergo padano, il lascito dell’identikit del meridionale, l’appellativo col quale si usa bollare l’indigeno del sud. Ironico, malizioso o becero che sia, riassume chiaramente, senza ricorrere a scandaglio dietrologico sofisticato, una storia secolare, quella della Unità d’Italia e la valutazione che ne conseguì al momento di aggregare i sudisti alla causa nazionale (straccioni, sporchi, fu la definizione dei napoletani data dalla sorella di Massimo d’Azeglio). Bravo, perciò Aprile, con quell’attributo di terroni sparato in copertina a farci capire subito il sapore delle pagine in lettura, a svelarci d’acchito il contenuto della letteratura storica che ci appartiene. E’ emerso l’ennesimo grido di dolore (capovolgendo quello di

GIUSEPPE SAVERIO POLI

Vittorio Emanuele) che da qualche anno si eleva dalla terra del Sud in svariate forme e diversi territori, manifestazioni tipo la rievocazione della Battaglia di Bitonto, della strenua difesa di Gaeta, di Civitella del Tronto, di Messina, le corone al mausoleo dei briganti caduti, tipo la cerimonia annuale al sergente Romano nella boscaglia barese, per non parlare degli articoli su giornali nazionali e regionali a firma di studiosi scevri da pregiudizi, la nascita di circoli di storia locale, titolando piazze e targhe ai re Borbone, tutto un fiorire di iniziative che si moltiplicano la cui essenza ha sempre lo scopo di rettificare per completezza la storiografia tramandata e le verità politiche che illuminano visceralmente l’epopea risorgimentale. E’ quasi una controstoria questa che si sta sviluppando proprio nel momento in cui si vuole festeggiare l’evento del

Il dott. Giuseppe Saverio Poli è nato a Molfetta 77 anni fa, si è laureato all’Università di Bari, ha frequentato dei master presso la Luiss di Roma. Per la Montedison ha lavorato a Milano, Brindisi, Siracusa, Firenze, Roma, Torino e come manager in ritorno a Milano, 49 anni di lavoro complessivamente con incarichi finali da consulente in Cariplo (oggi Banca Intesa). Discende da famiglia borbonica. Il suo predecessore omonimo fu istitutore del re Borbone e scienziato di fama europea. In una sua nota al direttore del periodico, il dott. Poli così scrive: “Soffro per i mali della mia terra, cerco di riscattarla in tante occasioni, rinverdendo le glorie di un tempo. Nel mio cuore, già antico e meridionale, è orgogliosamente impregnato di Sud. Scrivere della sua storia mi sembra un atto d’amore anche con questo viaggio civile a ritroso nel Regno di Napoli, sarà almeno un alito mentre spira quella ‘auretta della calunnia’ favorita dal nostro supino silenzio”. nelmese - 10/2010 - 6


La riproduzione di una cartolina celebrativa delle battaglie, delle campagne, delle vittorie, nelle quali rifulse il valore dei “fanti piumati”. Purtroppo, nelle regioni pugliesi, lucane, calabresi e siciliane è indicata la Campagna contro il brigantaggio, 1861. Nella foto accanto, una stampa delle esecuzioni sommarie fatte dai bersaglieri e dalla Guardia nazionale 150esimo della Unità d’Italia, tacendo su come fu raggiunta tant’è vero che ancora oggi la memoria di quell’arabesco storico non è del tutto condivisa. Vien da supporre che per tale ulteriore motivo, il Presidente Napolitano insiste nel voler celebrare l’avvenimento, recondita intenzione è forse quella di voler chiudere coram populo una querelle che disturba i canoni della Storia Patria da qualche decennio. Parto dal libro di Pino Aprile “Terroni”, edito da Piemme, con quel marchio lapidario ed intrinsecamente significativo per rivisitare, rappresentare, apportare con onestà intellettuale, la rilettura degli eventi che retoricamente hanno fecondato spesso la cultura del Risorgimento. Nonché per capire il perché di certi fermenti che spuntano, come già riferito, per ora in punta di piedi, nell’orizzonte meridionale, e non solo, per esplorare un passato scivolato dietro le nostre spalle fuori dalla liturgia del rito, dell’assunto che il Risorgimento fu, per definizione, buono e giusto. Mi sorregge, per fortuna, l’età del saggio che mi spoglie anche della veste di uomo del Sud per mettermi alla caccia - è un tentativo presuntuoso? - di alcune verità ben sapendo che sui fatti storici possono esistere molte opinioni e singole verità in quanto essi possono essere guardati da differenti angolazioni se non ope legis stabiliti dai vincitori. Ha scritto, infatti, Flaiano: “Gli italiani non sono una razza ma una collezione, uno diverso dall’altro; ma appena fanno gruppo, fanno razza tutti pro o contro uno”. Posso allora anch’io essere uno diverso assieme a qualche altro? Non è sacrilegio cominciare a pensare che la storiografia relativa al processo che porta all’Unità d’Italia è stata per molti anni una celebrazione di eventi, di personaggi e di retorica rievocazione di accadimenti senza dubbio importanti, intaccata, però, da omissioni, esuberanze letterarie, da analisi parziali dei fatti, da resoconti negativi infognati negli archivi per destinarli all’oblio ed alla rimozione storica. Si crea così la verità ufficiale che si basa anche su una impostazione ideologica. E’, invece, una semiverità che viene consegnata come dogma indiscutibile alla storiografia, alle generazioni e soprattutto alla politica, assurge a verità canonica, indiscutibile. Con impeto semplicistico il tentativo onesto e coraggioso di approfondire gli accadimenti, le azioni, le pulsioni che emergono a pieno titolo nella nascita della novella nazione, viene definito Anti-Risorgimento. Chi è alla ricerca della verità completa e precisa viene tout court definito ignorante (termine… gratificante nell’editoriale di prossima citazione). Nonché colpevole di revisionismo, sinonimo oggi inteso in senso storiograficamente negativo non appena si giudica il nostro Risorgimento in alcuni suoi aspetti concernenti il trattamento riservato al Sud. In altre parole si pretende che il giudizio storico resti immutato tale e quale come è partito dall’enfasi legittima della spedizione dall’isola di Quarto sino al nuovo secolo ignorando

ineludibili affermazioni di livello intellettuale, basta citare Benedetto Croce, l’uomo che fu la coscienza dell’Italia ed il suo pensiero sulla unificazione giudicata frettolosa delle regioni dopo il 1860, distruggendo istituti, costumi e tradizioni di vita molto a cuore a quelle popolazioni, vedi caso ancora oggi, almeno in parte, validissime. Malinconicamente aggiungeva: “La patria grande aveva insistito nell’errore di inseguire l’unità effettiva senza tener conto dei suoi pilastri, le patrie piccole”. Altri seguono le sue orme. Primo assertore moderno anticonformista quel Carlo Alianello accusato di aver composto una specie di manifesto reazionario per avere avuto il coraggio, e il suo viaggio letterario è stato perciò criticato, di liberarsi dalla cultura predominante. Seguono da anni periodicamente diversi scrittori che ripropongono riflessioni sulla più aggiornata storiografia dedotta da ricerche archivistiche da Teodoro Salzillo a Roberto Maria Selvaggi al terrone Pino Aprile, lupus in fabula, a Paolo Mieli nel suo “Storia e Politica”, al docente Angelantonio Spagnoletti con le sue diagnosi sul Regno di Napoli ed altri ancora. Anche extra terronia risuonano sulla stessa onda echi del passato. Ho ascoltato, vivendo a Milano, le laudi del periodo asburgico (si è tenuta una mostra per settimane ridipingendo la figura del famigerato Feldmaresciallo Radetzky, e su alcuni benefici effetti della gestione austriaca), ha fatto scalpore Isabella Bossi Fedrigotti con il suo romanzo “Amore mio uccidi Garibaldi”, anche in Toscana con un linguaggio tutto proprio risalgono al loro granducato con orgoglio. Non parliamo della venerazione che hanno i parmensi per l’intoccabile Maria Luisa d’Austria esaltata in tutto l’ex ducato e, per finire, dulcis in fundo la resurrezione dei Borbone di Napoli tra storia ed enfasi, con le rimembranze ed i primati del Regno delle Due Sicilie, un passato riportato in auge da pubblicazioni molteplici, volumetti, riviste, ne cito tre: “l’Alfiere” di Silvio Vitale, “Due Sicilie” di Pagano, il “Carlino” edito a Monopoli. A questi difensori non basta dire che anche Milano, in fondo, subì come Napoli la piemontizzazione, rispondono che l’esito fu diverso. Anche Milano fu una capitale declassata come Firenze o Genova, ma la decadenza di Napoli e di Palermo, si grida ad alta voce, dall’Unità d’Italia in poi, è imparagonabile. Una varietà di registri narrativi come si nota, alcuni validi, altri pittoreschi o di secondo piano, rappresentati dalle denunce giornalistiche, da nostalgie appassionate, dai ritratti parodistici al saggio storico attraverso una eterogeneità di opinioni, tutte però contro la cancellazione delle proprie radici, delle appartenenze etniche, sentimentalismi, se vogliamo, provati dall’epoca apolide attuale. Perché, comunque, non rispettare tutto ciò? Anzi scambiarlo per integralismo, fanatismo per arrivare all’accusa di revisionismo arcaico e sfociare nel leit-motive finale: sei contro il Risorgimento. E’ capitato anche a Pansa, discostandosi dalla parzialità sulla Resistenza che ha voluto soltanto mettere a nudo le bruttez-

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ze di quest’altra pagina di storia patria. Ma il precetto morale di uno storico è quello di interpretare dubbi significativi, pertanto si viene meno a tale libertà di giudizio dichiarando ostracismo a tutto ciò che rivendicano i napoletani e, con loro, buona parte del Sud. Riportare la serie dei vanti del Regno delle Due Sicilie significa fare il piagnisteo di cose rifritte più volte oppure ostentare presunte, artificiose grandiosità, insomma tutta retorica. Se si vuol condannare e aborrire la dinastia dei Borbone ciò non deve coinvolgere la realizzazione di opere meritorie nei vari settori quale la situazione delle casse monetarie (maggiori capitali in oro al confronto degli altri stati come si presentarono al momento della unificazione, maggiore quotazione titoli pubblici alla Borsa di Parigi, 120%), lo sviluppo delle industrie (dallo stabilimento di Pietrarsa, a S. Leucio, cantieri navali, flotta mercantile e militare, ecc.), come non citare l’innegabile estensione della cultura (teatro S. Carlo, Reggia, scavi archeologici, cattedre universitarie, uomini di eccelsa cultura riconosciuti tali in musei a tutto spiano), non si possono non riconoscere le antesignane forme di previdenza ed assistenza introdotte per prime in quello stato (sistema pensionistico con la ritenuta del 2% sulle retribuzioni, l’introduzione di quella che oggi si chiamerebbe cassa integrazione), altre peculiarità ancora si potrebbero sventolare rispetto alle realtà ben diverse regnanti all’epoca, in particolare a quel Piemonte con un bilancio globale inferiore ammesso dalla stessa Casa Savoia. Disconoscere o sconfessare l’entità di tale patrimonio è plaudire il negativo giudizio piemontese secondo cui il Sud era, in blocco -retaggio ancora oggi in voga- sinonimo di inefficienza. Così dicendo e valutando, non si è fatto altro che accentuare le incomprensioni, facendo nascere l’impressione, poi convinzione, che l’Unità “offese” il Sud, terra ritenuta conquistata e sottomessa. Scrive con la diritta coscienza dell’intellettuale Benedetto Croce: “Vedere sparire e peggio ancora conculcare e vituperare questo mondo, apre nel petto una ferita che non si è rimarginata”. Proprio per sanarla Francesco de Sanctis si fece in quattro nell’educare gli alunni della attuale Accademia Militare Nunziatella ad amare l’Italia, non per dottoreggiare, ma per un clima che fiutava il Nord come conquistatore, portatore di un idioma franco-piemontese con la prosopopea del vincitore moderno, liberale gigante nelle idee di fronte al nanismo della classe sudista fiera di nobiltà solo edonistiche, illiberale, conservatrice. Fu questo, a nostro parere, il substrato di pensiero e di superbia che trasformò la discesa pur con nobili intenti all’inizio in aggressione provocando, in contrapposizione, ciò che va sotto il nome di brigantaggio. Ed, infatti, “Li chiamarono briganti” è il titolo dato da Pasquale Squitieri al suo film rimasto nelle sale cinematografiche per breve tempo forse perché ritenuto copione scomodo, la pagina nera degli anni, invece, forieri della indiscussa unificazione nazionale. E’ il capitolo amaro del sacco, delle fucilazioni che nemmeno il secolo e mezzo trascorso riesce a mettere a tacere. Ma più che a reazionari, o ai nostalgici dei Borbone si potrà almeno dar credito a quanto Antonio Gramsci scrisse nell’“Ordine Nuovo” nel 1920? “Lo Stato Italiano è stato una dittatura che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti”, (colpisce l’uso della definizione scrittori salariati). Se Gramsci è stato tranchè ci si può rifare a Verga e Pirandello che furono autori di notazioni storiche meno radicali. In merito un interrogativo nasce spontaneo, come mai una terra proprio mentre viene liberata partorisce una ribellione apostrofata brigantesca? Speranze subito deluse? Solo una faciloneria liquidatoria può collegare il fenomeno ad una ventata di delinquenza pura e semplice. E’ inevitabile, a mio parere, chiamare in causa il codice segreto dei valori insito nel Risorgimento tutt’uno col rinnovamento sincero, al quale molti avevano creduto, promesso da Garibaldi, l’Eroe del new deal italiano, il diavolo rosso che aveva attraversato le terre del Sud sino alla conquista di un

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regno intero scandendo ideali, inculcando nuove culture, disegnando nuovi orizzonti per la gente che lo acclamava. Intenti onesti, si accorse più tardi di essere stato ingenuo, lui per primo. Quale fu il risultato? Leggendo il “Gattopardo” scompare ogni promessa d’avvenire. Ponendo fine a questo excursus portato avanti con onestà intellettuale, senza intento di mirare a rimozione storica o soffrire di reconditi nostalgismi preunitari, auspico che anche chi voglia trincerarsi nella verità ufficiale in toto, senza la verifica di alcuni fatti ed eventi, non si pronunci imponendo la letteratura risorgimentale tramandata con certezza assoluta. La storiografia va intesa come una lotta per la conoscenza, non svolge un buon servizio chi non tenta, almeno, di accertare la bontà del lascito del nostro passato in modo libero, oggettivo e responsabile. Con tale intendimento ho voluto, assicuro, soddisfare un debito che da lungo tempo avevo aperto con me stesso e che temevo di lasciare insoddisfatto. A fronte di questo esame che chiamerei di coscienza non è possibile accettare ciò che la “Rassegna di studi storici Risorgimento e Mezzogiorno”, dianzi citata, afferma categoricamente con il piglio dell’ipse dixit. Riporto integralmente: “Quelle polemiche - così sono definite le diverse opinioni - sono espressione di grossolane forme di ignoranza che tentano di sovrapporsi, senza il sostrato di ricerche e di severe applicazioni, a quanto gli studiosi da decenni vanno evidenziando su quel periodo. Nella stessa ottica vanno considerate le rivendicazioni di primati o di potenziali sviluppi dell’economia meridionale, preesistenti alla fase preunitaria, e tanto cari agli anacronistici sostenitori di cause filoborboniche”. Ed ancora, rivolgendosi a tali schieramenti: “Va ribadita la superficiale genericità delle loro posizioni e, soprattutto, la scarsa consuetudine con l’investigazione storica che richiede molta più applicazione di quanto possa assicurare o garantire un dilettantismo salottiero basato su semplicistiche e umorali opinioni personali”. Che dire? Sono espressioni a dir poco stupefacenti, rabbiose quasi, assolutistiche senz’altro, risuonano della stessa infallibilità papale d’un tempo. Sottoscritte a firma g. p. (iniziali del nuovo direttore?), nell’editoriale in prima pagina della “Rassegna” (n° 39-40) che ricevo perché iscritto all’Istituto per la Storia del Risorgimento da diversi anni, - alibi di imparzialità? - indotto, e gli sono grato immensamente, dal defunto direttore molfettese, prof. Giovanni de Gennaro con formazione culturale, di ampie vedute, ponderata, intrisa di fedeltà ed acume storico, giammai settario. Non si rende conto l’autore del siffatto editoriale, non suoni rimbrotto, che le sue parole provocano effetto contrario, non fanno altro, di converso al suo dire, che scaldare la causa del revisionismo, di chi, in particolare, briga per svilire del tutto il Risorgimento? Acqua al mulino per chi, come la Lega Lombarda contesta l’Unità d’Italia raggiunta tra l’avversione se non contro la volontà del popolo. Sono prevedibili le conseguenze di questa ottusa eredità del passato e il rifiuto di discutere, di approfondire, di capire e di rivedere in parte un argomento ritenuto tabù, chiuso da oltre un secolo fa, inchinandosi per sempre e per tutti i secoli alla maestà del passato, irrevocabile. Non si tiene conto, ancor più, della rinascita in corso delle culture identitarie da cui nascono le critiche, a volte esagerate verso chi ha voluto, e vuole ancor oggi, distorcere il loro passato, le loro religioni, i propri usi antichi, tradizionali e cari. Riaffermando perentoriamente tesi a mo’ di dogma si affossa con la propria penna quella coesione nazionale da tutti auspicata. Il rispetto è doveroso affinché la memoria storica sia condivisa. Non servono, al tempo d’oggi, conservatori ottocenteschi, country e rètro, sì, invece, ai conservatori rivoluzionari e un po’ ribelli in grado di parlare e di scrivere con la sensibilità, l’intelligenza dubbiosa, la libertà di pensiero che non offendono, anzi rendono più veritiera la stagione del Risorgimento.

GIUSEPPE SAVERIO POLI


FIERA DEL LEVANTE / REGIONE PUGLIA / IPRES

Sono tornate le “Giornate del Mezzogiorno”

Nella recente edizione della Campionaria di settembre, la Regione Puglia e l’Ipres hanno inteso riproporre un’iniziativa consolidata nell’ambito della Fiera del Levante, per assicurare una rinnovata attenzione al Mezzogiorno quale risorsa per lo sviluppo del Paese. Sono state programmate, infatti, due intense giornate di lavoro che hanno visto la partecipazione di esponenti nazionali che hanno discusso su “Un nuovo patto per l’Italia” e su il “Capitale umano e Mezzogiorno”. Riportiamo i tratti salienti degli interventi delle due tavole rotonde e il testo integrale del presidente dell’Ipres prof. Nicola Di Cagno.

