ISBN: 978-88-31314-83-1 © 2021 Les Flâneurs Edizioni Les Flâneurs Edizioni è un marchio del Gruppo Editoriale Les Flâneurs Srl
Editing: Arianna Caprioli Progetto grafico: Mariano Argentieri Copertina: Lorenzo Caradonna Finito di stampare ad aprile 2021 presso Creative 3.0 Srl • Reggio Calabria per conto di Les Flâneurs Edizioni
Roberto Gassi
LA FORESTA DELLE FARFALLE MONARCA
A Lei, a William, al Messico
«Dedicato alla cattiva scrittura». Charles Bukowski
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La foresta delle farfalle monarca
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Introduzione dell’autore in tre parole
Viaggio Prendete una stanza d’albergo che non abbia similarità con il soggiorno, lo studio o la camera da letto di casa vostra, e che non sia occupata da persone a voi care. Ponete il caso che non siate lì per diletto ma per lavoro, e che per logica conseguenza non abbiate scelto di trovarvi in quel preciso luogo ma vi ci abbiano spedito. Immaginate di tornare nello stesso mese in due o tre posti in cui eravate già stati e che a un tratto i vari portieri, camerieri e direttori vi chiamino per nome e non più solo “signore”. Pensate al fatto che il vostro compagno di viaggio non sia stata una decisione vostra ma una subìta. Combinate tutti questi elementi e vi sarà chiaro di che tipo di peregrinazione sto parlando. Può andarvi bene se visitate posti che avevate sempre sognato di vedere, ancora meglio se il collega che non avete scelto si dimostra simpatico e di buone maniere – o imprevedibile e impavido come il Lucien che conoscerete a breve. Niente è certo in una situazione come questa: un viaggio di lavoro che, più che un viaggio, è tanti viaggi. 11
Adesso tornate in quella stanza d’albergo in cui vi ritrovate soli (quasi) ogni notte e fate conto che l’unica compagnia che avete e che riesce a fare famiglia intorno a voi sono i due libri custoditi nel trolley e alcuni dvd di Tarantino, Rodriguez, Leone. Film che avete già visto e rivedrete una e più volte ancora, perché avete solo quelli e perché in qualche modo assurdo vi fanno sentire a casa. Li fate girare facendo altro, anche senza guardare ma ascoltando i dialoghi e gli spari. Una compagnia uditiva che riempie il vuoto della stanza in alternativa alla televisione. Per tali motivi ho deciso di omaggiare in modo palese i film a me cari – soprattutto negli anni che mi hanno ispirato quanto leggerete – ambientando parte di questo romanzo in Messico, a cominciare dalla piccola chiesa bianca di un villaggio sperduto. Scelta Scegliere di essere una cosa piuttosto che un’altra. Scegliere di seguire un verbo, una religione, un ideale politico. Scegliere oppure convincersi di aver scelto, che ovviamente non significa esserne convinti ma imporre a noi stessi di esserlo. Scegliere per cause di forza maggiore, o coercitive, o dovute a manipolazioni dell’intelletto, come nel caso dei messaggi subliminali nascosti nelle pubblicità che andavano di moda negli anni Ottanta e Novanta. Scegliere insieme, soprattutto nelle relazioni sentimentali, perché è chiaro che c’è sempre un volere che declina a favore di un altro. Scegliere di proteggere i propri sogni e di seguirli, cercando di strapparli all’inconsistenza di cui per natura sono composti, e trapiantarli nella quotidianità. Scegliere un obiettivo che facciamo nostro per ripicca, per partito preso o per sfida, lottare per raggiungerlo affrontando 12
le imprevedibilità atmosferiche del fato e sopportando sacrifici. Raggiunta la meta, possono accadere due cose. La prima è, guardandosi indietro e constatando la strada fatta per giungere al punto dove si è, godere di quel breve attimo chiamato felicità. La seconda è realizzare che ciò che si è scelto non è la cosa giusta per noi, come quando si sbagliano le misure di un abito e ci si trova troppo stretti o troppo larghi, e in ambedue i casi ci si domanda: «Come ci sono finito, qui dentro?». Storia In realtà le storie sono due: quella di Erol Ciorba, dei suoi viaggi, dei motivi che lo portano a compiere una scelta, il suo scoprirsi scrittore; quella dei Moral e dei Renos, ovvero la storia scritta dallo scrittore, nella quale ho lasciato che i fogli s’impregnassero della mia fantasia senza parsimonia nel raccontare di un’eroina messicana, quattro assassini, un vendicatore, un vecchio sceriffo in sella al suo altrettanto vecchio maculato e della magia delle farfalle monarca. Due storie scritte con caratteri diversi, due storie che si intrecciano, due storie che si muovono tra il Messico e la Puglia.
