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nelmese periodico di Cultura Medicina Turismo Economia direttore responsabile

NICOLA BELLOMO sommario n.2/2010 anno 44esimo Edizioni NUOVA GEDIM S.R.L. Direzione - Amministrazione - Pubblicità via Suppa, 28 - tel. 0805232468 - 70122 Bari - NUOVA GEDIM S.R.L. iscritta alla Camera di Commercio di Bari il 14/01/2008 al numero 503184 - “NELMESE” periodico di cultura medicina turismo economia iscritto al n. 333 del “Registro dei giornali e periodici” del Tribunale di Bari 9/11/1967 - Spedizione in abbonamento postale comma 34 - art. 2 - Legge 549/95 Filiale di Bari - E’ vietata la riproduzione, anche parziale, di scritti e la riproduzione in fotocopia -. Nicola Bellomo ideazione Grafica. - Stampa: Pubblicità & Stampa Via dei Gladioli 6 - 70026 Modugno/ Bari - tel. 0805382917 ABBONAMENTO ANNUO PER IL 2010 Euro 32,00 - LA COPIA - euro. 3,20 (con copertina plastificata euro 3,50) - CONTO CORRENTE POSTALE 000088305263 INTESTATO A NUOVA GEDIM S.R.L. - VIA SUPPA 28 BARI 70122 BONIFICO BANCARIO SU C/C N.1000/61567 intestato a NUOVA GEDIM SRL VIA SUPPA 28 - 70122 - BARI DEL BANCO DI NAPOLI, FILIALE 0620 VIA ABATE GIMMA 101 BARI IBAN IT41 D010 1004 0151 0000 0061 567

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Libro di Adda Editore per la Banca Popolare di Puglia e Basilicata

CONSOLATI

Intitolata alla Repubblica baltica un’arteria cittadina

BARI E LA LITUANIA SI INCONTRANO PER STRADA

DIALOGHI SUL MARE NOSTRUM Il presidente avv. Raffaele D’Ecclesiis

DIRITTO

Suggestivo itinerario nei Comuni della provincia di Bari

All’inaugurazione dell’Anno giudiziario del Distretto di Bari

GIUSTIZIA, IN ROSSO PERPETUO

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di Nicola Bellomo

ELEZIONI AMMINISTRATIVE

PRESIDENTE REGIONE PUGLIA, I TRE IN CORSA, VENDOLA, PALESE, POLI BORTONE 10 RILEGGENDO IL PASSATO

Un episodio del 12 febbraio 1976

MORTE A BARI DI UNO SCOZZESE VOLEVA STABILIRSI NEL SOLE? di Giovanni Dello Russo

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Alla presentazione di 4 manuali dell’Ordine Nazionale Giornalisti

di Claudia Serrano

di Adriano Cisario

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Raccolta di prolusioni, lezioni e relazioni edito dalla FrancoAngeli

DIOGUARDI, MOSAICO DOC di Adriano Cisario

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Fotografie di studenti del Politecnico e allievi dello Iam

INSIEME PER CAPIRSI E PER CRESCERE

di Concita Leozappa

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Edito da Casa Laterza libro sull’alimentazione-cultura

IN CUCINA PER FILOSOFARE

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di Claudia Serrano

FUORICASA

Festival Internazionale del Cinema

LAUDADIO, UN BARESE DEL MONDO

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Impressioni di una giovane donna trasferitasi da Gorizia

BARI SI’, MA NON IL TRAFFICO di Giorgia Bini

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RICORDI

Libro edito dalla Cacucci con testi del ministro Frattini e della prof. Spatafora dell’Università di Roma

MINORI, COSI’ LA TUTELA

SILVIO PANARO, AMORE E STORIA

di Marisa Di Bello

LIBRERIE & LIBRI

GIORNALISMO ALLO SPECCHIO

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di Claudia Serrano

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di Alessio Rega

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In programma una serie di manifestazioni per il celebre musicista

TRE ANNI PER RICORDARE NINO ROTA

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di Adriana De Serio

La scomparsa del noto commerciante

GIUSEPPE PEPE, RICONOSCIMENTI INTERNAZIONALI

di Nicola Bellomo

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EMERGENTI

I successi di una giovane artista Claudia Lucia Lamanna

UN’ARPA PER SOGNARE

di Claudia Serrano

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SERVIZI / GASTRONOMIA

Nuovo ramo d’azienda del ristorante del Barialto Golf Club di Casamassima. Intervista ad Anna Degennaro

CATERING & ORGANIZZAZIONE EVENTI, IDEE VINCENTI! 27

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CONSOLATI

Bari e la Lituania

si incontrano per strada Intitolata alla Repubblica baltica un’arteria cittadina. Il profondo legame tra il capoluogo pugliese e la Lituania. Il costante impegno del console generale onorario Lilia Fortunato Tatò

“B

ari è la prima città italiana ad intitolare una sua strada alla Lituania. Per un paese piccolo come il nostro è un grande onore. Bari, oggi, è per noi lituani la capitale d’Italia”. Con queste semplici parole l’ambasciatore lituano a Roma, Petras Zapolskas, ha espresso il suo sincero ringraziamento alle autorità, ai rappresentanti del Corpo consolare ed ai baresi presenti nella gremita sala consiliare di Palazzo di Città, in occasione della cerimonia di intitolazione di un’arteria stradale cittadina alla repubblica baltica.

A via Libia e a via Somalia, reminescenze di un passato coloniale ormai lontano, si è quindi aggiunta adesso anche via Lituania. Un’ulteriore testimonianza di quella che è la reale vocazione di Bari: ponte verso l’Europa Orientale, verso quel Levante che è simbolo di apertura al mondo e all’altro. Il legame tra il capoluogo pugliese e la repubblica baltica affonda le sue radici nella storia, trovando nel nome di Bona Sforza, regina di Polonia, granduchessa di Lituania e duchessa di Bari, l’ideale anello di congiunzione tra due terre

Il prefetto di Bari Carlo Schilardi e il sindaco Michele Emiliano

L’assessore alla Toponomastica Antonella Rinella che ha proposto l’intitolazione di una strada alla Lituania, il vice presidente del Consiglio comunale Massimo Posca e Aldo Iannone presidente della II Circoscrizione nell’ambito della quale è situata la strada intestata alla Lituania nelmese - 2/2010 - 6

La motivazione della dedica della strada alla Lituania approvata dalla Giunta municipale su proposta dell’Assessorato alla Toponomastica Nel 2009 la città di Bari ha accolto i rappresentanti della Lituania per celebrare con loro la Festa dell’Indipendenza ed il millennio di denominazione della capitale Vilnius della Repubblica della Lituania, che per il 2009 è stata designata città europea della cultura. Considerando lo stretto rapporto di amicizia che ormai da anni lega Bari alla Lituania, l’Assessorato alla Toponomastica propone di ricordare la nazione, dedicandole una strada della II Circoscrizione S.Paolo Stanic, individuata provvisoriamente Traversa Olbia.

geograficamente distanti ma entrambe accumunate da un forte sentimento identitario e di difesa delle proprie civiltà e tradizioni. Un rapporto di amicizia e di rispetto tra i due paesi che, come ha evidenziato il sindaco di Bari Michele Emiliano, si è ulteriormente rinsaldato grazie alla sensibilità e all’attivismo costante di Lilia Fortunato Tatò, console generale onorario di Lituania con giurisdizione in Puglia, Campania, Basilicata e Calabria. A tal proposito, il prefetto del capoluogo pugliese Carlo Schilardi ha sottolineato l’importante ruolo svolto dai consoli, i quali sono per Bari una grande ricchezza in quanto contribuiscono, con la loro incessante opera, ad esaltare lo spirito di apertura della città verso l’esterno. La cerimonia di intitolazione si è svolta, come ricordato da Lilia Fortunato Tatò, in concomitanza con il ventesimo anniversario dell’indipendenza lituana e a seicento anni di distanza dalla battaglia di Grunwald che vide le forze congiunte lituane-polacche avere la meglio sull’Ordine Teutonico. Ma ciò che accomuna Bari e la Lituania, ha proseguito il console Tatò, è sicuramente la figura di Bona Sforza, figlia di Gian Galeazzo, duca di Milano, e di Isabella d’Aragona, e moglie di Sigismondo I re di Polonia. Il legame tra Bari e l’amata regina è stato talmente intenso che la città ha fatto propri i colori, il bianco e il rosso, presenti nel suo stemma reale. Un ritratto più analitico della granduchessa di Lituania è stato tracciato da Cosimo Damiano Fonseca, accademico dei Lincei. Quest’ultimo ne ha esaltato i meriti, sottolineando come Bona Sforza riuscì, durante il suo regno, ad


Lo stemma araldico della Lituania, l’ambasciatore a Roma Petras Zapolskas e il console generale onorario di Lituania Lilia Fortunato Tatò (foto Vito Signorile) attuare importanti riforme dell’apparato statale, migliorando l’amministrazione di grandi proprietà terriere. La regina di Polonia, inoltre, diede vita ad una vera rivoluzione culturale ed artistica facendo fiorire il Rinascimento anche nel Granducato di Lituania. Fonseca, nel suo intervento “Lituania-Italia: un rapporto antico”, ha infine ripercorso idealmente la via che da Bari arriva fino alla Repubblica baltica, seguendo le orme di chi concretamente ha compiuto nei secoli questo percorso e focalizzando l’attenzione su due pugliesi che si sono spinti nelle lontane terre lituane. Il primo, di cui si hanno notizie più o meno certe, è stato Raimondo del Balzo Orsini, il quale potrebbe aver fatto parte, nell’inverno 1377-78, di una spedizione papale par-

tita da Napoli contro i Lituani pagani. Notizie, invece, più dettagliate sono quelle che riguardano il gesuita Michele Salpa. Nativo di Martina Franca ed imparentato con i conti di Conversano, nel 1610 padre Salpa divenne rettore dell’Accademia di Vlnius, considerata insieme a quella di Cracovia, il più importante centro universitario del nuovo Stato, la Repubblica delle Due Nazioni, posto sotto la dinastia degli Jagelloni. Oggi la Lituania, come ha ben evidenziato nella sua analisi la professoressa Enrica Di Ciommo, ordinaria di Storia contemporanea dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, è finalmente una repubblica indipendente, che ha saputo ricostruire la sua identità facendo leva sull’orgoglio per un passato importante ma anche su quelle dolorose

Il prof. Cosimo Damiano Fonseca, accademico dei Lincei, e la professoressa Enrica Di Ciommo ordinaria di Storia contemporanea all’Università di Bari

ferite che ne hanno segnato la storia. Il Novecento, in particolar modo, è stato infatti per il paese baltico un secolo dal duplice volto, testimone da un lato della sua caduta e dall’altro della sua rinascita. Due date, a tal proposito, sono emblematiche di questo dualismo. La prima rimanda al 1945 quando, in seguito al Trattato di Potsdam siglato al termine del secondo conflitto mondiale, fu formalizzata l’annessione della Lituania all’Unione Sovietica. Ebbe inizio così un lungo periodo di dittatura comunista, culminato con la deportazione in Siberia di circa un milione di dissidenti politici ma anche di semplici cittadini contrari al regime. I sovietici operarono in quegli anni una vera e propria politica di spersonalizzazione identitaria tanto che la Lituania fu definita una “lingua ed una nazione negata”. La seconda data significativa è l’11 marzo 1990, giorno in cui la Lituania, prima fra le repubbliche baltiche, proclamò la sua indipendenza dalla Russia. L’Italia fu la prima nazione europea a riconoscerne il nuovo stato. Da allora per il paese baltico è stato un continuo crescendo, con lo smantellamento di tutte le strutture del Socialismo reale e la contemporanea apertura alla modernità e ai suoi valori di democrazia e di rispetto delle libertà individuali. Questo impervio e faticoso cammino ha raggiunto il suo apice nel 2004 quando la Lituania è entrata a far parte dell’Unione Europea, scrivendo in questo modo una delle pagine più belle della sua lunga, dolorosa e gloriosa storia.

Alessio Rega

L’AMBASCIATORE DI LITUANIA IN VISITA UFFICIALE ALLA PROVINCIA DI BARI Il presidente della Provincia di Bari, prof. Francesco Schittulli, ha ricevuto in visita ufficiale l’Ambasciatore di Lituania a Roma, Petras Zapolskas – per la prima volta a Bari – accompagnato dal Console generale di Lituania, Lilia Fortunato Tatò. Sottolineando i legami che uniscono il capoluogo pugliese con il Paese baltico - Bona Sforza, oltre che Regina di Polonia e Granduchessa di Lituania, fu anche Duchessa di Bari – Francesco Schittulli ha affermato, tra l’altro: “Auspico la realizzazione di un protocollo d’intesa sui temi economici, culturali e turistici tra lo Stato della Lituania e la Provincia di Bari. Spero che un’intesa di questo tipo possa essere condivisa anche dall’Unione delle Province Pugliesi”. Sia l’Ambasciatore che il Console generale di Lituania hanno accolto favorevolmente la proposta, sottolineando che lo Stato italiano è stato il primo a riconoscere la Lituania e che importanti possono essere in futuro i progetti da coltivare insieme alla Provincia di Bari. nelmese - 2/2010 - 7


DIRITTO

Giustizia, in rosso perpetuo DIAGNOSI E TERAPIE PER LA GRANDE MALATA

Alla inaugurazione dell’Anno giudiziario del Distretto di Bari messi a fuoco i problemi ancora non risolti. I discorsi del presidente della Corte d’Appello Vito Marino Caferra, del procuratore generale Antonio Pizzi e del presidente dell’Ordine distrettuale degli Avvocati Manuel Virgintino

E

nnesima replica dello “spettacolo” della Giustizia. Tutto come prima, anzi peggio. Purtroppo, la macchina della Giustizia non va. I suoi atavici mali rimangono senza soluzione, nonostante le buone intenzioni a cominciare da quelle del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, che recentemente ha sollecitato una radicale riforma che non può essere bloccata da un clima di sospetto tra le forze politiche. Dopo questa realistica premessa, riportiamo un’essenziale sintesi dell’elencazione di quanto è successo dall’1 luglio 2008 al 30 giugno 2009 nel Distretto giudiziario di Bari, fatta dal presidente della Corte di Appello di Bari prof. Vito Marino Caferra all’inaugurazione dell’Anno giudiziario 2010, accompagnata da sollecitazione per interventi inderogabili e urgenti. Affermato che ogni anno l’amministrazione della Giustizia si rende visibile alla società civile e che l’ordinamento non conosce altre forme di comunicazione pubblica di pari rilievo, il presidente ha osservato che è vietato ai magistrati e non solo a loro “iniziative estemporanee di comunicazione che creano solo confusione nell’opinione pubblica e gravi problemi di equilibrio istituzionale”. Quindi, riferendosi a quanto detto dal Capo dello Stato, “serenità e riservatezza di equilibrio” non possono essere sostituite da “visioni improprie e smanie di protagonismo personale”. Per gli stessi motivi, analoga osservazione, anche se su un piano diverso, va estesa a “quegli operatori dei media che tendono, con varie forme, ad alimentare i vizi del circuito mediatico-giudiziario”. Il presidente Caferra ha rinviato alla lettura dettagliata della “Relazione sull’amministrazione della giustizia del Distretto di Bari”, distribuita a tutti i presenti ed ai giornalisti, e si è soffermato solo sui principali capitoli. Primo. Nel settore della giustizia civile, utile l’iniziativa dei magistrati del Distretto di “individuare linee-guida” da adottare in tema di risarcimento del danno alla persona. Nell’ambito del diritto di famiglia permane alto purtroppo il numero delle procedure di separazione personale tra coniugi, consensuali e giudiziarie, con notevole incremento dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione. Una dinamica simile si è verificata in materia di divorzio. Situazione di vera e propria crisi nel settore del lavoro e della previdenza ed assistenza obbligatoria, in considerazione dell’e-

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di Nicola Bellomo

norme numero di cause che annualmente si riversano nei tribunali. D’altro canto è scaturita la necessità di contrastare l’abuso del processo nel contenzioso previdenziale. Positiva la soluzione stragiudiziale delle controversie civili e commerciali mediante la mediazione svolta da organismi professionali e indipendenti stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione. Per quanto riguarda le adozioni e gli affidamenti, l’alto magistrato ha detto che sono limitate poichè sono diminuiti i bambini abbandonati. Di contro, sempre più diffuso è il ricorso all’adozione internazionale. Le anomalie maggiori emergono nel campo della giustizia penale. Sono in corso i cosiddetti maxi processi mentre un forte incremento è dovuto all’iniziativa penale della Direzione Distrettuale Antimafia. In aumento, specialmente nel circondario di Foggia, la presenza di associazioni criminali di stampo mafioso che “ruotano essenzialmente intorno al traffico di sostanze stupefacenti, ricorrendo anche alla consumazione dei delitti di usura e di estorsione”. Il Presidente ha poi riferito che è sempre alto il numero di prescrizioni dovuto ai tempi non brevi del processo ed ha lamentato che il costo complessivo delle intercettazioni telefoniche ed ambientali è aumentato di circa il 18% e di conseguenza sono diminuite le stesse intercettazioni. Nota dolente per quanto riguarda il numero dei detenuti al 31 agosto 2009. Diminuiti nel 2007 per effetto della legge sull’indulto, successivamente si è avuto un incremento. La presenza di 2257 detenuti è andata ben oltre la complessiva capienza tollerabile, di 1879, degli istituti di pena del Distretto. Ancora disagi e disfunzioni per quanto riguarda il processo penale. Le fasi preliminari o le misure cautelari, al di là della loro frequente enfatizzazione mediatica, sono e devono restare strumentali al giudizio e alle decisioni che spettano ad un giudice terzo ed imparziale. Pertanto, soltanto la corretta interpretazione di queste regole rende credibili le iniziative delle parti e le conseguenti decisioni del giudice e, in definitiva, conferisce legittimazione democratica alla funzione giudiziaria. Attenti però, ha precisato Caferra: “La legittimazione che, non potendo semplicemente derivare dal concorso di accesso alla magistratura, deve fondarsi sulle provate qualità etico-professionali degli operatori del diritto i quali non devono mai smarrire il senso del limite della funzione giudiziaria. Ma di fronte ai principi