Un momento delle Giornate del Mezzogiorno del 1984 alla 48esima edizione della Fiera del Levante. Da sinistra, il senatore Michele Cifarelli, il capo dell’Ufficio stampa dell’Ente Fiera dott. Pasquale Satalino, il dott. Cafiero direttore della Svimez e l’avv. Gianvito Mastroleo presidente nazionale dell’Unione delle Province d’Italia (Photopress Pupilla - Archivio NelMese) nelmese - 10/2010 - 9


COSI’ LE GIORNATE

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a Regione Puglia e l’Ipres hanno voluto riproporre l’appuntamento de “Le giornate del Mezzogiorno” nell’ambito della 74esima edizione della Fiera del Levante. L’iniziativa ha inteso assicurare una rinnovata attenzione al Sud evidenziandone il valore strategico quale risorsa per lo sviluppo del Paese e, al contempo, promuovere la centralità delle politiche di coesione e di sostegno al capitale umano nel Mezzogiorno. Si sono rivelati di grande spessore i due incontri organizzati nella sala multimediale del Cineporto di Bari nel quartiere fieristico.

“UN NUOVO PATTO PER L’ITALIA” Nella tavola rotonda, moderata dalla vicedirettora del Corriere del Mezzogiorno Maddalena Tulanti e aperta dal presidente della Fiera del Levante Cosimo Lacirignola, sono state poste le basi per “Un nuovo patto per l’Italia”. Un patto che prevede “la creazione di alleanze orizzontali e verticali, anche spericolate, su grandi progetti ma all’interno di una visione organica del futuro. Progetti quali il ciclo integrato dell’acqua, la lotta contro il caporalato, la solarizzazione delle città, la dieta mediterranea che può dare maggior valore alle tante ricchezze dei nostri territori, la comunicazione reale tra Adriatico e Tirreno con la realizzazione della linea ad alta velocità e capacità Bari-Napoli, la creazione di autostrade del mare e il potenziamento del ferro che possono liberare le strade dall’inquinamento”. Questo il messaggio del presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, che vede nella parola euromediterraneo

il nome nuovo del meridionalismo e che ha chiesto “modernità e libertà per il Sud. Un Sud il cui sviluppo non può che essere connesso alla cultura, all’educazione, al lavoro come diritto e come figurazione del futuro. Un Sud che vuole guardare al proprio territorio e alle proprie risorse, al recupero e al riuso del patrimonio esistente, alla riqualificazione delle periferie contro una crescita ipertrofica delle città”. E’ necessario per Vendola “alzare lo sguardo e riprogettare un federalismo europeo, con una classe dirigente che costruisca un sistema di difesa europeo, un sistema fiscale europeo, un sistema sociale europeo, un reddito di cittadinanza europea”. Nichi Vendola ha rilevato con soddisfazione che l’attuale confronto “è elevato e anomalo rispetto alla povertà e alla volgarità che spesso circonda l’idea di un Sud che invece è cambiato, di un Sud che non chiede più con il cappello in mano né elemosine né prebende, bensì chiede solo di non essere più scippato delle risorse che gli spettano”. Proprio perché il tema delle risorse è centrale e al tempo stesso funzionale a questo nuovo patto per l’Italia, il presidente della Regione ha tenuto a precisare che “i 100 miliardi del Piano per il Sud promessi dal Ministro Fitto fanno parte della solita agendina contenente i dati truccati perché una porzione di quei 100 miliardi sono stati già tagliati al Sud per dare le mance alla Lega Nord, mentre gli altri 70 miliardi forse ci sono ma sono i soldi del Sud che non possono essere spesi perché ci sono normative che rendono difficile la spesa in Italia”. L’idea di un’unità delle diversità è stata espressa anche dal presidente di Globus et Locus Piero Bassetti, che ha sostenuto come questo nuovo patto debba prevedere “per tutte le diversità nazionali ed europee la possibilità di organizzarsi nella dimensione globale, di collocarsi nella dimensione delle

“Un nuovo patto per l’Italia”

Maddalena Tulanti, Nichi Vendola e Cosimo Lacirignola

Piero Bassetti

Adriano Giannola

Il servizio fotografico è di Vito Signorile Cristiana Coppola e Melina Decaro nelmese - 10/2010 - 10

Susanna Camusso


reti lunghe tra soggetti diversi. Il primo patto per l’Italia – il Risorigmento - nato per portare la penisola a diventare una potenza nella storia d’Europa, è stato messo in discussione dalla glocalizzazione, dalla trasformazione del mondo nella sua forma attuale, cioè piatta e senza confini, una forma che esalta le diversità e i localismi perché ognuno sente l’esigenza di proteggere le proprie diversità. Quella nazionale - continua Bassetti - è una dimensione definitivamente trascesa e non c’è possibilità di recupero, le esperienze di Stato-Nazione sono finite. Le regioni sono l’incarnazione delle diversità del nostro paese e l’unità può essere fatta di diversità. La nuova sfida è costituita da un federalismo per l’Europa e gli elementi di questo nuovo patto per l’Italia sono - secondo Bassetti - il Mediterraneo, l’Est e un utilizzo intelligente delle opportunità offerte da Bruxelles”. Mediterraneo, ambiente, energie alternative, capitale umano e ricerca sono alcune delle risorse su cui puntare, secondo il presidente della Svimez Adriano Giannola, per esprimere le potenzialità presenti nel Mezzogiorno. “Ma è la parte forte dell’Italia - continua Giannola - che deve essere convinta di queste nuove risorse, di questa nuova opzione. E per superare il dualismo esistente è necessario per il paese aprire al Sud e darsi delle priorità di medio e lungo periodo che convengano sia al Sud sia al Nord”. Secondo il vicepresidente per il Mezzogiorno di Confindustria Cristiana Coppola, “per attrarre impresa e sviluppo nel Mezzogiorno e per far crescere il tessuto imprenditoriale, che già esiste, è necessario un maggior dialogo tra le regioni del Sud su grandi progetti condivisi, oltre che puntare sul ruolo della pubblica amministrazione e su quello degli imprenditori, abbandonando la programmazione a pioggia e puntando su meccanismi fiscali perché l’impresa meridionale possa svilupparsi sulle proprie gambe”.

“CAPITALE UMANO E MEZZOGIORNO” Il “capitale umano”, uno degli elementi emersi tra le risorse su cui puntare per il rilancio del Sud, è stato il tema su cui si è incentrata l’altra tavola rotonda. Si è parlato della necessità di trasformare la fuga di cervelli in uno scambio di cervelli con altri territori italiani ed esteri, dell’importanza di favorire azioni sinergiche nel rapporto tra il sistema universitario, le esigenze delle imprese del territorio e la pubblica amministrazione, dell’urgenza di innovazione e della necessità di mantenere elevata la qualità del nostro capitale umano. Il tutto in un orizzonte di medio periodo che vedrà ulteriori variabili in gioco, quali la maggiore presenza di immigrati talvolta molto qualificati e la crescente deprivazione di risorse, non solo economiche ma anche e soprattutto umane e professionali, in particolar modo quelle rappresentate dai giovani e dalle donne sempre più ai margini o addirittura fuori dai confini del mercato del lavoro. I lavori sono stati moderati dal direttore responsabile della Gazzetta dell’Economia Dionisio Ciccarese, che ha richiamato i lavori di Theodore Schultz, che dimostra come il capitale umano qualificato generi maggiore produttività, maggiore competitività territoriale, maggiori investimenti e attrazione di investimenti dall’esterno, attragga nuovo capitale umano qualificato, generi insomma scambi virtuosi. La criticità del nostro territorio non è tanto la mancanza di capitale umano qualificato, tutt’altro: è il disallineamento tra la preparazione universitaria e post lauream e le esigenze delle imprese, che al Nord è sicuramente più ridotto. In Puglia è marcata questa overeducation, questa sovrapreparazione del capitale umano rispetto a ciò che le imprese richiedono o alle condizioni retributive e professionali che le imprese possono offrire. Assodata l’esistenza di un certo disallineamento tra offerta e domanda di risorse umane al Sud, “è importante - sottolinea il direttore della Svimez Riccardo Padovani - comprenderne le origini: il sottodimensionamento del sistema produttivo e la scarsa capacità di sviluppo

“Capitale umano e Mezzogiorno”

Nicola Di Cagno

Marida Dentamaro

Secondo Amalfitano

Riccardo Padovani

Giuseppe Trisciuzzi

Dionisio Ciccarese

Le “Giornate” al Cineporto presso la Fiera del Levante nelmese - 10/2010 - 11


imprenditoriale si accompagnano al sud con una percentuale di laureati più che raddoppiata negli ultimi anni e con una percentuale di giovani diplomati maggiore rispetto a quella del Nord (77% contro 75%). Un punto da non tralasciare però - ha continuato Padovani - è anche quello dell’adeguamento delle politiche nazionali per lo sviluppo. Siamo di fronte a una sostituzione delle risorse destinate alle politiche ordinarie con quelle derivanti da politiche speciali, con la conseguenza di un annullamento dei margini per gli interventi straordinari e di una progressiva riduzione del PIL del Sud rispetto a quello del Nord e dell’Unione Europea”. Il presidente dell’Ipres Nicola Di Cagno ha posto l’attenzione sulla dimensione del flusso netto di capitale umano e sulla capacità di attrarne. Ha affermato di “non poter aderire a quelle tesi che considerano positivo il fatto che il capitale qualificato del Sud trovi spazio fuori dal territorio dal momento che queste non considerano il relativo depauperamento. Ai possibili effetti positivi di breve periodo – determinati dallo spostamento da aree ad elevato tasso di disoccupazione verso aree dove la disoccupazione è più bassa – possono associarsi effetti del tutto negativi nel medio e lungo periodo, con il manifestarsi di fenomeni di accumulazione di capitale umano qualificato nelle regioni più ricche e di depauperamento in quelle più povere”. La deprivazione complessiva del Mezzogiorno è stata evidenziata anche dall’assessore regionale al Sud e federalismo Marida Dentamaro, in termini sia di risorse economiche sia di capitale umano. “Da un lato esiste la questione culturale del Sud, dall’altro una condizione che ha visto il Mezzogiorno fortemente penalizzato in quanto a spesa ordinaria e costretto a utilizzare la spesa straordinaria in modo sostitutivo, per la spesa ordinaria, una condizione in cui il necessario riequilibrio territoriale a favore del Sud non è stato raggiunto. Il punto di rottura, il meccanismo per trattenere i giovani nel Mezzogiorno non consiste - secondo la Dentamaro - nell’investire nei settori tradizionali ma nel sostegno alle imprese basate sulla scienza, sull’innovazione tecnologica, sulla conoscenza, sull’ambiente, sulla creatività. Consiste nel pensare al sistema di imprese da creare, non solo a quello che già esiste. Consiste nella solarizzazione delle città e negli incentivi per l’autoproduzione di energia nelle campagne, nella promozione dei distretti tecnologici, della società dell’informazione, dell’industria cinematografica, nei contratti etici come Ritorno al futuro e nel progetto Bollenti spiriti per la creazione di imprese giovanili. Consiste in un federalismo universitario, che ha visto un accordo tra le università del Mezzogiorno per migliorare l’offerta formativa e contenere i costi grazie alla realizzazione di economie di scala. Consiste anche in una pubblica amministrazione più efficiente, capace di investire le risorse europee a disposizione, di offrire adeguati servizi collettivi e individuali, di cooperare e creare un sistema di enti locali in comunicazione tra di loro, di attuare processi di e-government per la semplificazione e la centralizzazione di attività”. Incentrato sui temi dell’innovazione, dell’efficienza e della trasparenza della Pa anche l’intervento del presidente di FormezItalia Secondo Amalfitano. Ha portato, come esempi di buone pratiche, la testimonianza dell’ultimo concorso, organizzato da parte del Formez per l’amministrazione comunale di Napoli, che prevedeva l’assunzione di migliaia di dipendenti. Grazie a un’esclusiva gestitone online del processo è stato possibile garantire la massima trasparenza, tempi molto più celeri e risparmi ingenti rispetto a una gestione tradizionale (affidata, ad esempio, alle raccomandate e all’archiviazione e gestione manuale dei documenti). Citato con orgoglio da Amalfitano anche il servizio Linea Amica, realizzato dal Formez per il Ministero della PA e dell’Innovazione; questo servizio rappresenta il più grande Network europeo di relazioni con il pubblico e fornisce ai cittadini informazioni e assistenza nei rapporti con la Pa attraverso numerosi canali (telefono, web e sms). Nichi Vendola, nel suo discorso di apertura dei lavori de Le giornate del Mezzogirono, ha ricordato come “i fatti di cronaca nera, che pure al Nord esistono ma rimangono tali, al Sud assumano una connotazione politica e facciano diventare il nostro territorio un inferno”. Ma a differenza di altre regioni la Puglia ha saputo dare valore alle sue risorse e “ha visto, ad esempio, gli 800 chilometri di costa come il completamento della propria identità di terra. Il futuro - ha concluso Vendola sarà di chi avrà coraggio, di chi metterà in discussione i vecchi modelli culturali”. Queste due tavole rotonde hanno visto anche la partecipazione del vicesegretario generale di CGIL nazionale Susanna Camusso, del segretario generale della Fondazione Olivetti Melina Decaro, di Giuseppe Trisciuzzi di Confedir-Mit – ManagerItalia.

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Il ruolo della Università e la ricerca sul capitale umano

I temi principali della relazione del prof. Nicola Di Cagno, presidente dell’Ipres, alle “Giornate del Mezzogiorno”

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a tavola rotonda intende richiamare l’attenzione di istituzioni, studiosi ed esperti su un tema di forte attualità, quale è quello relativo al “capitale umano qualificato” nel Mezzogiorno d’Italia. Il tema coinvolge direttamente i tanti giovani che hanno conseguito la laurea breve, la laurea specialistica, il titolo di master e il dottorato di ricerca. Riguarda, quindi, quelle risorse umane che rappresentano i fattori più rilevanti per lo sviluppo della conoscenza e dell’innovazione, elementi essenziali per la competitività del sistema produttivo regionale. L’IPRES, che da sempre riserva una particolare attenzione a tutti i temi connessi alle politiche di sviluppo della Regione Puglia, ha presentato, nel marzo del 2010, presso l’Università di Bari, i risultati di un proprio progetto di ricerca, dedicato al capitale umano qualificato, al mercato del lavoro ed alla mobilità territoriale in Puglia. Realizzato nell’ambito del Programma delle ricerche varato nel 2009 dall’Assemblea dei soci, tale rapporto è stato il primo studio sistematico sul capitale umano qualificato in Puglia, studio, peraltro, unico nel suo genere, grazie al fattivo coinvolgimento del sistema degli “attori rilevanti” presenti sul territorio regionale. IN TANTI UNITI NELLA RICERCA La partecipazione alla ricerca della Regione Puglia, dell’intero sistema universitario pugliese (il Politecnico di Bari, l’Università del Salento, l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, l’Università degli Studi di Foggia e l’Università LUM Jean Monnet), delle Associazioni di categoria datoriali ed economiche della regione (CNA Puglia, Confapi Puglia, Confartigianato Puglia, Confindustria Puglia e Unioncamere Puglia), dei direttori del personale (AIDP) e dei manager d’impresa (Manageritalia), ha reso possibile la definizione - presso il nostro Istituto - di un contesto operativo favorevole alla elaborazione e alla diffusione di conoscenze generate direttamente sul territorio. Questi apporti informativi, insieme al contributo di osserva-


zioni e riflessioni degli “uffici placement” delle Università e delle Associazioni di categoria, ha permesso, poi, al gruppo di ricerca anche di cogliere il valore delle fonti statistiche disponibili così come dei numerosi studi condotti sul tema. La motivazione di fondo all’origine di questo rapporto è l’esistenza, registrata a partire dagli anni novanta, di un consistente flusso di emigrazione e pendolarismo di capitale umano qualificato, dalla Puglia e dalle altre Regioni del Mezzogiorno d’Italia, verso le Regioni del Centro-Nord e verso l’estero. DIVARIO TRA L’OFFERTA E LA DOMANDA In questo contesto lo studio ha approfondito, in modo particolare, le cause del divario, sempre più significativo, tra le dinamiche dell’offerta e quelle della domanda di lavoro qualificato. Le radici di tale divario sono riconducibili, di certo, ai cambiamenti profondi, spesso contraddittori e discontinui, che hanno interessato il sistema della formazione universitaria; ma traggono origine anche dalla specificità degli assetti imprenditoriali della regione, caratterizzati dalla forte presenza di imprese di minori dimensioni e da un “sistema pubblico” che, nel suo complesso, pur esposto a ineludibili processi di innovazione, non appare incidere in modo significativo nei processi di valorizzazione del capitale umano qualificato. In relazione al sistema pugliese della formazione universitaria, lo studio ha indagato, tra gli altri, anche i principali aspetti quantitativi legati al numero degli immatricolati e dei laureati. In proposito, è emerso come nei cinque Atenei della regione si distribuiscano poco meno di 20 mila immatricolati (8.078 ragazzi e 11.596 ragazze). L’Ateneo più frequentato è quello di Bari, che accoglie il 52% degli immatricolati, seguito dall’Università del Salento con il 25%. Il 13% degli immatricolati pugliesi, invece, lo si registra nell’Università di Foggia. Quindi, il Politecnico di Bari e la Libera Università del Mediterraneo di Casamassima, rispetti-

