Gli Amici del Loggione n° 4 - Aprile 2018

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GLI AMICI DEL LOGGIONE Numero 4 – Aprile 2018


GLI AMICI DEL LOGGIONE Rivista Trimestrale on-line di Musica Classica e Lirica Numero 4 - Aprile 2018

Coordinatore editoriale ed Autore dei testi: Giuseppe Ragusa

In questo numero: 1a Copertina: L’Etoile, di Edgar Degas (Museo d’Orsay, Parigi) 4a Copertina: Georges Bizet (1838-1875), foto di Ètienne Carjat [2] [3] [6] [42] [43] [47] [55] [61] [68]

Indice Editoriale Serate degli Amici del Vinile: “L’Amour est un oiseau rebelle…” (23.04.2015) La nostra copertina I grandi direttori: George Prêtre Focus su: Bolero, di Maurice Ravel Musica classica e cinema: Barry Lyndon, di Stanley Kubrick Strumenti musicali antichi: Il liuto Melomania: Carmen, di Georges Bizet

Gli articoli e le immagini presenti in questa Rivista sono di dominio pubblico, e senza alcun riutilizzo commerciale. Ci scusiamo per eventuali e non volute carenze od omissioni nelle indicazioni degli autori di porzioni di testi non virgolettati, o di immagini fotografiche, pittoriche e disegnate, o delle eventuali proprietà editoriali o © o ®, che verranno, se contestate, prontamente rimosse. Sito: http://amicidelvinile.it e.mail: info@amicidelvinile.it

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Editoriale Cari Amici, quarto numero on-line di questo “nostro” giornale! Come al solito, la prima parte della Rivista è dedicata all’esposizione di una delle mie Serate degli Amici del Vinile, in questo caso quella dedicata alla Musica del Romanticismo del 1800 in Francia. Era il 23 Aprile 2015, avevamo già alle spalle le storiche esperienze musicali presso la Trattoria di Egidio, prima “Culla” del nostro gruppo, ed eravamo approdati, grazie all’impegno e alla lungimiranza del nostro insostituibile Presidente Nicola, allo Spazio MAVV di Vittorio Veneto, un locale (a mio parere) dall’ambiente più impersonale rispetto all’atmosfera calda e concentrata della gestione egidiana, ma più adeguato per sfruttare in pieno le dinamiche timbriche dei dischi o del materiale audiovisivo delle nostre serate. Ricordo ancora il suono impressionante che uscì dalle casse allorquando trasmisi alcuni dei brani di un DVD della Carmen di Georges Bizet, che avevo portato con me per la serata. Che Habanera, che Toreador! Mai più li ho ascoltati in maniera così avvolgente e coinvolgente, ancor oggi al solo pensiero mi vengono i brividi di piacere assoluto, mi sarei visto tutta l’opera! Al proposito, approfitto di questo editoriale per ringraziare i nostri “giganti” dello staff tecnico, Andrea e Maurizio, per la loro indispensabile collaborazione, svolta con vera professionalità, chiave di successo di ogni nostra serata musicale.

Ma ritorniamo al lato… culturale di presentazione della serata. Il termine Romanticismo designa il movimento letterario, filosofico, artistico e culturale sviluppatosi al termine del XVIII secolo in Germania: preannunciato in alcuni dei suoi temi dal

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movimento preromantico dello Sturm und Drang (“Tempesta e assalto”), si diffuse poi in tutta Europa nel XIX secolo. I temi caratteristici del Romanticismo furono:

 la negazione della ragione illuminista: gli autori romantici rifiutano l’idea della ragione come metodo per spiegare ogni cosa, a vantaggio del sentimento e dell’irrazionale;

 l’esotismo: una fuga dalla realtà verso mete esotiche o verso il passato (soprattutto il Medioevo);

 il concetto di popolo e nazione: si forma la coscienza nazionale, spesso unita al desiderio di ricercare le antiche origini da cui sono sorte le nazioni moderne;

 studio della storia: ruolo del passato, soprattutto attenzione al Cristianesimo, inteso come filo conduttore che attraversa le varie epoche;

