GLI AMICI DEL LOGGIONE Numero 7 – Gennaio 2019
GLI AMICI DEL LOGGIONE Rivista quadrimestrale on-line di Musica Classica e Lirica Numero 7 - Gennaio 2019
Coordinatore editoriale ed autore dei testi: Giuseppe Ragusa
In questo numero: 1a Copertina: Nikolai Dmitriyevich Kuznetsov - Ritratto di Piotr Ilijch Tschaikowskij - State Tretyakov Gallery, Mosca. 4a Copertina: Pietro Mascagni [3] [6] [30] [31] [39] [47] [75] [81] [84]
Editoriale Serate degli Amici del Vinile (11.12.2015): La lu e dell Est Il Romanticismo russo) Quadro: Il Monastero della Trinità di San Sergio a Sergiev Posad, di Oleg Supereco I grandi direttori del 9 : Evgenij Mavrinskij La Compagnia dei Balletti Russi di Sergej Djaghilev Gli Amici della… danza: Sacre du Printemps, di Igor Stravinskij Strumenti musicali antichi: L Aulòs Musica classica e cinema: Rapsodia satanica, di Nino Oxilia Melomania: Cavalleria rusticana, di Pietro Mascagni
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Editoriale Miei cari lettrici e lettori, buon 2019 a tutti voi ed un sincero augurio di serenità e salute! Inizia il 3° anno della Rivista de Gli Amici del Loggione, che a partire da questo settimo numero non avrà più la consueta cadenza trimestrale, bensì verrà pubblicata on-line ogni 4 mesi: le date di uscita saranno quindi Gennaio, Maggio e Settembre. Ho dovuto prendere questa decisione in quanto, come ben potete vedere, l’impegno editoriale è diventato sempre più gravoso, mentre le mie energie (e la mia salute) non sono più (ahimè) quelle di una volta. Inoltre, con profondo rammarico, prendo atto che i miei ripetuti appelli ad una attiva collaborazione alla Rivista da parte degli Amici vittoriesi del Vinile sono purtroppo caduti tutti nel vuoto, anzi nel baratro del silenzio totale. A questo punto preferisco un‘uscita quadrimestrale con una Rivista ben studiata e (nelle intenzioni) di buon livello, anziché una trimestrale che potrebbe alla fine risultare raffazzonata e superficiale. Anche la motivazione che ha animato la nascita de Gli Amici del Loggione - cioè riportare per iscritto le mie serate “classiche” vittoriesi con gli Amici del Vinile, per consentire a tutti i partecipanti una rilettura (o un approfondimento) degli argomenti proposti - è agli sgoccioli (ormai le ho riproposte quasi tutte…), e devo pensare con la necessaria concentrazione ad una seria rimodulazione della Rivista stessa, che vorrei continuasse a vivere per molto tempo ancora.
In questo numero l’argomento principe della Serata degli Amici del Vinile è il Romanticismo russo, che vi ho presentato l’11/12/2015, in pieno clima prenatalizio. E quale migliore periodo, freddo e nevoso, ci porta a ricordare la Santa Madre Russia?
Presentazione della serata La musica ha da sempre accompagnato tutta la vita del popolo russo, e vi è un aggettivo assolutamente calzante per essa e per la Russia più in generale: struggente. Si percepisce infatti nelle melodie russe una malinconia che raccoglie i riflessi del paesaggio, delle steppe senza fine, dei grandi fiumi, delle foreste impenetrabili, delle paludi, delle desolate pianure nevose. È una terra ricca di voci sonore, particolarmente delle tonalità basse. Il periodo più importante nella storia della musica russa va dagli anni intorno tra il 1860 e il 1900, periodo identificato dal punto di vita storico-artistico come Romanticismo musicale russo. Primo fra tutti fu Michail Glinka ad adoprarsi per creare uno stile musicale tipicamente russo, scrivendo opere basate su soggetti russi. Nel 1857 fu fondato il Gruppo dei Cinque, un gruppo di musicisti russi, noto anche con il nome de “I Cinque” o “Circolo di Balakirev”, il cui primo nucleo fu fondato su iniziativa
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di Cèzar Antonovic Kjui e di Milij Aleksèevic Balakirev, la cui intenzione era di dar vita a una musica nazionale russa, lontana dai formalismi accademici e dagli influssi stranieri. Ai due si aggregarono poi Mussorgskij, Rimskij-Korsakov e Borodin. Determinante per la costituzione del gruppo fu anche l'apporto del critico musicale Vladimir Vasil'evic Stàsov e del compositore Aleksandr Dargomyzskij, la cui Rusalka (1856) fu rapidamente assunta a modello di opera nazionale russa. Il gruppo rimase attivo per oltre un decennio, ma lo svilupparsi di concezioni estetiche personali allontanò progressivamente i cinque musicisti. La principale oppositrice al Gruppo fu la conservatrice Società Musicale Russa di Anton Rubinstein, che nel 1861 divenne il conservatorio di San Pietroburgo, il primo della Russia. Culturalmente molto distante dai compositori russi d'ispirazione nazionalista a lui contemporanei, fu Piotr Ilyich Tschaikowskij, che rivelò nella sua musica uno spirito cosmopolita. Contraddistinte da una profonda sensibilità e da una naturale eleganza, le sue partiture presentano anche tratti distintamente russi, sia nella predilezione per il modo minore, sia soprattutto nel profilo delle melodie, a loro volta ricavate o dalla tradizione popolare o dalla liturgia ortodossa. Diversamente dai suoi colleghi russi, Tschaikowskij studiò per tutta la vita la musica occidentale - dal prediletto Mozart (mentre è noto che non amasse particolarmente Beethoven, e in particolare il Beethoven della maturità) agli operisti italiani, dai romantici tedeschi alla nuova scuola francese di Bizet - riuscendo a dare alla sua arte un respiro decisamente internazionale. In questo senso, la sua figura di artista aperto, capace di assorbire e rielaborare qualsiasi linguaggio e qualsiasi forma musicale, è fondamentale sia in ambito romantico, sia per la comprensione del futuro percorso artistico di Igor Fedòrovic Stravinskij, che non si stancò mai di spendere per Tschaikowskij parole di elogio ed ammirazione, definendolo "il più russo di tutti i musicisti russi". Ed è con questo grande compositore che alziamo il sipario di questa serata: il primo brano sarà accompagnato da un video – che ho personalmente preparato per questo nostro incontro – in cui si succederanno immagini di Mosca, di San Pietroburgo, delle fredde e desolate steppe russe fino al gelo della Siberia, nonché dei compositori e delle loro opere che hanno illuminato il panorama musicale russo dell’800 e dell’inizio del ‘900. Le sterminate terre della Russia, pianure interminabili, foreste sconfinate, fiumi immensi e lunghissimi… da sempre incutono il timore della vastità senza fine, ma ispirano anche la curiosità, essendo la porta di comunicazione tra il grande
oriente
asiatico
e
l’occidente
europeo. E affascina anche la storia di questi popoli lontani, passati attraverso grandi sofferenze e grandi realizzazioni, in cui anche il rapporto con la natura forte e selvaggia ne hanno plasmato il carattere e le tradizioni. Oltre che con le melodie e i canti intrisi di nostalgia e di pathos, anche con la danza i
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Russi hanno espresso l’amore e l’attaccamento alla loro terra, e nella nostra serata non mancheranno naturalmente i riferimenti a questa nobile forma d’arte. Cari amiche ed amici, abbandoniamoci a questa splendida musica e facciamoci avvolgere dalla luce che essa emana, quella che a me piace definire “La luce dell’est”!
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Serata degli Amici del Vinile: “La luce dell’Est ” (La Musica russa dal 1800 alle soglie del ventesimo secolo) PIOTR ILYICH TSCHAIKOWSKIJ: LA BELLA ADDORMENTATA La Bella addormentata è uno dei maggiori capolavori della danza classica mondiale e rappresenta per molti l’idea stessa di balletto. La bella addormentata nel bosco è una celebre fiaba tradizionale europea: essa viene ricordata soprattutto nelle versioni di Charles Perrault (nella raccolta di fiabe I racconti di mamma l'oca, 1697) e dei fratelli Grimm (Fiabe del focolare, 1812). La storia della bella principessa che viene colpita dalla maledizione di una fata malefica e dopo un sonno durato cent’anni viene salvata dalla sua fata madrina e da un bel principe azzurro è conosciuta universalmente, e, nonostante siano passati più di tre secoli dalla sua scrittura, è tra le più amate dai bambini di tutto il mondo. Nel 1888 il direttore dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo Ivan Vsevolòzskij propose a Piotr Ilyich Tschaikowskij (1840-1893) di scrivere un nuovo balletto tratto da quella celebre fiaba. Il musicista accettò con entusiasmo: egli, sin dalla primissima giovinezza, coltivava la passione per la favolistica francese, e a questa venne ad aggiungersi una spiccata propensione per il linguaggio del teatro francese della metà del diciannovesimo secolo e per il balletto, ove regnava incontrastato
il
tratto
aristocratico
dell'eleganza.
Tschaikowskij
dodicenne, era andato a vedere il balletto Giselle, rappresentato in Russia nel 1841, un anno dopo la prima rappresentazione parigina, e lo spettacolo fu un amore a prima vista. Proprio in Giselle il futuro musicista si sentì attratto dall'unione del dramma lirico e dell'elemento fantastico. Con questa composizione Tschaikowskij volle cimentarsi in un dramma musicale totalmente fantastico, che superasse i limiti oggettivi del realismo operistico, trasportandolo in un mondo onirico ricco di arabeschi meravigliosi e incantati. Grazie al suo genio musicale, Tschaikowskij riuscì a innalzare il balletto da soggetto fiabesco "occidentale" al più alto livello dell'espressione coreutica "russa", conferendo altresì a queste pagine un'intensità passionale e una tavolozza di colori e di ritmi che hanno siglato un genere creativo e hanno aperto la strada al balletto moderno, al punto che i veri valori della scrittura strumentale del Lago dei cigni, della Bella addormentata e dello Schiaccianoci risultano percepibili, oltre un secolo dopo dalla loro scrittura, in tutta l'autentica loro bellezza, anche al semplice ascolto in sede concertistica, prescindendo quindi dalla presenza dell’elemento scenico per il quale furono creati e in cui videro la luce. Dopo la prova generale avvenuta in presenza dello Zar Alessandro III, La Bella addormentata (presentata con il titolo francese “La belle au bois dormant”) debuttò il 15 gennaio 1890 al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, con la coreografia di Marius Petipa, e anche se l’esito non fu immediatamente trionfale, si
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affermò progressivamente (solo nel 1899 arrivò al Teatro Bolshoi a Mosca!) sino a conquistare le platee di tutto il mondo. Questa è probabilmente la migliore partitura mai scritta per un balletto, permeata da una grande profondità emotiva e da una ricca drammaticità sinfonica che donano significato allegorico al racconto e vita ai personaggi: già nel preludio iniziale, introducendo le melodie che si identificheranno con la buona Fata dei lillà e la malefica Fata Carabosse, la musica suggerisce il tema della lotta tra il bene e il male che dominerà tutto il balletto. ♫♫Iniziamo questa serata con il romantico Adagio della rosa, brano del primo atto. Trama: si preparano i festeggiamenti per il sedicesimo compleanno della principessa Aurora. La giovane è corteggiata da quattro principi pretendenti che arrivano dai quattro rispettivi continenti, e balla con ognuno di loro, accettando le loro rose: le varie danze di corte distolgono l'attenzione degli astanti e così la fata Carabosse, travestita da vecchia mendicante, riesce a porgere il fatale fuso alla principessa, con il quale la giovane si pungerà e cadrà nella maledizione del sonno dal quale si sveglierà solo dopo cent’anni.
[Balletto dell Ope a di Be li o, Teat o ‘egio di To i o,
ASCOLTO: Sple dida l i te p etazio e dei Be li e Philha
]
o ike diretti da Herbert von Karajan, del 1967, sfarzosa
e molto dinamica, tuttora insuperata, nonostante le numerosissime incisioni di questo brano. ♫♫ Il 2° brano del balletto che ho scelto è il celeberrimo Valzer del 1° atto, il cui stile richiama le atmosfere viennesi della migliore tradizione straussiana.
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[Royal Ballet, Royal Opera House di Londra, 2017]
.
VIDEO: Vedremo, nella spettacolare versione di Rudolf Nureyev, il Balletto dell'Opéra National de Paris in una performance del 1999 dal vivo all'Opera Bastille di Parigi. David Coleman dirige l'Orchestra dell'Opéra National de Paris.
PIOTR ILYICH TSCHAIKOWSKIJ: VALSE SENTIMENTALE Il terzo brano della serata è una composizione cosiddetta “minore” di Tschaikowskij, nella quale però comunque ben si evidenzia il complesso aspetto della personalità di questo compositore, un uomo in cerca di un equilibrio che non riuscì mai a trovare: egli era un’anima irrequieta, contemporaneamente oppressa
e
nervosa,
appassionata
e
melanconica. Ritroviamo in questo brano la sua debolezza di carattere, l’instabilità dei rapporti
sentimentali
che
ne
fecero
costantemente un infelice, il cupo fatalismo che lo portò più di una volta ad un passo dal suicidio. Il Valse sentimentale è l'ultimo dei Sei pezzi per pianoforte, op. 51, 6 brani ognuno dedicato ad una donna, composti nel 1882, in un periodo estremamente difficile della vita di Tschaikowskij. Egli in quegli anni era devastato da un grave esaurimento nervoso che lo aveva condotto ad una vita nomade e disordinata, sino a tentare il suicidio: lo turbavano profondamente il suo matrimonio fatiscente e le voci (fondate) sempre più insistenti e pubbliche sulla sua omosessualità, una grave vergogna per quei tempi. Molti critici pensano che questo suo "isolamento", questa sua "diversità" siano state comunque delle spinte a scrivere una musica piena di vero páthos (nel senso etimologico di "sofferenza”).
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VIDEO: Vi propongo questa suggestiva coreografia (purtroppo nel video i nomi dei ballerini non sono citati): gli interpreti musicali sono Antonio Martin Acevedo al violoncello e Angel Cabrera al pianoforte.
MICHAIL GLINKA: L’ALLODOLA Come abbiamo visto nella presentazione della serata, nella Russia dell’800 una delle maggiori correnti di pensiero musicale era di tipo nazionalistico: essa teorizzava l’idea di un movimento musicale che fosse autenticamente russo, più vicino alla madrepatria di quanto non lo fossero i prodotti delle accademie classiche. La nuova musica russa doveva attingere direttamente dal folclore russo e dal canto liturgico, e doveva liberarsi dall’influenza della musica occidentale in quel momento imperante. Infatti in quel periodo la Russia in campo musicale era completamente succube dell'occidente, ne era prova che non esistevano neanche scuole pubbliche di musica. A rappresentare questa tendenza furono dapprima Michail Glinka (1804-1857), il primo musicista romantico russo, e successivamente il cosiddetto Gruppo dei Cinque: Balakirev, Kuji, Mussorgskij, Rimskij–Korsakov e Borodin. I Cinque appartenevano alla piccola nobiltà della provincia russa; erano compositori non professionisti, perlopiù autodidatti, ognuno dedito alla propria attività lavorativa extramusicale. Michail Glinka soleva dire: “Il popolo compone, noi ci accontentiamo di elaborare”. ♫♫ Il brano di Glinka che adesso sentiremo rispecchia appieno un lirismo assolutamente russo. Si intitola “L’allodola”, e si rifà alla tradizione musicale popolare russa, dalla melodia generalmente breve e triste che viene ostinatamente ripetuta ed arricchita con figurazioni musicali. La musica è accompagnata da brevi versi: “Tra il cielo e la terra si sente una canzone, un flusso interminabile di suoni scorre più forte, più forte. Invisibile è il cantante nel campo in cui canta così forte, sopra il suo compagno è l'allodola che canta”.
ASCOLTO. Al pianoforte Evgeny Kissin, uno dei più grandi pianisti russi (anche se naturalizzato britannico) dell ulti a ge e azio e.
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PIOTR ILYICH TSCHAIKOWSKIJ: IL LAGO DEI CIGNI Il lago dei cigni è tra i tre balletti di Tschaikowskij il più drammatico e romantico: azione, musica e danza si fondono con una coerenza perfetta, creando uno spettacolo di straordinaria unità stilistica. L’intera partitura è splendida, di respiro sinfonico. Fu scritto tra il 1875 e il 1876; le sue prime rappresentazioni al Teatro Bolshoi di Mosca furono un totale fiasco, e solo dopo la morte del compositore, grazie a delle revisioni, conobbe un inarrestabile successo, tale da farlo divenire una delle pietre miliari del balletto di tutti i tempi.
[La prima al Teatro Bolshoi di Mosca. Coreografie di Ijly Reisinger] La trama è decisamente romantica e si ispira ad un’antica fiaba tedesca. La regina madre dà una festa nel giardino del castello in onore del principe Siegfried che compie la maggiore età. Il giovane è circondato da amici con i quali festeggia danzando, ma sul più bello appare la madre che sollecita al figlio una decisione riguardo alle nozze, annunciandogli di avere invitato il giorno dopo ad un ballo alcune bellissime fanciulle fra le quali trovare la fidanzata. Siegfried, rimasto solo, mentre è assorto nei suoi pensieri, viene distratto da un volo di cigni ed è immediatamente preso dal desiderio di cacciare: nonostante le preghiere del vecchio maestro che tenta di dissuaderlo, imbraccia la sua balestra e corre nel bosco. Mentre le rovine del castello si specchiano nelle acque silenziose del lago, appaiono i cigni bianchi che, non appena giunti a riva, si trasformano misteriosamente in ragazze e iniziano a danzare. Siegfried che, nel corso della sua battuta di caccia, aveva inseguito i cigni fino a lì, rimane a fissare, meravigliato, la metamorfosi.
[Lago dei Cigni. Corpo di ballo Teatro Bolshoi, Svetlana Zakharova e Denis Rodkin. Mosca, 2017] Le ragazze, dapprima titubanti, circondano il principe e la più bella fra loro, Odette, gli racconta il loro mistero: esse sono fanciulle trasformate in cigni da Rothbart, genio del male, e soltanto di notte e in quel luogo possono riprendere le loro sembianze umane originali.
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Siegfried vuole affrontare subito il malefico Rothbart per sconfiggerlo, ma Odette gli spiega che per dissolvere la magia c’è una sola arma: non la forza ma l’amore di un giovane che non abbia mai promesso il cuore a nessun’altra fanciulla. Siegfried, conquistato dalla bellezza di Odette e dalla tristezza delle sue parole e della sua espressione, le confessa il suo amore e decide di invitarla il giorno successivo al ballo per presentarla alla regina madre e ai suoi amici come propria fidanzata. Odette vorrebbe accettare, ma non può comparire fra la gente fino a che la magia non si sarà dissolta, altrimenti il malefico Rothbart, per vendetta, provocherà la morte di tutti i cigni. I due giovani restano insieme fino all’alba, giurandosi amore, senza però accorgersi che, nascosto nel folto degli alberi, Rothbart ha assistito a tutta la scena e già sta tramando un piano per ingannare Siegfried. Non appena quest’ultimo se ne va, trasforma nuovamente le ragazze in cigni. Il giorno dopo, gli ospiti al ballo arrivano nella grande sala del castello per la presentazione a Siegfried delle ragazze fra cui scegliere la fidanzata. Si susseguono numerose danze, ma Sigfried guarda con indifferenza le pretendenti, e continua a pensare a Odette; quando giunge il momento di decidere, le rifiuta tutte. All’improvviso, annunciato da uno squillo di trombe, fa la sua apparizione un ospite misterioso in compagnia di una fanciulla vestita di nero (il cigno nero). Questa fanciulla, sosia di Odette, è Odile, la figlia di Rothbart, la quale ha ricevuto l’ordine del padre di conquistare il principe e impedirgli, quindi, di mantenere il giuramento fatto a Odette. In un grande e famosissimo pas de deux, il gioco della seduzione si compie. Con sguardi ammaliatori, Odile convince Siegfried di essere lei il cigno bianco del quale si è innamorato. Il giovane principe innamorato cade nel tranello e presenta Odile alla regina madre come sua futura sposa. Il gioco del tradimento si è così perpetrato. Rothbart esultante si trasforma in una civetta e fugge dal castello, che piomba nell'oscurità fra l'orrore degli invitati. Siegfried, resosi conto dell'inganno, scorge la vera Odette attraverso un'arcata del castello, e disperato si precipita nella notte alla ricerca della fanciulla. Odette, morente, piange il destino crudele che la attende. Siegfried arriva da lei tentando di salvarla, ma una tempesta si abbatte sul lago e le sue acque inghiottono i due amanti. La bufera si placa e sul lago, tornato tranquillo, appare un gruppo di candidi cigni in alto volo. ♫♫ De Il lago dei Cigni ascoltiamo come primo brano il 1° movimento, la splendida Scéne che introduce il balletto: è una breve sintesi musicale ed emotiva del dramma. La melodia d'apertura, affidata all’oboe, è il delicatissimo tema del cigno, in esso risuona già una delle scale discendenti che si incontreranno poi in tutto il balletto. Queste scale alludono al destino che incombe sui due amanti e a cui non potranno sottrarsi. L’elaborazione successiva del tema, dai toni estremamente
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drammatici, affidata all’orchestra, simboleggia il sortilegio del mago su Odette e la sua trasformazione in cigno. Le ultime note degli archi, molto gravi, impongono una drammatica riflessione sull’amore infelice.
ASCOLTO. Ancora i Berliner Philharmoniker diretti da Herbert von Karajan. ♫♫ Il 2° brano è un piccolo gioiello coreografico del balletto: La danza dei piccoli cigni. La musica è affidata agli archi e agli ottoni, che svolgono in sottotono il tema che si snoda fluente, dolcemente ritmato, mentre la parte del leone è svolta dal movimento coreografico in cui le ballerine si muovono in splendida sincronia.
VIDEO: vi propongo questo piacevolissimo filmato con le meravigliose ballerine del Teatro Bolshoi di Mosca [nella foto], il cui sincronismo nei movimenti ci fa comprendere ed apprezzare cosa è la perfezione e la grazia nel campo della danza.
PIOTR ILYICH TSCHAIKOWSKIJ: CONCERTO PER PIANOFORTE E ORCHESTRA N. 1, OP. 23 È uno dei concerti pianistici più eseguiti in tutto il mondo, ed è il più noto dei tre composti da Tschaikowskij; fu composto tra il novembre 1874 ed il febbraio 1875, e fu eseguito per la prima volta a Boston nello stesso anno. Il concerto era un omaggio di Tschaikowskij a Nicolaj Rubinstein [nel riquadro], autorevole direttore del Conservatorio di Mosca, considerato uno dei massimi pianisti del suo tempo ed assolutamente senza rivali a Mosca. L'accoglienza di questi fu decisamente negativa: criticò con molta severità il concerto ritenendolo "banale, rozzo e mal scritto" oltre che "ineseguibile", e pertanto chiese al compositore una sostanziosa revisione che venisse incontro ai suoi gusti. Tschaikowskij si rifiutò di modificarne anche solo una nota, decidendo di dirottare la sua dedica su di un altro grande interprete dell'epoca, il celebre pianista, direttore d'orchestra e anch’egli compositore Hans von Bülow, che da parte sua definì l'opera "originale e nobile". Ironia della sorte, von Bülow successivamente eliminò il concerto dal suo repertorio, mentre Rubinstein finì col dirigerne la première moscovita.
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♫♫ L’intero concerto dura oltre 30 minuti, noi ascolteremo pertanto la prima parte del 1° movimento (Allegro non troppo e molto maestoso - Allegro con spirito), sfumandolo per motivi di tempo. L’introduzione è celeberrima, lunga oltre cento battute e dominata da un tema ampio e perentorio che resta tra le invenzioni melodiche più geniali e popolari di tutta la musica tschaikowskiana. All'orchestra è affidato l'attacco del tema principale, di grande solennità, mentre il pianoforte la accompagna con poderosi ed ampi accordi. L'enfasi retorica irresistibile di questa idea iniziale, che peraltro non si farà più sentire durante tutto il Concerto, introduce il primo tema, una melodia scherzosa di carattere popolaresco che Tschaikowskij, stando agli scritti del fratello Modest, avrebbe ascoltato al mercato di Kamenka. Il pianoforte in breve diventa il protagonista assoluto mentre l'orchestra si riduce ad un semplice accompagnamento in pizzicato. Il pianoforte non solo presenta il tema, ma al tempo stesso lo amplia con elaborazioni che gradualmente danno vita a figurazioni di estremo virtuosismo, finché l'orchestra riprende nuovamente il tema iniziale. L'intervento del corno fa da tramite tra primo e secondo tema: suonato inizialmente con tocco leggero, viene ammorbidito dal suono scherzoso dei flauti prima che gli archi sviluppino per esteso la cantabilità di questa nuova idea musicale in un'atmosfera più intima e sognante. Al termine della ripresa con la tradizionale cadenza del solista una coda elabora le figurazioni del secondo tema arricchite da fitti arabeschi pianistici fino a chiudersi con una cascata di ottave .
VIDEO: ho preferito presentarvi una versione video che potesse far evidenziare le doti virtuosistiche del pianista solista. Vi propongo l i te p etazio e vigo osa e a g a di i te p eti vive ti, o l O hest a di Losa
alia te di Ma tha A ge i h, pianista argentina tra le più
a di etta da Cha les Dutoit.
Del Concerto n° 1 di Tschaikowskij vi consiglio di ascoltare l’incisione del Concerto nella storica interpretazione di Arturo Toscanini e Vladimir Horowitz del 1941 alla Carnegie Hall. Pur rimasterizzata, non è perfetta tecnicamente tenendo conto dell’anno di registrazione, ma è superba dal punto di vista interpretativo. Da avere assolutamente!
ALEXANDER BORODIN: IL PRINCIPE IGOR - DANZE POLOTVESIANE Alexander Borodin (1833-1887) fu uno dei musicisti del Gruppo dei 5, al quale aderì con entusiasmo senza mai però dimenticare il suo vero lavoro, medico e chimico, professione in cui emerse sino ad arrivare a livello accademico.