del giusto processo purtroppo la realtà cato del lavoro e l’alterazione illecità della giudiziaria presenta troppe gravi disfuncompetizione economica spiegano perchè zioni di un processo che per molti aspetti il divario territoriale sia così accentuato si rivela un processo ingiusto”. nella litigiosità del Distretto rispetto a Ancora un elemento negativo: la durata quello nazionale e nella riaggregazione dei processi, il problema più grave della dei ceti criminali intorno alle formazioni giustizia italiana. A tal proposito è diffusa malavitose storiche. E non è poco. la consapevolezza che “il principio della Qualche esempio. La penetrazione criragionevole durata del processo impone minale nel settore agro-alimentare che un vero e proprio obbligo di risultato che realizza un drenaggio illecito di pubbliche impegna non solo lo Stato ma a vario contribuzioni e per l’alterazione del mertitolo tutti gli operatori del diritto”. cato del lavoro soprattutto per il fenomeIl presidente Caferra ha affrontato, a no migratorio clandestino. questo punto, l’argomento “dichiarato Ancora. Diffusi nella rete criminale il trafobiettivo di razionalizzare e accellerare i fico di sostanze stupefacenti, estorsioni, processi”. gestione di video-giochi di azzardo, forme E’ una “questione” con molte sfaccettatumarginali di contrabbando ai quali si agre che pone “con urgenza anche problemi giungono nuove e ancora più preoccupandi equlibrio istituzionale, nei rapporti tra ti forme di organizzazione criminale come politica e magistratura”. E’ fuori discussiol’usura organizzata e le frodi finalizzate ne il primato del potere legislativo “senza all’indebita concessione di contributi codimenticare che la soluzione ai grandi munitari e statali, sino alla prostituzione problemi del vivere civile passa attraverso straniera e all’utilizzazione di manodopera il primato dell’etica sulla politica”. transfrontaliera, soprattutto nel settore Un’altra causa delle disfunzioni è dovuta bracciantile. al sovraccarico del lavoro e all’inadeguaAncora esempi. Il confronto armato tezza dei mezzi a tutti i livelli. tra clan rivali nella provincia di Foggia Il presidente della Corte di ApTra questi la mancata realizzazione di “produce” almeno una ventina di omicidi pello di Bari prof. Vito Marino idonee sedi giudiziarie dalle quali dipenall’anno. Centomila le cause di lavoro nel Caferra. de l’efficienza e la sicurezza ma anche il Tribunale di Foggia. Di fronte a questi Nella foto accanto al titolo, l’edecoro della funzione giudiziaria. fenomeni la risposta giudiziaria deve sterno del Palazzo di Giustizia di Per quanto riguarda, appunto, la quemuoversi con assoluta unità di intenti. Piazza De Nicola stione dell’edilizia giudiziaria nella città di Quindi è necessaria una nuova strada e Bari, Caferra ha lamentato che “mancano una moderna cultura della legalità che (Foto di Antonio Pellegrino / Cromiae) ancora le necessarie e responsabili inizia“voglia uscire dall’accerchiamento asfittico e autoreferenziale dell’eterna diagnosi senza rimedio”. tive di ordine politico-amministrativo per una soluzione ragioneIl procuratore ha allargato il discorso affermando che “noi mavole del problema”. Il riferimento è chiaramente alla cosiddetta gistrati, amministratori della giustizia, dobbiamo confrontarci “Cittadella della Giustizia”. spesso anche con l’insufficenza della legge stessa. Per questo Il tutto è aggravato dal fatto che aumenta sempre di più la domotivo succede spesso che il giudice si trasforma da amminimanda di giustizia e quindi l’attività giurisdizionale tanto che si stratore della giustizia a legislatore di fatto, conferendogli una può parlare anche di “abuso del processo”. funzione di supplenza non gradita e abnorme”. Qui il presidente Caferra riferendosi, appunto, alla proliferazioCitati alcuni brillanti risultati per la repressione di clan malavitone di procedimenti penali ha lamentato alcune incongruenze: si, frutto di un coordinamento positivo con le forze dell’ordine. “Non si deve chiedere e disporre il giudizio quando gli elementi Purtroppo, questa tenace attività contro l’attività comune orgaacquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere nizzata si scontra - ha lamentato il procuratore generale - con l’accusa di giudizio” e che pertanto è richiesto un approfondito tempi processuali che, pur nel doveroso rispetto di tutte le gaesame della sostenibilità dell’accusa al dibattimento. ranzie difensive, sono di durata intollerabile. Di qui la necessità Quindi, bisogna evitare l’uso indescriminato della denunzia penadella riduzione dei tempi processuali e la riforme necessarie da le. Di qui la necessità, anche questa evidenziata dal presidente tempo indicate dagli operatori della giustizia. della Repubblica, di urgenti misure di riforma volte a scongiurare Tra i vari interventi la razionalizzazione e la revisione degli oreccessi di discrezionalità e rischi di arbitrio. ganici dei magistrati e soprattutto del personale amministrativo. Il presidente della Corte ha voluto concludere con un motivo di Inoltre, è necessario rivitalizzare l’informatizzazione del procesottimismo: “Non mancano le coordinate culturali di una radiso per sgravare le cancellerie da enormi moli di lavoro. cale inversione di tendenza. Come insegna la Suprema Corte, Di qui la considerazione del dott. Pizzi che contrastare la cril’evoluzione del quadro legislativo, ordinario e costituzionale, minalità nelle regioni ad alta densità significa aiutare la ripresa fa emergere l’esigenza di sburocratizzare la giustizia, non più economica delle stesse, significa bonificare l’humus sociale nel espressione esclusiva del potere statale ma servizio per la colletquale prolifica la legalità, significa ridare respiro all’imprenditore tività per l’efficienza delle soluzioni e la tempestività del prodotto sentenza. Di qui è indispensabile, accanto alle riforme legislative, un’autoriforma della giustizia che deve scaturire da un profondo rinnovamento culturale e da una collettiva assunzione di responsabilità”.

IL PROCURATORE GENERALE Dal canto suo, il Procuratore generale della Repubblica dott. Antonio Pizzi ha realizzato una lettura globale e dinamica delle linee di tendenza del fenomeno giustizia del Distretto-cardine di una regione ad alta densità criminale. Il dott. Pizzi ha detto che qualsiasi ragionamento su questa pesante situazione non può essere soltanto esaminato dal punto di vista dell’accusa ma bisogna procedere ad un’attenta analisi delle realtà socio-economiche del territorio per la loro diretta incidenza sui flussi processuali e sulle risposte di legalità. Purtroppo vari rapporti sulla qualità della vita in Italia collocano le città del Distretto agli ultimi posti mentre, di contro, sono al primo posto per quanto concerne i reati. Il basso tenore e la ridotta qualità di vita, le anomalie del mer-

Il procuratore generale della Repubblica dott. Antonio Pizzi nelmese - 2/2010 - 9


onesto e speranza di un lavoro stabile. Quindi, un impegno del procuratore generale ad attivare tutte quelle sinergie per migliorare il prodotto finale del sistema giustizia. Pertanto, per la delicatezza delle sfide, tutti gli operatori giudiziari sono chiamati a sforzi unitari e a disponibilità nuove, senza infincimenti o pigre indulgenze perchè l’obiettivo finale è quello di tener fede alla promessa costituzionale del diritto di ognuno, anche se debole e indifeso alla propria inviolabilità morale e sociale. Scroscianti applausi.

IL PRESIDENTE DELL’ORDINE DISTRETTUALE DEGLI AVVOCATI L’Avvocatura italiana attraversa la crisi più grave della sua lunghissima storia. Molte sono le responsabilità che gravano sulla nostra categoria professionale e per questo siamo alla ricerca di nuovi assetti organizzativi che ci consentano di rimediare. Gli errori del passato, causati dalla intrinseca debolezza del nostro apparato e dalla incapacità di fare fronte comune, infatti, ci hanno costretti nell’angolo. Certamente, la c.d. Legge Bersani ancora oggi in vigore, ha contribuito ad assegnare agli Avvocati italiani il colpo di grazia: chi, però, nel 2006 ha cavalcato la tigre della (inutile) protesta dell’avvocatura, non ha fatto seguire i fatti alle parole e la riforma della legge professionale (nella quale si prevede, tra l’altro, la reintroduzione della inderogabilità dei minimi tariffari e del divieto del patto di quota lite), langue nel limbo delle carte licenziate dalla Commissione giustizia del Senato, i cui componenti vanno ringraziati per l’opera svolta, in attesa di trovare un varco fra un processo breve e l’altro. E, intanto, gli ideologi della liberalizzazione all’italiana (che, di fatto, ha penalizzato soltanto gli Avvocati) hanno anche l’avventatezza di affermare, dai salotti televisivi che sono adusi a frequentare, che bisogna occuparsi della grave crisi nella quale versano i Professionisti. Non solo, ma i provvedimenti legislativi che si affacciano all’orizzonte, non ci lasciano affatto tranquilli: il decreto legislativo sulla mediazione finalizzata alla conciliazione obbligatoria, senza previsione di assistenza legale obbligatoria per le parti, presenta molteplici aspetti d’incostituzionalità; sento il bisogno di ringraziare pubblicamente l’Avv. On. Cinzia Capano che si sta battendo, con pochi altri, perché i nuovi istituti siano adottati nel rispetto non solo dell’art.24 della Costituzione della Repubblica Italiana ma anche dell’art.82 del codice di rito. Per la verità, le critiche a tale progetto muovono dall’intera avvocatura italiana (in prima linea, dal Consiglio Nazionale Forense e dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura), anche per le pesanti e non calcolate ricadute sul sistema giudiziario, che in questa sede non è possibile trattare per evidenti ragioni di tempo. Certo è che prima ancora che queste proposte legislative vengano alla luce, già proliferano corsi di preparazione al mestiere di conciliatore, a prezzi non certo di favore. Annuncio che l’Ordine degli Avvocati di Bari si è già attrezzato con il regolamento per il funzionamento degli Organismi di conciliazione e sta per varare propri corsi di formazione per i Colleghi, che comporteranno per gli iscritti soltanto il costo del rimborso delle spese di organizzazione, in linea con la politica fin qui condotta. Mi permetto, infine, di osservare su questo tema che il tentativo (serio) di conciliazione delle parti in lite, deve costituire impegno preciso degli Avvocati ma soprattutto del Giudice, al quale questa funzione è demandata dalla legge. Bisogna operare sul versante culturale, non sulla creazione di nuovi organismi che rischiano di appesantire il sistema e indurre ulteriore contenzioso piuttosto che deflazionare quello esistente e le sopravvenienze. E poi il famoso “processo breve”. Ma chi non vorrebbe un processo breve? Chi non desidera ardentemente di vedere realizzato il bisogno di tutela del proprio diritto? Ma non si costruisce in questo modo, con pezze e rattoppi, il futuro

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Il presidente dell’Ordine distrettuale degli Avvocati Manuel Virgintino delle tutele giurisdizionali dei diritti, ma con la posa della pietra d’angolo, con una ricognizione puntuale e definitiva delle emergenze reali, con la valorizzazione e la razionalizzazione delle risorse esistenti e l’implementazione adeguata delle stesse, con la condivisione; insomma con un disegno organico. Chiunque legga il testo del disegno di legge non potrà non rendersi conto che le norme in esso contenute non sono compatibili con i riti processuali attualmente in vigore e perfino con i progetti di ulteriori riforme in corso: chi pagherà il prezzo più alto di questa ennesima fuga in avanti saranno gli Avvocati ai quali saranno imposti termini impossibili da rispettare, tutto a scapito della qualità della difesa e, dunque, a scapito del cittadino. E gli Avvocati, quando pagano, pagano di tasca propria, con le polizze assicurative che costano molto e che al primo infortunio non ti rinnovano (e su questo tema è necessario per davvero un intervento legislativo coraggioso, altro che le pseudo-liberalizzazioni). D’altronde, gli spazi temporali nei quali si ritiene che i processi debbano essere contenuti, sono da sempre una realtà in alcuni distretti giudiziari il che dimostra, se non altro, che la superfetazione normativa non sempre giova mentre potrebbe essere ben più efficace un’azione di ricognizione e di risistemazione delle risorse disponibili (che pure in talune proposte di legge, tende timidamente a fare capolino). Mi riferisco al problema della geografia giudiziaria e, quindi, al ripensamento (non di parte) delle circoscrizioni giudiziarie e della c.d. giustizia di prossimità. Chiudere i Tribunali c.d. minori potrebbe comportare costi economici non indifferenti per l’accorpamento. Altro discorso potrebbe farsi, invece, per sfoltire il numero piuttosto elevato (e, forse, non giustificato) delle sezioni distaccate. Comunque, se il testo sarà licenziato senza quegli aggiustamenti che sono indispensabili, la situazione non potrà che peggiorare: basta solo pensare all’istanza che ciascun Avvocato farà per ottenere la corsia preferenziale per garantirsi l’accesso alla c.d. Legge Pinto e non danneggiare il proprio Cliente. La conseguenza sarà l’ingolfamento definitivo e irreversibile degli Uffici giudiziari. L’Avvocatura italiana vuole essere considerata soggetto costituzionale e parte della giurisdizione, non un fastidioso orpello. Vuole una legge di riforma moderna e condivisa, senza pregiudizi, dalla politica e dal mondo dell’economia perché i valori della Carta Costituzionale, l’etica professionale, la difesa della giurisdizione e dei diritti delle persone sono alla base del nostro progetto. Chi pensa di poter fare a meno dell’Avvocato, affidando ad altri il presidio di tali pilastri del vivere civile, sbaglia di grosso: la cultura del fare funziona soltanto se, alla base, vi è chi sia in grado di tramutare le aspettative di crescita economica e sociale in tutela dei diritti e noi siamo in grado di fare questo meglio di chiunque altro, perché a questo siamo stati formati,


per questo abbiamo studiato, in funzione di questo curiamo la nostra preparazione. Noi condividiamo pienamente le ragioni e le finalità di normative come quella di contrasto del riciclaggio di capitali provenienti dalle mafie ma, nello stesso tempo, chiediamo che quelle norme tengano conto del nostro codice deontologico: siamo pronti a confrontarci su questi temi con il Legislatore e ad agire con grande senso di responsabilità perché il confine fra ciò che è lecito fare e ciò che è illecito passa attraverso la chiarezza delle norme che regolano questa materia così delicata e di così grande rilievo sociale e civile. E, ancora, vorrei lanciare una proposta: si ragioni seriamente di una disposizione normativa la quale preveda che il titolo di Avvocato sia spendibile soltanto per esercitare la professione e non attribuisca alcun punteggio nei concorsi pubblici. Questo aiuterebbe la deflazione dei partecipanti all’esame di abilitazione con riflessi immediati sulla percentuale di abilitati, premiando, in concreto, quei giovani che, con passione e convinzione, intendono proseguire nel lungo e difficile percorso che contraddistingue la vita dell’Avvocato. E, infine, si garantisca sempre il diritto alla difesa dei più deboli, dei sans-papier, degli indigenti: registriamo voci allarmanti e inquietanti sulle modalità di conduzione delle udienze che si tengono all’interno dei Centri d’identificazione espulsioni (in sigla, C.I.E.) per la convalida del decreto di trattenimento. Con maggiori dettagli, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bari informerà tutte le Istituzioni competenti per consentire un corretto svolgimento della funzione difensiva e garantire i diritti delle persone coinvolte. LA GIUSTIZIA CIVILE Si esca dall’equivoco una volta per tutte: non ci si può dolere della pendenza di oltre cinque milioni e passa di processi che non sono, certamente, provocati dal numero degli Avvocati come sostiene, da ultimo, il Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara (al quale suggerirei di guardare, innanzitutto, in casa propria e, per esempio, di far tornare al lavoro, in trincea, tutti i Magistrati assegnati a funzioni extragiudiziarie) ma da tanti fattori, non tutti e non sempre meritevoli di attenzione e tutela. Bisogna decidere che ci sono questioni che meritano molti gradi di giudizio e questioni che devono essere risolte con un’unica decisione, anche a costo di rischiare qualche ingiustizia: a situazioni di emergenza bisogna rispondere con provvedimenti di emergenza. Altrimenti, bisogna sanzionare severamente ed effettivamente, come previsto dalla legge, con adeguate condanne al pagamento delle spese di giustizia, quanti si avventurano in liti giudiziarie senza senso o, peggio, temerarie. E questo deve valere anche sul versante della deontologia per quegli Avvocati che si prestano a sostenere il gioco. Allora non si tratta soltanto di un ripensamento del comparto giustizia, ma di una rivoluzione culturale ed etica nello stesso tempo. Ripeto quello che ho già detto in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno giudiziario 2009: la disattenzione verso la giustizia civile è frutto di miopia politica: dalla tutela del lavoro al recupero dei crediti tutto concorre ad aprire la strada, in mancanza di una efficiente risposta giudiziale, alla criminalità (anche organizzata), al malaffare, al sopruso del più forte nei confronti del più debole. Per non parlare delle ricadute dirette e indirette sul tessuto sociale ed economico. Infine, il problema delle risorse: i risultati che il Ministro per la Giustizia ha indicato nella sua relazione annuale sembrano incoraggianti, ma bisogna fare molto di più, perché dalla stessa relazione si evincono dati di spesa per le inefficienze del sistema giustizia di gran lunga superiori alla nuova finanza disponibile, il che equivale a svuotare l’oceano con il cucchiaino. Dunque, nell’emergenza, le risorse che affluiscono nel Fondo Unico per la Giustizia non possono che essere destinate integralmente alla Giustizia. Mi auguro che nell’anno in corso sia data soluzione ad almeno alcuni di questi problemi.

LA GIUSTIZIA PENALE Anche per la giustizia penale va riaffermata l’indifferibilità di una riforma organica che innovi e ammoderni, evitando interventi–scorciatoia frammentari legati all’emergenza o, peggio, allo scontro istituzionale e politico. E’ necessaria una disciplina effettiva sull’obbligatorietà dell’azione penale e ottenere e garantire la terzietà del giudice; bisogna porre rimedio alle vere cause della “irragionevole” durata del processo che, in primo luogo, vanno ricercate nelle disfunzioni interne al sistema giudiziario, sfatando quel luogo comune che intendeva attribuire alle istanze della difesa la causa dei lunghi tempi della giustizia; è necessario, altresì, incidere con maggior vigore sulla effettività della difesa dei diritti dei meno abbienti e dei cittadini extracomunitari. Anche al fine di garantire la ragionevole durata dei processi, è necessario ridefinire i termini di intervento tra il diritto penale sostanziale e quello processuale, in un quadro organico e coerente, per determinare il necessario intervento penale in senso stretto, giungendo a un diritto penale essenziale, attuale e realizzabile. In tal senso lo sforzo dell’Avvocatura barese, che di concerto con la Camera Penale, i Magistrati e gli operatori amministrativi del circondario, ha dato vita ai “protocolli d’udienza” che, in materia penale, rappresentano un primo passo per la soluzione comune delle questioni legate alla “contingenza”. Altro capitolo di riflessione merita la gravissima situazione delle carceri, che impone, da un lato, un serio impegno del Legislatore nell’ambito dell’edilizia carceraria per il recupero delle condizioni di vita dei detenuti, nel rispetto della dignità delle persone e della funzione rieducativa, costituzionalmente garantita, della pena e, dall’altro, un concreto intervento in materia di misure alternative alla detenzione, con particolare attenzione a quelle forme intese alla concessione di benefici per residui di pena di lieve entità e per reati di non rilevante allarme sociale. Un accenno, infine, all’esigenza che i processi devono ritornare nelle aule di giustizia davanti al loro giudice naturale, nei tempi, nei luoghi e con le modalità del giusto processo. Occorrono, quindi, interventi contro la sovraesposizione mediatica, che riconducano nel corretto alveo il rapporto tra giustizia e informazione vigilando, con estremo rigore su dannose, ingiustificate ed inopportune “fughe di notizia”; in questo senso è necessario un forte impegno, anche, deontologico da parte di tutti gli Operatori di Giustizia. L’ESPERIENZA BARESE C’è assoluta necessità di assoggettare a verifica l’esperienza dei protocolli di udienza e, specialmente quella del protocollo per le udienze civili. C’è assoluta necessità di venire a capo della liquidazione dei compensi nel gratuito patrocinio e nelle difese di ufficio, che devono essere concordati per velocizzare sia il lavoro dei Giudici sia la legittima aspettativa dei Colleghi interessati ad ottenere il pagamento delle parcelle in tempi rapidi (oggi, il ritardo, si attesta sui due anni). C’è assoluta necessità d’intervenire sulla drammatica situazione della sezione lavoro del Tribunale di Bari ma anche del Tribunale di Foggia: bisogna che si affronti, una volta per tutte, il problema dell’enorme contenzioso previdenziale che schiaccia uomini e speranze e a questa emergenza soltanto la politica può offrire risposte serie. Chi, infatti, è costretto a lavorare in condizioni impossibili, non può e non è tenuto a fare miracoli. C’è assoluta necessità di garantire sedi giudiziarie idonee allo svolgimento della funzione giurisdizionale. Lo stato in cui versa, in particolare, il Tribunale per i minorenni è una vergogna nazionale. C’è, tuttavia, da registrare, con soddisfazione, una grande voglia di rinascita del Foro barese, di condivisione e di leale collaborazione fra tutte le componenti del c.d. servizio Giustizia e da qui dobbiamo, come sempre, ripartire.

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POLITICA / ELEZIONI AMMINISTRATIVE

PRESIDENTE REGIONE PUGLIA

foto Luca Turi

I TRE IN CORSA NICHI VENDOLA (SINISTRA E LIBERTA’ - PD) ROCCO PALESE (PDL ED ALTRI) ADRIANA POLI BORTONE (IO SUD - UDC)

CHI VINCERA’? Dichiarazioni a confronto di esponenti degli schieramenti

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entre questo numero va in stampa i candidati per l’ambita poltrona di Presidente della Regione Puglia sono tre, al termine di lunghe e infruttuose trattative da parte del Pdl e del Pd per scendere in campo con l’Udc. Sono schieramenti definiti prima della chiamata alle urne per le elezioni amministrative regionali previste per fine marzo, che possono risultare però diversi all’indomani della conta dei voti. Molto spesso, come è successo altre volte, le speranze e le previsioni della vigilia sono travolte. La campagna elettorale è stata avviata già da qualche tempo, caratterizzata da aspre polemiche soprattutto per la conduzione quinquennale della Giunta regionale con a capo Nichi Vendola che, di contro, difende e addirittura esalta l’operato complessivo della sua gestione. A parte le diatribe e le opinioni a confronto c’è da augurarsi che chiunque sia il vincitore pensi realmente a far ripartire la Puglia almeno in alcuni fondamentali settori per lo sviluppo socio-economico dell’intero territorio. Infine, un auspicio: che gli elettori, quelli che regolarmente votano e quelli delusi che preferirebbero rimanere a casa, diano coscientemente e liberamente il voto a chi ritengano sia all’altezza del compito e dia garanzia di operare concretamente, onestamente, nell’interesse di tutta la Puglia.