vamente fanno segnare il 9 e l’1% del totale regionale delle immatricolazioni. Un dato particolarmente significativo è, poi, quello della provenienza territoriale degli immatricolati, in relazione al quale si è evidenziato come il 90% degli iscritti al nostro sistema universitario regionale sia rappresentato da studenti residenti in Puglia; dato, questo, che stigmatizza una capacità attrattiva di studenti fuorisede decisamente più bassa rispetto a quella di altre regioni italiane. L’analisi dei laureati in Puglia dal 2003 al 2008 ha, invece, fatto emergere una netta prevalenza delle laureate rispetto ai laureati, ed una buona distribuzione del capitale umano tra le diverse aree disciplinari, elemento, questo, potenzialmente in grado di favorire l’inserimento lavorativo in differenti campi di attività. In proposito, è stato riscontrato che, a tre anni dal conseguimento del titolo universitario, il 61,1% dei laureati in Puglia è stato assorbito dal mercato del lavoro, mentre ben il 37,9% ancora non lavora. Inoltre, tra tutti i laureati negli Atenei pugliesi, il 71,5% ha trovato un’occupazione in Puglia. Il rapporto ha poi delineato, attraverso il ricorso a numerose variabili significative, la possibile evoluzione futura del numero di immatricolati e laureati in Puglia. In entrambi i casi, si è riscontrato, per i prossimi quindici anni, un trend fortemente decrescente, per effetto del quale, ad esempio, il numero di laureati subirebbe una riduzione media del 12 per cento al 2015 e del 26 per cento al 2025. L’approfondimento della mobilità del capitale umano qualificato ha posto poi in risalto le dinamiche del “flusso netto in uscita” delle persone qualificate. La dimensione di tale “flusso” (brain drain) rappresenta uno dei punti di debolezza più rilevanti perché incide sulla stessa “tenuta” del sistema economico e sociale regionale. Il processo migratorio che ha interessato la Puglia, e in particolare il capitale umano qualificato, dal 1996 al 2006, ha evidenziato un saldo migratorio negativo che oscilla tra le 10mila e le 13mila persone. I SISTEMI PRODUTTIVO E UNIVERSITARIO L’importanza di sostenere il rientro e l’attrazione di risorse umane qualificate (brain excenge) ha portato, infine, ad esaminare alcune buone pratiche espresse a livello nazionale nel campo dell’Apprendistato Alto e dell’Alta Formazione. In proposito, l’analisi ha anche evidenziato come circa il 37% dei corsi master banditi nella nostra Regione non venga poi avviato. Un’attenta lettura della domanda di conoscenza da parte dei fruitori diretti (gli studenti) e indiretti (i potenziali datori di lavoro) potrebbe consentire di meglio calibrare l’offerta formativa. In tal senso, le strutture di job placement e orientamento possono apportare un notevole contributo, fungendo da trait d’union tra la domanda e l’offerta di formazione e di lavoro. Infine, la nostra analisi ha mostrato come siano ancora deboli, anche se in crescita, i legami fra il sistema produttivo e quello universitario, come testimoniato dal numero di spin-off nelle regioni del Sud. Può essere quindi opportuna una maggiore incentivazione dei sistemi di rete che permettano il contatto e la cooperazione fra gli attori della ricerca e della conoscenza, puntando da una lato sulla capacità di formazione e di attrazione di risorse umane qualificate da parte del sistema educativo e, dall’altro, sul ruolo dell’università e del sistema della ricerca quali principali motori di sviluppo e di trasferimento tecnologico verso il sistema produttivo. In chiusura, possiamo sostenere che l’attenzione alle politiche per l’attrazione di capitale umano è aumentata con la ripresa dei flussi migratori dalle regioni meridionali verso le regioni del Nord e l’estero. Al tempo stesso, è oggi maggiormente avvertita la necessità di una rappresentazione più chiara ed approfondita del fenomeno.

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LA RICERCA DELL’IPRES E LE UNIVERSITA’ PUGLIESI

I RETTORI DELL’UNIVERSITA’ DI BARI CORRADO PETROCELLI, DEL SALENTO DOMENICO LAFORGIA,

DI FOGGIA GIULIANO VOLPE, DELLA LUM EMANUELE DEGENNARO E DEL POLITECNICO NICOLA COSTANTINO Non mancano, infatti, motivi di preoccupazione per l’affermarsi – soprattutto sui mass media – di opinioni che, nel contesto dell’economia globalizzata, tendono a far apparire la “fuga dei cervelli” come un fenomeno “ordinario”, addirittura auspicabile, derubricando le politiche di contrasto ad espressioni di “orgoglio territoriale”. Il nostro studio ha chiarito come, ai possibili effetti positivi di breve periodo – determinati dallo spostamento da aree ad elevato tasso di disoccupazione verso aree dove la disoccupazione è più bassa – possono associarsi effetti, del tutto negativi, nel medio – lungo periodo, con il manifestarsi di fenomeni di accumulazione di capitale umano qualificato nelle regioni più ricche e, al contrario, di depauperamento in quelle più povere.

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Per tali ragioni l’IPRES continuerà a riservare rinnovata attenzione alla linea di ricerca sul capitale umano. L’obiettivo è approfondire l’analisi di ulteriori “segmenti” del mercato del lavoro qualificato, in modo particolare quelli che colgono le esigenze del sistema produttivo regionale delle imprese di minori dimensioni. In tale prospettiva, anche alla luce dei primi confortanti risultati conseguiti, appare opportuno riservare particolare attenzione all’interazione ed alle pratiche cooperative tra il mondo dell’università e quello dell’impresa. Così come appare necessario lo sviluppo del sistema universitario regionale nel contesto nazionale ed internazionale. La cartina dell’Italia meridionale riportata in copertina è ripresa da “Imago Apuliae” di Franco Silvestri, Capone Editore


seconda edizione

PREMIO LUM per l’arte contemporanea L’ARTE A RESPONSABILITA’ ILLIMITATA

O2

Progetto scientifico a cura di Achille Bonito Oliva promosso da Lum - Libera Università Mediterranea

www.lum.it

Regione Puglia

PROGETTO FINANZIATO COL FESR ASSE IV.3

Provincia di Bari

Città di Bari

Comitato scientifico VITO LABARILE SALVATORE LACAGNINA MAURIZIO MORRA GRECO CHIARA PARISI CESARE PIETROIUSTI

Comitato curatoriale GIUSY CAROPPO STEFANO CHIODI CAROLINE CORBETTA

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DIRITTO

Giustizia militare “paralizzata”

Rapida sì, ma per le limitate competenze e per i ridotti carichi di lavoro. Quale futuro? Conferenza presso il Comando Scuole A.M/3A R.A. del procuratore generale militare della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott. Antonino Intelisano, presentato dal comandante delle Scuole Gen. S.A. Pasquale Preziosa DI GIOVANNA DIMICCOLI

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a giustizia militare è stato l’ospite d’onore di un incontro tra numerosi magistrati, militari e ordinari, nel Salone del Circolo Ufficiali del Comando Scuole Aereonautica Militare / 3a Regione Aerea. Presentato dal padrone di casa il Gen. S.A. Pasquale Preziosa, ha tenuto un’interessante conferenza, appunto sulla giustizia militare, il dott. Antonino Intelisano, Procuratore Generale Militare della Repubblica presso la Corte di Cassazione, che ha illustrato in maniera chiara e sintetica lo stato dei fatti, con un occhio al passato e uno sguardo al futuro. Risale solo al 2008 la riforma che ha determinato un processo di snellimento e razionalizzazione, riducendo da nove a tre le Procure e gli altrettanti Tribunali presenti sul territorio (Roma, Verona e Napoli, e una sola Corte d’Appello, a Roma), adeguando così il sistema alla drastica riduzione della popolazione militare, e quindi dei carichi di lavoro, in seguito alla sospensione della leva obbligatoria. In teoria adesso, venuta meno quella specie di “imposta civile”, si presume vi sia una motivazione psicologica più concreta e determinata in coloro che scelgono la carriera militare, un’adesione di fondo al patrimonio ideale della militarità: da qui un minor lavoro e una minore attività per gli organi giudiziari militari. In sostanza alla base vi è stata un’esigenza di contenimento di costi. Ne rimane così un organico di cinquantotto magistrati, di status militare, che, contrariamente a quello a cui siamo abituati nella magistratura ordinaria in Italia, fa della Giustizia Militare una macchina efficiente e capace di arrivare a sentenza in tempi rapidissimi. Ciò però non significa che manchino zone d’ombra. Il problema di fondo è legato alla frammentarietà della giurisdizione. Considerato che il passaggio dall’esercito di leva a quello professionale ha comportato un cambiamento nella natura dei reati, un tempo riconducibili essenzialmente alla diserzione e alla renitenza alla leva, per quelli che possono ancora essere commessi restano invece alcune incongruenze: costituisce, ad esempio, reato militare l’omicidio tra militari di grado diverso e non quello tra militari dello stesso grado; è reato militare il peculato, ma non il peculato d’uso; non è reato militare la corruzione o la concussione; lo è il furto, ma non nelmese - 10/2010 - 16

Il dott. Antonino Intelisano e il gen. S.A. Pasquale Preziosa

La sede del Comando al Lungomare Nazario Sauro di Bari la rapina. Manca cioè una revisione organica delle norme che “militarizzi” alcune fattispecie di reato e le riconduca sotto il giudizio di tribunali speciali. Così com’è, infatti, la tutela penale delle legalità in ambito militare non può che uscirne paralizzata. Si invoca dunque una riforma che preveda la competenza del Tribunale Militare per tutti i reati commessi in una postazione militare, con il passaggio al Tribunale Ordinario in caso di concorso con il privato. Il progetto è già al vaglio di una commissione tecnica, ma perché occorre così tanto tempo quando basterebbe poco per andare incontro anche ad una giustizia ordinaria ingolfata? La verità è che di fronte all’aggettivo “militare” ci si approccia con un sovraccarico emotivo notevole - sostiene il dott. Intelisano - tutto diventa ideologico e questo impedisce di affrontare i problemi in modo scevro da pregiudizi. Vi è sempre stata una “cultura del sospetto”, che traspare anche dal testo della Costituzione, che all’art.103 ultimo comma (“i tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. in tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze Armate”) delimita l’ambito della giurisdizione militare in modo dettagliato, quasi a volerle concedere il minor spazio possibile, nonostante il modello organizzatorio storicamente più snello che la

contraddistingue. La domanda che più volte ci si è posti nel corso della storia è: conservare o sopprimere la Giustizia Militare? La scelta è squisitamente politica, a seconda che si voglia conferire allo status militare una sua specificità sul piano sostanziale e processuale o giustificare in suo favore un trattamento penalistico diverso da quello di tutti i cittadini. Certo è che la persistenza dell’attuale configurazione non è la scelta più opportuna. In tema di giustizia militare il legislatore ha tenuto finora una linea di politica legislativa incerta, che ha generato “un’insostenibile leggerezza della giurisdizione” - come l’ha definita Intelisano, citando il famoso romanzo dello scrittore Kundera. Se i Tribunali Militari hanno nonostante tutto continuato a meritare, con l’ultima riforma stessa, la fiducia dell’ordinamento, a completamento servirebbe una congrua competenza; altrimenti il rischio di un naufragio per disinteresse generale diventa sempre più concreto. Finito il convegno, lasciandomi alle spalle quel mondo irrigidito dalle gerarchie e dalle forme, non posso non chiedermi con tristezza come mai nel nostro Paese anche i problemi apparentemente più semplici non trovino soluzioni, preferendo stati di immobilità o di vera e propria paralisi piuttosto che approcci propositivi e innovativi.


DIRITTO /

FIERA DEL LEVANTE

Giustizia minorile “creativa”, occasioni per ricominciare In un convegno di studio è stato realisticamente sottolineato il meccanismo contorto che avvolge il minore incappato nelle maglie della giustizia. Due progetti nazionali per il recupero e per il reinserimento nella società el saggio “La giustizia e le ingiustiDI GIOVANNA DIMICCOLI

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zie”, il grande penalista Federico Stella si interroga su quali possano essere gli effetti nefasti di una scelta politica criminalizzatrice come soluzione ai problemi della società: la solidarietà sociale, la comprensione e l’integrazione diventano valori secondari, incalzati piuttosto dall’individualismo, dall’esclusione e dalla coercizione. L’epilogo è riassumibile attraverso il concetto della c.d. “porta girevole”: una volta che sei stato in carcere e ne sei uscito, alla fine sei destinato a tornarci perché sei stato addestrato alla violenza e al crimine. Argomento scomodo, questo, dal quale ci si discosta volentieri, scivolando verso altri discorsi. Ma quando a rimanere incastrati in questa porta infernale sono i minori, le coscienze non possono non esserne turbate. Ci si domanda il perché di un’adolescenza interrotta. In realtà, l’odissea dei minori che entrano nel circuito penale inizia forse ben prima dell’effettiva commissione di un fatto illecito, affonda le sue radici nel contesto socio-familiare in cui crescono, che ne marchia il futuro, concedendo loro poche alternative. Inquadrato così il meccanismo contorto, e ripartite le responsabilità, non resta che tendere loro la mano e strapparli al vorticoso destino, offrendo delle opportunità di riscatto. Su questo pregevole proposito si è tenuto un convegno, ospitato nella settimana della Fiera del Levante, intitolato “Dal recupero sociale all’imprenditorialità giovanile locale, percorsi ed esperienze della Giustizia Minorile in Puglia”, organizzato dal Dipartimento Giustizia Minorile – Centro Giustizia Minorile per la Puglia, Consorzio Nazionale Luoghi per crescere - Consorzio Nuvola di Brindisi, Cooperativa Sociale Phoenix di Lecce, Unione Italiana Vela solidale-Associazione CEDISA di Bari e patrocinato da Regione Puglia, Ente Fiera e Unioncamere Puglia. Oltre all’illustrazione delle azioni realizzate dalla Giustizia Minorile in Puglia, in collaborazione con attori sociali pubblici e privati che operano sul territorio, volte ad agevolare il reinserimento socio-lavorativo dei minori entrati nel circuito penale, sono stati presentati due progetti, MITICO (Misure Trattamentali per l’Inserimento e la Creazione di Occupazione) e NOSTOS (Nuova Operatività Sociale e Tecnologia per

Foto Antonio Pellegrino / Cromiae

Oltrepassare lo Svantaggio), dai nomi simbolici e fortemente evocativi. E’ emerso che il fenomeno della devianza minorile è molto preoccupante, dato che ogni anno coinvolge per i reati più vari in media 41mila ragazzi, la metà dei quali finisce negli istituti penali. I programmi di recupero seguiti al loro interno offrono sì un’occasione di professionalità, ma quello che serve davvero sono dei concreti posti di lavoro una volta che i ragazzi tornino in libertà. Rappresentano grossi ostacoli i latenti pregiudizi nei confronti di ex detenuti

o lo scarso investimento nel loro futuro mediante un know-how inadeguato. Il leitmotiv resta comunque sempre quello della situazione oggettiva di carenza di risorse, in cui ci si rimbocca le maniche e ciascuno fa quello che può, in un’ottica di cooperazione strategica. I minori deviati sono le vittime più deboli, secondo la cruda analisi del presidente della Regione Nichi Vendola, che ha ricordato come l’incrocio tra due mondi ai margini della società, quello delle carceri e quello dell’infanzia, che stanno attraversando un periodo di “apnea civile”, produca effetti disastrosi sulla giustizia minorile, che sconta la crisi di entrambi. Il Comune di Bari, da parte sua, nella persona dell’assessore al Welfare Ludovico Abbaticchio, pur di fronte allo stanziamento di 170 milioni di euro in tre anni previsto dal Piano Sociale di Zona, di cui il 70% destinato alle politiche dei minori e delle devianze, denuncia una situazione finanziaria insostenibile per il solo ente comunale. Certo, la proposta di un sistema di cofinanziamenti, cui partecipino oltre a

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I PROGETTI: MI.T.I.C.O. è un progetto nazionale finanziato per la prima volta dalla Cassa delle ammende, una grande scommessa, quindi, tenuto conto del rischio di un investimento non consolidato: è operativo al momento solo per i territori di Lecce, Cagliari, Firenze, Catanzaro, Torino e si propone di far sperimentare all’utenza penale minorile percorsi di formazione professionale e di inserimento lavorativo, oltre che la sottoscrizione di contratti di lavoro, il tutto attraverso il coinvolgimento di soggetti istituzionali e non (servizi minorili, enti locali, cooperazione sociale, associazioni e imprese). Il Consorzio Nuvola, ad esempio, si è già occupato dell’inserimento di 10 ragazzi nel laboratorio di falegnameria della cooperativa sociale di Phoenix di Lecce. Altri settori interessati dal progetto sono quello della tipografia, del restauro, della creazione di siti web e di sistemi software e hardware, con l’obiettivo di costruire abilità lavorative conciliando manualità, tempistica e responsabilità, compatibilmente con le richieste del mercato. N.O.S.T.O.S., in greco “ritorno”, il cui nome evoca l’Odissea e il ritorno a Itaca di Ulisse: in questo caso però i protagonisti sono i minori deviati e la società è il luogo pronto a riaccoglierli. Prevede il coinvolgimento in laboratori di falegnameria presso la Comunità Ministeriale di Lecce e l’Istituto penale per i minorenni di Lecce per la realizzazione di un’imbarcazione a vela del tutto innovativa in quanto “pieghevole”, già brevettata e omologata e con un mercato promettente: non è un oggetto fine a sé stesso, ma è uno strumento per far nascere una nuova impresa. A questo si aggiungeranno a cura dell’Unione Italiana Vela Solidale Di Bari iniziative di avvicinamento alla pratica velica e alla cultura del mare, elemento pugliese per eccellenza.