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Borodin compose un'opera ispirata al più importante testo dell'epos russo, il "Canto della schiera di Igor". La storia dell'opera risale al XII secolo, quando la Russia subì un'invasione da parte dei Polovesiani1. Durante una battaglia, il principe russo Igor cade prigioniero rischiando anche di essere ucciso. Il capo dei Polovesiani, il Khan Konciak, però gli risparmia la vita, e anzi, per conquistarne l'amicizia e convincerlo ad allearsi con lui, raduna danzatrici, musicisti e schiavi per improvvisare dei festeggiamenti in suo onore e ammaliarlo con canti e danze. Il principe però resisterà a queste tentazioni e riuscirà a fuggire e a tornare in patria. Il lavoro di scrittura di Borodin si protrasse per ben 18 anni, a causa dei pressanti impegni professionali accademici del compositore che morì lasciando l’opera incompleta e frammentaria. Il “Principe Igor” venne in seguito completato da Aleksandr Glazunov e da Nikolaj Rimskij-Korsakov e adattato per orchestra. Tratte
dal
Principe
celeberrime
Danze
Igor,
vi
presento
Polotvesiane,
le che
nell’opera vengono eseguite quando il Khan vuole intrattenere nel suo accampamento il nobile prigioniero Igor: di qui il colorito tutto orientale delle danze, che risentono dei modi della musica popolare centro-asiatica e hanno un
sapore
assolutamente
particolare
e
inconfondibile. ♫♫ La prima danza, detta “delle Vergini” – proceduta da una breve introduzione affidata a flauti ed oboi – è un Andantino pregno di intima grazia melodica orientaleggiante, accompagnata dalle voci femminili del coro; ad essa segue una vigorosa e ritmata danza dei guerrieri, che sfocia in un rapido tempo dai temi pulsanti e trascinanti. Una nuova danza è un Presto vorticoso e fuggente. La festa nell’accampamento è qui al suo culmine, ma ancora ritornano i temi delle danze precedenti prima di giungere alla conclusione festosa e giubilante.
VIDEO: A
i ia o l O hest a ed il Balletto del Teatro Bolshoi di Mosca in una celebre ed insuperata
interpretazione del 2013. Una curiosità: nel 1953 venne rappresentato un musical, “Kismet”, ambientato nel mondo delle Mille e una notte. Tratta da questo musical è la celebre canzone "Stranger in Paradise", rielaborazione della “Danza delle Vergini".
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Noti anche col nome di Cumani, rappresentano quella etnia mongolo-turca che a partire dal X sec. occupò i territori a nord del Mar Caspio e del Mar Nero, passando poi in Bulgaria e in Ungheria, dove fu lentamente assorbita e cristianizzata.
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PIOTR ILYICH TSCHAIKOWSKIJ: LE STAGIONI - GIUGNO Le Stagioni sono una raccolta di dodici pezzi, uno per ogni mese dell'anno, ispirati a tenerissima e sognante malinconia, che Tschaikowskij scrisse tra il dicembre 1875 e il novembre 1876 su incarico della rivista musicale Nouvelliste. ♫♫ Ho scelto il pezzo dedicato al mese di Giugno, una barcarola. L'andamento cullante e uniforme, caratteristico di questo tipo di composizioni che - almeno nel nome - si ispirano al canto dei gondolieri veneziani, non raggiunge particolari vette espressive, ma è decisamente gradevole. Una curiosità: questo brano fu inserito da Fabrizio De André in uno dei suoi ultimi album, Le Nuvole.
ASCOLTO: Al pia ofo te i
uesta deli ata e
ali o i a ese uzio e è il g a de pia ista e di etto e d o hest a
russo Vladimir Ashkenazy: questa interpretazione segnò il suo ritorno alla musica di un compositore che aveva contraddistinto i primi anni della sua carriera, con la vittoria del Premio Tschaikowskij nel 1962.
PIOTR ILYICH TSCHAIKOWSKIJ: CONCERTO PER VIOLINO E ORCHESTRA OP. 35 Il Concerto per violino e orchestra che ci apprestiamo a sentire è l’unico dedicato da Tschaikowskij a questo strumento. Egli lo scrisse all’età di 40 anni, in un periodo fecondo come compositore (di quel periodo il Concerto per pianoforte in si bemolle minore, il balletto Il lago dei cigni, la Quarta Sinfonia e l'opera Evgenij Onegin), ma comunque turbato dal fallimento del suo matrimonio, durato pochi giorni. ♫♫ Del concerto per violino ascoltiamo il 2° movimento, Canzonetta, un Andante: ha un inizio assorto, con i corni e gli ottoni che introducono il tema, e su cui si inserisce subito il violino, improntato al più puro e concentrato intimismo, un po' malinconico; interviene a riprendere il tema anche il flauto, cui segue subito il secondo
tema
elaborato
dal
violino
in
senso
drammatico ed energico. Riprende infine il primo tempo in modo molto espressivo accompagnato dagli archi e dagli ottoni, che si chiude sommessamente e con toni bassi come un lento sospiro.
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ASCOLTO: Herbert von Karajan dirige i Wiener Philharmoniker, in una memorabile interpretazione dal vivo al Festival di Salisburgo del 1988; al violino una poco più che ventenne, ma già musicalmente matura, Anne-Sophie Mutter, che Karajan aveva voluto assolutamente al suo fianco già sedicenne.
NIKOLAJ RIMSKIJ-KORSAKOV: SHÉHÉRAZADE, OP. 35 La nostra attenzione si sposta adesso su un altro componente del Gruppo dei cinque, Nikolaj Andreevic Rimskij-Korsakov (1844-1908). Nato da una famiglia aristocratica di forte tradizione militare, RimskijKorsakov era un ufficiale della Marina imperiale russa. Era un autodidatta, ma si impegnò così fortemente nello studio della musica da divenire docente di composizione ed orchestrazione al Conservatorio di San Pietroburgo. Praticò ogni genere musicale, ma la sua produzione più significativa fu rivolta all'ambito operistico e sinfonico. Come operista, Rimskij-Korsakov fu più un grande narratore che un drammaturgo: tanto nel teatro quanto nella musica sinfonica, egli seppe soprattutto raccontare fiabe e leggende, evocare miti e sortilegi, dipingere meravigliosi quadri di natura, in un policromo ricamo di suoni difficile da eguagliare. Fu
abilissimo
orchestratore
(scrisse
anche
due
trattati
sull’argomento), e proprio per questa sua abilità tecnica ebbe molta influenza, oltre che su quella russa, anche sulla musica occidentale del primo Novecento, specie sugli impressionisti francesi, in primis Ravel e Debussy. La sua bravura nell’orchestrazione gli permise di dedicarsi alle revisioni e riscritture di opere di altri autori, ad esempio Mussorgskji. Di Nikolaj Rimskij-Korsakov ho scelto, per questa serata, la celeberrima Shéhérazade, op. 35, una suite sinfonica composta nel 1888. Questo lavoro orchestrale unisce due caratteristiche peculiari della musica di Rimskij-Korsakov: combina un'orchestrazione sgargiante ad un particolare interesse per l'oriente e per l'esotico. L’opera è stata la più importante opera sinfonica della fine dell’Ottocento, e ha sempre conosciuto una vasta popolarità. Il lavoro è ispirato ai racconti di Mille e una notte: il sultano Shahriyr, convinto che tutte le donne siano false ed infedeli, sposa ogni giorno una vergine che poi mette a morte dopo la prima notte di nozze. L'ultima delle sue spose, Shéhérazade, si salva grazie alla sua bravura nella
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narrazione, incatenando l’attenzione del sultano con le storie da lei narrate, così avvincenti da convincerlo giorno per giorno a rinviare l'esecuzione, per la curiosità di conoscerne il seguito. Il Sultano, alla fine rinuncia al suo voto sanguinario. ♫♫ Ascolteremo il 1° movimento, intitolato Il mare e la nave di Sinbad. Le battute iniziali presentano la cupa e severa figura del sultano Shahriyr (Largo e maestoso), cui segue il tema di Shéhérazade (lento) sinuoso e sensuale: è un arabesco del violino solo sostenuto dagli accordi dell’arpa. Questi due temi si confronteranno tra di loro ad indicare gli stati d’animo dei due protagonisti, l’animo minaccioso del sultano e quello lento ed amoroso di Shéhérazade. Alla conclusione del movimento risuonerà il tema del sultano, che da imperioso diviene morbido e melodicamente espansivo: le volute melodiche dei legni sorrette da un sottofondo dei bassi, sottolineano la metamorfosi dell’autoritario personaggio. Col suo racconto, Shéhérazade ha saputo stornare il sultano dal suo truce proposito. Un adattamento sotto forma di balletto di Shéhérazade fu messo in scena il 4 giugno 1910 all'Opéra Garnier di Parigi dai Balletti russi, creato dal grande coreografo francese Michel Fokine, e per questa serata ho scelto proprio questo adattamento. In esso si narra l’antefatto di quanto raccontato nella suite sinfonica, cioè il tradimento di Zobeide, favorita di Shahriyr, che determinerà in lui l'odio per le donne. Per mettere alla prova la fedeltà di Zobeide, Shahriyr finge, insieme al fratello Zahman, di partire per la caccia, lasciando gli eunuchi a guardia dell'harem. Durante la sua assenza, le porte vengono aperte agli schiavi, tra i quali un bellissimo nero, lo Schiavo d'oro.
[Ilze Liepa nel ruolo di Zobeide]
Al suo ritorno, Shahriyr e il fratello sorprendono un'orgia in corso che coinvolge tutto l'harem, e trovano Zobeide nelle braccia dello Schiavo d'oro. Ne consegue il massacro di schiavi e favorite, ma Zobeide preferisce uccidersi da sé con un pugnale. La scelta della trama fu molto innovativa per l'epoca, non solo perché riportava sulle scene di danza, dopo l'intervallo del romanticismo, la passione amorosa e la morte violenta (che avevano ceduto il passo all'amore sublimato e incorporeo di cui è l'emblema Giselle), ma anche perché introduceva apertamente il tema della sessualità, condensato nel personaggio dello Schiavo d'Oro dalle sensuali movenze e culminante nella scena del Baccanale. Fokine si concentrò nell'esprimere la narrazione attraverso movimenti e situazioni sceniche, di forza espressiva tale da comunicare immediatamente al pubblico non solo il senso degli accadimenti, ma i sentimenti dei personaggi e le loro relazioni. Per questo scelse come protagonista Ida Rubinstein, che non era una ballerina di formazione, ma un'attrice, avviata da lui alla danza.
VIDEO: Dal Teatro Mariinskij di Mosca, Shéhérazade in versione balletto con Ilze Liepa nel ruolo di Zobeide.
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NIKOLAJ RIMSKIJ-KORSAKOV: IL VOLO DEL CALABRONE Tra le composizioni di Rimskij-Korsakov vi è La favola dello zar Saltan, l'ultima delle quali include il celeberrimo Volo del Calabrone, che racconta musicalmente la trasformazione del protagonista appunto in un calabrone. ♫♫ Il brano è caratterizzato da una veloce e continua serie di note cromatiche, eseguite in sedicesimi. L'andamento del brano tenta di ricostruire in chiave musicale il ronzio dell’insetto. Da notare che le note musicali che compongono le singole sezioni della composizione, oscillano velocemente sul pentagramma in una gamma di altezze, riproducendo il movimento fluttuante, ma regolare, di un grosso insetto.
VIDEO: Il Volo del calabrone i u t avolge te e vi tuosisti o video ell i te p etazio e della pianista cinese Yuja Wang [nella foto], uno dei nomi più affermati del pianismo internazionale attuale.
PIOTR ILYICH TSCHAIKOWSKIJ: LO SCHIACCIANOCI Il balletto Lo Schiaccianoci può essere definito una favola natalizia in forma di danza. E’ derivato dal racconto “Schiaccianoci e il re dei topi” di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, e fu composta da Tschaikowskij tra il 1891 e il 1892. Una delle versioni più caratteristiche fu quella di George Balanchine per il New York City Ballet, che nel 1954 divise per la prima volta il balletto in due parti, la realtà e il sogno.
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Atto I. E’ Natale. In casa Stalhbaum, i genitori di Clara e Fritz organizzano una festa per i bambini e i loro parenti e stanno decorando il loro splendido albero di Natale prima di distribuire i regali. La festa è interrotta dall'arrivo di Drosselmayer, il padrino dei bambini, che porta alcuni doni stravaganti, come le grandi bambole meccaniche: Colombina, Arlecchino e il Saraceno che rimangono immobili fino a quando non li carica con una chiave e cominciano a ballare per la gioia di tutti gli invitati. I bambini sono estremamente delusi quando questi giocattoli vengono messi via, ma Drosselmayer ha una sorpresa per Clara, uno Schiaccianoci a forma di soldatino. Fritz, naturalmente, inizia subito a rompere i regali e rompe anche le ganasce dello Schiaccianoci, scagliandolo a terra.
[Prima rappresentazione al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, 18 dicembre 1892]
Clara, stanca per le danze della serata, dopo che gli invitati si ritirano, si addormenta sul letto e inizia a sognare. È mezzanotte, e tutto intorno a lei inizia a crescere: la sala, l'albero di Natale, i giocattoli e soprattutto una miriade di topi che, minacciosi, cercano di rubarle lo schiaccianoci. I soldatini escono dalle loro scatole - granatieri, ussari e artiglieri - e inizia una feroce battaglia. Lo Schiaccianoci, ignorando le sue ferite, salta coraggiosamente nella mischia e affronta in singolar tenzone il Re dei topi. Clara, temendo che il suo amato schiaccianoci stia per essere ucciso, getta con tutte le sue forze la sua pantofola contro il Re dei topi, consentendo allo Schiaccianoci di approfittare della situazione e colpire a morte l’avversario. Il vincitore - ora trasformato in un bel Principe - si inginocchia davanti a Clara e la conduce tra i rami del magico albero di Natale, nella foresta invernale, in rotta verso il Regno delle Favole. L'Atto si chiude con lo splendido Valzer dei fiocchi di neve. Atto secondo. I due giovani entrano nel Regno dei Dolci, dove al Palazzo Reale li riceve la Fata Confetto, che si fa raccontare dallo Schiaccianoci tutte le sue avventure, e di come ha vinto la battaglia col Re Topo. Il soldato racconta a Clara la sua avventura e come per un maleficio è stato tramutato in schiaccianoci. Le narra poi del suo viaggio per il mondo e appaiono i protagonisti di tutti gli incontri che ha fatto nei paesi che ha visitato: la Spagna, poi l'Arabia dove ha conosciuto un giovane sceicco e il suo harem, la Cina, la Russia; nel tragitto ha incontrato una pastorella con la sua pecora, ha viaggiato assieme al circo, ed è poi giunto nella terra dei Fiori dove l'Ape regina danza con i grilli.
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Tutto il Palazzo si esibisce in una serie di danze che compongono il Divertissement che
rendono
famoso
il
balletto,
culminando nel conosciutissimo Valzer dei fiori. [Teatro Regio di Torino, 2017]
Clara si innamora e le sembra di vivere una favola dove lei è la principessa e lo Schiaccianoci il suo giovane principe: bello, intrepido e coraggioso. Poi, giunta l'alba, il sogno svanisce. Il risveglio la ritrova nel giardino della casa paterna; le prime luci riscaldano l'aria, Clara vede lo Schiaccianoci vicino a lei e comprende che era stato solo un sogno, ma in lei qualcosa è cambiato. Nella storia della piccola Clara, tra le righe del racconto vi sono i primi dubbi, le prime tensioni amorose di una bambina, tematiche sconosciute fino a quel momento nel mondo della danza. La coreografia dal grandissimo Marius Petipa fu accolta freddamente alla Prima; la suite musicale ebbe invece un enorme successo e lo stesso balletto fu completamente rivalutato negli anni sessanta, entrando a pieno titolo tra i più grandi balletti di repertorio di tutti i tempi. Attualmente è uno dei balletti più rappresentati nel mondo.
H scelto più momenti dello Schiaccianoci da ascoltare e /o vedere: ♫♫ Il 1° brano che vi presento è la Marcia. Il timbro iniziale delle trombe, dei corni e dei clarinetti è di incredibile originalità, e a tale suono risponde un discendente andamento scherzoso e saltellante dei violini, contrappuntati dai pizzicati ascendenti dei bassi. La seconda idea è basata sulla rapidità delle semicrome che trascorrono dai legni agli archi: è stupefacente la brevità di questo secondo tema, che lascia subito il passo al ritorno insistente della prima idea in una sonorità più accesa sino al finale accordo in fortissimo.
ASCOLTO: “ple dida l ese uzio e dei Be li e Philha
o ike di etti da He e t vo Ka aja i
assoluto brio e splendore musicale. ♫♫ La Danza della fata confetto è caratterizzata dall’uso della celesta (una “prima” per la Russia) che Tschaikowskij vide a Parigi, e che volle assolutamente inserire nell'organico strumentale, nascondendola sino all’esordio per evitare che altri compositori potessero utilizzarla nel loro repertorio prima di lui. La celesta ha l’aspetto simile a quello di un pianoforte verticale di piccole dimensioni: il suono viene prodotto da
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uesta edizio e di
alcune lamelle di metallo sospese tramite un sistema di martelletti e comandate da una tastiera (lo stesso sistema viene applicato al pianoforte) e da una pedaliera. La Danza della fata confetto inizia con un pizzicato degli archi, cui segue il suono cristallino e sottile della celesta alla quale si contrappone il timbro cupo e misterioso del clarinetto basso.
VIDEO: Quella che vedremo è una bellissima e virtuosistica versione video del balletto con l i a tevole ballerina Nina Kaptsova, del Teatro Bolshoi di Mosca [nella foto].
♫♫ Danza degli zufoli & Danza russa. Siamo nel 2° atto del balletto: Clara ed il Principe-Schiaccianoci raggiungono il palazzo del Principe nel Regno dei Dolci, dove vengono accolti dalla Fata Confetto, a cui il Principe Schiaccianoci racconta tutte le sue avventure e di come Clara l’ha salvato durante il duello contro il Re Topo, permettendogli di ritrasformarsi in principe. In onore della giovane eroina tutto il Palazzo si esibisce in una serie di danze ispirate ai dolci di tutto il mondo: cioccolato dalla Spagna, caffè dall’Arabia, tè dalla Cina, bastoncini di zucchero dalla Russia; delle pastorelle danesi si esibiscono con i loro flauti e poi arriva Mamma Cicogna con le sue piccole pulcinelle, per concludere con il valzer dei fiori.
VIDEO: Propongo in sequenza due celeberrimi brani tratti dallo Schiaccianoci: la Danza degli zufoli e a seguire la Danza russa, ell i te p etazio e dell A e i a Ballet Theat e o The Natio al Philha
o i O hest a di etta
da Kenneth Schermerhorn.
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♫♫ Corona la Suite sinfonica il Valzer dei fiori, famosissima pagina da concerto che unisce l'atmosfera soffusa e preziosa della miniatura con il clima sgargiante degli accesi colori di una grande orchestra. L'impasto timbrico iniziale, creato dagli oboi, dai clarinetti, dai fagotti e dai corni, ha il compito di annunciare,
dopo
l'elaborata
e
arabescata
cadenza dell'arpa, il primo tema, un dolce cantabile, suonato dai quattro corni cui risponde il clarinetto.
[Balletto Yacobson di San Pietroburgo]
Segue
il
secondo
tema,
rappresentato
dall'attacco degli archi, ai quali rispondono i legni più acuti. Dopo il ripetersi dei due temi, si concretizza un terzo tema, di un fascino assoluto, affidato al flauto e all'oboe. Ad essi subentrano i violoncelli e le viole che propongono, a loro volta, un quarto tema, un'idea che porta alla ripresa del terzo tema, presentato dai violini col raddoppio del flauto. Si ritorna infine all'inizio del valzer, con i quattro corni in mezzoforte, che portano alla conclusione di questo mirabile brano con i tre fortissimi della coda finale.
ASCOLTO: Vi propongo la sontuosa e coloratissima esecuzione dei Berliner Philharmoniker diretti da Herbert von Karajan.
MODEST MUSSORGSKIJ: QUADRI DA UN’ESPOSIZIONE “Voglio non solo conoscere il popolo, ma del tutto affratellarmi ad esso” scriveva il cadetto e proprietario terriero Modest Mussorgskij (1839-1881) ed a questo motto restò fedele anche dopo aver perso ogni ricchezza familiare con la liberazione, nel 1861, dei servi della gleba. Persa ogni risorsa economica, condusse una modesta esistenza alternando il lavoro presso vari Ministeri con l’attività musicale. La sua musica, però, non fu purtroppo sufficientemente apprezzata dalla critica ufficiale a lui contemporanea, ed alcuni dolorosi eventi personali (in particolare la scomparsa della madre e della donna amata), lo fecero precipitare in uno stato depressivo e favorirono la tendenza all'alcolismo (vizio contratto durante la vita militare e dal quale non riuscì mai a liberarsi). Nel 1880 abbandona ogni impiego stabile e si trascina nella miseria negli ultimi mesi di vita finché nel 1881, a 42 anni, muore d’infarto nell’ospedale militare di Pietroburgo.
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Fra le sue opere principali ricordiamo “Quadri di un’esposizione” (1874), un’opera per pianoforte, ispirata ad una serie di opere dell’amico architetto e pittore Viktor Hartmann, morto l’anno precedente, esposte a Pietroburgo. La composizione si presenta come un percorso ideale in cui si alternano pagine descrittive (quadri) con brevi episodi musicali che indicano lo spostamento del visitatore da una sala all’altra (Promenade). In realtà l’autore utilizza i dipinti per creare con forza visionaria quadri musicali autonomi che soddisfano diverse idee creative: il gusto per le scene popolari, il mondo della fiaba e dell’infanzia, il senso del grottesco e del macabro, la concezione epica della storia e della tradizione russa, mentre le Promenade, in sé estranee ai quadri veri e propri, gli servono per raccordare sostanziali variazioni di tonalità, di ritmo e di ambiente. Nel 1922 Maurice Ravel trascrisse per orchestra l’opera di Mussorgskij per farne una versione orchestrale. ♫♫ Ho scelto per questa serata due pezzi: il primo è intitolato Bydlo, che è un carro russo trainato da uno o più buoi. Il carro incede faticosamente sulla scena con una melodia affidata alla tuba su un ostinato ritmico degli strumenti gravi. Nella sezione centrale il tema passa alla piena orchestra con un cospicuo apporto delle percussioni. Nella ripresa il tema viene attribuito ai legni. Il carro esce di scena in progressivo diminuendo lasciando l’eco sonora del suo passaggio.
ASCOLTO: L i te p etazio e, he e
app ese ta il g igio li a ag i olo usso e i fa uasi vede e realmente
l i ede e del carro, è della Chicago Symphony Orchestra, diretta da Carlo Maria Giulini. ♫♫ Nell’ultimo quadro, intitolato La grande porta di Kiev, Mussorgskij rappresentò i lineamenti maestosi della grande porta della città e i suoni delle campane. Il tema musicale è assai vicino a quello delle Promenade, e presenta in maniera decisa il carattere nazionale della musica russa, che acquista una grande solennità, tale da concludere il ciclo con una vera e propria apoteosi.
[Victor Hartmann: La grande porta di Kiev]
ASCOLTO: La Chicago Symphony Orchestra diretta da Leonard Slatkin. Mentre preparavo questa serata il nostro Presidente Nicola mi ha dato un prezioso suggerimento musicale che ignoravo: nel 1971 Emerson, Lake & Palmer registrarono dal vivo e pubblicarono l'album Pictures at
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an Exhibition in cui il trio dei musicisti inserì brani dell’opera di Mussorgskij alternati a loro pezzi originali, e mi ha consigliato di proporlo. In nome dell’universalità della musica, “devo” moralmente accondiscendere a questa intrusione del mondo pop in questa serata classica, trasmettendone un breve except. Ho dedicato, nella serata, questo brano all’amico Lamberto, grande ammiratore di E.L.P.
MODEST MUSSORGSKIJ: UNA NOTTE SUL MONTE CALVO Ispirato da opere letterarie russe e leggende, Mussorgskij scrisse una Fantasia per orchestra, intitolata La notte di San Giovanni sul Monte Calvo (per inciso, il Monte Calvo in questione si trova in Ucraina). Sebbene Mussorgskij fosse molto orgoglioso di questo lavoro, non riuscì mai a farlo eseguire mentre era in vita, e l'opera divenne celebre successivamente nella versione di Rimskij-Korsakov del 1886, che la intitolò Una notte sul Monte Calvo. ♫♫ Lo schizzo sinfonico, lasciato da Mussorgskij si articolava in quattro momenti: Il convegno delle streghe - II corteo di Satana - Trionfo di Satana - Sabba delle streghe. Rimskij-Korsakov riordinò il brano in sei episodi, aggiungendo un tranquillo finale Poco meno mosso dopo l'Allegro feroce. La struttura della Fantasia da concerto è pertanto questa (non necessariamente indispensabile, però, alla comprensione della musica): Suoni sotterranei di voci sovrannaturali - Apparizione degli spiriti delle tenebre e di Satana - Trionfo di Satana e "Messa Nera" - Sabba - Suono della campana che disperde gli spiriti delle tenebre - Sorgere del giorno. L'orchestra è piuttosto nutrita; la percussione include, con i timpani, piatti e grancassa; il loro suono martellante interviene nei momenti di esasperazione fonica e timbrica, ottenuta nel «crescendo» di una geniale sovrapposizione di strati sonori. Allo smalto timbrico si unisce la ricchezza armonica, per cui la Fantasia passa attraverso varie tonalità, prima di giungere al re maggiore del conclusivo Poco meno mosso, avviato dai rintocchi lunghi di una campana, risuonanti in un alone musicale assicurato da flauti, clarinetti, fagotti e violoncelli.