Nicola Bellomo nelmese - 2/2010 - 12

VENDOLA

Nichi Vendola, presidente uscente, Sinistra e Libertà CINZIA CAPANO: “Vendola è il reincanto della politica” “E’ arrivato il momento di reincantare la politica. Personalmente non sono riuscita a convincere una sola persona a votare per Nichi Vendola, semplicemente perché erano già intenzionati a farlo”. Queste le valutazioni di Cinzia Capano, deputata barese del Pd ed ex assessore comunale di Bari al Bilancio, all’indomani dell’esito delle primarie e a pochi minuti dalla fine della direzione nazionale del partito. “Il quinquennio trascorso ha restituito ai pugliesi un orgoglio di appartenenza”, riflette, dove non vige più il dualismo Mezzogiorno uguale degrado. Ma l’ideazione di un consenso largo a protezione di beni comuni, come la ricostruzione del Teatro Petruzzelli, la bonifica dei siti di amianto, la riqualificazione di Punta Perotti. Simboli di un percorso condiviso tra Regione Puglia e Comune di Bari. “Inoltre penso che queste primarie sanciscano il ritorno della Primavera Pugliese, non un’esperienza chiusa su cui impastare un laboratorio politico inventato, ma una realtà ancora viva. Credo che dalle urne abbia perso la linea di chi voleva legare quell’impulso”. E poi il lato umano della politica, quel contatto diretto e spontaneo con la gente che è riuscito a prevalere sulle vecchie logiche partitiche. Forse un modo innovativo di adeguarsi ad una società in perenne evoluzione? “I partiti ormai sono limitati nell’indirizzare il consenso” - prosegue la Capano. “La gente preferisce affidarsi ai volti e alle parole, si pensi ad esempio all’altissima fiducia che gli italiani ripongono nella figura del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Di conseguenza chi riesce a padroneggiare un linguaggio


chiaro e pulito come quello di Vendola, il quale parla di quegli aspetti di cui egli stesso è composto come emozioni, paure, lavoro e sogni, riesce non solo a farsi capire ma guadagna la fiducia”. Dalla Puglia, quindi, un messaggio alla politica nazionale: i laboratori non si fanno a tavolino, conclude l’esponente piddì, ma “nascono dalla volontà di alcune persone di creare un’idea nuova e per nulla scontata”.

P A L E S E

Francesco De Palo

ALBERTO MARITATI: “Attenti alle maree da tifo” “Voglio sperare che questa marea di voti per Vendola, positiva, non sia una marea da tifo”. E’ il pensiero di Alberto Maritati, senatore leccese del Pd, secondo il quale non gioverebbe un’immagine da Superman del governatore uscente. “Siamo davanti ad una manifestazione poderosa che vuole il nuovo, ovvero la continuazione di un programma che ha avuto inizio con la prima giunta Vendola. Il senso di queste primarie, dunque, può esprimersi nella consapevolezza che c’è un popolo in Puglia di progressisti ed una volontà forte di non tornare indietro. Alla luce di tali premesse, riteniamo che Vendola sia la persona che meglio di altri potrà garantire questa politica”. E allora a chi parla di sconfitta del Partito Democratico cosa risponde? “Che capiscono poco di politica” - aggiunge l’ex magistrato. “Le primarie si sono fatte perché il Pd ha avuto paura di andare alle elezioni e di perder il governo, sano, della Regione. E’ in questa direzione che ha lavorato perché si giungesse alle primarie come conclusione di un percorso, ovvero quando l’Udc ha scelto di non apparentarsi con il Pdl. Rivendico alla politica del Pd questo risultato che non è di poco conto”. E se si fosse andati alle primarie quando le aveva chieste Vendola? “Avremmo chiuso senz’altro la partita con l’Udc e da un mese a questa parte saremmo in campagna elettorale”. Già all’indomani della Direzione nazionale del partito che aveva decretato le elezioni primarie, il senatore Maritati aveva espresso le proprie perplessità sulla scelta di Boccia: “In quell’occasione dissi che il giovane economista aveva avuto un incarico esplorativo, ma che non era lui il candidato. E al termine di quell’incarico esplorativo, io non ero certamente favorevole alla sua candidatura, anzi ne avevo proposto il ritiro”. Bene le primarie, dunque, che hanno fatto scaldare i muscoli in vista delle urne ma, conclude il senatore “hanno creato un falso dissidio con il Partito Democratico, il quale ha scelto solo una linea politica che, se attuata, avrebbe portato ad un risultato ancora migliore: una coalizione forte con Vendola e con l’Udc”. (f.d.p.)

Rocco Palese, consigliere regionale uscente, Pdl LUIGI D’AMBROSIO LETTIERI, SENATORE PDL: “Perché Rocco Palese deve essere il nostro presidente” La conferma di Rocco Palese come candidato presidente alle prossime elezioni regionali pugliesi è la risposta migliore che il PdL potesse dare alle aspettative dei cittadini della nostra Regione. Prostrato dai cinque anni di disastroso governo della sgangherata coalizione guidata da Vendola, il popolo pugliese reclama infatti da tempo una svolta e un cambio di passo: buona amministrazione al posto dell’avventurismo e del clientelismo, rigore e trasparenza là dove per sessanta lunghissimi mesi hanno prevalso pressappochismo e pratiche torbide, competenza e serietà in luogo del dilettantismo e della sciagurata leggerezza nell’amministrazione della cosa pubblica dimostrata da Vendola e soci. La scelta del candidato della coalizione di Centrodestra, dunque, era decisiva per indicare fin dalle prime battute della campagna elettorale il cambio di direzione di cui la Puglia ha un estremo bisogno: Rocco Palese, in questo senso, è la migliore opzione possibile, per un’infinità di motivi. Parliamo, infatti, di una figura che ha saputo costruirsi negli anni un profilo politico di altissima qualità: Palese non è un esponente del “teatrino della politica”, ma un’espressione della società civile che si è consolidata nello scenario politico con il consenso del popolo delle cui istanze egli è stato interprete attento e leale testimoniando straordinarie doti di disponibilità, competenza

e serietà. Ho avuto il privilegio di conoscere da vicino ed apprezzare lo spessore politico e umano di Palese durante l’esperienza comune vissuta in Consiglio regionale dal 2000 al 2005, quando la Puglia ha conosciuto una delle stagioni più positive della sua storia, con il completo risanamento dei conti pubblici e l’avvio di un percorso virtuoso di modernizzazione e di sviluppo poi bruscamente e brutalmente interrotto dal governo delle Sinistre. Di quella straordinaria esperienza amministrativa e politica, Rocco Palese fu uno dei protagonisti più autentici, grazie alle sue competenze specifiche e alla sua instancabile dedizione alla Istituzione regionale: in quella consiliatura fattiva e concreta che fu capace di risolvere tanti annosi problemi della Puglia, senza svuotare ma anzi lasciando piene le casse regionali. Fu lì che Rocco giocò un ruolo da autentico protagonista, come unanimemente riconosciuto da tutti, gli elettori in prima fila, ma anche gli stessi avversari. Quegli avversari che Palese, dai banchi dell’opposizione, ha poi incalzato come un mastino durante i cinque anni della Giunta Vendola, mettendo impietosamente a nudo i buchi del bilancio, il barbaro saccheggio della sanità, il tragico abbandono dell’agricoltura, l’assenza più assoluta di politiche a sostegno dell’industria, i mancati investimenti nella rete idrica, l’incancrenimento della questione-rifiuti, il degrado dei servizi pubblici a fronte della crescita del loro costo, le pratiche da basso impero di occupazione di ogni strapuntino di potere, gli sperperi di denaro pubblico, il mancato utilizzo delle pur rilevanti risorse destinate allo sviluppo. È stato Palese, in questi cinque anni, a denunciare giorno per giorno lo scempio e le devastazioni prodotte dal malgoverno di una giunta il cui presidente, a sigillo del suo fallimento più totale, ha finito per licenziare alcuni dei suoi più autorevoli assessori, nel disperato tentativo di salvare se stesso. La crisi dell’economia pugliese è ormai drammatica e impone una svolta immediata, che può assicurare solo chi possiede competenze acclarate e riconosciute, memoria storica, conoscenza della macchina amministrativa, accompagnate da non meno necessarie doti di rigore morale, passione civile e dedizione al bene pubblico. Per salvare la Regione e il futuro dei suoi cittadini c’è bisogno di coraggio, di amore per la verità e senso profondo della solidarietà qualità che certamente non possono essere richieste a chi, per cinque lunghi anni, ha nascosto sotto una cortina di fuminelmese - 2/2010 - 13


sterie la propria incapacità a fare. Di coraggio e amore per la verità Rocco Palese, invece, ne possiede in quantità industriali, ben innestate e perfettamente coerenti con il suo modo di intendere e interpretare la politica come un servizio per il bene della sua regione e della sua comunità. Lo dimostra, da ultimo, la sua disponibilità a fare un passo indietro, se necessario, per il bene della coalizione del Centrodestra: Palese non è uomo che faccia prevalere disegni e ambizioni personali ma tutto orientato a perseguire risultati concreti a favore della sua comunità, da autentico interprete dell’alto ruolo che la politica deve avere. L’obiettivo, qui e ora, è uno solo: mandare a casa Vendola e la sua disastrata compagnia. Rocco Palese è l’uomo giusto per farlo, senza se e senza ma: alla Puglia serve un presidente autorevole e capace, non un poeta fascinoso o un simpatico zuzzurellone. Per salvare la Regione e garantire un futuro ai pugliesi non occorrono incantatori di serpenti ma amministratori che abbiano già dimostrato di saper governare i cittadini, e sfido chiunque a sostenere il contrario. Ecco perché Rocco Palese è la migliore scelta possibile e dev’essere il nostro presidente. Sono fiducioso che questa palmare verità finirà per farsi strada all’interno della vastissima area moderata che, da sempre, costituisce la maggioranza dell’elettorato pugliese e che – ne sono certo – si guarderà bene dal cadere nella tentazione di “terze vie”: disperdere il voto è infatti un regalo che Vendola non merita certamente, ma che soprattutto non meritano i pugliesi e la Puglia.

POLI BORTONE

Adriana Poli Bortone, senatore, già sindaco di Lecce, Io Sud-Udc ROSARIO ANTONIO POLIZZI, COORDINATORE REGIONALE IO SUD: “La candidatura della Poli Bortone a tutela dell’identità pugliese” A tener testa al vecchio modo di far politica ci appare la promessa di un futuro fatto di decisioni coscienti e determinate, di federalismo impegnato, di grande attenzione alle identità territoriali, di promozione delle attività locali. Fra tanto sussultare di umori e rumori c’è chi però, in politica, ha preferito studiare il cambiamento e si è attrezzato per dare risposte confacenti e concrete ai cittadini, come Adriana Poli Bortone, senatore in carica, che ha

intravisto nella “crociata” meridionalista l’efficace pungolatura fisiologica sia per il terapeutico risveglio dall’apatia politica e sia per il giusto coinvolgimento della passione popolare. Adriana ha puntato sul protagonismo meridionale, quando ha preso le distanze da una politica di “moto perpetuo” delle parole ed ha intrapreso la strada della realizzazione dei fatti. Una scelta che parte da lontano, basta vedere ciò che ha saputo rivoluzionare e realizzare da sindaco nella sua Lecce. Oggi è candidata alla presidenza della Regione Puglia, rappresentando a pieno titolo quella promessa di futuro fatto di decisioni in favore del territorio, ma anche di vitale raccordo con i mondi pugliesi della produzione, delle professioni, delle casalinghe, degli operai, degli studenti, dei pensionati. Perché mirare allo sviluppo del proprio territorio, per Adriana Poli Bortone, significa avere fra gli obiettivi anche una socialità armonica e tonica rispetto alle esigenze di mera spinta produttiva e di agognata crescita economica. E la nostra regione necessita di sentirsi agganciata ad una modernità purchè sia ragionata, tutt’altro che indiscriminata, perché se è vero che il treno del futuro viaggia veloce e bisogna prenderlo al volo, è altrettanto vero che bisogna scongiurare i tanti peccati commessi alla grande ombra del progresso. Conservare ad esempio i ritmi, gli usi ed i rapporti umani nelle nostre comunità rurali insieme al favorire cooperazione e managerialità agro-commerciale sarà una delle tante sfide identitarie per la Puglia. Stesso discorso dovrà valere per gli interventi nel settore della sanità, del turismo, dell’artigianato, dell’industria dove insieme con la modernizzazione dell’efficienza operativa sarà elemento di connotazione per IO SUD la tutela dei nostri caratteri distintivi di umanità, ospitalità, tradizione e creatività.

AL MOMENTO DELLA STAMPA SI E’ AGGIUNTO UN QUARTO CANDIDATO MICHELE RIZZI COORDINATORE REGIONALE DI ALTERNATIVA COMUNISTA

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RILEGGENDO IL PASSATO / DA NELMESE 2/1976 / 1. Jan Ferguson Sommerville, 52 anni, scozzese, endocrinologo di fama mondiale, muore a Bari la sera del 12 febbraio 1976, esattamente 34 anni fa. E’ investito ed ucciso sul colpo da un’auto guidata da un giovane di Bitonto, mentre attraversava la strada nei pressi del suo albergo, delle “Nazioni”, al Lungomare Nazario Sauro. Lo scienziato britannico era a Bari per motivi inerenti al suo lavoro. Jan Sommerville risiedeva a Londra ma veniva spesso in Italia anche perché aveva un appartamento a Napoli. Il suo amore per l’Italia era tanto grande che aveva scritto nel suo testamento - che portava sempre con sè - di voler essere sepolto in Italia. E in Italia è morto.

Morte di uno scozzese a Bari Voleva stabilirsi nel sole?

di Giovanni Dello Russo Sai tu di quel paese dove fioriscono i limoni, dove tra le foglie oscure risplendono le arance e un dolce vento spira dal cielo azzurro e mirto e alloro alti pur sempre affiorano? Lo conosci? Lì, lì potessi io con te, mia amata, sostare! Come Goethe, anche Ibsen si domandava: come è possibile vivere al di là delle Alpi? Struggente rimpianto dell’Italia dal clima mite e dal cielo trasparente. Per i nordici, il fascino del bel paese sta nel suo sole. «Mamma, dammi il sole!» - esclama Oswald, dolorosamente prendendo vaga coscienza della sua cecità luetica. Non a caso Ibsen scrisse gli «Spettri» a Sorrento. E Sorrento, si sa, è il paese dove lungo i marciapiedi fioriscono gli aranci, proprio come i tigli che fiancheggiano tetri i viali delle città transalpine. Jan Ferguson Sommerville, chi era costui? Era forse un Oswald che inseguiva il sole? Dietro la facciata di serenità, di affabile riservatezza e umana disponibilità, c’era un dramma sconosciuto a quanti lo conobbero e lo ospitarono nel profondo sud dell’Europa? «Questo sole!» esclamò incantato dalla Valle d’Itria, mentre da Bari si recava a Taranto, l’anno scorso, per partecipare a uno dei tanti congressi che avevano punteggiato la sua esistenza di scienziato. «Stava bene quando stava al sole di Napoli» - mi dice con tono che non ammette repliche il suo collega ba-

rese che lo aspettava a Bari per quella fatidica sera. Si erano accordati che appena giunto si sarebbe fatto vivo con una telefonata. Ma appena sceso alle «Nazioni» preferì farsi due passi da solo a solo. «Perchè non ci fu quella telefonata?» - si domanda angustiato il mio interlocutore. - «Era sempre molto preciso: mi aveva promesso che mi avrebbe telefonato appena arrivato a Bari. Fu quella telefonata a perderlo». Un atto mancato? Un atto mancato che gli costò due fratture scomposte all’arto inferiore sinistro, una alla gamba e l’altra al femore e un largo squarcio alla testa, in sede temporale sinistra. In queste condizioni lo rivide per l’ultima volta alle ore 12,30 del giorno successivo chi lo aspettava per la sera prima al telefono. Aveva realizzato completamente sè stesso Sommerville? Forse la banale morte sul lungomare di Bari ha troncato a metà un progetto cui aveva cominciato a lavorare da tempo. O meglio ancora lo ha definitivamente compiuto: stabilirsi nel sole, in Italia, a Napoli, a Capri... La uggiosa notte del 12 febbraio 1976 dovette sicuramente ricordargli la sua Londra. Quella notte, sul lungomare, l’asfalto era viscido per una breve pioggia e una vaga foschia attenuava la luce dei lampioni stile belle époque che fanno uno degli angoli più suggestivi della Bari mercantile ed avara. Che cosa fu a farlo distrarre fatalmente? La sigaretta? Lo spleen? La stanchezza del viaggio in auto da Napoli a Bari? Oppure un inconscio desiderio di stabilirsi nel sole,

Da questo numero nella nuova rubrica “Rileggendo il passato” riprendiamo alcuni articoli e interviste pubblicati nel corso dei primi 44 anni di vita del periodico. Una “antologia” di scritti emblematici e di particolare interesse e pregio di vari autori. Un ricordo per gli antichi lettori, una novità per i nuovi. nelmese - 2/2010 - 15


per sempre. Ogni incidente stradale, si sa, è un incontro tra due persone sconosciute ma complementari. Ogni scontro è un incontro tra chi è agitato da una oscura rabbia di uccidere e chi è tormentato da un tenace desiderio di morte. Uno scontro è un rendez-vous di due sconosciuti che così si realizzano come una diade sado-masochistica: chi uccide e chi è ucciso, ambedue guidati da inconsci quanto reali moti di quella insondabile regione del nostro essere che Sigmund Freud battezzò irresistibilmente con un appellativo lunghissimo anche se fatto di due sole lettere: Es. Da allora, ci si chiede sempre se noi siamo liberi di gestirci come vorremmo, se siamo proprio noi i fabbri del nostro destino. Chi è propriamente il fabbro, il nostro lo cosciente che fa e realizza i mille progetti della nostra esistenza oppure il nostro Es, misterioso demonietto di Maxwell all’inverso? Un demone cioè che vuole e persegue tra mille difficoltà ed intralci il grande ritorno in quel caos che precedette l’ordine e la vita. Sommerville era un tipico esempio di gentleman: alto oltre la media era distinto nel vestire, costante e fluido nella conversazione: mai una nube, mai un momento di distrazione che lo escludesse dagli astanti, mai un turbamento. Amava la vita e non perdeva occasione per stare in compagnia - mi dice ancora pensoso il mio interlocutore. - Era come tutti i britannici rispettoso della sua privacy, ma non per questo un cattivo conversatore; si interessava a tutto, pronto a dibattere qualsiasi tema, ad affrontare con competenza ed eleganza ogni argomento. Il suo forte era l’antiquariato. Egli viveva a Londra in una casa elegante, sobriamente arredata con austeri mobili di famiglia. La casa era nei pressi di Hyde Park e qui Jan Ferguson Sommerville viveva da solo, con il maggiordomo sessantenne e un cocker. Parlava bene l’italiano e collaborava alacremente con gli italiani. Con l’aiuto di Sommerville, presso le cliniche e le divisioni di Ostetricia e Ginecologia di molte città italiane sono sorti concreti e fattivi centri per la ricerca endocrinologica: Bologna, Ancona, Pisa, Napoli, Firenze, Roma... Perchè proprio in Italia e non altrove? Lentamente Sommerville e il suo demonietto tessevano la tela: stabilirsi nel sole. Ultimamente aveva acquistato un appartamento a Napoli, lui di origine scozzese: uomo, dunque, abituato a respirare la lugubre atmosfera delle tetre vie e dei fumosi palazzi di Edimburgo, una città che è riuscita ad esprimere tutta sè stessa nelle forme tristemente goticheggianti del monumento funebre a Walter Scott, al centro di Princes Street. Rifuggiva lo spleen e forse lo temeva. E’ stato lo spleen a distruggerlo? nelmese - 2/2010 - 16


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Giornalismo allo specchio R

itratto del signor Giornalismo, colto durante la presentazione, nella sala conferenze dell’Ordine dei giornalisti della Puglia, della nuova collana di testi dedicati alla professione. Perché, benché pochi ci abbiano fatto caso, tra le pagine dei libri presentati, obbligatori per la preparazione all’esame professionale, e le riflessioni di alcuni degli autori, il signor Giornalismo era lì. Un po’ avanti con l’età, non c’è dubbio, ma non privo di forze; certo molto cambiato rispetto ad un passato anche prossimo, ma ancora desideroso di trovare la strada giusta per essere punto di riferimento; diviso in due, si può dire, tra l’ideale da perseguire e una realtà affatto diversa con cui fare i conti. Un signore distinto anche se con i suoi nei, che i professionisti più anziani, quelli che gli hanno dedicato una vita, salutano tra disillusione e nostalgia, mentre i giovani gli si accostano con le loro ambizioni e gli ideali, tra curiosità e soggezione. Eppure, questo è certo, il signor Giornalismo è ancora capace di riflettere su se stesso. Esattamente come è avvenuto durante la presentazione dei volumi pubblicati dal Centro nazionale di documentazione giornalistica, grazie alle considerazioni avanzate dagli autori pugliesi nei loro interventi e, a monte, grazie alla progettazione degli stessi volumi. Perché alla base di un’opera che sviscera la professione giornalistica in quattro grandi sezioni, corrispondenti ai quattro volumi di deontologia, diritto, professione e regole, un’opera che sia guida per gli aspiranti giornalisti e strumento di aggiornamento per i professionisti, si riconosce l’esigenza di ripensare la professione giornalistica in chiave attuale, di riconsiderarne i doveri, gli strumenti, i limiti. Presenti Lorenzo Del Boca, presidente nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Paola Laforgia, presidente dell’Ordine regionale, gli autori pugliesi che hanno collaborato alla realizzazione della collana, Michele Partipilo (che ha curato l’intera collana), Aldo Loiodice, Michele Laforgia, Elio Donno, Oscar Iarussi, Pino Bruno, sono partiti da un dato inoppugnabile: il giornalismo sta cambiando. È cambiata la “fabbrica” del giornalismo, innanzitutto: la redazione. Da “fucina”, come era concepita una volta, dove gli anziani trasmettevano le regole, le tecniche, il sapere del mestiere ai più giovani, si è arrivati ad una realtà in

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cui non c’è più tempo neanche per i rapporti umani, in cui la formazione viene trascurata o demandata all’autoapprendimento. Fino ai casi limite ma non rari, denunciati da Elio Donno, consigliere nazionale dell’Ordine, curatore del tema “Informazione e pubblicità”, di giovani sfruttati con la prospettiva di fare giornalismo, ragazzi a cui si consegna un microfono o una telecamera senza alcuna direttiva e senza che vengano corretti quando sbagliano. Molti si trovano, insomma, a doversi costruire da soli un mestiere, senza punti di riferimento, senza maestri che gli permettano di acquisire le regole della professione, dal punto di vista tecnico e deontologico. È cambiata la tempistica: il tempo che intercorre tra un avvenimento e la notizia che si ha di esso è sempre più ristretto, e di conseguenza lo è anche il tempo che il giornalista ha a disposizione per informarsi adeguatamente. Ne ha parlato diffusamente il presidente Del Boca, suscitando assensi soprattutto tra i giornalisti della vecchia guardia, quelli abituati ad andare sul posto, presso la banca dove c’era stata una rapina o sul luogo dell’incidente o ancora all’ingresso del teatro in occasione di una prima, e ad avere del tempo per informarsi, approfondire, indagare. Adesso, invece, la notizia viene divulgata sul momento (basti pensare all’attacco alle Twin Towers: chi ha dovuto aspettare di leggere la notizia sul giornale del giorno dopo?), ragione per cui o il giornalista sa già di suo o non può fare la sua professione. Altro importante cambiamento nella professione giornalistica: gli strumenti.