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MEDICINA /

FIERA DEL LEVANTE

Per il diabete ricerca e nuove cure

Intensa e qualificata attività del prof. Francesco Giorgino, titolare della Cattedra di Endocrinologia e Malattie metaboliche nell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari. Lodevole e fruttuosa iniziativa della Fiera del Levante nell’ospitare nella recente edizione di settembre un laboratorio mobile per un primo screening. Nei viali del quartiere fieristico, inoltre, camper per la prevenzione dell’aneurisma dell’aorta addominale e per la diagnosi precoce delle malattie reumatiche DI MARISA DI BELLO

C

i si occupa di Fiera quasi esclusivamente per gli affari che essa muove, ed è giusto che sia così, dato che è stata creata con questo obiettivo e con questo obiettivo ci si reca a visitarla. Affari grandi e piccoli, di aziende o del visitatore occasionale che cerca la novità dell’anno. Curiosità quasi mai delusa. Ma la Fiera, già da un po’ di tempo mostra un’attenzione particolare alla salute e quest’anno l’ha fatto con la presenza nell’ambito della Campionaria di tre gazebo per sensibilizzare la popolazione sulla prevenzione e i rischi di tre importanti patologie, il diabete, l’aneurisma dell’aorta addominale e le malattie reumatiche. La campagna “Buon Compenso Diabete” è stata promossa dall’Agenzia regionale sanitaria (Ares), dalla Cattedra di Endocrinologia e Malattie Metaboliche dell’Università degli Studi di Bari e dall’assessorato alle politiche della salute della Regione Puglia, visto che proprio la Puglia risulta essere la terza regione italiana a più elevata prevalenza di malattia diabetica. L’ambulatorio mobile allestito nella Campionaria, dove era possibile un primo screening per il controllo della glicemia e dell’emoglobina glicata, l’emoglobina associata al glucosio, ha effettuato decine di controlli giornalieri per tutto il periodo fieristico. Scelta dei test non casuale poiché l’insieme dei due valori rappresenta oggi il mezzo più efficace per controllare il diabete. Una campagna efficace che proseguirà nei territori individuati dalla Regione Puglia come quelli in cui più difficile è il controllo della patologia, ovvero le zone dell’Appennino Dauno, la provincia di Brindisi e presso gli stabilimenti Ilva di Taranto, con un’opera di sensibilizzazione sui rischi legati al diabete: retinopatia, nenelmese - 10/2010 - 18

Francesco Giorgino fropatia, neuropatia, infarto e ictus. Queste le complicanze croniche, cui possono aggiungersi quelle acute, soprattutto nei soggetti affetti da diabete di tipo 1, il diabete dell’età giovanile: chetoacidosi (sintomi: polidipsia e poliuria, dolori addominali, vomito, diarrea, tachicardia iperventilazione, cute calda o secca, disidratazione fino al coma) e ipoglicemia, cioè glicemia inferiore ai valori normali che si accompagna a sudorazione, tremore, debolezza, confusione, attività motoria scoordinata e, dove non soccorsa, convulsioni e coma. Purtroppo, la necessità di sensibilizzare la cittadinanza sul buon compenso del diabete nasce dalla consapevolezza che si tratta di una patologia in aumento in tutti i Paesi industrializzati, in Italia, in Puglia, a Bari, come spiega il prof. Francesco Giorgino, ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo presso l’Università degli Studi di Bari. Specie il diabete di tipo 2 è in progressivo aumento in Italia dove si è passati dal 3% degli ultimi 10-15 anni, al 5%

della popolazione, in relazione alla maggiore diffusione del sovrappeso e dell’obesità che, insieme alla sedentarietà, sono tra i principali fattori scatenanti la patologia che vanno ad aggiungersi al fattore ereditario. Importanti quindi i progressi che la ricerca sta facendo in questo campo come ci aggiorna il prof. Giorgino di ritorno dal congresso europeo di Stoccolma: “Oggi, sono state introdotte nuove classi di farmaci, ognuna delle quali utilizza un determinato meccanismo d’azione per permettere la correzione dell’iperglicemia. Una classe che si sta affermando molto ultimamente è quella delle incretine. Le incretine sono sostanze naturali, ormoni prodotti dall’intestino nel momento in cui si assume un pasto, che aiutano il pancreas a produrre insulina”. Nel diabetico questo meccanismo si inceppa o per una malattia delle cellule Beta del pancreas, quelle che dovrebbero produrre l’insulina, o per una scarsa produzione di incretine da parte dell’intestino per cause ancora


Laboratori di ricerca bio-medica in endocrinologia e metabolismo.

Padiglione “Morgagni” al Policlinico di Bari

ATTIVITA’ GRUPPO DI RICERCA Sviluppo di progetti di ricerca di base e clinici sul diabete mellito, l’obesità e le complicanze vascolari. Formazione di ricercatori, dietisti e personale tecnico. Eventi di aggiornamento e conferenze scientifiche nel settore delle malattie endocrine e metaboliche. Il gruppo di ricerca coordinato dal prof. Francesco Giorgino presso la Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche del Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi - Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” sconosciute. Poco male, aggiunge Giorgino “perché in questo caso viene in soccorso la ricerca farmacologica in grado oggi di produrre sostanze che imitano il funzionamento delle incretine, i farmaci incretino-mimetici, o che aumentano i livelli delle incretine naturalmente prodotte nell’organismo. In ogni caso, l’effetto finale è quello di stimolare le beta-cellule del pancreas a produrre una maggiore quantità di insulina, e quindi a controllare meglio i livelli di glicemia”. Proprio su questo argomento trattato a Stoccolma, l’Istituto diretto dal prof. Giorgino sta conducendo ulteriori ricerche e approfondimenti. In particolare, come è stato riportato dalla prestigiosa rivista scientifica Endocrinology, “abbiamo dimostrato - continua Giorgino - che le incretine sono in grado di contrastare l’effetto tossico di sostanze infiammatorie che tendono ad uccidere le cellule che producono insulina. E, allo stesso modo, sono in grado di proteggere le cellule del cuore. In questo campo

finora gli esperimenti sono stati condotti su animali, ma noi qui stiamo studiando l’effetto delle incretine sulle cellule staminali presenti nel cuore umano. A Stoccolma, infatti, abbiamo presentato il risultato di queste ricerche che puntano ad osservare come le incretine possono liberare le cellule cardiache dallo stress ossidativo, da una forma di tossicità cellulare. Ora vogliamo confrontare cellule di soggetti diabetici con quelle di soggetti non diabetici e osservare l’effetto delle incretine e dei nuovi farmaci non solo nel diabete ma anche nelle malattie cardiovascolari”. Per questo tipo di ricerca, proprio a un’allieva della Scuola del prof. Giorgino, Anna Leonardini, è stato assegnato da un comitato internazionale un prestigioso finanziamento di 360 mila euro in quattro anni, unico in Italia, destinato a giovani ricercatori dalla Fondazione dei Monte dei Paschi e dalla Fondazione Eli Lilly per la ricerca. Lo studio si basa sull’osservazione di cellule umane cardiache isolate in

laboratorio per vedere come si comportano in situazione di stress e sotto lo stimolo di farmaci incretino-mimetici. Uno studio che rappresenta un passo avanti per proteggere il cuore di pazienti diabetici e non solo e dimostra come la ricerca condotta dall’Istituto di Endocrinologia di Bari sia all’avanguardia su questa strada che apre a nuove prospettive di cura. Se per la cura del diabete di tipo 2, ricordiamo il più diffuso, ci sono novità importanti, per il diabete di tipo 1 che colpisce i giovani e anche i bambini, l’iniezione di insulina, prima di ogni pasto resta fondamentale, anche se non mancano novità che lasciano sperare per il futuro in una automatica somministrazione del farmaco che adatti il dosaggio alle momentanee necessità del paziente. “Già oggi – dice Giorgino – abbiamo a disposizione strumenti che infondono a comando insulina in maniera programmata con pompe o microinfusori sempre più avanzati dal punto di vista tecnologico e di dimensioni sempre più piccole. Sensori impiannelmese - 10/2010 - 19


COLLABORAZIONI Università di Bari Susanna Cotecchia Michele De Fazio Vincenzo Memeo Francesco P. Schena Luigi Selvaggi Maria Svelto Giovanna Valenti Maria Grano Alberta Zallone

Francesco Purrello Lucia Frittitta

Barbara Giovannone University of California, Irvine Ping H. Wang

Università di Catanzaro Antonino Belfiore Università di Roma “La Sapienza” Vincenzo Trischitta

SUNY-Stony Brook Jeff E. Pessin

East Carolina University School of Joslin Diabetes Center Medicine, Greenville G. Lynis Dohm Harvard Medical Università di Foggia School Laurie J. Goodyear Karolinska Institutet, Mauro Cignarelli Michael F. Hirshman Stockholm Matteo Landriscina Juleen R. Zierath Francesco P. Cantatore Edward S. Horton Gordon C. Weir Pantaleo Greco Heimo Riedel Imperial College Università di Napoli Theodore K. Alexandrides London Nish Chaturvedi Abdoulraof Almahfouz “Federico II” Raphael Bueno Raffaele Napoli Jeng-Horn Chen Steno Diabetes Center, Gerolama Condorelli Gentofte H San Raffaele, Hans Hansen Oluf Pedersen Milano Michael T. Pedrini Alberto M. Davalli Umeå University Jan W. Eriksson Brown University, Università Providence di Catania Robert J. Smith Riccardo Vigneri

tati sottopelle trasmettono, attraverso sistemi senza fili, il livello della glicemia ai microinfusori che somministrano l’insulina; quando, ad esempio, la glicemia è troppo bassa è possibile interrompere la somministrazione di insulina evitando una crisi di ipoglicemia. Questo sistema è consigliato soprattutto per quei pazienti con glicemia instabile, soggetti a sbalzi repentini. Attualmente, la durata massima dei sensori impiantati sottopelle è di sette giorni, pertanto l’impianto sottopelle va ripetuto con una frequenza settimanale”. Ma, come fa capire il professore, anche qui, la tecnologia applicata alla medicina è in continua evoluzione e non si dispera di allungare i tempi in un prossimo futuro. SCREENING PER L’ANEURISMA DELL’AORTA ADDOMINALE Altro screening gratuito alla Fiera del Levante quello organizzato dallo Sicve (Società italiana chirurghi vascolari ed endovascolari) con il patrocinio del Rotary internaional, dell’Unità operativa della Chirurgia Vascolare dell’Ospedale Miulli d Acquaviva e del Dipartimento di prevenzione dell’Asl di Bari, per l’aneurisma dell’aorta addominale, questa volta rivolto ad una fascia di popolazione maschile tra i 65 e gli 80 anni, in cui l’incidenza della patologia è maggiore. Lo screening rientra in un controllo a carattere nazionale che ha individuato in ogni regione un centro con un numero di abitanti non superiore ai 7.000, sufficientemente vicino all’ Unità operativa. nelmese - 10/2010 - 20

FINANZIAMENTI PER LA RICERCA Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro Comunità Europea Consiglio Nazionale delle Ricerche European Association for the Study of Diabetes Juvenile Diabetes Research Foundation International Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Ministero della Salute Società Italiana di Diabetologia Università degli Studi di Bari

In Puglia il centro individuato è quello di San Michele dove tutta la popolazione maschile di quella fascia di età sta per essere interamente controllata. L’obiettivo è favorire la prevenzione per questo disturbo che non presenta alcun sintomo e che in caso di rottura dell’aorta provoca la morte nel 70-90% dei casi. Lo conferma uno degli operatori presenti in Fiera, il dott. Domenico Basile dell’unità di Chirurgia Vascolare di Acquaviva delle Fonti che spiega anche quali siano i fattori predisponenti: familiarità, broncopatia cronica, pressione alta, processo aterosclerotico che invece di occludere le arterie, le dilata fino a provocarne la rottura. Fino a 2 centimetri di diametro l’arteria è da considerarsi normale, tra i 2 e i 5 centrimetri è da tenere in osservazione, oltre è necessario intervenire. Ed è a questo punto che ultimamente la chirurgia ha fatto grossi progressi, rendendo meno invasivo e più sicuro l’intervento fino a 5-6 anni fa ad alto rischio, con una percentuale di decessi tra il 10-15%. Prima l’intervento d’elezione era la cosiddetta “messa a piatto” dell’aneurisma che veniva aperto in maniera longitudinale, in laparotomia con un taglio sulla pancia in modo da poter introdurre una protesi. Un intervento che in pazienti anziani era molto rischioso, data la collocazione dell’aorta dietro altri organi, davanti alla colonna vertebrale. Oggi, la nuova metodica consiste nell’introdurre una protesi nell’arteria femorale, facendola risalire a livello sottorenale dove viene aperta, escludendo automaticamente la parte intaccata. C’è da aggiungere,

Eli Lilly and Co. Novo Nordisk Pfizer Takeda MercK Serono

inoltre, che le protesi attualmente in uso composte da tessuti speciali si adattano ai diversi tipi e collocazione degli aneurismi. L’intervento in questo modo è molto più semplice e sicuro e soprattutto scongiura le conseguenze disastrose di una rottura dell’aorta che causerebbe la morte del soggetto. Per questo motivo, la campagna di prevenzione che si sta conducendo e dalla quale, una volta portata a termine, si potranno dedurre importanti statistiche è quanto mai opportuna. IN FIERA ANCHE DIAGNOSI PER MALATTIE REUMATICHE Infine, consulto in camper in un viale del quartiere fieristico per una diagnosi precoce per le malattie reumatiche, anche queste abbastanza subdole, spesso confuse con altre patologie come artrosi o artrite, se non si eseguono specifici esami. Infatti, nonostante le alte percentuali e l’incidenza delle malattie reumatiche, esse sono poco riconosciute a livello sociale e soprattutto diagnosticate tardivamente. L’A.P.M.A.R. (Associazione pugliese Malati Reumatici) Onlus ha voluto offrire nel contesto della Fiera materiale informativo sulle nuove terapie e incontri con pazienti, in collaborazione con l’Unità Operativa di Reumatologia dell’Università di Bari e Foggia. Nel camper è stato possibile, inoltre, effettuare un consulto specialistico ed eventuali esami di capillaroscopia, ecografia, densitometria ossea, utili alla diagnosi di eventuali patologie reumatiche.


prosegue da pag. 17 tutti gli enti territoriali anche soggetti privati, e soprattutto leggi nuove che favoriscano processi di defiscalizzazione sarebbero un passo avanti notevole, verso il quale occorre una mobilitazione generale, fatta di sensibilizzazione e di informazione. Pre-condizioni di qualsiasi tipo di sviluppo. Bisogna prendere atto che il nostro non è un Paese povero ma un Paese seduto. Lo sostiene anche Serenella Pesarin, direttore generale per l’Attuazione dei provvedimenti giudiziari del Dipartimento Giustizia Minorile. Il punto è che non si investe nei giovani, si è frenati da una depressione strisciante che blocca le politiche educative e che non trasmette quel senso di identità sociale, di appartenenza, per cui un ragazzo dovrebbe “sentire” la dignità del proprio lavoro. In questo vuoto si inserisce la tentazione del denaro facile delle organizzazioni criminali, pronte ad arruolarli. E’ per questo che il sistema penale deve approcciarsi al minore con la massima sensibilità possibile. Il processo stesso ha una forte valenza educativa e si propone di metterlo in condizione di comprendere il perché del suo errore e di cogliere le opportunità che gli vengono offerte. Delicato è il ruolo del giudice, dovendo egli modulare nel tempo gli interventi più idonei al recupero del minore e alla stabilizzazione dei risultati. E mentre i relatori manifestano appassionatamente il loro impegno comune nel sostenere ogni tipo di iniziativa in questa direzione, alle loro spalle scorrono le immagini di giovani ragazzi impegnati in lavori di artigianato. E la cosa che salta all’occhio sono le espressioni dei loro volti, alcuni sorridenti, altri completamente assorti nel’attività di restauro di mobili o di decorazione di pareti o di coltivazione dell’orto, consapevoli della dignità del loro lavoro e partecipi di un nuovo periodo della loro vita. Il metodo della tenuta motivazionale attraverso l’offerta di competenze manuali sembra funzioni. Il segreto dovrebbe essere costruire la persona, prima che il lavoro, renderla attrice del sistema e non destinataria, coinvolgerne le famiglie per una presa di coscienza dei problemi dall’interno, proseguire i laboratori didattici già sperimentati dalla Regione Puglia e crederci davvero. Francesca Perrini, direttore del Centro Giustizia Minorile della Puglia, e tutti i protagonisti del convegno hanno dimostrato di crederci, tagliando le autoreferenzialità e lavorando insieme e l’impressione generale che ne deriva è quella di un senso di fiducia nei loro progetti. Si parla tanto di cervelli in fuga. Ma vi sono anche dei cervelli che pur volendo non hanno le ali per fuggire perché per un motivo o per un altro sono state loro tarpate. Abbiamo il dovere morale di restituirle.

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STORIA / RELIGIONI

Parte da Gerusalemme, il Calendario comparato 2011

Da 19 anni l’Enec e la Fiera del Levante realizzano un prezioso documento per rappresentare al meglio le tre religioni monoteistiche, ebraica, cristiana e musulmana che fanno capo all’antica città del Mediterraneo. Prossimamente sarà presentato a Papa Benedetto XVI in occasione del Sinodo delle Chiese orientali

“A

ntica e sempre nuova” così il professor Michele Loconsole, presidente dell’E.N.E.C., ha definito la città di Gerusalemme, in occasione della presentazione del “Calendario comparato 2011” delle tre religioni monoteiste, ideato ed elaborato dall’associazione ed edito ogni anno con il contributo della Fiera del Levante e dell’editore Michele Monno. Il Calendario sarà dunque per gli ebrei l’anno 5771-72, per i cristiani il 2011 e per i musulmani il 1432-33. Filo conduttore è “Gerusalemme, capitale spirituale del nelmese - 10/2010 - 22

Mediterraneo”. La città, attuale capitale dello Stato di Israele, è il luogo ideale per rappresentare le tre religioni e la loro storia. Ricca di luoghi di culto di profondo interesse teologico-culturale, spesso è triste teatro di incresciosi incidenti che coinvolgono esponenti dei vari credi. Gerusalemme oggi vive due vite, contemporaneamente distinte e intrecciate tra loro. Da un lato è una città con ricchezze storico-artistiche dal valore stupefacente, centro nevralgico dell’incontro di diverse fedi

e diversi modi di intendere e vivere la spiritualità, un punto perfetto per instaurare legami e dialoghi tra culture e religioni differenti. Dall’altro è una terra profondamente divisa. Infatti le diverse comunità, piuttosto che dialogare e confrontarsi nella pace e nel rispetto reciproco, sono in conflitti, di difficile risoluzione. Una terra dal sapore magico e profondamente spirituale dove è possibile sentire, in ogni pietra e in ogni reliquia, la presenza del divino. Il susseguirsi di scontri, vessazioni, rivendicazioni impediscono però a


questa terra di sbocciare in tutto il suo splendore. Probabilmente per questo l’E.N.E.C. ha posto l’accento per l’anno che verrà su Gerusalemme, tramite lo strumento ormai consolidato ed erudito che è il Calendario comparato giunto alla 19esima edizione. Gerusalemme centro del mondo, centro del Mediterraneo, un Mediterraneo che, suggerisce il professor Franco Cardini, potrebbe essere facilmente definito “Sesto Continente” o “Continente Liquido”, un ponte, una cerniera o meglio ancora una porta, che mette in comunicazione le genti d’Oriente con quelle

d’Occidente. Loconsole la definisce un “motore propulsivo di civiltà”: da qui la motivazione che ha spinto l’E.N.E.C. a soffermarsi su Gerusalemme nella scelta del soggetto su cui costruire il Calendario 2011. Con l’auspicio che essa, in ebraico “Città della Pace”, possa diventare il punto focale da cui far partire il dialogo inter-religioso e la pace tra le religioni e nel mondo. Il Calendario comparato sarà presentato ufficialmente in Vaticano dove è previsto il “Sinodo delle Chiese Orientali” con l’incontro di tutte le chiese cristiane. In quella occasione sarà illustrato al Santo

Padre dai vertici dell’E.N.E.C., per l’interessamento, tra gli altri, di Don Nicola Bux, da anni stretto collaboratore dell’E.N.E.C., attualmente segretario del Sinodo. Ventuno anni fa si costituì l’Associazione Internazionale per i Rapporti col Vicino Oriente, appunto l’E.N.E.C. (Europe-Near East Centre), con l’obiettivo, tramite due strumenti di eccellenza come il Calendario comparato e la rivista “Porta d’Oriente”, diretta dal professor Cardini, di abbattere quei pregiudizi quotidiani che tutti nutriamo verso il diverso. (d.s.)