 titanismo e vittimismo: il titano è l’eroe che, pur prevedendo la sua sconfitta, non rinuncia a combattere quelle forze superiori, come il destino, la volontà divina, le forze naturali, la tirannia, che lo incatenano impedendogli il libero esercizio della sua volontà. A tale atteggiamento si contrappose il vittimismo secondo cui l’uomo del Romanticismo, nel desiderio di attribuirsi qualità di essere superiore, ama crogiolarsi pateticamente nel proprio dolore e se ne compiace intimamente. Il Romanticismo musicale ha dati peculiari intrinseci, in primis una nuova sensibilità per il suono in sé. L’orchestra è considerata come il mezzo più idoneo per produrre sonorità evocative e immagini tipicamente romantiche; si valorizzano le possibilità tecniche dei singoli strumenti (specialmente i fiati); le percussioni assumono maggiore importanza; si inventano nuovi strumenti (sassofono) e quelli tradizionali vengono migliorati; strumenti insoliti come l’ottavino, il corno inglese, l’arpa e la tromba, trovano maggior spazio. Lo strumento per eccellenza del periodo romantico fu il pianoforte: alcuni compositori, come Brahms, mirarono all’accrescimento delle sonorità dello strumento; altri, come Chopin, ricercarono lo stile largo del cantabile, il legato intenso, il tocco leggero, la tecnica perfetta e il cosiddetto “rubato” (leggera accelerazione della frase con la mano destra). Cambiò anche il modo di “sentire” la melodia: si cercò una maggiore scioltezza e flessibilità, e si predilesse l’estensione variabile e irregolare delle frasi rispetto alla struttura regolare del Classicismo. Si diffuse l’uso della “trasformazione tematica”: una stessa linea melodica compare in forme ritmiche diverse, prima in un tempo poi in un altro completamente diverso, o anche nella oscillazione tra due livelli tonali diversi, specialmente tra tonalità minore e relativa maggiore o viceversa, tanto che il carattere melodico appare stravolto. Il ripristino dell’opere antiche, come Bach per i luterani e la polifonia vocale di Palestrina per i cattolici, promosse la nascita della musicologia. L’esplorazione e il recupero della musica del passato ebbero un notevole effetto sulla pratica esecutiva, infatti a partire dall’800 il concetto di fedeltà al testo musicale divenne fondamentale per gli interpreti. 4


Cambiò anche l’ambiente sociale: il Romanticismo si sviluppò in un’epoca storica caratterizzata da profondi cambiamenti dell’assetto economico nonché politico sociale in Europa; si andava affermando l’economia capitalistica, e l’industrializzazione e l’abbandono della campagne favorirono l’incremento delle grosse città. Diventarono centrali la piccola e la media borghesia. Il mondo della cultura e della musica non trovano più collocazione all’interno delle corti nobiliari, ma all’interno dei salotti privati, dove padroneggiava il pianoforte, di cui si coltivava lo studio. L’incremento delle attività musicali e dell’interesse a quest’ultime fu dato dalla nascita delle istruzioni pubbliche musicali come il Conservatorio che nacque prima in Francia (1795) e poi in Italia a Bologna nel 1804. Il contatto del compositore col pubblico divenne sempre meno diretto, ma sempre più mediato dall’editoria che nel corso del XIX secolo divenne il mezzo di diffusione delle opere musicali. È proprio in questo periodo che nacque il diritto d’autore per poter trarre vantaggi economici dall’opera. In Italia la prima legge sul diritto d’autore venne emanata dopo l’Unità e per tutelarlo venne fondata la S.I.A.E. (1882). In questo periodo nasce anche la figura del maestro direttore d’orchestra che istruisce nel corso delle prove e dirige l’esecuzione del brano, assumendosi la responsabilità dell’interpretazione (in precedenza questo compito veniva affidato al cembalista o al primo violino). Mutarono infine le norme di comportamento del pubblico che assisteva ai concerti: difatti si affermò l’abitudine di ascoltare in silenzio.