Aldo Loiodice

Pubblicata dal Centro Nazionale di Documentazione Giornalistica la nuova collana dedicata alla professione: quattro manuali per la preparazione all’esame professionale e l’aggiornamento dei giornalisti. La presentazione presso la sede dell’Ordine dei giornalisti della Puglia e le riflessioni su un “mestiere” che, tra pecche e aspirazioni, è in profonda trasformazione.

di Claudia Serrano Oggi le notizie passano attraverso molti nuovi canali e su tutte le novità campeggia il web. Pino Bruno, giornalista Rai, autore del saggio sul giornalismo on line, ha sottolineato come con il web stia cambiando la percezione dell’informazione, come internet sia uno strumento diabolico, ma al tempo stesso meraviglioso per diversificare l’informazione, sprovincializzare la capacità di informarsi e trovare fonti: basta un click per leggere tutti i giornali del mondo. Tuttavia i giornalisti usano questo potente strumento “come se guidassero una Ferrari con le marce bloccate”: pochi sanno consultare e diversificare le fonti, distinguere quelle attendibili dalle bufale, usare scientemente i motori di ricerca. Accanto a queste trasformazioni si riconoscono anche molte pecche: quella denunciata da Oscar Iarussi, giornalista de La Gazzetta del Mezzogiorno, e che riguarda il venir meno della mediazione, dell’esegesi, senza le quali il giornalismo diventa inutile. “La tutela della dimensione interpretativa è irrinunciabile”, ha affermato Iarussi, e il giornalismo culturale, di cui si è occupato nella collana, laddove venisse identificato con la critica, sarebbe metafora del giornalismo tout court. Ma il giornalismo culturale oggi è in secondo piano, perché tutto si gioca sullo scandalo e sulla cronaca giudiziaria. Anzi, per dirla con l’avvocato Michele Laforgia, autore del saggio sul processo penale, sulla “catastrofe della cronaca giudiziaria”: una cronaca da

Michele Laforgia


Lorenzo Del Boca

Paola Laforgia

Michele Partipilo

Elio Donno

Pino Bruno

Oscar Iarussi

cui sono scomparsi i fatti, dal momento che è scomparso il giornalista dalle aule giudiziarie. “Dovremmo interrogarci sui limiti di legittimità e di senso di questa cronaca giudiziaria che si occupa ormai solo delle voci, che rende legittima la diffusione delle voci soltanto perché sarebbero - si dice - potrebbero essere - dentro l’atto giudiziario”, ha affermato l’avvocato. Non secondario poi, anzi padre di tutti i problemi, secondo Michele Partipilo, giornalista de La Gazzetta del Mezzogiorno curatore della collana e autore del testo introduttivo al volume di deontologia, è il discorso intorno alla verità: il maggior problema dell’informazione prodotta oggi è la carenza di verità. Ma se tra trasformazioni con cui stare al passo e carenze da colmare questa è la situazione odierna della professione giornalistica, cosa si chiede ai giornalisti di oggi e soprattutto di domani? Di essere coloro che danno luce all’opinione pubblica, secondo il prof. Aldo Loiodice, ordinario di Diritto costituzionale, coloro che devono risvegliare il desiderio di sapere preservando innanzitutto il proprio diritto all’informazione, giornalisti con un minimo di conoscenza giuridica e pronti ad una scelta etica. Il prof. Loiodice ha inoltre ribadito che non c’è democrazia senza opinione pubblica, non c’è sovranità popolare senza informazione. Dalle libertà relative all’informazione dipende, infatti, la democrazia di un paese. Tutti i cittadini, ma in particolare i giornalisti, nelle de-

mocrazie mature utilizzano sia la libertà di esprimere e diffondere pensieri e notizie (libertà di manifestazione del pensiero o di espressione o di informare) sia la libertà di acquisire e ricevere dati e notizie (libertà di informarsi o di ricerca e raccolta delle informazioni o diritto all’informazione). Queste due libertà confluiscono, terminologicamente, nella formula “libertà di informazione” in senso ampio comprensiva, quindi, della libertà di espressione (informare) e della libertà di informazione in senso stretto (informarsi) o diritto all’informazione. Ambedue le libertà non sono tutelate pienamente nello stesso art. 21 della Costituzione; sola la prima trova tutela espressa, mentre la seconda riceva tutela implicita, ma ugualmente forte. Se non fossero chiare queste distinzioni, potrebbe sembrare che la Costituzione dedichi scarsa attenzione al tema; ma così non è, specie se si allarga lo sguardo alla realtà sociale ed all’intero testo costituzionale. Dal canto suo Franco Ferorelli ha affermato che i professionisti devono essere in grado di incidere sulla realtà per migliorarla. E inoltre, come ha detto Paola Laforgia, giornalista dell’Ansa, “in questa situazione così complicata i giornalisti hanno innanzitutto una necessità: di rafforzare il loro legame di fiducia con il lettore, acquisire e rafforzare l’autorevolezza necessaria per continuare ad essere punto di riferimento per chi legge. Per acquisire fiducia e autorevolezza

è necessario innanzitutto lavorare con il massimo scrupolo e con la consapevolezza dei propri doveri, ma anche dei propri limiti”. Tutto ciò si può fare allora solo se il giornalista ha una solida formazione di base. Conditio sine qua non di un giornalismo di qualità è insomma il sapere: sapere che è anche autonomia, democrazia, libertà. Di qui la volontà del Consiglio di puntare sulle scuole di giornalismo e su iniziative editoriali come quella presentata a Bari e che ha visto protagonisti, tra gli altri, molti giornalisti e professionisti pugliesi. I quattro volumi della collana nascono allora per rispondere alle nuove esigenze di una professione in mutamento e sono il risultato della collaborazione di circa settanta esperti: un numero elevato di autori per offrire una visione della professione più ampia e argomentata, ma soprattutto basata su quella pluralità di visioni che dovrebbe essere tratto distintivo dell’attività del giornalista. “Ho creduto e credo molto in questo lavoro che è stato fatto, credo nel potere della parola e dei libri, penso che restino ancora il più valido strumento per indurre le persone a riflettere” ha dichiarato Partipilo, mentre il presidente Del Boca concludeva il dibattito con un semplice ma incisivo messaggio per i giornalisti di oggi e di domani: “l’informazione è cosa seria, vedete di maneggiarla con cura”. Foto di Vito Signorile

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Minori,così la tutela

I

diritti dei minori, dei più deboli e, per questo, sovente oltraggiati: se ne parla tanto, spesso a sproposito o per stucchevole vanagloria ma, per fortuna, c’è anche chi si adopera concretamente per garantirli. Pregevole, allora, è l’intuizione di Cacucci Editore di dare alle stampe il volume “L’Europa e i diritti dei minori. Profili politico-giudiziari” (pagg. 236 – 20 euro) che porta le autorevolissime firme del prof. Franco Frattini, attuale Ministro degli Affari Esteri, e di Ersiliagrazia Spatafora, professore di Diritto Internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Roma Tre. Il Ministro Frattini, in particolare nella L’opera è un compendio esaustivo di veste di vice presidente della Commisaudizioni parlamentari o in sede di sione europea, rivestito nel periodo Commissione europea, comunicazioni, 2004-2008, si è distinto per la sensibidiscorsi, dichiarazioni, interventi, studi lità con la quale ha profuso ogni pose analisi normative che addentrano sibile sforzo – e il libro ne dà compiuto dovutamente il lettore nei molteplici resoconto - nella prevenzione e nel aspetti che attengono la tutela dei contrasto dei reati odiosi nei confronti minori. Si rivela, dunque, molto utile, dei minori. come evidenzia giustamente nella Attento e analitico, poi, è l’esame delle prefazione Massimiliano Monanni, normative italiana, comunitaria eurodirettore generale Ufficio Nazionale pea ed internazionale affidato alla prof. AntiDiscriminazioni Razziali del DipartiErsiliagrazia Spatafora, già autrice di mento Pari Opportunità della Presidennumerose pubblicazioni dedicate al za del Consiglio, quale strumento di tema dei diritti umani. Attraverso il approfondimento tematico per magivaro di specifiche strategie, di strustrati, avvocati, funzionari nazionali e menti legislativi e di coordinamento internazionali ma anche per studenti ad hoc è stato possibile arginare i vari che frequentano corsi sulla tutela dei fenomeni di abuso che coinvolgono i diritti umani. minori e che spaziano dalle adozioni ilNon potrebbe d’altronde essere legali allo schiavismo, allo sfruttamenaltrimenti poiché gli autori sono due to sessuale, dai videogiochi violenti alla eminenti personalità di spessore cybercriminalità, alla tratta dei baminternazionale che, negli anni, hanno bini, all’immigrazione clandestina, alla fornito un fattivo contributo nell’affronpovertà infantile. tare e dirimere con forza e coerenza le Segnaliamo che la parte terza del libro questioni legate alla tutela dei minori è dedicata, in due capitoli, a “Il ruolo sviscerandone anche gli aspetti legidell’Italia per la protezione dei diritti slativi.

La fotografia, scattata da Enzo Lattanzio nell’inverno del 1970, nella stazione ferroviaria di Milano. Il bambino, nella sua attonita espressione, esprime lo sgomento dei nostri emigrati che all’epoca abbandonavano la loro casa e i loro affetti. Può simboleggiare anche la tragedia di tanti bambini in vari paesi del mondo!

dei bambini”. Nonostante il legittimo orgoglio per le azioni messe in campo, non viene sottovalutata la difficoltà complessiva di questa lotta che è decisiva ed immane in quanto concerne la protezione e lo sviluppo psico-fisico, come scrive nella premessa il Ministro Frattini “che devono essere considerati prioritari perché i minori sono espressione e realizzazione del futuro della nostra umanità”. Occorre, allora, e le considerazioni finali lo sottolineano, perseverare anche “mediante attività finanziarie ed operative riconducibili alla cooperazione allo sviluppo” affinché ogni tentativo venga esperito per ridurre le sofferenze e per ritrovarsi, uomini di continenti ed estrazioni sociali differenti, su un sentiero fiorito di comune impegno civile.

Adriano Cisario

Roma, Camera dei Deputati, un momento della presentazione del volume: da sinistra, la prof. Ersiliagrazia Spatafora, il Ministro prof. Franco Frattini, l’on. Giuliano Amato e l’on. Alessandra Mussolini nelmese - 2/2010 - 20


FRANCO FRATTINI è Ministro degli Affari esteri dal maggio 2008. Ha ricoperto la carica di Vice Presidente della Commissione Europea e Commissario responsabile per il portafoglio Giustizia, libertà e sicurezza, dal 22 novembre 2004 al maggio 2008. E’ stato Ministro degli Affari esteri, dal novembre 2002 al novembre 2004, Ministro per la funzione pubblica e per il Coordinamento dei servizi di informazione e sicurezza, dal giugno 2001 al novembre 2002; Consigliere comunale della città di Roma, dal novembre 1997 all’agosto 2000; Presidente del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, 1996-2004; Deputato al Parlamento Italiano, dall’aprile 1996 al novembre 2004; Ministro per la Funzione pubblica e per gli Affari regionali, 1995-1996; Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1994: Vicesegretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1993; Consigliere giuridico del presidente del Consiglio, 1992; Consigliere giuridico del vicepresidente del Consiglio, 1990-1991; Consigliere giuridico del ministro del Tesoro, 1986; Avvocato di Stato; Consigliere di Stato e Presidente di Sezione del Consiglio di Stato dal 2009. Docente di Diritto civile presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma. Autore di pubblicazioni scientifiche e saggi in Diritto amministrativo e Diritto comparato.

ERSILIAGRAZIA SPATAFORA è professore di “Diritto Internazionale” presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma Tre, dove insegna anche “Organizzazione internazionale e tutela dei diritti umani” e “Tutela internazionale dei diritti umani nei processi di pace e democratizzazione”. Tra le sue recenti pubblicazioni si segnalano “Sviluppo e diritti umani nella cooperazione internazionale. Lezione sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo umano”, Torino, 2007 (Co-autori R. Cadin; C. Carletti); “Giurisdizioni internazionali. Profili istituzionali”, Roma, 2007; Atti del Convegno internazionale del 21 ottobre 2005 su “Lo sfruttamento dei minori: tratta e turismo sessuale. Ruolo ed interventi della cooperazione italiana ed internazionale”, Torino, 2008. Le voci “Diritto umanitario”, aggiornamento, in Enciclopedia Giuridica Treccani, 2006; “Corte internazionale di giustizia” (diritto internazionale) e “Crimini internazionali” (diritto internazionale) in Enciclopedia giuridica Sole24ore, 2007; “Il contrasto al traffico di migranti nel contesto giuridico internazionale e comunitario” in Atti Convegno “Il contrasto al traffico migranti. Profili internazionali, comunitari e interni”, Camerino 4-5 ottobre 2007, Milano, 2008; “The gender issue in the International and European law” in Women status in the Mediterranean: their rights and sustainble development, Mediterranean Seminar 2009. Gli autori dell’opera, la prof. Ersiliagrazia Spatafora della Facoltà di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Roma Tre e il Ministro agli Affari esteri prof. Franco Frattini con l’editore dott. Nicola Cacucci

L’editore dott. Nicola Cacucci con l’on. Giuliano Amato e il ministro prof. Franco Frattini. Qui sopra, l’editore Cacucci con l’on. Alessandra Mussolini nelmese - 2/2010 - 21


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Dioguardi, un mosaico doc I

mpresa e cultura: è solo una delle prolusioni di cui si compone il volume “Organizzazione, cultura, territorio”, l’ultimo libro di Gianfranco Dioguardi, professore Ordinario di Economia e Organizzazione Aziendale al Politecnico di Bari, ma potrebbe benissimo esserne il titolo. L’opera del noto imprenditore barese Cavaliere del Lavoro della Repubblica Italiana e dal 2004 Cavaliere della Legion d’Onore della Repubblica Francese, edita da FrancoAngeli per la collana La Società industriale e post-industriale, è infatti un prezioso scrigno contenente perle di imprenditorialità e affondi culturali che riflettono in tutta la loro pregnanza l’immensa esperienza e le riconosciute capacità di Dioguardi in entrambi i campi. La formula editoriale scelta per distillare quanto sopra è quella, per dirla con l’autore, del mosaico: “tessere sparse affastellate in maniera confusa – scrive infatti nella presentazione - sanno ricomporsi in un ordine che dà origine a un quadro più ampio e significativo”. Si tratta della raccolta di “prolusioni”, “lezioni” e “relazioni” che una personalità di tale calibro ha tenuto nell’ultimo decennio in tutto il mondo, da Bari a Caracas, per spiegare, illustrare, insegnare filosofia e modalità della buona impresa. La globalizzazione, la rivoluzione informatica, la new economy. Gli ultimi anni, per chi fa impresa, hanno significato un balzo epocale in fatto di strategia, tecnologie e innovazione. Mercati allargati, la concezione di nuovi cicli produttivi, scenari disparati hanno imposto un deciso cambio di passo e di mentalità. Questo emerge e viene scandagliato nei sempre ponderati approfondimenti che Dioguardi ha illustrato davanti a qualificate platee composte da professionisti come da giovani universitari, forse imprenditori di domani. Frequente è la citazione di temi cari come quello dell’impresa-rete, del concetto di qualità o del laboratorio urbano. Riconducibile al suo dna è la profonda cognizione di causa in relazione a organigrammi, organizzazione, visione strategica, sviluppo. Non mancano precisi riferimenti di storia industriale, dalla logica “tayloristico-fordista” allo “spirito o sistema Toyota”. Altrettanto interessante è “l’interpretazione” del concetto di parco scientifico-tecnologico o la sempre attualissima lezione “Emergenza Mezzogiorno”, tenuta a Napoli nel 1994. Insomma, vera cultura d’impresa intesa non solo come risoluzione dei problemi ma anche come individuazione delle opportunità: l’a-b-c del buon imprenditore. L’imprenditore, la “figura” alla quale è sentitamente dedicata la seconda prolusione e che Dioguardi dipinge sempre tesa ad “un futuro caratterizzato dal gusto della scoperta e dell’innovazione continua. E’ questo il mio auspicio – disse a Lugano nel 2008 rivelando un entusiasmo sempre vivo e contagioso - che diviene augurio per tutti coloro che si apprestano a intraprendere l’esaltante, seducente avventura imprenditoriale”. I tratti che hanno fatto di Dioguardi un imprenditore cosiddetto “illuminato” risiedono nella sua costante propensione alla cultura, nell’attenzione verso la responsabilità sociale d’impresa, nella indefessa fedeltà al ruolo, ben esplicitato nel libro, di imprenditore “attento al mecenatismo ma anche ai valori e all’etica dei comportamenti”. La conoscenza quale leva per lo sviluppo, la scuola e l’Università, la formazione continua. A questo credo sempre professato va aggiunta la personale innata indole umanistica

e letteraria che, tra l’altro, lo ha portato a scrivere numerosi libri editi dalle maggiori case editrici. Filosofie, bagagli culturali e formativi, dunque, dispiegati in ambiti diversi ma tutti riconducibili all’intento superiore di rendere lo scibile umano disponibile alla più vasta platea possibile di individui. I benefici, questo l’obiettivo, non possono che estendersi permeando positivamente il vivere sociale e assicurando civiltà e progresso. “L’azione economica – scrive – non suffragata dal supporto culturale è prima o poi destinata a essere aggredita dall’incultura, zona d’ombra posta a labile confine di una controcultura che a sua volta è l’espressione di criminalità barbariche che si oppongono a ogni forma di etica civile”. La cultura in senso stretto, custodita da Gianfranco Dioguardi, è sapientemente sciorinata in ogni pagina. La prosa, pur riferita a modelli e teorie imprenditoriali spesso complessi, è sopraffina e ben articolata, l’incedere è forbito e risolutivo. La bibliografia è impressionante, gli aneddoti citati, compreso quello del filosofo cinese Sun Tzu, sono numerosi e sempre ben collocati in discorsi e lezioni. Non manca anche una poesia del Premio Nobel Quasimodo o un episodio dal Vangelo secondo Luca. Piace concludere con un riferimento ai giovani, al futuro. Il volume riporta una conferenza al Liceo Orazio Flacco di Bari, nel maggio 2003. Dioguardi, ex Liceo scientifico Scacchi, parla agli studenti rivivendo, forse non senza emozione, il suo percorso di apprendimento. Riferendosi alle sfide del terzo millennio, caratterizzato dal computer e da internet, chiede: ne verremo sopraffatti? Ecco la ricetta proposta con saggezza sette anni fa: “Il dominio sulle nuove tecnologie potrà avvenire, di fatto, solo se saremo in grado di riproporre una nuova domanda di cultura generale, ovvero di cultura umanistica, che consenta un modo innovativo di porsi dell’individuo, sia nei confronti della rivoluzione informatica sia nel modo di apprendere e di comunicare il sapere attraverso una rinnovata capacità di sintesi intellettuale”. Coniugare, dunque, sapere e innovazione: questo l’orizzonte disvelato alle nuove generazioni.