Enec e Fiera del Levante,

per il Mediterraneo del futuro

Presentato in anteprima il Calendario comparato 2011. Esaltato il ruolo di Bari, della Puglia e dell’Ente per lo sviluppo di rapporti tra i popoli che si affacciano sullo storico bacino

G

erusalemme, in ebraico Yerushalàim, “Città della Pace”, culla e punto privilegiato di incontro delle tre grandi religioni monoteiste: ebraica, cristiana e musulmana. Alla Città santa è dedicata la 19esima edizione del Calendario comparato 2011, concepito dall’E.N.E.C. (Europe-Near East Centre) presentato in anteprima alla Fiera del Levante, partner ormai da 15 anni, di questa coraggiosa missione di cui il sodalizio è da sempre portavoce: favorire il dialogo e il reciproco scambio e arricchimento tra le tre religioni e le diverse culture che rappresentano, fortemente legate e simbiotiche all’area mediterranea. Non a caso la Fiera del Levante rinnova la sua partnership. Quale luogo migliore della città di Bari, da sempre protesa verso Oriente e della Fiera stessa per presentare e sostenere un calendario che dimostra il profondo connubio tra Oriente e Occidente?

Quattro i relatori che hanno descritto la loro partecipazione alla missione dell’E.N.E.C. e del Calendario comparato: il presidente dell’E.N.E.C.

dal 2009 e teologo, il prof. Michele Loconsole, l’editore, nonché socio, dott. Michele Monno, il presidente della Fiera del Levante il dott. Cosi-

Da sinistra, Michele Monno, Michele Loconsole, Cosimo Lacirignola e Gianni Bodini nelmese - 10/2010 - 23


mo Lacirignola e il vicepresidente del gruppo Terre, anche lui socio dell’associazione, il dott. Gianni Bodini. Gerusalemme, dunque, come città dell’incontro, ombelico del mondo, dove, come ha detto il professor Cardini, da sempre collaboratore di E.N.E.C. e direttore della rivista “Porta d’Oriente”, le tre religioni sono costrette a co-abitare non soltanto in orizzontale ma addirittura in verticale dividendosi i cunicoli e il sottofondo di Gerusalemme prezioso per tutte loro. I recenti sviluppi del dialogo ebraico-israelo-palestinese hanno indotto l’E.N.E.C. a ricondurre l’attenzione verso la città di Gerusalemme, raffigurata un tempo nelle mappe come centro del mondo, visione che torna più che mai attuale oggi, considerando le diverse convergenze religiose, economiche e politiche che vedono in Gerusalemme il punto catalizzatore delle attenzioni del mondo moderno non solo religioso. E Bari in tutto questo come si colloca? Perché una città come Bari è strategica per l’incontro di diverse culture e può essere spinta per proporre una coesione di queste ultime. Come argutamente suggerisce il dottor Michele Monno, Bari presenta un humus culturale molto particolare, la sua posizione geografica e il suo vissuto storico l’hanno sempre resa una terra dai molteplici volti; città di stampo tipicamente occidentale da un lato, ma fortemente influenzata e contaminata, nell’accezione più positiva possibile del termine, dal vicino Oriente. Basti pensare alle università, centri della cultura e del sapere di Bari, e alla presenza di molti studenti non comunitari provenienti dai diversi angoli del Mediterraneo e non, esportatori di culture e usanze diverse, le quali nella città

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VARIANTE 1

I contenuti del calendario sono stati curati da Nicola Bux, Michele Loconsole, Girolamo Panunzio, Philip Farah, Giovanni Indraccolo e Michele Monno. La parte grafica è stata realizzata da Nicola Angiuli pugliese trovano una convivenza pacifica e anzi sono ormai VARIANTE 2 anche esse parte integrante e integrata del

nostro retaggio. La mission dell’E.N.E.C. non si esaurisce con lo studio teologico e socio-culturale della questione ma ha anche un profondo respiro economico. In questo è chiave di lettura l’inserimento nell’associazione della figura di Gianni Bodini, promotore di una politica economica italiana volta a coinvolgere altri stati e regioni che si affacciano sul Mediterraneo. “Se noi parliamo di meridione d’Italia parliamo anche di Mediterraneo”, sostiene Bodini. “Alcune realtà del Mediterraneo sono in tutto e per tutto simili alle nostre regioni con affinità nelle forme e nell’organizzazione della cultura”. Occorrerà dunque gettare nuovi ponti di collaborazione e scambio economico-culturale tra l’Italia e il Mediterraneo, dove il nostro Paese e la Puglia sopra tutti, può essere un interlocutore privilegiato per le culture mediterranee visto il suo excursus storico e le molte affinità con queste ultime. Ha concluso la presentazione, con una summa degli argomenti trattati e degli scopi dell’associazione, Cosimo Lacirignola, definendo il Calendario comparato un modo per rappresentare le rispettive diversità, poiché esse sono fonti del reciproco arricchimento delle nostre culture e l’ambizione principale e il valore delle associazioni come l’E.N.E.C. e la Fiera stessa deve essere “unire ciò che il mondo divide”, uno scopo non facile da raggiungere, probabilmente utopistico, ma sicuramente una battaglia da portare avanti con forza e convinzione, per costruire attraverso l’incontro di uomini e donne di fede, seppur diversa, un Mediterraneo migliore che si orienti anche verso la cultura e la tradizione italiana e pugliese. (d.s.)


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CASTEL DEL MONTE (ANDRIA)

CASTELLO SVEVO DI BARI

CASTELLO DI ORIA (IN PROVINCIA DI BRINDISI). SUL PIAZZALE ESTERNO DEL CASTELLO SI SVOLGE OGNI ANNO UN TORNEO CHE RISALE AI TEMPI DI FEDERICO II. LA FOTOGRAFIA E’ RIPRESA DAL VOLUME “CASTELLI DI PUGLIA” DI MICHELE CRISTALLO, EDITO DA ADDA NEL 1995 CON FOTOGRAFIE DI N. AMATO E S. LEONARDI

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STORIA /

FIERA DEL LEVANTE

I gioielli di Federico II

Interessante convegno di studio alla Fiera del Levante “Per una geografia federiciana dell’Italia” coordinato dal prof. Cosimo Damiano Fonseca, accademico dei Lincei e organizzato dall’Ente Fiera e dal presidente della Camera di Commercio Italo-orientale Silvio Panaro. Il contributo di altri studiosi sull’importanza e sul ruolo attribuito dal grande imperatore ai castelli

I

ndagare l’opera urbanistica di Federico II e la sua politica di edificazione, ripercorrendo in un itinerario ideale attraverso porti, castelli e corti il rapporto con il territorio dell’imperatore di Svevia. Se n’è parlato nel convegno di studi “Per una geografia federiciana dell’Italia”, alla Fiera del Levante, coordinato dal prof. Cosimo Damiano Fonseca, accademico dei Lincei nonché direttore dell’Istituto Internazionale di Studi federiciani del Cnr. La Fiera come sede ideale per un argomento del genere. “D’altronde lo stesso Federico II apprezzava le fiere, ed è stato il primo in Europa ad organizzarne una nel 1270 circa” ha precisato Silvio Panaro, presidente della Camera di Commercio italo-orientale che ha organizzato con l’Ente Fiera del Levante il convegno di studi. Da parte sua Fonseca ha ricordato che riparlare di Federico II nella sede della Fiera del Levante, a distanza di 25 anni dall’ultimo simposio, indica un rinnovato interesse nei confronti delle tematiche federiciane. Il lungo intervento del professor Fonseca s’è snodato attraverso l’analisi dei castelli costruiti da Federico II: “I 250 castelli sono il segno più evidente della presenza politica del grande svevo, che si occupava con particolare cura anche della loro manutenzione e di munire le fortezze di un buon sistema difensivo, come emerge da numerosi documenti successivi al 1239 tra cui il noto Statutum de reparatione castrorum”, ha affermato infine, “Federico II fu anche costruttore di città nuove in base a un lucido disegno politico volto allo sfruttamento e al ripopolamento delle aree soggette al suo dominio”. Anche Alessandro Di Muro, dell’Università della Calabria, s’è soffermato sull’importanza dei castelli e del loro ruolo strategico nella politica federiciana: “L‘organico programma di difesa e controllo del territorio dell’imperatore di Svevia era incentrato nella costruzione di una rete di strutture castellari poste lungo le maggiori direttrici viarie del Regno, come il Castel del Monte, in territorio di Andria che viene edificato non distante dalla via Traiana, oppure la fortezza di Oria, che sorge lungo l’Appia antica. Tuttavia non resta molto del vasto programma edificatorio federiciano per le modifiche subite nel tempo”. Dal canto suo, Christian Toomaspoeg, docente dell’Università del Salento, ha illustrato invece la concezione del potere dell’imperatore: “L’intento di Federico II era principalmente costruire nuovi nuclei urbani per uniformare il territorio, tuttavia egli intendeva anche ampliare le risorse economiche della sua corte” - ha precisato. “Il rapporto che instaura con le realtà urbane è spia della sua personale idea. Nel suo modo di vedere, era il popolo a doversi avvicinare al sovrano e non il contrario. Egli rimaneva sempre a distanza, la sua era una presenza quasi spirituale, esoterica, che è stata oggetto di molti studi anche sotto l’aspetto psicoanalitico”. Il docente ha ricordato infine che a Federico II si deve la costruzione, tra le tante opere, anche di alcuni porti, tra cui gli approdi pugliesi di S.Cataldo e Torre a Mare. (g.d.)

Cosimo Damiano Fonseca

Silvio Panaro nelmese - 10/2010 - 27


4 ottobre 2009, concerto per la serata di gala con l’Orchestra Sinfonica della Provincia di Bari diretta dal Maestro Fabio Mastrangelo (foto Carlo Cofano Iesseppi)

Il Maestro Riccardo Muti con la sua Orchestra Cherubini il 21 dicembre (foto Carlo Cofano Iesseppi). Accanto, un’imponente scena della Turandot di Giacomo Puccini con l’Orchestra Sinfonica della Provincia di Bari diretta da Renato Palumbo (coro della Fondazione Petruzzelli, coro di voci bianche del Conservatorio N. Piccinni) che ha aperto ufficialmente la stagione il 6 dicembre 2009 (foto Stranges e Mastrolonardo)

Spettacolo di danza nel febbraio 2010 “Giselle” di Charles Adam con Eleonora Abbagnato e Massimo Murru (foto Carlo Cofano Iesseppi)

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Nell’altra pagina, accanto al titolo, una suggestiva inquadratura della cupola durante le proiezioni di immagini degli affreschi andati distrutti nell’incendio (foto Vito Mastrolonardo)


SPETTACOLI

Prima stagione del rinato Teatro Petruzzelli, brillante ma ad ostacoli Chiusa la stagione 2009-2010 del Petruzzelli, che ha visto avvicendarsi sul palcoscenico nomi illustri dello spettacolo italiano e internazionale. Grande successo di pubblico che ha garantito sempre il “tutto esaurito”. Ultima rappresentazione Il Barbiere di Siviglia, andata in scena grazie anche alla sponsorizzazione del Molino Casillo di Corato e del ristorante-bar Dona Flor che si sono aggiunti alla datata partnership della Banca Popolare di Bari: un modo di sostenere la cultura con un ritorno di immagine qualitativamente alta che si spera possa essere imitato da molte altre aziende. DI

MARISA DI BELLO

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i chiude prima del previsto per le note difficoltà economiche con un’opera effervescente, allegra, Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, in sostituzione del dittico Tabarro e Cavalleria Rusticana, la prima stagione lirica e di danza del Teatro Petruzzelli che avrebbe dovuto concludersi con la Traviata. Una stagione che ha visto avvicendarsi sul palcoscenico stelle di prima grandezza come Eleonora Abbagnato e il Balletto del Bolshoi e opere di grande respiro come il Sigfrido di Wagner. Con la Abbagnato il Petruzzelli ha ospitato anche l’altro grande evento il “Gran

I “protagonisti” dietro le quinte Il presidente della Fondazione Petruzzelli e sindaco di Bari Michele Emiliano e il sovrintendente Giandomenico Vaccari in un’interpretazione simpatica ed efficace del suo ruolo realizzata da NelMese

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Il sovrintentendente Giandomenico Vaccari “Bisogna ricordare che questa è una Fondazione giovanissima che ha appena cinque anni di vita, una Fondazione leggera perchè siamo in pochi. E penso che i tempi siano maturi per una riforma che razionalizzi il settore, razionalizzi la spesa, che individui forme certe di finanziamento senza sprechi”. “Non importa tanto l’entità del finanziamento quanto piuttosto la certezza che venga erogato, in modo che si sappia in quali tempi e di quali fondi si può disporre per procedere ad una programmazione pluriennale. Solo così si può garantire sicurezza anche alla comunità e recuperare i consensi”.

Michele Mirabella, regista de “Il Barbiere di Siviglia”, e Margherita Settimo (prove di scena - foto Carlo Cofano Iesseppi) Galà” con i ballerini dell’Opera di Parigi, tutti artisti internazionali impegnati nei maggiori teatri europei, una pioggia di stelle sul teatro che ha appassionato il pubblico in gran parte giovanile, emozionato per un ritorno alla danza espressa ai massimi livelli che ai meno giovani ha fatto rivivere le emozioni e i fasti degli anni Ottanta. Una stagione che ha alternato opere liriche d’impegno a spettacoli di più facile impatto come la Bohéme e Cenerentola, registrando sempre il tutto esaurito. Una stagione che ha cercato di adempiere al meglio al difficile compito di riannodare una tradizione drammaticamente interrotta, di riabituare un’intera città, e non solo, allo spettacolo di qualità, allo spettacolo che esige una lunga, continua educazione. La risposta del pubblico è stata molto incoraggiante. Lo si è visto proprio in occasione del Siegfried che con le sue quattro ore di musica richiede un notevole sforzo d’ascolto. Ma la bravura dei cantanti, la qualità dell’Orchestra della Fondazione e l’originalità della direzione di Stefan Anton Reck hanno coinvolto gli spettatori, trascinandoli in un ritmo serrato tra interludi cupi e cascate d’arpeggi. Forse questa è stata la vera prova del nove della maturità musicale che un certo pubblico locale ha coltivato durante la diaspora in altri teatri più fortunati, ma anche, più generalizzata, l’esigenza forte di crescere ed appropriarsi di un piacere, di una forma d’arte a lungo negata. E’ stata anche la prova del nove di una Fondazione, del presidente Emiliano, del consiglio di amministrazione e del suo sovrintendente, Giandomenico Vaccari, che hanno stupito per nelmese - 10/2010 - 30

“Questa città non ha il suo grande teatro da un tempo infinito e tutta la comunità va riabituata ad una stagione lirico-sinfonica e di balletto, serena e certa alla normalità della programmazione che si è perduta”. Dall’intervista di Marisa Di Bello apparsa su NelMese 3/09

come sono riusciti a superare grandi ostacoli e a richiamare a Bari in poco tempo artisti di prima grandezza oltre alla Abbagnato e al Bolshoi, il balletto di Riga, Riccardo Muti – che, si sa, vanno contattati con mesi, a volte anni d’anticipo. E tutto questo nell’incertezza che ha caratterizzato fino all’ultimo l’apertura del teatro. Un’incertezza che continua ad aleggiare come una maledizione sul Petruzzelli, insinuatasi anche tra i ritmi scoppiettanti del Barbiere. Un’incertezza derivante dai tagli economici, dai ridotti apporti della Regione, da quelli mancanti del Governo, da quelli assicurati solo recentemente dalla Provincia che finalmente ha annunciato il proprio ingresso nel consiglio di amministrazione della Fondazione e il contributo di 400 mila euro, quanto mai indispensabile. Proprio il ritardo di questo ente aveva amareggiato il sovrintendente Vaccari e irritato il sindaco Michele Emiliano preoccupato non solo per la situazione di stallo in cui rischiava di versare il teatro, ma anche per il sospetto di una manovra ordita contro di lui e volta a provocare il commissariamento della Fondazione. Sopra ogni altro e in tutti, maestranze comprese che durante l’esecuzione del Barbiere hanno improvvisato un fuori programma per richiamare l’attenzione di pubblico ed istituzioni sul problema, il timore che il teatro possa ricadere nuovamente in un lungo silenzio proprio a causa dei tagli. Più ottimista Michele Mirabella chiamato a curare la sua già collaudata regia del Barbiere (ha ripetuto la famosa frase eduardiana “adda passà a nuttata”) che si è attorniato di un cast giovane e quasi tutto pugliese, a cominciare

dal maestro Vito Clemente. Una rappresentazione più essenziale nella scenografia, ma ricca di idee e innovazioni che è stato possibile realizzare anche grazie alla sponsorizzazione dell’azienda Molino Casillo di Corato e dell’elegante ristorante-bar Dona Flor, incorporato nell’edificio del Teatro, quest’ultimo per quanto riguarda i costumi. Due privati encomiabili che insieme alla Banca Popolare di Bari già dall’inizio sponsor della Fondazione, hanno fatto un grande regalo a tutti i pugliesi e alla cultura di questa regione, a tutti i lavoratori dello spettacolo, salvando la conclusione della stagione lirica e uscendone con un’immagine di certo qualitativamente rafforzata. Oggi che la crisi economica generalizzata non consente agli enti pubblici di largheggiare in contributi, è auspicabile che tante siano in futuro le aziende locali disposte a sostenere la Fondazione con sponsorizzazioni che garantiscono un ritorno di immagine ed a una pubblicità superiore a qualunque altro spot, grazie a manifesti, articoli giornalistici e televisivi legati ad ogni spettacolo. Senza contare il grosso contributo che darebbero alla crescita culturale e alla grandezza della loro terra come fecero in passato i fratelli Petruzzelli, quando decisero di costruire a Bari un teatro, invece che più remunerativi palazzi. Sta agli imprenditori locali comprendere l’importanza di avere il nome della propria azienda accostato a quello di un grande, prestigioso contenitore e produttore culturale, famoso nel mondo, e utilizzare una forma di pubblicità socialmente utile.