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Serata degli Amici del Vinile:

“L’Amour est un oiseau rebelle…” Giovanni Battista Viotti: Tema e variazioni in do maggiore. L’interpretazione è dell’Orchestra Camerata Ducale diretta da Guido Rimonda. La nostra serata è iniziata con l’ascolto di un brano che tutti avete identificato nell’Inno nazionale francese, la celeberrima Marsigliese, la musica che forse più di ogni cosa rappresenta l’inizio del periodo

storico

parleremo

in

incontro,

note

del

quale

questo

nostro

travolgenti

e

patriottiche che sollecitano il più orgoglioso nazionalismo francese e la grandeur dei nostri cugini d’Oltralpe. Credo però che nessuno di voi sappia (e i francesi meno che meno vogliono saperlo) che questo brano è una composizione di musica classica “italiana!”, il cui titolo originale è Tema e variazioni in do maggiore, scritta nel 1781 da Giovanni Battista Viotti (1755-1824), violinista vercellese alla corte di Maria Antonietta a Parigi, quindi ben prima che a Parigi scoppiasse la Rivoluzione

e

Luigi

XVI

venisse

ghigliottinato dal suo popolo in ribellione. Giovanni Battista Viotti [nel riquadro], che era anche amico personale della regina, fuggì dalla Francia in rivolta (e quindi da una sicura morte per ghigliottina) ai primi del 1792. In quello stesso anno il compositore Claude Joseph Rouget de Lisle ricevette l’incarico dal maresciallo bavarese, Nicolas Luckner, di comporre un inno potente, forte e vitale, per l’Armata del Reno - della quale era stato nominato comandante - che avrebbe combattuto contro L’Austria. Rouget de Lisle avrebbe trascritto il brano di Viotti, intitolandolo Chant de guerre pour l’Armée du Rhin (Canto di guerra per l’Armata del Reno). Nessuna meraviglia, la musica a quei tempi non era nuova a questo genere di operazioni, anche perché tralaltro non esisteva il diritto d'autore.

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L’inno venne cantato per la prima volta a casa del sindaco di Strasburgo dallo stesso de Lisle. [Isidore Pils: Rouget de Lisle canta la Marseillaise per la prima volta nel 1792 (Musée historique de Strasbourg)]

L'inno, di grande impatto musicale e dalla melodia

trascinante,

potente

e

molto

coinvolgente, divenne la chiamata alle armi della Rivoluzione francese ed in questo contesto assunse il nome di Marsigliese perché cantata per le strade dai volontari (fédérés) provenienti da Marsiglia durante il loro viaggio verso Parigi, dov’erano diretti per assaltare il Palazzo delle Tuileries e porre fine alla monarchia. L’assenza della firma di Rouget dal primo spartito della Marsigliese ha sempre fatto dubitare dell’autenticità dell’opera: è certo che le melodie non sono originali e, secondo molti studiosi (anche se i pareri non sono concordi), vennero letteralmente copiate dall’opera di Viotti; molti hanno notato anche una certa somiglianza anche con l’Allegro maestoso del Concerto per pianoforte e orchestra n. 25 in do maggiore di Wolfgang Amadeus Mozart. Signori, questo è un plagio che grida vendetta! La Marsigliese fu subito adottata come inno dai rivoluzionari e fu proclamata inno nazionale il 14 luglio del 1795. L’inno fu poi bandito da Napoleone nel 1807: bisognerà aspettare fino al 1876 prima che diventi di nuovo inno nazionale della Francia. Come già scritto all’inizio, l’interpretazione che avete ascoltato è dell’Orchestra Camerata Ducale diretta da Guido Rimonda, un musicista profondo conoscitore dell’opera di Viotti e convinto assertore del plagio. Raimonda, che in questa incisione è anche primo violino dell’Orchestra, suona

un

particolare

Stradivari,

datato 1721, noto come “Le noir” (violino nero) [nel riquadro], che apparteneva al violinista Jean Marie Leclair,

un

artista

solitario

e

misantropo. L’artista venne

ucciso

con

una

pugnalata alla schiena a Parigi, nel 1764, da un sicario rimasto ignoto, che si introdusse nella sua casafortezza. Prima di morire, però, Leclair si trascinò sino ad afferrare con forza lo strumento: il violino rimase stretto nelle sue mani

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sino al ritrovamento - due mesi dopo la morte - del suo corpo ormai decomposto. Indelebili, rimasero così due macchie nere, segni tutt’ora visibili: da qui la denominazione del violino che si vuole, appunto, avvolto da mistero. Basti pensare che nessun tentativo di restauro è mai riuscito a cancellare tali macchie; si aggiunga, inoltre, che Rimonda lo ha ottenuto in dono dai facoltosi proprietari, i quali hanno però voluto l’assoluto anonimato. Una vicenda, dunque, che aumenta ancor di più il fascino tenebroso e misterioso di questo violino.

