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nelmese periodico di Cultura Medicina Turismo Economia direttore responsabile
NICOLA BELLOMO sommario n. 4/2010 anno 44esimo Edizioni NUOVA GEDIM S.R.L. Direzione - Amministrazione - Pubblicità via Suppa, 28 - tel. 0805232468 - 0805220795 - 70122 Bari NUOVA GEDIM S.R.L. iscritta alla Camera di Commercio di Bari il 14/01/2008 al numero 503184 - “NELMESE” periodico di cultura medicina turismo economia iscritto al n. 333 del “Registro dei giornali e periodici” del Tribunale di Bari 9/11/1967 - Spedizione in abbonamento postale comma 34 - art. 2 - Legge 549/95 Filiale di Bari - E’ vietata la riproduzione, anche parziale, di scritti e la riproduzione in fotocopia -. Ideazione grafica Nicola Bellomo. - Stampa: Pubblicità & Stampa Via dei Gladioli 6 - 70026 Modugno/ Bari - tel. 0805382917 ABBONAMENTO ANNUO PER IL 2010 Euro 32,00 - LA COPIA - euro. 3,20 (con copertina plastificata euro 3,50) - CONTO CORRENTE POSTALE 000088305263 INTESTATO A NUOVA GEDIM S.R.L. - VIA SUPPA 28 BARI 70122 BONIFICO BANCARIO SU C/C N.1000/61567 intestato a NUOVA GEDIM SRL VIA SUPPA 28 - 70122 - BARI DEL BANCO DI NAPOLI, FILIALE 0620 VIA ABATE GIMMA 101 BARI IBAN IT41 D010 1004 0151 0000 0061 567
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ELEZIONI
DIRITTO
Rieletto il presidente uscente della Regione Puglia
I tempi per la definizione
SEPARAZIONI E DIVORZI
NICHI VENDOLA, IL CARISMA DELLA PAROLA
di Giovanna Dimiccoli
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di Michele Cristallo
RILEGGENDO IL PASSATO
Un’intervista del 1991
IPPOLITO: IN ITALIA SOLO CON IL NUCLEARE PIU’ ENERGIA
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di Nicola Bellomo
UNIVERSITA’ / RICORDI
Un’intervista del 1973 ad Arcangelo Leone de Castris
“HO UCCISO PIU’ VOLTE IL MIO VECCHIO MONDO” di Rosaria Beneduce
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Il commiato del Rettore della Università di Bari “Aldo Moro”
LEONE DE CASTRIS, DIALOGO COSTANTE CON GLI STUDENTI
di Corrado Petrocelli
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CULTURA E IMPEGNO SOCIALE di Mario Ziccolella 15 RICERCA IPRES / UNIVERSITA’
Presentata all’Ateneo nuova ricerca dell’Ipres
PIU’ INCISIVO IL RAPPORTO UNIVERSITA’OCCUPAZIONE 16 INVESTIRE INSIEME PER TRATTENERE LE RISORSE QUALIFICATE
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MEDICINA
Il 23 maggio la manifestazione della Susan G. Komen Italia
DI CORSA CONTRO IL CANCRO
di Marisa di Bello
UNIVERSITA’ LUM
Il nuovo Anno Accademico
LUM, MISSIONE FUTURO di Alessio Rega
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LIBRERIE & LIBRI
Libro dello storico Lucio Villari edito da Laterza
ANCHE DAL SUD CONTRIBUTI AL RISORGIMENTO di Marisa Di Bello
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Il romanzo “La badessa di San Giuliano” di Marisa Di Bello
DIETRO LA GRATA di Claudia Serrano
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LIBRERIE & LIBRI / EDILIZIA
Nuova ricerca del Formedil-Bari
Commento del pensiero e delle opere
di Nicola Di Cagno
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“SFIDA POTENTE” IN PERIFERIA
di Adriano Cisario
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EDILIZIA / FIERA DEL LEVANTE
Dal 22 al 25 aprile nuova rassegna
L’EDILIZIA CRESCE AL SUD
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EDILIZIA / CONVEGNI
Un interessante seminario
IL VERDE VERTICALE di Tonino Ancona
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TURISMO / CAMERA DI COMMERCIO
Nuovi progetti per ippovie
TURISMO A CAVALLO 40 LA GIUNTA CAMERALE IN TRASFERTA ALLA TECNOMEC ENGENEERING 40 TURISMO / GUARDIAMOCI INTORNO
Nelle province di Bari e Bat
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CASTELLI, I MAGNIFICI DIECI
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CREDITO
Approvato il bilancio 2009. Raccolte e impieghi. Il dividendo. Nuovi sportelli. Aumento di capitale. Il consiglio di amministrazione di Claudia Serrano BANCA POPOLARE DI PUGLIA E BASILICATA
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ELEZIONI
RIELETTO IL PRESIDENTE USCENTE DELLA REGIONE PUGLIA
Nichi Vendola, il carisma della parola
Numerose le novità del voto del 28 e 29 marzo per eleggere il presidente della Giunta e rinnovare il Consiglio regionale. Il governatore uscente è stato riconfermato alla guida della Regione Puglia con un suffragio di voti che ha sfiorato il 50 per cento. Il successo ottenuto gli offre le credenziali per proporsi leader del centrosinistra a livello nazionale. Si fa il suo nome per il dopo-Bersani. La combinazione tra Premio di maggioranza e Premio di numero dei consiglieri regionali. Il voto ha messo in evidenza la frattura nel Pdl. La reazione di chi non ha condiviso le scelte fatte si è riversata nel voto disgiunto: preferenza alle liste di coalizione e voto alla presidenza Vendola. Numerosi i “bocciati” eccellenti
DI MICHELE CRISTALLO IL PRESIDENTE NICOLA VENDOLA, nato a Bari il 26 agosto 1958, risiede a Terlizzi (Bari), dove da adolescente ha cominciato il suo percorso politico. E’ laureato in Lettere e Filosofia. ESPERIENZE LAVORATIVE E SOCIALI E’ stato, in qualità di giornalista professionista, redattore del settimanale “Rinascita” ed editorialista del quotidiano “Liberazione”. Ha svolto missioni internazionali nei punti più incandescenti del globo, dal Tagikistan alla Colombia, dalla Bosnia al Guatemala. Ha pubblicato libri di poesie e saggi: “Prima della battaglia”, “Soggetti smarriti”, “Il mondo capovolto”, “La mafia levantina”, “Lamento in morte e Carlo Giuliani”, “Ultimo mare”. ESPERIENZE POLITICHE Dopo aver superato nelle primarie il candidato della Margherita Francesco Boccia è stato eletto, nelle elezioni del 3 e 4 aprile 2005, Presidente della Regione Puglia. E’ stato membro della segreteria nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italiana, fondatore e militante di diverse associazioni per le libertà civili, Arci-gay e Lila (Lega Italiana Lotta all’Aids), protagonista della battaglia antinucleare e della lotta per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli animali. E’ stato membro del Comitato Centrale del Pci e tra i fondatori del Partito Rifondazione Comunista. Nel suo curriculum politico è di rilievo l’esperienza parlamentare, eletto deputato per la terza volta nel 2001, ha dedicato il suo lavoro alle tematiche della lotta alla mafia e per circa dieci anni esponente della Commissione parlamentare antimafia. nelmese - 4/2010 - 4
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ichi Vendola succede a Nichi Vendola alla guida della Regione Puglia. Il presidente uscente è stato riconfermato con un suffragio al di là di ogni ragionevole previsione. La sua rielezione sembrava scontata, ma non nelle dimensioni rivelate dalle urne: ha ottenuto una percentuale del 48,7 per cento, il suo avversario, Rocco Palese candidato dal Popolo della Libertà, ha riportato una percentuale del 42,2 per cento. Tradotta in voti, la distanza tra i due è pari a 137.048 preferenze. Un distacco notevole, come si vede, che si spiega con il forte carisma, soprattutto della parola, di Vendola il quale non è stato minimamente sfiorato dagli scandali che le cronache hanno registrato negli ultimi mesi sulla gestione della Sanità (qualche giorno prima del voto è stato arrestato l’ex vice presidente della Giunta regionale, il salentino Sandro Frisullo). L’altra grande novità di questa tornata elettorale è l’altissima percentuale di astenuti: solo il 63,17 per cento degli elettori si è recato alle
urne. Una ulteriore testimonianza della disaffezione della gente dalla politica; una politica che non fa nulla per accorciare le distanze tra l’opinione pubblica e il Palazzo. Il fenomeno è nazionale. Ma per restare a Bari è utile accennare alle cause per le quali circa quattro pugliesi su dieci il 28 e 29 marzo scorsi hanno preferito disertare l’appuntamento elettorale: anzitutto gli scandali che, come abbiamo detto, hanno scandito la cronaca politica e, purtroppo anche giudiziaria, dell’ultimo anno, a partire dalle rivelazioni della escort Patrizia D’Addario per continuare con la tela di connivenze, corruzioni, e dintorni tessuta dallo spregiudicato imprenditore Giampaolo Tarantini, per finire all’arresto dell’ex vice presidente della Giunta regionale. E poi la sceneggiata, sia nel centrodestra, sia nel centrosinistra, per giungere alla definizione delle candidature alla presidenza della Regione. Infine, una campagna elettorale della maggior parte dei candidati all’insegna di uno spreco di risorse a botta di decine di migliaia di euro. Un vero e proprio investimento con quale obiettivo? Per vanità, per poter frequentare le stanze del potere, per rientrare, e con quali forme e modalità, nella spesa impegnata? Si consideri che un consigliere regionale, nei cinque anni di mandato, porta a casa, per indennità di carica si e no 400mila euro. Ma, torniamo all’analisi del voto. Le elezioni sono state disciplinate dalla legge regionale n. 2 del 2005: turno unico, (viene eletto presidente il candidato con il maggior numero di voti), assegnazione dei seggi con il sistema proporzionale, possibilità del voto disgiunto, premio di maggioranza alla coalizione del presidente eletto, premio di governabilità se il presidente eletto non ha, con la coalizione che lo ha sostenuto, la maggioranza che gli consente di governare. Ebbene, sono state attivate tutte queste leve previste dalla legge elettorale. VOTO DISGIUNTO – Numerosi elettori hanno votato per un presidente e poi dato la preferenza a un consigliere candidato nella coalizione avversaria. La conferma viene dall’analisi dei voti riportati dalle liste e quella dei candidati presidenti. Esempio: Vendola ha ottenuto una percentuale personale del 48,7 per cento; la coalizione di liste a lui collegata ha ottenuto il 46,1 per cento; Palese ha riportato una percentuale personale del 42,2 per cento; la coalizione di liste a lui collegata ha
riportato il 44,2 per cento. Cosa vuol dire? Che il 2 per cento circa di elettori che ha votato per le liste di centrodestra, ma non per Palese; quel 2 per cento di elettori ha preferito dare probabilmente il proprio voto a Vendola. PREMIO DI GOVERNABILITA’ – Il particolare al quale abbiamo appena accennato ha fatto scattare L’aula del Consiglio Regionale in via Capruzzi il meccanismo del “Premio dell’ente regionale. di governabilità” per assicurare al SBARRAMENTO DEL 4% - Non presidente eletto le condizioni per sono ammesse alla distribuzione dei governare (non è prevista, in soseggi le liste collegate allo stesso stanza, la cosiddetta anatra zoppa presidente che non abbiano superacome negli altri enti locali quando to nell’intera regione il 4 per cento il sindaco o il presidente di Provindei voti validi. cia non ha il numero di consiglieri Ne ha fatto le spese le liste degli sufficienti per la maggioranza nelle altri altri due candidati alla Presirispettive assemblee). denza: Michele Rizzi di Alternativa In virtù di questo meccanismo, Comunista che ha ottenuto lo 0,2 il Consiglio regionale che sarà in per cento e Adriana Poli Bortone, carica per i prossimi 5 anni conta Io Sud che ha ottenuto il 2,1 per 78 consiglieri e non 70 come quello cento. appena decaduto. Piuttosto affollata la lista dei bocciaPREMIO DI MAGGIORANZA – Conti eccellenti: l’industriale della pasta siste nell’assegnazione di 13 seggi Vincenzo Divella, già presidente delaggiuntivi; vi concorrono i gruppi di la Provincia e della Camera di Comliste della coalizione del presidenmercio di Bari, l’europarlamentare te eletto. Questa volta il premio di Marcello Vernola; Mario Cito, figlio maggioranza non è stato sufficiendell’ex sindaco di Taranto Giancarte per garantire la governabilità
LA LISTA DI NICHI VENDOLA E QUELLE DELLE CINQUE SORELLE
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lo Cito, gli ex assessori regionali Magda Terrevoli e Marco Barbieri, i consiglieri uscenti Giovanni Copertino e Roberto Ruocco, il giornalista scrittore Raffaele Nigro, capolista di Sinistra Ecologia e Libertà, il partito di Nichi Vendola. Scattano ora le procedure per giungere alla composizione della nuova Giunta, dell’Ufficio di Presidenza, della composizione dei gruppi. Ecco un’altra interessante novità: nella passata legislatura i Gruppi consiliari erano 20, in questa sono appena 8, proprio a causa dello sbarramento del 4 per cento. Un discorso a parte va fatto per il “fenomeno” Vendola. Il presidente uscente è stato riconfermato... a furor di popolo. Si ricorderà la forte opposizione all’interno del Partito Democratico alla sua ricandidatura. Vendola ha tenuto duro sino a minacciare che si sarebbe candidato comunque, anche da solo. Il suo atteggiamento ha costretto il Pd alle primarie vinte da Vendola contro il deputato Francesco Boccia. Il successo riportato oggi gli offre le credenziali per proporsi leader nazionale nel centrosinistra. Voci sufficientemente attendibili mettono in conto la sua adesione al Pd per proporsi per il dopo Bersani e, addirittura, per il dopo Berlusconi! L’interessato, ovviamente, non conferma, ma alcune sue dichiarazioni autorizzano una chiave di lettura che va nella direzione accennata. Commentando il dato nazionale, Vendola afferma che “il centrosinistra ancora una volta conosce una sconfitta, tanto più pesante perché avviene nel pieno della crisi del berlusconismo. Credo – aggiunge – che ciascun attore del centrosinistra sia inadeguato, sia portatore di una storia parziale, di cose anche importanti, ma del tutto inadeguato alla necessità di ricostruire una egemonia culturale e politica a sinistra. Ciascuno di questi attori dovrebbe fare un passo indietro, per poter fare tutti insieme un passo avanti”. E poi la certezza che nel centrosinistra “mancano le forme dell’agire politico, mancano ancora le parole. Il vocabolario dell’alternativa non è stato ancora scritto”. E Vendola che, quanto a vocabolario e carisma della parola, ha pochi avversari, disegna ancora meglio lo scenario entro il quale dovrà o dovrebbe muoversi la “nuova sinistra”: “costruire una risposta a tante domande di giustizia sociale, a tante domande di libertà che oggi sono denegate”. Più chiaro di così.
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RILEGGENDO IL PASSATO / DA NELMESE 1/1991 / 2.
Ippolito: in Italia solo con il nucleare più energia
I
n Italia energia nucleare sì o energia nucleare no? Il dilemma con diverse sfaccettature attanaglia, ormai da trent’anni, il governo, il Parlamento, gli enti regionali e in definitiva tutti i cittadini italiani. In questi ultimi mesi poi, in relazione al decreto legislativo del governo in carica presieduto da Silvio Berlusconi, che prevede la ripresa del ricorso all’energia nucleare, si è verificata una levata di scudi, anche da parte della Regione Puglia, contraria all’eventuale scelta di un sito nella regione per una centrale di tal genere. Inoltre, lo stesso presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha escluso, nel corso della recente campagna elettorale, l’installazione di centrali nucleari in Puglia. Come forse alcuni ricorderanno il problema dell’installazione di altre centrali nucleari (oltre a quelle poche operanti all’epoca) fu definitivamente messo da parte con il referendum abrogativo dell’8 novembre 1987 con un governo presieduto dall’on. Giovanni Goria sostenuto dal pentapartito DC, PSI, PSDI, PRI, PLI. Di fatto fu sancito l’abbandono, da parte dell’Italia, del ricorso al nucleare come forma di approvvigionamento energetico. Per la precisione storica, in precedenza e cioè nel 1981 era stata sottoscritta una convenzione tra il CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) e la Regione Puglia, firmata dai rispettivi presidenti prof. Umberto Colombo e dott. Nicola Quarta. All’articolo 1 della convenzione si leggeva che “il CNEN si impegna a fornire alla Regione tutta l’assistenza tecnica anche sotto forma di consulenza o di studio e predisposizioni di progetti complessi, connessi con la ricerca, la realizzazione e l’utilizzazione di fonti energetiche”, e naturalmente anche per la scelta del sito. Quest’ultimo problema fu ripreso nel 1982 allorchè il CIPE deliberò la realizzazione di una centrale nucleare in Puglia indicando i siti suscettibili di tali insediamenti. Nel maggio del 1983 fu avviata un’indagine per verificare le condizioni migliori per la localizzazione, in base all’analisi di tutti i parametri, compresi quelli di carattere socio-economico. Come si è accennato sopra, tutte queste indagini furono sospese nel 1987 dopo il risultato del referendum abrogativo. Al solo fine di dare un contributo alla riapertura di un dibattito, proponiamo ai nostri lettori una intervista in esclu-
siva concessa nel gennaio 1991 dal prof. Felice Ippolito, già segretario generale del CNEN, che nel frattempo aveva trasformato nel 1982 il suo acronimo in ENEA (Energia Nucleare ed Energie Alternative). Nel 1991 lo stesso acronimo di Enea ha assunto un diverso significato e cioè: Ente per le Nuove Tecnologie, l’Energia e l’Ambiente. L’intervista fu realizzata dall’allora collaboratore del periodico Gino Dato, attualmente editore della casa editrice Progedit. Lo scienziato, all’epoca, professore ordinario di Geologia all’Università di Roma, nato a Napoli nel 1915 e scomparso nell’aprile del 1997, era stato l’artefice della prima centrale nucleare italiana, quella di Garigliano. Per ben due volte, nel 1979 e nel 1984, fu eletto al Parlamento Europeo nella IV Circoscrizione (Italia meridionale). Ed ecco ora il testo integrale dell’intervista apparsa nel gennaio del 1991 dalla quale si potrà rilevare la convinzione del prof. Ippolito della sicurezza delle centrali elettriche (obiettivamente ancor di più oggi dopo vent’anni) e il suo “giudizio assolutamente negativo sulla classe politica”. All’epoca il governo era presieduto dal democristiano Giulio Andreotti che guidava la coalizione del pentapartito (DC, PSI, PSDI PRI, PLI)
NICOLA BELLOMO
L’INTERVISTA DEL 1991
1991, Felice Ippolito e Gino Dato durante l’intervista nell’Aula Magna del palazzo Ateneo dell’Università di Bari (ph. Frasca) I capelli bianchi non tolgono vis polemica a Felice lppolito, il “Mattei atomico”, l’uomo che nei primi anni Sessanta osò contrastare le lobbies internazionali nel tentativo di promuovere un’autonoma politica nucleare italiana. Campagna diffamatoria, processo e condanna nel 1963, quando era segretario del Cnen, sono stati risarciti dalla storia e dai pubblici attestati venuti da scienziati, intellettuali, industriali. Un po’ meno dai politici. Ma il più importante riconoscimento della lungimiranza di lppolito viene oggi dalla constatazione del fallimento di una qualsivoglia politica energetica italiana: in piena crisi del Golfo, la nostra dipendenza dai mercati esteri è aggravata dall’assoluto stallo di strategie alternative per le fonti d’approvvigionamento. A Bari, dove per l’Accademia Pugliese delle Scienze, presieduta dal prof. Luigi Ambrosi, ha aperto il 16 gennaio, nell’Aula magna dell’Università degli Studi di Bari, il ciclo di conferenze della classe di Scienze fisiche, mediche e naturali, Felice Ippolito ha dato una lezione di realismo e di lucida onestà intellettuale.