Adriano Cisario

GIANFRANCO DIOGUARDI, ingegnere, è professore Ordinario di Economia e Organizzazione Aziendale al Politecnico di Bari. E’ autore di numerosi libri sui temi del management e dell’imprenditoria, ma anche sul mondo delle idee con interessi che spaziano fra storia, filosofia, scienze. Dal 1989 è Cavaliere del Lavoro della Repubblica Italiana, e dal 2004 Cavaliere della Legion d’Onore della Repubblica Francese. Tra i suoi libri più recenti: Al di là del disordine. Discorso sulla complessità e sull’impresa (Cuen, Napoli 2000); Ripensare la città (Donzelli, Roma 2001); L’avventura della ricerca. Libri, università, imprese (Di Renzo, Roma 2003); I sistemi organizzativi (Bruno Mondadori, Milano 2005); Le imprese rete (Bollati Boringhieri, Torino 2007); Natura e spirito dell’impresa (Donzelli, Roma 2007), Le due realtà. Fattuale e virtuale nell’era della globalizzazione (Donzelli, Roma 2009). nelmese - 2/2010 - 22


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Insieme per capirsi e per crescere

Studenti del Politecnico e allievi dell’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari hanno dato vita ad una raccolta di significative fotografie all’insegna della fratellanza multirazziale

U

na serra interculturale nel volume “La fotografia come mezzo di integrazione”. Un workshop fotografico realizzato con Mario Cresci, fotografo, visual designer e docente dell’Accademia Brera di Milano, da studenti di Ingegneria e Architettura del Politecnico e dagli allievi dell’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari, in cui protagonista è un ambiente protetto, quello dell’istituto internazionale, ove si coltivano integrazione, intercomunicazione tra etnie, ricerca scientifica, tecnologia, cooperazione, fratellanza multirazziale, crescita sociale, potenziamento delle risorse, condivisione del sapere. Una serra appunto interculturale che si svela al lettore attraverso la potenza evocativa di immagini fotografiche accompagnate da profonde riflessioni scritte dagli autori stessi, italiani e stranieri. Il progetto scientifico è stato elaborato da Mario Cresci, Pio Meledandri e Stefania Lapedota. E’ promosso dal Museo della

Foto di Sandra Mollo

Fotografia del Dipartimento di Architettura e Urbanistica del Politecnico, dallo IAM e dall’Associazione Sviluppo Sostenibile in collaborazione con la Libreria Laterza. L’iniziativa ha offerto agli studenti del Politecnico e dell’Agronomico l’opportunità di condividere spazio e tempo al fine di esprimere il concetto di integrazione attraverso il linguaggio universale della creatività. Che è una tavola su cui riposano sparpagliate e libere delle olive orgogliose. Che è varie specie di piante grasse al riparo, tutte, sotto la stessa serra. Che è filari di piante verdi ansiose di svettare al cielo nel pieno rispetto dell’allineamento prestabilito. La sagoma di un uomo, di un qualsiasi uomo, che s’intravede attraverso un vetro smerigliato. Il prato che s’insinua tra le lastre di un viottolo, complice di geometrie tracciate dall’uomo. O ancora uno specchio sul quale è attaccata una cartolina della Città Bianca, mentre riflette il viso di una musulmana con il velo. Un parassita dignitoso che si lascia osservare al microscopio per il bene dell’Umanità. O, infine, due lumache dormienti su una confortante risorsa di vita, ossia il giunto a gomito di un condotto idrico. Ne “La fotografia come mezzo di integrazione” quest’ultima emerge dalla struttura intrinseca della pubblicazione. Che in 100 pagine non solo offre una traccia visiva mediante le foto, verbale mediante riflessioni scritte dai partecipanti, ma soprattutto lascia al lettore una testimonianza emotiva del significato di fusione tra diverse culture. Gli studenti del Politecnico (Angela Lariccia, Andrea Mazzei, Angela Fortunato, Annapaola Matteo, Antonella Biasi, Antonio Fasanelli, Caterina Rinaldo, Enrico Camarda, Gianluca Verdesca, Giuseppe Taneburgo, Marisa Gallitelli, Matteo Catacchio, Rocco Pastore, Sandra Mollo) e gli studenti maghrebini, mediorientali, montenegrini dello IAM nel realizzare il workshop dimostrano di aver avuto un medesimo intento: la disponibilità verso l’altro. I primi disposti ad osservare e scoprire, i secondi ad essere osservati e scoperti. Entrambi a rispettare la libertà altrui di esprimersi attraverso una panoramica, un dettaglio, un gioco di ombre, una considerazione: “insieme all’agricoltura esportiamo cultura” scrive uno studente dello IAM. Un primo piano, una citazione, una frase in arabo, una mano, un ricordo, una cascata di foglie. Un credo, un sorriso. Da qui s’eleva la dignità della parola “integrazione” tra etnie quale fusione di specie diversamente rigogliose, forti di crescere al riparo di una stessa serra.

Concita Leozappa nelmese - 2/2010 - 23


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Dialoghi sul Mare Nostrum Monopoli, in provincia di Bari: la muraglia bastionata

Ripensare al Mediterraneo e alla sua identità attraverso le voci di intellettuali e scrittori del bacino è la proposta del nuovo volume edito da Adda e promosso dalla Banca Popolare di Puglia e Basilicata: un viaggio per i Paesi che si affacciano sul mare in compagnia di Raffaele Nigro e i suoi illustri interlocutori. Stefania Mola commenta le fotografie di Amato e Leonardi che ci riportano alla familiarità e alla bellezza dei paesaggi pugliesi e lucani

C

i sono molti modi per parlare di Mediterraneo. Il nuovo libro realizzato da Adda Editore, “Puglia e Basilicata, un dialogo mediterraneo”, promosso dalla Banca Popolare di Puglia e Basilicata e a cura di Raffaele Nigro, lo fa attraverso due strade.

La prima è quella delle immagini: sono i bellissimi scatti di Nicola Amato e Sergio Leonardi, fotografi professionisti fedeli collaboratori delle pubblicazioni Adda; sono scorci, ampi orizzonti, preziosi particolari di due terre, Puglia e Basilicata, che rappresentano il Mediterraneo così

RAFFAELE D’ECCLESIIS PRESIDENTE DELLA BANCA POPOLARE DI PUGLIA E BASILICATA: “Quando pensiamo all’umana compiutezza, all’orgoglio e alla fortuna di essere uomini, il nostro sguardo si volge verso il Mediterraneo” scriveva lo storico Fernand Braudel. Con quello stesso orgoglio la Banca Popolare di Puglia e Basilicata che ho l’onore di presiedere sostiene quest’anno la pubblicazione di un volume che parla di Mediterraneo, osservato dal punto di vista privilegiato del territorio pugliese e lucano. Un impegno doveroso e in linea con una realtà creditizia forte di una tradizione di 126 anni che opera in 12 regioni italiane con 141 sportelli. nelmese - 2/2010 - 24

di Claudia Serrano come si mostra sotto i nostri occhi; sono immagini piene di luce e di storia, raccontate dai testi ricchi e intensi di Stefania Mola, specialista in Storia dell’Arte medievale. La seconda strada che conduce al Mediterraneo è quella, già suggerita dal titolo del libro, del dialogo. Dialogo inteso nella sua accezione originaria di confronto verbale per esprimere sentimenti diversi e discutere idee contrapposte: una pratica che sin dall’antichità è sinonimo di una società che comunica, di una cultura aperta allo scambio. Il volume si sviluppa, infatti, come una lunga conversazione a più voci, quelle dei letterati e intellettuali intervistati da Raffaele Nigro sul tema del Mediterraneo, dalla questione dell’emigrazione a quella della convivenza delle diverse culture che si affacciano su questo mare, protagonista di tanta Storia e di tante storie, mare “di mezzo” tra terre differenti ma con un’identità comune, troppo spesso dimenticata. In effetti, come scrive in apertura l’autore, questo libro nasce dalla constatazione di un fallimento: lungo gli anni Novanta i meridionali, in seguito all’interesse mondiale destato dagli sbarchi di tunisini e marocchini in Sicilia e di balcanici e curdi in Calabria e in Puglia, hanno accarezzato il sogno di farsi costruttori di una


nuova idea di Mediterraneo, fondata sui valori del pensiero meridiano, il silenzio, la pace, la lentezza, la difesa dei più alti valori umani. Sono stati gli anni delle conferenze, dei convegni di studio, delle dispute sui quotidiani, delle rassegne che in buona parte tuttora sopravvivono. Oggi però, sostiene Raffaele Nigro con la sapienza di esperto giornalista e la sensibilità da narratore, le speranze nutrite allora si sono rivelate mere illusioni, crollate sia sul versante del dialogo con il mondo arabo sia su quello della centralità del Mediterraneo: mai come oggi i Paesi del “Mare Nostrum” sono stati divisi, e l’Europa reticente nel dialogare con essi. Da questa consapevolezza prende avvio il volume “Puglia e Basilicata, un dialogo mediterraneo”, proponendosi come nuova e forse più matura riflessione sul Mare, che prende atto dei limiti delle precedenti dispute e attese e che si pone come un vero viaggio, per riscoprire il Mediterraneo ripercorrendone i luoghi e incontrandone la gente. Leggendo questo libro seguiamo così lo scrittore nativo di Melfi nel suo percorso, dai carruggi di Genova alla Linguadoca, alla Spagna, al Marocco, passando per le coste italiane e sbarcando su quelle albanesi. Lo seguiamo attraversi i paesaggi che scorrono nei suoi occhi, colori forme odori mediterranei, nei ricordi che affiorano improvvisi e soprattutto negli incontri con i suoi interlocutori. Sono molte le persone incontrate, di origine e professione diverse, artisti, intellettuali, scrittori (tra loro Franco Cassano, David Grossman, Abraham Yehoshua), interrogati sulle tante sfaccettature del Mediterraneo e della (o delle) sue identità, e ognuno di loro offre una sua idea, un suo modo di sentire questa appartenenza. Puntuale però ritorna, in queste conversazioni, la domanda di Raffaele Nigro: “Lei è mai stato in Puglia o in Basilicata?”, interrogativo che lascia emergere l’attaccamento dello scrittore alle sue regioni di origine, protagoniste di tanti suoi scritti e non meno di questo volume. Infatti, mentre dai vari punti del bacino si parla di “Nare Nostrum”, scorrono davanti agli occhi, con la qualità della veste grafica che contraddistingue le edizioni Adda, le fotografie di Amato e Leonardi: splendide cartoline di luoghi più o meno familiari di Puglia e Basilicata, quel Mediterraneo che, come scrive Nigro, noi “viviamo dall’interno, come pesci che lo attraversano e lo bevono ogni giorno”. Ma che non finisce mai di stupire, con i suoi colori cangianti e le atmosfere uniche e seducenti.

Trulli della città di Alberobello, in provincia di Bari, “Patrimonio dell’umanità” tutelato dall’Unesco Un nodoso e monumentale olivo nel territorio di Fasano (Brindisi)

Una originale e suggestiva foto all’interno della Basilica di San Nicola di Bari, storico patrono della città

L’imponente e suggestiva mole del Kursaal di Santa Cesarea Terme, in provincia di Lecce

I Sassi di Matera, in Basilicata, dichiarati dall’Unesco nel 1993 “Patrimonio mondiale dell’umanità”. Masseria Spina, in territorio di Monopoli (Bari) nelmese - 2/2010 - 25


LIBRERIE & LIBRI

Silvio Panaro, amore e storia

Un suggestivo itinerario nei Comuni della provincia di Bari nel recente volume del noto ed ecclettico personaggio. Perchè non proporlo come testo scolastico?

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l grande amore per la sua terra questa volta si è concretizzato in un bel libro, “A spasso nei Comuni di Bari, tra storia e folclore”. Il poliedrico e dinamico Silvio Panaro ha realizzato una panoramica su vari centri del barese, “un omaggio di un figlio alla sua terra”, come scrive tra l’altro nell’introduzione al volume, il rettore dell’Università degli Studi Aldo Moro di Bari prof. Corrado Petrocelli. “E’ anche un invito - è sempre il prof. Petrocelli ad affermarlo - ad approfondire la conoscenza del tessuto storico, folclorico e culturale di una terra ancora profondamente legata alle sue tradizioni”. Il volume, realizzato con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia, è arricchito da una serie di pastelli (Panaro è anche pittore) e da alcune fotografie che bene si accoppiano alle informazioni sui vari Comuni. Silvio Panaro è un autentico personaggio che fa onore alla sua città, alla provincia e all’intera regione. Oltre ad essere imprenditore nel settore trasporti, Panaro è giornalista pubblicista, è stato console onorario del Belgio per quarant’anni e componente della Giunta dell’Ente Fiera del Levante. Attualmente è presidente della Camera di Commercio italo-o-

La Basilica di Capurso (Bari) nelmese - 2/2010 - 26

rientale. Nel “giustificare” il suo libro Silvio Panaro afferma sommessamente che ha cercato di contribuire a una conoscenza più diffusa e approfondita delle molteplici vocazioni “di una terra bellissima”. A braccetto, quindi, storia e cultura della Puglia segnate da presenze greche, romane, bizantine, arabe, normanne e spagnole che, scrive Panaro nella presentazione, “hanno lasciato loro tracce, costellando il territorio pugliese di reperti archeologici, castelli, forti, cattedrali, monumenti, edifici urbani e rurali costruiti in stili diversi”. Consapevole di tanta ricchezza culturale e storica, l’autore si augura che “i suoi lettori acquistino ulteriore consapevolezza di poter contare su un patrimonio da amare e da apprezzare, da difendere e salvaguardare, da diffondere come bene prezioso di noi pugliesi e dell’intera umanità”. In appendice del libro una serie di componimenti poetici dedicati a Domenico Cantatore, a Bari, alla Murgia, alla Puglia, ad Altamura. Insomma, un libro d’amore sì ma anche di cultura e di storia che, a mio parere, potrebbe essere utilizzato come testo scolastico.

Nicola Bellomo

Silvio Panaro e il suo recente lavoro realizzato dall’Unione Tipografica e presentato nell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Bari

Castel del Monte (Andria)


LIBRERIE & LIBRI / GASTRONOMIA

In cucina per filosofare

Edito da Casa Laterza “Il riposo della polpetta e altre storie intorno al cibo”, l’ultimo libro dell’insigne storico Massimo Montanari. Tra polpette e spaghetti al pomodoro, un esilarante viaggio intorno al nesso alimentazione-cultura. Per scoprire che la cucina è metafora della vita

L

a cucina. L’ambiente più vissuto di una casa, quello più intimo: qui la famiglia si ritrova quotidianamente per ristorarsi, rifocillarsi, raccontarsi, proprio come un tempo i nostri progenitori si riunivano attorno al fuoco. È il luogo in cui si crea, dove i bambini si cimentano con i primi esperimenti, maneggiando la massa e restando a bocca aperta di fronte alla torta che miracolosamente lievita nel forno. Ma, secondo Massimo Montanari, illustre medievista specialista di storia dell’a-

di Claudia Serrano limentazione, docente all’Università di Bologna e autore di numerosi libri che ruotano attorno al nesso cibo-cultura, la cucina è anche il luogo dove si fabbricano idee e dove, incredibile ma vero, può nascere un libro. È il caso de “Il riposo della polpetta e altre storie intorno al cibo”, l’ultima opera di Montanari della Casa Editrice Laterza, che ha curato la pubblicazione della maggior parte degli scritti dello

storico. Perché, come ha raccontato l’autore durante la presentazione del suo libro, svoltasi presso la libreria Laterza alla presenza del presidente della Casa, Giuseppe Laterza, con il Presidio del libro “Golosilettori” e inserita nel ciclo “Mercoledì con la storia” promosso dal Centro studi normanno svevi, il suo ultimo libro è nato proprio in cucina, durante la preparazione delle polpette! Prima di cuocere le polpette bisogna lasciarle riposare un paio d’ore, si

IL LIBRO

L’AUTORE

L’EDITORE

EDITORI LATERZA

MASSIMO MONTANARI

GIUSEPPE LATERZA

DA SINISTRA, GIOVANNA LATERZA, CATERINA CAPPELLUTIALTOMARE D’INNELLA E PATRIZIA MOSSA.

FRANCESCO VIOLANTE (foto Vito Signorile) nelmese - 2/2010 - 27


GIUSEPPE LATERZA “Montanari è uno dei medievisti italiani più interessanti, un fuoriclasse. Sono pochi gli studiosi con un percorso intellettuale come il suo: nato come studioso dell’agricoltura e dell’economia, pian piano ha approfondito l’interesse verso la cultura alimentare in una dimensione che non è soltanto quella di studio, ma è anche quella di capacità di comunicazione con un ampio pubblico. Quando noi come Casa Editrice andiamo alla Fiera del Libro di Francoforte, una delle prime cose che ci chiedono ogni anno i nostri colleghi stranieri è se c’è qualche nuovo libro sulla storia del cibo e possibilmente un nuovo libro di Massimo Montanari!” è raccomandata la moglie dell’autore, e a quel punto...eureka!, l’illuminazione è arrivata: le polpette sono un po’ come le idee, ha pensato Montanari, devono riposare, amalgamarsi, rassodarsi per venire meglio! “Il riposo della polpetta”, raccolta di articoli di Massimo Montanari apparsi su riviste e quotidiani, nasce proprio da questo presupposto: la cucina come metafora della vita. Perché anche le cose più piccole, i gesti apparentemente insignificanti sono rivelatori della nostra storia e della nostra cultura. E la cucina, come tutto quel che ha a che fare con il cibo, contiene in sé politica, economia, società, religione, il modo dell’uomo di rapportarsi al mondo. E così Massimo Montanari, tra il serio e il faceto, tra storia e aneddoti, accompagna il lettore in una sequenza pirotecnica di riflessioni, spunti, approfondimenti su tutto quel che ruota intorno al cibo, dall’introduzione della forchetta all’invenzione delle patate fritte, dal mangiare in autostrada all’origine del sorbetto, dalla ruota del cibo dei ristoranti cinesi all’obbligo del silenzio a tavola dei monasteri medievali. Ma sempre con leggerezza, con quello spirito del libro che ha reso bene il suo autore definendolo “un gioco, quindi una cosa molto seria”. Perché ad uno sguardo appena più attento, questo libro divulgativo (così lo descrive con orgoglio Montanari) parlando di cultura alimentare parla di molto altro: del rapporto naturale – artificiale, ad esempio, e di tutti i luoghi comuni da smontare a riguardo. L’idea diffusa che i nostri antenati fossero più fedeli alla natura è storicamente infondata: tutte le pratiche di cucina medievale erano orientate verso l’artificio ed era un dovere del cuoco modificare il prodotto naturale nel sapore, nella forma, nella consinelmese - 2/2010 - 28

stenza e nel colore. Parla della divisione sessuale dei compiti in cucina: così, nelle riflessioni di Montanari, il barbecue, per definizione “cosa da uomini”, diventa l’emblema di un ritorno al selvaggio, come se nella grigliata che si consuma all’aperto l’uomo cacciatore, domatore del fuoco, sostituisse la donna che addomestica il cibo in cucina! Soprattutto, nel libro di Montanari centrale è il tema alimentazione e identità, molto presente nella stessa storia dell’alimentazione e nella nostra cultura. Oggi, ha sottolineato l’autore, spesso si parla di identità in senso fortemente reazionario, utilizzando espressioni quali “difendiamo la nostra identità” o “conserviamo la nostra identità” e non di rado il tema identitario alimentare viene usato come vera arma: basti pensare al cartello “sì alla polenta no al cous cous” letto dall’autore in una città veneta. “Come storico” ha affermato Montanari “posso dire che usare così il concetto di identità dimostra che non abbiamo capito nulla. La storia prova che l’identità si costruisce in progress e si modifica continuamente attraverso scambi più o meno conflittuali con altre culture; altrimenti è cosa morta”. Emblematica è la cosiddetta dieta mediterranea, una realtà che va pensata come un fenomeno di fusione, che si è modificato nel tempo (alcuni sapori sono scomparsi, ad esempio quello del coriandolo, altri sono stati introdotti in seguito, dagli arabi sono stati portati melanzana e carciofo, dall’America pomodoro e fagiolo). E cambierà ancora. Gli stessi spaghetti al pomodoro, piatto della gastronomia italiana dal fortissimo valore identitario, sono in realtà emblema di una contaminazione: l’uso di produrre pasta secca allungata arriva in Italia dal Medio Oriente in epoca medievale, mentre in età moderna giunge dall’America il pomodoro. Se gli spaghetti al pomodoro rappresentano l’identità italiana, essi hanno pertanto radici asiatiche e americane. Ecco perché Montanari può affermare che quando si parla di cibo e di ciò che ruota intorno ad esso si parla di qualcosa di molto serio. E questo è anche il motivo per cui si può condividere, accanto all’entusiasmo per la lettura espresso dal Presidio dei Golosilettori nella figura di Caterina Cappelluti-Altomare, anche l’osservazione di Francesco Violante, dottore di ricerca in Storia moderna presso l’Università di Bari: Montanari è uno dei medievisti italiani più importanti, ma la sua capacità eccezionale è quella di partire dal Medioevo per parlare di cose straordinariamente attuali.