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Sono sei lenti rintocchi, dai quali si distacca una breve frase melodica dei violini in sordina, poi interrotta da altri sei colpi della campana, sostenuti dall'area vibrazione dell'arpa. Dall'evanescenza del quarto rintocco di questa seconda serie di rintocchi, si libera il canto del clarinetto che, dopo il quinto suono della campana, cede il passo al flauto dischiudente, in sette battute. La composizione è stata inserita nel film di Walt Disney Fantasia, che utilizzò un arrangiamento della versione di Rimskij-Korsakov scritto da Leopold Stokowski. Dalla
cima
del
Monte
Calvo,
Satana
(Chernabog), il signore del male e della morte, spalanca le grandi ali e raccoglie intorno a sé creature diaboliche: streghe, demoni, vampiri e gli scheletri dei cadaveri sepolti in terreno sconsacrato. Danzano scatenati,
mentre
Satana
li
afferra
a
manciate e li scaraventa nel cratere infuocato che si apre nelle viscere della montagna e prova un piacere perverso nel trasformare alcuni di questi demoni in animali, prima di darli alle fiamme. Allo scoccare dell’alba, le campane che annunciano il mattino riportano gli spettri nelle tombe, gli spiriti cattivi in città e un impaurito Chernabog nelle viscere del Monte Calvo.
VIDEO: Ved e o la ve sio e video t atta dalla iedizio e di Fa tasia di Walt Dis e del 94 . Leopold Stokowski dirige la Philadelphia Orchestra.
PIOTR ILYICH TSCHAIKOWSKIJ: OUVERTURE SOLENNELLE “1812” OP. 49 Questa popolarissima pagina fu scritta per ricordare la tentata invasione della Russia da parte dell’esercito francese di Napoleone che terminò con una devastante ritirata. E’ realizzata con un'orchestrazione quanto mai brillante e ricca di effetti realistici, che descrive lo scontro dei due eserciti, simboleggiato dalla presenza dei temi della Marsigliese e dell’inno russo. ♫♫ La composizione si apre con un tema corale di viole, violoncelli e contrabbassi su un inno liturgico ortodosso. Dopo una breve melodia dell'oboe solo, la melodia viene ripresa dai fiati in un largo crescendo di tutta l'orchestra. Introdotta da tamburi militari e squilli di corni, si giunge alla battaglia: l'orchestra passa da uno strumento all'altro in crescente concitazione, mentre corni, trombe e tromboni espongono il tema della Marsigliese.
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Infine si innesta la sezione conclusiva del brano, e tra le note dell'Inno ortodosso iniziale, dell'Inno zarista e della Marsigliese a simboleggiare la vittoria del popolo russo sulle armate napoleoniche, l'orchestra si scatena in un esaltante e travolgente en plein strumentale, con campane suonate a tutta forza e colpi di cannone roboanti.
ASCOLTO: I Berliner Philharmoniker diretti da Herbert von Karajan con il Coro dei Cosacchi del Don in una lussu eggia te esplosio e di suo i, i u i te p etazio e di assoluto ife i e to.
PIOTR ILYICH TSCHAIKOWSKIJ: SINFONIA N° 6 “PATETICA” La Sinfonia n° 6 è entrata nella storia con il nome di Patetica, che venne scelto non dall’autore ma dal fratello Modest. Essa non solo è diventata una delle più note pagine musicali del mondo, ma è anche lo sfondo di un grande mistero, quello della morte di Tschaikowskij. Ufficialmente si parlò di morte per colera, ma in realtà fu un suicidio o meglio un forzato suicidio. Alla base, uno scandalo: Tschaikowskij, di tendenza omosessuale, stava degnando di troppe attenzioni il nipote di un alto membro dell’aristocrazia russa che lo andò a denunciare direttamente allo Zar. Le leggi, in proposito, parlavano chiaro: il carcere o il confino, in entrambi i casi l’ignominia sulla carriera del compositore. I suoi ex compagni della Scuola di Giurisprudenza, dove Tschaikowskij si era diplomato prima di abbandonare la pubblica carriera per la musica, decisero di riunirsi in un giurì segreto incaricato di evitare che l’onta dello scandalo cadesse anche sul loro Istituto, tra i più prestigiosi della Russia. Con giudizio sommario Tschaikowskij venne condannato a morte dal giurì, che gli impose di suicidarsi in maniera discreta. Il giorno dopo, uno di loro portò al compositore il veleno che lo ucciderà. I medici accorsi al capezzale nasconderanno la verità della malattia attribuendola al colera.
[Tschaikowskij a 57 anni, nel 1893, anno della composizione della Patetica e della sua morte] La morte di Tschaikowskij, avvenuta pochi giorni dopo la prima esecuzione, fa della Sesta Sinfonia una sorta di testamento artistico nel quale confluiscono tutti gli stati emotivi, spirituali ed affettivi che ne avevano caratterizzato la travagliata esistenza: è una sconsolata confessione di pessimismo, di sfiducia nella vita. Tschaikowskij affermava che la Sinfonia aveva un “programma” che toccava al pubblico indovinare. Sembra quasi una sorta di commiato di chi ha già deciso di porre fine alla sua vita. Il “programma” è fin troppo evidente fin dai primi accordi: la cellula melodica esposta dal fagotto in una atmosfera cupa e disperata richiama l’inciso della Liturgia ortodossa dei defunti esposto da trombe e tromboni al termine dello sviluppo del primo tempo che termina con una coda che richiama una marcia funebre.
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Anche nel trio del secondo movimento (un valzer in 5/4) il funereo pedale di archi e timpani non lascia dubbi. L’Allegro molto vivace del terzo movimento ha un che di sinistro e inquietante fin dalle prime battute. I due temi dell’ultimo movimento si rifanno anch’essi alla Liturgia ortodossa dei defunti (“Requiem eternam” il primo e “Lux perpetua” il secondo) e su quest’ultimo si dissolve la composizione, un Adagio lamentoso che si spegne lentamente e progressivamente fino al silenzio: immagine fin troppo esplicita della morte. [Cimitero Tichvin, San Pietroburgo - Tomba di Tschaikowskij, particolare] Il tema principale dell’intera sinfonia è intriso di un’emotiva profonda tristezza: sparso tra i movimenti vi è il tema dominante del fato che schiaccia il destino e che appare, scompare e ricompare ossessivo nell'intimo dell'uomo, un tempo lento che parla con un accento di sconsolatezza infinita, “patetica” nel gesto scorato di un lamento senza fine.
VIDEO: Vi propongo questo celeberrimo tema, triste e malinconico, tratto dai 1°
ovi e to. L i te p etazio e è
quella del 1984 dei Wiener Philharmoniker, diretti da un Herbert von Karajan, egli stesso malato ma molto ispirato, e per alcuni versi più vicino alla concezione spirituale e sofferta di questa pagina. Guardate la gestualità raccolta della mano sinistra!
PIOTR ILYICH TSCHAIKOWSKIJ: CAPRICCIO ITALIANO Non vorrei chiudere la serata con l’animo triste, ecco pertanto ancora Tschaikowskij, vero mattatore della serata, con il suo celeberrimo e brioso Capriccio Italiano, composizione in cui risalta l'ottimismo e la passionalità del nostro Paese, che egli visitò più volte. La fine del suo matrimonio con Antonina Ivanovna Miljakova e il profondo rapporto che nacque con la ricca vedova Nadezda von Meck [nella foto] segnarono in maniera decisiva la vita artistica di Piotr Ilyich Tschaikowskij. La rendita annua che la von Meck garantì al compositore gli permise di abbandonare la cattedra al Conservatorio, di dedicarsi a tempo pieno alla composizione nell'ultimo quindicennio della sua vita, di viaggiare molto anche all'estero, mietendo ovunque grandi successi. Nel gennaio 1880 Tschaikowskij cominciò anche a comporre a Roma, dove risiedeva in quel periodo, la partitura del Capriccio italiano op. 45, che poi completò a San Pietroburgo nel mese di maggio.
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L'idea di trarre ispirazione da musiche popolari italiane gli era venuta dopo avere assistito ai festeggiamenti per il carnevale proprio tra le vie di Roma. Ne parlò in alcune lettere alla von Meck: «Stiamo assistendo all'acme del carnevale [...]. Naturalmente il carattere di questa festa è determinato dal clima e dalle antiche usanze [...]. Se si osserva bene il pubblico che si accalca in modo così selvaggio sul Corso, ci si convince che l'allegria di questa folla, per quanto
possa
assumere
aspetti
davvero
singolari, in fondo è sincera e naturale. Non ha bisogno né di grappa né di vino, si inebria con l'aria del posto, con questa carezzevole calura». Tschaikowskij abbozzò l'intera composizione in meno di una settimana, utilizzando alcuni canti che aveva ascoltato personalmente per le strade di Roma, altri presi da alcune antologie, e mirando non tanto all'elaborazione tematica quanto alla ricerca dell'effetto: la progressione degli strati di colore, di movimento e di tempo, la sapiente orchestrazione, che sfrutta gli ottoni al completo e un nutrito set di percussioni, permettono a Tschaikowskij di ottenere una partitura luminosa e vitale, piena di atmosfera, di verve, come un vorticoso girotondo. Alla sua prima esecuzione (che ebbe luogo a Mosca il 18 dicembre 1880, sotto la direzione di Nikolaj Rubinstein) il Capriccio italiano fu criticato per una certa superficialità e come esempio negativo di occidentalizzazione e di cosmopolitismo, in un periodo in cui la Russia stava riscoprendo con orgoglio il valore artistico delle proprie radici musicali. ♫♫ Il lavoro si apre con un richiamo delle due trombe (Andante un poco rubato), un segnale militare usato dai soldati della cavalleria italiana che Tschaikowskij - secondo la testimonianza di suo fratello Modest aveva udito provenire da una caserma vicina alla sua abitazione romana. Dopo le fanfare degli ottoni si leva negli archi, all'unisono, una melodia dal carattere mesto, che ha l'incedere di una marcia funebre punteggiata dagli accordi ribattuti dei fiati. Lo stesso tema è poi ripreso dai legni in forma imitativa, e accelerato, su un tappeto di tremoli degli archi. Le due parti seguenti (Pochissimo più mosso e Allegro moderato) si basano su canzoni popolari, molto orecchiabili e piene di humour. La prima, "molto dolce, espressiva", è affidata ai due oboi che si muovono sul pizzicato di violoncelli e contrabbassi; questo motivo viene ripetuto da vari strumenti, variato, fino a espandersi su tutta l'orchestra, in un vero e proprio sfoggio di virtuosismo timbrico); la seconda è uno stornello romanesco, pieno di slancio, accompagnato dagli accordi ribattuti degli archi (come una cavalcata), esposto prima da violini e flauto, poi ribadito dalla cornetta a pistoni, con una frase intermedia, leggera e danzante, punteggiata dal tamburello. Raggiunto il suo culmine, questa esplosione di gioia sonora lascia poi spazio alla ripresa dell'Andante, col suo triste melodizzare.
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Ma poi la festa riprende: inizia con una trascinante tarantella di archi e legni (Presto), poi una ripresa della prima canzone popolare (ma in una diversa tonalitĂ e con i valori dilatati suonata da tutta l'orchestra ("fff largamentissimo", Allegro moderato). E alla fine ancora gli echi della tarantella crescendo,
che
innescano
culminante
l'ultimo
in
un
grande
Prestissimo
impetuoso, pirotecnico, un vero tripudio di colori orchestrali.
ASCOLTO: Molto olo ata ed a i atissi a dalla Orchestra diretta da Daniel Barenboim.
iti a l i te p etazio e della Chi ago “
29
pho
[Oleg Supereco: Monastero della TrinitĂ di San Sergio]
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I grandi direttori del ‘900: Evgenij Mravjnskij NOTE BIOGRAFICHE Evgenij Aleksandrovich Mravinskij, considerato unanimemente il più grande direttore russo della sua generazione, nacque a San Pietroburgo nel 1903 da una famiglia aristocratica attiva nel campo musicale: la zia Evgeniya Mravina era un soprano presso il Teatro Mariinskij, prediletta da Tschaikowskij per la sua interpretazione di Tatiana nell’Evgeny Onegin. Studiò biologia all'Università di San Pietroburgo, ma – morto il padre - dovette abbandonare gli studi nel 1920 per motivi economici. Per mantenersi, lavorò con l'Imperial Ballet come pianista per le prove. Nel 1923 riuscì ad iscriversi nel 1923 al Conservatorio della sua città, dove si diplomò nel 1931, e solo allora poté lasciare il suo lavoro all'Imperial Ballet per diventare assistente direttore al Teatro d’Opera e balletto di Leningrado, diventandone Direttore principale dall’anno successivo. Il 1937 segna una svolta nella sua carriera direttoriale: dirige la prima esecuzione assoluta della Quinta Sinfonia di Shostakovich (la cui Quarta era appena stata ritirata in quanto definita dal regime sovietico musica borghese degenerata), e il successo - oltre a riportare in auge il compositore – gli valse, l’anno successivo a 35 anni, la nomina a Direttore artistico della prestigiosa Filarmonica di Leningrado della quale sarà padre e padrone per 50 anni fino alla morte. Nel giugno 1941 la Germania stracciò il patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop e invase l'Unione Sovietica. Ciò costrinse le autorità a trasferire Mravinskij e la Filarmonica di Leningrado a Novosibirsk in Siberia. Durante quei gelidi anni bui siberiani, Mravinskij e la sua orchestra si esibirono in ben 538 concerti a cui parteciparono più di 400.000 persone, e vennero trasmessi più di 200 concerti radiofonici. Questa esperienza creò un feeling molto speciale tra l'orchestra e il suo direttore musicale, e ne nacque una splendida collaborazione. La “trasferta” siberiana si concluse nel 1944 e tutti poterono tornare a Leningrado. Nel 1946 Mravinskij guidò la sua orchestra nel loro primo tour oltreoceano; nel 1947 eseguirono la prima esecuzione della Sesta sinfonia di Sergej Prokofiev a Leningrado; nel 1953 eseguirono per la prima volta la controversa Decima Sinfonia di Shostakovich.
[Shostakovich (a dx) e Mravinskij nel 1937]
Il rapporto tra il direttore ed il compositore resterà molto stretto fino al 1962, quando il rifiuto di Mravinskij di eseguire in prima esecuzione assoluta la Sinfonia n°13 Babi Yar (secondo Shostakovich per paura delle polemiche causate dal testo poetico di Evtushenko) portò alla fine della loro amicizia. Nonostante
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l’acrimonia sviluppata in seguito da Shostakovich nei suoi confronti, le interpretazioni shostakoviciane di Mravinskij tramandateci sono e restano un punto di riferimento assoluto nella discografia, così come le ultime tre sinfonie di Tschaikowskij registrate in Inghilterra per la Deutsche Grammophon. A questo riguardo, in un’intervista Herbert von Karajan ricordava di aver conosciuto la performance di Mravinskij a Vienna dove la Filarmonica di Leningrado aveva registrato le ultime sinfonie di Tschaikowskij in mono con Mravinskij e Sanderling, e di esserne rimasto molto impressionato. Nella stessa intervista Karajan affermava anche di avere pensato di registrare la Sesta Sinfonia di Shostakovich, ma di aver deciso di non farla dopo aver ascoltato la versione di Mravinskij, secondo lui talmente perfetta da non ammettere possibilità di replica. Nel 1973 gli fu conferito l'ordine di Eroe del lavoro socialista. Evgenij Mravinskij morì a Leningrado nel 1988, all'età di 84 anni.
STILE E DIREZIONE D’ORCHESTRA Molti appassionati individuano nei direttori d’orchestra che gridano (“urlatori” li definiva Isaac Stern) i più intransigenti e temibili direttori d’orchestra della storia. Vi è una seconda categoria: i sussurratori, direttori capaci di gelare un’orchestra senza dover mai alzare la voce, figure temute e un po’ odiate come Fritz Reiner e, appunto, Mravinskij. Gli estratti video dalle sue prove sono impressionanti da questo punto di vista: il modo come il suono dell’orchestra si spegne letteralmente tutte le volte che Mravinskij smette di dirigere per esprimere un appunto è sintomo di un livello di concentrazione quasi parossistico da parte degli orchestrali. Era un direttore autocratico: la sua maschera immobile quasi priva di espressione, il suo gesto parco ed essenziale, i suoi occhi ad anticipare l’entrata delle sezioni sono indimenticabili. Le registrazioni video che ci sono pervenute rivelano che Evgenij Mravinskij aveva un atteggiamento sobrio sul podio, facendo gesti semplici ma molto chiari, spesso senza bacchetta, cionondimeno aveva uno straordinario controllo tecnico sull'orchestra, soprattutto sulla dinamica: cambiava frequentemente il tempo per aumentare l'effetto musicale per il quale si stava impegnando, spesso facendo un uso elevato degli ottoni.
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Le sue letture comunque affascinano i critici: sono tecnicamente precise, dettagliate, sottilmente colorate e altamente drammatiche, ed hanno un'intensità, concentrazione e una spontaneità paragonabile a quella di Wilhelm Furtwängler. In
Occidente,
Mravinskij
è
divenuto
particolarmente noto come interprete di Tschaikowskij e di Dimitri Shostakovich: di quest’ultimo ha diretto in prima esecuzione assoluta ben sei sinfonie, le numero 5, 6, 8 (Shostakovich la dedicò proprio a Mravinskij), 9, 10 e 12. Si racconta che alla prima esecuzione della Sinfonia l'applauso
n.
5
di
subito
Shostakovich, dopo
lo
durante
spettacolo,
Mravinskij prese la bacchetta nella sua mano e lo sventolò sopra la sua testa. Mravinskij ha diretto inoltre la prima della Sinfonia n. 6 di Sergej Prokofiev a Leningrado nel 1947.
DISCOGRAFIA Piotr Tschaikovskji: Symphonies 4, 5 &
Patheti ue .
Leningrad Philharmonic Orchestra, dir. Evgenij Mravinskij Deutsche Grammophon, The Originals - 0289 477 5911 9
Le registrazioni di Mravinskij delle ultime tre sinfonie di Tschaikowskij con l'Orchestra Filarmonica di Leningrado, eseguite
durante
nell'autunno
del
un
tour
1960,
dell'Europa sono
occidentale
pietre
miliari
dell’interpretazione e sono considerate assolutamente indispensabili in ogni discografia dedicata al grande compositore russo. Le incisioni avvennero in due sessioni, la prima a Londra (Sinfonia n. 4), la seconda a Vienna (Sinfonie 5 e 6). Questa serie di tre Sinfonie di Tschaikowskij offre una sintesi avvincente dell'arte di questo direttore d'orchestra, e rivelano un inesausto perfezionismo, un lavoro maniacale di analisi della partitura e una conoscenza profonda della dinamica, il tutto reso ancora più prezioso dalla sua inesauribile immaginazione poetica. In quegli anni il direttore non era ancora noto a livello mondiale, ma dopo queste interpretazioni pubblico e critica elevarono Mravinskij al rango di "leggenda vivente", tanto più che la sua reputazione di conduttore implacabile, di incomparabile autorità e di standard altissimi, si stava già diffondendo.
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Dmitri Shostakovic: Sinfonia n° 5 Leningrad Philharmonic Orchestra, dir. Evgenji Mravinsky Nikolaj Miaskovsky: Sinfonia n° 15 USRR Symphony Orchestra, Mosca, dir: Kirill Kondrashin Audiophile Classics
Non vi è ombra di dubbio che le interpretazioni delle Sinfonie di Shostakovich offerte da Evgeny Mravinskij siano anche documenti storici. L’amicizia che legò i due musicisti è testimoniata da decine di concerti, prime rappresentazioni e dischi d’epoca. Che la direzione di Mravinskij fosse quella voluta dal compositore è ampiamente possibile, per quanto non esistano prove che lo dichiarino apertamente. Questa registrazione è importante a prescindere da ogni altra considerazione storica e rappresenta non solo una valida conferma dell’arte del direttore d’orchestra, ma riflette un clima culturale, quello sovietico, che imponeva un realismo di un’arte sana e popolare, aliena da compromessi decadenti e borghesi, e tutta protesa alle allora recenti vicende storiche della patria comunista. Questa registrazione dal vivo della sinfonia n°5 di Shostakovich su Audiophile è certamente la migliore di Mravinskij sulle opere di questo composizione. La performance è sorprendentemente veloce in tutte le sezioni tranne che per la coda del finale, ed ecco dove Mravinskij ci mostra cosa sta realmente succedendo in questo pezzo, che non è certamente il trionfo del socialismo (o qualsiasi altro tipo), ma un'amara ironia e rabbia. L'assoluta tragedia e dolore che sono rappresentati nel Largo sono catturati con tale intensità e potenza che anche l'ascoltatore più distaccato ne verrà colpito. Il suono della Filarmonica di Leningrado è brillante dappertutto: il sistema sovietico permetteva ripetizioni infinite durante le quali Mravinskij portava i suoi orchestrali a prove asfissianti finché non otteneva esattamente quello che voleva La registrazione è molto buona e il pubblico è per lo più silenzioso. La seconda interpretazione del disco è, la Sinfonia di Miaskovsky, che sfortunatamente non è un pezzo così avvincente, anche se qui viene data una buona performance da Kondrashin e dall'Orchestra dell'URSS: sembra un esercizio accademico fatto da uno studente laureato nell’ambito di un realismo socialista. Il suono è abbastanza buono anche in questa registrazione.
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Dmitri Shostakovic: Sinfonia n° 12 op.
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Leningrad Philharmonic Orchestra, dir. Evgenji Mravinskij Erato Disques Insieme alla Quinta, la Dodicesima è forse la più potente ed "energetica" sinfonia dell'immenso Shostakovich. La tipica atmosfera plumbea delle opere del Maestro è resa soprattutto dai violoncelli e dai contrabbassi. Dall'inizio alla fine, è un tour de force orchestrale, aspro e tumultuoso, che colpisce violentemente l’ascoltatore. Stupendo anche l'uso delle percussioni per una sinfonia che merita di essere la sinfonia simbolo del ventesimo secolo per lo stile innovativo pur senza le esagerazioni della musica contemporanea. Questo disco è affascinante nella sua cruda bellezza: le trombe non si placano mai e attanagliano chi le ascolta; le percussioni sono come quelle di tuono di guerra (come dovrebbe suonare la sinfonia). Altri ammirati interpreti, come Haitink o Bernstein ad esempio, sono magnifici e raffinati e raffinati, ma mancano di quella potenza, dell’atmosfera drammatica della rivoluzione, della guerra e dei crimini contro l'umanità che si sente in Mravinskij. Mravinskij e la sua orchestra hanno sofferto molto e attraverso la sofferenza hanno creato una musica emotiva di una forza immensa, difficile da sentire; oltre a tutto ciò, sono russi: la loro anima è palpabile e coinvolgente. Anche se non è un disco recente, la qualità della registrazione dal vivo è più che buona. L’Orchestra è veramente superba, a mio avviso tra le migliori orchestre del mondo, probabilmente la migliore della musica russa: gli archi sono magnifici, Mravinskij è superbo, impeccabile, il suo aspetto aristocratico aiuta a trasformare la musica in qualcosa dalla potenza rutilante. La registrazione è analogica, imperfetta, ma questa mancanza di suono pulito è ampiamente compensata dal peso e dalla potenza del suono dell’orchestra, sembra di essere seduto nella sala da concerto vicino a tutti gli strumenti, si può persino sentire il proprio vicino tossire. Il mio consiglio è di acquistare il disco: senza, qualsiasi collezione è incompleta.
Igor Stravinskij: Le baiser de la fée Peter Tschaikowskij: Francesca da Rimini Leningrad Philharmonic Orchestra, dir. Evgenij Mravinskij Russian Disc
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Evgeny Mravinskij è noto agli appassionati di musica per le sue straordinarie registrazioni di Tschaikowskij e Shostakovich, è invece molto meno conosciuto per aver diretto opere di Stravinskij. La burocrazia sovietica che supervisionava le arti preferiva il repertorio sicuro dei compositori russi del XIX secolo: se doveva essere suonata la musica del ventesimo secolo, l’assenso veniva dato a quei compositori che avevano resistito alle lusinghe dell'Occidente ed erano rimasti a casa (Shostakovich), o che - da figlioli prodighi - erano tornati all'abbraccio della patria (Prokofiev). Il cosmopolita espatriato Stravinskij, con le sue discutibili tendenze moderniste, non godeva invece di alcuna approvazione e veniva immancabilmente boicottato. Negli ultimi anni come direttore principale della Filarmonica di Leningrado, Mravinskij aveva acquisito abbastanza influenza da poter sporadicamente rappresentare alcune opere di Stravinskij. Sfortunatamente, le registrazioni di quelle esibizioni spesso presentano suoni scadenti. Nel momento (1983) in cui queste performances vennero incise, l'imponente reputazione di Mravinskij e il vento dei cambiamenti politici fecero sì che a Leningrado potesse essere eseguita la musica de Le baiser de la fée (Il bacio della fata) in maniera adeguata. Il famoso livello di precisione tipico di Mravinskij si sposa molto bene con la musica di Stravinskij: tempi e dinamiche sono gestiti con la massima finezza, una parola che Stravinskij apprezzerebbe. Questa registrazione è stata eseguita in concerto, e ha rumori di fondo alla base, ma sono per lo più ridotti al minimo; le voci orchestrali sono chiaramente espresse. La seconda incisione di questo disco presenta Mravinskij su un territorio più familiare: questa esibizione della Francesca da Rimini è a tratti drammatica e commovente, con la vivacità e tensione di una performance dal vivo. In entrambe le registrazioni, il suono è buono, l’affetto stereo è ben bilanciato.
Johannes Brahms: Piano Concerto n° 2 & Symphony n° 3 Leningrad Philharmonic Orchestra, dir. Evgenij Mravinskij. Svatoslav Richter, pianoforte. Praga Digitals Ottimo riversamento SACD di un'interpretazione live del 1961 (Concerto) e del 1972 (Sinfonia). Nel Concerto il piano di Richter, nel primo tempo straripante e violento, rimane sempre in evidentissimo (forse fin troppo) primo piano rispetto all'orchestra, che in alcuni rari momenti perde un po' d'intonazione (evento quasi impossibile: la Leningrado è sempre stata una delle orchestre più perfette). Il tutto però è coinvolgente al massimo, travolgente nei momenti più accesi, dolcissimo in quelli meditativi. Mravinskij è un accompagnatore di classe eccelsa, lascia che il solista si prenda tutta la sua gloria, senza relegare, in nessun momento, l'orchestra in un ruolo secondario.