In questa puntata della rubrica, avviata sul numero 2 di febbraio, riprendiamo un’intervista in esclusiva che lo scienziato Felice Ippolito aveva rilasciato nel gennaio 1991, nel solo intento di dare un contributo al dibattito sulle centrali nucleari ritornate appunto in auge in seguito al decreto legislativo del Governo Berlusconi per un nuovo programma a lunga scadenza. nelmese - 4/2010 - 7
Ad un uditorio soprattutto di suoi ex allievi e colleghi, tra i quali il presidente dell’Accademia, il professor Luigi Ambrosi, lo scienziato ha ricordato che l’impatto degli uomini sul territorio (che viene occupato, sfruttato, usato infine per le discariche civili e industriali) oggi è inevitabile. Il problema non è contrastare questi bisogni ma chiedersi come realizzarli. L’habitat, insomma, va “difeso e conservato, non tentando un impossibile ritorno alle condizioni irripetibili dell’età paleolitica - ha detto - ma utilizzandone in maniera ottimale tutte le risorse che offre e proteggendolo altresì da talune calamità naturali”. I tecnici pianificatori devono sempre possedere una visione globale delle risorse energetiche e programmare l’utilizzo in base a valutazioni di ordine economico e di geologia ambientale, valutando cioè “con la massima approssimazione” quello che è stato chiamato il rischio geologico derivante dalle “sostanziali modifiche della morfologia e delle proprietà fisiche della terra” e dai “cambiamenti nella composizione chimica del suolo, delle acque e dell’atmosfera”. L’energia idroelettrica e quella geotermica non producono sensibili danni ambientali “laddove, per esempio, l’energia prodotta comunque da combustione, di prodotti solidi liquidi o gassosi, dà notevoli danni di polluzione termica e di inquinamento atmosferico, ben più che l’energia nucleare, ancorchè tutti fino a pochi anni or sono ne temessero i gravi ipotetici pericoli”. E proprio sui temi dell’energia, dell’opzione nucleare e dell’attuale momento Felice Ippolito ci ha concesso questa intervista esclusiva. * * * Il nostro approvvigionamento energetico è per l’82 per cento dipendente delle importazioni. La metà dell’energia consumata in Italia deriva dal petrolio. Quali scenari lei si sente di prospettare con una guerra del Golfo dettata anche dalla necessità che le grandi potenze hanno di controllare le fonti di energia? Se sarà molto breve, probabilmente le scorte che ci sono in Occidente saranno più che sufficienti. Tuttavia non mi preoccupa tanto il problema della quantità del petrolio, quanto il prezzo. Perchè non esiste solo il petrolio del Medio Oriente; di petrolio ce n’è tanto, però a condizioni molto più care del Medio Oriente. Quindi, si tratta più di un problema economico che di un problema di scarsità. Comunque se la guerra sarà breve, non ci saranno grossi problemi tranne un evidente aumento del prezzo del greggio. E speriamo che non ci siano distruzioni di impianti, perchè distruzioni di impianti, raffinerie, terminali, potrebbero peggiorare la situazione. La paura del nucleare è figlia della paura tecnologica, industriale? Da dove viene questa paura? L’Italia è un paese molto emotivo. C’è anche una debolezza enorme da parte delle autorità di governo nel far nascere questa paura nucleare, nel non contrastarla in maniera intelligente, concreta. E anche gli enti energetici hanno probabilmente una parte di responsabilità. Comunque, la paura del nucleare nasce dal fatto che
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il nucleare è entrato nella scena mondiale con le bombe, e quindi nella mente delle persone non colte, di cultura bassa e media, c’è sempre il concetto che la centrale è una bomba che scoppia piano piano. Invece così non è. Il piano energetico nazionale, sotto lo spinta della crisi del Golfo, mira ad un risparmio di energia e rilancia la valorizzazione di nuove fonti di energia rinnovabili. Qual è la sua posizione? Sono nettamente contrario a questo piano, che ha cancellato il nucleare. Non solo. Poi, successivamente alla cancellazione delle centrali, c’è stata una diminuzione della ricerca, e questo famoso presidio nucleare che si doveva conservare, non si è conservato. Comunque da noi il problema del risparmio è molto difficile perchè l’Italia è un paese che ha dei consumi energetici che sono lo metà di quelli della Germania e un terzo di quelli statunitensi. E quindi risparmiare si può poco. In quanto alle fonti alternative, che si tirano fuori ad ogni momento, o sono molto lontane, come il solare, o, come l’eolico, in Italia non hanno alcuna importanza. Quindi, praticamente noi non abbiamo altre prospettive che quelle di riprendere in altro modo il nucleare, come tutti gli altri paesi industrializzzati. Naturalmente abbiamo perduto un autobus, e il nucleare non potrà tornare prima di 10 - 15 anni. L’innovazione è un fattore di profonda modificazione dei processi economici. Agisce sotto lo spinta della concorrenza dei mercati o degli eventi bellici. Non le pare che per il nucleare noi viviamo un momento di stagnazione? La stagnazione dipende dal fatto che gli enti energetici non riescono a mettersi d’accordo, che il governo non spinge in questa direzione. Il ministro Battaglia fa degli sforzi ma non c’è tutta la collettività del Governo a spingere in questa direzione e quindi la ricerca langue e il traguardo di ritornare al nucleare si allontana sempre di più. Siamo tra Scilla e Cariddi, così Carlo Rubbia definisce sinteticamente la situazione di incertezza che stiamo vivendo tra l’opzione nucleare, che produce scorie radiattive e plutonio, e quella degli idrocarburi che producono anidride carbonica, causa ormai da tutti riconosciuta del fattore serra. Rubbia mostra chiaramente di essere dalla parte del nucleare, dice che non possiamo eliminare il secondo tipo di inquinamento, mentre si può arrivare a un nucleare pulito, sicuro. Qual è la sua posizione? E quando giungeremo al nucleare sicuro? lo farei un nucleare molto ragionato e scientificamente attrezzato. Il problema delle scorie radioattive è risolvibile su base geologica. Gli studi sono già fatti, non c’è che da attuarli. Il nucleare - come è stato dimostrato anche dalla Conferenza nazionale dell’energia di due anni fa - è una fonte la più pulita possibile. Il nucleare non produce i fenomeni di inquinamento atmosferico e di effetto serra di cui oggi si parla tanto.
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UNIVERSITA’ / RICORDI / RILEGGENDO IL PASSATO / 12/1973 / 3. PUBBLICHIAMO NELLA VERSIONE INTEGRALE IL TESTO DELLA INTERVISTA RILASCIATA A NELMESE NEL DICEMBRE DEL 1973 DAL PROF. ARCANGELO LEONE DE CASTRIS, SCOMPARSO A MARZO SCORSO ALL’ETÀ DI 81 ANNI, A CONFERMA DELLA CONSIDERAZIONE DI CUI GODEVA IL PERIODICO GIÀ NEI SUOI PRIMI ANNI DI VITA E DEL SUO EFFETTIVO PLURALISMO. EMERGE ANCHE LA PREPARAZIONE DI ROSARIA BENEDUCE NELL’“INDAGARE” NELLA FORMAZIONE CULTURALE E POLITICA DELL’ILLUSTRE DOCENTE E SAGGISTA, VANTO DELLA CULTURA E DEL MONDO UNIVERSITARIO BARESE
“Ho ucciso più volte il mio vecchio mondo”
Con questa intervista al prof. Arcangelo Leone de Castris indubbiamente sotto vari aspetti un personaggio - apriamo una nuova serie con l’intento di far conoscere meglio, soprattutto nella loro umanità i più impegnati nella società
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rcangelo Leone de Castris: bellissimo nome tipicamente araldico, così pieno di ali, piume, felini, probabilmente rampanti, castelli. Più che un nome è uno stemma. Ora, sapere che il possessore di questo nome, e di questo stemma, fa probabilmente inorridire le ossa degli antenati militando nel partito della rivoluzione proletaria, sapere inoltre che questo militante nel partito della rivoluzione proletaria si occupa professionalmente di letteratura, e con un linguaggio raffinato, difficile, «per pochi intimi», quasi una nuova aristocrazia, ecco sapere superficialmente tutto questo è cosa che ci ha un tantino incuriosito, facendoci venire la voglia di andare più a fondo. Non dunque una volontà di antagonismo politico, o letterario, o vattelappesca, ma una curiosità umana ed affabile ci ha spinto a chiedere un’intervista al professor Leone de Castris. Il quale, gentilissimo, ha subito ricevuto la sottoscritta nel suo studio stracolmo di libri e riviste e carte, nel suo studio con i bei quadri alle pareti, come credo siano da che mondo è mondo i pensatoi degli uomini di cultura, conciliati più o meno, questi ultimi, con la cultura stessa, con i libri, e i bei quadri, e le carte. L’impressione generale è stata quella di aver di fronte un uomo molto schivo, sincero, un po’ malinconico, con dei nodi di sofferenza all’interno della propria storia, con un rovello di analisi conoscitiva e un’ansia di autosacrificio («lo ho ucciso più volte il mio vecchio mondo»), nella ricerca, ancora una volta nella storia degli uomini, nella ricerca della «coscienza piena», a livello individuale e a livello sociale soprattutto. Credo sia questa l’annotazione principale da farsi, perché poi che cosa Leone de Castris identifichi concretamente con tale coscienza e quali siano le sue scelte precise, sono modalità che ci interessano relativamente. Discutibili o accettabili, è da vedersi, comunque in un altro momento e con un’ottica diversa. Scopo di questo incontro, come di altri che probabilmente seguiranno, è il tentativo di verificare come un personaggio dei nostri giorni, e nella nostra città, operi per un qualcosa di nuovo, e di diverso. Con quali motivazioni di fondo, con quanta passione morale. * * * Assai riluttante, per motivi caratteriali e ideologici, a parlare di sé in prima persona, il professore incomincia schematicamente. “Non credo sia molto interessante la mia storia. Sono nato nel leccese, a Salice Salentino, ho studiato nella scuola dei nelmese - 4/2010 - 10
gesuiti, il Collegio Argento, poi ho frequentato l’Università di Bari, dove mi sono laureato”. Arcangelo Leone de Castris, Ma, è possibile andare a 44 anni, all’epoca dell’inpiù a fondo? Per esemtervista pio in che misura il mondo della sua infanzia e l’educazione cattolica hanno influito su di lei? “Il mondo della mia infanzia era profondamente diverso da quello che vivo oggi. Era un mondo molto arretrato, si può dire feudale, fatto di rapporti arcaici. Ma, al suo interno, l’educazione cattolica certo svolse una funzione positiva. Soprattutto perché non era un fatto generico, ma si offriva a me attraverso la mediazione e la figura di mia madre, che viveva il Vangelo quotidianamente, con un rigore straordinario e insieme con calore umano. Traduceva in vita morale l’insegnamento del Vangelo, lo realizzava in ogni momento della sua vita, in ogni atteggiamento. Ora, questo tipo di rapporto con gli altri, questo modello molto radicato nella mia prima formazione, è probabilmente all’origine anche della mia scelta politica. Sono sicuro che il mio approdo al comunismo è un approdo almeno inizialmente condizionato da un bisogno umano di dialogo, di comprensione, di pietà verso gli altri e degli altri verso di me. Sarei veramente astratto se prescindessi da questo, se dicessi che il mio marxismo si è maturato a tavolino, anche se evidentemente è stata poi l’esperienza intellettuale a consentirmi la svolta, la scelta, ed è stata poi la milizia nell’organizzazione a darle una prospettiva concreta e sicura. Tuttavia ancora oggi la mia visione della realtà, il mio stesso modo di vivere la milizia politica, non credo possano prescindere da quella mediazione, cioè da una forte carica umana di origine cristiana”. Per quanto riguarda questa sua adesione al comuniROSARIA BENEDUCE, nata a Viareggio. E’ cresciuta, ha studiato e si è laureata a Bari, dove è diventata giornalista pubblicista, collaborando a NelMese. Scrittrice di racconti, ha vinto un concorso bandito dalla Gazzetta del Mezzogiorno. Trasferitasi a Genova, ha insegnato italiano e latino in un liceo genovese. A Genova ha dato corso a un’antica vocazione di attrice, ha calcato le scene del glorioso e antico teatro Gustavo Modena di Sampierdarena, e ha partecipato a letture pubbliche della Divina Commedia in suggestivi luoghi d’arte. Recentemente ha ripreso a praticare la pittura, e ha partecipato a una mostra collettiva tenutasi lo scorso ottobre nell’atrio del Palazzo Ducale di Genova.
ARCANGELO LEONE DE CASTRIS (nato a Salice Salentino nel luglio del 1929) era professore emerito dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, dove ha svolto tutta la sua carriera. Storico della letteratura italiana, è stato protagonista di un’intensa attività saggistica con riflessioni teoriche sul ruolo sociale dell’intellettuale e sul rapporto tra ideologia e cultura. Allievo di Mario Sansone, Leone de Castris è stato uno dei maggiori teorici della storiografia letteraria marxista di derivazione gramsciana. Vasta la sua bibliografia: “Italo Svevo” (Nistri Lischi 1959), “L’impegno del Manzoni” (Sansoni 1963), “Croce, Lukacs, Della Volpe: estetica ed egemonia nella cultura del Novecento” (De Donato 1972), “Cri-
tica politica e ideologia letteraria: dall’estetica del realismo alla scienza sociale, 1945-1970” (De Donato 1973), “Estetica e marxismo” (Editori Riuniti 1976), “Le culture del fascismo” (Dedalo 1980), “Storia di Pirandello” (Laterza, 1989), considerato il suo libro di maggior successo con 13 edizioni, “Il decadentismo italiano. Svevo, Pirandello, D’Annunzio” (Laterza 1989), “Egemonia e fascismo. Il problema degli intellettuali negli anni Trenta” (Il Mulino 1981), “Estetica e politica. Croce e Gramsci” (Franco Angeli 1989), “Il problema Manzoni” (Palumbo 1990), “La critica letteraria in Italia dal dopoguerra a oggi” (Laterza 1991), “Sulle ceneri di Gramsci. Pasolini, i comunisti e il ‘68” (Datanews 1997), “Gli ossi di
smo, non ci vede lei anche una specie di riscatto dal disagio accumulato negli anni dell’infanzia, dell’adolescenza nei confronti di quel suo mondo feudale? “Non c’è dubbio, una delle spinte sarà stata senz’altro questa. A tal punto che io per anni mi sono vergognato di me, della mia storia. Mi vergognavo vedendo gli altri che facevano il mio lavoro con un sacrificio, con un’ansia di promozione che io non ho mai vissuto. Per me da un lato fare il lavoro che faccio era anzi, anche inconsciamente, un degradarmi da questo livello diciamo sociale originario, dall’altro una forma di riscatto, cioè di punizione nei confronti di me stesso. Tra l’altro io soffrivo di essere quello che ero, io avrei voluto essere un povero, socialmente inferiore a quello che ero. E forse a questo è da attribuirsi l’impegno, l’accanimento con cui ho fatto questa mia strada, così diversa da quella che avrei dovuto o potuto fare. E quindi un margine, se lei vuol dire questo, un margine di sacralità, di missionarietà forse esiste nel fondo ancorché io cerchi, oggi, che sono sulla sponda, credo, della coscienza piena, di degradare continuamente questa sensazione”. Torniamo alla componente umana e cristiana della sua personalità. Ne prendo atto con piacere e anche, mi consenta, con un po’ di stupore, poiché conoscendola alla lontana si ha di lei una impressione molto diversa, un’impressione di chiusura, di distacco. “Ma in me c’è un conflitto, evidentemente. Cioè nel mio temperamento c’è sempre stato un conflitto tra questo grande bisogno di espansione umana e una grande timidezza. Timidezza che alcuni interpretano come iattanza, come aristocrazia nel senso di distacco, e che invece è proprio timidezza. Però credo che l’immagine corrente che si ha di me negli ambienti che io frequento, soprattutto nell’università, sia proprio quella di un personaggio al limite persino paternalistico, insomma, un po’ giovanneo, o deamicisiano”. Professore, che cosa vuole ottenere con il suo lavoro all’Università? Mi ha detto per telefono di essere un operatore culturale. Qual è il senso di tale operazione, qual è la meta concreta? “Il mio obiettivo è di lavorare nell’ambito di un settore della società e di un settore delle forze produttive: lavorare con gli strumenti che ho a disposizione per contribuire alla trasformazione di questa società. Anche attraverso la critica letteraria, attraverso l’insegnamento, si può contribuire alla presa di coscienza del sistema in cui viviamo, del carattere ideologico e talvolta mistificante della cultura che frequentiamo, cultura che funziona come sublimazione delle contraddizioni reali, e quindi in una direzione decisamente anticonoscitiva e antiscientifica. Ora poter fare quest’opera,
Montale” (Manni 2000), “Intellettuali del Novecento. Tra scienza e coscienza” (Marsilio 2001). E’ stato professore dell’Istituto di Filologia e poi direttore del Dipartimento di italianistica. Negli anni Settanta fondò la rivista “Lavoro critico”, una palestra di idee e dibattiti sugli studi marxisti e gramsciani. A lungo militante del partito comunista italiano, membro della commissione cultura al tempo in cui fu diretta da Aldo Tortorella, Leone de Castris animò il dibattito cultura a sinistra con il saggio “L’anima e la classe: ideologie letterarie degli anni sessanta” (De Donato 1972), riletto da lui stesso tre decenni dopo con il pamphlet “Una fine sinistra. Trent’anni di storia degli intellettuali” (Guida 2001).
sia pure nella misura modesta in cui oggi un intellettuale può fare, questo contribuire a rendere visibili le contraddizioni, questo rifiutare il vecchio ruolo di ‘mediatori del consenso’ e cercare la propria identità e la propria funzione nell’esercizio della conoscenza vera, che è critica e politica, questo è un contributo, se pur minimo alla trasformazione rivoluzionaria della società”. E come concilia questa volontà rivoluzionaria, che dovrebbe nativamente essere qualcosa di molto concreto, di molto semplice, con un certo suo linguaggio a volte anche compiaciuto della propria ricchezza, della propria complicazione? “No, non è mai compiaciuto, questo glielo posso dire perché compiaciuto è un termine che indica un atteggiamento soggettivo che io soggettivamente posso dirle che non esiste. Certo esisterà invece oggettivamente un residuo della mia formazione culturale. Non c’è dubbio. La letteratura, come lei sa, è quel terribile vizio che tutti ci portiamo dentro, alcuni più e altri meno. Insomma la nostra formazione culturale è avvenuta sui classici, è avvenuta in un linguaggio generale, un linguaggio tecnico e insieme retorico, non c’è dubbio. E si fanno sforzi enormi per cercare di liberarsene e non sempre si riesce. Ma non bisogna confondere l’eleganza o la raffinatezza con la necessaria tecnicità del linguaggio. Lei capisce che è terribilmente difficile riuscire ad esprimere un concetto di critica della letteratura estremamente sottile, diluendolo fino a renderlo comprensibile a tutti. Questa è una pretesa un tantino populistica”. Ecco, facciamo un esempio concreto. Un operaio che avesse voglia di sapere qualcosa su Pirandello, crede lei che potrebbe accostarsi alla sua «Storia di Pirandello»? “Non lo credo. Non lo credo, ma è un problema molto serio. Non lo risolverei semplicisticamente. In realtà il pubblico, l’interlocutore della mia storia di Pirandello e di tutti i miei libri non è l’operaio, cioè io non ho scritto per l’operaio, e dubito che l’operaio possa avvantaggiarsi della conoscenza di Dante e di Manzoni. lo polemizzo continuamente, anche all’interno di forze politiche e culturali orientate in senso democratico, con questa pretesa dell’appropriazione da parte della classe operaia del patrimonio culturale del passato. Non è questo il modo di appropriarsene, deve essere un modo critico”. Ma insomma, una volta conquistato quel famoso tempo libero, quel tempo per sé, un metalmeccanico potrebbe anche leggere Manzoni, Dante. E non i fumetti, e non Grand Hotel. “Sì, indubbiamente è meglio il Manzoni che il fotoromanzo, nelmese - 4/2010 - 11
ma è difficile che uno, dico la classe operaia come dico qualunque altro non addetto ai lavori, è difficile capire che cosa voleva dire Manzoni”. Forse capirlo con la profondità, con l’acume critico con cui lo capisce lei, ma insomma ognuno avrà un suo livello di comprensione. “Ma guardi, il discorso è complicato, difficile. Le dirò che quando vedo, e ho visto, file di operai, di popolani, davanti ai musei, davanti alle mostre d’arte, ai concerti, io mi sono sentito male, non bene”. Riaffiora l’antico aristocratico... “No, no, tutt’altro!” Mi scusi, era una battuta cattiva. “Eh, certo. Quello che voglio dire è che Dante e Manzoni non sono un ‘valore’, un acquisto conoscitivo neutrale, tutto positivo, tanto che chiunque lo legga ingenuamente debba trarne vantaggio. Sono bensì l’espressione di valori storici, a loro volta modi di essere di contraddizioni sociali. Chi non sa, per aver studiato il Medioevo, che cosa fu l’impero per Dante, che cosa significava politicamente per lui, crederà che Dante esaltava l’Impero in quanto forma di potere assoluta, universale, di origine divina. Costui fraintenderà Dante non lo conoscerà e si sentirà attratto dalla sua forza rappresentativa verso i valori assoluti, che in Dante invece esprimono passioni e funzioni storiche. L’opera di Dante funzionerà così come trasmissione di falsi valori e copertura delle contraddizioni reali del tempo di Dante. No. La classe operaia non deve appropriarsi così, acriticamente, del patrimonio culturale del passato. Quel patrimonio non è, storicamente, neutrale: è un oggetto colmo di significati contraddittori. E l’uso che la classe operaia deve farne è quello di conoscerlo criticamente”. Dunque lei che cosa propone? Il suo discorso cioè mi sembra proiettato un po’ troppo nel futuro: lei ora intanto prepara questi intellettuali che mano a mano a loro volta dovrebbero allargare questa funzione di analisi. “No, dico che è un lavoro lungo e complesso, quello di rendere la classe operaia soggetto e non oggetto di cultura. Ed è naturalmente compito, profondamente avviato, del resto, del movimento operaio. Intanto io propongo che i critici di parte rivoluzionaria di oggi lavorino a smitizzare nella cerchia dei lettori possibili tutte quelle forme di coscienza che la letteratura ha trasmesso e continua a trasmettere e che nessuno ha analizzato in questo senso. Cioè l’obiettivo dei miei libri è quello di parlare intanto a tremila persone e che quelle tremila persone possano ricevere l’idea di un fare critica della letteratura profondamente diversa da quella tradizionale, e quindi possano anche attraverso l’esercizio di quella analisi acquisire una coscienza critica della società in cui si trovano e delle forme di coscienza della società che sono la letteratura, l’arte, la cultura più in generale. Perciò i miei interlocutori sono limitati, li conosco uno a uno, per loro io scrivo”. Senta, esiste una produzione letteraria per la quale non ci sia più bisogno di questo tipo dì critica, questo tipo di operazione demistificante? “No”. Non ancora? “Non ancora. E io dubito che possa mai esistere. Questo è un altro grande e grosso problema e glielo dico proprio... è la prima persona a cui lo dico con tanta schiettezza. Perché bisogna arrivare molto in là, credo, per accettare questo discorso. lo non sono un profeta, quindi non lo so, se nella società senza classi, un giorno, nella società comunista ci sarà o non ci sarà la letteratura, ma io credo che non ci debba essere, non ci possa essere. Cioè se la produzione ideologica, l’arte, la musica, la letteratura, la cultura in genere, sono state delle forme approssimative di conoscenza, non coscienza piena che non poteva esserci, al limite non può esserci nemmeno adesso, e non può esserci nemmeno nelmese - 4/2010 - 12
nelle società socialiste di transizione perché non è stata ancora smaltita tutta la tradizione di divisione che c’era prima, allora la società che abbia eliminato la divisione, non ha più bisogno di forme parziali di coscienza e dovrebbe produrre in tutti gli uomini una coscienza piena. Al limite, voglio dire, in fondo il movente che ha spinto un artista a esprimersi attraverso il pennello, la penna, attraverso il sogno, anziché un impatto con la realtà, era una forma di risarcimento, di dispetto nei confronti della realtà che non li capiva, o in cui non trovavano il loro spazio operativo diretto che è quello di vivere nella società e di contribuire al suo sviluppo, alla sua crescita”. Allora, professore, proprio lei dunque si batte per il raggiungimento di quel giorno in cui l’arte non debba più aver motivo di esistere? “Certo, se quello è il momento in cui ci sarà il comunismo, io lotto per quello, e può darsi che sia anche un sacrificio per me, questo lei non lo sa...” Appunto, lei ama moltissimo questa letteratura, questa arte. “L’ho amata, la amo, la amo certo, ma questi sono amori soggettivi, amori con le nuvole. E l’ho abbastanza scontato questo momento, voglio dire che oggi la letteratura mi interessa solo per cogliere al suo interno le sue contraddizioni, e non con odio, non col proposito di guardarmene, no, ma proprio scientificamente per cogliere che cosa c’era di umano, di sociale, là dentro, che cosa vuol dire. Certo, se mi deve blandire, che cosa, l’anima, quando sono stanco, questo no, non mi serve più per questo, contesto che mi debba servire per questo”. E tornando a quello che è stato, secondo lei, il movente primo della produzione artistica il risarcimento nei confronti di una realtà intollerabile, non crede che ci sarà sempre qualcosa da cui l’uomo abbia voglia di fuggire? “Non credo, comunque il nostro sempre è storico, la nostra prospettiva del tempo non può essere eterna, se fosse eterna le direi no, sempre no, verrà un giorno in cui non ci sarà più niente da cui fuggire”. E sarà l’ultimo giorno del mondo. “E’ probabile. No, perché? Non lo so, questo non lo so. lo ho tentato di fare un discorso storico, non di emettere sentenze. Posso dire soltanto che a me preme studiare e analizzare i modi dell’esistenza artistica fin qui, e chiedermi se mai per quale ragione essi siano così mutati nel tempo, e sembrino oggi, nel tempo più critico della società borghese, assai prossimi a un’estinzione. La produzione artistica sembra oggi non avere più una funzione. E’ una realtà storica, ed è inutile giustapporvi visioni sul futuro. Tuttavia per incontrare il senso profondo della sua domanda, devo dire che Marx scrisse una volta che nella società comunista presumibilmente tutti gli uomini potranno essere anche artisti: non esisterà però la divisione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, e l’uomo non sarà diviso dall’uomo. Bene, quello che ci interessa è lottare e lavorare per rendere possibile una società cosìffatta”. Per concludere aggiungerei un’osservazione. Di fronte a questo dolce a questo tormentato aristocratico uomo di lettere comunista, il quale discorre della propria fede (mi ha parlato anche di “senso religioso e laico del comunismo”, di amore universale fra gli uomini), con una finezza, un pudore e una commozione che non possono non derivare della sua “ingenuità” proprio nel senso latino di nobiltà, di fronte a tutto questo non si può fare a meno di sospettare che, attraverso i misteriosi canali del sangue e della storia, la lotta di un aristocratico contro la società borghese a fianco della classe operaia, rappresenti in qualche modo e del tutto inconsapevolmente anche una nemesi, il riscatto di antichi avi bistrattati e brutalizzati, verso la fine del diciottesimo secolo, da grossolani borghesi.
