Non sono io tutto

Page 1




ISBN: 978-88-31314-81-7 © 2021 Les Flâneurs Edizioni Les Flâneurs Edizioni è un marchio del Gruppo Editoriale Les Flâneurs Srl

www.lesflaneursedizioni.it info@lesflaneursedizioni.it Editing: Antonietta Rubino Impaginazione e revisione: Alessio Rega Progetto grafico: Mariano Argentieri Copertina: © Roberta Trani Finito di stampare a marzo 2021 presso Creative 3.0 Srl • Reggio Calabria per conto di Les Flâneurs Edizioni


Alfredo Annicchiarico

NON SONO IO TUTTO



Quella che vi apprestate a leggere è un’opera di fantasia, pertanto ogni riferimento a nomi, cose, persone oppure fatti avvenuti è da ritenersi assolutamente casuale. Il titolo Non sono io tutto è tratto da una lectio tenuta da Franco Annicchiarico SJ nel 2019.



«Oggigiorno i lettori pretendono che un libro corregga, istruisca, elevi. Questo mio libro non eleverebbe una mucca. In coscienza, non posso raccomandarlo per nessun utile scopo. Posso solo suggerirvi, quando sarete stufi di leggere i cento libri più belli, di prendere in mano questo. Sarà un diversivo». Jerome K. Jerome


8


Non sono io tutto

9



Parte prima

11



Uno

Sapete? Non è che, visti da qui, sembriate questo granché, con le vostre teste piegate sul foglio, i vostri menti e sottomenti lisci o rasposi a seconda del turno di rasatura, i vostri occhi che attraverso le lenti tradiscono uno strabismo di necessità. I vostri aliti da bocche non sempre sciacquate a dovere non sono poi così piacevoli da intercettare mentre tento di parlarvi di qualcosa che potrebbe anche interessarvi, pensate un po’. Ché poi, quanti sarete in tutto? Sempre meno di quelli che uno si aspetta. Ecco perché l’autostima dei narratori è andata abbastanza a farsi fottere in questi ultimi anni. La verità è che in giro c’è tanta robaccia, pubblicata ma invenduta, e in questo mare magnum di merda se vi capita di incappare in uno solo di quei filamenti evacuati da chissà quale culo indipendente, ecco che scatta la repulsione per l’intera offerta editoriale. Però, fidatevi. I pochi che frequentano le librerie, versando anche oboli coraggiosi nel paniere delle speranze, sanno che, in fondo, il mondo non lo cambieranno quei libri esposti. Sempre ammesso che il mondo abbia tutta questa voglia 13


di cambiare. Io, per esempio, sono convinto che il mondo lo cambieranno i produttori di caramelle gommose alla liquirizia. Sì, lo so, sembrerà una follia, ma io la penso così. E non perché le caramelle alla liquirizia mi piacciano particolarmente – soprattutto quelle intrecciate e lunghe. Fosse per questo, potrei azzardare nell’affermare che il mondo potrà essere cambiato anche dalle friggitorie di patate. Buone anche queste, ovvio! E comunque, il mondo fa comodo a tutti che non cambi. Non fatevi fottere dall’atteggiamento degli anticonformisti! Sono falsi come monete da tre euro e vomitano buonsenso a un tanto al chilo solo per fare audience, che sia in una festa esclusiva oppure in tv. Sono loro i nuovi psicanalisti da tubo catodico (ce ne sono ancora in giro di apparecchi così), i collettori degli umori altrui che plastificano, indottrinandoli al nuovo vangelo del perbenismo. Li riconosci facilmente da: a) occhiali da miope con la montatura nera e impegnativa; b) erre arrotata e tagliente, abbinata a una esse sibillina; c) gesticolazione delle mani studiata e quasi svogliata; d) domande che presuppongono risposte stupide e gestibili come le regole del gioco dell’oca. Occhio, che tra loro ci potrebbe essere il proprietario di uno dei sottomenti barbuti che vedo da qui! Non vorrei essere io stesso vittima e paziente del Fabrizio di turno: mai che uno di loro si chiami Antonio o Giuseppe, nomi comuni insomma. Dicevamo, allora, che il mondo non è detto che voglia cambiare. Meno che mai attraverso i libri di uno stocazzo qualsiasi. Sì, lo so, posso risultare sboccato, ma me ne pento subito dopo, anche perché quello che sto per raccontarvi avrà molto a che fare con peccatori, penitenti e pentimenti. Mi chiamo Zeno Pavani e ho qualcosa da narrarvi, mentre raccolgo la drammatica bellezza dell’orizzonte sdentato dalle 14