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Per quanto riguarda la Terza sinfonia, si tratta di un’interpretazione essenzialmente lirica, piena di sfumature e sonorità particolari, che non trovano riscontro in altre interpretazioni: non che questa sia migliore di altre famose (Giulini con la Philarmonia, tutte quelle di Furtwangler, Markevitch, Svetlanov, Kondrashin, Karajan con i Wiener, Kertesz, Kurt Sanderling, Schuricht, Toscanini con la Philarmonia) ma il suo ascolto affascina e qui la Filarmonica di Leningrado sfodera tutto il suo repertorio di fantastici suoni; in ogni caso, secondo me, le registrazioni live hanno un tocco in più che quelle da studio.
AA.VV. (Beethoven, Shostakovich, Wagner, Mozart, Tchaikovsky, Mussorgsky, Glinka, Glazunov) Leningrad Philharmonic Orchestra, dir. Evgenij Mravinskij Erato Mravinskij morì nel 1988. Alcuni mesi dopo, l’Unione Sovietica crollò, gli artisti poterono viaggiare più largamente in Occidente e si aprirono gli archivi dell'ex blocco sovietico (radio, filmati, registrazioni, ecc.). Nel 1992, Erato decise di ristampare diverse registrazioni di concerti
del
direttore
d'orchestra
russo,
riprendendo
indirettamente il lavoro iniziato dall'etichetta Philips alla fine degli anni '80. Con queste versioni, Erato è riuscito a mantenere viva l'aura eccezionale di Mravinskij. Questo cofanetto di 12 CD contiene la maggior parte delle registrazioni ufficiali di Mravinskij in circolazione, ed è davvero un peccato che questo gigante russo del podio abbia lasciato così poche registrazioni. In questo cofanetto la qualità artistica e il valore di ogni interpretazione del maestro russo è sempre elevatissima, da Shostakovich a Tschaikowskij, da Mozart a Beethoven, con interpretazioni dal taglio personale, perfettamente assecondate dalla "sua" Orchestra di Leningrado. Le registrazioni live hanno un suono eccezionale. Le sinfonie di Shostakovich nn. 5, 10 e 12 non hanno mai avuto un suono migliore di questo. I toni dell'orchestra portano una nuova visione a queste opere: gli ottoni, gli archi, le percussioni hanno un suono unico che non assomiglia a nessun'altra orchestra. Le sinfonie di Beethoven, 1, 3, 5, 6, 7 hanno un suono veloce, eccitante e diverso. Le sinfonie 5 e 6 di Tschaikowskij sono patrimonio indissolubile di Mravinskij e beneficiano di queste grandi registrazioni dal vivo. Le sinfonie Mozart 33 e 39 suonano fresche ed eccitanti.
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Il disco di Wagner offre alcune variazioni nelle date di registrazione, ma contiene alcune buone prestazioni. Purtroppo la qualità delle registrazioni, effettuate in Russia dagli anni '60 agli anni '80, è molto diseguale, con molti casi di registrazioni quasi inascoltabili, ma per fortuna ci sono registrazioni decorose che consentono di apprezzare a pieno la sublime arte del direttore russo.
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La Compagnia dei Balletti Russi di Sergej Djaghilev LA STORIA I Balletti Russi (nome originale Ballets Russes) era il nome di una compagnia di danza classica, la cui comparsa segnò la rinascita della danza nel Novecento. Fu fondata dall'impresario russo Sergej Djaghilev, [nella foto] un organizzatore geniale, appassionato dell’arte in generale ed in particolare della musica e del balletto. La compagnia comprendeva i migliori giovani ballerini russi, quasi tutti provenienti dal teatro Mariinskij: tra questi Anna Pavlova e Vaslav Nijinskij, (la stella della compagnia, con cui l’impresario ebbe un’appassionata relazione omosessuale). Per il debutto della Compagnia, Djaghilev non era riuscito ad ottenere il Teatro dell’Opéra e
dovette accontentarsi di presentare la sua prima
stagione di balletti al Théatre du Châtelet, una sede fatiscente che fece restaurare senza parsimonia. Il 18 maggio 1909 i parigini poterono assistere alla prova generale del primo spettacolo dei Ballets Russes. Il giorno successivo avvenne la loro prima esibizione: lo spettacolo suscitò un gran scalpore e diede inizio ad una nuova fase del modo di intendere la danza, tanto che da allora la storia di quest’arte si divide in due periodi, prima e dopo i Balletti Russi. La prima e più importante fase dei Ballets è quella che partendo dal maggio del 1909 arriva al 1914: è il periodo dichiaratamente “russo”, e fu eccezionale. A San Pietroburgo Djaghilev ebbe modo di ascoltare i primi lavori per orchestra del giovane Stravinskij, e ne fu tanto impressionato da chiedergli di arrangiare alcuni brani di Chopin per i Balletti russi. Nel 1910 gli commissionò la prima partitura originale per i balletti: L’uccello di fuoco. Poco dopo seguirono Petrushka (1911) e Il rito della primavera2 (1913). I due lavorarono insieme anche in Pulcinella (1920) e Les Noces (1923). L’Oiseau de feu, che rivelò un giovane compositore di nome Igor Stravinskij e Shéhérazade, il cui Oriente leggendario stupì gli spettatori, furono i due grandi eventi della stagione del 1910. [Stravinskij Djaghilev e Serge Leifar]
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Vedi i
uesto stesso u e o la sto ia di uesto alletto ella sezio e Gli a i i… del g a
ofo o alle pagg. 47-74.
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Quella successiva del 1911 fu ancora più stupefacente: Petruška e Le spectre de la rose, due fra i balletti più esaltanti di Mikhail Fokin fecero la loro apparizione. Quando Djaghilev vide Chopiniana di Mikhail Fokine, si rese conto immediatamente del talento dello stesso, della sua competenza e del suo coraggio, al punto che lo nominò capo coreografo della sua compagnia del Balletti Russi. La stagione del 1912 passò alla storia per la nascita di un altro imperituro capolavoro che suscitò un grande scandalo: l’Après-midi d’un faune, coreografato ed interpretato da un inimitabile Vaslav Nijinsky, il cui scandalo però dovette risultare minore se confrontato con quello cui andò incontro l’anno successivo Le Sacre du Printemps. [Vaslav Nijinsky in Le Spectre de la Rose. 1913]
Meno vivace risultò invece l’ultima stagione prima della guerra, in cui tuttavia si segnalò il ritorno di Mikhail Fokine, dopo la rottura per la preferenza accordata da Sergej Djaghilev al pupillo Vaslav Nijinsky, nonché l’apparizione del nuovo astro nascente Léonide Massine. Durante i devastanti anni della Prima Guerra Mondiale (1914-18) la compagnia si trovò tagliata fuori dai grandi circuiti dell’Europa occidentale di Londra, Parigi, Berlino e Montecarlo. Improvvisamente tutto cambiò: se nel 1914 Djaghilev e Stravinskij erano rispettabili cittadini dell’Impero russo, quattro anni dopo si trovarono improvvisamente a essere esiliati e senza patria, in fuga da una Russia bolscevica devastata dalla guerra civile.
[Léonide Massine]
Dopo la rivoluzione russa del 1917, Djaghilev dovette trasferirsi all’estero. Le sue provocazioni, la sua tendenza nazionalista, la sua propensione ad agitare le coscienze gli avevano creato numerose difficoltà in Russia, soprattutto con Teljakovsky, il direttore dei Teatri Imperiali. Il nuovo regime sovietico, quando fu evidente che egli non poteva essere richiamato indietro, lo condannò per sempre come un esempio particolarmente insidioso di decadenza borghese. Tagliati i rapporti con la madrepatria, la compagnia trovò a Parigi la sua rinascita. Inizia la seconda fase, che a grandi linee parte dal 1917 e procede fino alla morte di Djaghilev nel 1929. In Francia Djaghilev commissionò musica da balletto a compositori quali Claude Debussy (Jeux, 1913), Maurice Ravel (Daphnis et Chloé, 1912), Erik Satie (Parade, 1917), Richard Strauss (Josephs-Legende, 1914), Sergej Prokofiev (Ala and Lolly, rifiutata da Djaghilev e trasformata nella Scythian Suite, e Chout), Ottorino Respighi (La boutique fantastique, su musiche di Gioachino Rossini, 1918), Francis Poulenc (Les
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Biches, 1923), Manuel de Falla e altri ancora. Il compositore più importante per la collaborazione con Djaghilev fu però Igor Stravinskij. Quanto agli scenografi appaiono i nomi di Pablo Picasso, Giorgio De Chirico, Giacomo Balla, i Futuristi italiani di Marinetti. Nel 1917, al Teatro Costanzi di Roma, va in scena Feu d’artifice, un balletto astratto ideato dal futurista Giacomo Balla, dove l’azione era affidata unicamente a luci colorate che si accendevano e spegnevano in sincronia con il brano musicale di Stravinskij. [Bozzetto di Giacomo Balla per Feu d’artifi e] Per l’occasione, al posto del solito fondale pittorico, Balla aveva costruito una scena composta da volumi geometrici di varie forme e dimensioni, una sorta di paesaggio astratto che si animava sotto l’azione delle luci. Del tutto rivoluzionaria la decisione di rinunciare al contributo dei ballerini, per realizzare uno spettacolo del tutto astratto, privo della componente umana. Un atteggiamento spregiudicato riproposto per la messa in scena di Parade, un balletto di Cocteau-Satie su coreografia di Massine presentato a Parigi il 18 maggio 1917. Lo spettacolo si componeva di numeri solistici, molto diversi fra loro, che rappresentavano la parata di un circo. Autore delle scene e dei costumi fu Picasso, a cui si deve la stupefacente invenzione dei costumimanichino ideati per le grottesche figure dei due manager che comparivano in scena fra un numero e l’altro, realizzati attraverso un assemblaggio di elementi incastrati e sovrapposti. Il costume lasciava libere le gambe, ma con il suo ingombro limitava la libertà d’azione, costringendo i danzatori, trasformati in una sorta di sculture semoventi, a muoversi a passi cadenzati e martellanti d’automa. Di Picasso si ricorda anche il monumentale (10.4 m x 11.7 m) sipario de Le Train Bleu, disegnato dallo spagnolo nel 1924 e da lui formalmente dedicato a Djaghilev. La tela è una copia del quadro Deux Femme Courant Sur La Plage (“Due donne corrono sulla spiaggia”), che Picasso dipinse nel 1922. Due anni dopo, Djaghilev gli chiese di poter usare il dipinto come sfondo durante l’ouverture dell’orchestra per uno degli spettacoli dei Balletti Russi. Picasso accettò e il quadro fu trasformato in sole 24 ore in un’enorme tela dall’artista Alexandre Shervashidze. Picasso giudicò il risultato così straordinario che decise subito di firmarlo e dedicarlo all’amico Djaghilev.
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Sarà il sipario ufficiale dei Balletti Russi per gli anni a venire. E se le dimensioni sono sorprendenti, ancora di più lo sono i segni dell’usura, le pieghe sulla sua superficie, un testamento alla durezza della peripatetica esistenza di Djaghilev e della sua troupe durante i vent’anni della loro esistenza.
Siamo alle soglie degli anni ’20: i tempi stavano cambiando, lo slancio e lo smalto non somigliavano più a quelli delle prime stagioni, cominciò a pesare una certa disaffezione del pubblico, dovuta agli avvenimenti sociali e politici; si aggiunsero anche le difficoltà finanziarie. La Compagnia, anche se nacquero altri capolavori, non fu più in grado di offrire i brillantissimi risultati d’un tempo, forse anche perché i programmi finirono col risultare troppo eclettici. Tuttavia il bilancio di questo secondo periodo non fu totalmente negativo. A partire da Parade (1917) si disegna il nuovo orientamento di Djaghilev proiettato verso un’arte di rottura. Il celebre balletto parodistico di Léonide Massine provocò l’ennesimo scandalo, anche se non della portata de Le Sacre du Printemps. Sarà proprio George Balanchine, ormai orientato verso la coreografia, a firmare gli ultimi balletti della grande stagione dei Balletti Russi: Apollon Musagète e Le fils prodigue. Anche se non furono compresi fino in fondo, sono autentici capolavori che chiuderanno una gloriosa e irripetibile storia. Djaghilev morì a Venezia il 19 agosto 1929 all’Hotel des Bains, al Lido, assistito dal suo giovane ballerino Serge Lifar e dal segretario Boris Kochno. Morì in povertà, tanto che il suo funerale fu pagato dalla sua amica Coco Chanel. Fu sepolto nella parte ortodossa del cimitero di San Michele, a Venezia. I Balletti russi si sciolsero alla sua morte ma alcuni suoi membri portarono in giro il loro lavoro rinvigorendo o creando tradizioni di balletto negli Stati Uniti (George Balanchine) e in Gran Bretagna (Ninette de Valois e Marie Rambert). Il maestro di ballo Serge Lifar proseguì a far rivivere l’Opera di Parigi.
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L’ARTE DEI BALLETTI RUSSI I Balletti Russi furono concepiti come la sintesi vivente di tre arti, musica, danza e pittura: fu impressionante e geniale la capacità di Djaghilev di far lavorare assieme pittori, musicisti con coreografi e drammaturghi in modo che il contributo di ciascuno si armonizzasse con quello degli altri e che nella creazione, equilibratissima, nessuna disciplina artistica rivestisse un ruolo dominante. Ponendosi come obiettivo estetico la collaborazione tra le arti teatrali ai massimi livelli, Djaghilev si mostra continuatore dell’opera d’arte totale, la Gesamtkunstwerk wagneriana.
[Tamara Karsavina e Mikhail Fokine nell'Uccello di Fuoco. 1910]
I Balletti Russi sorpresero per la loro innovazione rispetto ai canoni classici della danza. Djaghilev fu un pioniere nell’adattare i nuovi stili musicali dei primi del Novecento al balletto moderno senza preoccuparsi di suscitare scandalo o indifferenza. La rivoluzione creata dalla visione di Diaghilev nel mondo del teatro influenzerà le arti visive e la danza cambiando per sempre non solo coreografie e scenari, ma anche il gusto del pubblico. Su una sessantina di lavori creati, almeno un terzo dell’intera produzione è tuttora presente nel repertorio di tutte le compagnie del mondo. I primi trionfi furono dovuti all’attrattiva della novità, all’esotismo, al lusso, che circondava ogni spettacolo ma anche, spogliati da tutti questi elementi, balletti come L’Oiseau de feu, Petruška, Shéhérazade, Le spectre de la rose, Les Sylphides, L’Après-midi d’un faune, restano monumenti assoluti della coreografia moderna. Djaghilev lasciò in eredità una costellazione di artisti, che per oltre un quarto di secolo, anche dopo la sua morte, occuparono un posto da protagonisti sulle scene mondiali. Da Léonide Massine a George Balanchine, da Serge Lifar a Bronislava Nijinska da Anton Dolin a Ninette de Valois. Diversi furono gli artisti e stilisti coinvolti nella realizzazione dei costumi per i Balletti Russi e che a loro volta furono inspirazione per altri creatori di moda, è il caso di artisti come i futuristi Depero (per La Chant du Rossignol) e Giorgio de Chirico (per Le Ball [nel riquadro la scenografia dipinta da de Chirico]), il cubista Pablo Picasso (per Parade, Tricorne e Pulcinella), il fauvista Henri Matisse, Sonia Delaunay (per Cleopatra) e perfino Coco Chanel che disegnò i
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costumi per Le Train Bleu nel 1924, dove
i
ballerini
indossavano
dei
costumi da bagno e abbigliamento sportivo realizzati in jersey: la stilista ottenne
in
tal maniera
una gran
pubblicità per la propria linea di moda. [Costumi di Coco Chanel per Le train bleu]
Il genio creativo più grande all’interno dei Balletti Russi fu forse Leon Bakst chi con i suoi costumi riuscì a conferire
ai
balletti
quella
tensione
erotica
e
orientaleggiante che tanto affascinò il pubblico nei primi decenni del secolo scorso. I suoi disegni, seguivano le linee naturali del corpo, liberandolo da orpelli inutili che ne impedivano il movimento; egli cercava di caratterizzare il personaggio e il suo stato d’animo grazie ad accostamenti di colori particolari e alle tonalità accese che, insieme agli accessori, creavano un ritmo visivo che si trasformava ed evolveva con la storia narrata. Balletti come Cléopâtre (1909) e Scheherazade (1910) fecero sognare alle donne con turbanti, caftani, piume e perle, mentre L’Après-midi d’un Faune (1912) e Narcisse (1924), portavano reminiscenze del mondo antico insieme alla voglia di tuniche, veli e drappeggi. [Costume di Cleopatra disegnato da Sonia Delaunay]
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[Sergej Djaghilev ritratto da Valentin Aleksandrovich Serov]
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Gli Amici della… danza
« Le Sacre du printemps » di Igor Stravinskij
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LA STORIA Igor Fëdorovic Stravinskij è un compositore russo naturalizzato statunitense (1882-1971) tra i più importanti del Novecento; ha rivoluzionato l'orchestrazione tradizionale e reinventato il balletto moderno con l'uso di stili compositivi e linguaggi musicali diversi dai precedenti. Le pagine che meglio rivelano il senso dirompente della presenza stravinskiana nel quadro della musica russa di inizio ‘900 sono tre balletti, L'oiseau de feu, Petruška e Le sacre du printemps, caratterizzate tutte da una matrice popolare russa, da una frequente politonalità (e comunque un uso piuttosto libero delle dissonanze 3), ma soprattutto da un'invenzione ritmica senza precedenti. Il balletto Le sacre du printemps venne commissionato a Stravinskij nel tardo autunno del 1912. Vorrei da subito precisare che la usuale traduzione in italiano La sagra della primavera è errata: il termine Sacre indica un atto sacro rituale, e quindi la composizione va tradotta in “Il rituale della primavera” (o “Il rito della primavera”), io la identificherò sempre con il nome originale Sacre. L’idea dell’opera venne a Stravinskij nel 1910, mentre lavorava all’Uccello di Fuoco per la compagnia dei Balletti russi. Il compositore stesso descrive quel momento nelle Chroniques (una delle sue biografie): “Un giorno, ho visto nella mia immaginazione lo spettacolo di un grande rito sacro pagano: i vecchi saggi, seduti in cerchio, osservano la danza di morte di una giovane vergine (l’eletta), sacrificata per propiziare il Dio della primavera”. [Djaghilev e Stravinskij, 1921]
Il compositore pensò di proporre il tema della Sacre a Sergej Djaghilev (fondatore della compagnia dei Balletti russi) che ne fu subito entusiasta: Stravinskij iniziò quindi a lavorare con Nikolas Roerich, pittore e scenografo specializzato nell'evocazione del paganesimo, nonché con Djaghilev stesso, per definire la forma dell'opera. Nonostante la folgorazione e l'entusiasmo di Djaghilev, che immediatamente ne vide le potenzialità per un nuovo balletto, la realizzazione non fu immediata: Stravinskij era occupato dalla composizione di Petruska che lo impegnò dalla metà del 1910 alla metà del 1911 e solo dopo la sua rappresentazione,
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La disso a za è l’asse za di a
o ia (consonanza) tra due o più suoni simultanei.
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avvenuta nel giugno del 1911, poté pensare alla stesura della Sacre e alla sua concretizzazione scenica, in collaborazione con Roerich. Nei primi mesi del 1912 Stravinskij terminò la partitura, il cui copione ci è giunto in tre differenti versioni; l'ultimo e definitivo divide la Sacre in due grandi quadri: l'Adorazione della terra e il Sacrificio. Il principio dinamico fondamentale di questa composizione è il ritmo, di sicuro l'aspetto più innovatore, spettacolare e sconcertante: l’opera presenta ritmi ossessivi e prevede insoliti utilizzi dei diversi strumenti con lo scopo di creare tensione e stridenti effetti timbrici. Al contrario, il mondo delle emozioni romantiche non trova accoglienza nella Sacre: non appaiono espressioni di emozioni come l'amore, l'amicizia, il dolore, la nostalgia o simili; ne deriva una musica il cui tempo drammatico è sospeso, proprio come in un rito. Roerich così descriveva l'azione: "Nel balletto Le sacre du Printemps, così come lo abbiamo concepito io e Stravinskij, il mio scopo è presentare un certo numero di scene che manifestano la gioia terrena e il trionfo celestiale secondo la sensibilità degli slavi. La prima scena deve trasportarci ai piedi di una collina sacra, in una pianura rigogliosa, dove le tribù slave sono riunite per celebrare i riti della primavera. In questa scena c'è una vecchia strega che predice il futuro, un matrimonio dopo un rapimento, le danze in tondo. Poi viene il momento più solenne. Il vecchio saggio è condotto dal villaggio per imprimere il suo sacro bacio sulla terra che ricomincia a fiorire. Durante questo rito la folla è in preda a un terrore mistico. Dopo questo sfogo di gioia terrestre la seconda scena suscita intorno a noi un mistero celestiale. Giovani vergini danzano in circolo sulla collina sacra, fra rocce incantate; poi scelgono la vittima che vogliono onorare. Immediatamente ella danzerà davanti ai vecchi vestiti di pelli d'orso per mostrare che l'orso era l'antenato dell'uomo. Infine gli anziani dedicano la vittima al dio Jarilo". Vaclav Nizinskij fu il coreografo del balletto. [Danzatori in costume popolare, durante la prima della Sacre del 1913 al Paris Champs Elysées Theatre. Keystone-France/Getty Images] L’asprezza della musica con i suoi intensi ritmi primordiali suggerì al coreografo l’ideazione di posizioni contorte, flessioni, rovesciamenti, tutte figure lontane dalla danza accademica. Nijinsky colse queste sensazioni creando movimenti duri, primitivi, con le gambe en dedans, (ovvero il movimento di rotazione interna dell’anca in modo che le dita del piede guardino in avanti o in dentro), le braccia che dondolavano pesanti, le teste che penzolavano di lato con gruppi di ballerini che formavano masse sul palcoscenico, i passi semplici e naturali. La Sacre debuttò al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi il 29 maggio 1913, di fronte ad un pubblico abituato alla grazia, all'eleganza e alla musica tradizionale dei balletti "convenzionali", come Il lago dei cigni di Tschaikowskij. Il direttore era Pierre Monteux.
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Sia il balletto che la musica erano qualcosa di radicalmente nuovo. Gli spettatori della prima rappresentazione non gradirono né i suoni né i movimenti decisamente inusuali dei ballerini relativi a riti pagani, passioni brutali e sacrifici umani, e provocarono una vera e propria rivolta nel teatro: i fischi furono talmente forti da coprire la musica, per quanto essa fosse forte. La contestazione del pubblico al lavoro di Stravinskij avvenne sin dai primi minuti del pezzo, con il pubblico che fischiava rumorosamente in risposta alle note disarmoniche che accompagnavano l'assolo di apertura del fagotto. Inoltre, la musica non convenzionale del lavoro, la coreografia innaturale (i ballerini danzavano con le braccia e le gambe piegate e cadevano sul pavimento forte) e l'impostazione pagana russa non riusciva a conquistare il consenso del pubblico. Mentre il balletto progrediva, cresceva il disagio del pubblico. Sorsero divergenze tra i favorevoli al lavoro di Stravinskij e quelli che lo contestavano, gli argomenti alla fine si trasformarono in risse e dovette intervenire la polizia, che arrivò all'intervallo e riuscì a calmare la folla arrabbiata. All'inizio della seconda metà, la polizia non riuscì a tenere sotto controllo il pubblico e riprese la feroce contestazione. Durante tutta la rappresentazione Nijinskij stava in piedi su una sedia e gridava a squarciagola ai ballerini: "Sedici, diciassette, diciotto..." (si servivano di un conteggio convenzionale per segnare le battute): naturalmente i poveri ballerini non sentivano niente a causa del tumulto della sala. Nijinskij era fuori di sé dalla rabbia e in procinto di balzare in scena da un momento all'altro, trattenuto a stento dallo stesso Stravinskij. Djaghilev, per far cessare il fracasso, dava ordini agli elettricisti ora di accendere, ora di spegnere la luce nella sala. Stravinskij rimase meravigliato: alla prova generale a cui avevano assistito, come sempre, numerosi artisti, pittori, musicisti, letterati e i rappresentanti più colti della società, tutto si era svolto in modo calmo e niente faceva presagire che lo spettacolo avrebbe provocato quella gazzarra. Stravinskij rimase così sbalordito dalla reazione del pubblico, che fuggì dalla scena prima che la rappresentazione fosse finita. Il significato dell’opera. La spiegazione più verosimile è quella che lo stesso Stravinskij scrisse nelle sue memorie. Al grande pianista polacco Arthur Rubinstein il compositore russo spiegò che l’opera parlava dell’origine della natura e del suo convulso e disordinato sviluppo. Naturalmente, a un primo ascolto, tutto pare caotico ma, a ben vedere, la coerenza strutturale di questa composizione rappresenta uno dei più grandi esercizi intellettuali del XX secolo: tutti i temi e ogni singola nota sono infatti legati insieme in una struttura che al tempo stesso è imponente e sottile. In altre parole, nonostante le esplosioni sonore di straordinaria violenza che spesso colgono l’ascoltatore di sorpresa, ogni nota di questa partitura ha un ruolo ben preciso nel contesto complessivo dell’opera. La Sacre riveste una importanza fondamentale nella storia della musica: sotto molti aspetti essa segnò la fine di un’epoca e, insieme alle opere pittoriche di Picasso e di Braque, annunciò l’avvento di una nuova
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era, caratterizzata dall’incertezza e da contraddizioni. Non può quindi meravigliare il fatto che, nel corso della prima esecuzione parigina, il pubblico abbia manifestato un crescente dissenso. Quest’opera sancisce una rottura radicale con il passato. È quasi come mettere un dipinto di Raffaello vicino a Guernica di Picasso, il famoso quadro che ritrae gli orrori della guerra civile spagnola: due universi tra di loro completamente estranei non solo nella forma ma anche nei contenuti, nelle atmosfere e nei significati. Ma è sempre arte!