SERVIZI / GASTRONOMIA

Catering&

organizzazione eventi, idee vincenti! Intervista ad Anna Degennaro circa il suo ruolo all’interno dell’azienda di famiglia

I

l ristorante del Golf Club propone da quindici anni cucina tipica pugliese, dedicando particolare attenzione al rispetto delle tradizioni ed alla genuinità dei prodotti. I consensi unanimi raccolti dal ristorante hanno fornito lo spunto per la creazione di un nuovo ramo d’azienda, divenuto, dopo un anno di positive esperienze, una realtà consolidata: MI.D LUXURY CATERING, EVENTS. Signora Degennaro, lei che è donna dinamica ed intraprendente, ci illustra la nascita del nuovo ramo d’azienda? “Al Barialto Golf Club di Casamassima, ci sono stati nel corso di questi anni manifestazioni di ogni genere, prevalentemente con attività ristorazione, eventi sia di livello nazionale che internazionale. Da qui nasce l’idea, visti gli innumerevoli consensi ricevuti, di creare la MI.D Luxury Catering. Un servizio catering di nicchia, ovvero abitazioni, residenze private o dimore storiche dove offrire i nostri servizi con la disponi-

MINA VITERBI DEGENNARO E LA FIGLIA ANNA Anna Degennaro, figlia del senatore Giuseppe Degennaro noto imprenditore e politico pugliese, fondatore del Centro Commerciale e Direzionale Integrato Il Baricentro e dell’Università Lum Jean Monnet, è sposata con il consigliere regionale Massimo Cassano e madre di due figli, Niccolò e Minù. Anna, insieme alla madre Mina Viterbi ed ai fratelli Emanuele e Davide, gestisce le diverse attività del Gruppo sia nel campo imprenditoriale che nel sociale. La famiglia Degennaro è da sempre impegnata attivamente per lo sviluppo del territorio.

bilità, professionalità e responsabilità che ci contraddistingue”. Oggi si parla tanto di organizzazione di banchetti, cioè di catering e banqueting manager. Quali sono le sue funzioni? L’evento viene curato in tutti i particolari? “Ogni evento viene curato personalmente da mia madre o da me in tutte le sue fasi con l’obiettivo di soddisfare appieno le esigenze del cliente. Per noi il fattore ‘Atmosfera’, ovvero allestimenti floreali e scenografie nelmese - 2/2010 - 29


Hotel Club Il Baricentro

S.S. 100 - km. 18 - Casamassima - Bari Tel. 080/6977290 - www.golfhotelbarialto.it

hanno la stessa valenza dell’aspetto culinario, l’obiettivo del nostro operare è suscitare emozioni. Inoltre siamo in grado di offrire una consulenza qualificata sulla componente di intrattenimento musicale e non. E’ nostra premura curare ogni piccolo particolare per avere la certezza di soddisfare a pieno una tipologia di clientela con aspettative elevate”. Come è gestito il servizio? “Quando riceviamo una richiesta il primo passo è effettuare un sopralluogo per verificare gli spazi a disposizione. Successivamente ci preoccupiamo di portare il materiale necessario. Ogni intervento, ogni cambiamento, che viene fatto sulla location è finalizzato allo svolgimento del servizio in maniera ottimale. A fine servizio tutto torna perfetto, come era al nostro arrivo e per questo ci siamo guadagnati l’appellativo di ‘Folletti’. Possiamo contare su un personale affidabile formato negli anni all’interno della nostra stessa azienda. Un team, capace di gestire anche più eventi in contemporanea garantendo lo stesso standard qualitativo”. nelmese - 2/2010 - 30

Quali sono le caratteristiche principali del servizio? “Oltre al classico servizio a buffet, la nostra specializzazione è il finger food. Ogni pietanza viene servita a vassoio, i nostri camerieri passano tra i commensali presentando le varie portate, dall’antipasto fino ai dolci. Le dimensioni delle nostre porzioni danno la possibilità di gustare ogni piatto e di fare il bis di ciò che si predilige. Questa modalità di servizio ha riscosso numerosi consensi poiché non richiede necessariamente l’uso delle posate e consente agli ospiti di poter partecipare alla serata senza noiose pause”. Che tipo di cucina viene offerta? Quali sono le specialità e i piatti più richiesti? “La linea seguita, come già detto, è quella della ristorazione al Golf Club. Ritengo che la cucina pugliese sia fra le più buone d’Italia, l’obiettivo primo è di valorizzare i prodotti della nostra terra, proponendo una cucina genuina, poco elaborata e molto varia; piatti tipici della nostra tradizione da portate d’ispirazione internazionale particolarmente raffinata. Fra gli antipasti caldi più richiesti, le nostre mini piadine, i mini mc burger


Delizie d’autore per gli occhi e... per il palato

Lo chef, Gianni Boccomino, dei ristoranti dell’Hotel Club Il Baricentro e del Barialto Golf Club nelmese - 2/2010 - 31


Hotel Club Il Baricentro

S.S. 100 - km. 18 - Casamassima - Bari Tel. 080/6977290 - www.golfhotelbarialto.it

ed il caciocavallo in tempura, un’autentica delizia per palati raffinati. Un altro piatto imperdibile sono le ‘strascinate’ baresi, sia bianche che integrali, al pomodoro fresco, cacio-ricotta e rucola. Tra i dolci, meritano una menzione speciale i mini krapfen alla nutella. Infine la nostra specialità, risotto ai funghi porcini al profumo di tartufo”. Quali sono i costi del catering? E’ un servizio accessibile a tutti? “Ogni menù viene costruito in accordo con il cliente in virtù del budget disponibile. Cerchiamo di offrire alla nostra clientela un rapporto qualità prezzo particolarmente vantaggioso. La qualità e la genuinità dei prodotti da un lato e l’eleganza e la raffinatezza del servizio dall’altro, vengono prima di ogni considerazione. Su questi aspetti fondamentali non siamo disposti a compromessi”.

persone e quella per Chanel con circa seicento invitati. Da ricordare poi, i ricevimenti che si tengono in occasione delle gare di golf con sponsor nazionali ed internazionali nonché le feste private organizzate per i soci”. Quali sono i suoi progetti per il futuro in relazione a questa nuova attività? “Mi piacerebbe organizzare eventi anche al di fuori della provincia di Bari. Le richieste non mancano. Mi sto attrezzando per poterle esaudire ma ci vorrà del tempo considerato che i risultati stanno superando le nostre aspettative”. Lei, imprenditrice moderna, ha saputo capitalizzare i preziosi insegnamenti ricevuti dai suoi genitori, da suo padre senatore Giuseppe Degennaro e da sua madre Mina Viterbi. “Mi hanno insegnato ad amare quello che faccio ed a portarlo avanti con serietà e responsabilità. L’esperienza dei miei genitori mi accompagna quotidianamente in tutte le scelte…”.

Quali sono stati gli eventi da lei organizzati che ricorda con più piacere? “Senza dubbio devo citare la convention organizzata per la Mediolanum, presso il Golf Club, a cui hanno partecipato oltre mille nelmese - 2/2010 - 32 Barialto Golf Club - S.S. 100 Km 18 - 70010 Casamassima (BA) Tel. 080.6977105


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FUORICASA / CINEMA

FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL CINEMA CON TRECENTO EVENTI Laudadio con il presidente della Regione Puglia Vendola

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Laudadio, un barese del mondo

on finiremo mai di lamentare la perdita di tante intelligenze che depaupera la nostra regione a vantaggio di altre, come più volte abbiamo registrato proprio in questa rubrica dei ‘Fuori casa’. Fortuna che sono anche molti coloro che non se ne dimenticano e, creandosi le condizioni giuste, sono ben felici di tornare per regalarci i frutti della loro esperienza, delle loro conoscenze, delle brillanti carriere fatte altrove. Tra questi, Felice Laudadio, direttore artistico del Bari International Film&Tv Festival concluso a fine gennaio che ha investito Bari con una kermesse cinematografica con oltre trecento eventi tra film, lezioni di cinema, presentazioni, laboratori, seminari e premiazioni. Coinvolte le sale del Galleria e del Kursaal, col valore aggiunto del Petruzzelli per questa prima edizione, durata otto giorni e mezzo, in omaggio a Fellini cui era intitolato il premio, che ha visto il doppio di spettatori rispetto al numero zero dello scorso anno, da ventimila a oltre quarantamila e che ha portato a Bari nomi illustri del cinema, Marco Bellocchio a cui è andato il premo Fellini 8 ½ per ‘Vincere’ come miglior film del 2009, Francesco Rosi, Gianni Amelio, Francesco Maselli, Giuliano Montaldo, Fanny Ardant, Margherita Buy, Margarethe Von Trotta, presidente della giuria, il maestro Armando Trovajoli e molti altri, tutti premiati per l’eccellenza artistica. Una grande manifestazione che ha avuto il merito di esaltare il cinema italiano di impegno sociale con una retrospettiva della migliore produzione, organizzata in accordo con la Regione Puglia dall’Apulia Film Commission (Acf) e dal suo presidente Oscar Iarussi che nei giorni del Bif&st ha inaugurato il Cineporto di Bari dedicato al cinema e alle arti visive, che certamente favorirà produzione di film e talenti locali. Felice Laudadio che da tempo aveva progettato proprio per Bari questo festival che oggi finalmente ha avuto la possibilità di realizzare e dirigere qui, esprime nell’intervista che ci ha rilasciato le sue impressioni sul Bif&st e i risultati ottenuti, sul suo felice (ci si scusi il bisticcio) ritorno a casa e i legami con questa terra.

Il presidente Vendola l’ha definita con un’espressione felice un barese del mondo. Quanto c’è di barese, di pugliese in lei e quanto del mondo? Vendola, si sa, è un poeta. E anche quando presenta affettuosamente i suoi amici e/o collaboratori, va sull’epica. Gli si vuole bene anche per questo. Il fatto è che Nichi sa perfettamente con quale piacere sono tornato non solo a lavorare, ma anche a vivere in Puglia, a Bari, e più esattamente a Torre a Mare, un borgo marinaro che sta esattamente a metà fra Bari e Mola di Bari dove sono nato. A metà strada per non far torto a nessuno, diciamo, ma anche perché, a

di Marisa Di Bello nelmese - 2/2010 - 34

parte il festival di Bari, sto lavorando da qualche anno ad un grande progetto per Mola: la creazione di una sorta di università internazionale, un centro di eccellenza, un campus per la formazione di nuovi talenti per il cinema digitale, il cinema del futuro prossimo (per registi e direttori della fotografia, sceneggiatori e montatori, ingegneri del suono e scenografi). Ma è pur vero che ho girato mezzo mondo, organizzando manifestazioni culturali, e di cinema in particolare, in vari Paesi dell’America Latina, negli Stati Uniti, in Francia, in Gran Bretagna, in Scandinavia. Dove qualche volta sono stato tentato di rimanere per lavorare, per viverci. Ma poi hanno vinto le radici, inestirpabili, ed eccomi di nuovo a Roma, a Bari, a Mola.

quattro anni in una casa editrice, e ci sono tornato solo una volta, nel 1988, per organizzarvi un festival, EuropaCinema. Durò solo un anno e dovetti emigrare di nuovo: Viareggio, questa volta, dove EuropaCinema si è svolto per 21 anni, fino allo scorso settembre. Poi è arrivata la consapevolezza che nella mia terra, la Puglia, stava nascendo una nuova stagione, la “primavera pugliese” l’hanno chiamata. Uomini e donne nuovi, idee nuove, nuove aspirazioni e nuove speranze. E’ successo tutto in 5 anni, gli ultimi 5 anni. E sono tornato a casa a dare una mano, in una terra cui sono molto legato ma dalla quale ero stato costretto a fuggire a 26 anni, come tanti altri giovani emigranti della mia generazione.

Da quanti anni è andato via da Bari, dalla Puglia e quando vi ha fatto ritorno. Il suo rapporto con questa terra.

Naturalmente non possiamo non partire con questa intervista dal successo che ha riscosso la prima edizione del Bif&st di quest’anno, successo in gran parte previsto dopo i risultati del numero zero dello scorso anno.

Da Bari sono andato via quando avevo 26 anni, dopo aver lavorato per


Il regista Marco Bellocchio vincitore del premio “Fellini 8 ½” con “Vincere” come miglior film del 2009 Ma non così eclatanti come è avvenuto quest’anno. I 20.000 spettatori del 2009 si sono più che raddoppiati nel 2010, così come gli eventi del Bif&st. 44.000 presenze di persone curiose, attente, fortemente coinvolte. Un esito sorprendente anche per chi ha organizzato il festival e per chi lo ha vissuto come ospite: ho le orecchie ancora piene delle esclamazioni di felice stupore di cineasti come Marco Bellocchio, Giuliano Montaldo, Giuseppe Tornatore, Fabrizio Gifuni, Margarethe von Trotta, Margherita Buy, Fanny Ardant, Ettore Scola e dei tantissimi altri venuti a Bari per il Bif&st. Quest’anno il valore aggiunto è stato il Petruzzelli rinato. Già nel febbraio 2008, quando per la prima volta ho proposto il festival, speravo di poter contare sul Teatro Petruzzelli per il gennaio 2009. Non

fu possibile, e dunque abbandonai il progetto delle grandi anteprime internazionali che hanno bisogno di una location ottimale che a Bari solo il Petruzzelli può garantire, come è avvenuto quest’anno. Risultato: abbiamo potuto portare film eccellenti in anteprima italiana e 5 su 6 film in corsa per gli Oscar da noi presentati al Petruzzelli hanno ottenuto le ambite nominations all’Oscar. Non male per una prima edizione… Da quanto tempo pensava a questo festival, visto che i premi assegnati sono intitolati a Fellini che le aveva concesso di utilizzare il suo nome? In realtà i premi sono stati inizialmente, fin dal 1984, realizzati su un disegno che, su mia richiesta, Fellini fece per la prima edizione di EuropaCinema e che divenne il logo di quel

1988, Felice Laudadio insieme all’attrice Lea Massari alla cerimonia conclusiva del primo Festival EuropaCinema, la prima rassegna cinematografica svoltasi a Bari

Oscar Iarussi presidente dell’Apulia Film Commission festival. Nel tempo sono diventati i Premi Fellini 8½ attribuiti a Rimini prima e a Viareggio fino allo scorso settembre a grandi personalità quali Michelangelo Antonioni, Gian Maria Volonté, Wim Wenders, Hanna Schygulla, Luis Berlanga, Victoria Abril, Charlotte Rampling, Philippe Noiret, Volker Schloendorff, Ingmar Bergman, Roberto Benigni, Vanessa Redgrave, Laura Morante ecc. E ora sono ri-approdati a Bari, una volta chiusa la mia esperienza viareggina. Un valore aggiunto. Già molti anni fa c’era stato il tentativo di fare un festival del cinema a Bari. Cosa lo ha poi impedito e cosa oggi lo ha reso possibile? Avvenne nel 1988. Bari ospitò la quinta edizione di EuropaCinema, costretta a lasciare Rimini per un feroce tentativo di lottizzazione. Aveva avuto un tale successo che i partiti politici vollero tutti metterci le mani sopra, e io me ne andai col mio festival. Venni a Bari, fu un trionfo, 80.000 spettatori in 8 giorni e presenze straordinarie fra le quali quelle di Marcello Mastroianni e Sergio Leone cui andò il Premio disegnato da Fellini ma anche di giovani e sconosciuti autori come Giuseppe Tornatore o Francesca Archibugi che debuttarono a Bari con Nuovo cinema paradiso e Mignon è partita in anteprima mondiale. Ma qui i politici del tempo erano più avidi, diciamo così, di quelli di Rimini: da una parte non gliene fregava niente del festival, dall’altra pretesero tangenti. E via di corsa, un’altra volta, pur di non pagarle. Ma fu la fine di un bellissimo sogno per Bari, un sogno interrotto per 20 anni e ricominciato ora in un clima completamente mutato e con amministratori pubblici assolutamente corretti, e colti. A conclusione di questa esperienza, cosa la soddisfa maggiormen-

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te? L’aver ritrovato a Bari un pubblico straordinario. C’erano ancora tutti i “reduci” dell’88, ma soprattutto c’erano le nuove generazioni, ragazzi e ragazze così affamati di cinema che “si facevano” 4 e anche 5 film al giorno, dalle 9 a mezzanotte, e così il giorno dopo. Stupendo. Parliamo di Puglia. Molti registi oggi la scelgono come set per girare i loro film. E inoltre è in grado di esprimere talenti e di produrre. La Apulia Film Commission (AFC) in che modo può avere un ruolo importante in questo non soltanto per la nostra regione, ma per il cinema italiano? La Puglia è un set a cielo aperto strepitoso. C’è tutto, ed è bellissimo, e registi, produttori, scenografi ormai lo sanno. Molti anni fa indussi Michelangelo Antonioni a girare la Puglia per un film da me prodotto, Destinazione Verna. Rimase incantato e decise di girare tutti gli esterni qui e non più in Campania come avrebbe voluto prima di scoprire il Salento. Peccato che quel film non si sia più fatto per ragioni di salute del grande regista. L’AFC – che esiste solo da poco più di 2 anni – ha un ruolo grande in questa terra, ma anche in ambito nazionale: i film girati in Puglia evidentemente aiutano molto il cinema italiano se poi vengono scelti sempre più spesso, come sta accadendo, per rappresentare l’Italia nei grandi festival internazionali. In provincia le sale chiudono e i cineclub sono un ricordo del passato. Cosa ne pensa? Temo che si tratti di un processo purtroppo irreversibile. Le sale del centro stanno chiudendo in tutte le città, a cominciare da Roma. Le ragioni sono tante, a partire da quelle economiche. Come è già avvenuto da tempo per i cineclub. Ma si sono moltiplicati i festival che servono almeno a sopperire a questa privazione pesante. In compenso a Bari si è riaperto l’ABC e sta per realizzarsi il progetto ‘D’Autore’ con venti sale sparse in tutta la regione per una programmazione di qualità. Mi chiedo se si sarebbe mai rrealizzato senza l’appoggio determinante della Regione Puglia di Nichi Vendola e Silvia Godelli, l’assessore al Mediterraneo, attraverso gli apporti dell’Apulia Film Commission. Un’altra medaglia per l’AFC, per Oscar Iarussi, il presidente, e Silvio Maselli, il giovanissimo direttore. Lei è stato per lunghi anni collaboratore e redattore di case

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editrici importanti come la Laterza. Come ricorda quel periodo, il livello culturale della società di allora e quale differenza riscontra, se c’è, con quella di oggi? Cominciai a collaborare alla Laterza a 18 anni, come correttore di bozze. E a 20 anni Vito Laterza, cui ero stato segnalato dal caporedattore Mario Santostasi, mi assunse come responsabile dell’ufficio stampa. Ma non feci neanche un giorno: dovetti partire per il servizio militare, m’ero scordato di chiedere l’esonero o il rinvio. E quando tornai fui assunto come caporedattore dalla Dedalo. Questo per dire come erano diversi i tempi. Un giovane, un ragazzo anzi, riusciva a trovare lavoro subito. Noi divoravamo libri dal mattino a notte fonda, scrivevamo racconti, articoli, facevamo teatro. La libreria Einaudi, ad un primo piano di via Putignani, era il nostro covo serale, una sorta di santuario dove incontrare scrittori, saggisti, poeti. Il livello culturale era altissimo ma fortemente elitario. Vedevamo la tv solo il lunedì, per il film, e il venerdì per il teatro, il grande teatro, due appuntamenti fissi settimanali. Credo che oggi ci sia una forte massificazione nel consumo culturale ma temo che il livello qualitativo generale si sia molto ridotto, con le dovute eccezioni. E credo che la responsabilità vada ascritta soprattutto al consumismo e alla tv commerciale, RAI inclusa, che contribuisce a spegnere le intelligenze, che pur ci sono, eccome, da quando si è ancora in fasce. Dopo il romanzo ‘Il colore del sangue’ e il volume ‘C’era una volta …la televisione pubblica’, ha in gestazione un nuovo romanzo a sfondo socio-politico. Può anticiparci qualcosa? No, è ancora troppo presto. Ho appena ricominciato a lavorare sul libro sulla tv dopo l’efferata fatica fatta per il Bif&st, e ho da mandare avanti la Casa del Cinema di Roma. Scrivo nei ritagli di tempo, e non sono molti. Nuovi progetti e nuove idee per la prossima edizione del festival? Cosa pensa di cambiare? Certamente occorre ripensare la scelta di introdurre la fiction televisiva straniera, seppure di alta qualità, nel programma del Bif&st. Il pubblico, se c’è un festival di cinema vuole solo cinema, anche se, e sembra una contraddizione, ha salutato con 20 minuti di applausi una fiction straordinaria come “C’era una volta la città dei matti” su Franco Basaglia. Ma, appunto, quello è più cinema che fiction. E il pubblico, che ha un naso finissimo, l’ha perfettamente capito.