 LA GRAND-OPÈRA Nella seconda metà del 1700, il teatro musicale francese era rappresentato da due generi, la Tragédie-lyrique e l’Opéra comique.

 La tipica struttura della Tragédie-lyrique [denominata, in origine, "Tragédie en musique" o "Tragédie (re)mise en musique"] prevedeva la divisione dell’opera in un prologo, con carattere allegorico perlopiù mitologico, più cinque atti; il testo che la costituiva veniva interamente cantato secondo uno stile molto particolare, un tono declamatorio, ben lontano dalla maniera del "bel canto" all'italiana. Erano molto rari i brani melodici ariosi, e l’uso dei cori era limitato al solo accompagnamento dei pezzi coreografici per balletto, o come sottolineatura nelle sezioni a grande impatto scenografico.

[Cadmus et Hermione, tragédie lyrique di Jean-Baptiste Lully, Parigi 2008]

I balletti occupavano una posizione importante nella Tragédie-lyrique: i tempi di danza caratterizzano il ritmo di tutte le arie, a discapito della melodia; tuttavia le danze inserite all'interno di questo genere teatrale non erano concepite come contributo attivo all'azione drammatica, bensì solo come dei meri divertissements che ne "spezzavano" l'andamento.

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L'ultima caratteristica importante della tragédie lyrique concerne i suoi soggetti, che erano per lo più di argomento mitologico, ma che non necessariamente davano esito a finali negativi, come il termine tragédie potrebbe far pensare: l'azione drammatica non doveva costituirne l'elemento centrale, ma dovevano trovare espressione i sentimenti dei personaggi, anche se stereotipati. Era quindi caratterizzata da un gusto marcato per la spettacolarità, assolutamente conforme alle poetiche barocche. Gli autori più importanti furono Lully, Rameau, Gluck, Cherubini, Salieri, Spontini.

 L’altro genere era l’Opéra comique (aggettivo che indica la presenza di recitazione), uno spettacolo musicale misto con parti recitate e cantate, che prendeva il nome dal teatro parigino (Opéra-Comique) deputato a ospitare commedie inframmezzate da brani musicali. Si diffuse nel Settecento e protrasse le sue fortune fino al tardo Ottocento. L’Opera comique non va indentificata nell’opera buffa italiana, ma va intesa nel senso “teatrale” del termine, cioè indica la presenza di un elemento proprio del teatro di prosa, e dei dialoghi recitati, che si alternano alle parti cantate. Durante il decennio della rivoluzione e del

periodo

napoleonico,

l’opéra

comique si arricchì sia da un punto di vista

musicale

rivoluzionari

che

letterario.

incoraggiarono

I lo

sviluppo della musica e dei grandi spettacoli

all’aperto

promuovendo

lavori operistici ispirati agli ideali patriottici. L’Opera comique diviene quindi il principale veicolo per il messaggio della Rivoluzione. In questo periodo nacque un tronco dell’Opera comique, la Pièce (o Opera a salvataggio), caratterizzata da un intreccio che comportava una liberazione in extremis [solitamente il cattivo è un tiranno anti rivoluzionario]. Da ricordare è la storia di “Leonora” o ”L’amore coniugale”, del 1798, messa in musica dal compositore Pierre Gaveaux basata su una storia vera: una signora con vestiti maschili si introduce in un carcere dove illegalmente è imprigionato il marito e lo protegge dal suo persecutore. Vennero introdotti i più diversi e spettacolari colpi di scena, suoni fuori scena e situazioni shock per calamitare il pubblico. Dopo il 1830, si affermò un nuovo genere, la “Grand Opéra” che dominerà il teatro francese per più di vent’anni. Questo genere, che ebbe come centro Parigi, prediligeva argomenti a sfondo storico con una trama fitta di colpi di scena, prevedeva l’esibizione di sfarzose scene di massa, l’inserimento di balletti e di sfilate di animali. Erano nuovi gli effetti orchestrali, lunghi ed elaborati i balli e i cori; la scrittura vocale più varia ed eclettica. Lo spettacolo era ricco e superava tutto quello che s’era visto