La Sacre con le sue variazioni metriche, la sua sconvolgente energia, le sue dissonanze quasi tonali e il rifiuto dei canoni armonici e melodici fino a quel momento comuni, rappresentò una vera e propria bomba: ci troviamo di fronte a un’opera che ci racconta non solo la nascita della natura ma anche la nascita di un mondo tormentato, un mondo che avrebbe portato una rottura radicale con il passato. Proprio come la 9a Sinfonia di Beethoven ha cambiato il futuro della composizione sinfonica, la Sacre ha cambiato il futuro del balletto. Fino a quel momento, il balletto era bello, elegante e affascinante: con quest’opera Stravinskij ha introdotto nuovi concetti nella musica e nella danza e, conseguentemente nella storia della cultura. Anche in seguito a quella storica serata, la partitura della Sacre rimase a lungo il simbolo della musica moderna, in ogni senso: se da un lato la sua apparizione parve sconvolgere tutti i canoni della bellezza e del gusto per l'inaudita violenza con cui si evocava l'irruzione di forze selvagge e primordiali, d'altro canto l'originalità della sua lingua barbarica e "primitiva" esercitò un influsso notevole, e non solo tra le avanguardie musicali del tempo. La radicale novità della partitura, percepibile soprattutto nell'invenzione ritmica, di una ricchezza e complessità senza precedenti, ma estendibile anche ai parametri armonici e melodici, si basava su una visione formale profondamente emotiva, ma improntata anche a una evidenza insieme classica e popolare.
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GUIDA ALL’ASCOLTO La Sacre du Printemps si divide in due grandi quadri: l'Adorazione della terra e il Sacrificio.
Parte I: L'adorazione della Terra 1. 2. 3. 4. 5. 6.
Introduzione Presagi primaverili - Danze degli adolescenti Gioco del rapimento Danze primaverili Gioco delle tribù rivali - Corteo del saggio - Il saggio Danza della terra
[Bozzetto parziale di Nicholas Roerich per la produzione di Djaghilev del 1913 di Le Sacre du printemps]
E’ primavera, la terra è ricoperta di erba e fiori, e regna una grande gioia. Gli uomini si abbandonano alla danza e, secondo il rituale, interrogano l'avvenire. L’Introduzione de L'Adorazione della terra si apre con il celeberrimo assolo del fagotto al registro acuto derivato da una melodia popolare lituana. Fin dall'inizio vi è un clima di arcaica staticità, cui ben si attaglia il titolo di "Notte pagana" suggerito dal compositore per il grande sacrificio: qui è come se la musica volesse rappresentare il timore suscitato dalle grandi forze cosmiche della creazione, "il risveglio della natura, lo stridio, il rodio, i movimenti di uccelli e bestie", secondo un'indicazione del compositore stesso. Alcuni caratteri fondamentali si delineano già in questa introduzione: i motivi si riducono per lo più a frasi brevi e incisive, quasi formule elementari, che hanno però già in sé le forze della propria trasformazione; il ritmo, anche attraverso l'uso frequente dell'ostinato, provoca l'impressione di un impulso inarrestabile, che non è solo quello realistico della danza, ma assurge anche a valore simbolico di esasperazione del movimento; le sovrapposizioni politonali e le dissonanze creano un’atmosfera che acquista via via un sempre più marcato senso drammatico. Nei Presagi primaverili la musica si muove su un accordo pulsante dall'accentazione irregolare: l’ansia dell'attesa, la difficoltà a individuare il futuro generano un notevole senso di confusione e timore. Compare qui il primo andamento ossessivo dell'opera; tuttavia, quando il tessuto sonoro rischia di farsi ripetitivo, il compositore interrompe la sequenza con un canto tradizionale russo, un Chorovod, la danza circolare in onore della primavera, che dona solennità e spazialità religiosa alla scena. Stravinskij gestisce
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il materiale combinandolo e alternandolo per creare un puro gioco di forme che aumenta o diminuisce la tensione sorprendendo l'ascoltatore.
[I costumi originali di Nicholas Roerich] Sul primo staccato e violento degli archi e dei corni, segue la “Danza degli adolescenti”, in cui i giovani sono iniziati da una vecchissima donna ai misteri della natura. Nel brano successivo (Gioco del rapimento) il compositore introduce altre novità: fa combaciare una struttura ritmica semplice e una struttura metrica irregolare al fine di descrivere l'antagonismo degli elementi in scena (inseguimento dei rapitori e fuga della vittima). Tale fattore ritmico caratterizza anche la sezione intitolata Danze primaverili, introdotte da un lungo trillo dei flauti, dove, a piena orchestra, ricompare anche il solenne Chorovod. Il passaggio di strutture ritmiche e di cenni tematici da un brano all'altro assicura all'opera una certa unità. I trilli dei flauti fanno nuovamente da preludio al Gioco dalle tribù rivali, in cui entrano con prepotenza le percussioni, che assumono l'importanza quasi di una sezione orchestrale a sé stante. Episodi di opposta spettacolarità sono il Corteo del saggio, che culmina nella straordinaria magia evocativa del "bacio della terra", glorificazione della Primavera, e la vorticosa Danza della terra, momento di estrema forza che chiude la prima parte con l'esplosione di un caos primordiale con un effetto volutamente elementare, primitivo.
Parte II: Il sacrificio 1. 2. 3. 4. 5. 6.
Introduzione Cerchi misteriosi delle adolescenti Glorificazione dell'Eletta Evocazione degli antenati Azione rituale degli antenati Danza sacrificale (l'Eletta)
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Il sacrificio inizia con una melodia lenta e misteriosa, ma fredda, che crea un clima di attesa sacrificale. Nei freddi armonici degli archi e negli echi dei corni si fa luce un tema di un singolare e astrale lirismo. Nei Cerchi misteriosi degli adolescenti, intrisi ancora della medesima atmosfera velata, questo tema si dispiega in un incedere quasi ipnotico, trepido e struggente. Viene prescelta la vittima che deve essere sacrificata alla primavera.
A questo momento di ripiegamento lirico, segue, avviata dal tamburo, in un brusco accelerando, la Glorificazione dell’eletta, dove si rende gloria e si acclama colei che è stata designata per essere accompagnata agli Dei. Questa sezione è per potenza e originalità uno dei culmini dell'opera. L'assenza dei bassi, gli slanci verso il sovracuto, le proiezioni sonore discontinue, sembrano sfidare ogni legge musicale e si pongono in contrapposizione con i brani successivi, dotati entrambi di un andamento più processionale. La solenne Evocazione degli antenati e la successiva Azione rituale degli antenati, ristabiliscono il carattere religioso del sacrificio. Si avvicina l'epilogo, la danza sacrale della vittima designata a morire per propiziare il rinnovarsi della primavera. Nella Danza dell'eletta, il furore ritmico raggiunge l'apice del più orgiastico parossismo, rimettendo in gioco tutte le possibilità strutturali sperimentate nell'opera e non lasciando più dubbi sul carattere barbarico del sacrificio. Dopo una danza folle e disperata, l’Eletta crolla al suolo priva di vita, trasmettendo alla Natura la sua giovinezza.
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IL BALLETTO Vaslav Nijinski Dalla sua creazione nel 1913, La Sacre du Printemps, coreografata da Vaslav Nijinski (passato alla storia della danza, e al mito, per le sue eccezionali qualità di danzatore) ha stuzzicato l'immaginazione di circa duecento coreografi. Questo per sottolineare l'impatto di questo spettacolo almeno due volte rivoluzionario: con la sua musica sontuosamente dissonante e con la sua danza, altrettanto violentemente nuova. Nijinski dovette vincere anche la resistenza dei ballerini ostili a una danza così estranea al loro modo di muoversi. La Sacre è il punto di svolta tra la danza classica e la danza moderna: Nijinski - che liberò completamente dalla “schiavitù” della danza classica la grazia e il fascino - fu un precursore che tutti ora rivendicano per la danza moderna e persino per la danza contemporanea. Nijinski in età ancora giovane visse la drammatica lacerazione psichica della schizofrenia e il successivo sprofondamento in una quieta follia durata trent'anni.
[Danzatori in costume popolare, durante la prima della Sacre del 1913 al Paris Champs Elysées Theatre]
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Maurice Béjart Maurice Béjart creò una sua coreografia della Sacre nel 1959, interpretandola come un inno alla vita e alla fecondità dell’incontro tra uomo e donna. Romola Nijinski, la moglie di Vaslav Nijinski, dopo aver visto questo "nuovo" Rito, confiderà a Béjart che il ballerino e coreografo russo aveva visto una "comunità di spirito" tra loro due. Così Béjart descriveva la sua Sacre: «Che cos'è la primavera, se non questa immensa forza primitiva
addormentata
sotto
il
mantello
dell'inverno, che improvvisamente esplode e infiamma il mondo, sia a livello vegetale, animale o umano? L'amore umano, nel suo aspetto fisico, simboleggia l'atto stesso con cui la divinità crea il cosmo e la gioia che ne deriva. In un momento in cui i confini aneddotici dello spirito umano stanno lentamente cadendo, e dove possiamo iniziare a parlare di una cultura mondiale, respingiamo tutto il folclore che non è universale e conserviamo solo le forze essenziali del uomo, che sono gli stessi in ogni continente, in ogni latitudine, in ogni epoca. Sia questo balletto, spogliato di tutti gli artifici del pittoresco, l'Inno a questa unione di Uomo e Donna nel profondo della loro carne, unione di cielo e terra, danza di vita e di morte, eterno come la primavera!» Béjart disegnò una coreografia “semplice e forte” secondo le sue stesse parole. Egli creò linee pure ed eteree, delineando un rito minimale, dove il sacrificio scompare per lasciare il passo alla forza incalzante di mani e braccia, alle masse di corpi che si scontrano e si lasciano prendere
dal
panico:
i
suoi
disegni
geometrici che oscillano dal triangolo al cerchio
(figura
ossessiva)
affascinano
l'occhio come un gioco ottico. La luce, degradata di verde, blu e ocra, accompagna i ritmi irregolari del ballo.
[Le fotografie che vediamo in questa pagina sono prese dalla interpretazione de La Sacre du Printemps, eseguita dal Bejart Ballett Lausanne.]
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Pina Bausch Nel 1975 Pina Bausch creò la sua versione della Sacre du Printemps come espressione del conflitto tra uomo e donna, e propose un ricco repertorio gestuale nell’espressione sia del maschile che del femminile. La sua interpretazione, mai uscita dal repertorio del Tanztheater Wuppertal, si differenzia da tutte le altre per la sua mancanza di riferimenti al folclore e a contesti storicamente definiti. La scenografia è essenziale, un terreno coperto di terra o torba, una terra nuda dell'inverno, dove nulla sembra crescere e che giustifica una vittima espiatoria offerta agli dei della primavera. La danza viene costruita secondo una limpida lettura della partitura musicale e scandita in assoli lancinanti e bruschi giochi di massa. Le donne in vesti leggere, bianche e trasparenti (che mostrano quindi la loro fragilità), stanno rannicchiate e tremanti, prese dal terrore perché sanno che una di loro sarà la vittima sacrificale per celebrare la fine dell'inverno, la prescelta che danza fino alla morte. Il vestito rosso (simbolo del sangue) che l’eletta indosserà passa tra di loro, una veste che incute paura ma che affascina. Si stringono insieme per confortarsi, poi si disperdono in preda al panico, i loro corpi via via più selvaggi, affannati e imbrattati, e quando una donna viene prescelta dal leader maschile, la scelta viene sottolineata dalla forza violenta dei tamburi. E ci sono le immagini emozionali di Bausch: la folla in attesa davanti alla vittima come spettatori di una corrida, il terrore congelato della ragazza mentre è costretta a camminare accanto all'uomo, che la spinge, a metà sostenendola, i suoi piedi
che resistono disperatamente
contro il terreno smosso.
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I danzatori uomini, a torso nudo, vestiti solo dei pantaloni neri, hanno gesti quasi ossessivi, ripetuti continuamente, intorno e accanto all’Eletta, la vittima sacrificale. Alla conclusione del rituale c'è un momento di enorme impatto quando la vergine sacrificale (con un seno denudato) si tuffa in avanti sul pavimento sull'accordo finale della musica come un albero rovesciato in una foresta. Quaranta e più anni dopo, La Sacre di Pina Bausch rimane moderna e ancora potente. Senza dubbio è la versione migliore di questo balletto, e sarà difficile in futuro raggiungere una tale intensità. Una versione non lontana dalla perfezione.
[Le prime tre fotografie (pagina precedente) mostrano Le Sacre rappresentato dal Tanztheater Wuppertal Pina Bausch. Nella 2a foto l’Eletta i terpretata da Valentina Colasante, nella 3a da Alice Renavand. Le foto presenti in questa pagina raffigurano la celebre interpretazione di Eleo ora A su oreografia di Pi a Baus h, all’Op ra de Paris.
ag ato ella Da za dell’Eletta,
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Martha Graham Da molti è considerata la più grande danzatrice statunitense del XX secolo, nonché la "madre" della danza moderna. Sostenitrice del "movimento" come massima forma di espressione, con le forme angolari che riusciva ad assumere col suo minuto ma vibrante corpo, sapeva comunicare le più profonde emozioni dell'animo umano. [Martha Graham interprete della Sacre nel 1930] Martha Graham è considerata la madre della danza moderna americana soprattutto perché ha creato la prima vera e propria tecnica della "nuova" danza. La tecnica Graham si basa sul principale atto fisiologico
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dell'essere umano: la respirazione, ed è incentrata sulla zona del bacino, perché è lì che ha origine la vita. Il suo principio conduttore è quello dell'alternarsi di contrazione e rilassamento. Martha Graham conosceva assai bene la musica di Stravinskij per averla danzata personalmente nel 1930. In quell'anno, infatti, aveva ricoperto il ruolo dell'Eletta nel Sacre du Printemps di Leonide Massine. Era stata richiesta esplicitamente da Leopold Stokowski, e la proposta venne accolta con entusiasmo da Martha nonostante a quell'epoca avesse già iniziato a danzare indipendentemente. Per la propria versione del 1984 ella creò una coreografia potente e dai toni ancestrali collegando il tema del rito arcaico alla sua conoscenza della cultura degli indiani d’America. Tema della sua rappresentazione fu il rapporto
tra
maschile
e
femminile.
Mantenne il tema del rituale della fertilità, ispiratore della partitura di Stravinskij, approfondendo in particolare quello del sacrificio. Inoltre, sottolineando i ritmi convulsivi della musica attraverso movimenti corali e
frenetici,
esaltando
soprattutto
l’espressione dell’energia maschile, cioè delle forze primitive,
Martha Graham
accentuò la disperazione della vittima sacrificale - il ruolo della prescelta fu costruito su Terese Capucilli - cui affiancò la gioia drammatica delle altre fanciulle, felici di essere vive perché non prescelte.
[La fotografia riproduce una scena della Sacre interpretata dalla Martha Graham Dance Company] Angelin Preljocaj Nel 2001, il coreografo Angelin Preljocaj, direttore del Centro coreografico di danza classica Preljocaj di Aix-en-Provence, rappresentò La Sacre du Printemps , sotto la direzione di Daniel Barenboim. Fu lo stesso Barenboim a suggerire una nuova versione del balletto, convinto che c'era ancora qualcosa da dire su questo lavoro, scommettendo sulla sua attualità, e ritenendola ancora in grado di offrire un'emozione. Nella visione artistica di Angelin Preljocaj, l'erotismo, l'eroismo e la morte sono sempre motivi ricorrenti nei suoi lavori, ed anche nel balletto di Stravinskij egli volle trasferire questa sua idea di quello che deve esprimere la danza.
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Nella sua Sacre, si svolge una potente ed inquietante lotta carnale e sessuale, in cui gli uomini sono spinti da un aumento del desiderio bestiale, e le donne da un tentativo di sfuggire al loro destino. Il sesso è immediatamente presente attraverso il primo gesto provocante delle ballerine, che all’inizio del balletto, prima ancora dell’assolo del fagotto, si tolgono in maniera provocatoria le mutandine davanti agli uomini (in alternativa può
essere
interpretato anche come un segno di fatalismo e sottomissione). Anche nella Danse sacrale la nudità completa della donna prescelta (viene violentemente spogliata dai compagni) unisce sensualità all’evento tragico, a simbolo di un rapporto intimo e totale tra l’Eletta e la Natura, rappresentata da un tappeto erboso ondulato. Su di esso l’Eletta muoverà i suoi ultimi disperati passi, col ritmo ossessivo delle percussioni, prima del sacrificio finale.
[Le Sacre nella interpretazione del Balletto Preljocaj. L’Eletta: Virginie Caussin.]
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DISCOGRAFIA Sono numerosissime (oltre 700 fra LP e CD!) le incisioni della Sacre presenti sul mercato. Prevalgono due indirizzi interpretativi: uno “oggettivo”, codificato dalle testimonianze scritte e direttoriali dello stesso Stravinskij, generalmente vicino alla cultura neoclassica parigina; un secondo, “tardoromantico”, che esalta le radici arcaiche della cultura popolare russa. Mi è impossibile naturalmente recensirle tutte, ma ho scelto tra le interpretazioni quelle che a mio giudizio sono le migliori, o comunque di alto valore storico. Io ho una personale preferenza (Leonard Bernstein con la NPO, Sir George Solti con la CSO, e Sergej Gergiev con la Kirov orchestra), ma ognuno scelga liberamente da sé ciò che più lo attira per la sua collezione discografica, non sbaglierà comunque! A mio giudizio vale la pena di acquistarne più di una! Ve le elenco, per evitare…gelosie, in ordine alfabetico del Direttore.
Le Sacre du Printemps London Symphony Orchestra, dir. Claudio Abbado Deutsche Grammophon Abbado ha prodotto a Londra negli anni '70 e all'inizio degli anni '80 molte belle incisioni con la LSO, e la loro collaborazione ha prodotto alcune delle esibizioni più vigorose dell’indimenticabile Maestro milanese, tra queste i balletti di Stravinskij. Questa incisione presenta un suono dinamico e di grande impatto, propulsivo, con una London Symphony Orchestra in forma smagliante e capace di associare (come solo Abbado sapeva fare) la lucida razionalità interpretativa con la bellezza del suono e dei colori orchestrali. Registrazione in ADD ma di ottima resa.
Le sacre du Printemps Orchestre de la Suisse Romande, dir. Ernest Ansermet London
Ernest Ansermet e Igor Stravinskij erano amici intimi da molti anni, prima che un leggero disaccordo allontanasse i due. Ansermet è stato il più fedele e coerente sostenitore della musica di Stravinskij, con più anteprime, esibizioni e registrazioni rispetto anche a Pierre Monteux.
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Il compositore gli fu molto riconoscente, anche se non gli piaceva il modo morbido e romantico con il quale Ansermet interpretava la sua musica: comunque la bellezza di queste interpretazioni aumentò il gradimento e la popolarità di Stravinskij. In questa registrazione la maggior parte degli ascoltatori sarà sorpresa da più cose: i tempi di Ansermet più lenti di quanto siamo abituati, la chiarezza, la trasparenza e il sorprendente equilibrio di ogni parte sono motivo di apprezzamento. L'Orchestre de la Suisse Romande suona qui ben oltre la sua reputazione. Incisa nel 1958 in stereo, questa è una rimasterizzazione del 2015, il riversamento HDTT è cristallino. Non importa quante copie della Sacre potrete avere, questo è un must!
Le sacre du Printemps – Petrouchka New York Philharmonic, dir. Leonard Bernstein Sony Questa registrazione del 1958 è forse la migliore di tutte le altre incisioni. Lo stesso Stravinskij quando ascoltò per la prima volta la registrazione, esclamò: “Wow! " E la meraviglia assale anche noi ascoltando questa Sacre: Bernstein è travolgente, prevale l’empito soggettivo e l’espressività diretta. L’interpretazione del grande direttore americano è davvero mozzafiato, ipnotizzante e scuote l’ascoltatore. Bernstein lascia scatenare l'orchestra, e in alcuni punti si potrebbe pensare che essa stia per perdere il controllo e inizi a suonare fuori sincrono e a caso. Forse più che in ogni altra registrazione di questa composizione, si capisce quanto essa sia primitiva e caotica, e che se non vi fosse una partitura scritta, nessuno sarebbe in grado di riprodurla. Le sezioni di archi mantengono l'energia lungo l'intero lavoro, duri e spettacolari i fiati e gli assoli di ottoni: suonano le loro parti con quella furia primordiale che ci aspettiamo in una musica che descriva un sacrificio pagano. Tutto è amplificato in questa registrazione, rendendo la musica appropriatamente "cattiva" (nel senso migliore possibile). Nello stesso disco troviamo Petrouchka, suonato magnificamente, stavolta bilanciando la natura lirica del pezzo, senza esagerare nelle sezioni più violente. Il mastering su questo CD, anche se c'è un leggero sibilo di fondo dovuto all'età della registrazione, è quasi perfetto in quanto conserva il suono e la collocazione di ogni strumento senza l'aggiunta della "lucentezza digitale" che così spesso attenua i suoni di gli strumenti nelle registrazioni moderne e che
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sono particolarmente dannose nelle registrazioni di Stravinskij, in quanto è il suono duro degli strumenti che rende la sua musica così efficace. Della Sacre esistono altre due incisioni di Bernstein. La prima è del 1973 con la London Symphony Orchestra, ancor più apertamente violenta ed esplosiva, estroversa, di incalzante drammaticità; la seconda è del 1982 con la Israel Philharmonic, di una lentezza ipnotica. Alla fine è l’incisione con la NPO ad essere la migliore, e se riuscite a mettere le mani su questa registrazione difficile da trovare, prendetela al volo!
Pètrouchka – Le Sacre du Printemps New York Philharmonic (Petrouchka) - The Cleveland Orchestra, dir. Pierre Boulez Sony Classical Questa registrazione del 1969 è fantastica, un eccellente equilibrio tra ferocia, struttura e chiarezza strutturale. Pierre Boulez è stato uno dei principali sostenitori del modernismo, prima come compositore e saggista, poi come direttore d’orchestra, ed è considerato un'autorità nell'interpretazione di Stravinskij. Boulez è anche famoso per la sua precisione e meticolosità, che fanno risaltare chiaramente i dettagli nelle partiture orchestrali ritmicamente complesse. Boulez in questa registrazione, più che guardare al passato evoca immagini del nostro mondo moderno e ai suoi orrori. La sua è una visione dura e intensa, la chiarezza e la vigorosa forza narrativa danno un senso di inesorabilità e fatalismo. La
Cleveland
Orchestra
offre
un
suono
intenso,
ed
è
straordinariamente potente nella "Glorificazione del Prescelto" e nella "Danza Sacrificale". La registrazione presenta le sonorità sfrigolanti tipiche del periodo multitraccia della CBS, ma la rimasterizzazione è eccellente. Una breve disanima dell’altro pezzo presente in questo disco. Con la New York Philharmonic ai suoi livelli più elevati, Pierre Boulez stappa una lettura di Petrushka che è vibrante, energica e piena di voce, con ritmo e ensemble nitidissimi. Gli assoli, interpretati da artisti del calibro di Julius Baker (flauto) e Paul Jacobs (piano), non sono mai stati realizzati in modo più efficace.
Le Sacre du Printemps Detroit Symphony Orchestra, dir. Antal Dorati Decca Classics
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Antal Dorati, direttore musicale dal 1941 al 1945 dell'American Ballet Theatre di New York aveva una particolare affinità per questa composizione. La performance è tesa ed eccitante, violenta, aggressiva, dalla velocità oggi inusitata. L'assolo di fagotto d'apertura è magnificamente suonato. Le sezioni dei legni e degli ottoni sono particolarmente eccellenti. Il vero protagonista di questa registrazione a mio avviso è lo United Artists Theatre, un vecchio cinema trascurato con un'acustica eccezionale. La registrazione è brillante e chiara, con una forte risposta dei bassi e un palcoscenico sonoro ampio e profondo. L'acustica vivace fornisce calore e aria attorno ai musicisti senza oscurare i dettagli interni. La registrazione è di qualità eccezionale. Non c'è da stupirsi che abbia ricevuto l'ambito premio francese Grand Prix du Disque.
Le Sacre du Printemps - Petrushka RIAS Symphony Orchestra, dir. Ferenc Fricsay Deutsche Grammophon
Prima della sua prematura scomparsa nel 1963, all'età di 49 anni, Ferenc Fricsay era una stella dell'etichetta DGG. Qui abbiamo una delle Sacre più moderniste sul disco: la partitura suona nevrotica, tesa, quasi straziante. Questa esibizione è feroce, ruvida, grezza e devastante, con un suono eccezionale da ogni sezione del RIAS di Berlino che rivaleggia con i migliori complessi di oggi. La registrazione mono è splendida: i colori dell'armonica di Stravinskij sono più vividi che mai. Molti dei tempi sono più lenti di quelli usati in epoca attuale, ma la precisione nitida del suono rende l'effetto ancora più impressionante. I dettagli che di solito passano inosservati sono ben evidenziati. Questa performance è semplicemente sorprendente!
Igor Stravinskij: The Rite of Springs Ale a de “ ia i : Il Poe a dell estasi Kirov Orchestra, dir. Valery Gergiev Philips La feroce contestazione scoppiata alla prima del 1913 del "Rito della primavera" di Stravinskij è spesso considerata l'inizio dell'età moderna della danza, con un balletto che rappresenta il sacrificio umano quale costo del rinnovamento. Questo lavoro così significativo è stato registrato (come scritto all’inizio)
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moltissime volte, ma mai con questo mix mozzafiato di sorprendente ferocia e sonorità di lusso, di intuizione analitica e passione primitiva. Questo Rite of Spring fa un uso molto elevato della dinamica, è letteralmente mozzafiato, potente e appassionato. Il direttore e i Kirov suonano esprimendo al massimo lo spirito arcaico e pagano russo, proprio come voleva Stravinskij. Ascoltiamo gli strani rantoli dei venti, i gemiti selvaggi delle tube e il profondo rombo della grancassa: tutto questo assomiglia all’interpretazione di Stravinskij stesso ma con un suono migliore. Ci sono anche numerosi tocchi personali che possono essere controversi, come la pausa prima dell'accordo finale. Il Poema dell’estasi di Scriabin è meno avvincente, anche se comunque affascinante, gode inoltre di un suono eccellente. Questo è un grande disco.