Il tris d’assi di Vaccari

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ncora un successo al Teatro Petruzzelli: fuori stagione, appena conclusa con l’opera lirica “Il Barbierie di Siviglia”, la Fondazione e, per essa, il sovrintendente Giandomenico Vaccari, ha commissionato per la prima volta un concerto di musica contemporanea per violini e orchestra “Zephir” composto dallo statunitense Terry Riley (al centro nella foto in alto) ed eseguito in prima mondiale al Teatro barese risorto dalle ceneri dopo molti lustri.

Il concerto è stato realizzato su “misura” del giovane e valente violino-solista barese, Francesco D’Orazio (a destra), reduce da una serie di successi internazionali. Terzo elemento di spicco il direttore di orchestra, il canadese Boris Brott (a sinistra) che ha condotto con eccezionale maestria l’Orche-

stra Sinfonica del Teatro Petruzzelli, ottenendo analogo e caloroso apprezzamento del pubblico che ha applaudito a lungo l’autore di “Zephir” e il violino-solista. Nella foto, al centro, una bella inquadratura che realizza quasi una fusione tra le mani del direttore d’orchestra e quelle del violinista. Accanto, l’incontro, durante l’intervallo, tra il presidente della Fondazione Michele Emiliano, Terry Riley e il sovrintendente Giandomenico Vaccari, raggiante a ragion veduta, per il successo del concerto. La serata è stata caratterizzata anche da una significativa presenza di giovani e ragazzi che, tra l’altro, hanno sollecitato autografi ad Emiliano, sindaco di Bari. Molto efficace, infine, la foto dell’autore del concerto e del direttore d’orchestra che, insieme al violino-solista, hanno registrato una serie entusiastiche di chiamate e di prolungati applausi. Infine, un plauso, da parte nostra, al giovane fotografo barese Carlo Cofano (Iesseppi) di cui pubblichiamo solo una minima selezione delle immagini che documentano efficacemente anche loro il successo della serata. (nibe) nelmese - 10/2010 - 31


SPETTACOLI / FUORICASA

ALTRO SUCCESSO DI MARIA LETIZIA COMPATANGELO. BARESE, VIVE ED OPERA A ROMA. I SUOI LAVORI RAPPRESENTATI IN MOLTE CITTA’ ITALIANE MENO CHE A BARI

To be or not to be: il piacere di fare teatro

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volte i sogni si realizzano. Soprattutto quando in quei sogni si crede fortemente e il destino appronta inaspettate circostanze favorevoli. E’ quanto è successo a Maria Letizia Compatangelo, sperimentata autrice di teatro, che sin dal 1981, quando frequentava la Scuola di Drammaturgia di Eduardo De Filippo e stava cominciando a scrivere per il teatro, fu folgorata dalla visione del film del grande regista ungherese Ernst Lubitsch, To be or not to be, ovvero Vogliamo vivere, e da allora non ha mai abbandonato l’idea di trasportarne la storia sulle tavole del palcoscenico. Si tratta della vicenda di una compagnia di attori polacchi che per uno strano caso del destino si trovano ad intrecciare le loro storie private con i grandi eventi della storia, restando invischiati in una pericolosa azione di controspionaggio durante l’occupazione nazista in Polonia. La Compatangelo – come scrive nel programma – coglie nella storia una grande dichiarazione d’amore al teatro, mondo apparentemente infantile ed effimero: “un mondo di cartapesta e Maria Letizia Compatangelo, barese, vive ed opera a Roma, giornalista, autrice, ha scritto e pubblicato numerose commedie rappresentate in Italia e all’estero. Vincitrice di prestigiosi premi teatrali (due volte Premio IDI con le commedie Trasformazioni e Il veliero e il pesce rosso). Collabora con la Rai come consulente e autrice. Ha pubblicato i volumi Il cinema italiano 1989-90, edito da FilmFestItalia; La maschera e il video. Tutto il teatro di prosa in televisione dal 1954 al 1998, Rai Eri 1999; O Capitano, mio Capitano! Eduardo maestro di drammaturgia, Bulzoni, Biblioteca Teatrale, 2002, e La maschera e il video. Tutto il teatro di prosa in televisione dal 1999 al 2004, Rai Eri 2005. Il volume delle sue opere teatrali, Il Teatro dell’Inganno, è edito dalla BE@A Entertainment & Art, Collana «I Meridiani del Teatro». nelmese - 10/2010 - 32

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di lustrini che tuttavia, quando si trova calato nella realtà più cruda dove non c’è da rischiare solo qualche fischio ma la vita, dimostra con coraggio di essere all’altezza della situazione”. Ma, come lei stessa aggiunge “allora ero ancora troppo disorganizzata e nelle nuvole per dare veramente corso ad un progetto del genere”. Passano gli anni, e un giorno per caso viene a sapere che gli eredi dell’autore del soggetto originale di To be or not to be, Melchior Lengyel, vivono in Italia, così li contatta e ne compra i diritti teatrali, mettendosi subito all’opera per scrivere di sana pianta una nuova commedia. “La data sotto il titolo del soggetto di Lengyel – ricorda la Compatangelo – mi provoca una certa emozione: 1° Aprile 1940. La seconda guerra mondiale era scoppiata da pochi mesi: Lengyel si era spinto scrivendo oltre il limite allora pensabile e con la preveggenza degli artisti e la forza iconoclasta dello sberleffo aveva irriso la potente macchina da guerra del Terzo Reich e tutta la Germania hitleriana, ma non poteva certo supporre quanto, di lì a poco, MARIA LETIZIA COMPATANGELO IN UNA FOTO DI DOMENICO SAVERNI

MARISA DI BELLO

la realtà avrebbe spaventosamente superato la sua fantasia... altrimenti, come sia lui, sia Lubitch hanno più volte spiegato, il film To be or not to be, del 1942, probabilmente non sarebbe mai venuto alla luce. Se loro non potevano avere idea dell’orrore dei lager, io, invece, non potevo non tenerne conto: anche per questo ho dato a Greenberg, l’attore che sogna di recitare il monologo di Shylock, lo stato di ebreo, con tutto quel che di duro e doloroso ne consegue nell’arco della storia”. E’ stato dunque un ricreare totalmente il soggetto, adattarlo agli spazi e ai tempi teatrali, farne una commedia sofisticata e attuale nel suo tema di fondo che è l’eterno contrasto tra tirannia e libertà. La straordinaria regia di Antonio Calenda, i due intermezzi musicali del maestro Nicola Piovani che cadono con il ritmo giusto del respiro all’interno della tessitura teatrale e una coppia di protagonisti come Giuseppe Pambieri e Daniela Mazzuccato con tutto il cast ne hanno fatto un successo applauditissimo al Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, a Milano, a Roma e in tutta Italia. Applauditissimo dovunque… ma non a Bari. Lo vogliamo dire, anche se può sembrare una banalità? Nemo profeta in patria. Letizia Compatangelo, che vive ed opera a Roma, è barese, è nata e ha studiato a Bari, ma questa città continua ad ignorare le numerose opere che hanno fatto di lei un’autrice teatrale conosciuta e apprezzata a livello nazionale, tradotta e rappresentata all’estero. Distrazione colpevole che priva il pubblico barese del piacere di assistere a rappresentazioni come To be or not to be, commedia leggera e seria a un tempo, storia intelligente ed esilarante al cui fondo trapela la potenza dell’arte e, possiamo aggiungere, della cultura in generale, di fronte all’ottusità del potere. Non c’è che da augurarsi che anche questa nostra sottolineatura possa ovviare al protrarsi della disattenzione.


Giuseppe Pambieri (Ian Tura) e Umberto Bortolani (Prof. Driginsky)

Il libretto di scena dell’opera rappresentata a “il Rossetti”, Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia

Daniela Mazzucato (Maria Tura). A sinistra, Francesco Gusmitta (Schultz) e Fulvio Falzarano (Colonnello Ehrhard)

HANNO SCRITTO Magda Poli, «Corriere della Sera», 12 aprile 2009 Lo splendido film di Lubitsch Vogliamo Vivere, del 1942, riproposto anche da Mel Brooks, è un abile gioco di teatro nel teatro, nel quale la realtà trascolora nella finzione e viceversa, riuscendo a trattare con intelligenza, passione civile e levità anche la tragedia e l’orrore del nazismo. E la stessa miscela di sagacia, ironia e umorismo si ritrova in To be or not to be di Maria Letizia Compatangelo, dal soggetto originale di Melchior Lengyel, commedia portata in scena in un raffinato e divertente spettacoilo da Antonio Calenda con una regia garbata, intelligente e dalle scansioni cinematografiche. Marcantonio Lucidi, «Left», 15 gennaio 2010 Se già così non fosse, con questo testo messo in scena da Antonio Calenda all’Argentina di Roma Maria Letizia Compatangelo si pone come uno dei drammaturghi più importanti attualmente in circolazione. In un momento storico che non offre particolare qualità nel campo della scrittura teatrale, appare come una vera consolazione,

come momento di respirazione mentale, vedere l’allestimento di un copione che possieda le tre caratteristiche principali perché si possa parlare di drammaturgia: una buona storia, dei buoni dialoghi, una buona costruzione dei personaggi. Paolo Petroni, «Corriere della Sera – Roma», 14 gennaio 2010 Di questi tempi fa davvero piacere trovarsi davanti a uno spettacolo di qualità, fatto senza risparmi, con sedici attori, scene ad effetto, musiche di Nicola Piovani, comprese due belle canzoni, grazie all’impegno e la regia di Antonio Calenda, anche come Direttore dello Stabile del Friuli. (…) La Compatangelo è partita dal soggetto originale dell’ungherese Lengyel, con alcuni aggiornamenti alla «soluzione finale», e il gioco funziona, grazie ad un dialogo serrato, invenzioni di regia, suspense e momenti comici… Luca Vido, «Il Giorno», 11 aprile 2009 Fa piacere ogni tanto poterlo scrivere, questo «To be or not to be» è ben fatto e ben recitato. Maria Letizia

Compatangelo, in questa produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, ha ben elaborato drammaturgicamente un soggetto dell’ungherese Melchior Lengyel, divenuto nel 1942 un film di successo firmato dal grande Ernst Lubitsch («Vogliamo vivere»). Un soggetto che ha ripreso, negli anni Ottanta, anche Alan Johnson chiamando fra i suoi attori pure Mel Brooks. Il teatro, invece, era rimasto silente di fronte a questo testo brillante, a volte comico, ma anche di complessa realizzazione. Ora rimedia Antonio Calenda che firma una regia vivace, svelta ed essenziale e soprattutto ben fatta… Cristiano Robbiati, «PanoraMI», 24 aprile 2009 “To be or not to be” regala al pubblico milanese un significativo esempio di come si possa fare teatro gradevole, sobrio, con la giusta dose di spensieratezza ed impegno sociale traendo spunto dalla forza del teatro e dell’arte in generale anche di fronte alle peggiori nefandezze umane (nello specifico l’invasione nazista in Polonia del

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LIBRERIE & LIBRI

L’albero della libertà

Anche a Fasano eroi della Rivoluzione partenopea, antesignana dell’Unità d’Italia. Nel romanzo storico Italo Gentile mette nella sua giusta luce l’azione ed il sacrificio di Anna Teresa Stella, accostata ai più noti esponenti della rivolta contro il Re Borbone, tra cui Ignazio Ciaia DI ADRIANO CISARIO

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na quercia fu piantata in piazza, a Fasano, nel 1799: era l’Albero della Libertà. E questo è il titolo del romanzo storico scritto, con vivida partecipazione, dall’avvocato Italo Gentile, fasanese doc, edito da Falcolini. Nella scia della Rivoluzione francese, quell’albero con un berretto frigio sulla sommità e contornato da fiori e coccarde tricolori, sancì l’affermazione anche nella cittadina pugliese degli ideali giacobini e la temporanea ritirata dei realisti fedeli ai Borbone. Un simbolo, dunque, con il quale contrassegnare “fisicamente” la svolta storica e sociale, certamente epocale sulla strada ancora impervia dell’unità d’Italia, che salutò la nuova stagione “illuministica” all’insegna della sovranità popolare e della libera ed equa convivenza civile, ma che fu ben presto abbattuto dalla violenza, dagli intrighi e dall’offuscamento della ragione, fino alla più truculenta disumanità. Di tutto questo il libro rende edotti con un sottofondo di pathos in grado di muovere le intime corde dell’anima. I sottotitoli del volume chiariscono i termini della vicenda storica e l’intento della pubblicazione: “Gli eroi fasanesi della rivoluzione partenopea: Ignazio Ciaia, Anna

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Italo Gentile Teresa Stella, Michele Ciaia, Francesco Colucci, Luigi Notarangelo. E ancora: “L’orgoglio repubblicano di Martina Franca, Cisternino, Francavilla Fontana, Ostuni (l’orribile fine del dott. Ayroldi)”. I nomi sono quelli di autentici paladini del rinnovamento, dell’eguaglianza e del confronto democratico che immolarono la propria vita sull’altare di tali nobili ideali

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e di città distintesi per non aver disconosciuto il gonfalone della migliore tradizione repubblicana. La narrazione degli accadimenti che caratterizzarono Fasano ed altri centri della Valle d’Itria trovano particolare riferimento nella figura “luminosa” di Anna Teresa Stella, alla quale Gentile rende sentito e giusto omaggio fin nella prefazione “per aver onorato la specie umana”. Non è un’esagerazione. Moglie tranese di don Lorenzo Goffredi, la giovane donna incarnò letteralmente – e Gentile ne illustra sapientemente il modo e l’impeto più profondo - lo spirito dei nuovi tempi che letteralmente squassarono quell’epoca. Vigeva, allora, da una parte l’indigenza quasi assoluta di buona parte della popolazione, dall’altra l’ignavia di tanta parte della nobiltà che, tra gli agi, faceva riferimento a Napoli, al Regno di Ferdinando IV di Borbone. Molte madri in stato di assoluta povertà godettero dell’attenzione e della solidarietà di Anna Maria Stella, fino alla costituzione con altre donne, da lei efficacemente sensibilizzate, del “Sodalizio della Carità”. Spesso il suo slancio estremo e senza ipocrisie – nuovo per una donna a quei tempi - non venne compreso appieno nemmeno dal

2009 ROMANZO STORICO

2010 ROMANZO STORICO


illuminate dall’uso della ragione, dall’altro diedero la stura alle più turpi e represse nefandezze umane. La contesa trovò amaro epilogo quando dalla Sicilia si mosse un nutrito “esercito” di realisti con alla testa il cardinale Ruffo e Fasano non venne risparmiata dalla loro bieca azione restauratrice. Proprio Anna Teresa Stella ne rimase vittima innocente e indi-

Ignazio Ciaia, dignità nella morte Ignazio Ciaia, poeta e patriota fasanese fu un componente di spicco del Direttorio della Repubblica partenopea a Napoli. Quando fu condannato a morte dai giudici della monarchia Borbone, furono in molti a sollecitargli di inoltrare domanda di grazia al re Ferdinando IV. Ma lui rifiutò di inoltrare domanda di grazia con questa motivazione che il Gentile riporta nel romanzo, dimostrando una grande dignità di fronte alla morte. “E’ evidente che il mio corpo o la mia anima dovrà morire. Se presento domanda di grazia morirà la mia anima, se non la presento morirà il mio corpo, che comunque è sempre destinato a morire. Mai baratterò la mia anima, il mio credo, la mia interiorità per il mio corpo!”

indolore. Le prime vittime della polizia segreta borbonica furono Emanuele De Deo, Vincenzo Galiani e Vincenzo Vitaliani che Gentile ha il merito di citare e il lettore il dovere di ricordare. Proprio dal buio della cieca repressione si erge un’altra figura integerrima: Ignazio Ciaia, poeta e patriota fasanese, che per la sua granitica dedizione alla causa e per la limpida intelligenza ben presto divenne componente di spicco del Direttorio della neo Repubblica a Napoli, esperienza tanto breve quanto intensa. A Fasano l’aspro “confronto” si consumò tra i repubblicani Notarangelo, Ciaia, Pepe, Potenza e, in maggioranza, i realisti con a capo don Titta Colucci ma ingrossati dalla plebe di testarda osservanza monarchica. La radicalizzazione del conflitto di idee ma ben presto anche di mero potere, con la discesa in campo dell’esercito francese e successivamente di quello inglese, la fuga a Palermo dei Borbone e la proclamazione della Repubblica Partenopea, se da un lato destarono euforia e fiducia in forme di socialità giuste perché sempre

fesa. Napoli repubblicana capitolò e lo stesso Ignazio Ciaia trovò morte onorevole sul patibolo senza aver “pietito”, come più volte richiestogli, la grazia al Re. Un bel libro, che si legge con crescente piacere ed interesse per l’intimo coinvolgimento che è in grado di suscitare. Si narra di personaggi esemplari e di avvenimenti storici epocali che caratterizzarono anche la Puglia e che quindi è utile conoscere per valutare il nostro passato e l’evoluzione delle nostre genti e delle architetture sociali. Non ultimo merito di Gentile è quello di aver giustamente esaltato la passione civile e l’indomito coraggio di molti nostri corregionali che si batterono senza timore, ardentemente animati da speranza e orgoglio nelle facoltà di libero discernimento degli esseri umani, per i quali conviene ripetere il tributo finale dello scrittore: “a loro vadano commossa memoria e gli onori della Patria riconoscente, la bella, la cara, l’amata Fasano nostra”.