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in precedenza. C’era di tutto: rombi di cannoni e scampanii, storie di veleni e pugnali, vendette e tradimenti, cupe scene cimiteriali, languidi duetti d’amore. Queste composizioni badavano più agli effetti scenici che all’arte vera e propria, in definitiva uno spettacolo per un pubblico popolare che chiedeva emozioni forti e non più la compostezza e la moderazione dell’aristocratico Settecento. Con 18 opere complessive, il primo grande nome legato al genere della Grand-Opéra fu quello di Jacob Meyerbeer (1791-1864) un musicista tedesco di origine ebraica, autore delle opere (cito le più note) “Gli Ugonotti”, “Il profeta”, “La stella del Nord”. Nessuna di queste opere è però riuscita a mantenersi nel nostro attuale repertorio, a parte alcuni rari inserti. Tratta da “Il Profeta” ho scelto la Marcia dell’Incoronazione, un tipico esempio di Grand-Opéra: il brano è maestoso, solenne ed allo stesso tempo formato da temi musicali piuttosto semplici ed orecchiabili, di facile fruizione. La ascoltiamo nella “fragorosa” e regale interpretazione della New York Philharmonic diretta da Leonard Bernstein. La NYP, fondata nel 1842, è la più antica delle orchestre statunitensi e tra le più antiche del mondo. Prestigiosi suoi Direttori furono Gustav Mahler, Arturo Toscanini, Dimitri Mitropulos, Bruno Walter, George Szell, Pierre Boulez, Zubin Metha, Lorin Maazel. La sua collaborazione con Leonard Bernstein ha prodotto esecuzioni leggendarie.

A dare perenne lustro e dignità alla Grand-Opéra fu il grande compositore pesarese Gioachino Rossini (1792-1868), che, dopo i trionfi italiani, si era trasferito definitivamente a Parigi, partecipando attivamente alla vita musicale nella capitale francese. Il grande contributo rossiniano alla Grand-Opèra fu il Guglielmo Tell, capolavoro a cavallo tra classicismo

e

romanticismo,

composto

dal

musicista all'età di trentasette anni ed ultima sua opera teatrale, prima di ritirarsi a vita privata. Molti storici si sono interrogati sulla causa del suo precoce ritiro dalle scene teatrali: c’è chi parla di grave

depressione,

chi

invece

parla

di

incompatibilità artistica tra l’arte rossiniana e l’emergente romanticismo. Rossini visse fino a 76 anni, chiuso nel suo silenzio quarantennale interrotto solo da alcune composizioni minori, per la maggior parte pianistiche, da lui definite “peccati di vecchiaia”, perlopiù a carattere sacro (“Petite Messe solennelle”, “Stabat Mater”). 10


Del Guglielmo Tell, che, ripeto, va inquadrato nel contesto francese di questa serata, ascoltiamo il quarto movimento della celeberrima Ouverture. Essa è un’ampia pagina sinfonica articolata in 4 movimenti: inizia con il dialogo cameristico tra violoncelli solisti; quindi compare lo scatenarsi della tempesta, con i violini ed i flauti in primo piano per poi irrompere con veemenza tutta l’orchestra con il fragore degli ottoni; segue l'Andante pastorale con la melodia del corno inglese, strumento bucolico per antonomasia, contrappuntata dal flauto; infine squilli di tromba accompagnate dall’eco dei corni e dal rombo delle percussioni, annunciano il travolgente galoppo suonata da tutta l'orchestra in un finale trascinante ed entusiasmante. Sentiremo quest’ultimo movimento nella interpretazione dell’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano diretta da Riccardo Muti, in una registrazione video del 14 dicembre 1988. Ho scelto di mettere il video per poter apprezzare anche visivamente, oltre la possente forza timbrica dell’orchestra, la grande energia interpretativa del suo direttore in uno dei momenti più felici ed ispirati della loro collaborazione. Inebriante il crescendo rossiniano!