FUORICASA

Bari sì, ma non il traffico! Descritte, da una giovane donna trasferitasi da Gorizia, le difficoltà per inserirsi nella vita tumultuosa del capoluogo pugliese di cui ha centrato alcuni pregi e difetti dei suoi abitanti

H

o iniziato a trasferirmi a Bari il 15 novembre 2008. Fino a quel momento avevo sempre pensato al trasloco come ad un’azione unica, che inizia e termina nel momento in cui ci si sposta da una città ad un’altra. Ora sono piuttosto dell’idea che sorprese per convenienza ed effial trasferimento fisico, immediato per quanto faticoso, segua cienza: ancora adesso, nonostante un lungo e mai completo trasloco interiore. abbia ormai imparato a districarmi Tra Bari e la mia città d’origine ci sono mille chilometri di dinel traffico barese, mi affido alle stanza: gli stessi che separano Parigi da Berlino. Pur essendo navette dei parcheggi a pagamenrimasta all’interno dello stesso stato, sono passata da una sua to quando voglio raggiungere il centro senza stress. Usare i estremità all’altra: un cambiamento geografico, climatico e mezzi pubblici rappresenta inoltre un osservatorio privilegiato sociale che non sospettavo essere così significativo. Sono nata per chi, come me, si sente ancora spettatore di una determia Gorizia, una località che ho scoperto essere semisconosciunata realtà. Mi permette di constatare come, con il passare dei ta a molti abitanti del Sud Italia; gli unici a conoscerla sono mesi, abbia imparato a carpire almeno qualche parola dal flusuomini che vi hanno svolto il servizio di leva, per tutti gli altri è so di un dialetto che inizialmente mi era sembrato totalmente un pallido ricordo scolastico o addirittura già terra slovena. In incomprensibile. Mi dà la possibilità di osservare le differenze effetti non c’è molto da sapere su una cittadina con meno abitra abitudini ed atteggiamenti così distanti rispetto a quelli in tanti di Molfetta, dove esiste il coprifuoco per i locali notturni mezzo a cui sono cresciuta. La bellezza delle donne del Sud e dove vigono ancora una mentalità ed un rigore di discendenè un argomento noto anche al di fuori dei confini italiani, ma za austro-asburgica, tracce di un passato che un’annessione in per rendere loro giustizia sarebbe forse più corretto parlare di definitiva non così lontana non ha ancora cancellato. Appena eleganza, di fascino. La bellezza a volte può essere trascurata, fuori dalla città, oltrepassato il ponte sull’Isonzo, si susseguono o rozza; le donne in cui mi imbatto ogni giorno a Bari possiepiccoli paesi da tremila, quattromila abitanti, dove la case sono dono invece una femminilità consapevole ma dignitosa, quella intervallate da prati e campi coltivati. E’ lì che sono cresciuta. stessa femminilità che in altre parti d’Italia viene repressa e La prima volta in cui visitai Bari rimasi stordita dalla sua fremortificata sulla scia della moda minimalista. In mezzo alla folnesia; naturalmente avevo già visitato delle grandi città, ma la, in Via Sparano come al supermercato, è inevitabile imbatmai con la consapevolezza di un trasferimento imminente. Il tersi in ragazze ed in donne perfettamente vestite e truccate. mio primo approccio fu ovviamente di tipo turistico: visitai il Delle vere visioni. Le giovani sembrano amazzoni senza paura, centro murattiano, la città vecchia, il lungomare ed il Castello orgogliose e provocatrici. Le donne più mature conservano una Svevo. Lasciai in valigia la pesante giacca a vento con cui ero misteriosa fierezza, che l’età compone e armonizza fornenpartita, e mi feci baciare da un sole che, a Nord, avrei rivisto dole un’eleganza superiore. La femminilità di queste donne, solamente a primavera. Gustai per la prima volta la focaccia – così profondamente radicata, suscita in me un’ammirazione commettendo l’errore di accompagnarla con l’acqua – e soffrii incondizionata. La cura di se stesse, del proprio aspetto, mi la fame nello sforzo di adattarmi ai diversi orari per il pranzo e sembra parte di una concezione della vita che non si trincera la cena. Di ritorno da quel primo sopralluogo, mi sentivo già un mai nel privato, ma lascia sempre la porta aperta all’altro. La po’ innamorata di quella grande città e del suo mare, dei suoi dimensione domestica barese, così accogliente verso l’ospite, abitanti ospitali e vivaci. Le uniche cose di cui sapevo avrei risiede nelle mani di queste donne, per le quali una casa ed avuto nostalgia erano il verde degli alberi e la sagoma rassicuuna persona in disordine non comunicano calore e desiderio di rante delle montagne all’orizzonte. condivisione. Dopo una lunga serie di viaggi di andata e ritorno, ed una buoE’ difficile trovare uno spirito più ospitale di quello in cui mi na quantità di scatoloni riempiti e svuotati, l’inizio del 2009 mi sono imbattuta in questa città. A qualsiasi età, il piacere della vide pronta ad iniziare la mia avventura a Bari. Avevo innanzicompagnia rimane inalterato, diventa contagioso. Le tavolate tutto bisogno di trovare un lavoro, e questa necessità mi mise domenicali hanno la proprietà di crescere in modo esponenziafaccia a faccia con un problema tutt’altro che secondario: non le all’avvicinarsi di qualsiasi festività, le ricorrenze sono perceero assolutamente in grado di guidare in questa città. Avevo pite come occasioni di piacere e non come doveri da assolvere. la patente da dieci anni, avevo fatto diversi viaggi e macinato Superati gli otto commensali, diventa impossibile sentire cosa svariati chilometri, ma appena superavo il confine tra la mia stia dicendo la persona a due sedie di distanza da noi, ma zona residenziale e Viale della Repubblica, cadevo in preda al anche nell’inspiegabile chiasso prodotto dal ritrovarsi risiede panico. Ero abituata ad una guida veloce e fluida, il genere parte dell’euforia dell’incontro. di guida che si tiene per l’appunto su statali poco trafficate Vivo a Bari da più di un anno, e molti aspetti della sua nae ben tenute; ero abituata a decelerare e fermarmi davanti tura continuano a sfuggirmi. Continuo a chiedermi perché le ad un semaforo arancione, abitudine che ho dovuto perdere persone parlino a volume così alto, e perché prima delle 18 in fretta dopo aver evitato per poco di essere tamponata. Il non si possa uscire a fare una passeggiata. Mi domando come suono continuo ed isterico dei sia possibile che una città così clacson mi metteva in uno stato di grande non abbia degli spazi perenne agitazione, la necessità adeguati per chi desideri fare di fare lo slalom tra auto postegjogging all’aperto, e come mai giate in seconda o terza fila mi si ricorra all’auto anche solo per scoraggiava dall’uscire di casa più fare pochi metri. Mi chiedo come dello stretto necessario. Più che possano esserci quartieri contigui il traffico, temevo l’aggressività e diversi come il giorno e la notte, l’imprevedibilità delle persone al al punto da spaventare il turista volante, quell’esasperazione che avventuroso che voglia uscire le porta a passare con il rosso per dal selciato. Mi domando quanto non attendere una terza volta il l’atmosfera di questa città controverde, che fa loro dimenticare di versa mi cambierà nel corso degli mettere la freccia prima di girare. “...temevo l’aggressività e l’impreanni; e mi ritrovo a chiedermi La mia ancora di salvezza venne quanto l’abbia già fatto. dal servizio di Park & Ride, che mi vedibilità delle persone al volante”

di Giorgia Bini

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RICORDI

Tre anni per ricordare Nino Rota “U

n paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei, resta ad aspettarti”. Quest’affermazione del grande poeta e scrittore Cesare Pavese ben s’attaglia all’eletta affezione del musicista Nino Rota per la città di Bari, nella quale, pur milanese per nascita, volle erigere la sua dimora, sin dalla sua giovinezza. Rota (1911 - 1979) approdò infatti in Puglia, dapprima quale docente nel Liceo musicale di Taranto, e poi a Bari, ove per circa un decennio esercitò la docenza di Armonia e Contrappunto, e poi anche la direzione, nel Liceo Consorziale “Piccinni” (1939-1949). Successivamente, e per oltre un venticinquennio (1950-1976), proseguì nella funzione di direttore del barese Conservatorio di Musica (creato con la statizzazione del precedente Liceo Musicale). A Bari Nino Rota regalò i suoi felici periodi compositivi, sia nell’ambito della musica sinfonica, operistica e cameristica, sia nell’ambito della musica per film (compose ben 145 colonne sonore, ottenendo l’“Oscar” per il “Padrino-Parte II”, e tre “Nastri d’Argento”). Per Bari, e soprattutto per docenti e allievi del “suo” Conservatorio, Rota profuse le gemme prestigiosissime del suo cuore generoso, prodigo di premure e doni, costellanti l’affascinante itinerario della sua esistenza. Distanze spaziali, spesso, per incontri di collaborazione con registi, e per esecuzioni di sue composizioni, sradicavano Rota dalla città e dal suo Conservatorio, proiettandolo in lontani Paesi, in diversi continenti. Purtuttavia, l’anima e la mente di Rota erano sempre qui, a Bari, la sua città, nel suo Conservatorio, con lunghe e numerose telefonate quotidiane, per accertarsi che problematiche didattiche e amministrative fossero state appianate. E Bari, e il Conservatorio, con il “suo” prediletto giardino di aranci su cui si affaccia tuttora la stanza della direzione, che era anche la stanza-dimora di Rota (arredata solo con un pianoforte e, in una minuscola stanza attigua, un

di Adriana De Serio nelmese - 2/2010 - 38

Il Maestro Nino Rota al suo pianoforte in dotazione al Conservatorio musicale “Piccinni” di Bari (Archivio NelMese - foto Luca Turi) letto), hanno sempre atteso i ritorni del compositore, contenendo e lenendo eventuali sue ambasce e partecipando a catartiche gioie. La sua Puglia rappresentava, per lui musicista aduso a riconoscimenti internazionali, un valore intimo, un mondo segreto e amato perché espressione dei divi “minorum gentium”, degli umili e dei semplici, mentre egli si confondeva tra essi per ascoltare le bande paesane sulla cassarmonica illuminata. Ed è così che, nella musica di Rota, Lorenzo Arruga definisce la “musica della memoria”: non è un caso che sia ancor più avvertibile allorché la musica si sposa con l’immagine filmica felliniana, di cui riveste i sogni e le ricordanze. Esempio aureo di questa Sensucht popolare e pugliese della musica, la marcetta della “bassa musica” che, improvvisamente, compare dal nulla e passa dinanzi agli occhi incantati di Gelsomina, nella famosa sequenza del film felliniano “La strada”, considerata dai critici uno dei massimi esempi in cui la “musica di Rota diventa personaggio”. A Bari, Rota stava bene, e Bari stava bene con lui. In un’intervista, alla domanda sul come e quando preferisse comporre, Rota rispose: “A Bari, la sera” (NelMese, 5/6-1973). Dopo l’improvvisa e dolorosa dipartita del compositore, il Conservatorio di Musica di Bari ha progettato e concretizzato varie iniziative celebrative del Nostro. Il Conservatorio di Musica di Bari, afferente al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, attualmente, con la direzione (da ventidue anni) del Maestro Marco Renzi, e la presidenza del dott. Stefano Carulli, si colloca in una posizione di primaria importanza, fra le Istituzioni accademiche musicali italiane, sia per quanto riguarda il numero di allievi (oltre duemila) e di docenti (oltre duecento), sia per l’eccellenza nella didattica, produzione e ricerca artistiche. Nell’ambito, quindi, della propria attività musicale a raggio internazionale, e in costante dialettica e integrazione con le Istituzioni socio-culturali del territorio, il Conservatorio di Musica di Bari, in procinto di festeggiare nel 2010 l’ottantacinquesimo anniversario della sua

fondazione, ha promosso un Progetto artistico triennale dedicato “A Nino Rota”. Varato nel dicembre 2009 in occasione del trentennale della scomparsa del compositore, il Progetto si estende sino al 2011, anno in cui ricorre il centenario della nascita di Rota. Tale Progetto prevede l’allestimento di diversificate manifestazioni dedicate a Rota, tra cui concerti monografici sinfonici e cameristici (con l’esecuzione integrale della musica da camera in sette lezioni-concerto), opere teatrali (“Lo scoiattolo in gamba”, “Aladino e la lampada magica”), rappresentazioni sacre (“La vita di Maria”, “L’infanzia di San Giovanni Battista”), la mostra “Rota/Fellini” (a cura della Fondazione Fellini per il Cinema di Sion) donata dal Rotary Club Bari (presieduto dal prof. Francesco Romano), e la mostra “Archivio Nino Rota-Collezione di musica popolare e dell’infanzia” (a cura della Fondazione “Cini” di Venezia), le giornate di studi “Casanova e altre storie” e “Nino Rota e il sacro”, un concerto di musica sacra rotiana, lezioni divulgative e guide all’ascolto a cura delle classi di Storia della Musica del Conservatorio “Piccinni” di Bari, “Piccola offerta musicale” quale omaggio a Nino Rota delle scuole di Composizione del Conservatorio “Piccinni” di Bari. Collaborano a tale Progetto di rilevanza internazionale varie Istituzioni pubbliche e private: Ministero dell’Università, nella persona del direttore generale AFAM Bruno Civello, Regione Puglia, Provincia e Comune di Bari, Fondazione Lirico Sinfonica “Petruzzelli e Teatri di Bari”, Fondazione “Cini” di Venezia (ospitante il “Fondo Nino Rota”), Fondazioni “Fellini”, di Rimini, e di Sion in Svizzera, Università di Bari, Lyons Club Bari, e, in particolare, il Rotary Club Bari, per il meritorio impegno e la sensibilità artistica del suo presidente prof. Francesco Romano, ordinario nell’Università di Bari. Il Progetto “A Nino Rota” è stato inaugurato, nel dicembre 2009, in occasione delle celebrazioni per i trent’anni dalla scomparsa del compositore, da uno splendido concerto tenuto dall’Orchestra di docenti e allievi del Conservatorio, in un Teatro Petruzzelli gremitissimo di pubblico. Gli allievi della classe di


direzione d’orchestra del Conservatorio, docente Rino Marrone, hanno diretto l’orchestra in alcune delle più significative pagine rotiane: “La Fiera di Bari” (direttore Marco Grasso), “Il cappello di paglia di Firenze: Ouverture” (direttore Roberta Peroni), “Le Molière imaginaire” (direttore Leonardo Smaldone), “Concerto soirée per pianoforte e orchestra” (direttore Christian Ugenti, pianista Pasquale Iannone), “Sinfonia sopra una canzone d’amore” (direttore Rino Campanale). Eccellenti le esecuzioni, che, quale vellutato tappeto, hanno articolato l’emergere dell’inconfondibile cifra rotiana, in una passerella di stilemi compositivi sapienti e mordaci, iscrivendo l’evento nella storia musicale e culturale del Conservatorio e della città di Bari. Nino Rota, tra mito e realtà. E’ destino di tutti i miti vivere nell’aleatorio, nel limbo delle conoscenze, non partecipare mai al patrimonio individuale di certezze. In un’intervista (NelMese 12/’85), effettuata da chi scrive a giovani allievi del Conservatorio, questi rivelavano che Rota era un perfetto sconosciuto, un personaggio di cui sentivano talvolta parlare, magari anche casualmente, ma che non aveva assunto nelle loro menti una precisa configurazione storico-culturale. La valenza del Progetto triennale “A Nino Rota” del Conservatorio di Musica di Bari risiede dunque anche in quest’opera di sensibilizzazione del tessuto sociale, a tutti i livelli anagrafici, in riferimento alla personalità del Nostro, imprescindibile punto di riferimento, pilastro nel panorama della storia della letteratura musicale, e della storia del cinema, del

Da sinistra, i Maestri Nicola Scardicchio e Marco Renzi e il consigliere comunale di Bari Luigi Fuiano, presidente della Commissione Cultura

I cinque direttori d’orchestra del concerto al Teatro Petruzzelli. Da sinistra, i Maestri Rino Campanale, Christian Ugenti, Leonardo Smaldone, Marco Grasso e Roberta Peroni (foto di Carlo Cofano/Iesseppi) Ventesimo Secolo. “L’artista deve pensare sempre al pubblico. Il musicista deve comporre con la volontà che lo comprenda la maggior quantità possibile di persone. Al contrario, sarà un esteta solitario che non avrà ragione di essere… Io non temo di essere melodico e orecchiabile o – come si è scritto – un personaggio curiosamente inattuale nel panorama della musica contemporanea. Non è in una nuova sintassi o in una grammatica musicale che si trova l’originalità… L’attualità della musica sta nella sostanza, nel messaggio che contiene, non nella forma

esteriore. L’importante, per me, è che la musica sia subito percepibile: abbia, cioè, i canoni dell’immediatezza”. Con tali affermazioni di Nino Rota si libra il suo coraggioso credo estetico e spirituale, nutrimento di quella dimensione dell’Altrove di cui il compositore sembrava costantemente permeato, in indipendenza e coerenza etica, con lo stupore incantato del “fanciullino” pascoliano, del suo vivere (anche artistico) come trepidare poetico, decantata la “ybris” nel respiro dell’immanenza del Divino.

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RICORDI / COMMERCIO

Giuseppe Pepe

riconoscimenti internazionali

L

a Federazione Europea dei Profumieri Dettaglianti conferì nel 2004 a Giuseppe Pepe, scomparso a 77 anni nei primi giorni del mese dopo una lunga malattia, il titolo di presidente ad honorem. Della Federazione Pepe era stato socio fondatore a Parigi nel 1960 e successivamente vice presidente vicario. Il presidente della Federazione in carica all’epoca, Dieter Wolf, rilevò che Giuseppe Pepe “ha svolto e continua a svolgere un ruolo insostituibile per la Federazione Europea. Si è sempre battutto, spesso esponendosi personalmente, per la causa del selettivo italiano ed europeo. E’ giusto dunque tributargli questo riconoscimento, in segno di stima e riconoscenza, per il lavoro sin qui svolto e per ciò che vorrà continuare a fare”. Giuseppe Pepe, che era stato per due mandati anche presidente della Fenapro (la Federazione Nazionale

Profumieri), aveva ottenuto nel 2003 un altro significativo riconoscimento: il “Premio alla carriera” dall’Accademia del Profumo “per la preziosa opera svolta a favore della crescita professionale ed economica dei profumieri italiani ed europei”. Oltre all’attività svolta da Giuseppe Pepe nel settore specifico in campo nazionale ed internazionale, intensa è stata per molti anni anche quella in campo sindacale e in enti della città. Componente della Giunta della Camera di Commercio, vice presidente dapprima e poi vice presidente vicario dell’Ente Fiera del Levante, vice presidente vicario della Conf-commercio di Bari. Tra i riconoscimenti più significativi quello di Simeone Di Cagno Abbrescia da sindaco nell’ottobre del 2002: “Giuseppe Pepe è la rappresentazione classica di un’azienda commerciale che deve porsi al servizio dei clienti e quindi dei cittadini”. Numerosi i qualificati commenti ottenuti da Giuseppe Pepe da esponenti delle ditte rappresentate. Tra l’altro, nell’ottobre del 2002 in occasione del 75esimo dell’esclusiva unica al mondo, con la Elizabeth Arden, la dott. Paola Detti, all’epoca presidente e amministratore delegato della casa cosmetica americana, rilevò che “di rado, collaborazioni che iniziano come rapporti commerciali possono rimanere così intatti, così

La sede della Profumeria Pepe in via Abate Gimma, 62 a Bari nelmese - 2/2010 - 40

autentici e di alta qualità nel tempo. Noi citiamo la Profumeria Pepe come un esempio non comparabile ad altre realtà E’ un rapporto che va al di là dell’aspetto commerciale, basato sulla fiducia, sulla stima reciproca e alla fine su un’affettuosa amicizia. I 75 anni di questo rapporto sono rari perchè i valori di qualità, intesi nel senso più ampio del termine non sono più molto moderni e condivisi”. Ancora. “Credo che la qualità di persone come Pepe e l’attività di collaboratori e collaboratrici della profumeria hanno saputo mantenere vivi i principi che la grande signora della cosmesi mondiale trasmise appunto tantissimi anni fa”. Un ulteriore successo ed una conferma di quelle caratteristiche che da sempre contraddistinguono il servizio Pepe nel mare magnum della profumeria: a metà del 2004, quando ottenne l’esclusiva per l’intera Puglia della Giorgio Armani Cosmetics. L’allora direttore di divisione della Armani, Marco Pirone, affermò che “Giuseppe Pepe è la realtà più rappresentativa della città e del paese nell’ambito della profumeria. Ha un livello di clientela e un livello di professionalità delle sue collaboratrici talmente alto da assicurare il servizio di consulenza e di assistenza di una casa cosmetica come Giorgio Armani. Quella di Pepe è una delle profumerie più importanti di Italia”. Infine, un pensiero personale. Ricorderò per sempre con commozione e nostalgia Bepi Pepe, al quale nell’arco di un ventennio NelMese ha dedicato significative interviste e servizi redazionali, in occasione delle più prestigiose tappe dello sviluppo della sua azienda. Ma ricorderò anche le lunghe e appassionate conversazioni su alcuni problemi della “nostra” città alla quale era molto legato e per la quale ha profuso per anni le sue migliori capacità ed energie.