Le Sacre du Printemps London Symphony Orchestra, dir. Sir Eugene Goossens Everest Bellissima registrazione stereo. Goossens è stato uno dei primi divulgatori della partitura sin dagli anni ’20. La lettura della Sacre ha un passo solenne, quasi ieratico, al tempo stesso avvincente e inquietante. Dal punto di vista sonoro di questa registrazione, il suono da 35 mm ha una ricchezza dinamica e timbrica più realistica di qualsiasi altro formato di nastro.
Le Sacre du Printemps – Apollo Berliner Philharmoniker, dir. Herbert von Karajan Deutsche Grammophon
Nella sua prima incisione (Deutsche Grammophon, LP SLPM 138 920), von Karajan fallì il suo approccio a questa musica e la sua innata tendenza a levigare le scabre asperità della partitura spinse lo stesso Stravinskij a fare dei commenti ironici. In seguito Karajan dimostrò di avere imparato la lezione e dodici anni dopo (1975) realizzò una grande (ma non la migliore) interpretazione di questo capolavoro.
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Questa registrazione della Sacre è audace e brillante, drammatica e intensa, e Karajan dirige la “sua” orchestra
che è di livello
stratosferico per precisione e lucentezza. È sufficiente ascoltare l’inizio del primo movimento per rendersi conto della profondità della visione di Karajan e della sua corretta scelta di tempi, che in questo caso riescono a dare alla partitura un senso di movimento come se un’entità superiore stesse guidando l’intero processo di creazione. Karajan non ne dà una versione selvaggia e barbarica, solo la "Danse sacrale" finale è abbastanza impetuosa, quasi avesse deciso di esaltare la barbarie solo alla fine del brano. Davvero molto interessante questa concezione. Il 2° brano presente nel disco è Apollo, registrazione del 1973, di altrettanto interesse, per la sua rarità: l’interpretazione è elegante e sofisticata. Il brano è sinfonico, e Karajan trasforma questa suite in pura musica con un senso di chiarezza e struttura senza eguali con l'inconfondibile suono unico e brunito della Filarmonica di Berlino. In entrambi i brani, troviamo un’ottima qualità sonora.
The Rite of Springs Philharmonia Orchestra, dir. Igor Markevitch Warner Classics Igor Markevitch era un compositore prodigio: Cortot lo scoprì a 13 anni, Djaghilev gli commissionò della musica, e impressionò Béla Bartók. Ricevette anche lezioni di direzione da Hermann Scherchen e divenne un direttore brillante ed esigente. La sua versione stereo di La Sacre du Printemps, registrata nel 1959, diversa dalla versione mono eseguita nel 1951 con la stessa orchestra, riesce a combinare la precisione rigida della partitura con l'elemento vitale dell'intensità, del colore e della potenza ritmica del balletto. Una registrazione considerata punto di riferimento.
Le Sacre du Printemps – Petrouchka Boston Symphony Orchestra, dir. Pierre Monteux RCA Red Seal (registrazione originale rimasterizzata) La quantità di storia pura presente in questa versione rischia di travolgere il suo valore musicale. Il Maestro Monteux ha diretto la prima mondiale di entrambe queste opere e Stravinskij ha sempre
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approvato le sue interpretazioni: Stravinskij è arrivato persino a comporre una breve fanfara per l'ottantesimo compleanno di Monteux! La Sacre è del 1951, molti la classificano tra le 5 migliori performances di riferimento. Nonostante sia mono e abbia una sua età, questa registrazione ha una grande chiarezza ed equilibrio per cui si possono apprezzare molti dettagli che a volte in concerto sfuggono. Monteux guida i suoi orchestrali di Boston attraverso una performance serrata e di grande impatto che evidenzia un grande equilibrio di struttura, con colori orchestrali vivaci ed emozioni. Le trasformazioni e i ritmi sono resi senza eccessivi manierismi, e si percepisce molto bene la tensione drammatica insita in questi pezzi. Ciò non dovrebbe sorprendere, poiché durante le prime prove Stravinskij ha riscritto più passaggi basati sui suggerimenti di Monteux per assicurarsi che i vari strumenti non entrassero in conflitto l'un l'altro o si perdessero in un caos incomprensibile di suoni. Fu Monteux a persuadere Stravinskij a ridurre il segno del tempo nella danza finale per rendere il pezzo più facile da suonare.
Petrushka - Le Sacre du Printemps Philadelphia Orchestra, dir. Riccardo Muti EMI
La lettura di Muti di inizio anni '80 splendidamente registrata dalla EMI è tutta tesa a rivelare la bellezza di impasti sonori inediti. Muti in questa registrazione produce una direzione impetuosa ed infuocata. I tempi sono veramente tempestosi: un critico ha scritto che la vergine eletta muore prima che inizi a ballare! Muti ci guida verso l’inferno pagano riuscendo comunque a darne una dimensione personale ed elegantissima (non raggiunge però il barbarismo infuocato di Boulez), ben supportato dalla classe eccezionale della sua orchestra. La critica discografica pone questa registrazione tra le migliori.
Le Sacre Du Printemps - Petrouchka The Philadelphia Orchestra, dir. Eugene Ormandy Columbia
Il direttore ungherese Eugene Ormandy ha diretto la Philadelphia Orchestra per moltissimi anni, con
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risultati sempre di alto livello, anche se non ha quasi mai raggiunto le vette dei grandi direttori suoi contemporanei (Toscanini, Stokowsky, Bernstein, Karajan). Ha diretto poca musica classica contemporanea, ma la sua lettura di Le Sacre Du Printemps è veramente di alto livello. Ormandy concerta in maniera travolgente, anche se con poca immedesimazione drammatica, e in questa registrazione propone una delle letture più esplicitamente virtuosistiche della discografia del balletto di Stravinskij. L'orchestra è straordinaria e la lettura di Ormandy è in linea con l’interpretazione del suo predecessore (Riccardo Muti). Un suono veramente eccezionale sottolinea la bellezza timbrica di tutti i reparti della Philadelphia: archi sontuosi, fiati squillanti, percussioni imponenti, che possono rivaleggiare alla pari con le orchestre europee più quotate, come i Berliner, i Wiener ed il Concertgebouw.
Petrouchka Boston Symphony Orchestra, dir. Seiji Ozawa The Rite of Spring – Fireworks Chicago Symphony Orchestra, dir. Seiji Ozawa RCA La Boston Symphony era all'apice della sua bravura quando ingaggiò il 34enne direttore Seiji Ozawa per questa registrazione del 1969 di Petrushka. Ozawa, in quegli anni, era capace di fare scintille con qualsiasi orchestra che aveva di fronte, e c'è un palpabile senso di eccitazione per la Petrushka che qui dirige. L'esecuzione di questa meravigliosa musica è a livelli eccezionale e anche la qualità del suono è eccellente. Se non conoscete questo brano, l’ascolto di questa registrazione vi entusiasmerà. The Rite of Spring e Fireworks, registrati nel 1968 con la Chicago Symphony, sono ugualmente dinamici e colorati. L’interpretazione è di livello assoluto: eccitante, precisa, drammatica e del tutto priva di manierismi. L’orchestra è stupenda, e Ozawa mette una concertazione di grande sostanza. La rimasterizzazione 24/96 scatena il suono incredibilmente aperto dei nastri originali per la prima volta riprodotto su CD e potrebbe richiedere un abbassamento di volume per mantenere la pace con i vicini…
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The Rite of spring Minnesota Orchestra, dir. Eiji Oue Reference recording Questo
intramontabile
classico
audiophile
è
unanimemente
considerato una delle registrazioni migliori in assoluto e vede protagonista una Minnesota Orchestra in stato di grazia nel primo disco realizzato con il suo direttore Eiji Oue, musicista molto considerato da Seiji Ozawa e Leonard Bernstein, che ricoprì la carica di direttore principale dell’orchestra americana dal 1995 al 2002. Lo slancio dallo straordinario approccio naturalista di questo disco dalla sensazionale qualità sonora, porta la dirompente musica di Stravinskij verso un impatto violentissimo e totalmente avvolgente per chi ascolta. La versione in HDCD di questo disco ha ottenuto una nomination ai Grammy Awards nella categoria Disco Classico dalla migliore qualità sonora.
Le Sacre du Printemps – Symphonie of winds istruments – Apollon musagète Berliner Philharmoniker, dir. Simon Rattle Warner Classics Sir Simon Rattle dice che probabilmente non è un caso che La Sacre, che è davvero il lavoro fondamentale del ventesimo secolo, sia stata scritta nel 1912, poco prima della più grande conflagrazione che il mondo avesse mai avuto finora. Stravinskij in quest’opera parla di violenza e di morte, ma anche della Terra che si prepara per rinascere. La registrazione di Rattle (che si basa sulla revisione del 1947) ha un peso enorme e un impatto terrificante. È una corsa elettrizzante, meravigliosamente suonata e catturata in un suono che è vicino, vivido e tangibile. Rattle evita per fortuna di essere troppo veloce conservando un buon ritmo musicale e coreografico. Il virtuosismo dei Berliner Philharmoniker associa in questo disco un suono ricco di potenza e poesia.
Le Sacre du Printemps - Symphony in Three Movements Philharmonia Orchestra, dir. Esa-Pekka Salonen Sony Classical Questa registrazione della Sacre è una delle più veloci in assoluto in termini di tempo di esecuzione.
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Lettura lucida, energica, questa del direttore finlandese Salonen, maniacalmente precisa nei passaggi di dinamica. Tanto per citare un esempio, nella Adorazione della Terra gli staccati degli archi con gli ottoni in levare sono a dir poco strepitosi; lo stesso dicasi nei passaggi vorticosi della finale Danza sacrificale. C'è la massima espressione del percussionismo, quasi ossessivo, che Stravinskij volle infondere in questo balletto decisamente fuori dagli schermi, sia per musica che per aspetto scenografico e stilistico. E’ un’interpretazione veramente “pagana” della Sacre. Registrata in un spettacolare surround.
Le Sacre du Printemps Chicago Symphony Orchestra, dir. Sir Georg Solti Decca (ristampa JVC XRCD) Questo album è apparso per la prima volta nel 1974 sull'etichetta London-Decca e ha rappresentato uno dei migliori successi di Sir Georg Solti con la Chicago Symphony Orchestra durante il suo incarico come direttore. Ora riappare su una ristampa JVC XRCD ed i risultati sono sbalorditivi. Questo disco è luminoso, vivido, dinamico: ogni audiofilo degno di essere definito tale dovrebbe possederne una copia nella propria collezione. La versione di Solti della Sacre è tra le migliori interpretazioni di sempre, certamente un riferimento per le sue incredibili tensione e senso drammatico - che di tanto in tanto raggiunge punte di vera e propria brutalità - per la sua straordinaria resa dei dettagli, e per il fatto che ciascuna sezione risulta perfettamente integrata nella globalità dell’opera. Energia, virtuosismo e impatto sono caratteristiche che contribuiscono a creare alla fine una Danza sacra incredibilmente febbrile. Solti produce lavoro intenso e carico di emozione e la sua Chicago Symphony rende al massimo l'esultanza selvaggia della Russia pagana. Superba la scena della Danza sacrale. La qualità sonora è semplicemente spettacolare: infatti è ravvicinata e dettagliata ma comunque meravigliosamente ampia e armonicamente molto ricca. Gli ottoni sono resi con grande immediatezza e, se disponete di un impianto in grado di rendervi il registro più grave senza distorsioni, questa incisione fa per voi. Il meraviglioso timbro del fagotto (nell’assolo di apertura) viene riprodotto con molta naturalezza e, per tutta la durata di questo passaggio, si percepisce sempre un suono dalla consistenza adeguata. In linea generale, tutti gli strumenti che presentano maggiori difficoltà a essere riprodotti correttamente come i
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tromboni e la tuba vengono riprodotti mantenendo del tutto intatte le loro caratteristiche tonali: in particolare si rimane meravigliati dal timbro corposo della tuba.
Stravinskij: Petrushka / Le Sacre du Printemps Czech Philharmonic Orchestra, dir. Karl Ancerl Supraphon Le Sacre du Printemps in una delle versioni più soddisfacenti che vi sia su disco! Per la precisione assoluta, questa elettrizzante performance è mozzafiato, e le qualità ritmiche primordiali di questa musica sono rese al massimo. Ancerl non dimentica mai che questa è musica nata dalla danza. Passaggi come "Danze primaverili" e (soprattutto) la conclusiva "Danse sacra" suonano straordinariamente contemporanei. Questa Danza inoltre, ha una qualità maniacale che è la più eccitante, suona davvero come se la musica si esaurisse e dovesse riprendersi più volte. Nessuna sorpresa, quindi, che il gesto di chiusura sia così forte e sprezzante. La registrazione è cristallina e l'orchestra è superba in ogni momento: basta ascoltare la compattezza dell'insieme di archi che consente ad Ancerl di esaltare l'acerbo spirito di Stravinskij in modo più eloquente di molti altri direttori. Un documento notevole che dovrebbe essere ascoltato senza indugio.
Stravinskij conducts Stravinskij: Petrushka / Le Sacre du Printemps Columbia Symphony Orchestra, dir. Igor Stravinskij Sony / CBS L’ultima delle tre registrazioni dell’autore della Sacre: difficile resistere al fascino drammatico di un’esecuzione che punta tutto sulla barbarismo dell’impatto piuttosto che sulla raffinatezza dei timbri e degli accenti. Qualunque siano i limiti della tecnica di Stravinskij, nessun altro sul disco evoca la stessa eccitazione di altre interpretazioni. Ho ascoltato molte registrazioni di Le Sacre du Printemps (anche dell’Uccello di fuoco e di Petrushka) e penso che queste registrazioni vintage degli anni '60 si possano tranquillamente catalogare tra le migliori. Qui abbiamo l’ottantenne Stravinskij che dirige la sua musica, e questo è già davvero speciale: egli non era un direttore professionale, quando dirigeva non
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distoglieva lo sguardo dalla partitura, il gesto era sobrio, elementare, a momenti impacciato. Eppure le sue interpretazioni sono anche oggi imprescindibili. Stravinskij indica come vuole che il suo pezzo venga suonato: egli usa un ritmo più veloce e il suono diventa eccitante. Stravinskij non rende la musica romantica: questa musica è stata pensata per trasmettere potere ed eccitazione, ed è ciò che trasmette questa registrazione. La Glorificazione della Eletta è il momento più emozionante della partitura, e Stravinskij lo conduce con passione ardente. Anche la Danza sacrificale è suonata molto bene.
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LA SACRE E FANTASIA (1940) I u a professio e he stata u viaggio se za fi e alla s operta dei reg i del olore, del suono e del movimento, Fantasia rappresenta la nostra avventura più eccitante. Finalmente abbiamo trovato un modo per utilizzare, in un film animato, la grande usi a di tutti i te pi e l’o data di uove idee he essa sus ita . Walt Disney, 1940
Il 13 novembre 1940, quasi ottant’anni fa, uscì nei cinema statunitensi Fantasia, uno dei più famosi, apprezzati ed esteticamente innovativi film della Disney. Fantasia è un film d’animazione, diviso in otto episodi, ognuno dei quali è accompagnato da alcuni dei più importanti brani di musica classica della storia. La decisione di utilizzare Le Sacre du Printemps venne sicuramente presa da Walt Disney, ed anche Leopold Stokowski - che fu il primo direttore d’orchestra a dirigere l’opera negli Stati Uniti nel 1930 - ne caldeggiò la scelta per Fantasia. Il compositore russo era l’unico ancora in vita tra gli autori delle musiche del film. Walt Disney lo contattò per chiedergli i diritti di La Sacre: Stravinskij disse sì e si propose addirittura per scrivere delle nuove musiche per Disney, ricevendone però una risposta negativa. Stravinskij cedette di fronte all’offerta economica di Walt Disney; ma non fu soddisfatto del risultato finale, che risultò essere un soggetto preistorico privo di riferimenti alla Russia pagana, nonché una drastica riduzione del materiale musicale originale; non apprezzò neanche il modo in cui Leopold Stokowski [nel riquadro], l’illustre direttore d’orchestra che collaborò alla realizzazione del cartone animato, modificò la sua musica. Così scrisse il compositore: “Nel 1937 o ‘38 la Disney mi chiese di usare il pezzo per un cartone animato. Benché la musica non fosse coperta da diritti d’autore, perché era stata pubblicata in Russia, mi offrivano 5000 dollari che fui obbligato ad accettare; purtroppo però a causa di una dozzina di intermediari ne percepii solo 1200. Quando vidi il film qualcuno mi offrì una partitura per seguire e, quando dissi che avevo la mia copia, mi risposero ‘ma è stato tutto cambiato!’ e difatti lo era! L’ordine dei pezzi era stato modificato, i più difficili erano stati eliminati, e il tutto non era aiutato da una direzione d’orchestra davvero esecrabile. Non farò commenti sul lato visivo, ma il punto di vista musicale del film comportava delle pericolose incomprensioni.” La Sacre du Printemps è il quarto episodio di Fantasia e le immagini raccontano le origini del pianeta Terra e la nascita della vita. Il brano è suddiviso in otto sequenze: la prima, Viaggio nel Cosmo, origina dallo spazio fino al giungere dentro la Terra che si forma; in Vulcani assistiamo a spaventose eruzioni vulcaniche e al progressivo raffreddamento della crosta terrestre; nella sequenza successiva Sviluppo della vita sottomarina appaiono
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le prime forme di vita uni- e pluricellulare che si sviluppano nel mare, per arrivare all’evoluzione degli organismi da marini ad anfibi ed infine alla comparsa dei primi esseri terrestri. In Pterodattili facciamo conoscenza con i padroni del cielo, i primi vertebrati volanti mentre in Vita familiare vediamo la vita dei dinosauri terrestri; nella sequenza intitolata Lotta viene illustrata la selezione naturale attraverso le battaglie tra le varie specie di dinosauri per la sopravvivenza, puntando
l’attenzione
sullo
scontro
tra
un
Tyrannosaurus Rex e uno Stegosaurus (l’evento in realtà non sarebbe mai potuto succedere, essendo i due animali vissuti in due epoche geologiche differenti). Le restanti due sequenze del brano, Migrazione e Terremoti, mostrano le ultime fasi della vita degli esseri viventi più grandi mai apparsi sul nostro pianeta, attraverso la loro agonia in seguito agli sconvolgimenti climatici che ne hanno determinato l’estinzione, e le successive devastazioni ad opera di terremoti ed eruzioni vulcaniche, fino alla conclusione, in cui il mare torna ad essere il custode della maggior parte delle forme di vita presenti sulla Terra. Disney pensò in un primo momento di estendere la storia all'età dei mammiferi ai primi esseri umani alla scoperta del fuoco e al trionfo dell'uomo, ma fu convinto a desistere da questo progetto per evitare polemiche con la corrente di pensiero dei cristiani più oltranzisti che avrebbero potuto accusare il film di andare contro la visione
cristiana
della
creazione
del
mondo, e di conseguenza avrebbero potuto boicottarlo.
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Gli strumenti musicali antichi: l’Aulòs L'aulòs (αὐλός) è uno strumento musicale aerofono usato originariamente nell'Antica Grecia. Era conosciuto già in Egitto attorno al 1500 a.C., i Greci però lo ritenevano di origine asiatica (Frigia, Lidia). Si attribuisce la sua invenzione alla dea Atena, che in alcune ceramiche greche [vedi immagine] è raffigurata mentre suona questo strumento. Pindaro narra che la dea, dopo aver creato lo strumento, lo gettò via perché mentre lo suonava le si gonfiavano le guance, deformando la sua bellezza. Lo strumento venne poi raccolto dal satiro Marsia, il quale lo utilizzò per sfidare Apollo in una gara di abilità, che poi perse finendo scorticato. L’aulòs fu il principale e più importante strumento a fiato greco, e veniva suonato o da solo, o combinato con la voce o con strumenti a corda, prevalentemente la cetra. L’aulòs era formato da un tubo di canna, di legno oppure d'osso o avorio, o bronzo, con un’imboccatura a bulbo e relativa ancia (l’ancia è quella sottile linguetta mobile inserita nell’imboccatura, la cui vibrazione fa suonare gli strumenti a fiato): il tubo era lungo circa 40 centimetri ed era dotato di 5, 6 o 8 fori per modulare il suono prodotto. Solitamente il suonatore usava una coppia di auloi, ognuno con il suo bocchino, e divergenti. In questo caso si parla di diaulòs (δια λός), cioè doppio aulòs: il raddoppio della canna permetteva di produrre un suono più ricco o una doppia melodia. Le due canne potevano essere diritte o uguali, a volte la canna destra poteva essere diritta e la sinistra a forma di corno e più corta: il tipo più usato in Grecia e a Roma era quello con entrambi i tubi diritti e uguali. A causa della forza richiesta per suonare l’aulòs, gli auleti indossavano la phorbéia, una fascia di cuoio, con fori al livello delle labbra, in cui venivano inseriti i bocchini dello strumento. Il suonatore soffiava nell’uno o nell’altro di questi beccucci per ottenere suoni acuti o bassi, ma poteva soffiare contemporaneamente in entrambi per ricavare dal suo strumento una specie di sinfonia. Il suono somigliava a quello di una cornamusa dei nostri tempi. Non era uno strumento facile da suonare e per imparare bene occorrevano anni di esercizio.
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Si ritiene che l’aulòs fosse suonato con la tecnica della respirazione circolare 4. Gli esemplari di aulòi più antichi che ci sono pervenuti sono stati scoperti a Koilada, in Tessaglia, e risalgono ad oltre 6.000 anni fa. Si trattava di forme ancora rudimentali dello strumento: le canne, ottenute da ossa animali, disponevano di cinque fori posizionati irregolarmente lungo il tubo. Per il primo aulòs “moderno” occorre aspettare qualche millennio: intorno al 2.700 a.C. fecero la loro comparsa nelle Cicladi le prime statue di auleti (suonatori di aulòs), e nei secoli successivi l’aulòs divenne
un
soggetto
molto
comune
nelle
decorazioni di vasi e anfore [vedi immagini]. L’accompagnamento del canto con l’aulòs (aulodia) e la musica per questo strumento (auletica) ebbero tra i Greci applicazione vastissima, ad esempio nelle cerimonie religiose, in cerimonie private (nozze, funerali, banchetti), nella rappresentazione delle tragedie, negli agoni. Lo strumento aveva la caratteristica di creare un forte impatto emotivo. Secondo Aristotele non doveva essere usato in situazioni che avevano scopo educativo bensì purificatorio e, proprio per la capacità di suscitare forti emozioni, era spesso collegato ai culti di Dioniso: i partecipanti si abbandonavano a un'atmosfera di ebbrezza, a espressioni di sfrenatezza e baldoria, sottolineate da canti, accompagnate dalla musica dell'aulòs, della lira e della cetra, e condite da disinibite e giocose manifestazioni di oscenità e allusività a sfondo sessuale.
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La tecnica della respirazione circolare o fiato continuo, permette di suonare uno strumento a fiato senza interrompere il flusso d'aria. La tecnica consiste nello sfruttare la cavità della bocca come riserva d'aria da rilasciare nel momento in cui si inspira l'aria dal naso per riempire di nuovo i polmoni. La bocca diventa come la sacca della zampogna ed in questo modo si riesce a produrre un suono che non si interrompe.
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Era utilizzato anche in guerra: con il suono ritmato accompagnava i guerrieri negli attacchi ai nemici. (come i trombettieri in epoca moderna).
Sulle triremi, per ritmare la cadenza dei remi, era previsto un apposito addetto, il ριηρα λής (trieraulès), che realizzava lo scopo servendosi del suono incalzante del suo strumento. Troviamo l’aulòs sia tra gli Etruschi che tra i Romani. La musica era centrale nella vita degli Etruschi, e sembra che la musica li accompagnasse non solo durante i momenti di svago ma durante tutta la giornata: la musica non doveva mancare durante le cerimonie civili e religiose, le gare sportive, i banchetti, prima di una battaglia.
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[Aulòi etruschi]
L’aulòs era usato molto anche come mezzo per la caccia: secondo alcuni scritti, infatti, gli etruschi usavano il suono di questo strumento per attirare gli animali fuori dalle loro tane per poi catturarli con l’ausilio di cani e reti. Un suonatore di aulòs lo troviamo raffigurato nei celebri affreschi della Tomba dei Leopardi, sita nella necropoli etrusca dei Monterozzi, a Tarquinia, in Italia. La tomba, datata al 473 a.C., è una delle opere più significative e importanti dell'arte funeraria etrusca. Nella parete destra sono raffigurati I tre Musici, un danzatore insieme a due suonatori. Il danzatore ha in mano una coppa in mano e indossa la tebenna, la tipica veste etrusca; il suonatore al centro, vestito di giallo con linee azzurre e rosse sul vestito, è un giovane che suona un diaulòs, e quello più a destra della parete (quindi più vicino all'entrata) suona una lyra.
I tre Musici sono l'affresco più conosciuto della Tomba dei Leopardi e l'immagine più famosa di tutto il popolo degli Etruschi. La costruzione di questi strumenti fu copiata dai Romani che chiamarono gli aulòs col nome di “Tibie”, essendo spesso realizzati con le tibie degli animali, oltre che con canne, avorio e legno.
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Un’altra celebre raffigurazione di auleti la troviamo nel mosaico di Pompei nella Villa di Cicerone, dove è raffigurato un trio di musicisti che sta suonando un diaulòs, dei piccoli cimbali, e un tamburello, strumenti musicali spesso collegati con il culto di Cibele.
[Mosaico romano da Villa de Cicero (Villa di Cicerone) a Pompei - Museo Archeologico Nazionale di Napoli]
[A sin: suonatrice di diaulòs, IV secolo a.C. - Mozia, Museo Withaker. A dx: Satiro con diaulòs, 80 d.C.] Con l’avvento del Cristianesimo l’aulòs venne abbandonato in quanto gli strumenti musicali ricordavano i riti pagani. Per l’aulòs iniziò così un periodo di abbandono che si protrasse fino a tutto il Medioevo, poi per rinascere nel 1300 in alcuni paesi dell’Europa occidentale e centrale.