 IL ROMANTICISMO IN FRANCIA Il principale esponente musicale romantico in Francia fu Hector Berlioz (1803-1869). Così lo descrive Schumann: “Non si sa se debba essere considerato un genio o un avventuriero musicale: splende come un lampo, ma lascia dietro di sé una puzza di zolfo…”. Berlioz fu un compositore dalla vita triste e travagliata, segnata da vari lutti familiari. Personaggio eccentrico, pensava alla sua musica eseguita in spazi immensi con folle enormi. Visse in patria una vita da incompreso, odiato da molti musicisti: il pubblico preferiva quelle espressioni strumentali che esaltavano gli aspetti virtuosistici ed identificava gli ideali dell'arte musicale con le grandiosità esteriori del Grand-Opèra. Ma in questo clima “mondano” Berlioz portò qualcosa di nuovo. La sua Sinfonia fantastica (eseguita nel 1830) fu il primo esempio della cosiddetta musica a programma: con appropriate

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didascalie, premesse ai movimenti della sinfonia, Berlioz tracciò un itinerario a metà fra il realismo e l’immaginario, descrivendo le fantasie dell’artista sotto l’influsso di un doppio incitamento, la passione amorosa e la droga. ♫♫ La Sinfonia Fantastica, il cui sottotitolo (Episodi della vita di un artista) ne indica il carattere autobiografico, è un poema sinfonico in cinque movimenti, ciascuno dei quali è modellato su uno specifico testo letterario, collegati da un'idea fissa (idée fixe), un pensiero musicale che nella mente del protagonista si associa sempre alla donna amata. Berlioz descrive in quest'opera in maniera sofferta l'incontro con la sua amata, la bella attrice inglese Harriet Smithson [nel riquadro], e descrive tutte le sue ambasce per l'amore non corrisposto. L’artista quindi si vede come eroe tragico, solitario e sofferente, una figura tipica della letteratura romantica. Ad onor della cronaca due anni più tardi Harriet divenne sua moglie, e dieci anni più tardi egli l’abbandonava, deluso che l’incantevole interprete di Shakespeare si rivelasse nella vita quotidiana un essere meschino, pedante, e per di più gelosa. Della Sinfonia fantastica ascoltiamo il 2° movimento "Un ballo": è un trascinante valzer in la maggiore, nel quale il protagonista è ritratto durante una festa danzante, costantemente turbato dall'immagine della donna amata (che compare attraverso la solita immagine melodica della idée fixe). Ho scelto una splendida e raffinatissima esecuzione dei Berliner Philharmoniker diretti da Herbert von Karajan, del 1975. Ascoltate la soavità e la bellezza degli archi nel loro dialogo con gli ottoni e la sensibilità del grande direttore austriaco nel fare risaltare i turbamenti dell’anima del compositore! ♫♫ La seconda composizione di Berlioz da me scelta per questa serata è La Dannazione di Faust, una composizione per soli, coro e orchestra, definita dall’Autore stesso una leggenda drammatica. Come altri maestri del romanticismo (Schumann, Mendelssohn, Liszt), anche Hector Berlioz restò profondamente suggestionato dal Faust di Goethe, ma si discostò dal testo dell’illustre

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modello letterario («Di Faust non c’è solo quello di Goethe», sosteneva il compositore francese) e ne accentuò il lato demoniaco sia per sottolineare le valenze romantiche proprie della leggenda, sia in valenza autobiografica, un destino di eroe maledetto, e dunque da sempre condannato, idea che stava già alla base della Sinfonia fantastica. Berlioz “inventò” tra l’altro un inedito trasferimento dell’eroe goethiano in Ungheria, e per tale motivo compose la Marcia Ungherese detta Ràkòczi, molto conosciuta e spesso eseguita come brano a se stante nelle sale da Concerto. [Ádám Mányoki: Ritratto del Principe Ferenc Rákóczi II, 1724 - Hungarian National Gallery] Francesco II Ràkoczy, principe di Transilvania, fu un valoroso eroe nazionale ungherese che fu a capo dell'insurrezione scoppiata in Ungheria nel 1703 contro l'assolutismo di Leopoldo I, durata otto anni; al suo nome è intitolato un popolare inno ungherese, detto La marcia di Ràkòczy, di origine incerta, poi ripreso oltre che da Berlioz anche da Liszt. Vi propongo questa marcia nella solenne e sfolgorante versione della Chicago Symphony Orchestra diretta da Sir Georg Solti, ricca di chiaroscuri musicali.