Nicola Bellomo


Giuseppe Pepe e la moglie Luisa scomparsa nell’ottobre del 2000 a 64 anni (foto MC)

Nel 1996 fu edito da Giorgio Mondadori un volume “Protagonisti della Bellezza” con l’intento di “scoprire l’uomo o la donna che sta dietro il manager o il professionista di questo campo”. Per il libro Bepi Pepe scrisse un racconto “Burrasca in pieno Adriatico” nel quale descriveva le fasi appunto di una burrasca che l’aveva colto sulla barca in navigazione con la moglie Luisa. “Una burrasca - come scrisse all’epoca su NelMese, Caterina Cappelluti Altomare - che rinsalda i legami e gli ormeggi, per dirla in gergo marinaro in linea con il racconto, della vita mettendo a dura prova la stabilità di una barca. Che assomiglia tanto alla vita e che come questa procede tra bonaccia ed imprevisti, a volte messa a dura prova a volte dondolandosi dolcemente sull’onda. Un’avventura di mare di Bepi e Luisa uniti dalla passione per la bellezza, beauty-consultant di Arden lei, profumiere da generazioni lui, sono come usualmente si dice ‘una bella coppia’. E il racconto e la vita vanno dimostrando giorno dopo giorno un legame collaudato a cui gli imprevisti hanno dato scossoni lasciandolo ogni volta più forte, in grado di accettare e superare tanto la routine quotidiana quanto appunto la burrasca. Anche il nome della barca ‘Collera’ sembra meditato e dedicato all’andare avanti ad ogni costo in nome delle passioni, dei comuni intenti, dei lampi di memoria che rimandano a episodi vissuti insieme, del lavoro e della professionalità che unisce, di ansie, paure, timori che rinsaldano. Per vivere - a volte sopravvivere - ma sempre, ad ogni costo, insieme!”

Fiera del Levante, settembre 1993: il presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi in visita al quartiere fieristico con accanto il presidente dell’Ente Gaetano Piepoli e il vice presidente vicario Bepi Pepe

Ottobre 2002, Bepi Pepe con la dott. Paola Detti, presidente e amministratore delegato all’epoca della Elizabeth Arden Italia e responsabile mondiale dei nuovi progetti

2003, Fiera di Bologna, CosmoProf: il presidente dell’Accademia del Profumo, Mario Usellini, consegna a Giuseppe Pepe l’artistica targa del premio alla carriera

Maggio 2004, Bepi Pepe con il direttore di divisione della Giorgio Armani, Marco Pirone, ed il direttore commerciale della linea Alberto Pace in occasione della concessione dell’esclusiva regionale nelmese - 2/2010 - 41


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EMERGENTI

Un’arpa per sognare

Nella ressa delle tante mortificanti vicende di violenza, dolore e ingiustizia di cui quotidianamente veniamo a conoscenza, abbiamo scoperto una storia bellissima, che racconta di talento, di dedizione, di lavoro di squadra, di musica che diventa scopo di una vita. Una storia nata a Noci e rimasta finora poco conosciuta, ma che oggi, come ogni favola che si rispetti, vuole essere raccontata. Un po’ sottovoce magari, perché l’incantesimo non si rompa, e perché le cose più belle vanno sussurrate, con delicatezza. A maggior ragione se la protagonista è una ragazza di quattordici anni che suona magistralmente l’arpa e coltiva un sogno…

di Claudia Serrano

Possiamo iniziare a raccontare questa storia partendo dall’aprile 2008, quando Claudia Lucia Lamanna, una timida ma risoluta arpista di Noci che studia presso il Conservatorio di Musica “Nino Rota” di Monopoli, vince a soli dodici anni il primo premio assoluto al concorso “Giovani Arpisti in concerto 2008”, organizzato a Milano dalla Camac Harps Italia, una casa francese costruttrice di arpe. Non solo: di fronte al suo raro talento, la giuria, composta da musicisti di spicco, decide di non consegnarle il premio previsto, un’arpa celtica da nelmese - 2/2010 - 43


La quattordicenne Claudia Lucia LAMANNA è iscritta al VII anno del corso di Arpa diretto dalla Prof.ssa Maria Ester GATTONI presso il Conservatorio di Musica “Nino Rota” di Monopoli. Ha partecipato a masterclass con la Prof.ssa Elisabeth Fontan-Binoche (Conservatorio di Cosenza), corsi di arpa sola in Val Tidone (PC) ed ensemble di arpe a Castrocaro Terme, nonchè a numerose rassegne in tutto il territorio nazionale tra le quali un’importante incontro con Eleanor Turner. E’ vincitrice di 1° premio nei concorsi: “Don Matteo Colucci” a Torre Canne di Fasano (BR), ”Città di Matera”, concorso internazionale “La Vallonea” a Tricase (LE) aggiudicandosi anche il premio della critica “G. Paisiello” per la miglior qualità di tocco, stile e fraseggio, “II concorso Internazionale Città di Fasano” e “Francisco Tàrrega Città di Taranto”. Ha conseguito diplomi di 1° premio assoluto nei concorsi: “Giovanissime e Giovani Promesse” di Monteroni di Lecce, “N. Van Westerhout “ di Mola di Bari, nel 1° concorso internazionale “settimana musicale lucana” a Policoro (MT). Di speciale rilievo il 1° premio assoluto al concorso “Giovani Arpisti in concerto 2008” tenutosi a Milano dove è stata notata e premiata dall’Arpista di fama internazionale Isabelle MORETTI, docente al Conservatorio Nazionale Superiore di Musica di Parigi. Ha partecipato a numerosi concerti sia come solista che nell’ambito della musica da camera. Di notevole spicco da ricordare la partecipazione alla 2^ Rassegna Giovani Concertisti della Associazione Amici della Musica di Monopoli, nonché ad un concerto tenutosi presso il circolo canottieri Barion di Bari. Ha rappresentato il Conservatorio “Nino Rota” al “Premio delle Arti” anno 2008/2009 ed in numerose altre importanti occasioni musicali tra le quali la 73^ Fiera del Levante di Bari. Ha partecipato inoltre nell’ estate 2009, ad un particolare evento musicale tenutosi a Sintra (Lisbona) in Portogallo ed organizzato dal noto tenore portoghese PEDRO ALVAREZ. E’ stata altresì intervistata dal canale televisivo “Puglia Channel” nella trasmissione “Opinioni e Confronti”.

L’arpa, una storia antica

Avvolta dai miti, suonata dagli angeli ed evocata come simbolo nella letteratura, l’arpa è uno strumento musicale di antichissime origini: alcuni bassorilievi su pietra ne testimoniano la presenza nell’area sumero-mesopotamica sin dal 3.000 a.C. Nella civiltà egiziana, ed in particolare nel corso della terza dinastia faraonica, il suono dell’arpa accompagnò le cerimonie pubbliche e religiose, e la raffigurazione pittorica dello strumento è presente in tutta l’arte funeraria. Successivamente, l’arpa divenne un importante strumento di culto religioso presso la civiltà ebrea, così come è narrato nelle Sacre Scritture. Nel Medioevo i trovatori solevano narrare gesta leggendarie e amorose accompagnandosi con strumenti di questo tipo (arpa medievale). Nel corso dei secoli XVI e XVII lo strumento subì diverse trasforma-

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34 corde, ma un’arpa Gran Concerto, da 47 corde e di un valore straordinariamente maggiore. Claudia, infatti, ha stupito tutti scegliendo su due piedi di eseguire il brano La Gitana di Hasselmann non sull’arpa da studio con cui tutti gli altri partecipanti si erano esibiti e lei stessa esercitata, ma sulla Gran Concerto, un’arpa usata da musicisti di alto livello e che lei, prima di quel momento, non aveva mai suonato. Al momento della proclamazione, Claudia viene premiata dall’arpista di fama internazionale Isabelle Moretti, docente al Conservatorio Nazionale Superiore di Musica di Parigi, mentre il responsabile della Camac Harps Italia Enrico Tartarotti confessa a Michele Patrizio Lamanna, padre di Claudia, di essere rimasto sbalordito dalla strepitosa esecuzione, perché mai aveva visto una dodicenne riuscire così bene nel suonare una Gran Concerto per la prima volta. Per questo motivo lui e il proprietario della ditta non se la sentono di darle in premio un’arpa qualunque: una musicista come Claudia ha bisogno di uno strumento migliore per poter andare avanti. Il premio diventa così un’arpa Gran Concerto dal valore tredici volte maggiore rispetto a quella prevista inizialmente come premio. Oggi Claudia Lucia Lamanna ha quattordici anni, colleziona primi premi a concorsi nazionali e internazionali, tiene concerti in Italia e all’estero, è il fiore all’occhiello del Conservatorio di Musica “Nino Rota” di Monopoli. È un giovane prodigioso talento, insomma, che con il suo strumento strega tutti, dilettanti e arpisti di fama. Ma, è evidente per chiunque la incontri, è anche una ragazza semplice, riservata, che guarda al mondo con l’espressione dolce dei suoi occhioni blu, ma che è animata anche da una forte tenacia e da una grande passione: quando parla della musica il suo volto si illumina e spunta un sorriso. L’abbiamo incontrata insieme alla sua famiglia: il padre Michele Patrizio Lamanna, ispettore capo della Polizia di Stato, la madre Tiziana Curci e la sorella maggiore Stefania, pianista. Oltre che una famiglia, un vero e proprio team affiatato, abituato a operare in squadra, in modo che ognuno dei componenti sia parte indispensabile al funzio-

zioni e già nel XVIII secolo venivano costruite arpe molto simili a quelle odierne. L’inventore dell’arpa moderna fu il francese Sebastian Erard, costruttore di strumenti musicali, che nel 1811 mise a punto un modello di arpa munito di 7 pedali, ognuno di essi corrispondenti a una delle 7 note. Azionando questi pedali a doppio movimento, l’esecutore era in grado di alzare o abbassare l’intonazione di ciascuna nota, ed era finalmente possibile suonare in tutte le tonalità ed eseguire le alterazioni. Per lungo tempo l’arpa è stata considerata esclusivamente come uno strumento di colore nell’orchestra, riservando scarsa attenzione alla produzione solistica, che in realtà risulta di notevole valore: autori come Haendel, Mozart, Boildieu, Beethoven, Saint-Saens, Fauré, Debussy, Ravel hanno dedicato straordinarie composizioni a questo strumento.


Claudia in “concerto” con la sorella Stefania, anch’essa virtuosa musicista

namento dell’ingranaggio. Il padre, “factotum” consapevole del talento straordinario di Claudia, la segue con attenzione, tutelandola senza ostacolarla; la madre si dedica completamente alle sue figlie, aiutandole concretamente negli spostamenti quotidiani dal liceo al conservatorio; Stefania, invece, è la prima e più attenta critica di Claudia, ascolta le sue esecuzioni, la corregge. La prima cosa che colpisce nella storia che racconta Claudia è il suo incontro con l’arpa, uno di quegli appuntamenti col destino che basterebbe pochissimo per mancare, e invece avvengono e cambiano direzione ad una vita intera. “La prima volta che ho visto un’arpa avevo sette anni, ad un concorso a cui partecipava mia sorella Stefania come pianista, e mi sono immediatamente innamorata. Alla fine del concerto ho detto ai miei genitori che volevo suonare l’arpa. Loro credevano che fosse un capriccio da bambina, preferivano che studiassi pianoforte o violino. Ho dovuto aspettare un anno, insistendo che volevo suonare l’arpa... alla fine li ho convinti, anche se ancora sulle scale del Conservatorio mi hanno chiesto se fossi sicura di non voler suonare un altro strumento! Ma io ero sicura!” Cosa ti ha colpito dell’arpa? “Tutto! Soprattutto il suono...” Quindi a che età hai iniziato a studiare? “A otto anni. La mia prima insegnante è stata Gabriella Perricci, una giovane di 25 anni, che purtroppo è venuta a mancare per un male incurabile, e che per due anni mi ha seguita insegnandomi qualcosa in più della musica, mi ha trasmesso la passione, ed era diventata come una sorella maggiore. Nel frattempo sono entrata al Conservatorio di Monopoli, diretto dal maestro Giampaolo Schiavo, dove studia anche mia sorella Stefania con il prof. Giovanni Saponara. E ora sono iscritta al VII anno del corso di Arpa diretto dalla professoressa Maria Ester Gattoni”. Come è il rapporto con i tuoi insegnanti? “Ottimo. Sia io che mia sorella siamo state molto fortunate da questo punto di vista. La Gattoni, già prima arpa nell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, si dedica molto a noi, rinunciando anche a dei concerti per poterci seguire. Anche se ci insegna che il Maestro non è quello

che fa lezione tra le quattro mura, ma il musicista che gira, perché deve poter dare qualcosa di più ai suoi allievi. Anche con il direttore, il Maestro Schiavo, e con la vice direttrice, la professoressa Raffaella Ronchi, c’è un bel rapporto. Hanno fiducia in me, cercano di portarmi avanti”. Raccontami del concorso che hai vinto a Milano... “In realtà avevo partecipato senza aspettarmi nulla, eravamo arrivati a Milano senza grandi speranze. E invece...” Tu hai sorpreso tutti scegliendo di suonare l’arpa Gran Concerto... “Sì, mi hanno chiesto con che arpa volessi suonare e ho indicato quella. Era la più grande che c’era, infatti hanno dovuto alzare la mia seduta!” Non ti sei emozionata a suonare davanti a musicisti d’eccezione? “No, non mi spaventa suonare davanti al pubblico, è la mia fortuna”. E alla proclamazione cosa è successo? “Al momento di proclamare il vincitore, Isabelle Moretti ha guardato me, e tutti si sono voltati a guardarmi... io ancora non riuscivo a capire, a crederci. Poi ci sono stati tanti applausi, complimenti... ma tra tutti noi partecipanti.” Ormai hai collezionato già molti concerti e premi... “Ho partecipato a molti concorsi, ho vinto nove primi premi e due secondi premi. La scorsa estate sono stata in Portogallo per un evento musicale organizzato dal tenore portoghese Pedro Alvarez, con la mia insegnante e altri ragazzi provenienti da tutta Italia abbiamo fatto una tournée di dieci giorni. A novembre ho suonato a Bari al Circolo Barion, su invito del pittore Michele Damiani”. E a Noci, il tuo paese, come stanno vivendo i tuoi successi? “Lo scorso autunno a Noci mi hanno invitata a suonare come ospite d’onore, in occasione del Concorso internazionale di clarinetto dedicato al famoso compositore altamurano Saverio Mercadante”. C’è qualche musicista a cui guardi come ad un modello? “Sì, Henriette Renié, Elias Parish-Alvars, Alphonse Hasselmann. Soprattutto la Renié: è stata una delle prime donne compositrici e arpiste e ha dovuto faticare molto per affermarsi, perché nella sua epoca essere donna e suonare l’arpa non era facile. Per questo la ammiro ancora di più”. Suoni a memoria? “Sì, tutto, è un ordine tassativo dei maestri, ma con l’esercizio si impara”. Quante ore al giorno ti eserciti? “Dipende dagli impegni, se ci sono concerti in programma... dipende anche dai compiti che mi danno a scuola”. Come fai a conciliare lo studio dell’arpa con la scuola? “È molto impegnativo, bisogna fare dei sacrifici. Sia io che mia sorella studiamo, io frequento il primo liceo linguistico nelmese - 2/2010 - 45


COSI’ LA FRANCESE CAMAC HARPS

La storia della Camac Harps, unica casa costruttrice di arpe da concerto in Francia, inizia nel 1972 con Joël Garnier, inventore appassionato e cofondatore della Società. Votata in origine alla fabbricazione e alla vendita di strumenti folklorici, grazie alla passione e all’energia di Joël Garnier nel 1985 la società si consacra esclusivamente alla produzione delle arpe. Ma è con la creazione dell’Arpa “à Mémoire”, arpa innovativa che suscita l’ammirazione dei più grandi arpisti e compositori, che Camac si impone come casa costruttrice di arpe a pedali. Contemporaneamente, il gusto per l’innovazione porta Joël Garnier a lavorare alla famosa “Arpa Blu”: presentata al congresso mondiale dell’arpa di Parigi nel 1990, è tutt’oggi apprezzata nel mondo intero. Nel 1996 Garnier presenta la gamma delle “Harpes Nouvelle” che, rivoluzionarie per la loro concezione, ergonomia e sonorità, ed eredi di una lunga tradizione francese d’eccellenza, sono oggi il nuovo punto di riferimento in Francia oltre che nel mondo. L’attuale presidente della Camac Harps, Jakez François, arpista e profondo conoscitore dei bisogni e delle aspirazioni dei musicisti, prosegue con passione l’opera di Joël Garnier realizzando gli strumenti più adatti alle aspettative musicali degli arpisti e cercando di far rimare passione con creazione.

e Stefania il secondo liceo classico. Usciamo da scuola alle 13.30, nostra madre ci viene a prendere, mangiamo un panino al volo e ci accompagna a Monopoli al Conservatorio. A volte non ci resta che la notte per fare i compiti”. Ne vale la pena però? “Sì!” Stefania suona il pianoforte, vi capita di suonare insieme? “A casa a volte ci esercitiamo insieme. Io le chiedo spesso di ascoltare come eseguo alcuni brani, è disponibile e io mi fido del suo giudizio: è lei il critico d’eccellenza della famiglia”. Nel tempo libero che musica ascoltate? “Classica prevalentemente, ma anche jazz, rock... scegliamo il meglio di tutto!” I vostri compagni di scuola partecipano ai vostri concerti, riuscite a coinvolgerli? “No, non molto”. Partecipi anche a masterclass vero? “Sì, in particolare ricordo la lezione a Cosenza con la professoressa Elisabeth Fontaine-Binoche, in occasione di una rassegna della Salvi Harps”. Cosa ti ha detto dopo averti sentita suonare? Era soddisfatta? “Sì, è rimasta molto colpita, mi ha detto che mi avrebbe sognata la notte...” A questo punto la voglia di sentir suonare Claudia è davvero grande! A conclusione dell’incontro chiedo alle due sorelle cosa vorrebbero fare nella vita. Stefania vuole continuare a suonare il pianoforte, ma ha anche un altro sogno: studiare Medicina. Claudia, invece, vuole dedicare la sua vita alla musica, è questo il suo grande amore. Cercando di documentarmi sul mondo degli arpisti, ho scoperto che la prima domanda che proprio Henriette Renié poneva ai suoi nuovi allievi era “Est-ce-que vous aimez la harpe?” (“amate l’arpa?”), perché per lei il primo e fondamentale ingrediente per poter diventare dei grandi arpisti è la passione. Così, mentre Claudia mi dice che il suo desiderio per la vita è continuare a suonare come solista e di nuovo le brillano gli occhi e sorride, emozionata alla sola idea, penso che il suo è un sorriso che suggerisce solo una cosa: ce la farà. nelmese - 2/2010 - 46


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