ROSARIA BENEDUCE
UNIVERSITA’ / RICORDI
IL DISCORSO DI COMMIATO DEL RETTORE PER LA SCOMPARSA DELL’ILLUSTRE DOCENTE
Arcangelo Leone de Castris, dialogo costante con gli studenti L
a circostanza che ci vede oggi qui riuniti per rendere l’estremo saluto a un grande intellettuale come il professor Arcangelo Leone de Castris, la cui storia ha attraversato, per quasi mezzo secolo, la vita della nostra Università, è particolarmente dolorosa, non solo per il vuoto incolmabile che egli lascia in tutti noi, che ne fummo colleghi, amici, allievi, studenti, ma perché con la sua perdita scompare un docente e uno studioso capace come pochi di interpretare
Il Rettore dell’Università degli Studi di Bari prof. Corrado Petrocelli è al suo secondo mandato; barese, 58 anni, è ordinario di Filologia classica, titolare degli insegnamenti di Filologia classica ed Esegesi delle fonti di storia greca e romana. Nel 2009, il Senato accademico ha approvato una sua proposta, portata avanti con convinzione, di intitolare l’Ateneo barese ad Aldo Moro per i suoi specifici meriti conseguiti quale docente della stessa Università.
L’ingresso principale del Palazzo Ateneo, su Piazza Umberto con la nuova intestazione: Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” (Foto Vito Signorile)
il suo ruolo con un entusiasmo coinvolgente e trascinante, e di trasmettere a intere generazioni di giovani un’idea altissima dell’insegnamento universitario e della ricerca quali aspetti interrelati e complementari di un impegno intellettuale senza riserve, che li stringeva in un binomio inscindibile e fecondo, nel quale ciascun termine era funzione e garanzia dell’altro, nel segno di una appassionata e lucidissima tensione critica e teorica. Oggi che sempre più il nostro lavoro è costretto a misurarsi con i meccanismi ottusi e spesso feroci di improprie logiche aziendalistiche, e a sottostare a una ideologia produttivistica pervasiva quanto sterile, credo che la lezione più preziosa che Leone de Castris ci lascia sia quella di non avere mai rinunciato a congiungere il rigore della ricerca all’impegno della coscienza, la riflessione più sottile e complessa sui temi e gli oggetti del suo insegnamento al dialogo aperto e costante con i soggetti che ne erano destinatari: quei giovani che per molte generazioni hanno costituito, proprio nella loro ‘soggettività plurale’, il suo interlocutore privilegiato. Un interlocutore collettivo - so, dai suoi allievi, che, soprattutto nelle ultime stagioni della sua quarantennale docenza, Arcangelo amava definirlo un ‘coro’ - ricco di tante, troppe domande in cerca di una risposta: domande che egli sapeva in ogni modo sollecitare e far crescere, e a cui, piuttosto che fornire quei contenuti che immediatamente sembrassero soddisfarle, insegnava a rispondere con altre e più complesse domande, che ne catturassero e ne evidenziassero il senso più vero, conducendo i suoi studenti a ‘vedere’ e a nominare le dinamiche storiche reali che in esse prendevano forma e, insieme, si nascondevano ancora inespresse, in attesa di essere portate alla luce e restituite nella loro complessità. Altri, qui, e con diversa e più specifica competenza che la mia, vi parlerà, ben più diffusamente e approfonditamente, del giovane e brillante italianista che rinnovava, ancora trentenne, o poco più, e già lontano o affrancato dagli influssi del crocianesimo, gli studi pirandelliani o sveviani, e poi rovesciava tradizionali interpretazioni del Decadentismo, del Manzoni, di un Leopardi amato e forse studiato anche in segreto, come uno specchio interiore; e nelmese - 4/2010 - 13
del critico impegnato ad animare e dirigere, per un difficile ventennio, una rivista di analisi e di riflessione letteraria protagonista del dibattito italiano negli anni Settanta, e protesa ad offrire al difficile rapporto tra marxismo e letteratura un orizzonte ermeneutico e teorico in grado di affrancarlo dalle secche del sociologismo e dell’ideologia. Altri si soffermerà a ripensare il fervore teorico e militante di Leone de Castris protagonista della ormai mitica école barisienne, e a riattraversarne la lunga e approfondita riflessione sulle funzioni dinamiche dell’estetica letteraria nel Novecento, e le numerose, importanti indagini relative al diverso e intrecciato protagonismo di Gramsci e Croce sulla tormentata scena del ‘secolo breve’. Io voglio limitarmi semplicemente a sottolineare con forza che Leone de Castris puntava a sollecitare nei suoi giovani innanzitutto la crescita di una nuova e diversa attitudine alla conoscenza. Per questo, insegnava soprattutto un modo di rapportarsi ai fenomeni letterari che costituivano gli oggetti della sua disciplina, una prospettiva da cui guardarli e interrogarli che si aprisse alle spinte contraddittorie del presente, alle sue urgenze, negli anni dei grandi fermenti studenteschi, ma poi anche in quelli, sempre più difficili, di una modernizzazione che andava spegnendo i sogni e distorcendo le utopie. Disegnava orizzonti, indicava percorsi, accendeva e alimentava bisogni di conoscenza, interpretando il proprio magistero come una missione quant’altra mai inquieta e generosa. La sua ambizione più alta, e forse anche la più umile, perché il coraggio di innovare, di rovesciare prospettive consolidate, ha bisogno sempre di umiltà, era infatti - come sanno tutti coloro che lo hanno avuto come docente, per più anni di corso, o anche solo per la lezione di un giorno -, era quella di intendere e praticare l’insegnamento non come lineare e statutaria trasmissione di un sapere e dei suoi codici, ma come la possibilità di offrire ai propri alunni le condizioni per accostarvisi come a un oggetto storico da interrogare fino in fondo: per questo egli dedicava tanta parte della sua attività al dialogo con i giovani, perché sapeva che la loro formazione, a cui noi siamo istituzionalmente demandati, non sarebbe potuta riuscire compiuta e matura, non avrebbe potuto davvero realizzarsi, se non quando si fosse configurata come momento di nascita e di sviluppo di una coscienza critica rivolta a interpretare, non storicisticamente, ma in una dialettica interminabile, il presente attraverso la conoscenza del passato, e a rileggere il passato a partire dalle contraddizioni del presente. Un tratto distintivo della presenza di Leone de Castris nella storia del nostro Ateneo è stata la scelta irrinunciabile di mettere in gioco il proprio ruolo, e persino gli apparati convenzionali e le garanzie protettive della propria identità di studioso, in una prospettiva radicalmente aperta alla società e ai suoi bisogni di futuro, alle utopie che lo progettano e lo creano; é stata l’offerta ogni giorno rinnovata di una passione intellettuale sempre pronta a mettere in crisi le proprie certezze. Era la scelta, generosa quanto impavida, di decostruire criticamente la propria funzione tradizionale, e di rilanciarla in una forma nuova, in una dimensione rigorosamente gramsciana, rovesciandone e spezzandone lo specialismo sul piano di una conoscenza storica integrale. Arcangelo praticava l’istituzione universitaria, e più complessivamente ogni orizzonte istituzionale, come il luogo di una contraddizione strutturale tra le forme e il movimento della dinamica sociale, l’ambito di una verifica senza remore, lo spazio e l’oggetto di una interrogazione critica permanente. Se c’era un modo che ne connotava in profondità l’impegno politico e intellettuale - ma nel suo caso bisognerà piuttosto dire: politico in quanto intellettuale, e viceversa - era infatti quello di assumere fino in fondo la responsabilità di una critica permanente delle istituzioni, non per rifiutarle ma – e riprendo qui una parola chiave del suo lessico teorico e militante - per nelmese - 4/2010 - 14
L’Aula magna dell’Ateneo dove si è svolta la cerimonia di commiato per il prof. Arcangelo Leone de Castris trasformarle. Era una scelta sempre costosa, e perfino, in certi passaggi, drammatica, come testimonia la sua biografia, fino al paradosso di vederlo inscritto, soprattutto nella sua ultima fase, nella figura, nobilmente esemplare ma riduttiva, di intellettuale ‘scomodo’, che forse era valsa a esorcizzare e filtrare, in parte, la sua critica pervasiva alla stessa funzione intellettuale in sé considerata, quale chiave di volta del suo arduo e strenuo progetto critico. Una scelta che non sempre è stata colta e restituita nello spessore della sua radicalità, nella sua ricchezza tragica. E questo ci rende oggi ancora più tristi, più malinconici, mentre ne ricordiamo e ne rimpiangiamo la solitudine coraggiosa e il rigore oltranzistico. Con Leone de Castris perdiamo, oggi, non solo o non tanto lo studioso insigne e innovativo della modernità letteraria, del quale resteranno, ormai classiche ma sempre vive e presenti, sempre nuove e stimolanti, le molte, e importanti, [e spesso] indimenticabili opere; la sua scomparsa ci priva di un irriducibile testimone e di un esempio luminoso del rapporto che intrinsecamente lega la ricerca intellettuale all’impegno sociale e politico, in un tempo nel quale il nostro lavoro di docenti e di studiosi, assediato da un mercato di cui non riusciamo più a vedere, a riconoscere il volto proteico, torna diffusamente quanto difensivamente a richiudersi nella difensiva custodia della propria identità specialistica. E ci manca - con il calore profondo della sua voce, con l’arditezza provocatoria e sorprendente del suo pensiero, con l’eleganza impareggiabile della sua parola - ci manca la sua figura di professore che insegnava a leggere e scoprire il mondo in un libro, in un verso, e sapeva che ogni libro, ogni verso, è figura di un mondo che ci chiama a conoscerlo, e non smette di interrogarci, e di chiederci di interpretarlo per cambiarlo. Grazie, Arcangelo, per avercelo mostrato, come un amico, come un maestro e perché continuerai a farlo, oggi, sempre.
CORRADO PETROCELLI
UNIVERSITA’ / RICORDI ACUTO E DOTTO COMMENTO DEL PENSIERO E DELLE OPERE DI ARCANGELO LEONE DE CASTRIS
Cultura e Impegno sociale
A
scrivere questo articolo ed uscire quindi dal mio “hortus conclusus”, in cui mi sono rifugiato, perché io non è che sia molto contento del mondo in cui viviamo (ma stranamente la vita è sempre bella), mi hanno spinto il rammarico per la perdita di un uomo dalla grande cultura e dalla risentita personalità quale fu il prof. Arcangelo Leone de Castris, che io ho conosciuto ed apprezzato, quando, giovanissimo, era assistente del prof. Mario Sansone, e la rilettura dell’intervista al Leone de Castris apparsa su NelMese del dicembre 1973, significativa già da allora del profondo impegno culturale della rivista stessa e del suo fondatore e direttore dott. Nicola Bellomo. Non solo ma, forse, soprattutto mi ha spinto a questo intervento il titolo dell’articolo-ricordo, apparso su “La Gazzetta del Mezzogiorno”, del prof. Vitilio Masiello “L’utopia dell’Arcangelo rosso”, un ossimoro che è già una sfida di per sé, e le parole conclusive dell’articolo stesso: “Arcangelo Leone de Castris era questo insieme di candore e di passione civile…”. Un articolo, invero, che con grande chiarezza rivede la lunga carriera di Maestro, sottolineando i momenti essenziali del suo continuo divenire. Nelle “Lezioni” sui manuali di storia della letteratura italiana, da De Sanctis ad Asor Rosa, Leone de Castris ha fissato con profondità e sofferta partecipazione (il dramma dei migliori interpreti della nostra letteratura) i limiti di quei manuali alla luce della storia politica, morale, culturale dell’Italia dell’immediato dopoguerra fino quasi ai bagliori del 2000. Lezioni che andavano ben oltre l’impegno critico e tracciavano il panorama della storia d’Italia. La conclusione di questa spietata analisi di Leone de Castris di momenti che la generazione uscita dagli anni successivi alla fine della prima guerra mondiale e gli anni del Fascismo e della seconda guerra mondiale, che tutti abbiamo vissuto e sofferto, chi in un modo chi in un altro, è stata per Leone de Castris la profonda delusione per il fallimento del ’68 da lui vissuto sulla sua pelle. Con Leone de Castris ci eravamo incontrati a casa mia perché, quando egli era proprio all’inizio della sua carriera universitaria, mi chiese di dare lezioni di Latino (o di Greco, non ricordo) ad una giovane donna della sua famiglia. Trascorremmo più di due ore in una piacevole conversazione ed ebbi modo di apprezzare ed ammirare un giovane che non avrei più incontrato, ma la cui carriera avrei seguito con simpatia (fors’anche con un po’ di invidia, sempre benevola), anche se non sempre condividendone idee e metodi. Leone de Castris percorse un lungo e difficile cammino sempre con la voglia di conoscere, con la volontà eroica di realizzare non solo se stesso, ma di dare alla cultura italiana un’impronta di totale dedizione all’impegno sociale, facendo dell’insegnamento,
sempre ad alto livello, una vera battaglia, gramscianamente cioè non con le armi di guerra, ma con quelle della cultura, attraverso la quale passava, per lui, ogni possibile programma sociale. La cattedra universitaria fu per lui un altare. Ma tutti i passi in avanti, a volte vere e proprie fughe nel futuro, subirono un rallentamento quando il moto del ’68 e la rivoluzione che sembrava stesse per scoppiare nel mondo culturale e sociale si esaurirono. Fu per quasi tutta la mia generazione (quella nata tra gli anni ‘20-‘30) un terribile colpo. Ricordo che io, vicepreside dello “Scacchi”, e alcuni docenti trascorremmo quindici giorni (notti e giorni) nelle aule occupate dai nostri alunni, senza paura di esprimere le nostre idee e di ascoltare quelle degli altri, di confrontarci, e i giovani chiesero a me (dichiaratamente crociano) di far conoscere loro Croce ed il suo fallimento (sembrava tale o lo era?), mentre altri docenti affrontavano diverse tematiche. Ma il ’68, come speranza di cambiare il mondo, doveva chiudersi con un bilancio che sembrò negativo (o forse lo era?), ma il ’68 fu necessario. Le cose, infatti, non furono mai più come prima. Leone de Castris ne fu, come ho detto, profondamente amareggiato: il movimento del ’68, diceva, non si era risolto in una critica complessiva e reale della organizzazione capitalistica. Continuò, sì, ad operare con impegno, ma la sua prosa si fece eticamente più ricca col candore dell’utopia e la malinconia per la profonda crisi. Le parole succitate di Masiello sono state la spinta, come ho detto, a scrivere questo articolo. Ma, forse, per quelle parole è scattata nella mia mente una domanda: non è che forse, quella utopia, perseguita e vissuta “con candore” e con “rossa” passione, e l’inevitabile tristezza dei momenti difficili della ricerca della verità, nasconde qualcosa di più? E ancora: non è che, per esempio, la Poesia, che Leone de Castris ha indagato con tanto impegno sia un valore assoluto e che il tentativo di conquistarlo per sempre, e non solo di goderlo nell’attimo fuggente, o comunque irripetibile, perché la Poesia è ogni volta diversa, costituisca la candida utopia dell’“Arcangelo rosso”? E, d’altro lato, la condanna di tutti i tentativi di spiegare il “fatto” poetico nella sua assolutezza, non è, forse, il segno di una inesausta ricerca di “conoscere”? Parlo, ovviamente, di quella poesia che nella sua assolutezza può, ad esempio, in Omero, rappresentare in immagini irripetibili lo stupore di Nausicaa di fronte ad Ulisse stanco, sporco, solo, ferocemente teso al nostos, al ritorno a casa, trasfigurato per il miracolo di un poeta in un uomo giovane e bello? Sì, lo so, sono gli dei che operano, nel racconto, il miracolo per ottenere i loro scopi, ma è la poesia di Omero che crea per noi quel miracolo che Concetto Marchesi ha ricostruito con la mente e col cuore nel suo commento all’episodio (Odissea, VI). O si pensi al miracolo dei versi di Dante “Quale nei pleniluni sereni/ Trivia ride fra le ninfe eterne/ che dipingono lo ciel per PROF. MARIO ZICCOLELLA, insigne tutti i seni”. O ancora più semplicemente, ma più ed amatissimo professore di Lettere opportunamente, per quanto sto dicendo, si pensi che per anni ha dedicato la sua vita e le sue forze all’insegnamento. Nato nel ad un verso “e come stella in ciel il ver si vide”. E’ 1920 a Torino da genitori pugliesi, è una domanda retorica, lo so, ma a novant’anni ho stato per molti anni titolare e poi viceil diritto di pensare (o forse sperare) che il “candopreside del Liceo Scientifico Scacchi di re” e la “speranza”, di cui parla Masiello (e capisco Bari, e per dieci anni Preside del Liceo in quale direzione), possano essere un’ansia di inClassico Publio Virgilio Marone di Gioia spiegabile assoluto pur tra la così grande ricchezza del Colle. È autore di molti saggi critici di idee, di sentimenti, di conoscenze, di pensieri? e insieme al prof. Piero Frasca, di una A questo punto, Professore Arcangelo, tu avrai già Storia della Letteratura italiana. Ma soplacato totalmente la tua ansia di conoscere, avrai prattutto è stato il formatore di molte raggiunto e compreso l’assoluto (che la Poesia può generazioni a cui ha saputo trasmetterappresentare). E, dunque, vale, Professore, vale. re con passione l’amore per la letteraPer sempre. tura e la fede nella poesia.
