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Innovazioni digitali e spazi di partecipazione Chiara Belingardi1 Ricercatrice indipendente Email: chiara.belingardi@gmail.com 1
Inviato: 21 ottobre 2020 | Accettato: 9 novembre 2020 | Pubblicato: 19 novembre 2020 Abstract Gli strumenti e le innovazioni digitali rappresentano una grande opportunità per la pianificazione urbanistica, sia dal punto di vista del monitoraggio delle infrastrutture e dello stato ambientale dell’ambiente urbano, sia dal punto di vista della modellazione e conoscenza dell’oggetto urbano. Un’ulteriore opportunità è rappresentata dalla possibilità di visualizzare i cambiamenti conseguenti a determinati progetti e scelte. Per tutte queste caratteristiche e per la facilità di raccogliere contributi e opinioni, le tecnologie digitali appaiono utili anche come strumenti di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini. Tuttavia alcune cautele devono essere usate: nella raccolta e nell’uso dei dati, nella costruzione degli algoritmi (per non perpetuare bias e stereotipi) e nella consapevolezza che alcune questioni continueranno a scivolare tra le maglie della digitalizzazione. Per questo è importante continuare a costruire arene partecipative pubbliche nello spazio reale. Parole chiave: urban intelligence, partecipazione, gemello digitale Come citare questo articolo Talia M. (2020, a cura di), Le nuove comunità urbane e il valore strategico della conoscenza, Atti della Conferenza internazionale Urbanpromo XVII Edizione Progetti per il Paese, Planum Publisher, RomaMilano | ISBN 9788899237264. © 2020 Planum Publisher
Introduzione La pianificazione urbanistica italiana (e a livello internazionale) si sta da tempo interrogando sulla propria efficacia e sta cercando di dotarsi di metodi per il superamento dei limiti di operatività dei propri strumenti. Uno dei problemi che recentemente si è evidenziato è quello dello scollamento tra i dati usati nella redazione dei piani e la percezione della vita quotidiana degli abitanti. Alcuni di questi dati risultano obsoleti, altri distorti o in mutamento, mentre le domande che il piano dovrebbe governare cambiano a una velocità a cui lo strumento urbanistico non riesce a rispondere con sufficiente prontezza (Cappuccitti, 2014). Altri sono dati di cui non si tiene in conto perché hanno origini fuori o ai limiti della legalità, nelle autogestioni, nell’autorganizzazione così come nell'abuso. Alcune pratiche di autorganizzazione possono ricadere in quelle che Giancarlo Paba chiamava le “Politiche pubbliche dal basso” (Paba, 2010): pratiche di autorganizzazione per la risposta collettiva ai bisogni sociali, che possono rappresentare un'importante fonte di benessere urbano diffuso, attraverso l'attivazione di spazi culturali e ricreativi in grado di rispondere in maniera creativa alla molteplici istanze della vita quotidiana (dalla casa, all'educazione, ai luoghi di espressione artistica, all'inclusione sociale ecc.) attraverso modalità che in alcuni casi possono essere considerate “più pubbliche del pubblico” (Cellamare, 2012). Una delle caratteristiche più interessanti delle politiche pubbliche dal basso è quella di sintonizzarsi «in modo sottile sui problemi che debbono trattare, aderendo ai corpi degli abitanti, ai contesti umani, sociali e
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