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[Miniatura della metà 1300 raffigurante le Muse che suonano vari strumenti musicali. Melpomene, la terza da sinistra, suona il diaulòs.]
[Gaudenzio Ferrari (1475-1546): Il concerto degli angeli (particolare) - Santuario della Beata Vergine dei Miracoli Saronno (VA)]
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Musica classica e Cinema: Rapsodia satanica (di Nino Oxilia) Mi auguro che questo articolo di musica classica e cinema susciti la curiosità (e spero l’interesse) dei miei affezionati venticinque (ah, Manzoni!) lettori, tra i quali nutro la... certezza che vi siano cinefili innamorati dei film muti italiani dell’inizio 1900, e che siano contemporaneamente appassionati cultori delle musiche del grande compositore livornese Pietro Mascagni. Rapsodia satanica è un film di Nino Oxilia, prodotto dalla Cines nel 1915, una pellicola che rappresenta uno dei film muti più importanti della sua generazione.
[La lo a di a d epo a del fil ]
Il film è impreziosito dalla straordinaria performance interpretativa di Lyda Borelli [nel riquadro, in una scena del film], in grado di materializzare con il corpo e con lo sguardo ogni controverso aspetto dell’anima del
suo
personaggio:
la
sensualità
vitale
dell’erotismo, l’isteria delirante della follia, il cupo sentimento della morte. La storia è una variazione della vicenda faustiana da un poema di Fausto Maria Martini. Un’anziana dama dell'alta società, Alba d'Oltrevita, stipula un patto con Mefisto per riacquistare la giovinezza e recuperare la bellezza perduta, in cambio della quale però ha il divieto di innamorarsi. Alba è corteggiata da due giovani fratelli, Tristano e Sergio. Quest'ultimo minaccia di uccidersi se lei non lo amerà: al suo diniego, Sergio si uccide. Alba si prepara a sposare Tristano, ma a questo punto Mefisto torna per riprendersi la giovinezza che aveva concesso e restituisce la vecchiaia ad Alba che non aveva rispettato il patto. Terminato nella primavera del 1915, il capolavoro diretto da Oxilia uscì nelle sale solo nel 1917, a causa di misteriose dispute interne alla Cines: quasi tre anni di attesa per consegnare al mondo un film che
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rappresenta il più convinto tentativo fino allora sperimentato di realizzare per lo schermo un’opera d’arte totale5. Nel film troviamo infatti citazioni pittoriche che vanno dal simbolismo ai preraffaeliti, richiami letterari adducibili alla tradizione faustiana e al decadentismo dannunziano, suggestioni architettoniche e scenografiche riprese dal liberty e dall’art nouveau, il tutto permeato dalla musica del maestro Pietro Mascagni. Chiamato dalla Cines a comporre e dirigere le musiche del film, Pietro Mascagni non si lasciò sfuggire l’occasione di entrare in contatto con la settima arte, intuendo prima di altri il grande potenziale del mezzo cinematografico e per la prima volta nella storia un compositore di professione, appartenente all’ambiente accademico ufficiale, firmò una colonna sonora. Mascagni prese il lavoro molto più seriamente di quanto gli fosse richiesto, e compose uno degli accompagnamenti più raffinati e complessi della storia del cinema muto e anche sonoro, spingendosi ben oltre la semplice percezione visiva per delineare i tratti più reconditi dei personaggi. Egli fece un minuzioso lavoro di precisione sincronizzando scrupolosamente al secondo la musica con le scene del film, un impegno lavorativo da lui stesso definito “lungo, improbo e difficilissimo”. Il Maestro misurava con un cronometro la corrispondenza fra il suono prodotto dall’orchestra e le immagini della pellicola: non produsse quindi semplicemente una musica di accompagnamento che fosse un semplice supplemento del film, ma creò uno sfondo intessuto di note che si muoveva di pari passo con la storia, in un crescendo di emozione e tensione. “Rapsodia Satanica” fu proiettato agli inizi per una piccola élite e solo due anni dopo per grande pubblico: raccolse da subito un grande successo della critica che lo considerò un grande esempio di studio, ricerca e sperimentalismo, un sodalizio ben riuscito fra musica e immagine. Pietro Mascagni, in un periodo di grande rinnovamento culturale, ebbe quindi il grande merito di rinsaldare il legame indissolubile fra musica e cinema: il cinema voleva iniziare a raccontare storie, ad adottare un linguaggio più sottile, articolato e complesso, e la musica divenne lo strumento privilegiato del quale servirsi per produrre una nuova forma di comunicazione con il pubblico. Un connubio di due arti diverse che, insieme, riescono a penetrare l’anima e la memoria delle persone. In epoca recente, la Cineteca di Bologna si è impegnata in un complesso restauro del film: esiste una versione solo in bianco e nero, ed una a colori, nella quale su immagini monocrome vi sono sparsi dettagli colorati, il che dà un risultato straordinario.
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Il termine indica l'ideale di teatro in cui convergono musica, drammaturgia, danza, poesia, arti figurative, al fine di realizzare una perfetta sintesi delle diverse arti. Fu un concetto teorizzato da Richard Wagner (Gesamtkunstwerk), che considerava la tragedia attica e specialmente eschilea, la migliore espressione di arte totale. Intento di Wagner era quello di rifondare l'opera d'arte totale ed imporla come forma artistica perfetta e definitiva.
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Per chi volesse vedere integralmente il film, in rete, il link è il seguente: https://www.youtube.com/watch?v=b0B1w1XRZx0&t=2237s
Il contributo culturale di Mascagni Pietro Mascagni è stato un vero talento e icona della sua epoca, una celebrità nota anche per il stile e la sua innata eleganza. Il Maestro livornese, con il suo operato e il suo talento, lasciò ai suoi tempi un profondo segno nella cultura e nella società italiana, un’eco che si espanse al di là dei confini nazionali e che lo vide protagonista anche delle cronache mondane dell’epoca per il suo stile elegante ed inconfondibile. Le cronache del tempo scrissero di lui: “Gli eleganti si vestivano come lui, le donne correvano a vederlo, le ragazze ritagliavano le sue fotografie dalle riviste, all’estero era l’italiano più noto. Ebbe sul costume dell’epoca il peso che avrà in seguito il principe di Galles, i suoi abiti, i suoi capelli (il grande ciuffo fluente ed ondulato), le sue scarpe, anche il suo vezzo di non farsi crescere barba e baffi verrà poi imitato in tutto il mondo per essere alla moda”. Il musicista era veramente nel vivo dell’ambiente sociale e culturale della sua
epoca:
una
vita
sentimentale
burrascosa, costellata di molte donne, un rapporto molto stretto con Gabriele D’Annunzio e con molti pittori fra cui Giovanni Fattori. Un vero e proprio intellettuale di fine ‘800: la sua musica è ecletticamente proiettata verso il futuro, abbraccia varie linee di pensiero (verismo, simbolismo, decadentismo, espressionismo) ed è appassionata ed eternamente viva. Al giorno d’oggi invece la sua figura è stata praticamente quasi dimenticata dalla cultura ufficiale, e la causa sarebbe da ricercarsi molto probabilmente nell’aver egli aderito al fascismo. L’ostracismo iniziò subito il periodo post-bellico e portò Mascagni ad un progressivo isolamento, che neanche la morte del compositore riuscì a rompere. Così scrisse un giornale dell’epoca: “I funerali si svolsero nel più totale anonimato. C’era la gente, il pubblico che lo aveva amato. Ma la cultura ufficiale taceva. Non solo: il governo non ritenne neppure di dover inviare un suo rappresentante per onorare un artista che aveva tenuto alto nel mondo il nome dell’Italia”. Fu invece ricordato all’estero con ammirazione e commozione. Pagò amaramente la sua adesione al fascismo, e poco importa poi che il Maestro avesse scritto quasi tutte le sue opere prima dell’avvento al potere di Mussolini, senza contare l’assurdità di giudicare un artista esclusivamente per le sue idee politiche.
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Melomania: la pagina della Musica Lirica
Pietro Mascagni Cavalleria Rusticana
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LA NOVELLA DI VERGA La Cavalleria rusticana di Mascagni ha come fonte letteraria l’omonima novella di Giovanni Verga, pubblicata nel numero del 14 marzo 1880 di una rivista romana, Il Fanfulla della domenica. Erano in tutto dodici cartelle numerate dall’autore, che a quel tempo aveva quarant’anni e stava ultimando i Malavoglia, che uscirà l’anno successivo. Cavalleria era la prima opera verista dell’autore, che abbandonava l’ambientazione aristocratica dei romanzi sentimentali della sua prima giovinezza per rappresentare, invece, le classi umili e disagiate della sua Sicilia: contadini, pastori, minatori, ecc. Nell’agosto 1880 Verga pubblicò presso l’Editore Treves di Milano Vita dei campi, una raccolta di otto racconti, tra i quali vi erano Cavalleria e La lupa; quest’ultima a suo tempo interesserà anche Puccini, ma i ripensamenti, e le indecisioni del compositore fecero naufragare il progetto. 6 La novella Cavalleria rusticana di Verga è probabilmente ispirata ad un fatto realmente accaduto nel paese di Vizzini, in Sicilia, paese natale dello scrittore. Vi si narra la storia di Turiddu Macca, tornato nel suo piccolo paese dopo essere stato via per fare il servizio militare. Purtroppo trova Lola, la sua fidanzata d’un tempo, ormai prossima alle nozze con Alfio, il carrettiere. Turiddu, invece, è un povero contadino; alla delusione d’amore, si aggiunge l’invidia sociale. Turiddu per far rabbia a Lola si mette a corteggiare Santuzza, la figlia di Massaro Cola il vignaiolo, il quale abitava proprio dirimpetto alla casa di Lola, cosicché lei poteva vederlo ogni giorno.
[Pagina autografa di Giovanni Verga - Cavalleria Rusticana] Lola, allora, decide di riprendersi Turiddu, e ci riesce senza fatica. Santuzza, presa dalla rabbia e dalla gelosia per la rivale, quando Alfio torna in paese gli fa capire come stanno le cose tra sua moglie e Turiddu. Alfio non ci pensa due volte: il giorno di Pasqua, mentre Turiddu sta mangiando all’osteria con gli amici, lo va a cercare e gli dà appuntamento fuori. Turiddu capisce subito la situazione, e gli morde l’orecchio per accettare la sfida. Ammette il suo torto, ma lo avverte che comunque non si lascerà uccidere per non far piangere la sua mamma.
6
Soltanto nel 1948 (Verga e Puccini erano morti da oltre due decenni), la Lupa verghiana diventò un'opera, grazie a Santo Santonocito, il quale si avvalse del libretto di Vincenzo De Simone.
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Nel duello rusticano Turiddu viene ferito per primo, ma poi ferisce a sua volta; allora Alfio, con slealtà, gli tira sugli occhi una manciata di sabbia e lo acceca; poi lo finisce con altri due colpi, allo stomaco e alla gola. Nel 1883 Verga curò una riduzione teatrale del racconto: lo scrittore modificò l’impianto della novella, restando però sempre fedele all’idea di un protagonista che, vittima di un amore divenuto impossibile e di un destino segnato dalla mentalità arretrata dell’intero paese, affronta e subisce la morte per mano del rivale. Nella versione teatrale la vera protagonista è però Santuzza (Santa nella novella). Povera, sedotta e ripudiata, è lei a conferire il ritmo a tutta la storia, che dapprima la vede infelice e respinta da Turiddu e poi vittima di quella tragedia da lei stessa innescata con la delazione a compare Alfio. Il dramma, in un atto e nove scene, andò in scena al Carignano di Torino nel gennaio 1884: fu un trionfo grazie anche alla superba interpretazione di Eleonora Duse nel ruolo di Santuzza.
[Eleonora Duse nel ruolo di Santuzza, 1893]
Il libretto di Targioni-Tozzetti e Menasci è stato estremamente fedele alla riduzione teatrale della novella verghiana, anche se presenta alcune differenze dovute essenzialmente alle necessità sceniche dettate da alcune convenzioni melodrammatiche; tra queste differenze risaltano soprattutto, oltre alla Siciliana, l’introduzione di pezzi chiusi, quali la sortita di Alfio e il celeberrimo brindisi, e la scelta di ridurre il numero dei personaggi da 9 a 5 con l’eliminazione dello Zio Brasi, di sua moglie, comare Camilla, di Zia Filomena e infine di Pippuzza, sostituiti da un coro che, nell’opera di Mascagni, assume una funzione diversa. Un primo “tradimento” del libretto nei confronti del dramma di Verga è costituito dalla scena d’apertura, ambientata, come recita la didascalia, in una piazza in un paese della Sicilia, che, naturalmente, è Vizzini in provincia di Catania, il “suo” paese.
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GENESI DELL’OPERA La storia che portò alla nascita di Cavalleria Rusticana è abbastanza curiosa: nel 1888 l'editore Sonzogno istituì un concorso aperto a tutti i giovani compositori italiani che non erano ancora riusciti a far rappresentare una loro opera. I partecipanti dovevano scrivere un'opera in un unico atto, e le tre migliori produzioni (selezionate da una giuria composta da cinque importanti musicisti e critici italiani) sarebbero state rappresentate a Roma a spese dello stesso Sonzogno Mascagni, che all'epoca risiedeva a Cerignola, in provincia di Foggia, dove dirigeva la locale banda musicale, venne a conoscenza di questo concorso solo due mesi prima della chiusura delle iscrizioni e chiese al suo amico Giovanni Targioni-Tozzetti, poeta e professore di letteratura all'Accademia Navale di Livorno, di scrivere un libretto. Targioni-Tozzetti il suo collega Guido Menasci scelsero come base la novella di Giovanni Verga "Cavalleria Rusticana". La cosa particolare fu che i due lavorarono all'opera con Mascagni per corrispondenza, mandandogli i versi su delle cartoline. L'opera fu completata l'ultimo giorno valido per l'iscrizione al concorso. Mascagni (che in quel tempo versava in precarie condizioni economiche) fino all’ultimo aveva molte perplessità, e decise alla fine di non mandarla. Fu la moglie a prendere l’iniziativa. All’insaputa del marito - come raccontò in seguito il compositore - fece il pacco dello spartito di Cavalleria in fretta e furia, e, nonostante quel giorno piovesse a dirotto, per timore di non giungere in tempo alla partenza della posta, senza neanche prendere l’ombrello, si mise uno scialle in testa e scappò sotto un torrente d’acqua. La Commissione era formata da illustri esperti di musica: c’erano Pietro Platania (che aveva coperto il ruolo di direttore del Conservatorio di Palermo, della cappella del Duomo di Milano, del Conservatorio di Napoli, nonché compositore), Giovanni Sgambati (pianista e compositore, allievo di Listz), Amintore Galli (musicista e compositore, professore del Conservatorio di Milano), Filippo Marchetti (compositore, direttore di Santa Cecilia di Roma) e Francesco D’Arcais (giornalista, critico musicale dell’Opinione, anch’egli eccelso musicista). In tutto, la commissione esaminò settantatré opere, ed il 5 marzo 1890, dopo aver impiegato rigorosamente due anni per prendere la decisione, selezionò le tre opere da rappresentare a Roma: Labilia di Nicola Spinelli, Rudello di Vincenzo Ferroni, e Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni. A Mascagni fu conferito il primo premio, assieme a tremila lire, una cifra importante a quei tempi. Cavalleria rusticana fu rappresentata per la prima volta il 17 maggio del 1890 al Teatro Costanzi di Roma con un cast d’eccezione costituito da Gemma Bellincioni (Santuzza), Federica Casali (Lucia) Annetta Gulì (Lola), Roberto Stagno (Turiddu), Gaudenzio Salassa (Alfio) sotto la direzione di Leopoldo Mugnone, ottenendo da subito un grande e travolgente successo.
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Prima di ispirare l’opera di Mascagni il dramma di Verga aveva conosciuto un’altra riduzione melodrammatica ad opera di Stanislao Gastaldon il quale, su libretto di Bartocci-Fontana, aveva composto una Mala Pasqua che, rappresentata per la prima volta circa un mese prima, l’8 aprile 1890, sempre al Teatro Costanzi di Roma, aveva ricevuta una discreta accoglienza.
[Gemma Bellincioni nel ruolo di Santuzza e suo marito, Roberto Stagno,in quello di Turiddu, nella prima del 1890 di Cavalleria rusticana] Per avere un'idea del successo riscosso dall'opera di Mascagni, basti pensare che alla sua morte (avvenuta nel 1945), l'opera era già stata rappresentata più di quattordicimila volte solo in Italia. Cavalleria rusticana è la prima ed è certamente la più nota fra le sedici opere composte dal compositore livornese; oltre a Cavalleria rusticana, solo Iris e L'amico Fritz sono rimaste nel repertorio stabile dei principali enti lirici. La battaglia legale Mascagni, un po’ per inesperienza, un po’ perché di certo non si immaginava un tale successo, non si era preoccupato di definire formalmente la questione dei diritti d’autore con Verga; si era limitato a chiedere un generico permesso. Verga non era molto convinto, ma Mascagni lo rassicurò che il libretto non stravolgeva
il
corrispondergli
suo una
lavoro,
e
si
percentuale
dichiarò sui
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guadagni
a
delle
rappresentazioni dell’opera. Dopo il clamoroso successo che l’opera ebbe, i diritti furono comprati dall’editore Sonzogno, il quale offrì a Verga un compenso di sole 1000 lire. Verga fece ricorso alla «Società degli autori». La complessa vicenda giudiziaria che ne seguì si concluse soltanto il 22 gennaio 1893 con l’accettazione, da parte di Verga, della somma di 143.000 lire come compensazione finale. Qualche anno dopo, però, la guerra legale riprese: Verga autorizzò un altro musicista, Domenico Monleone, a ricavare un’altra opera dalla sua novella, sempre col titolo Cavalleria rusticana. Stavolta furono Mascagni e Sonzogno a far causa a Verga, e stavolta furono loro a vincere; la Cavalleria di Monleone dovette essere modificata, e anche il titolo fu cambiato in La giostra dei falchi.
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GUIDA ALL’ASCOLTO La vicenda si svolge in un paesino della Sicilia, nel giorno di Pasqua. Nel fondo a destra, la Chiesa principale del paese; a sinistra l’osteria e la casa di mamma Lucia (madre di Turiddu).
PRELUDIO L’opera si apre con un breve Preludio sinfonico, che comincia sereno e languido, come l’atmosfera notturna del villaggio siciliano in cui la vicenda è ambientata. Il paese dorme tranquillo; è il giorno di Pasqua. Ma poi la musica si anima, anticipando i motivi musicali che torneranno nei momenti cruciali del dramma: la tranquilla spiritualità in cui vive il paese cede il passo alle passioni emotive che scuotono i protagonisti. Tutto questo è reso con un‘intensità melodica raffinatissima e indimenticabile, che cattura lo spettatore fin dalle prime note.
Il Preludio non finisce con questa parte strumentale: prosegue con la Siciliana, la serenata cantata a Lola da Turiddu, la cui voce, accompagnata solo dall’arpa, intona questo canto d’amore, dolce e struggente e nello stesso tempo ricco di passione, pur sapendo che, durante il suo servizio militare, lei ha sposato Alfio. Quest’aria viene detta La Siciliana, perché è cantata in dialetto siciliano, un rarissimo esempio di aria in lingua dialettale presente all’interno del repertorio lirico italiano (l’altra è “Io de’ sospiri” dalla Tosca di Puccini). L’uso del dialetto è insolito, ma serve a introdurre subito lo spettatore nel luogo in cui la vicenda si svolge, con realismo linguistico. In effetti, quest’aria risultò molto innovativa non solo per l’uso del dialetto ma anche perché che viene cantata ancora a sipario calato, cosa che stupì e meravigliò il pubblico. Mascagni aveva in un primo tempo deciso di non inviarla insieme con il plico dell’opera nel timore che fosse giudicata in senso negativo: «…la prenderanno per una cosa troppo azzardata, c’è il caso che mi faccia male invece che bene e non l’ho mandato.», raccontava lo stesso compositore. Poi la stessa commissione volle sentirla e l’accolse con entusiasmo.
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Questo brano, con il quale i librettisti conferirono subito all’opera il suo colore siciliano, ha un’importanza fondamentale nello sviluppo della vicenda, in quanto introduce il pubblico direttamente nel cuore della storia, mettendolo al corrente dell’amore adulterino tra Turiddu e Lola.
♫♫ O Lola TU‘IDDU: O Lola h ai di latti la a isa, si ia a e ussa o u la i asa, ua u t affa i fai la vu a a risa, biato cui ti dà lu primu vasu! Nt a la po ta tua lu sa gu è spa su, e u e po ta si e uo u a isu… E s iddu uo u e vaju m paradisu, si nun ce truovo a ttia, mancu ce trasu. [O Lola che hai di latte la camicia così bianca e rossa come una ciliegia, quando t'affacci e atteggi la bocca al riso, beato chi ti dà il primo bacio! C’ s ritto sa gue sopra la tua porta, ma a me non importa se muoio ucciso... E se muoio e vado in paradiso, non ci entro neppure, se non trovo te.] ATTO UNICO È un giorno di festa; si celebra la Pasqua e le campane della chiesa suonano a festa, mentre donne e uomini entrano gradualmente in scena. Alle prime, che inneggiano alla bella stagione e alla celebrazione della Pasqua in onore della quale devono cessare le rustiche opre, rispondono i secondi che esaltano le rispettive mogli. Il coro è introdotto da un tema orchestrale gioioso, di sapore popolare, con la sua apertura melodica iniziale e le frequenti note di volta ascendenti nella seconda frase.
Più pesante appare l’intervento degli uomini anche nell’accompagnamento nel quale prevalgono, almeno inizialmente, i suoni gravi quasi a rappresentare il duro lavoro dei campi.
♫♫ Gli aranci olezzano.
DONNE. Gli aranci olezzano sui verdi margini, cantan le allodole tra i mirti in fior; tempo è si mormori da ognuno il tenero canto che i palpiti raddoppia al cor.
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UOMINI. In mezzo al campo tra le spiche d'oro giunge il rumor delle vostre spole, noi stanchi riposando dal lavoro a voi pensiam, o belle occhi di sole. A voi corriamo come vola l'augello al suo richiamo. DONNE. Cessin le rustiche opre: la Vergine serena allietasi del Salvator; tempo è si mormori da ognuno il tenero canto che i palpiti raddoppia al cor. Questo quadro sereno di campagna cessa presto, perché il dramma è alle porte segnalato dal repentino passaggio di un tema estremamente triste svolto dai violoncelli, un tema che ritornerà più volte all’interno dell’opera. Questo tema introduce il “dialogo” tra mamma Lucia e Santuzza. Tra la folla di paesani in festa è comparsa anche Santuzza, la fidanzata di Turiddu, la quale sentendosi in una posizione difficile, ha deciso di chiedere consiglio a Lucia, la madre di Turiddu. Questo dialogo assume toni drammatici nell’accorata richiesta di Santuzza, che, innamorata di Turiddu, vorrebbe sapere dove egli si trovi (Ditemi per pietà dov’è Turiddu), aria che si dispiega in un’espansione melodica. Lucia afferma che Turiddu è andato a comprare il vino per la festa; quando Santuzza le controbatte che l’uomo è stato visto aggirarsi in paese, Lucia - temendo che qualcuno possa ascoltare le loro parole - la zittisce chiedendole di entrare in casa. Santuzza però rifiuta l'invito. E anche qui, nel quasi parlato in corrispondenza della dichiarazione “sono scomunicata” in risposta a mamma Lucia, ritorna quell’atmosfera gravida di tragedia. Dopo la domanda di quest’ultima: “E che ne sai del mio figliuolo?”, entra sulla scena compare Alfio annunciato da un agitato tema in crescendo. La sua sortita, nella quale l’uomo loda il suo mestiere, esaltato anche dall’intervento del coro, sembra in apparenza convenzionale con una struttura fraseologica piuttosto semplice, ma, nella sezione centrale, nella quale Alfio fa riferimento alla fedeltà della moglie Lola, sembrano apparire le prime avvisaglie di ciò che accadrà. Il clima è comunque allegro e festoso.
♫♫ Il cavallo scalpita ALFIO. Il cavallo scalpita, i sonagli squillano, Schiocca la frusta. E va! Soffi il vento gelido, cada l'acqua o nevichi, a me che cosa fa? CORO. O che bel mestiere fare il carrettiere, andar di qua e di là! ALFIO. M'aspetta a casa Lola che m'ama e mi consola, ch'è tutta fedeltà. Il cavallo scalpiti, i sonagli squillino, è Pasqua, ed io son qua!
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CORO. O che bel mestiere fare il carrettiere, andar di qua e di là! Nel breve recitativo che segue, Alfio entra nell’osteria di Lucia e le chiede di quel vecchio vino buono da lei venduto tempo prima. La donna ripete nuovamente che se ne stava occupando Turiddu. Alfio le replica di averlo visto quella mattina stessa aggirarsi attorno alla sua casa, mostrando di sospettare qualcosa senza averne la prova. Mamma Lucia è meravigliata, ma il pronto intervento di Santuzza, che la invita a tacere, evita che il discorso possa degenerare. A interrompere la scena, si sente il suono dell’organo che introduce alle funzioni religiose: è una gemma dell’opera, la celeberrima preghiera al Cristo risorto, intonata dal Coro e da Santuzza.
[Teatro Comunale Bologna – 2008. Regia di Liliana Cavani]
Il Coro, in una scrittura solenne ed ecclesiastica quasi di matrice rinascimentale come conviene a un brano di musica sacra, intona il Regina Coeli in latino, e nella parte in italiano (Inneggiamo, il Signor non è morto) si produce in una scrittura innodica e in maggioranza omofonica. Ad esso si aggiunge Santuzza che costituisce una voce originale e soprattutto individuale in contrapposizione al coro, una massa anonima e non ben distinta, pur cantando le stesse parole che, sulla sua bocca, si dispiegano in una scrittura estremamente lirica, idonea a rappresentare efficacemente il tormento della donna peccatrice che vorrebbe redimersi. Il canto dolente e pieno di fervore religioso di Santuzza - personaggio che nella Cavalleria di Mascagni si erge a vero e forse unico protagonista che domina come un gigante tutti gli altri - finisce per coinvolgere anche il coro con i soprani che alla fine raddoppiano la parte della donna.