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RICERCA IPRES / UNIVERSITA’
Più incisivo il rapporto Università-occupazione Presentato all’Ateneo barese il rapporto di ricerca dell’Ipres sul capitale umano qualificato, il mercato del lavoro e la mobilità territoriale in Puglia
I
l capitale umano qualificato dalla laurea breve al dottorato di ricerca, il mercato del lavoro e la mobilità territoriale delle risorse umane. Sono questi i temi approfonditi dall’IPRES (Istituto Pugliese di Ricerche Economiche e Sociali) nel primo studio sistematico sul tema, unico in Puglia nel suo genere anche per il coinvolgimento del sistema degli “attori rilevanti” presenti sul territorio regionale. Lo studio, presentato e discusso all’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, ha visto infatti la partecipazione dei principali attori del territorio: la Regione Puglia, l’intero sistema delle università pugliesi, le rappresentanze datoriali, economiche, dei dirigenti d’impresa e dei direttori del personale. Durante i lavori sono emersi numerosi temi di interesse generale, primo fra tutti l’insufficiente capacità del territorio pugliese di trattenere e attrarre il capitale umano: le persone che, con un titolo di laurea, master o di dottore di ricerca, lasciano ogni anno la Puglia sono infatti circa 10mila in più rispetto a coloro che vi si trasferiscono. E quasi il 65% delle persone che partono sono giovani, o comunque hanno meno di 40 anni. Nel lungo termine questo flusso netto in uscita (brain drain) può rappresentare un elemento di criticità per la competitività e la stessa sostenibilità del sistema economico e sociale regionale. E’ urgente quindi attivare uno scambio di risorse umane qualificate, sia favorendo il rientro del capitale umano temporaneamente emigrato, sia attraendo risorse umane qualificate dall’esterno. Il giornalista Lino Patruno, direttore editoriale della Gazzetta del Mezzogiorno, ha provocatoriamente affermato che nella nostra realtà “essere laureati può diventare addirittura un handicap e che forse le imprese i manager non li vogliono”. Patruno ha, infatti, sottolineato - come emerge dallo studio realizzato - che “è il diploma di scuola media superiore il titolo di studio più spendibile, quello cioè che garantisce le maggiori possibilità di accesso al mercato del lavoro”. Nicola Bruno Ardito, presidente AIDP Puglia - Associazione Italiana per la Direzione del Personale - ha affermato che “quello che un direttore del personale cerca, in tutta Italia, non è un titolo ma la competenza, il know-how. E molte competenze non vengono sviluppate nelle nostre università”.
Il rettore dell’Università di Bari prof. Corrado Petrocelli e il presidente dell’Ipres prof. Nicola Di Cagno Anche Giuseppe Trisciuzzi, presidente di Manageritalia Bari, associazione che rappresenta i dirigenti del terziario, sostiene “la necessità di collegare maggiormente l’università al mondo del lavoro, avvicinando i contenuti dei master post-lauream al mondo delle imprese”. Trisciuzzi ha poi parlato dell’importanza della diffusione della cultura tra le imprese, “soprattutto tra le aziende familiari e quelle non esposte alla concorrenza, che, con il loro comportamento più teso a garantire sia il controllo che la competitività, frenano il diffondersi di un’adeguata cultura, presenza e
Da sinistra, Lino Patruno, Francesco Sgherza, Corrado Petrocelli, Giuseppe Trisciuzzi, Nicola Bruno Ardito e Pasquale Ribezzo. Nella pagina accanto, uno scorcio della sala del seminario di studio (foto V. Signorile) nelmese - 4/2010 - 16
La relazione del presidente Nicola Di Cagno
Investire insieme per trattenere le risorse qualificate
L’
IPRES, con questo seminario di studio, ha inteso richiamare l’attenzione delle Istituzioni, degli esperti e degli stessi studenti sul capitale umano qualificato della Puglia. Il tema coinvolge direttamente i tanti giovani che hanno conseguito la laurea breve, la laurea specialistica, il titolo di master e il dottorato di ricerca. Riguarda, quindi, quelle risorse umane che rappresentano i fattori più rilevanti per lo sviluppo della conoscenza e dell’innovazione, elementi essenziali per la competitività del sistema produttivo regionale. Il tema è di forte attualità. Ne è testimonianza anche la partecipazione, intensa e fattiva, che la Regione Puglia, tutte le università pugliesi (il Politecnico di Bari, l’Università del Salento, l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, l’Università degli Studi di Foggia e l’Università LUM Jean Monnet), e le più importanti espressioni del mondo imprenditoriale (CNA Puglia, Confapi Puglia, Confartigianato Puglia, Confindustria Puglia, Unioncamere Puglia, AIDP Puglia e Manageritalia Bari) hanno riservato al nostro percorso di ricerca. Questa vasta partecipazione ha reso possibile la definizione, presso il nostro Istituto, di un contesto operativo favorevole alla elaborazione e alla capitalizzazione di conoscenze generate direttamente sul territorio, consentendo altresì una migliore interpretazione delle fonti statistiche disponibili e dei numerosi studi condotti sul tema. La motivazione di fondo all’origine di questo rapporto è l’esistenza, registrata a partire dagli anni Novanta, di un consistente flusso di emigrazione e pendolarismo di capitale umano qualificato, dalla Puglia e dalle altre Regioni del Mezzogiorno d’Italia verso le Regioni del Centro-Nord e verso l’estero.
competenza qualificata”. Il punto, forse, è capire quali sono le competenze che le nostre imprese cercano. Corrado Petrocelli, rettore dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, ha ribadito come non siano le università a doversi adeguare alle esigenze delle imprese poiché “il ruolo
Nicola Di Cagno In questo contesto lo studio approfondisce, in particolare, le cause del divario, sempre più significativo, tra le dinamiche dell’offerta e quelle della domanda di lavoro qualificato. Vengono indagate inoltre le dinamiche del flusso netto in uscita di persone qualificate (brain drain), che rappresenta uno dei punti di debolezza più rilevanti perché incide sulla “tenuta” stessa del sistema economico e sociale regionale. Lo studio mette in evidenza i possibili effetti negativi, nel medio-lungo periodo, derivanti dai fenomeni di accumulazione di capitale umano qualificato nelle regioni più ricche accompagnate da un depauperamento in quelle più povere. L’importanza di sostenere il rientro e l’attrazione di risorse umane qualificate (brain exchange) ha portato infine a esaminare alcune buone pratiche espresse a livello nazionale nel campo dell’Alta Formazione. L’IPRES continuerà a investire risorse nella ricerca sul capitale umano avviata con il presente studio, con l’obiettivo di approfondire l’analisi di ulteriori “segmenti” del mercato del lavoro qualificato, per cogliere le esigenze, in particolare, del sistema produttivo regionale delle imprese di minori dimensioni. Si intende approfondire ulteriormente l’interazione tra il mondo dell’università e quello dell’impresa, così come lo sviluppo del sistema universitario regionale nel contesto internazionale. dell’università è quello di produrre conoscenza e di favorirne l’accumulo, di mettere le persone in condizione di risolvere i problemi che via via si presentano all’interno di questo ambiente mutevole”. “Quello che in Italia manca”, ha continuato Petrocelli, “sono le alte e le medie scuole professionali, quegli istituti pa-
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ra-universitari presenti invece in molti paesi europei”. Si è tentato di sopperire a questa mancanza con la riforma ‘del 3+2’, che non ha affatto risolto il problema. Piero Conversano, direttore generale di Confindustria Puglia, ha sollevato il tema dell’elevato costo di un laureato per le imprese (fino al 70-80 per cento dei costi complessivi), soprattutto per quelle di piccole dimensioni. Patruno si è allora chiesto che significato abbia quel costo se non lo si rapporta ai risultati che la risorsa produce, valutando quindi anche i benefici dell’investimento. Vista la piccola dimensione della quasi totalità delle imprese pugliesi, Pasquale Ribezzo, segretario CNA Puglia, si è domandato se sia possibile, per trattenere le competenze, costruire un nuovo tessuto collettivo in cui i professionisti possano lavorare al servizio di più imprese. Secondo il rettore Petrocelli, le carenze dovrebbero essere cercate nel contesto di riferimento. “La maggior parte dei laureati che lascia la nostra regione, lo fa dopo uno o anche tre anni dalla laurea, e il 60% ha una votazione di 110 o 110 e lode, oltre a un buon percorso post lauream. I giovani se ne vanno perché trovano altrove migliori condizioni dal punto di vista del tessuto imprenditoriale, del capitale umano e infrastrutturale. Spesso ci troviamo di fronte a una sottoccupazione rispetto alla preparazione dei nostri laureati. Per non parlare delle condizioni retributive”. Anche secondo Gianfranco Viesti, assessore al Diritto allo studio della Regione Puglia, il contesto in cui ci troviamo – locale e nazionale – è molto pericoloso. “Un crollo dell’economia del 5%, che non accadeva dal ‘44, con 2.600 persone che vorrebbero lavorare ma non possono farlo e decine di migliaia di persone intrappolate nella cassa integrazione. Rischiamo che un’intera generazione di giovani rimanga senza lavoro per almeno dieci anni. Abbiamo a che fare con grandi difficoltà strutturali, per quanto riguarda ad esempio la pesante fiscalità sugli occupati e la bassa qualità dei servizi pubblici. Non dimentichiamo che siamo anche il paese con la minore mobilità sociale, elemento che genera un reale problema di occupazione dei meritevoli.
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Il sistema universitario sta saltando. Se nulla cambia, molte università in Italia chiuderanno nel 2011 per mancanza di entrate, a causa anche di una valutazione del sistema effettuata, nel 2009, secondo criteri erronei. In più il taglio del Governo di 25 miliardi di euro di spesa straordinaria per la Puglia fino al 2017-18, oltre alla chiusura delle politiche per il Mezzogiorno, contribuirà a ridurre drasticamente la competitività e l’investimento in ricerca e in istruzione”. Secondo Viesti la strategia regionale di uscita dalla crisi, con le poche risorse a disposizione, deve prevedere un lavoro di ricostruzione collettivo: “la politica deve lavorare insieme alle imprese, alle università, ai giornali e ai cittadini per offrire un servizio migliore a parità di risorse”. “E’ essenziale investire sui saperi, facendo uno sforzo straordinario di riorganizzazione qualitativa del sistema dell’istruzione, fisicamente molto frammentato e con classi spesso separate per ceto sociale. E’ importante inoltre lavorare sulla libertà di scelta per gli studenti”, offrendo migliori condizioni di vita (borse di studio, disponibilità di alloggi, servizi) e favorendo migliori prospettive nel mercato del lavoro. “Bisogna programmare insieme alle università l’impiego delle risorse su un arco temporale di almeno cinque anni, legandolo a un sistema di obiettivi e indicatori condiviso e terzo, per concentrare le poche risorse e mettere a valore il patrimonio di conoscenze. Abbiamo bisogno di stimolare l’auto-imprenditorialità, di stimolare lo sviluppo di conoscenze applicabili e il trasferimento tecnologico. E’ utile fornire alle persone le competenze tecniche per sviluppare le capacità imprenditoriali e passare da una politica di sostegno alle imprese a una politica di mercato, mettendo in concorrenza le imprese per l’attribuzione dei fondi disponibili”. Sono intervenuti, tra gli altri, Nicola Di Cagno, presidente dell’IPRES, Vincenzo Santrandrea, ricercatore dell’IRPES e coordinatore del rapporto di ricerca presentato, Riccardo Figliolia, segretario generale Confapi Puglia, e Francesco Sgherza, presidente Confartigianato Puglia. (g.d.)
MEDICINA TRADIZIONALE MANIFESTAZIONE ORGANIZZATA DAL COMITATO REGIONE PUGLIA DELLA SUSAN G. KOMEN ITALIA PRESIEDUTO DAL PROF. ENZO LATTANZIO. POSITIVO BILANCIO DELL’ATTIVITA’ SVOLTA NEL 2009. SEMPRE PIU’ DIFFUSO IL TUMORE MAMMARIO ANCHE SE NON E’ PIU’ INVINCIBILE
Di corsa contro il cancro T
state trattate con la terapia nutrizionale 22 donne. utti in corsa per sconfiggere il cancro, in questo caso A queste attività vanno poi aggiunti i corsi di formazione il tumore mammario che seppure oggi non rappreper medici, operatori sanitari e infermieri per un’assisenti più un nemico invincibile, segna a suo favore ancostenza fisica e psicologica più appropriata alle pazienti, ra troppe vittorie. Oltre 11mila ogni anno sono, infatti, la partecipazione gratuita di due senologi di Bari ad un le donne che perdono la loro battaglia, anche se grazie corso di formazione continua sulle più recenti terapie e alla ricerca questi numeri vanno via via riducendosi. Ed è tecniche di diagnostica per immagini tenuto a Bologna e importante che sia così perché i dati dimostrano che una un contributo all’ANT di Bari finalizzato all’acquisto di un donna su 9 sviluppa un tumore al seno nel corso della ecografo portatile e saturimetri per l’assistenza domiciliasua vita e in Italia sono 37mila i casi che purtroppo si re ai malati oncologici terminali. registrano annualmente. Il prof. Lattanzio ha sottolineato come sia importante fare Tutti in corsa dunque il 23 maggio prossimo con la squadra e quindi la multidisciplinarità, la interconnesRace of the Cure organizzata dal Comitato Regione Pusione tra specialisti di diverse branche per la cura della glia della Susan G. Komen Italia che ha visto in quattro malattia. A tal fine ha annunciato la nascita a breve di anni crescere considerevolmente il numero dei parteciun Dipartimento senologico dove le pazienti possano panti, superando lo scorso anno gli ottomila e che prevetrovare tutte le risposte ai loro bisogni, senza dover pelde nella giornata precedente uno screening gratuito per legrinare da un reparto all’altro. Lattanzio ha poi ribadito chiunque voglia sottoporvisi. il ruolo attivo che il Comitato Puglia della Komen, nato Una corsa per la salute animata dalle “donne in rosa”, appena tre anni fa con un cammino non sempre facilisdalle donne cioè che sono state colpite dalla malattia, dal simo, oggi ha assunto nella vicinanza alle donne, divepersonale medico e paramedico, dai volontari e da tutti nendo movimento d’opinione e caratterizzandosi per la coloro che partecipando a questa manifestazione danno promozione e realizzazione di tanti progetti. il loro contributo per finanziare la ricerca e i progetti utili Il dott. Vitangelo Dattoli, direttore generale dell’Azienalla cura e alla prevenzione della malattia. da Ospedaliero-Universitaria Consorziale del Policlinico di Dell’attività svolta nel 2009 e dei risultati ottenuti con i Bari, dal canto suo ha affermato l’impegno per la prevenprogetti già realizzati si è parlato a metà marzo presso zione, impegno ribadito anche dalla Regione Puglia nella l’Aula magna De Benedictis del Policlinico di Bari in un persona dell’assessore Onofrio Introna, nonostante incontro promosso dal Comitato, alla presenza di una folle leggi nazionali abbiano scaricato sulle aziende i costi ta delegazione di donne operate per tumore mammario, notevoli che essa comporta e ha esemplificato i vari tipi volontari e medici specialisti delle differenti branche e di di screening che è già possibile fare presso il Policlinico. un pubblico attento e sensibile a quanto si va facendo in Oltre a quello della mammella, lo screening vaginale, del questo settore. Nell’occasione è anche stato presentato colon retto, per le malattie metaboliche e altri ancora. l’evento “Bari Race for the Cure, di corsa contro i tumori L’assenza di un assetto radioterapico significativo, ha del Seno”, mini maratona di 5 km e passeggiata di 2 km continuato Dattoli, sta oggi per essere superato, grazie con partenza da Piazza Prefettura. alla nuova struttura che sta sorgendo alle spalle di AscleIl prof. Vincenzo Lattanzio, direttore del SARIS, Serpios, l’Asclepios 2, destinata ad ospitare due acceleratori vizio Autonomo di Radiologia ad Indirizzo Senologico del e al potenziameno del SARIS con l’arrivo di una PET. La Policlinico di Bari e presidente del Comitato Regione moderna tecnologia, ha concluso, è infatti altrettanto Puglia della Susan G. Komen Italia ha illustrato l’atimportante delle professionalità nella lotta alla malattia in tività svolta nell’ultimo anno per meglio supportare sotto genere e al cancro in particolare. il profilo fisico e psicologico le donne colpite dalla patologia. In particolare, ha parlato del cosiddetto “Spazio MARISA DI BELLO Vitale”, uno spazio d’ascolto attivo già presso il Policlinico dall’ottobre 2008 che offre alle pazienti incontri individuali o di gruppo tenuti da una psicoterapeuta. Nel primo semestre 2009 sono state effettuate 163 consulenze a favore di 23 pazienti, mentre 27 donne hanno beneficiato del sostegno psicologico in attività di gruppo. Altro importante progetto realizzato è quello nutrizionale che sperimentato già presso il SARIS per le donne in trattamento chemioterapico ha registrato un notevole successo, tanto da indurre i promotori a estendere l’esperienza anche nella provincia di Brindisi. Il progetto, sempre finanziato con i fondi raccolti dalla Race of the Cure, offre un servizio mensile di consulenza clinica finalizzato a contenere gli effetti collaterali del trattaIl prof. Vincenzo Lattanzio e il dott. Vitangelo Dattoli mento chemioterapico. Nel primo anno sono nelmese - 4/2010 - 19
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DIRITTO
Separazioni e divorzi La risalita del “fanalino di coda”. Per le prime la media di attesa è di 15 mesi per le giudiziarie e di due mesi per le consensuali. Per i secondi la media per definirli è di 468 giorni. I dati riguardano i Tribunali del Distretto della Corte di Appello di Bari
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DI GIOVANNA DIMICCOLI
alla romantica proposta di matrimonio, passando attraverso frenetici preparativi per poi arrivare sino al fatidico giorno, la durata media è variabile, a seconda dell’importanza che viene data e delle aspettative che ognuno di noi ripone in questo evento. E a parte i tempi espressamente previsti dal codice civile per le pubblicazioni, non ci si scontra con altri se non con quelli delle lunghe liste d’attesa per la chiesa o per la sala ricevimenti che più si desiderano. Ma quando la magia finisce, la poesia diventa prosa e la fiaba del “vissero felici e contenti” si trasforma nella cinematografica “guerra dei Roses”, è inevitabile rivolgersi Il presidente della Corte di Appello di Bari ai tribunali per chiudere tristemente un capitolo della prof. Vito Marino Caferra e sopra la copertipropria vita, inciampando così nei famigerati tempi della na della relazione tenuta all’inaugurazione giustizia italiana. dell’Anno giudiziario. Accanto, uno scorcio Strano a dirsi ma, stando ai dati presentati dal Presidell’esterno del Palazzo di Giustizia di Piazza dente della Corte d’Appello prof. Vito Marino Caferra nel Enrico De Nicola (Foto di Antonio Pellegrino / Cromiae) corso della recente cerimonia di inaugurazione dell’Anno giudiziaquindici mesi per chiudere le giudidolente su cui si è soffermato critirio, la risposta da parte della giustiziali e due mesi per le consensuali. camente lo stesso presidente Caferzia barese alle coppie che decidono Volendo poi usare la lente di ingranra: nel nostro distretto occorrono la di separarsi sembra piuttosto celere. dimento su situazioni specifiche, media di 1.105 giorni per pervenire Nella relazione sull’Amministraziorisulta ad esempio che più della ad una sentenza di primo e di seconne della Giustizia (che si riferisce al metà delle richieste convergono do grado nel settore civile, contro il periodo 1 luglio 2008 - 30 giugno dinanzi al Tribunale di Bari. Pura dato ancora più grave dei 1.587 nel 2009), secondo gli indicatori percencoincidenza, a meno che qualcuno settore penale. Dunque il risultato tuali di variazione e di durata media non voglia leggere tra le righe di ottenuto in materia di separazioni e dei procedimenti di separazione e questo dato, puntando il dito contro divorzi resta un segnale confortante divorzio, iscritti nei tribunali del Diun circondario che sembra abbia di cui va dato atto, in risposta alle stretto della Corte d’Appello di Bari, abbandonato il senso della famiglia, continue istanze di accelerazione che comprende appunto i tribunali rincorrendo i “nuovi tempi”. Ma a della durata dei processi. del capoluogo di regione, di Foggia, fronte di siffatta domanda, ai giudici Certo, estendendo lo sguardo alla di Lucera e di Trani), il numero delle di Bari va comunque riconosciuto il situazione nazionale, secondo le elaprocedure di separazione personale merito di chiudere 2.176 procediborazioni dell’Ufficio statistico e del tra coniugi resta alto (2.377 i promenti sui complessivi 4.019 definiti Massimario della Corte di Cassaziocedimenti consensuali, 1.615 quelli nel distretto. E non è poco. Un’altra ne, in materia di separazioni giudigiudiziali), registrandosi peraltro un curiosità è che a Lucera basta meno ziali, i tempi più lunghi si registrano aumento del 9% rispetto al periodo di un mese per definire una separanei distretti di Cagliari (1217 giorni), 1 luglio - 30 giugno 2008. zione consensuale. Altro che fanalino Catanzaro (1015), Catania (970), Guardando dall’alto la situazione, di coda, verrebbe da dire. Roma (893), a fronte dei tempi più si rileva che proporzionalmente ad Il meccanismo si ripete in sede di brevi registrati nei distretti di Trento una domanda in costante crescita divorzi: aumentano quelli pervenuti (378), Trieste (469), Campobasso il numero dei procedimenti definiti (1.733, con un +4%), aumentano (518), Milano (521) con una durata non solo regge il passo, ma incalza quelli definiti (1.816, con un +21%), media di giacenza nei tribunali pari ad una velocità superiore, facendo diminuisce la durata media per defia 784 nelle Isole, 836 nel Sud, 816 registrare quota 4.019 rispetto ai nirli (468). nel Centro e 612 giorni nel Nord. In 3.565 dell’anno scorso, vale a dire La controtendenza emerge proprio questa classifica Bari viene collocata ben il 13% in più. Il che, tradotto in rispetto ai giorni richiesti per definial terzultimo posto con 976 giorni, termini temporali, significa in media re gli altri procedimenti civili, tasto seguita solo da Catanzaro e Cagliari. nelmese - 4/2010 - 21
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In materia di divorzi, invece, Bari risulta essere all’ultimo posto con 972 giorni, seguita a ruota da Messina (900), Roma (856), Salerno (842), a fronte dei tempi più brevi registrati nei distretti di Trento (376), Milano (482), Trieste (543), Brescia (557) con una durata media nelle Isole di 678, nel Sud di 693, nel Centro di 781, nel Nord di 571 giorni. Il ruolo di “fanalino di coda” è destinato a starci stretto, alla luce soprattutto dei notevoli miglioramenti registrati nell’ultimo periodo, nonostante i quali continuiamo ad arrancare. Distaccandoci per un momento dalle fonti e dai dati, quello che conta e che è stato sottolineato nel discorso di apertura dell’anno giudiziario 2010 dal Primo Presidente della Corte di Cassazione, Vincenzo Carbone, è che “siffatte difformità, a parità di regole processuali e ordinamentali, sono inaccettabili e impongono misure adeguate, in grado di riequilibrare le disuguaglianze. Forse, più che cercare soluzioni nell’ennesima novella (…) occorrerebbe costruire modelli flessibili, che possano adattarsi alle diverse esigenze del territorio (…) Il ‘modello culturale’ della legge n. 42 del 2009, sul federalismo fiscale, più volte riconosciuto dal Capo dello Stato, potrebbe indurre a pensare di adottarlo – con gli opportuni adattamenti – non soltanto per le Regioni, ma anche per gli uffici giudiziari statali”. All’orizzonte, quindi, si è intravista una prospettiva nuova nella gestione dei procedimenti, che incuriosisce ma che al tempo stesso si inserisce in un’anomalia tutta italiana, con radici più profonde. E’ pur vero che da sempre l’esperienza della separazione e del divorzio è particolarmente diffusa nel settentrione, considerato che i tre quarti dei separati o divorziati italiani vivono nelle regioni del Centro-Nord. D’altra parte, però, sono i tribunali centro-meridionali ad occupare gli ultimi posti delle classifiche in materia. Non ci resta che affidarci al sano ottimismo delle parole conclusive del Presidente Carbone: “La stella polare è una sola: quella del cittadino, per cui il servizio-Giustizia vive. Come dice un noto proverbio dell’estremo Oriente, anche un viaggio di diecimila leghe inizia con un semplice passo. E quel passo (e forse più d’uno), in questo triennio, è stato compiuto, affinché si possa davvero meritare la rinnovata fiducia dei cittadini e il rispetto per questo servizio essenziale, che si amministra nell’interesse del Paese e in nome di tutto il popolo italiano”. Alzi la mano chi voglia contestargli queste buone intenzioni.