ciminiere e avvolto da nuvolaglie che annunciano un imminente temporale. Forse. A questo punto, potrei anche azzardare qualcosa di romantico e imprevisto, magari abbracciare un albero e dire che ne avverto la vita e il respiro, ma non sono quel tipo di narratore. Oddio, potrà anche capitarmi un episodio del genere, però avrò sempre la possibilità di eliminarlo grazie alla dittatura della cancellatura. “Autocensura” potrei definirla, ma so che tanti non apprezzerebbero il reale concetto che sta dietro all’azione. Più di uno avrà pensato: “Toh, si chiama come quello della Coscienza…”. Infatti, ringrazio Svevo e mia madre per avermelo affibbiato, il mio nome. Raro, molto raro anche il resto. Per esempio, quanti di voi hanno un fratello in procinto d’essere dichiarato beato? Ma non nel senso di “beato te che hai la grana”, oppure “tu sì che sei beato tra tanta fica”. Quando dico beato, mi riferisco proprio a quello stadio iniziale del percorso che porta dritto alla santità. Insomma, una cosa religiosa, fate conto. È come quando un soldato semplice diventa caporale per meriti e obbedienza, e poi punta a diventare ufficiale. Non generale, però, perché Lui sta là a comandare dalla notte dei tempi. Praticamente, posso dire che il beato è il caporale dell’esercito dei santi, e questi ultimi sono gli ufficiali tempestati di stelle sulle loro mostrine celestiali. Il probabile beato si chiamava Leonardo, quando era piccolo per tutti era affettuosamente Duccio. Chiarisco subito una cosa: lui era il figlio della mia seconda madre, i più lo avrebbero definito il mio “fratellastro”. Mio padre – sposandosi per la seconda volta – aveva acquistato tutto il pacchetto, come spesso accade in simili circostanze. Nell’offerta era compresa pure una nuova suocera, meno acida della prima, è vero, ma pur sempre un’unità in più sul groppone. Duccio era entrato in seminario, nonostante il freddo entusiasmo di mio padre. Non penso gli piacessero troppo i pre15


ti. Io ero due anni più piccolo di lui, solo che, quella storia del fratello maggiore che avrebbe dovuto proteggermi, io non l’ho mai vissuta. Di sicuro perché Duccio stava sempre fuori, e quando rientrava andava a rintanarsi nella parrocchia vicino casa, a parlare con don Sebastiano. La madre spesso lo accompagnava e ci restava anche lei in chiesa, tutta impegnata a baciare le statue e a sorridere ai santi affrescati. Papà, invece, era tutto preso dall’azienda di famiglia, una concessionaria d’auto che ormai cadeva a pezzi. Le sue giornate erano scandite da eroici incontri con subdoli direttori di banca, con impiegati che si lamentavano degli stipendi pagati sempre più in ritardo, e con operai che rivendicavano un luogo di lavoro meno malsano. Non che mio padre fosse un negriero, intendiamoci. Il luogo a cui si riferivano i meccanici era l’officina intesa come stabile: un vecchio capannone degli anni Sessanta che da allora non aveva mai conosciuto degne fasi di ristrutturazione, o adeguamenti alle vigenti norme di sicurezza. In poche parole, lavorare là dentro poteva anche significare lasciarci mezzo corpo tra braccia, gambe e via dicendo. Però papà se l’era sempre cavata. In occasione delle ispezioni, aveva elargito infatti laute mazzette ai vari responsabili che si erano avvicendati negli anni. A mio padre piacevano assai le donne, con tutte le conseguenze del caso. Potrei raccontare un bel po’ di aneddoti, ma forse quello che segue è il più emblematico. Eravamo in un noto ristorante, io ero appena un ragazzino. A un tratto lo vidi rintanarsi in un angolo e infilarsi l’anulare in bocca. Si bagnò il dito sino a sfilarsi più agevolmente la fede d’oro. Si guardò attorno, poi mi fissò: «Da adesso in poi chiamami zio» mi disse, prendendomi la mano e quasi trascinandomi verso i tavoli già pieni del ristorante scelto dalla casa costruttrice per premiare i migliori venditori dell’anno. 16


Quando due sue colleghe – tali presumevo che fossero – si avvicinarono a noi, lui mi presentò come quel nipote al quale era tanto, ma proprio tanto affezionato. Quindi, a una stampò un bacio sulla guancia, all’altra sfiorò la nuca con una carezza che, con l’esperienza degli anni, avrei giudicato lasciva. Fu allora che forse decisi che il concetto di maschio predatore non avrebbe mai fatto per me. Poi, un giorno, andai via da casa, un po’ come fanno tutti quelli che ne hanno le palle piene degli stereotipi di famiglie per niente o molto allargate. Successe undici anni dopo la morte di mia madre, venuta a mancare per una malattia che l’aveva fatta soffrire appena tre mesi.

17


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.