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marito, sempre comunque al suo fianco. Il vento dell’Illuminismo, il “contratto sociale” di Rousseau, il giacobinismo di Robespierre cambiarono la percezione della società e del vivere civile e Anna Maria Stella ne divenne naturalmente fedele ma mai faziosa interprete. Come sempre avviene, la fine di un’epoca e la messa in discussione degli status quo non si rivelò

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LIBRERIE & LIBRI

Boccasile, l’immagine è donna Fu il padre della celebre “Signorina Grandi Firme”, il creatore di immagini pubblicitarie ancora vive nell’immaginario collettivo e di famosi manifesti bellici degli anni del fascismo. Ricordi e testimonianze dell’illustratore barese in un libro a lui dedicato da Paola Biribanti edito da Castelvecchi. Morì giovane mentre si accingeva ad illustrare “Il Decamerone”

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itali, sfrontate, alla moda, capricciose e un po’ sbadate; malandrine nelle generose scollature, accattivanti, ma mai volgari. Erano così le donne disegnate da Gino Boccasile, l’illustratore barese che tra gli anni ‘20 e ‘50 fece innamorare gli italiani delle sue creazioni, prima fra tutte la Signorina Grandi Firme, che animavano riviste, manifesti pubblicitari, libri illustrati. Perché era la donna la prima Musa del pittore nato a Bari nel 1901. “Fu una donna a farmi diventare pittore”, affermava, aggiungendo “sono un pittore ottimista, perché vedo la

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vita dal suo lato più suggestivo: le belle donne”. E difatti ecco nascere dalla matita di Boccasile, come da una bacchetta magica, la giunonica donna della Pasta Ambra che solleva trionfante una gigantesca forchettata di spaghetti, la distratta e seducente Signorina che consolidò la fortuna della rivista Le Grandi Firme, e tante altre figure femminili rimaste vive nella memoria collettiva. Eccole sfilare per cartelloni e pagine di riviste con i loro cappelli larghi o cloche, in stile charleston o con ampie gonne sempre al vento, con tacchi vertiginosi come con scarpe finalmente comode e da lavoro; eccole liberarsi di velette e abiti che ne nascondevano le forme e indossare vestiti succinti o pantaloni. Eccole guidare la macchina, fumare, riempirsi di Borotalco, abbracciare un liquore, offrire un panettone, eccole passeggiare impettite nei loro abiti mondani o lavorare alla scrivania di un ufficio, sempre con i loro zigomi alti, le labbra turgide e i sorrisi bianchissimi. E in primo piano le gambe, quelle gambe lunghe, affusolate, da sogno, che furono più di ogni particolare la passione di Gino Boccasile: “Considero le gambe come la cosa più importante nella donna: per me il corpo femminile non è che il resto delle gambe”. D’altronde le modelle dei suoi disegni erano le donne (o meglio le gambe!) che incontrava per strada: “Vedo un bel paio di gambe e le

Gino Boccasile al tavolo da disegno, collezione famiglia Boccasile. La foto insieme all’altra a piè pagina del soldato di colore americano è tratta dalla monografia con testo di Paola Biribanti edito da Castelvecchi con copertina riportata nella stessa pagina seguo finché non sono in grado di riprodurle sulla carta da disegno”. Egli seppe cogliere, e tradurre col suo tratto guizzante e le immagini briose, un’intera epoca, i suoi sogni, la sua evoluzione, la mondanità, le tendenze, le novità commerciali. Una straordinaria capacità che è stata ben messa in luce dal libro di Paola Biribanti, giornalista nata a Terni, “Boccasile. La Signorina Grandi Firme e altri mondi” edito da Castelvecchi: una monografia dalla bella veste grafica che tra testi e immagini (molte delle quali inedite) ricostruisce il percorso personale e artistico del maestro come illustratore, pubblicitario e fautore


della propaganda politica. Perché, in effetti, l’attività artistica di Gino Boccasile fu poliedrica e complessa: illustrò riviste e libri, fu un pubblicitario assolutamente innovativo (è stato scritto che “ai pubblicitari di oggi insegnò la sintesi, l’essenzialità e l’impatto prima ancora che di queste cose se ne parlasse e se ne prendesse coscienza”), si dedicò con successo alla propaganda fascista e bellica con cartoline, manifesti e vignette divenuti celebri, ma la sua maggiore aspirazione fu quella di dedicarsi all’arte pura. E morì, giovane, a 51 anni, proprio mentre realizzava l’illustrazione del Decamerone di Boccaccio. L’opera di Boccasile è stata definita realista e difatti pochi artisti seppero interagire come lui con la propria epoca. Negli anni successivi alla prima guerra mondiale raccontò una donna in evoluzione, una donna che negli anni bellici era subentrata all’uomo nel lavoro in fabbrica, negli uffici e nelle campagne, che aveva mutato mentalità e abitudini, scrollandosi di dosso divieti e restrizioni. Negli anni ‘30 trasmise con le sue illustrazioni le atmosfere di una vita che si faceva sempre più moderna e accelerata: ecco dietro i figurini le sagome di macchine sfreccianti, simbolo dei nuovi miti del progresso e della velocità. Poi arrivò l’attività come cartellonista del Regime, cambiarono i protagonisti delle sue illustrazioni e, come scrive Paola Biribanti, la sua attenzione passò dalle famigerate gambe delle signorine alle mani degli uomini: mani possenti che impugnavano armi, martelli, bombe. Il corpo fu per questo artista la pagina su cui la Storia scriveva i suoi capitoli ed egli lo mise in primo piano, lo usò per rappresentare un’epoca ma anche per esorcizzarne le angosce: basti pensare alle donne che da filiformi si fecero abbondanti e ai bambini paffuti e ridenti, corpi che esorcizzavano gli anni terribili della fame e parlavano di ricostruzione e di invito al consumo. Con la sua straordinaria sensibilità, la capacità di cogliere le tante sfumature di un universo, soprattutto femminile, che in quegli anni ribolliva, e con quell’ironia che fu una delle componenti essenziali della sua produzione, Gino Boccasile seppe dare ragione al motto di “Dea”, rivista alla quale collaborò dal 1933: “La parola è d’argento, l’immagine è d’oro”.

I rapporti dell’artista con Bari Eccezionale testimonianza di una sua parente, Giuseppina Boccasile, feconda ricercatrice di storia e già direttrice della Scuola elementare “Mazzini” di via Suppa DI

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entre nelle librerie alcuni mesi fa si distribuiva il libro edito da Castelvecchi “Boccasile. La Signorina Grandi Firme e altri mondi” di Paola Biribanti e mentre si apprendeva che erano terminate le riprese, sotto la regia di Nico Cirasola, di un cortometraggio dedicato all’artista barese, NelMese ha incontrato Giuseppina Boccasile, parente del famoso Gi. Bi e già dirigente scolastica dell’istituto Mazzini di Bari. Appassionata di storia locale, Giuseppina Boccasile è autrice di “Quel che resta di Fra’ Giacomo. Un percorso identitario” (Wip edizioni) e con Vito Antonio Leuzzi di “Benvenuto Max. Ebrei ed antifascisti in Puglia” (Progedit) e di “Giandomenico Petronj. Interprete dell’ammodernamento

Giuseppina Boccasile e sotto la copertina, di un numero de “Le Grandi Firme”, dedicata alla Fiera del Levante e presentata alla mostra “La grafica di Gino Boccasile” realizzata a Bari nel 1990 e dei nuovi bisogni sociali di terra di Bari” (Wip). Oggi Giuseppina Boccasile è impegnata in un faticoso lavoro di ricostruzione storica delle vicende della sua famiglia, in parte comune al famoso Gino Boccasile: da un anno spulcia gli archivi di alcuni Comuni pugliesi alla ricerca di nuove informazioni che diligentemente appunta su vecchie agende e quaderni ormai ricchi, oltre che di fascino, di date, di notizie di matrimoni, di acquisizioni, e di tutte le altre tracce che quelle vite passate hanno lasciato con il loro passaggio. Singolare ed interessante perciò l’apporto della signora Giuseppina alla ricostruzione della figura di Gino Boccasile, sia per comprendere meglio quale fu, e tutt’oggi resta, il rapporto dell’artista con la sua città natale, sia per inquadrare la sua figura nella storia di un’intera famiglia. Gino Boccasile nacque a Bari, in via Quintino Sella, nel 1901, ma molto presto, a soli diciassette anni, si trasferì a Milano. Comincia così, tra la fame e gli stenti che per molto tempo dovette affrontare prima

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Anni Sessanta: egiziani in costumi storici al Festival delle “Bande militari” nello Stadio della Vittoria, una delle manifestazioni del “Maggio di Bari”. Sullo sfondo, a destra, il manifesto realizzato da Gino Boccasile per il “Maggio” con una gigantesca rosa in un’altrettanta grandiosa conchiglia, marchio della stessa manifestazione. L’immagine è tratta dal libro “Una Terra. Racconti e immagini di Puglia” con testi di Peter Zeller e fotografie del padre tedesco Helmut. Il libro realizzato dalla Gedim, la stessa casa editrice di NelMese, ottenne nel 1982 e negli anni seguenti un notevole successo. di arrivare al successo, la breve storia del maestro barese. Una storia che lo avrebbe tenuto sempre lontano dalla sua città d’origine. Nel volume edito da Castelvecchi si legge che il rapporto con Bari sarebbe stato per lui conflittuale: non ne condivideva mentalità e abitudini, ma sentiva di esserle indissolubilmente legato. Una conflittualità che però non risulta alla prof. Boccasile, che anzi ha ricordato come l’opera di Gi. Bi a Bari sia stata sempre molto presente. Gino Boccasile realizzò del materiale pubblicitario per la Fiera del Levante, fu autore del celebre manifesto del Maggio barese, la conchiglia con rosa, ed inoltre, come dimostra la documentazione fornitaci dalla prof. Boccasile, nel 1938 volle dedicare alla città di Bari la copertina del numero 367 di Le Grandi Firme: nell’illustrazione (riportata nella pagina precedente) la Signorina è ritratta nell’atto di reggere un grande cesto di frutta con il biglietto “Bari alla più bella fanciulla d’Italia”, mentre in basso si scorge la caravella simbolo di Bari e della Fiera del Levante. Ma oggi qual è il rapporto dei baresi con Boccasile? Bari ha dimostrato riconoscenza per l’opera del suo concittadino? Sappiamo che c’è una strada a lui intitolata nel quartiere San Paolo e una targa in via Prospero Petroni, dove egli abitava. “Bari non l’ha mai dimenticato” ha raccontato Giuseppina Boccasile “tutti lo conoscono, da sempre. Quando ero piccola sentivo parlare spesso di lui in casa, e poi all’università tutti mi chiedevano se fossimo parenti. Bari gli ha dimostrato molta riconoscenza, già allora molte ditte, come il Pastificio Ambra, si rivolsero a lui, e nel tempo ci sono state molte iniziative in suo onore”. Tra le manifestazioni Giuseppina Boccasile

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ha ricordato una mostra di alcune sue opere nel 1987, in occasione della VI mostra della Cartolina d’Autore, ed un’altra del 1990 su iniziativa del Barion Sporting Club e dell’Associazione cartofila barese. Sono trascorsi venti anni dall’ultima mostra a lui dedicata, ma oggi una nuova attenzione si focalizza su questo illustratore che dopo anni di difficoltà, durante i quali si spostò in Sud America e a Parigi, finalmente ricevette i giusti riconoscimenti collaborando con riviste femminili, realizzando cartelloni pubblicitari di successo, fondando con Franco Aloi l’agenzia pubblicitaria ACTA. All’improvviso le sue illustrazioni divennero celebri ed egli ricercatissimo. Quale fu l’ingrediente principale del suo successo? Cosa seppe cogliere della vita italiana dell’epoca che ad altri sfuggì o che altri non riuscirono a tradurre con la stessa efficacia? “Sicuramente - risponde la Boccasile - seppe cogliere l’evoluzione della donna, di una donna che non si riconosceva più nell’immagine dell’angelo del focolare promossa dal Regime. Nella concezione femminile fu un vero rivoluzionario, disegnò le sue signorine indipendenti e scoperte quando tutti i giornali dell’epoca rappresentavano le donne con la veletta sul capo”. E infatti ben presto la donna di Gino Boccasile, che si liberava di una pesante tradizione di remissione, fu “censurata”: Le Grandi Firme fu costretto a chiudere e la celebre Signorina nelle successive illustrazioni de Il milione sarebbe stata più prudentemente accompagnata da un giovane uomo. Eppure quello stesso regime fascista colse la forza d’impatto delle illustrazioni dell’artista barese, già riconosciuto come maestro della bellezza (tanto che veniva

chiamato spesso come giurato nei concorsi di bellezza), e lo scelse per la sua opera di propaganda politica e sociale. Gino Boccasile aderì al fascismo e se ne fece promotore attraverso la sua arte: sono celebri molti manifesti bellici e vignette violentemente anti-americane e anti-britanniche che portano la sua firma. “Oggi molti sostengono che Gino Boccasile avrebbe rinnegato la sua adesione al fascismo” spiega Giuseppina Boccasile “ma non è così, non la rinnegò mai né c’è motivo di affermare il contrario”. Con le sue illustrazioni Gi Bi trasmise tutta l’atmosfera di un’epoca da cui lui per primo fu influenzato: basti pensare all’influsso che negli anni Trenta ebbero sulle sue opere i miti del progresso e della velocità. “Gino Boccasile era un progressista mentalmente e culturalmente. Molto si può comprendere ricostruendo le vicende della famiglia da cui proveniva, una famiglia benestante e moderna, passata nel corso delle generazioni dalla coltivazione alla costruzione all’esportazione. Una famiglia della nuova borghesia”. Ed eccoci, grazie alla direttrice Boccasile e alle sue instancabili ricerche, a ricostruire per sommi capi la storia della famiglia del famoso Gino, una famiglia proveniente dal Veneto e che si insediò a Trani forse nel 1500. Qui, intorno al 1730, si trovava un folto gruppo di Boccasile o, meglio, di Boccasino. Il cognome Boccasile, infatti, derivando dal fiume Sile, li faceva individuare come veneti quando a Trani i veneziani non erano graditi. Perché si trasferirono? Nel 1700 Venezia aveva perso il suo potere commerciale ed il suo splendore, mentre Trani aveva la fortuna di essere nel Regno di Napoli negli anni in cui esso conosceva un importante avanzamento economico, soprattutto nel settore agricolo, e iniziava a prender piede la proprietà privata. In quel periodo furono molte le famiglie che si riversarono nel Regno di Napoli e, tra queste, la famiglia Boccasino/Boccasile, famiglia di coltivatori diretti che si stavano costruendo una propria autonomia. Un Giuseppe Boccasino si trasferì a Bisceglie dove, nel 1805, nacque quel Natale Boccasile da cui sarebbero discesi Gino e la stessa Giuseppina. Natale sposò la figlia di un maestro costruttore Antonia Storelli e, con lo sviluppo di Bari, i due vi si trasferirono per la costruzione del quartiere Murat. Negli anni la famiglia Boccasile consolidò l’attività di costruzione, anche attraverso una mirata politica matrimoniale: era una famiglia con una concezione economica che non permetteva disguidi. Il nonno di Gino, Luigi (1839-89), sposò Teresa Iannone e fu costruttore di via Beatillo. Gino non lo conobbe, e conobbe appena il padre AngeloAntonio, impiegato nell’azienda familiare nelle attività di import – export, poiché morì che egli aveva solo due anni. Gino crebbe senza grandi guide, seguito dalle zie. E soprattutto con la sua attività di artista fu, insieme al padre di Giuseppina, pilota, una mosca bianca nella famiglia Boccasile. Dalla quale riprese, però, la modernità. E tutto il suo lavoro artistico, in particolar modo quello ispirato alle donne del suo tempo e alla loro evoluzione, in nuce ma già prepotente, ne sono la più evidente testimonianza.


prosegue da pag. 33 ‘39). Uno spettacolo, a firma Antonio Calenda, novità assoluta per i teatri nostrani, tratto da un testo di Maria Letizia Compatangelo impreziosito dalle canzoni di Nicola Piovani, composte per l’occasione. Carlo Vallauri, «La Scena Illustrata», gennaio 2010 Sulla scena dell’Argentina Antonio Calenda, uno dei nostri registi più poliedrici, mette in scena la commedia della Compatangelo mostrando quindi come convenga non prendere troppo sul serio vanagloriosi padroni del mondo, demistificando così la loro pretenziosa superbia e valorizzando invece i tratti sarcastici d’ogni esperienza umana, secondo la fine trama tessuta dall’autrice. Un humor lieve e insieme pensoso che fa onore alla nostra prosa, congiungendo creatività artistica e chiara denuncia di ogni forma di oppressione sui diritti dei popoli e degli individui. La compagna del Teatro di Trieste ha fatto sfoggio delle qualità di un complesso sapientemente dotato ed in grado di affrontare la prova non facile, proprio a causa dell’esigenza di superare un argomento insidioso presentato con arguzia sottile. E il pubblico romano della “prima” ha mostrato di gradire lo spettacolo, intervenendo con ripetute risate spontanee nei momenti più scottanti. Mario Brandolin, «Il Messaggero Veneto», 13 novembre 2009 All’inizio è stato un film semplicemente delizioso. Vogliamo vivere di Ernst Lubitsch, di quel mago cioé della commedia leggera e di gran classe. Ma nella mani di Maria Letizia Compatangelo, altrettanto misurate e ben calibrate sulla scena, è diventato un copione,To be or not to be, che se fossimo in Francia si direbbe bién fait, di quella leggerezza di scrittura e di trama ben congegnata, tipica del gran teatro boulevardier. Come assai bien fait è lo spettacolo che Antonio Calenda ha confezionato su misura per due protagonisti di rango, Giuseppe Pambieri e Daniela Mazzucato, e un cast numeroso e affiatato, in scena dall’altra sera al Giovanni da Udine. (…) il gioco del teatro nel teatro scatena il suo potenziale di coinvolgimento accattivante e sagace, che cattura lo spettatore, lo diverte senza farlo abdicare alla sua intelligenza, senza appiattirlo a quei modelli televisivi che tanto danno hanno fatto e stanno facendo alla nostra cultura e alla nostra tradizione di un teatro, anche artigianale, ma comunque attento e rispettoso del pubblico.