COSA E’ CAMBIATO IN 10 ANNI Le rilevazioni ISTAT del 2000 registravano 71.969 separazioni e 37.573 divorzi, con un aumento del 12.82% delle separazioni rispetto al 1998 e del 37.5% rispetto al 1995. L’86.4% dei casi coincideva con una separazione consensuale, mentre il restante 13.6% si rimetteva alla decisione giudiziale. Il 69.3% delle coppie presentavano una domanda congiunta di divorzio, non solo per i costi più contenuti, ma anche per la minore durata dei relativi procedimenti: la media di 135 giorni per i procedimenti consensuali, contro i 1.085 giorni per la separazione giudiziale e i 631 per il divorzio con rito contenzioso. Nel 2000, la durata media del matrimonio risultava pari a 13 anni al momento della richiesta di separazione; circa il 21% delle istanze di separazione proveniva da coniugi sposati da meno di cinque anni. Nel 2002 si è registrato un aumento rispettivamente del 4,9% e 4,5% rispetto all’anno precedente: le separazioni sono state 79.64 e i divorzi 41.835. Quella consensuale la tipologia di procedimento più comunemente scelta dai coniugi: nel 2002 si sono chiuse consensualmente circa l’87% delle separazioni e il 78% dei divorzi. Un procedimento consensuale di separazione e divorzio si è esaurito mediamente in circa 130 giorni, mentre con il rito contenzioso sono trascorsi in media 998 giorni per una sentenza di separazione e 660 per quella di divorzio. La durata media del matrimonio è stata di 13 anni al momento dell’avvio del procedimento di separazione. Una separazione su quattro, tuttavia, ha riguardato matrimoni di durata inferiore ai 6 anni e il 26,3% dei divorzi pronunciati nel 2002 si riferiva a matrimoni celebrati da meno di 10 anni. La propensione a ricorrere a separazione e divorzio è stata più alta al Nord che non nel Mezzogiorno: se nel 2002 si rilevano al Nord 6,3 separazioni e 3,7 divorzi ogni 1.000 coppie coniugate, al Sud si registrano 3,7 separazioni e 1,6 divorzi. Guardando le singole regioni, i valori massimi si sono raggiunti in Valle d’Aosta (8,7 separazioni e 5,9 divorzi ogni 1.000 coppie coniugate) e in Lombardia (6,4 separazioni e 3,5 divorzi); i valori più bassi, invece, in Basilicata (1,3 separazioni e 1 divorzio) e Calabria (2,6 separazioni e 1,2 divorzi). Le coppie del Nord sono ricorsi al rito consen-
suale più frequentemente di quelle residenti nell’Italia meridionale: le prime nell’89,7% delle separazioni e nell’80,7% dei divorzi, mentre le seconde rispettivamente nel 77,8% e 66,9% delle cause. Nel 2007 si sono raggiunte complessivamente le quote di 81.359 separazioni (+1,2% rispetto al 2006) e 50.669 divorzi (+2,3%). La durata media dei matrimoni è stata pari a 14 anni per quelli conclusi in separazione e a 17 anni per le unioni coniugali terminate con la sentenza di divorzio. Permane la diversa incidenza tra le regioni del Mezzogiorno (10,5 separazioni e 5,3 divorzi ogni (10.000 abitanti) e il Nord Italia (Valle d’Aosta e Liguria detengono il triste primato rispettivamente con 21,9 separazioni e 14,9 divorzi da una parte, e 19,3 separazioni e 13,2 divorzi dall’altra ogni 10.000 abitanti). In materia di separazioni si rilevano decrementi elevati in Friuli-Venezia Giulia (-2,8%) e in Piemonte (-2%), mentre i divorzi diminuiscono più o meno in tutte le regioni, tranne Umbria e Lazio.
UNO SGUARDO ALL’EUROPA A parte Malta, dove addirittura il divorzio non è legislativamente previsto, l’Italia e l’Irlanda sono i Paesi europei con il minor numero di divorzi. L’incidenza del fenomeno in Italia è minima rispetto ai livelli di molte nazioni europee centro-settentrionali: il tasso di divorzio nel 2007 è stato pari allo 0,8 ogni 1000 abitanti, ben al di sotto della media europea, che è di 2 divorzi ogni 1000 abitanti. Tuttavia non è ininfluente la circostanza per cui prevalentemente in Europa la volontà dei coniugi di interrompere la convivenza è quasi contestuale allo scioglimento del matrimonio. Mentre nel nostro Paese il divorzio richiede prima almeno tre ponderati anni di separazione legale. Nell’intervallo 2003-2005 il numero dei divorzi era salito dell’11,1% a livello europeo, registrando poi una battuta di arresto tra il 2005 e il 2007 (da 2 a 1,5 per 1000 abitanti). Ma ovviamente le dinamiche interne all’Unione sono diversificate: i valori in Italia, Spagna, Portogallo e nei Paesi dell’Est sono in costante crescita, mentre in Germania e Regno Unito si assiste ad un decremento; Francia e Grecia, dopo una lieve diminuzione, recentemente hanno invertito anche loro la tendenza positiva.
GIOV. DIMIC.
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LIBERA UNIVERSITA’ DEL MEDITERRANEO “JEAN MONNET”
Lum, missione futuro E’ il ruolo che svolge la Libera Università del Mediterraneo “Jean Monnet” ribadito dal rettore Emanuele Degennaro all’inaugurazione dell’Anno accademico 2009-2010, confortato da un lusinghiero bilancio e da un’intensa programmazione. Tra le vie da seguire: innovazione, ricerca e internazionalizzazione. Presenti la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Renato Schifani, e i Rettori delle Università pubbliche pugliesi. Il recupero dell’etica il tema centrale della prolusione del prof. De Nardis, docente di Filosofia del Diritto della stessa Lum
DI ALESSIO REGA
L
a presenza di un’alta carica dello Stato come il presidente del Senato Renato Schifani, quella rinnovata dei Rettori delle Università pubbliche pugliesi, insieme alla documentata collocazione lavorativa in tempi relativamente brevi dei suoi studenti (l’80 % dei laureati nel corso di un anno)
Il prof. Emanuele Degennaro rettore della Lum (Libera Università del Mediterraneo “Jean Monnet”)
sono tre elementi che consolidano e rinnovano il prestigio che la Lum, la Libera Università del Mediterraneo “Jean Monnet”, ha saputo conquistare, con tenacia e professionalità, nel corso degli anni. Nata nel 1995 da una geniale intuizione del compianto senatore Giuseppe
Degennaro, il cui sogno era quello di formare, attraverso un’istituzione dinamica e moderna, una classe dirigente più competente, più autorevole e più responsabile in grado di rilanciare le sorti del Mezzogiorno e affrontare con coraggio le sfide della globalizzazione, la Lum sin dalla sua fondazione
Da sinistra, i rettori dell’Università di Bari Corrado Petrocelli e dell’Università di Foggia Giuliano Volpe; il rappresentante del Rettore di Lecce Vito D’Attoma e il rettore del Politecnico di Bari Nicola Costantino nelmese - 4/2010 - 24
Nell’Aula Magna della sede della Lum nel complesso Baricentro di Casamassima mentre parla il rettore Degennaro. Sotto, uno scorcio dei partecipanti alla cerimonia di inaugurazione dell’Anno accademico
Il presidente del Senato Renato Schifani. Accanto, il compianto Giuseppe Degennaro, ideatore della Lum, del Centro commerciale Il Baricentro, dell’Interporto Regionale della Puglia e del Barialto Golf Club si è contraddistinta per la scelta di un percorso formativo e di una programmazione didattica fortemente orientati all’innovazione, alla fruibilità e alla qualità dei corsi. La selezione, già nella fase di avvio, di docenti tra noti e prestigiosi professori italiani e stranieri è la testimonianza concreta di tale orientamento. IL BILANCIO DEL RETTORE EMANUELE DEGENNARO L’orgoglio per gli obiettivi sin qui ottenuti e per le prospettive future è stato espresso, con rinnovato entusiasmo, dal rettore dell’Università, il prof. Emanuele Degennaro, che nel suo discorso di inaugurazione dell’Anno accademico 2009-2010, tenuto nella gremita Aula Magna della sede di Casamassima alla presenza di esponenti della politica nazionale e locale, ha sottolineato il progressivo sviluppo della Lum e al tempo
stesso “la conferma ulteriore della bontà di quella primigenia intuizione che mio padre ebbe nel voler fondare questa Università, e la sua volontà e tenacia nel realizzarla, nonostante lo scetticismo di tanti”. Un coraggio, questo, che è stato premiato dal costante e significativo aumento del numero degli iscritti, di quegli studenti che sono la vera forza di un’istituzione accademica, un segno tangibile quindi del riconosciuto valore di una università che ha saputo trasformarsi in un centro vitale di cultura e formazione per le giovani generazioni. Degennaro ha poi fatto il punto della situazione con il bilancio dei risultati conseguiti, tracciando le linee guida dell’impegno formativo della Lum sempre basato su alcuni elementi fondamentali. Tra questi vi sono il continuo aggiornamento dell’offerta didattica, l’innovazione della metodologia di
insegnamento, la creazione di canali privilegiati di incontro tra il mondo accademico e il mondo del lavoro e infine la proiezione internazionale, con uno sguardo attento alle dinamiche riguardanti nello specifico l’Unione Europea. A tal proposito Degennaro ha ricordato l’istituzione da parte della Lum della “Settimana Europea”, un’occasione annuale di incontro per discutere sui temi dell’integrazione e dello sviluppo internazionale. IL LEGAME CON IL TERRITORIO ED IL MONDO DEL LAVORO Per questa sua vocazione la Libera Università del Mediterraneo si configura, quindi, per usare le parole del suo Rettore come “un centro di cultura, di alta formazione in legame costante con il territorio, che aspira ad essere protagonista all’interno delle dinamiche della nostra società”. Parole che non sono nelmese - 4/2010 - 25
Paolo De Nardis e accanto cordiale stretta di mano tra il presidente del Senato Renato Schifani e il rettore della Lum Emanuele Degennaro; al centro il rettore del Politecnico Nicola Costantino una mera manifestazione di intenti in quanto trovano piena concretizzazione nell’operato quotidiano dell’Università. A dimostrazione di questo costante impegno possono essere citate da un lato la partecipazione alla costituenda “Fondazione per il sostegno al sistema universitario meridionale” e dall’altro la recente sottoscrizione di un accordo quadro con la Confapi nazionale, la confederazione della piccola e media industria italiana. Una collaborazione quest’ultima che permetterà agli studenti della Lum di confrontarsi più da vicino con il mondo del lavoro attraverso progetti e azioni sinergiche volte a favorire lo sviluppo di nuove e qualificate professionalità basate su un alto contenuto di conoscenza. UN’OFFERTA DIDATTICA AMPIA ED ARTICOLATA Indispensabile per la formazione di una nuova classe dirigente competente e in grado di affrontare le complesse
problematiche dell’universo lavorativo è la via della specializzazione settoriale. Accanto ai corsi di laurea magistrale e specialistica canonici del settore giuridico ed economico, il rettore Degennaro ha ricordato la creazione di un’ampia serie di master post-universitari capaci di offrire agli studenti un’ulteriore ed accurata preparazione in settori strategici dell’economia. Tra questi vi sono: il master in “Imprenditorialità e General Management” creato in sinergia con la Confapi nazionale, la Confederazione delle piccole e medie imprese, il master in “Management dei Trasporti e della Logistica” e il master in “Retail e Marketing Management” istituito con la collaborazione della Confcommercio. Inoltre, una menzione a parte la merita la Scuola per le Professioni Legali, istituita nel Comune di Gioia del Colle, in provincia di Bari, che prevede nel suo percorso di studi uno stage, per 13 studenti, presso la Corte Suprema di Cassazione. Fondamentale per la
realizzazione di questa iniziativa è stato, come sottolineato da Degennaro, il fattivo impegno del preside della Facoltà di Giurisprudenza, il prof. Roberto Martino, e del direttore della Scuola, il prof. Antonio Barone. L’impegno della Lum, ha concluso infine Degennaro, è un impegno di più ampio respiro, che non si limita ai soli settori della giurisprudenza e dell’economia. In campo artistico e culturale, per esempio, un lusinghiero successo è stato riscosso dal “Premio Lum per l’Arte Contemporanea”, la rassegna biennale nata per promuovere e diffondere nel territorio la cultura artistica. Tante iniziative e tante proposte, quindi, che hanno come obiettivo prioritario quello di formare gli uomini e le donne di domani, prima ancora che dei professionisti, esaudendo l’ardente desiderio vitale di conoscenza e trasmettendo quell’eredità morale in grado di guidare coscientemente l’agire sociale.
prosegue a pag. 31
Da sinistra, il prorettore della Lum Mario Nuzzo, i presidi Antonello Garzoni (Economia) e Roberto Martino (Giurisprudenza) (ph. Timeline Multimedia di Enzo Canta) nelmese - 4/2010 - 26
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LIBRERIE & LIBRI / STORIA
Anche dal Sud contributi al Risorgimento
Presentato l’ultimo lavoro dello storico Lucio Villari “Bella e Perduta”, edito da Laterza. All’incontro presso la libreria di Via Sparano, l’autore ha spiegato l’intento dell’opera e, sollecitato dal prof. Vito Antonio Leuzzi e Felice Blasi, ne ha approfondito alcuni aspetti.
I
n contrasto con i tentativi di denigrazione del Risorgimento avanzati negli ultimi tempi o con una sua visione prettamente nostalgica come di cosa da riporre nel baule dei ricordi, l’ultimo lavoro di Lucio Villari “Bella e Perduta”, sottotitolo “L’Italia del Risorgimento” (Edizioni Laterza, pagg.345. E.18) ci dà un quadro quanto mai vivo di un’epoca in cui è possibile trovare le radici del moderno Stato italiano e i motivi del nostro stare insieme. Cominciamo dal titolo, “Bella e Perduta”, che evoca il “Va pensiero” del Nabucco, a sottolineare il legame della storia del Risorgimento italiano con il melodramma verdiano come con tutta la produzione letteraria del tempo, ricca di slanci ideali. Mai come in quel periodo infatti vita e opere, nella politica e nell’arte, si fusero così bene e procedettero all’unisono. E quella musica sembra accompagnare in sottofondo tutta la narrazione della storia del nostro Risorgimento e darle una leggerezza che è difficile riscontrare in un testo di storia. A questo certamente contribuisce l’inserimento di rime, aneddoti,
LUCIO VILLARI nelmese - 4/2010 - 28
DI MARISA DI BELLO discorsi, documenti ufficiali e privati, di letterati e politici, che vivacizzano il libro e ne rendono sommamente gradevole la lettura. Un’Italia giovane, ricca di energie e di entusiasmi quella che ne viene fuori. E che non si tratti di un’evocazione nostalgica (e se nostalgia c’è è per la mancanza di quegli ideali nel tempo presente) lo chiarisce l’autore stesso fin dalle prime righe della premessa: “Non una voce stanca e nostalgica, ma quella di un giovane, allegro e lievemente incantato, dovrebbe raccontare le avventure e gli avvenimenti che hanno portato al risorgimento dell’Italia. La favola bella di un tempo non lontano, quando i protagonisti erano quasi tutti giovani, come i personaggi appassionati e avventurosi di Ariosto, Tasso…”. Villari, quindi, in polemica con chi denigra oggi quel passato, lo attualizza, sottolineandone la carica ideale e la giovinezza dei protagonisti per cui maggiore si fa il contrasto con l’attuale mancanza di ideali e di ricambio generazionale nella
VITO ANTONIO LEUZZI
FELICE BLASI
vita politica dei nostri giorni. Al contrario, giovani erano i protagonisti di quell’epoca. Giovane era Napoleone Bonaparte, quando a 27 anni, per la prima volta varcò le Alpi. Periodo importante quello caratterizzato dalla sua egemonia, che pose le premesse di un cambiamento in senso liberale dell’Italia. “Il regime costituito da Napoleone - scrive infatti Villari - ha messo alla prova non soltanto gli strumenti di uno Stato borghese (con numerose riforme amministrative, finanziarie, economiche, culturali), ma ha fissato i principi giuridici di quello che sarà lo Stato liberale: dalla definizione dei rapporti tra Stato e Chiesa alla dilatazione del principio liberale di rappresentanza a tutti i livelli del potere, dal Parlamento al sindaco del più piccolo comune”. E giovani erano tutti gli altri patrioti, quelli che animarono i moti carbonari e mazziniani. Giovani erano Goffredo Mameli, Ciro Menotti, i fratelli Bandiera, i Mille di Garibaldi. Un grande set di eroici furori bellici questo Risorgimento così come viene raccon-
MARIA LATERZA
tato, che culminerà con la guerra voluta da Cavour, unico freddo e lungimirante politico che arriverà alla fine a comporre ordinatamente l’ordito della storia. E se il suo conservatorismo contrastò la proposta di legge sull’imposta progressiva, alla sua visione liberale e laica si deve la convinzione di Roma capitale e della rinuncia al potere temporale da parte del Papato. E a quanti temevano che questo potesse far perdere al Pontefice “dignità e indipendenza” opponeva che “la storia di tutti i secoli, come di tutte le contrade, ci dimostra che ovunque il potere civile e il potere religioso sono stati riuniti in una sola mano, ovunque questa riunione ebbe luogo, la civiltà quasi sempre immediatamente cessò di progredire”. Dove invece la separazione tra i due poteri sia stata operata “l’indipendenza del Papato sarà su un terreno ben più solido che non sia al presente… Non solo la sua indipendenza verrà meglio assicurata, ma la sua autorità diverrà più efficace perché non più vincolata dai molteplici Concordati”. E’ quanto affermava nel discorso alla Camera del 25-27 marzo del 1861, indicando la strada da seguire, quasi testamento spirituale del grande statista che di lì a poco sarebbe morto. Un appello a comporre diplomaticamente le questioni ancora aperte, che non fu seguito. Una lotta per la libertà quella narrata da Villari, che si sviluppa dal 1796 al 1870 e realizza il sogno di una patria indipendente e unita sotto il profilo
storico e culturale per un popolo che da secoli era separato. “Bella e Perduta”, un libro di emozioni risorgimentali e di temi veri senza retorica agiografica l’ha definito l’autore presentandolo alla libreria Laterza, in un incontro introdotto da Maria Laterza, cui hanno partecipato il prof. Vito Antonio Leuzzi e Felice Blasi che ne hanno approfondito alcuni aspetti e sollecitato chiarimenti. “Il Risorgimento stava diventando materiale archeologico anche se per me era materiale vivente, essendo oggetto del mio studio e del mio insegnamento - ha detto Villari - per cui ho voluto fare un’operazione di giornalismo storiografico, analizzandolo con distacco e valutando pregi e difetti”. E alla domanda di Blasi sull’effettiva partecipazione attiva del Mezzogiorno in questo grande cambiamento politico, Villari ha tenuto a sottolineare come quella pagina così importante della storia italiana non sia stata scritta solo da pochi eroi e da intellettuali, ma è stata opera di larghe fasce della popolazione, compresa quella meridionale, come dimostra il consenso e il seguito che i Mille di Garibaldi trovarono sbarcando in Sicilia. Gli intellettuali del Sud, infatti, guardavano già da tempo al Regno di Sardegna come alla culla d’Italia dove la libertà si stava realizzando e più di duecentomila meridionali avevano chiesto asilo politico all’Italia liberale. A conferma del coinvolgimento attivo del Mezzogiorno, il prof.