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~~ La farfalla impazzita, persa e ferita, barcolla verso la luce nell’ultima danza di chi varca la soglia e stanca si posa. ~~
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Prologo
Il locale non era di quelli che si ricordano. Un classico bancone di legno. Una bionda con la bandana, concentrata a spillare birra e a mescere in giuste dosi i cocktail da sabato sera in modo che la quantità di alcol fosse sempre inferiore alla bevanda analcolica. Le quattro facce degli unici clienti del Covo a confondersi con la tappezzeria Apollo. Leila gli parlava da una buona mezz’ora e, a giudicare dalla sua espressione, doveva essere qualcosa di molto intimo e sentito. Erol si limitava a guardarla negli occhi, quando la voce le tremava. Lei arrivò all’improvviso, riempiendo l’aria di polvere. Caldo insopportabile. Terra rossa e pietrosa. Odore di pelle bruciata. Fiato pesante di cavalli nervosi. Giochi di luce sull’argento delle pistole. E l’ansimare delle donne immobili, il battito affaticato del cuore di suo nonno contrapposto a quello furioso nel petto di Quintino… lei si voltò verso la propria morte e la pistola tuonò. Leila sorprese Erol a guardarsi attorno con lo sguardo perso, come se si fosse ritrovato davanti a lei proprio in quell’attimo. Infuriata, uscì di scena benedicendogli il viso con il Porto nel suo bicchiere. Ogni passo da lei guadagnato verso 15
l’uscita rimandava Erol a chilometri di distanza, rimpicciolendo il locale e il suo corpo curvo sullo sgabello. Quella notte la “pratica Leila” si chiuse per mancanza di ascolto. Rimase da solo in quel posto tra il deserto e il bancone, mentre una calda voce spagnola, sul primo riff, gli portava il suo nome: Severina. Il tormento fu dolce fino alla porta di casa. Per molte notti Erol visse la storia di Severina fotogramma per fotogramma. Vide la sua ombra danzargli vicino. La sua pelle scura, rossa secondo la luce. I capelli neri mossi dal vento caldo. La camicetta bianca aperta sul seno. La lunga gonna portata su da un lato e poi dall’altro a seconda del ritmo, con un veloce movimento di mani. Come un dolce dolore arrivò, Severina, con l’unica pretesa di essere raccontata. A lui bastava restare sdraiato a oziare o impegnato al lavoro. Seduto su una panchina di fronte a un mare oscuro e furioso. Davanti allo specchio a guardarsi invecchiato. Sulla bilancia a pesare il proprio orgoglio ingrassato. Schivo, nascosto in un bar. A letto a espletare una pratica. In giro con la cricca di sempre. Pervaso da un senso di sicurezza guardando un film già visto. Pizzicando le corde dell’Ibanez senza il mi cantino. Era nell’aria. Saliva dalle narici al cervello in qualsiasi momento, portando volta dopo volta un nuovo pezzo di storia. Cominciò a raccontarla così, rovesciando l’aria dai polmoni alla carta. Avrebbe potuto definirla una violenta pioggia d’inchiostro, se non l’avesse scritta quasi del tutto al portatile.
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