CULTURA

Premio di poesia internazionale alla scrittrice Gianna Sallustio

Istanbul, Sala Ataturk del Titanic-Taxim Hotel. Nella fotografia il presidente della Giuria prof. Francesco Lusciano consegna il premio internazionale a Gianna Sallustio

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a nota e valente scrittrice di Molfetta Gianna Sallustio ha vinto il Primo Premio per la Poesia “Città di Istanbul: tra Oriente ed Occidente 2010”. Nella motivazione della Giuria si legge che: “in piena autonomia di stile che rifugge retoricume accademico, l’Autrice, colta lettrice della lirica di poeti turchi come Nazim Hikmet e Enis Batùr, ha reso con ispirata immaginazione e partecipazione il paesaggio dal Bosforo al Corni d’Oro; la lotta sociale di Hikmet per il suo popolo angariato, la speranza di un Medio Oriente rinsavito. La lirica di Gianna Sallustio nasce dalla profonda convinzione che, nonostante violenze e prepotenze dei vari poteri (finanziario, politico...), la denuncia del canto poetico è e rimarrà instancabile querela alle sopraffazioni; ‘ingenua’ resistenza nell’anelare ad altra Storia; eterna contesa di luce al buio degli ‘uragani’”. nelmese - 10/2010 - 39


EDILIZIA / FORMAZIONE

Dal cantiere allo scavo, si può Promosso dal Formedil-Bari il primo corso per operatore edile di scavo archeologico. La necessità di colmare un gap tra la figura dell’archeologo vero e proprio e quello del semplice manovale. Il Parco Museo Nazionale di Egnazia scelto come sede dello stage per i dodici allievi del corso per operaio. Vi partecipano anche alcuni neo laureati DI

ALESSIO REGA

I corsisti a lavoro presso il sito archeologico di Egnazia, a Savelletri in provincia di Brindisi

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a Puglia è una regione dalla storia millenaria. Nel corso dei secoli, infatti, varie civiltà si sono succedute e avvicendate lasciando tracce del loro passaggio, oggi riemerse grazie alla ricerca archeologica. Un lavoro, questo, che è tuttavia in continuo divenire e che necessita di figure sempre più specializzate, a partire dallo stesso archeologo fino ad arrivare al semplice manovale. Questa esigenza ha trovato una prima risposta in una innovativa iniziativa organizzata dal Formedil-Bari, l’ente bilaterale per la formazione professionale in edilizia, che ha organizzato il primo corso per operatore edile di scavo archeologico. Del progetto nel suo specifico e di altri significativi aspetti legati alla formazione professionale nel settore edile ne abbiamo parlato con il dott. Luigi Aprile, direttore della Scuola. Direttore, come è nata e come si è sviluppata l’idea di un percorso formativo del genere? Ce ne sono altri, che lei sappia, in Italia? Fondamentalmente la Scuola edile di Bari cerca sempre di sperimentare soluzioni innovative cercando di affiancarle ed innestarle al ben consolidato percorso di formazione di base che riguarda l’operaio edile e la varie figure classiche di tutto il ciclo dell’edilizia. Questo corso, nello specifico, è nato dall’incontro felice e quasi casuale con un’esigenza del Dipartimento di Scienze dell’antichità dell’Università di Bari con il quale abbiamo stabilito un protocollo di intesa. Dal lavoro nei diversi cantieri di scavo archeologici in cui il Dipartimento è impegnato in tutta la Puglia, in collaborazione con la Sovraintendenza per i beni archeologici, è emersa una necessità impellente. Ci si è accorti, cioè, che mancava una figura intermedia tra il puro manovale e l’archeologo, una figura quindi che avesse non solo tutte le caratteristiche dell’operaio edile ma, nello stesso tempo, anche tutte quelle nozioni e quelle competenze tipiche del settore archeologico. Da questa esigenza è nata l’idea di un percorso del genere. In Italia, probabilmente, è stato già fatto qualcosa di analogo ma non questa specifica caratterizzazione sintetizzata felicemente nella denominazione del corso la cui peculiarità è proprio la focalizzazione sullo scavo archeologico. Si può ben dire, quindi, che si tratta davvero di un corso innovativo a livello nazionale. Dopo il successo dello stage dei “Santi quattro coronati” con il Politecnico di Bari, adesso c’è questo accordo con l’Università degli Studi “Aldo Moro”. Una sinergia ben collaudata, quindi, questa con il mondo accademico. Un ente come il nostro, avendo come missione la formazione professionale per il settore edile, cerca di gestire questo suo ruolo istituzionale in una chiave sempre proiettata sul territorio, intesa in una serie di rapporti organici, proficui e innovativi con

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istituzioni culturali e accademiche ma anche con vari altri interlocutori come le associazioni no profit. Queste ultime, per esempio, possono veicolarci una tipologia particolare di utenti come è avvenuto nel caso dei corsi per operai rivolti ad ex detenuti o a giovani immigrati richiedenti asilo politico. Per quanto riguarda, invece, il rapporto con il Politecnico, è prevista una serie di iniziative utili per migliorare ed innovare la metodologia didattica, proprio come è accaduto di recente con lo stage dei “Santi quattro coronati”, iniziativa che sarà presto replicata. Tornando, invece, allo specifico del corso, quale figura professionale si prefigge di formare? Quanti sono gli allievi e come è avvenuta la selezione? Il corso si propone di formare una specifica figura professionale in possesso di un’adeguata preparazione relativa a tutto ciò che riguarda il contesto archeologico, tale da consentirgli di muoversi e agire, sia negli scavi che nei depositi museali, secondo procedure appropriate e metodologicamente corrette. Gli allievi che abbiamo reclutato sono in tutto dodici, su circa una trentina di candidature presentate. La selezione si è basata fondamentalmente su un criterio principale, e cioè la motivazione ad imparare questa tipologia specifica di mestiere. Sin dall’inizio abbiamo, comunque, sottolineato che il corso riguarderà principalmente una qualifica di operaio. Questo fatto, tuttavia, non ha scoraggiato ad iscriversi anche alcuni neo laureati in archeologia che, pur di far un’esperienza pratica e direttamente sul campo e di conseguenza arricchire il loro curriculum, hanno accettato di svolgere questo percorso formativo propriamente per operai. Alla fine del corso, inoltre, verrà rilasciato ai partecipanti un attestato di frequenza che è contemporaneamente anche una certificazione di competenze professionali. A tal proposito, volevo ricordare che il sistema Formedil, lavorando su standard formativi nazionali, permette agli operai che hanno seguito i vari corsi di poter sfruttare le competenza acquisite, che vengono registrate in un apposito libretto formativo, in qualsiasi cantiere italiano. Questo è un aspetto molto importante e il sistema edile è all’avanguardia sotto questo punto di vista. In che maniera è articolata l’offerta didattica? Quali sono le principali aree tematiche previste dal programma? E’ previsto uno stage? Il corso, della durata totale di trecento ore, prevede tre percorsi formativi: uno propedeutico e basilare, uno di stage e uno finale di perfezionamento. Per il primo e per il terzo la sede è quella del Formedil mentre per lo stage, il sito individuato è quello del Parco-Museo Nazionale Archeologico di Egnazia che per la sua vastità e complessità rappresenta il meglio che c’è in Puglia. Un


La sede di Bari del Formedil (Ente bilaterale per la formazione professionale in edilizia). Sotto, da sinistra, il presidente cav. lav. ing. Michele Matarrese e il direttore dott. Luigi Aprile

DIRETTORE APRILE: “Un ente come il nostro, avendo come missione la formazione professionale per il settore edile, cerca di gestire questo suo ruolo istituzionale in una chiave sempre proiettata sul territorio, intesa in una serie di rapporti organici, proficui e innovativi con istituzioni culturali e accademiche ma anche con vari altri interlocutori come le associazioni no profit”. mese in questo scavo rappresenta il top sia dal punto di vista didattico che per la sua valenza formativa. Qui c’è anche la possibilità di mettere insieme diverse tipologie di allievi. Oltre ai nostri stagisti, infatti, ci sono numerosi universitari ma anche un’intera classe sperimentale di archeologia del Liceo classico Flacco di Bari. E la cosa più interessante e proprio questa commistione tra aspetto accademico e aspetto professionale. Ognuno si trova sul cantiere con la propria specificità. Per tutta la durata del corso, inoltre, i nostri allievi sono seguiti da un corpo docente costituito da professionisti e docenti universitari esperti nelle tecniche costruttive e nello scavo archeologico. Per quanto riguarda le aree tematiche, invece, queste spaziano dalle nozioni di base riguardanti la cultura professionale edile, come ad esempio le tecniche costruttive e la lettura e l’uso del disegno tecnico, fino a quelle più specifiche del contesto archeologico come elementi di stratigrafia e sedimentologia oppure tecniche di individuazione, recupero e trattamento preliminare dei reperti archeologici sul campo e in deposito. Non mancano, inoltre, le norme che regolano la sicurezza in cantiere e l’applicazione pratica per la sicurezza dell’operatore. Il corso, come detto prima, è stato quindi creato per far fronte ad un fabbisogno esistente, ad una richiesta di manodopera specializzata nel settore. A tal proposito, com’è la situazione in Puglia? Ci sono molti scavi archeologici aperti? Esiste, quindi, una concreta opportunità di lavoro? La Puglia è per tradizione un territorio molto ricco di storia. La professoressa Raffaella Cassano, ordinaria proprio di Scienze dell’antichità, mi ha illustrato una sorta di mappa di luoghi e di situazioni molto interessanti da questo punto di vista. Per esempio, c’è un cantiere a Canosa, altri due nel leccese come a Vanze vicino Poggiardo o a Roca nei pressi di Melendugno e un altro ancora a Gioia del Colle. E poi c’è quello di Egnazia, dove i ragazzi appunto stanno svolgendo lo stage, che per la sua grandezza è sicuramente il più importante. Nel visitarlo mi sono accorto che è davvero una città enorme dove c’è ancora molto da scavare e lavorare. Tuttavia, purtroppo, i lavori di scavo vanno a rilento a causa della mancanza di fondi e quindi paradossalmente una iniziativa come la nostra può essere doppiamente utile. Dal punto di vista delle possibilità concrete di lavoro bisogna fare subito una premessa e dire che il settore edile sta attraversando la fase più acuta della crisi. Ciò significa che vengono aperti pochi cantieri e questo ovviamente si riflette sul mercato del lavoro. Tuttavia, la figura dell’operatore edile di scavo archeologico può essere utile anche nei normali cantieri per far fronte alla cosiddetta archeologia di emergenza quando, ad esempio durante uno scavo per costruire le fondamenta di un palazzo, può capitare di ritrovare un reperto archeologico e per cui

bisogna essere pronti a sapere come bisogna comportarsi. Per le imprese diventa necessario, quindi, avere un personale in grado di gestire una situazione simile, soprattutto nel caso delle grandi opere pubbliche. Noi, pertanto, abbiamo già allertato gli allievi del corso a non avere come unico orizzonte possibile per il loro lavoro soltanto il cantiere di scavo archeologico. Un altro aspetto fondamentale sul quale il Formedil pone la sua attenzione, come risulta anche dal programma del corso, è quello della sicurezza. Quanto una buona formazione permette di ridurre gli incidenti sul luogo di lavoro? La sicurezza è per noi un aspetto fondamentale. Formare alla sicurezza è un elemento trasversale a qualsiasi nostra azione formativa. La stessa formazione di tipo professionalizzante che noi eroghiamo agli operai è intrisa di contenuti di sicurezza. Nel momento in cui, per esempio, si insegna ad un lavoratore come si sta su una gru e come si costruisce un ponteggio, insegnargli il lato tecnico e quello di sicurezza è la stessa identica cosa. Sono due facce della stessa medaglia. Per quanto riguarda la relazione con gli incidenti sul lavoro, pur non essendoci dati statistici precisi, è del tutto evidente che la maggiore competenza professionale e la conoscenza delle norme di sicurezza legate ad ogni mansione e ciclo produttivo riducono notevolmente la possibilità che ci siano infortuni. Poi, ovviamente, ci sono situazioni a rischio soprattutto nei piccoli cantieri dove è più facile trovare operai a nero non sempre preparati e istruiti a dovere. Il mercato del lavoro, anche nel settore dell’edilizia, richiede una preparazione sempre più specializzata. Il Formedil con i suoi corsi ha intrapreso questa strada. Quali altre iniziative sono previste nell’immediato futuro? Come questo corso testimonia, noi del Formedil stiamo provando a diversificare il catalogo dei nostri corsi sempre però accanto ad una formazione di base che non deve mancare mai. In tal senso, stiamo per presentare alla Provincia di Bari un progetto, destinato a disoccupati e della durata di 1200 ore, per operaio edile polivalente in bioedilizia. Abbiamo cercato, quindi, di coniugare la figura polivalente dell’operaio edile, che in un cantiere deve saper svolgere quelle quattro-cinque mansioni fondamentali, con la bioedilizia e cioè con tutto ciò che riguarda i nuovi materiali e le tecniche di posa. Questo perché oggi il mercato dell’edilizia sta andando verso l’ecosostenibilità. Da questa analoga impostazione formativa è nato anche il corso per operatore edile di scavo archeologico. La nostra filosofia di fondo è quella di cercare di creare sempre un operaio polivalente al quale poi è possibile fornire tutta una serie di specializzazioni per facilitare una più immediata collocazione nel mondo del lavoro.

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ARTE

“Oltre il Mediterraneo”

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li eventi culturali itineranti “Oltre il Mediterraneo” continuano il loro percorso, dopo le esposizioni nel Porticato del “Museo Pascale” di Polignano a Mare, del “Museo Casa d’Amore” di Alberobello e del “Palazzo Roberti” a Mola di Bari, in altre quattro tappe: a settembre nel centro storico di Bari, ad ottobre a Modugno, a novembre ritorna a Bari presso il Fortino ed infine a dicembre nel “Palazzo Beltrani” a Trani sede della “Pinacoteca Scaringi”. La prima di queste ultime quattro esposizioni ha trovato ospitalità nel Centro Studi “Bona Sforza”, nella Strada Palazzo di Città, 43, gioiello architettonico di grande prestigio messo a disposizione dall’avv. Paolo Colavecchio, che ancora una volta ha dimostrato squisita sensibilità per l’arte contemporanea. A fare da cornice a tale importante manifestazione d’arte, gli antichi spazi al piano terra, le cui volte a botte in pietra costituiscono l’ideale alveo per ospitare le opere. Infatti, il carattere itinerante si dispiega alla valorizzazione dei palazzi storici della Puglia e di altri contenitori di rilievo architettonico, coniugando la bellezza dei lavori artistici alla storia e ai luoghi della nostra terra. La seconda mostra è stata ospitata presso il prestigioso “Palazzo Colavecchio” in via Conte Stella a Modugno, confermando la tradizionale dell’ospitalità del mecenate Paolo Colavecchio. Le finalità delle mostre e le iniziative dell’associazione promotrice “Cubart-Latino-Mediterraneo” ci sono state illustrate dall’art director Antonino Di Carlo, curatore delle rassegne.

attraverso convegni, conferenze, gemellaggi, concerti musicali, collaborazioni varie. Con esposizioni d’arte (pittura, scultura, performance, installazioni, video e multimediali) e con la partecipazioni a Expo nazionali ed internazionali di arte contemporanea.

Qual è l’attività dell’Associazione? Quella di organizzare eventi artistici

Come viene accolta questa iniziativa dai visitatori, di fronte a

Quali gli obiettivi salienti del progetto itinerante? Per prima cosa, l’opportuno confronto tra due distinte culture, appunto l’area Latino-americana e il Mediterraneo europeo: con l’intento di far conoscere l’arte al maggior numero di fruitori pugliesi e, al tempo stesso, il valore architettonico dei luoghi dove si è pensato di collocare le diverse mostre. Così tale pluralità artistica arricchisce il visitatore nella fruizione dei differenti linguaggi. Esiste un ideale collegamento fra gli artisti? Nell’arte latino-americana si fondono le radici di cultura africana e pre-colombiana con successiva influenza spagnola, passando da Picasso alle esperienze pop della Scuola americana anni Sessanta e oggi, per effetto della globalizzazione, altri linguaggi avanzano in libertà. Possiamo evincere questa scelta di autori, proprio con la precisa intenzione di poter raggiungere un collegamento fruttuoso che si dilata nella latinità: “Oltre il Mediterraneo” con la presenza di noti artisti internazionali, Jorge Santos, Carlos Llanes, Kender Santiago, Julia Valdes, Eduardo Exposito, Tommy Lacalamita, Armando Tejuca, Tina Sgrò, i cui linguaggi vanno dalla pittura, scultura, alla fotografia, ai video e alle installazioni.

Mostra di arte contemporanea in siti di grande valore storico. Organizzatore degli eventi l’art director Antonino Di Carlo. L’ospitalità in prestigiosi palazzi di Bari e Modugno dell’avv. Paolo Colavecchio

Due scorci della galleria “Bona Sforza” in Strada Palazzo di Città 43, nel centro storico di Bari tante identità geograficamente differenti? Con stupore, di trovarsi cioè di fronte una differente qualità nelle opere i cui concetti, essenzialmente nella storia personale di ogni artista, rivelano un livello di creatività inaspettato per il nostro pubblico. D’altronde, siamo poco informati su ciò che accade a livello internazionale; penso a Basilea, Berlino, Miami. Ma distinguere fra lo stupore della gente comune e l’interesse di fruitori, avvezzi alla conoscenza dei fatti contemporanei, porta ad un parallelo punto di collisione percettiva e giudizi inaspettati. Per il futuro si delineano altre iniziative culturali con l’arte latino-americana? Stiamo pianificando progetti che porteranno l’Arte Latino Americana a confronto con culture di altri paesi: Africa, Cina ed in special modo quella indiana, territori ritenuti in forte fermento culturale. Inoltre, puntiamo allo sviluppo e realizzazione di opere d’arte contemporanea legata all’art designer. (l.)

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