Leuzzi ha ricordato i due fratelli Felice e Gerolamo Nisio, quest’ultimo primo preside a Bari di un liceo laico della nuova Italia, diventati entrambi punto di riferimento di quella fabbrica culturale della regione che fu il Seminario di Molfetta da cui uscirono molti grandi intellettuali di rilievo nazionale, tra cui Gaetano Salvemini. Gerolamo Nisio infatti individuò già nel nome il cambiamento, intitolando l’ex istituto dei Gesuiti a Domenico Cirillo, medico e scienziato napoletano e introducendo per la prima volta in città la cultura scientifica e le idee di pensatori come Cattaneo. Perciò il libro di Villari, ha concluso Leuzzi, è un manuale che mentre ha il merito di riportare alla luce episodi del Risorgimento che erano rimasti frammentari, stimola alla ricerca per recuperare questi altri aspetti della storia nazionale. Il Mezzogiorno, ha poi ribadito Villari, riprendendo il ruolo del Sud, fu soggetto attivo del processo risorgimentale, tanto che è possibile rinvenirne le radici proprio nella Repubblica Partenopea del ’99. Un periodo, quello tra il 1796 al 1870, che unì in un’unica volontà un popolo che anelava alle riforme politiche, sociali ed economiche. Qualcosa che si ripeterà quasi un secolo dopo, quando bisognerà liberare l’Italia dal fascismo e dall’occupazione tedesca. Foto Vito Signorile
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LIBRERIE & LIBRI
Dietro la grata
Il romanzo “La badessa di San Giuliano” edito da Besa narra una travolgente e infelice storia d’amore che si innesta in un intreccio di vicende realmente verificatesi agli inizi del secolo scorso in un convento del Sud, che portarono alla sua chiusura. I condizionamenti culturali e ambientali che all’epoca hanno impedito alle donne la scelta del proprio destino
“I
l mondo intero non è che un ammasso di chiavi e una collezione di serrature”, ha scritto Michel Tournier. Come se la storia dell’umanità fosse ineluttabilmente segnata da sbarramenti e prigionie; ma anche dalla possibilità, e forse dal diritto, di trovare la chiave per un’affrancazione. Il romanzo “La badessa di San Giuliano” (Besa editrice, pag. 264 € 20) della giornalista e scrittrice, Marisa Di Bello racconta proprio di una vita prigioniera: quella di Suor Crocifissa, badessa del convento di San Giuliano. Religiosa per quella che aveva riconosciuto quale sincera vocazione, ma anche per la necessità di sfuggire ad una condizione familiare opprimente, questa giovane donna sensibile, colta e determinata vede la propria esistenza sconvolta dall’esplodere della passione per un
di Claudia Serrano nelmese - 4/2010 - 30
ricco proprietario terriero. Da quel momento niente è più lo stesso, ogni certezza crolla, ogni desiderio è frustrato, mentre gli avvenimenti, incalzanti, travolgono il convento di San Giuliano, dove gelosie e miserie umane, così poco consone ad un ambiente religioso, portano alla definitiva chiusura dell’istituto e alla secolarizzazione di molte suore. In questo romanzo, inquadrato tra Puglia e Basilicata agli inizi del secolo scorso, e che si snoda tra fantasia e storia (esso infatti prende spunto da vicende realmente accadute e attestate dalla documentazione consultata dall’autrice), la vita di Suor Crocifissa, prigioniera di una scelta divenuta soffocante e di un ambiente gretto e arretrato, si fa emblema della vita di tutte quelle donne alle quali, in un passato non troppo lontano, è stato negato il diritto di disporre della propria esistenza. E’ stata proprio la consapevolezza di questa realtà ad ispirare il romanzo, come scrive Marisa Di Bello nella Prefazione, aggiungendo che “il danno che ne è derivato non ha soltanto derubato del proprio futuro tante singole vite, ma ha sottratto alla società energie e creativi-
tà, contributi essenziali al suo sviluppo, soprattutto al Sud che più di altre zone d’Italia aveva necessità di crescere”. In una terra descritta con grande capacità evocativa nella sua forza primitiva e selvaggia, scavata dall’arsura e dai calanchi, segnata dalla violenza di una natura impietosa e fissa nella sua immobilità, si snoda in modo avvincente il doloroso percorso di Suor Crocifissa. Ma prima e fondamentale questione è: chi è Suor Crocifissa? Una figlia sottomessa, una donna, una religiosa? È, sin dal titolo del romanzo, la badessa di San Giuliano: un’etichetta che la definisce come religiosa autorevole, colonna portante di un’istituzione che ella guida e definisce con dedizione, ma che al tempo stesso definisce la sua esistenza, imbrigliandola tra doveri e responsabilità che esigono l’annullamento totale della sua identità di donna. È Suor Crocifissa, la monaca che ha scelto per sé un nome emblematico della sua condizione di vittima. Ma, sotto l’abito da religiosa, è anche Lucrezia, la donna appassionata, che ama disperatamente facendo totale dono di sé e che, nella sua umana
L’AUTRICE
segue da pag. 26 IL RECUPERO DELLA RESPONSABILITA’ SOCIALE
“Lei non era stata mandata lì dalla famiglia, nè l’avevano spinta delusioni amorose o l’impossibilità di un matrimonio adeguato alla sua condizione sociale. Era stata una scelta, la sua, nata spontanea e ritenuta giusta finchè non era successo l’irreparabile e quel sentimento forte, incoercibile, non si era impossessato del suo cuore e dei suoi pensieri, travolgendo certezze fino a quel momento incrollabili” fragilità, riconosce il proprio bisogno, insopprimibile, di amare. Tra tutte queste etichette, sotto questa sovrabbondanza di soffocanti definizioni, l’identità della protagonista perde la possibilità di una fisionomia netta e di lei non restano che frammenti. Nella molteplicità di attributi, Lucrezia vede la propria identità come qualcosa di precario, sgretolato, definito dagli altri e che non riesce ad unire nell’immagine compatta di un sé consapevole. La stessa visione della vita appare, lungo tutto il romanzo, divisa, come se ci fosse una continua antitesi tra interno ed esterno: tra la vita percepita e vissuta tra le mura dell’angusto convento, dove ogni piccolezza si dilata assumendo dimensioni gigantesche, e quella vissuta all’esterno, in un ambiente certamente gretto e accecato dai pregiudizi, in cui l’uomo è un “animale che la miseria condannava a vivere nei bassi, insieme alle galline e ai maiali, garanzia di fame scongiurata”, ma dove, nella vastità degli orizzonti, fatti e sentimenti possono finalmente ritrovare le loro dimensioni. E, difatti, solo il confronto con questa realtà esterna permette a Lucrezia di completare il suo
percorso di vita e di conquistare, a conclusione del romanzo, la consapevolezza del proprio destino. Ecco perché benché Lucrezia sia stata privata della possibilità di vivere con l’uomo che ama e da cui è corrisposta e benché defraudata in modo ingiusto e meschino dell’impegno di educatrice che ha dato un senso ai suoi giorni, la sua esistenza non ha il sapore di un fallimento totale. Purtroppo non per tutte le donne private della loro vita, religiose e non, di ieri e di oggi, c’è stata e c’è possibilità di riscatto: esse sono diventate terra di cui l’uomo si è appropriato, e la cui storia è quella di un corpo recintato all’interno di una proprietà e invalidato da una tutela. La vita di queste donne, simboleggiate da Suor Crocifissa, non può che essere la storia di un’espropriazione. Almeno fino a quando non arriveranno ovunque quelle che, a proposito di evoluzione femminile, Thomas Mann definì “importanti, indistruttibili, irreparabili, non più annullabili conquiste”. Il romanzo sarà presentato il 24 maggio alle ore 18 presso la Libreria Laterza in via Sparano a Bari.
A tal proposito si pone l’importanza dell’etica e del rispetto della legge, temi su cui si è soffermato anche il presidente del Senato Renato Schifani che ha messo in evidenza l’impellente necessità del recupero della cultura della responsabilità. “Occorre recuperare il senso dell’etica che significa trasparenza” ha affermato Schifani che ha sottolineato come l’azione dei pubblici poteri e dei privati cittadini debba fondarsi sul concetto profondo di legalità. Il presidente del Senato si è soffermato su un altro problema di stretta attualità come la corruzione, definita un tumore in grado di scardinare le fondamenta dello Stato e la sua stabilità attraverso comportamenti di disprezzo palese per la legalità. Pertanto, per evitare tali derive la scuola in primo luogo e l’Università poi devono continuare ad essere palestre di vita civile, prima ancora che sorgenti di sapere, in grado di esaltare la meritocrazia e la trasparenza. Questo spirito è lo stesso che ha animato anche Giuseppe Degennaro nel momento in cui ha saputo tramutare le sue idee in fatti, creando un’Università capace di garantire ai suoi studenti reali opportunità di crescita e promozione civile. “Degennaro - ha ricordato infatti Schifani – aveva un sogno: creare attraverso la Lum una classe dirigente in grado di generare quella innovazione e modernizzazione oltremodo necessarie al nostro Meridione”. VERSO UN NUOVO RISORGIMENTO Il richiamo all’etica è stato il filo conduttore anche della prolusione del prof. Paolo De Nardis, docente di Filosofia del diritto presso la Lum. Nel suo intervento “Etica pubblica e sistema sociale oggi in Italia”, De Nardis ha evidenziato il nesso indissolubile tra la libertà individuale e la fedeltà al patto sociale: gli uomini sono liberi nella misura in cui rispettano le leggi. L’etica pubblica consiste nel rispetto incondizionato delle istituzioni e delle loro funzioni. De Nardis ha infine rilevato come l’Italia, pur essendo stata una delle prime nazioni a riconoscere l’importanza della costituzione di uno stato laico, sia stata l’ultima ad averla raggiunta. “Ad un anno dal centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia non dobbiamo assolutamente dimenticare l’eredità lasciataci da chi ha avuto queste intuizioni al fine di maturare una rinnovata consapevolezza del nostro essere Nazione”. La sfida che ci attende, quindi, è quella di dar vita ad un nuovo Risorgimento. E le università, e nel caso specifico la Lum, devono essere il faro che indica la strada del cambiamento. nelmese - 4/2010 - 31
LIBRERIE & LIBRI / EDILIZIA
“Sfida potente” in periferia Un’altra preziosa ricerca a cura di Livia Semerari con contributi di Domenico Spinelli e Beppe Fragasso, su iniziativa del Formedil-Bari per la collana dedicata ai fenomeni legati allo sviluppo edilizio della città. Il volume realizzato da Adda Editore con fotografie di Nicola Amato e Sergio Leonardi
C’
è un’altra città nella città. Si chiama periferia: è più giovane dei centri storici e forse per questo appare spesso più problematica, enigmatica, meno inquadrabile. A Bari si espande oltre il fascio ferroviario nord-sud e lo accompagna fino alle propaggini estreme. Dall’altra parte il mare, altri orizzonti. Detto così, il quadro appare quasi romantico ma nella realtà è sotteso tutto un mondo complicato fatto di vite, persone, ingegno, progetti, opere, soluzioni. E’ storia, in una parola. In effetti è assimilabile proprio ad un libro di storia l’ultimo poderoso volume – oltre 500 pagine - della collana promossa dal Formedil-Bari dal titolo “La nuova edilizia a Bari: oltre il cerchio di ferro”, di Mario Adda Editore, con fotografie di Nicola Amato e Sergio Leonardi, che racconta sviluppo e creazione di nuova residenzialità, laddove un tempo c’era campagna o poco più. Il cerchio di ferro, per l’appunto, è costituito dalla morsa dei binari che separa i primi storici quartieri del capoluogo da quelli sorti, dal nulla, nel dopoguerra e via via caratterizzati da possente urbanizzazione. Una “sfida potente”, come giustamente la definisce nella prefazione l’ing. cav. lav. Michele Matarrese, presidente Formedil-Bari: “Gli uomini che costruiscono – scrive - devono dare maggiore valore ai loro manufatti perché essi devono supplire al quasi nulla”. Le dimensioni di questa sfida, affascinante e nel contempo irta di complicazioni e conseguenze, si manifestano in pieno nel lavoro portato a termine a cura di Livia Semerari, professore di Storia dell’Arte Contemporanea all’Universi-
DI ADRIANO CISARIO tà di Foggia, insieme a Domenico Spinelli, architetto e professore aggregato di Disegno dell’Architettura presso la I Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Bari e Beppe Fragasso, architetto, imprenditore edile, vice presidente della sezione edile di Confindustria Bari nonché membro del consiglio di amministrazione del Formedil Bari e dell’Ance Puglia. E’ un volume, quasi uno scrigno, che non dovrebbe mancare nelle biblioteche dei baresi perché, sebbene tendenzialmente tecnico – manna per gli architetti in erba - parla di noi, delle origini e dell’espansione del territorio che da anni attraversiamo, della sua trasformazione impetuosa, del rapporto tra città e campagna, di dove si era e dove si è, di sviluppo. Si ripercorrono decenni di storia e si spazia dai primi processi di urbanizzazione del Novecento al boom edilizio, con il capoluogo pugliese che diventa una delle città più popolate del secondo dopoguerra, fino al sorgere delle periferie urbane, al compimento della “metropoli”. Un excursus breve, a parole, un’enormità sotto l’aspetto sociologico. Le implicazioni a livello di identità di un siffatto percorso evolutivo le spiega dottamente Livia Semerari nel capitolo “Incerte periferie” che già nel titolo evidenzia la delicatezza della creazione e del vissuto dei nuovi quartieri, tra forzato distacco dal centro e perentoria urgenza di servizi, tra nuovi insediamenti umani e squilibrio edilizio. E dunque si parla
Il presidente del Formedil-Bari cav. lav. ing. Michele Matarrese, la prof. Livia Semerari, il prof. Domenico Spinelli, l’arch. Beppe Fragasso ed il direttore Formedil dott. Luigi Aprile (foto Vito Signorile) nelmese - 4/2010 - 32
Una suggestiva fotografia della nuova Piazza Giulio Cesare prospiciente il Policlinico con la sistemazione a verde sul parcheggio sotterraneo realizzato dalla DEC (Foto di Sergio Leonardi) della nascita dei quartieri Madonnella e Libertà prima, Carrassi e S. Pasquale poi, dell’elegante Poggiofranco; la presentazione del piano regolatore e di ampliamento della città del 1912, la Fiera del Levante, l’azione dell’Istituto Case Popolari. E ancora, l’attività degli ingegneri Mauro Amoroso, Michele De Vincentiis, Vittorio Chiaia, Alberto Bevilacqua Lanzise, i problemi posti dalle piene dei torrenti Lamasinata, Picone, Montone e Valenzano poi arginati dai “canaloni”, l’edificazione col sistema delle cooperative, il Cep nel 1956, il piano regolatore Calza-Bini-Piacentini con il problema condizionante – e ancora ne sappiamo qualcosa - del “nodo” ferroviario, il piano Quaroni del 1973, fino agli ultimi anni del XX secolo. “Nella crescita delle periferie – conclude la Semerari – le varie forme urbane si fondono l’una con l’altra, creando delle cinture che minano l’integrità della vecchia e della nuova città: una vasta area di vita è così rimossa dai vecchi assetti della comunità cittadina e consegnata ad un sistema sociale, territoriale al di fuori di essa”. Un’altra ragione valida per entrare in possesso di questo libro è la dovizia di efficaci fotografie, anche d’epoca, che lo arricchisce. Palazzi e assi viari di ogni quartiere sono ritratti da varie prospettive, spesso inedite, evidenziando i diversi stili costruttivi – retaggi di epoche diverse – e le realizzazioni di ieri e di oggi. Un po’ tutti potranno valutare il contesto nel quale abitano e i suoi prodromi. Non mancano schizzi, dettagli, foto aeree e satellitari, grafici. E’ un tributo alla maestrìa di ingegneri e architetti che hanno immaginato il
futuro e disegnato la città in cui viviamo in un impeto professionale e virtuoso che oggi è storia e memoria viva. Il racconto si mescola con la concretezza della realizzazione. Per la sezione “Testimonianze” è possibile leggere le vivide e dettagliate ricostruzioni degli stessi protagonisti di tanti progetti: ci sono le firme di Dino Borri, Arturo Cucciolla, Ottavio De Blasi e Associati, Giambattista De Tommasi, Fabio Fatiguso, Simonetta Lorusso, Angelo Majorano, Onofrio Mangini, Lorenzo Netti, Francesca Radina, Germano Sangirardi, Arcangelo Santamato, Gian Luigi Sylos Labini e Partners, Carlo Zaccaria. C’è poi, nel capitolo “Disegni e destini delle periferie di Bari – L’edilizia ai margini della città nel periodo 1970-2000”, di Domenico Spinelli, critica coscienziosa delle tappe evolutive dell’espansione davanti all’evidenza dei limiti scaturiti dalla marginalità delle periferie. Molto interessanti le dieci schede dedicate ai singoli quartieri che offrono un nuovo modo di studiare grandi porzioni di città, i Piani di Zona e infine la descrizione approfondita di un solo edificio. Da leggere e rileggere infine “La periferia: dalla marginalità alla qualità urbana” di Beppe Fragasso, testimonianza storica e romantica di un passato che, per esempio, affonda le sue radici in una Poggiofranco ancora collina dove ci si recava per curare la pertosse. Ancora una volta non manca la constatazione di un progresso che però travolge e stravolge i bisogni, addebitato ai “Cattivi Maestri delle nostre facoltà di architettura che teorizzavano e quindi
Una massa di cemento nella panoramica del Quartiere Carrassi con Viale Unità d’Italia e un altro esempio invece di edilizia residenziale con verde al Quartiere Japigia nelmese - 4/2010 - 33
EDILIZIA / FIERA DEL LEVANTE
L’edilizia cresce al Sud Nuova rassegna alla Fiera del Levante Arch. Onofrio Mangini, una serie di edifici per residenze e negozi in Corso Alcide De Gasperi
Al Quartiere San Paolo il nuovo e funzionale centro direzionale ordinavano che non avessero attività commerciali così che i lavoratori dei quartieri dormitorio non si integrassero con i bottegai svilendo la propria identità”. Ma ci sono anche le opere di Mario Sironi, i palazzi, le sedi istituzionali piacenti, una periferia che, sorta all’insegna dell’economicità ed esaurito l’obiettivo iniziale di dare nuovo ricovero a chi non l’aveva – prevalentemente braccia arrivate dalla campagna per sostenere lo sviluppo industriale della città – passa poi a reclamare a buona ragione il diritto ad una migliore qualità della vita. La possibilità c’è e vengono portati esempi di pianificazione a livello urbano che tengono presenti gli interessi delle diverse periferie (vedi Londra) o brillanti esempi di rigenerazione urbana e recupero periferie a Treviso, Ravenna, Ferrara. Questo libro va interpretato dunque come un “atlante delle principali emergenze edilizie delle periferie” ma anche come un concentrato di orgoglio e di speranza se riferito alle più recenti rivisitazioni della Città vecchia e del centro murattiano. “La periferia – conclude Fragasso – non è sempre un male a condizione che questa ritrovi lo spirito della comunità, protegga le piccole attività commerciali ed artigianali, i luoghi di aggregazione di culto e di educazione delle nuove generazioni. Tutto ciò lo meritano non solo gli abitanti delle periferie ma anche in piccolissima parte i progettisti e le imprese che le hanno costruite”. Riguarda tutti noi, la qualità delle nostre vite: è il caso allora di fare fronte comune in un portentoso afflato, insieme, di ingegnosa e sostenibile progettualità, di fratellanza e di tensione ad un futuro migliore da riservare alle prossime generazioni. nelmese - 4/2010 - 34
D
al 22 al 25 aprile 2010 a Bari è in programma la Biennale internazionale dell’edilizia “Costruire-Edil Levante”. la fiera dell’edilizia di riferimento per il Sud Italia, che ospiterà centinaia di aziende che vogliono essere attive nel Mezzogiorno. Il nuovo mercato dell’edilizia è infatti più vicino di quanto si pensi, è il Sud Italia, un’area che ha ancora spazio per la costruzione di grandi opere, infrastrutture e interventi di consolidamento. Sono progetti che possono trascinare l’economia edile italiana fuori dalla grande crisi che ha colpito l’edilizia nel 2009. “Costruire - secondo gli organizzatori Sergio e Nicola Ustignani - è l’occasione che le aziende che cercano prospettive di mercato aspettavano: una finestra su un mercato che ha ampi margini di crescita. Chi lavora al Sud passa da Costruire”. Tra venerdì 23 e sabato 24 sono previsti quattro convegni che si occuperanno dei progetti da portare avanti al Sud ma anche delle nuove direzioni sul mercato globale: • La nuova rotta dell’edilizia pubblica: “bolinare” verso la qualificazione. • Ad un anno dal sisma d’Abruzzo: considerazioni sui meccanismi di danno e sugli interventi di consolidamento. • Casa Kyoto per esistente: le dieci mosse della riqualificazione. • Eco-nomia del costruire: nuovi modi di (ri)costruire – gli aspetti ambientali sui rifiuti dell’attività edilizia.