♫♫ Inneggiam al Signore risorto CORO. Regina coeli laetare. Alleluja! Quia quem meruisti portare. Alleluja! Resurrexit sicut dixit. Alleluja!
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SANTUZZA, LUCIA E CORO. Inneggiamo, il Signor non è morto, Ei fulgente ha dischiuso l'avel, Inneggiam al Signore risorto oggi asceso alla gloria del Ciel! CORO. Ora pro nobis Deum. Alleluja! Gaude et laetare, Virgo Maria. Alleluja! Quia surrexit Dominus vere. Alleluja! Dall alta e o a fu e edetto uest olivo he a ava il “ig o po ti e a es a ell u ile tetto la do esti a pa e e l a o ! Dopo questo momento quasi mistico, suggellato dall’orchestra che alla fine del coro riprende ancora il tema della preghiera, il dramma ritorna sulla terra con un repentino arpeggio discendente che introduce la domanda di mamma Lucia: “Perché m’hai fatto cenno di tacere?”. La risposta di Santuzza è affidata alla romanza, Voi lo sapete, o mamma, con la quale la donna racconta il forte sentimento d’amore che la lega a Turiddu, ma anche il tradimento di quest’ultimo che, ancora innamorato della sua ex-fidanzata Lola, continuava a frequentarla quando il marito era assente.
[Daniela Dessy (Santuzza), Teatro antico di Taormina, 2013]
Nella prima parte dell’accorata risposta di Santuzza, la donna presenta un carattere narrativo che assume toni drammatici nel momento in cui ella ripete per ben due volte “l’amai” su un accompagnamento orchestrale che riprende il tema iniziale quasi a scandagliare il cuore della donna, mentre la seconda parte (Quell’invida) è caratterizzata da una rielaborazione del tema orchestrale già udito quando era stato presentato questo personaggio. Nell’ultima parte della romanza si concentra, in una scrittura certamente più lirica, il dramma di Santuzza disonorata e tradita perché “Lola e Turiddu s’amano.”
♫♫ Voi lo sapete, o mamma SANTUZZA. Voi lo sapete, o mamma, prima d'andar soldato,
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Turiddu aveva a Lola eterna fè giurato. Tornò, la seppe sposa; e con un nuovo amore volle spegner la fiamma Che gli bruciava il core: M'amò, l'amai. Quell'invidia d'ogni delizia mia, del suo sposo dimentica, arse di gelosia... Me l'ha rapito... Priva dell'onor mio rimango: Lola e Turiddu s'amano, Io piango, io piango! LUCIA. Miseri noi, che cosa vieni a narrarmi In questo santo giorno? SANTUZZA. Io son dannata! Alla fine mamma Lucia è profondamente turbata e, mentre si sente in orchestra il tema iniziale del preludio utilizzato per rappresentare la funzione religiosa, Santuzza la implora di pregare Dio per lei che sarebbe rimasta per parlare con Turiddu. Annunciato da un rapido tema in semicrome, Turiddu non tarda ad arrivare per dar vita insieme a Santuzza al duetto centrale dell’opera, dove amore tradito, gelosia, paura e ira si intrecciano vertiginosamente tra di loro. Turiddu, inizialmente, vorrebbe evitare il colloquio con Santuzza forse prevedendone l’argomento, ma la donna gli chiede dove sia stato ricevendo in risposta una menzogna: “a Francofonte”. Nel
successivo
Andante,
Santuzza,
su
un
semplice
accompagnamento accordale che esalta il tono colloquiale del passo, smaschera il suo amante, dicendogli che era stato “scorto presso l’uscio di Lola” e aggiungendo che glielo aveva riferito lo stesso Alfio. [Enrico Caruso (Turiddu) con Enrichetta Ferrara-Moscati (Santuzza). Caserta, aprile 1895] Al nome del suo rivale, Turiddu esplode in uno dei suoi tanti scatti d’ira che caratterizzano questo duetto: egli teme la vendetta del marito della sua amante, ma subito dopo, a una nuova domanda di Santuzza, nega la sua relazione con Lola accusandola di essere gelosa. Qui la musica diventa protagonista con una netta contrapposizione tra Turiddu [Bada, Santuzza, schiavo non sono] sempre iracondo e una Santuzza che si esprime con uno struggente lirismo pieno di angoscia.
♫♫ Bada Santuzza SANTUZZA. Tu l'ami dunque? TURIDDU No... SANTUZZA. Assai più bella è Lola.
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TURIDDU. Ta i, o l a o “ANTU))A. L a i… Oh aledetta! TURIDDU. Santuzza? SANTUZZA. Quella cattiva femmina ti tolse a me! TURIDDU. Bada Santuzza, schiavo non sono di questa vana tua gelosia! SANTUZZA. Battimi, i sulta i, t a o e pe do o, a è t oppo fo te l a gos ia mia. Al centro del duetto si inserisce lo Stornello di Lola (Fior di giaggiolo), una pagina leggera che rappresenta perfettamente il carattere frivolo della donna che allude al suo amore per Turiddu, senza mai nominarlo, in tono quasi provocatorio. Sembra uno squarcio di luce che solo in apparenza alleggerisce la scena, ma che contribuisce ad accendere da una parte la gelosia di Santuzza e dall’altra la passione di Turiddu.
[Teatro Metropolitan, Catania - 2017]
♫♫ Fior di giaggiolo LOLA. Fior di giaggiolo, Gli angeli belli stanno a mille in cielo, Ma bello come lui ce n'è uno solo. Ciò appare evidente nel successivo recitativo, al quale partecipano Lola, Santuzza e Turiddu, pieno di battute allusive al peccato e all’ipocrisia di Lola che bacia in terra perché sa di non aver peccato. La rabbiosa e ironica risposta di Santuzza non si fa attendere e l’intervento di Turiddu non serve a placare gli animi. Mentre Lola va via accompagnata dalla ripresa del suo stornello in orchestra, Turiddu, rimasto solo con Santuzza, esplode in un nuovo scatto d’ira nei confronti della donna che, da parte sua, risponde con una nuova appassionata dichiarazione d’amore (No, no, Turiddu).
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Nei confronti di Santuzza - che anche in questo duetto giganteggia con il suo accorato appello di donna innamorata e ferita nei suoi sentimenti, ma disposta a perdonare anche il tradimento - Turiddu mostra una meschinità di sentimenti che è resa dalla musica in alcuni passi con l’uso di ribattuti che indulgono al parlato, quasi a dimostrare l’impossibilità dell’uomo di competere nel canto con la sua amante. Nonostante i disperati appelli della donna Turiddu la scaccia e ne provoca l’ira che si produce nel famoso urlo “A te la mala Pasqua, spergiuro!”, mentre l’orchestra riprende il tema con il quale la protagonista era stata presentata all’inizio. Turiddu entra in Chiesa.
♫♫ No no Turiddu SANTUZZA. Turiddu, ascolta! TURIDDU. No! SANTUZZA. No, no, Turiddu, rimani ancora. Abbandonarmi dunque tu vuoi? TURIDDU. Perché seguirmi, perché spiarmi sul limitare fin della chiesa? SANTUZZA. La tua “a tuzza pia ge e t i plo a; come cacciarla così tu puoi? TURIDDU. Va, ti ripeto, va, non tediarmi, pe ti si è va o dopo l offesa! SANTUZZA. Bada! TURIDDU. Dell i a tua o i u o! (La getta a terra e corre in chiesa) SANTUZZA. A te la mala Pasqua, spergiuro! Introdotto dall’ironico tema utilizzato per i versi “m’aspetta a casa Lola che m’ama e mi consola” della sortita di Alfio, entra il carrettiere. Santuzza, profondamente ferita e amareggiata, svela ad Alfio la relazione in corso tra sua moglie e Turiddu. Inizialmente Alfio sembra non credere, ma alla fine esplode nel famoso e rabbioso Infami loro, mentre la donna, pentita, vorrebbe rimangiarsi ciò che aveva detto prima in un momento di ira.
♫♫ Infami loro Infami loro: ad essi non perdono; vendetta avrò pria che tramonti il di. Io sangue voglio, all'ira m'abbandono, In odio tutto l'amor mio finì... INTERMEZZO Il celeberrimo Intermezzo sinfonico separa le due parti dell’atto unico e copre, da un punto di vista temporale, il periodo in cui si svolge la cerimonia religiosa. Quasi tutte le opere di Pietro Mascagni hanno pagine sinfoniche di bella fattura, ma nessuna può eguagliare l’Intermezzo della Cavalleria rusticana, breve ma così intenso e struggente; ciò che colpisce di questa dolcissima melodia è la potenza evocativa e il grande afflato lirico.
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La prima parte dell’Intermezzo, di carattere preludiante, dal punto di vista tematico deriva dal “Regina Coeli” dell’opera ed è caratterizzata dalle sonorità celestiali dei violini che si muovono in un registro acuto, con un piccolo ‘lamento’ dell’oboe; la seconda parte presenta una melodia di grande intensità e passione eseguita dagli archi all’unisono, rinforzata dall’organo e punteggiata dall’arpa; questa seconda parte la musica è stata rielaborata da Mascagni da una precedente “Ave Maria”.
[Teatro Comunale Bologna - 2008]
Ritorna il Coro: la ripresa del tema iniziale dell’opera sembra riportare la serenità, si odono le campane a festa, i legni ripetono le loro linee melodiche mentre gli uomini e le donne ritornano a casa dopo la Messa che ha infuso letizia nei loro cuori.
♫♫ A casa CORO MASCHILE. A casa, a casa, amici, ove ci aspettano le nostre donne, andiam. Or che letizia rasserena gli animi, senza indugio corriam. CORO FEMMINILE. A casa, a casa, amiche, ove ci aspettano i nostri sposi, andiam. Or che letizia rasserena gli animi, senza indugio corriam. Turiddu, nel clima di festa, offre del vino agli amici: in questo modo potrà stare ancora vicino alla sua amata Lola. Intona il celebre Brindisi Placido Domingo, nel ruolo di Turiddu, nella scena del brindisi]
♫♫ Viva il vino spumeggiante TURIDDU. Amici, qua, beviamone un bicchiere. Viva il vino spumeggiante nel bicchiere scintillante come il riso dell'amante mite infonde il giubilo!
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Viva il vino spumeggiante nel bicchiere scintillante come il riso dell'amante mite infonde il giubilo! Viva il vino ch'è sincero, che ci allieta ogni pensiero, che affoga l'umor nero nell'ebbrezza tenera. Viva il vino ch'è sincero, che ci allieta ogni pensiero, e che affoga l'umor nero nell'ebbrezza tenera. CORO, TURIDDU, LOLA. Viva! Ai vostri amori! Viva! Alla fortuna vostra! Viva! Beviam! Viva! Beviam! Rinnovisi la giostra! Viva il vino spumeggiante nel bicchiere scintillante Come il riso dell'amante mite infonde il giubilo! Viva il vino ch'è sincero, che ci allieta ogni pensiero, e che affoga l'umor nero nell'ebbrezza tenera. Viva il vin! Viva il vin, viva il vin, viva il vin! Beviam! Il brindisi costituisce l’ultimo raggio di luce all’interno dell’opera che, da questo momento in poi, precipita verso la tragedia annunciata dall’ingresso di Alfio che, con un tono distaccato, quasi aristocratico, rifiuta di bere il vino offertogli da Turiddu che reagisce gettandolo a terra. A questo punto il personaggio di Alfio sembra subire una metamorfosi, in quanto appare piuttosto freddo, spinto dal dovere dettato dall’onore e non da una passione per la moglie che sembra non trasparire in nessun passo dell’opera. Cala li silenzio. Lola, che ha compreso ciò che sta accadendo, si produce in un inquietante disegno ascendente che diventerà, in orchestra, il motivo principale di questo passo nel quale le altre donne la invitano ad andar via. Le stesse donne si allontanano assieme a Lola, come vogliono le leggi non scritte di quella civiltà contadina. Turiddu fa per abbracciare Alfio, come gesto distensivo; questo si rivela essere uno stratagemma per mordergli l'orecchio e sfidarlo quindi a duello. Mascagni non interviene con l’orchestra creando l’illusione di realtà attraverso un serrato scambio di battute quasi da teatro di prosa. Se Alfio mostra, ancora una volta,
un
atteggiamento
distaccato,
Turiddu è certamente più loquace; confessa, infatti, il suo torto e afferma che si sarebbe fatto uccidere se non fosse stato impedito dal pensiero che Santuzza sarebbe rimasta sola a causa della sua morte. Turiddu, prima di raggiungerlo dietro l’orto, ha il tempo per un toccante addio alla madre che, iniziato su un raggelante e coinvolgente arpeggio degli archi in tremolo, trova un’accorata espansione lirica nella richiesta all’anziana donna di “fare da madre a Santa” nell’eventualità che egli non tornasse più.
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♫♫ Mamma, quel vino è generoso TURIDDU. Mamma, quel vino è generoso, e certo oggi troppi bicchieri ne ho tracannato... vado fuori all'aperto. Ma prima voglio che mi benedite come quel giorno che partii soldato... E poi... mamma... sentite... s'io... non tornassi... voi dovrete fare da madre a Santa, ch'io le avea giurato di condurla all'altare. LUCIA. Perché parli così, figliuol mio? TURIDDU. Oh! nulla! È il vino che mi ha suggerito! Per me pregate iddio! Un bacio, mamma... un altro bacio... addio! Turiddu dà un ultimo abbraccio alla madre e si allontana precipitosamente, e sul tema, rielaborato della introduzione orchestrale di Voi lo sapete, o mamma, entra Santuzza che abbraccia disperata mamma Lucia.
[Enrico Caruso, Addio alla mamma. Caserta 1895 (non 1894 come erroneamente scritto sull i
agi e ]
Dell’esito del duello, che si svolge fuori scena, ci informa una donna che urla “Hanno ammazzato compare Turiddu”. La scena si chiude con urlo provenire dalla folla di popolani: "Hanno ammazzato compare Turiddu!", un grido ripetuto più volte per far risaltare il tragico finale della storia d’amore. In quest’urlo finale, al plurale, si respira quell’atmosfera di terribile inesorabilità dell’intera vicenda: con il grido “Hanno ammazzato” si rende ben evidente che compare Alfio non ha fatto che eseguire una sentenza di colpevolezza e di morte pronunciata da tutto il paese. Tutti gettano un grido. Santuzza cade priva di sensi, Lucia sviene ed è sorretta dalle donne accorse nella piazza. L’orchestra, con un rapido disegno cromatico discendente che conduce ad un tragico accordo di fa minore, conclude fragorosamente l’opera, lasciando l’amaro in bocca di un destino tragico ed ineluttabile.
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[Beniamino Gigli nel ruolo di Turiddu]
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DISCOGRAFIA Esiste una discreta (anche se non ampia) discografia di quest’opera, abitualmente associata in CD o su DVD a Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Questo stesso accoppiamento non è raro trovarlo anche in teatro, spesso con lo stesso cast, che si sobbarca un duplice faticoso impegno. In questa sezione, vi presento alcune incisioni, da considerare punto di riferimento o artistico o storico solo dell’opera di Mascagni.
Pietro Mascagni: Cavalleria Rusticana Carlo Bergonzi, Fiorenza Cossotto, Adriane Martino, Maria Gracia Allegri, Giangiacomo Guelfi. Coro e Orchestra del Teatro alla Scala, dir. Herbert von Karajan Deutsche Grammophon Siamo difronte ad una grandissima interpretazione, la migliore secondo la quasi totalità dei critici (e io sottoscrivo in pieno, amo quest’opera sin da ragazzo!). Questa edizione della Cavalleria Rusticana è incredibilmente emozionante. Grande prova di Karajan nella conduzione orchestrale, carica di emozioni immense: ascoltare per credere soltanto l'intermezzo, il preludio e i momenti del coro, sono di una bellezza incredibile! Carlo Bergonzi è semplicemente favoloso: dall'inizio alla fine racconta l'amore per Lola delineando un personaggio pieno di colore e di passione, che chiude con una devozione all'onore ed alla madre che commuove fino in fondo. Gli altri interpreti sono egualmente bravissimi, difficile fare una graduatoria di merito. La qualità di registrazione, sebbene sia del 1966, è decisamente buona: canali stereo ben separati con una buona spazialità ed un'ottima pulizia del suono. Il cofanetto è a doppio contenitore (anche se contiene un solo disco) ed accoglie il libretto completo con una breve introduzione a spiegazione dell'opera. Assolutamente da avere.
Esiste anche una bellissima edizione video, con cast pressoché uguale. Cecchele fa un’ottima prova, ma non è all’altezza di Bergonzi. Nel video è inserita anche l’opera Pagliacci di Leoncavallo.
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Pietro Mascagni: Cavalleria rusticana Giuseppe di Stefano, Maria Callas, Rolando Panerai, Anna Maria Canali, Ebe Ticozzi Coro e Orchestra del Teatro alla Scala di Milano, dir. Tullio Serafin Warner Classics (rimasterizzato dall’edizio e del 95 ) Anche questo disco è veramente strepitoso. Nel 1939 Maria Callas, studentessa quindicenne ad Atene, fece il suo debutto sul palcoscenico nel ruolo impegnativo di Santuzza in Cavalleria rusticana. Cinque anni dopo la cantò professionalmente con la Greek National Opera Company. Nel 1953, quando era già una star - poco dopo aver inciso Tosca - Tullio Serafin l'aveva chiamata alla Scala come sostituta dell'ultimo minuto per una collega malata. Il risultato fu una registrazione in cui il verismo fu elevato a nuove vette interpretative. Non c'è nessuna come la Callas. È la Santuzza perfetta, l'essenza del verismo. Questa è una delle sue interpretazioni che può essere goduta senza riserve: la voce è sicura e costante, e dimostra la sua capacità di trasmettere una gamma completa di emozioni senza esagerare. Al momento di questa registrazione erano anche al massimo della potenza ed espressività musicale anche Giuseppe di Stefano e di Rolando Panerai. Che dire? Indimenticabili! Il primo offre un Turiddu virile in tutti i suoi sentimenti; Panerai è un Alfio davvero eccezionale, che canta magnificamente la musica e fornisce una caratterizzazione molto più sottile del marito traditore standard di innumerevoli opere. La direzione di Tullio Serafin è tipicamente ampia e imponente: l’orchestra lo segue, e "canta" (ascoltate i fiati e i legni!) quanto i suoi interpreti vocali. Il suono è mono, quindi purtroppo non può pretendere che gli effetti sonori si espandano nell’aere nel modo in cui lo farebbero su una buona registrazione stereo.
Pietro Mascagni: Cavalleria Rusticana Placido Domingo, Elena Obrztova, Renato Bruson Ruggero Leoncavallo: Pagliacci Plácido Domingo, Teresa Stratas, Juan Pons, Alberto Rinaldi, Florindo Andreolli Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, dir. Georges Prêtre Regia di Franco Zeffirelli Unitel - Deutsche Grammophon [DVD]
Cavalleria Rusticana rappresenta una delle grandi contraddizioni dell'opera: una storia tragica, sofferta, ambientata in una terra meravigliosa ma con mentalità arcaica e raccontata con alcune delle musiche più belle mai composte per l'opera.
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La magnifica produzione di Franco Zeffirelli risolve una parte di questa contraddizione filmando l'opera direttamente in Sicilia, e onorando così il "realismo" che Pietro Mascagni aveva inteso. Zeffirelli è un grande regista, e la sua evocazione della Sicilia ottocentesca è da mozzare il fiato: la Messa pasquale ("Inneggiamo il Signor non è morto") è una scena di potere trascendente: con le sue numerose persone e costumi d'epoca, è autentica e coinvolgente. Placido Domingo ha una grande presenza scenica come Turiddu, ed Elena Obrazstova porta una determinazione ferrea a Santuzza. Bella anche la voce di Renato Bruson (Alfio) con la sua frusta all'inizio del film quando entra nel mercato e tutti lo circondano per ascoltare. Il coro della Scala aggiunge potenza e ispirazione a una grande esperienza musicale. Chi non volesse acquistare il video, il CD (con la sola Cavalleria) è stato edito dalla Philips (416137-2)
Pietro Mascagni: Cavalleria rusticana Placido Domingo, Tatiana Troyanos, Sherril Milnes Ruggero Leoncavallo: Pagliacci Placido Domingo, Teresa Stratas, Sherril Milnes Metropolitan Opera Chorus & Orchestra, dir. James Levine The Metropolitan Opera
In questa breve sequenza di interpretazioni consigliate, non poteva mancare questa versione registrata ai “tempi d’oro pregiatissimo” (1978) del Met di New York! Questa è un’ottima versione in DVD della classica accoppiata "Cavalleria rusticana" e "Pagliacci", con la regia di Franco Zeffirelli e la direzione di James Levine (cosa chiedere di più?). Placido Domingo ha una voce meravigliosa ed è al culmine della sua grande carriera artistica. E’ Turiddu fino in fondo, ferocemente minaccioso di fronte a Santuzza e commovente quando si rivolge a mamma Lucia prima del tragico duello. Tatiana Troyanos è superba: la sua vocalità scura e ricca racchiude pienamente la tragica figura di Santuzza, tra le migliori in assoluto in questo personaggio. Un tragico destino ha tolto purtroppo troppo presto questo mezzosoprano statunitense dai palcoscenici di tutto il mondo: la sua carriera venne troncata in giovane età (54 anni), nel 1993, per un tumore al seno. Nel 1994, la Metropolitan Opera diede un concerto in sua memoria, nel corso del quale il direttore musicale James Levine disse: «Il significato di questa celebrazione è che la nostra famiglia del Metropolitan Opera ha perso una delle artiste più importanti ed amate della sua intera storia.» Levine ha una conduzione energica e ricca di colori, e l’orchestra ha una performance di alto livello.
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L'unico punto un po’ debole dell’opera è l'Alfio di Milnes: pur sempre bravo, la sua voce è troppo pesante e potente rispetto a ciò che richiede questo ruolo. Acquisto consigliato anche per chi si avvicina a queste due opere per la prima volta.
Pietro Mascagni: Cavalleria rusticana Beniamino Gigli, Lina Bruna Rasa, Giulietta Simionato, Gino Bechi, Maria Marcucci Orchestra & Coro del Teatro alla Scala di Milano, dir. Pietro Mascagni Naxos Historical Non poteva infine mancare questa incisione “storica”, registrata dallo stesso Mascagni, che ci permette di ascoltare l’opera con i ritmi (più dilatati di altre incisioni) e la coloritura del Compositore in persona. Questa incisione venne decisa dalla Casa discografica La Voce del Padrone nel 1940, in occasione della celebrazione del 50° anniversario della prima esecuzione di Cavalleria. In generale questa registrazione possiede un buon equilibrio tra orchestra e cantanti. Beniamino Gigli qui è un Turiddu di riferimento soprattutto storico: gli veniva contestata l’accusa, diffusa e solo in parte condivisibile, di essere querulo e lamentoso. Sia chiaro che Gigli non disponeva dello scatto e dello slancio di altri Turiddu a lui contemporanei come Pertile, Merli o il tedesco Rosvaenge, ma la scrittura comoda, la possibilità di far vibrare ora la corda guascona ora quella patetica hanno contribuito a fare del personaggio siciliano uno dei ruoli preferiti da Gigli. Lina Bruna Rasa era un soprano particolarmente apprezzata per le sue interpretazioni nel repertorio verista e una delle preferite di Pietro Mascagni che la considerava la Santuzza ideale. ♫♫ [Nei primi anni 1930 Lina Bruna Rasa iniziò a mostrare i primi segni di malattia mentale, che fu la causa del suo ritiro prematuro dal palco. Questo stato di salute peggiorò con la morte della madre nel 1935, e da allora il suo grave esaurimento la portò a passare periodi sempre più lunghi lontano dal palco, spesso in sanatori. Gino Bechi che aveva cantato con lei nella registrazione del 1940 di Cavalleria Rusticana ricordava che durante le sessioni di registrazione lei gli avrebbe chiesto con insistenza se avesse notato i cavalli bianchi dietro le quinte che credeva fossero in attesa di portarla via: fortunatamente diventava completamente lucida quando la musica cominciava. Così la ricordava il tenore Giovanni Breviario: “La sua meravigliosa voce prendeva vita non appena cominciava la sua scena. Questo accadeva solo sul palco. Eravamo tutti molto affettuosi verso di lei, ma quando non era sul palco era passiva, apatica, non avrebbe mai parlato e rimaneva tenacemente aggrappata alla sua borsetta”.
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Il 20 luglio 1942 a Pesaro cantò la sua ultima Cavalleria Rusticana. Trascorse gli ultimi 36 anni della sua vita in un ospedale psichiatrico di Cernusco sul Naviglio, dove morì il 20 Settembre 1984.] ♫♫ Nel CD all’inizio della registrazione vi è la presentazione dell’opera esposta in maniera pomposa e retorica dallo stesso Mascagni. Vi riproduco il testo integrale: “Ascoltatrici ed ascoltatori gentili, sono Pietro Mascagni, e vi rivolgo la parola per dirvi che la mia Cavalleria rusticana compie i cinquanta anni, ed è legata, nella mia memoria, a tante dimostrazioni di simpatia che non ho potuto resistere all’invito della nobile Voce del Padrone, e mi sono deciso a presentarvi in dischi, per intero, e per la prima volta sotto la mia personale direzione. La mia creatura, che prende vita dagli artisti più celebrati e da masse orchestrali e corali che non hanno rivali nel mondo, rimarrà pertanto quale immagine mia, meglio e più di qualsiasi ritratto con firma autografa. Ed io, che di autografi ne ho fatti tanti, non ne ho mai rilasciato alcuno con maggior piacere, perché è il più vivo che si possa dare, ed è quello che meglio mi rappresenta nella doppia veste di autore e di direttore della musica mia. Vi saluto cordialmente prima di alzare la bacchetta.”
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Pietro Mascagni
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