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EDILIZIA / CONVEGNI
Il verde verticale
In un seminario si è inteso fornire una dettagliata panoramica sui nuovi sistemi tecnologici per l’edilizia messi a punto per far fronte alla necessità di migliorare le condizioni ambientali e la sensibilità nei confronti dei principi della sostenibilità, nonché di ridurre i consumi energetici. Professionisti e addetti ai lavori hanno avuto la possibilità di approfondire la conoscenza dei progetti e delle normative del verde verticale, interprete delle forme dell’architettura, materia per l’edificio e parte integrante del contesto urbano e paesaggistico. L’incontro è stato organizzato a Bari, nella sede di Confindustria, dall’Ance Bari e Barletta-Andria-Trani, dall’impresa de Grecis Exterior Designer, e dalla sezione di Bari dell’A.I.D.I.A. (Associazione Italiana Donne Ingegneri e Architetti).
“L’
uomo-cittadino chiede aiuto al verde per ritrovare, riscoprire, riavvicinarsi alla città”. E’ una valutazione di Giulio Guido Argan, critico d’arte ed ex-sindaco di Roma nel 1976, citata dalla prof. Anna Lambertini, architetto, paesaggista e docente dell’Università degli Studi di Firenze, nel suo intervento al convegno su “Il verde verticale, tecnologie innovative per il paesaggio urbano”. “Il verde venne visto, anni addietro, sotto un aspetto meramente esteriore”, ha detto l’ing. Vito Bellomo, presidente dell’Ance Bari e Bat. “Oggi, invece, vogliamo approfondire il tema in un’ottica diversa. Questa è l’occasione per esaminare un sistema, che contribuisce a rendere l’edificio, non soltanto più bello, sotto il profilo architettonico, ma anche più funzionale. Questo convegno dà la possibilità, attraverso tecnologie innovative, di
L’ING. VITO BELLOMO PRESIDENTE ANCE-BARI E SEZIONE EDILE CONFINDUSTRIA-BARI nelmese - 4/2010 - 36
Il parco di una villa privata nel complesso Parchitello a Torre a Mare realizzato dalla “de Grecis Exterior Designer” di Bitonto in provincia di Bari sviluppare interessanti riflessioni sul tema”. Anna Vella, presidente sezione di Bari dell’A.I.D.I.A., ha posto l’accento su come le tecnologie innovative tenderanno a migliorare la qualità della vita. “Gli industriali e i professionisti intendono promuovere un nuovo metodo, una nuova cultura con tecnologie innovative. In questa sede, cosi prestigiosa, tentiamo di mettere in atto una proficua intesa, sulla base di ulteriori ricerche tra le due associazioni”. La sua analisi, ad ampio raggio, parte dalla consapevolezza di una rinnovata sensibilità ambientale, contemplandone gli aspetti e le caratteristiche fondamentali. “La necessità di migliorare le condizioni ambientali, ridurre i consumi energetici, con un occhio particolare ai principi della sostenibilità, hanno portato alla messa a punto di nuovi sistemi tecnologici per l’edilizia. Il verde verticale è una tecnologia alternativa che però nel suo sviluppo e nella sua attuazione presenta diversi metodi, diventando parte integrante del contesto urbano e paesaggistico”. La ricerca di fonti alternative spinge ad esplorare tecnologie naturali che favoriscono una contrazione del dispendio energetico. “Non dimentichiamo - ha aggiunto Vella - l’aspetto funzionale della vegetazione che rende i nostri centri abitativi migliori dal punto di vista ambientale, specie nelle aree densamente edificate, attraverso diversi meccanismi che incidono sulle variazioni climatiche”. Il verde verticale, quindi, riflette sensazione di benessere. “Riduce l’inquinamento atmosferico ed acustico. Questa nuova tecnologia integrata con altri sistemi costruttivi può, comunque, essere utilizzata nella nostra architettura per il miglioramento del rendimento energetico dell’edificio”.
LA PROF. ANNA LAMBERTINI, ARCHITETTO E PAESAGGISTA DELLA UNIVERSITA’ DI FIRENZE
GIUSEPPE DE GRECIS
ANNA VELLA
VITO BELLOMO
DANIELE ROMARE
STEFANO FRAPOLI
Anna Vella ha ricordato anche che negli ultimi anni sono minare attentamente quello che la natura ci offre. Dobstate approvate diverse leggi statali e regionali che probiamo avere la capacità di rendere più vivibili le nostre muovono ed incentivano la sostenibilità ambientale ed il città. Trovare, quindi, le condizioni ideali per migliorare risparmio energetico nelle trasformazioni territoriali ed il rapporto tra verde e costruito. Oggi si assiste, quasi urbane. quotidianamente, al sacrificio del verde in favore delle Per Anna Lambertini, quindi, la definizione di verde costruzioni. Non si pensa, minimamente, di inserire, nel verticale deve essere letta come un dispositivo integrato, progetto di fattibilità, piante o quanto altro. Non solo a all’interno di quelle che sono i tradizionali strumenti, lefini estetici, ma per affermare la cultura del verde. Che gati alla costruzione della qualità dei nostri paesaggi. “La dovrebbe entrare anche nel contesto sociale”. definizione, quindi, fa riferimento al complesso di tecniSul piano commerciale bisogna sollecitare più decisi inche e soluzioni costruttive, finalizzate al rivestimento con vestimenti da parte dei privati. vegetazione di facciate di edifici e manufatti. Negli anni “E’ opportuno - ha aggiunto - che ci siano gli strumenNovanta si è avuto una sempre maggiore applicazione ti per premiare i privati che decidono di investire. Oggi d’uso. Provvedere alla diffusione di spazi aperti, di vegechi decide di realizzare il verde verticale, deve calcolare 500-600 euro a mq. Chiatazione e di risorse naturali ramente ci si augura che si nell’ambiente urbano costitupossano trovare soluzioni isce, dunque, una delle sfide per concretare un’econopiù importanti per le società mia di scala. Alla fine bisodel XXI secolo”. gna considerare che questi Dal canto suo Daniele Rointerventi, pur avendo costi mare, titolare dell’Azienda elevati, danno una marcia in Verdecrea con sede a Vicenpiù a tutte le costruzioni che za, ricorda di aver inventato si fanno”. e brevettato il concetto di Così ha concluso con un “Muro Vegetale”. “Il verde invito alle pubbliche amminiche sale - ha detto - porta strazioni. benefici nel nostro quotidia“Abbiamo bisogno di norno e nuovi valori per la quamative chiare e snelle. Che lità dell’ambiente. Pertanto i l’eccessiva burocrazia non si giardini verticali sono l’ultitraduca in un sistema rigido mo prodotto che propone un che invece di salvaguardare nuovo concetto dell’abitare, il nostro territorio, finisca valorizzandone l’aspetto con il determinarne l’abbanetico e sociale sia nei luoghi dono. E’ necessario puntare di lavoro sia in quelli abitatialla riqualificazione urbana. vi, privati e pubblici. Quindi E’ un punto fondamental’estetica del verde diventa le del nostro futuro sia dal fonte di benessere e di enerpunto di vista dei costruttori gia vitale. Significa fare rifeSOLO CEMENTO PER LA BARI MURATTIANA rimento al nostro ambiente, (Da “Bari - Istruzioni per l’uso” Adda Editore, sia per il recupero di ampi spazi di verde. Il centro a noi stessi e al benessere fotografia di N. Amato e S. Leonardi) murattiano di Bari non ha condiviso”. Quindi Stefano Frapoli, amministratore della cooperatipraticamente un mq di verde. Tutto è stato completava Poliflor, con sede a Faenza, ha affermato: “E’ un’espemente edificato. Se poi si aggiunge che l’applicabilità di rienza importante. Capire come le piante si comportano pareti verdi è molto difficile. Sui nostri stabili, l’inseriè stato determinante nello sviluppo del nostro sistema, mento del verde è complicato, in quanto, i prospetti non soprattutto in riferimento ai costi. Ne discende, quindi, presentano spazi idonei. Dobbiamo, quindi acquisire la per la necessità di automatizzare il tutto per costruire il consapevolezza che possiamo sviluppare una cultura amverde”. bientale del verde, pur vivendo in un ambiente che non è “Il mio intervento - chiarisce subito Giuseppe de Grecertamente consono al suo sviluppo”. cis, amministratore delegato de Grecis Exterior Designer Pensare ad un sistema di terrazzamenti, giardini vertica- vuole essere un contributo per stimolare la fantasia e li e pensili, coltivati con vegetazione lussureggiante, la la creatività dei professionisti in modo da individuare idocima di un tetto trattato come un giardino sospeso, è più nee soluzioni applicative per il nostro settore. In effetti di una suggestione progettuale? Gli studi di Ulrich (1983) noi non ci siamo dedicati nel passato a cercare di portare e di Kaplan, richiamati da Daniele Romare, ci dicono che il verde in altezza. Oggi possiamo tranquillamente porla presenza del verde in senso ampio, permette un recutare vasche di grandi dimensioni in alto nei nostri edifici. pero dallo stress e una riduzione della pressione arterioE’ un passo avanti che caratterizza un presente pieno di sa e della tensione muscolare. positive aspettative, dal punto di vista del marketing”. Si evidenzia così la relazione natura-città. “Bisogna esaTONINO ANCONA nelmese - 4/2010 - 37
CREDITO
BANCA POPOLARE DI PUGLIA E BASILICATA
A Gravina, all’assemblea ordinaria con 1300 soci presenti, approvato bilancio positivo del 2009. Aumento della raccolta e degli impieghi. Acquisiti altri sportelli e una nuova regione, il Piemonte. Interamente sottoscritto l’aumento di capitale di 46,7 milioni
L’ASSEMBLEA L’assemblea ordinaria della Banca Popolare di Puglia e Basilicata, con oltre 1.300 soci presenti, che hanno espresso circa 2.900 voti, ha deliberato favorevolmente sui numerosi argomenti all’ordine del giorno. Per primo ha approvato il “bilancio soddisfacente” tenuto conto del contesto di crisi dei mercati, contesto nel quale la Banca non ha fatto mancare la consueta assistenza non solo creditizia a famiglie e imprese, ha presidiato i fondamentali attraverso accantonamenti prudenziali e l’aumento del patrimonio, ha incrementato le masse amministrate e la rete territoriale, distribuendo ai propri soci un dividendo che presenta un rendimento netto di circa l’1,5%. Il presidente della Banca avv. Raffaele D’Ecclesiis, al termine ha dichiarato: “L’ampio consenso del corpo sociale su tutti gli argomenti all’ordine del giorno premia il lavoro sinergico dell’Amministrazione e della Direzione Generale e le scelte strategiche effettuate. In uno degli anni più difficili per il sistema finanziario mondiale e italiano aver presentato un bilancio positivo e poter distribuire ai nostri soci un dividendo di 0,16 euro per azione, è per noi motivo di soddisfazione e rafforza quel sentimento di attaccamento ai valori aziendali che da sempre contraddistingue la nostra compagine sociale e il personale”. Il bilancio approvato è consultabile sul sito internet della Banca all’indirizzo www.bancavirtuale.com.
RACCOLTE E IMPIEGHI La raccolta globale al 31 dicembre 2009 ha superato i 6,1 miliardi di euro (+15%). La raccolta diretta è aumentata nell’anno di oltre 455 milioni di euro (+14,1%). Gli impieghi totali hanno registrato un incremento del 18,4%, superando i 3,5 miliardi di euro. Si evidenzia che nel corso dell’anno è stata perfezionata un’operazione di cartolarizzazione di mutui in bonis per circa 430 milioni di euro. Il rapporto sofferenze nette/impieghi si è attestato al 2,07%. “L’utile netto di 8,02 milioni di euro può considerarsi un risultato soddisfacente in relazione al momento di gravissima crisi economica e finanziaria che stiamo vivendo” - ha commentato il presidente D’Ecclesiis. “Ritengo importante evidenziare come in un tale scenario la Banca,sia comunque riuscita a non far mancare il consueto sostegno economico a famiglie e imprese, abbia effettuato cospicui accantonamenti prudenziali, abbia ingrandito la propria rete territoriale e remuneri i propri soci con un dividendo che presenta un rendimento netto di circa l’1,5%”. Il patrimonio netto della Banca, incluso l’utile di esercizio, risulta pari a 327 milioni. Il patrimonio utile ai fini della vigilanza, calcolato secondo i
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Da sinistra, il presidente avv. Raffaele D’Ecclesiis e il direttore generale dott. Errico Ronzo. Accanto al titolo, l’esterno della sede centrale di Altamura nuovi principi generali della disciplina emanati dalla Banca d’Italia tenendo conto dei filtri prudenziali introdotti nella disciplina del patrimonio di vigilanza, presenta un indice di copertura rispetto alle attività di rischio ponderate ben al di sopra dei limiti minimi di Vigilanza. Il numero dei soci, al 31 dicembre 2009 è pari a 24.706. L’assetto proprietario disaggregato per regione di residenza documenta lo stretto legame esistente tra il corpo sociale e i territori in cui la Banca insiste. Il valore dell’azione in base al patrimonio netto è cresciuto passando da 9,69 a 9,81 euro; il dividendo proposto all’assemblea è di 0,16 euro per azione. “L’utile conseguito - afferma il direttore generale dott. Errico Ronzo – è senz’altro positivo considerata la difficile congiuntura economica e la dinamica dei tassi di interesse, prossimi allo zero, che ha determinato una marcata diminuzione del margine di interesse nonostante il significativo incremento delle masse intermediate e riflette un’evoluzione gestionale della Banca improntata all’equilibrato sviluppo dell’attività di intermediazione creditizia e al rigoroso presidio dei fondamentali”. Dal punto di vista economico il margine di intermediazione, pari a 148,1 milioni, nonostante la flessione del margine di interesse causata dalla compressione della forbice dei tassi, si attesta ad un livello di poco inferiore a quello del 2008. Il risultato netto della gestione finanziaria, al netto cioè delle rettifiche di valore, è pari a 124,1milioni di euro ed è stato influenzato dalla notevole crescita (oltre il 60%) delle rettifiche prudentemente operate a tutela della stabilità della Banca in questo particolare momento di crisi dell’economia. L’utile netto conseguito, risente altresì della rilevante incidenza dell’onere per imposte pari al 56% dell’utile lordo (36% nel 2008).
NUOVI SPORTELLI In data 28 settembre 2009, con efficacia 1° ottobre, è stato
sottoscritto il contratto di acquisto di 15 sportelli ceduti dal Gruppo Montepaschi dislocati in Piemonte, Lombardia e Lazio. Gli sportelli sono ubicati nelle province di Mantova, Vercelli, Biella e Roma. Nel dettaglio, sette sono gli sportelli in provincia di Mantova, quattro in provincia di Vercelli, due in provincia di Biella e due in provincia di Roma. Le filiali acquisite portano la Banca a presidiare una nuova regione, il Piemonte, e a rafforzare la propria rete in Lombardia e nel Lazio. Con i 15 sportelli acquisiti dal Montepaschi e l’apertura avvenuta nel corso dell’anno delle filiali di Rimini e Bassano del Grappa, la Banca conta 142 filiali in dodici regioni italiane. Oltre alle 79 filiali distribuite capillarmente in Puglia e Basilicata, la Banca opera con 27 filiali nell’Italia settentrionale in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli ed Emilia Romagna; 24 filiali sul versante tirrenico in Campania e Lazio; 12 filiali sulla dorsale adriatica in Molise, Abruzzo e Marche. A conclusione del Piano Sportelli 2006-2008, previsto per la prima metà del 2010, saranno operative ulteriori quattro nuove filiali che porteranno il totale della rete della Banca a 146.
AUMENTO DI CAPITALE La Banca Popolare di Puglia e Basilicata ha collocato interamente l’aumento di capitale. E’ stata infatti completamente sottoscritta l’offerta di nuove azioni ordinarie per un controvalore di circa 46,7 milioni di euro. Il prezzo di collocamento, pari a euro 8,80 per azione è stato considerato vantaggioso dai sottoscrittori in relazione al valore patrimoniale dell’azione e alla solidità dell’emittente. L’operazione si è pertanto conclusa con pieno successo con l’adesione di oltre 11.500 tra soci e possessori di obbligazioni convertibili. La domanda di nuove azioni ha superato l’offerta tanto da rendere necessarie le operazioni di riparto. “Sono molto soddisfatto del risultato ottenuto - commenta il presidente avv. Raffaele D’Ecclesiis - i nostri soci e obbligazionisti ancora una volta ci hanno dato fiducia, valore che è per noi il più forte stimolo a crescere ancora. Il rafforzamento patrimoniale infatti, consente alla Banca di sostenere adeguatamente il proprio sviluppo non solo dimensionale e di continuare a supportare l’economia reale dei territori serviti attraverso il sostegno finanziario alle imprese che vi operano”. “La piena adesione all’aumento di capitale - aggiunge il direttore generale dott. Errico Ronzo - in un momento di grande difficoltà per i mercati finanziari è motivo di grande soddisfazione perché consentirà di presidiare ulteriormente la stabilità e l’autonomia della Banca, di sfruttare le opportunità di crescita e di soste-
nere anche nei momenti difficili le famiglie e le imprese”. In proposito è importante ricordare quanto la Banca Popolare di Puglia e Basilicata si sia sviluppata in pochi anni sia in termini dimensionali sia dal punto di vista patrimoniale e reddituale. Inoltre per la prima metà del 2010, saranno operative ulteriori quattro nuove filiali a Civitavecchia, Ostuni, Castellammare di Stabia e San Donà di Piave che porteranno il totale della rete della Banca a 146. Mantenendo la propria autonomia e forte di una storia di 127 anni, la Popolare di Puglia e Basilicata è dunque riuscita a svilupparsi nel tempo in modo equilibrato. I soci hanno visto sempre accresciuto il valore delle proprie azioni e le aree servite hanno beneficiato di particolari ritorni sia in termini di supporto all’economia, sia di sostegno alle iniziative socio culturali e di volontariato del territorio.
IL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE L’assemblea ha deliberato il rinnovo di alcune cariche sociali: sono stati riconfermati amministratori il dott. Arturo D’Ayala Valva e il dott. Carlo Striccoli, ed è stato nominato consigliere l’avv. Alessandro Carbone. Il consiglio di amministrazione è pertanto così costituito: presidente avv. Raffaele D’Ecclesiis; vice presidenti dott. Michele Grippa e avv. Pasquale Caso; consiglieri, dott. Arturo D’Ayala Valva, avv. Alessandro Carbone, dott. Giuseppe Moramarco, rag. Michele Pennacchia, dott. Domenico Saraceno, dott. Vito Squicciarini dott. Carlo Striccoli e dott. Antonio Pasquale Tucci. Per il comitato esecutivo sono stati designati componenti, oltre al Presidente e ai due Vice Presidenti, i consiglieri D’Ayala Valva, Moramarco e Squicciarini. (g.d.)
Il tavolo della presidenza e uno scorcio del salone della Fiera di San Giorgio a Gravina durante l’assemblea ordinaria della Banca Popolare di Puglia e Basilicata nelmese - 4/2010 - 39
TURISMO / CAMERA DI COMMERCIO
Turismo a cavallo
Il presidente della Camera di Commercio di Bari Luigi Farace
Approvati dalla Giunta della Camera di Commercio di Bari progetti per ippovie di promozione anche agroalimentari e della razza murgese
L
e ippovie, itinerari turistici da percorrere a cavallo, come nuovo strumento di promozione e conoscenza del territorio barese, delle tipicità agroalimentari e di valorizzazione della razza murgese. E’ l’obiettivo di un progetto che verrà sostenuto dalla Camera di Commercio di Bari, approvato dalla giunta dell’ente che si è riunita nella innovativa forma delle giunte itineranti, presso l’azienda Tecnomec Engeneering a Grumo Appula. La giunta ha anche approvato un progetto per la promozione dei prodotti agroalimentari delle provincia di Bari a Cuba finalizzato ad aumentare la presenza degli stessi sul mercato cubano attraverso un piano di pubblicità e comunicazione, di commercializzazione presso ristoratori, stampa e opinion leader ed il trasferimento di buone pratiche di filiera. “Le giunte itineranti – spiega il presidente dell’ente Luigi Farace - servono a ribadire la presenza
capillare della Camera di Commercio sul territorio e a valorizzare le eccellenze produttive. La Tecnomec, un’azienda meccanica altamente innovativa che opera con successo anche nelle energie alternative, sorge in un territorio di grande tradizione storica, e pertanto custode di un patrimonio da valorizzare sempre di più in chiave turistica, adesso anche con le ippovie. Un tempo percorrere a cavallo dei cavalli murgesi i pietrosi tratturi che collegavano l’Alta Murgia e la Murgia dei Trulli era una
questione di necessità. Oggi può divenire un piacere. L’equiturismo si va affermando da qualche tempo e ha dato vita alle ippovie, itinerari attrezzati per la sosta dove il cavaliere e il cavallo possono trovare assistenza, ristoro e la possibilità di pernottare e che consentono così di intraprendere un viaggio a tappe di più giorni. Per questa ragione l’ente ha deciso di sostenerlo nella convinzione che tutte quelle iniziative che creano sistema intorno al prodotto terra di Bari, in una visione intersettoriale, vadano accolte e promosse, proprio per la loro capacità di fare sviluppo ad ampio raggio”.
La Giunta camerale in trasferta alla Tecnomec Engeneering Una recente riunione della Giunta della Camera di Commercio di Bari si è svolta a Gruppo Appula presso la Tecnomec Engeneering di Carlo Maria Martino che svolge attività di progettazione di impianti civili e industriali. L’azienda fornisce e prefabbrica tubazioni, materiali di carpenteria e caldareria, realizza sistemi di montaggio meccanici. Il tutto nel campo chimico, petrolchimico, petrolifero e della produzione di energia. Fra i suoi clienti conta il Gruppo Eni (Agip e Snam in particolare), la Tec Int, la General Electric (con il Nuovo Pignone), Enel, Ansaldo e lavora non solo in Italia, grazie a una serie di certificazioni che permettono alla Tecnomec di garantire un’elevata qualità nei servizi, anche in termini di sostenibilità ambientale. Europa, Russia, Arabia Saudita, Canada sono i mercati di riferimento. Fra le ultime commesse portate a compimento: due impianti di dissalazione interamente costruiti in Puglia e trasportati via mare e rimontati a Dubai e un intervento piuttosto corposo in Kazakistan. La Tecnomec ha due stabilimenti, uno a Grumo Appula e l’altro a Taranto, nell’area ex Belleli. Circa 500 dipendenti complessivi, tutti operai specializzati. nelmese - 4/2010 - 40
L’imprenditore Carlo Maria Martino
Lo stabilimento a Grumo Appula della Tecnomec
TURISMO / GUARDIAMOCI INTORNO Dopo l’ampio servizio dedicato nel numero di marzo al ruolo e all’attività del Castello Svevo di Bari, pubblichiamo una suggestiva carrellata sui dieci castelli operanti nella provincia di Bari e in quella parziale della Bat (Barletta, Andria, Trani) riproponendoci di completarla con altri manieri della zona
Castelli
i magnifici dieci
Otto anni fa al Bit, la prestigiosa Fiera del Turismo di Milano, fu presentato un depliant curato dall’Amministrazione provinciale di Bari con foto e notizie sui numerosi castelli carichi di storia e di arte che si riferivano, all’epoca, all’ambito della provincia barese. E’ nostro intento, come per i decenni trascorsi, proseguire a mettere in risalto il prezioso patrimonio di cui è dotata la Puglia che, non sono in molti a saperlo, è anche terra di castelli oltre che di cattedrali, marine, di grano, di vino e di olio. Molte antiche costruzioni di varie epoche e di varie dimensioni sono sparse in tutta la regione, all’interno e nei centri che si affacciano sull’Adriatico e sullo Ionio. In poche parole si tratta di un patrimonio che deve essere ben conservato e fruibile da sempre più pugliesi oltre che naturalmente dai turisti. Le fotografie del depliant sono del noto professionista Mimmo Guglielmi di Castellana
Le origini e le trasformazioni subite nel tempo L a splendida posizione geografica, al centro del Mediterraneo, ha fatto della Puglia il naturale ponte di collegamento tra Oriente ed Occidente, rappresentando il punto di arrivo di genti e civiltà diverse. Dopo la caduta dell’Impero Romano in questa terra si sono avvicendate varie dominazioni, lasciando tracce della propria presenza ancora oggi riscontrabili visitando piccoli e grandi centri, alla scoperta dei borghi antichi sviluppatisi sotto la protezione di torri e castelli. I Bizantini, che per ben due volte hanno regnato in questa terra, utilizzarono un sistema difensivo fondato essenzialmente sulle città fortificate e sulla costruzione di fortificazioni situate ai margini della città, come accadde a Bari con il Palazzo del Catapano ubicato ai confini di Nord-Ovest della città. Furono i Normanni a dare vita ad un sistema di difesa più articolato, perché la situazione politica richiedeva maggiore attenzione agli attacchi nemici, provenienti da più fronti. I primi castelli furono costruiti durante il dominio normanno, nel XII secolo. Si tratta di costruzioni realizzate con uno scopo essenzialmente militare, adatte ad ospitare solo la guarnigione dei soldati, costituite da un recinto quadrangolare con torri negli angoli e al centro dei lati. Su questo reticolo di castelli si inserì l’ope-
ra di Federico II di Svevia che, oltre a costruire nuovi edifici, spesso riutilizzò il sistema difensivo normanno, trasformando le severe costruzioni militari in regali dimore, con porticati, logge e grandi saloni di rappresentanza. Con gli Angioini il sistema di fortificazioni della Terra di Bari restò inalterato, solo si concedette maggiore attenzione alla difesa delle coste con la costruzione di torri di avvistamento. Il potenziamento difensivo dei centri costieri continuò nei secoli successivi, fino ad arrivare al XVI secolo quando, la minaccia turca dal mare e l’introduzione delle armi da fuoco, resero necessaria una grande opera di potenziamento e ristrutturazione dei castelli che si affacciano sulla costa, trasformati in vere e proprie fortezze, come accadde ai castelli di Barletta e di Trani. Nei secoli successivi i castelli non subirono grandi trasformazioni, anche perché la situazione politica ed economica era cambiata con lo spostamento dei traffici commerciali verso l’America e con la fine della minaccia turca sull’Adriatico. Oggi questi possenti manieri, riportati all’antico splendore da attenti lavori di restauro, costituiscono un interessante percorso di visita alla scoperta di una terra ricca d’arte e di storia. nelmese - 4/2010 - 41
BARI
BARLETTA
Costruito dai Normanni nel 1131, ampliato ed ingentilito da Federico II di Svevia, trasformato in palazzo rinascimentale nel XVI secolo, questo castello rappresenta oggi una straordinaria occasione di visita di un edificio medievale e moderno insieme, dove linguaggi ed elementi architettonici diversi si sono amalgamati tra loro. Il portico ed il portale federiciano, i due bastioni a punta di lancia, i saloni, il cortile interno con l’epigrafe che ricorda l’opera della regina di Polonia e duchessa di Bari Bona Sforza, che qui tenne una ricca e colta corte. Il castello di Bari non ebbe vita facile; costruito da Ruggero il Normanno come edificio da difesa, fu attaccato dalle truppe dell’imperatore Lotario e poi dagli stessi baresi, quando quest’ultimi si ribellarono ai Normanni in favore dei Bizantini; fu ampliato ed abbellito da Federico II nel XIII secolo. Ai primi del Cinquecento con Isabella Sforza si iniziarono i lavori di ristrutturazione per adattare l’edificio alle nuove esigenze residenziali e militari, lavori portati a compimento dalla figlia, Bona Sforza, con l’innalzamento dei bastioni. Negli anni successivi il castello attraversò un periodo di decadenza, sino a essere ridotto a carcere e caserma. Oggi la costruzione si presenta facilmente leggibile nella armonica fusione delle forme e delle strutture volute dai vari sovrani che qui si sono succeduti.
Il castello di Barletta costituisce uno degli esempi più interessanti ed organici delle nuove forme che le fortificazioni assunsero nel Cinquecento quando le artiglierie divennero principale strumento di difesa e di offesa, imponendo una vera e propria rivoluzione dell’architettura militare. Al suo interno sono visibili le tracce di interventi edilizi più antichi. La presenza di Federico II è riconoscibile nelle insegne imperiali presenti nella parete Est dell’ampio cortile centrale. Dopo alcuni aggiornamenti difensivi apportati in periodo aragonese, con Carlo V di Spagna hanno inizio a partire dal 1532 i lavori di costruzione di un nuovo impianto tipicamente cinquecentesco, simmetrico e con spigoli protetti da quattro bastioni a lancia nei quali è ricavato un doppio ordine di casematte, con aperture da fuoco disposte radialmente e presenti anche lungo le cortine murarie. Nella Pinacoteca del castello si possono oggi ammirare le opere del pittore barlettano De Nittis.
Piazza Federico II di Svevia - 70122 Bari Tel. 080.5286111 Fax 080.5245540 Sito: www.sbap-ba.beniculturali.it Orari apertura: tutti i giorni tranne mercoledì dalle 8,30 alle 19,30 Biglietto: Intero 2 € Ridotto 1 € (dai 18 ai 25 anni). Gratuito fino ai 18 anni e oltre i 65 anni
Il castello fu costruito tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII, a difesa di un “Casale” nato e sviluppatosi in “Locus Vitricti” a seguito della fondazione della chiesa di San Tommaso Apostolo. Era costituito da un recinto, definito da corpi di fabbrica Lassi, con torri ai vertici. Nel XII e poi nel XIII secolo la costruzione fu potenziata, conferendo all’edificio un
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aspetto più articolato; furono infatti innalzati i corpi di fabbrica compresi tra le torri e furono costruiti i camminamenti di ronda. Nel periodo di passaggio tra il regno svevo e quello angioino il castello di Bitritto fu ancora ristrutturato, assumendo più l’aspetto di residenza fortificata che di costruzione militare. Passato in seguito sotto il possesso dell’Arcivescovo di Bari, attraversò un periodo di declino e di decadimento formale. Ora, i lavori di restauro compiuti consentono la lettura immediata dell’organizzazione funzionale posseduta dal castello in origine.
Piazza Aldo Moro - 70020 Bitritto Tel. 080/3858111 E’ la sede degli uffici comunali Orari di apertura: dal lunedì al venerdì dalle 8,30 alle 14 e dalle 16 alle 17 Ingresso gratuito
CONVERSANO
Piazza Castello - 70051 Barletta Tel. 0883.578613 - 0883.578621 Email: polomuseale.tridente@ comune.barletta.it Orari di apertura: tutti i giorni tranne il lunedì dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19 Biglietto: Intero 4 € Ridotto 2 € Studenti 1 € Gratuito oltre i 65 anni
BITRITTO Il castello di Conversano si eleva imponente lungo il margine settentrionale del centro storico, in un punto che, per il naturale degradare del terreno verso il mare, offriva le ideali caratteristiche per l’insediamento della struttura difensiva. Costruito dai Nor-
manni nella seconda metà del secolo XI su antiche preesistenze, passò nelle mani dei vari feudatari e nel 1456 alla potente famiglia degli Acquaviva d’Aragona. Il castello ha pianta trapezoidale; il prospetto rivolto verso il mare è racchiuso tra due torri angolari, una cilindrica e l’altra dodecagonale; quasi adiacente a quest’ultima è posta una torre quadrangolare, mentre la torre rettangolare più alta, la Torre Maestra, si trova nell’anfolo opposto. L’originaria struttura essenzialmente difensiva fu tramutata in fastosa dimora per gli Acquaviva. Famosa è la camera nuziale del Conte Giangirolamo II, tristemente noto per la sua crudeltà, con il soffitto decorato a fresco dal pittore napoletano Paolo Domenico Finoglio (1590-1645 ca.). Corso Morea - Piazza della Conciliazione, 8 - 70014 Conversano Tel. 080.4951228 Sito: www.turismoinconversano.it Email: proloco.conversano@libero.it Orari di apertura: dal martedì al venerdì dalle 10 alle 12,30 e dalle 17,30 alle 20; sabato e domenica dalle 10 alle 12,30 e dalle 18,30 alle 21 Ingresso gratuito
GIOIA DEL COLLE
Su un preesistente nucleo bizantino nasceva nel secolo XI il castello di Gioia del Colle; distrutto da Guglielmo il Malo nel 1156, venne riedificato nel 1230 da Federico II. Al periodo svevo si deve la sistemazione del cortile e la costruzione della Torre dell’Imperatrice, nella quale si dice che Bianca Lancia, imprigionata dall’Imperatore per sospetto di infedeltà, avesse partorito Manfredi, successore di Federico II. Il castello ha pianta quadrangolare; la cinta muraria è caratterizzata da un paramento fortemente bugnato e su di essa e sulle cortine delle torri si aprono numerose monofore, oculi, feritoie, la cui disorganica collocazione e differente fattura evidenziano la successione dei momenti costruttivi.
La porta d’ingresso principale, immette in un vasto androne coperto da volta ogivale; da qui si accede nel vasto cortile a forma trapezoidale sulle cui cortine Sud e Ovest spiccano le eleganti finestre di gusto gotico. La scala esterna conduce al piano superiore e alla grande e suggestiva sala del Trono. Piazza dei Martiri - 70023 Gioia del Colle Tel. 080.3483798 E-mail: museonapz.gioiadelcolle@ novamusa.it Orari di apertura: tutti i giorni dalle 8.30 alle 19.30 Biglietto: Intero 2,5 € Ridotto 1,25 € (dai 18 ai 25 anni). Gratuito fino ai 18 anni e oltre i 65 anni
MOLA DI BARI Affacciato sul mare, sulla punta del promontorio della città, il castello fu costruito dagli Angioini per potenziare la difesa della costa. Il suo aspetto fu profondamente modificato durante il XVI secolo, rientrando nel più ampio progetto di potenziamento dei castelli costieri portato avanti dai sovrani spagnoli. Evangelista Menga da Copertino, ingegnere militare, si occupò dei lavori di
ampliamento ed adattamento alle nuove esigenze militari; il castello fu dotato di una cinta muraria con quattro enormi bastioni che inglobavano le precedenti torri angioine rotonde. Fino al XVIII secolo il castello fu utilizzato a fini militari, per essere successivamente abbandonato. Oggi ha riacquistato dignità architettonica ed ambientale, importante esempio del passaggio dagli antichi sistemi di difesa basati sull’uso di freccere e caditoie, all’utilizzo delle più moderne cannoniere. Via Castello, 70042 Mola di Bari Tel. 080.4738612 - 080.4738608 L’accesso è possibile in ogni occasione di incontri e manifestazioni organizzate all’interno del maniero. Ingresso gratuito
MONOPOLI Il castello, pentagonale e sviluppato su due livelli, assunse l’aspetto attuale dopo vari interventi costruttivi succedutisi nei secoli. Impiantato sui resti di un muro romano, conobbe un’importante fase di lavori nel XV secolo, quando fu costruito un primo nucleo difensivo, inglobando la chiesetta medievale di San Nicola da Pinna. La costruzione dell’attuale castello fu voluta, invece, da Carlo V e portata a termine probabilmente entro il 1552. In questa fase si procedette all’ampliamento del primitivo edificio, determinandone sostanzialmente l’attuale configurazione planimetrica. Ad una terza fase dei lavori risalgono la torre cilindrica a Sud-Ovest e lo sperone di forma poligonale a NordEst. Altre modifiche portarono alla sostituzione della copertura lignea del terrazzo con un soffitto voltato a botte e alla costruzione di una torretta di guardia e di una rampa gradinata di accesso al terrazzo. Agli inizi dell’Ottocento cominciò un periodo di abbandono e declino che culminò con la trasformazione del castello in carcere. Gli ultimi
lavori di restauro hanno restituito il complesso edilizio alla pubblica fruizione e ad un utilizzo più idoneo degli spazi. Largo Castello - 70043 Monopoli Tel. 080.9303014 Email: castello@comune.monopoli.ba.it giuseppe.dipalma@comune.monopoli.ba.it Orari di apertura: dal lunedì al venerdi dalle 8 alle 14; martedì e giovedì dalle 8 alle 14 e dalle 15 alle 18 Ingresso gratuito
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SANNICANDRO Il castello quadrangolare, dalla forma planimetrica compatta, si erge al centro del nucleo antico della città. Originariamente recinto fortificato per la difesa del tragitto da Bari a Taranto, fu interessato da una totale ristrutturazione da parte dei Normanni, che sovrapposero al muro perimetrale una potente cortina in blocchi di pietra, fortificata da otto torri disposte negli angoli ed al centro dei lati. In seguito vennero edificati altri corpi di fabbrica con i quali il castello fu ulteriormente ingrandito e trasformato in elegante residenza. A questa terza fase appartengono il perimetro murario più esterno ed i grandiosi saloni dell’ala Nord, ancora oggi quasi del tutto inte-
gri. In questo periodo compreso tra il 1350 e il 1415 l’edificio fu di proprietà della famiglia Grimaldi il cui stemma è visibile sull’ingresso principale. Le caratteristiche costruttive ed architettoniche richiamano gli esempi federiciani più noti della Terra di Bari. Piazza Castello - 70028 Sannicandro Tel. 3283218762 - 3397583079 E-mail: nicolanelli@live.it; ioanadmissarius@libero.it Orari di apertura: tutti i giorni previa prenotazione Due percorsi: A) senza animazione - Minimo 10 persone a € 4; B) animazione - minimo 40 persone a € 7 o € 280 se non si arriva a 40
TRANI
Iniziato a costruire nel 1233 per volere di Federico II di Svevia, sorge in una posizione estremamente strategica, ai margini delle antiche mura, con il lato Nord che si affaccia sul mare, così da poter controllare l’ingresso del porto. La pianta del castello, tipicamente federiciana, è incentrata intorno ad un cortile quadrangolare, delimitato agli angoli da quattro torri; al piano superiore furono costruiti ampi saloni riservati alla vita di corte. Dunque fortezza ed insieme residenza imperiale, illeggiadrita da logge e portici, di cui oggi restano pregevoli tracce. Nel XVI secolo anche questo castello fu interessato dalle opere di fortificazione conseguenti l’introduzione delle armi da fuoco e gli attacchi dei turchi; furono infatti aggiunti due bastioni, uno a pianta quadrangolare, l’altro a punta di lancia. Nel 1831 l’edificio fu trasformato in carcere, continuando a mantenere questo ruolo fino al 1975. Attualmente, dopo lunghi anni di restauro, si presenta come uno dei castelli federiciani pugliesi più rappresentativi, perfettamente leggibile nell’armonica alternanza di mura e cortili. Piazza Manfredi, 16 - 70059 Trani Tel. 0883.506603 Email: castelloditrani@beniculturali.it Orari apertura: tutti i giorni dalle 8,30 alle 19,30 Biglietto: Intero 2 € Ridotto 1 € (dai 18 ai 25 anni). Gratuito fino ai 18 anni e oltre i 65 anni
CASTEL DEL MONTE Posto sulla cima di un colle, visibile da gran parte delle città di Terra di Bari, Castel del Monte si erge a ricordare in modo imperituro colui che lo volle, Federico II. Le notizie storiche relative alla sua costruzione sono limitate ad un solo documento, un decreto imperiale del 1240. Tutto impostato sul numero otto e sul rapporto aureo, Castel del Monte è costituito da otto sale al piano terra ed altrettante al primo piano, tutte disposte intorno ad un cortile centrale ottagonale. Le torri, anch’esse ottagonali, sono collocate negli angoli esterni; in esse sono le scale che conducono al primo piano, i servizi igienici e, in alto, le cisterne pensili che, con quella situata al di sotto del cortile, raccoglievano le acque piovane della terrazza mediante un sapiente sistema di canalizzazioni in pietra, progettato organicamente con le strutture murarie. Tutte le murature sono in pietra calcarea mentre modanature, portali, ed elementi decorativi sono in breccia corallina e marmo. La decorazione scultorea superstite, di elevatissima qualità, riassume i caratteri salienti dell’arte federiciana. Le sale, tutte trapezoidali, presentano elementi funzionali, come camini e accessi ai servizi, distribuiti in modo apparentemente casuale, ma che recenti studi hanno dimostrato essere legati da percorsi principali e di servizio. La destinazione di Castel del Monte è sempre stata oggetto di studi e ricerche; esso nel suo insieme rappresenta un ideale di perfezione e di bellezza, vera e propria rappresentazione fisica della potenza e della cultura della corte sveva e dello stesso potere imperiale. nelmese - 4/2010 - 44
Di qui la complessità dei valori in esso contenuti, che ne fanno una summa imponente e visibile della cultura dell’epoca in ogni campo. Ed è proprio la presenza di tutti questi significati, forse ancora non tutti decifrati, il motivo per il quale Castel del Monte continua ad esercitare il fascino di sempre. Castel del Monte - Andria Tel. e fax 0883.569997 E-mail: casteldelmonte@beniculturali.it Orari apertura: 1 marzo - 30 settembre dalle 9 alle 18.30 - 1 ottobre - 28 febbraio dalle 9.15 alle 18.45 Chiuso il 25 dicembre e il 1 gennaio Biglietto: Intero 3 € Ridotto 1,50 € (dai 18 ai 25 anni) Gratuito fino a 18 anni ed oltre i 65 anni
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