A questo punto avrei dovuto parlarvi dell’altro grande musicista che nell’800 ha segnato profondamente il Romanticismo in Francia, Fryderyk Chopin, ma al grande compositore polacco ho già dedicato un profilo musicale in occasione di un altro nostro incontro musicale (2a parte di “Impeto e Romanticismo” del 23.11.2012). Il racconto musicale di quella parte dedicata a Chopin verrà pubblicato in uno dei prossimi numeri de Gli Amici del Loggione.

 IL BALLETTO ROMANTICO Siamo ancora nella prima metà del 1800. Nasce il periodo romantico anche nel balletto, seguendo di pochi anni il movimento romantico nell'arte e nella letteratura.

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Anche nel balletto romantico è presente una forte caratteristica conflittuale tra uomo e natura, tra realtà e sovrannaturale. I balletti romantici sono generalmente suddivisi in due atti: il primo rappresentato alla luce del giorno e associato alla civiltà; il secondo invece ha luogo di notte, in un regno incantato (sovrannaturale), in cui si ha una fine tragica. L'epoca romantica ha accentuato il ruolo della ballerina: la protagonista diviene componente principale e parte essenziale del balletto, portando così ad un defilamento del ruolo maschile. Appartiene alla famiglia Taglioni il merito di questa rivoluzione e l'epoca d'oro del balletto romantico: fu Maria Taglioni che operò questo cambiamento, accorciando il tutù ed introducendo il ballo en pointe (cioè sulla punta dei piedi). Caratteristica principale della ballerina romantica sarà il colore bianco del tutù, la pienezza e la divisione in più strati della gonna, tessuta in tulle, il corsetto bianco. [Maria Taglioni (1804-1884)]

Maria divenne il prototipo della ballerina romantica, applaudita soprattutto per la sua enfasi sentimentale e il tecnicismo atto ad accentuare la componente emotiva: lo stile romantico infatti è caratterizzato da movimenti dolci, braccia curve ed una forte inclinazione in avanti del corpo; il movimento delle gambe diviene più elaborato ed enfatizzato. Questo dona alla ballerina un aspetto leggero e sinuoso. Sono rimasti in repertorio importanti balletti romantici: i più celebri sono La Sylphide di Jean Schneitzhöffer (1832) e soprattutto Giselle (1841), il balletto romantico per antonomasia, musicato da Adolphe Adam (18031856). Giselle fu rappresentato a Parigi il 28-6-1841 con un trionfo senza uguali. Questo grande successo fu dovuto sia all’interprete principale Carlotta Grisi (di lei si scrisse: “Brillava come un’arancia in mezzo alle patate”) sia all’atmosfera del II atto: l’ora degli spettri, a mezzanotte, il chiaro di luna, gli uccelli notturni che vengono stanati, i fuochi fatui, le creature ultraterrene che escono dalle tombe a dare la caccia agli uomini, ovvero il mondo alternativo del prodigioso ed incomprensibile.

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Giselle racconta il mondo delle Villi, cioè di quelle promesse spose divorate in vita dalla passione per il ballo ma morte prima del matrimonio; nella tomba esse non riescono a trovare pace, anzi sono condannate a danzare al chiaro di luna e a trascinare verso la morte tutti coloro che finiscono prede del loro fascino fatale.

[Carla Fracci e Rudolf Nuyerev in Giselle. Teatro dell'Opera di Roma, 1980]

Propongo al vostro ascolto la musica da balletto “Variazione di Giselle” dal primo atto. David Coleman dirige l’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano.

 L’OPERETTA Un genere musicale che ebbe gran seguito all’inizio della seconda metà dell’800 fu l’operetta, diretta discendente di quell’Opéra-comique nata in Francia già nel 1700. L’unica finalità prefissa dai compositori di questo genere musicale sarà quella di divertire e far ridere con l’esplicito invito a godere la vita. L'operetta si distingue per l’ampia presenza di parti recitate, per le sue trame semplici e inverosimili, per il gusto della parodia e per la sua sfarzosa cornice; presenta inoltre vivacità musicale, immediata godibilità e, soprattutto, l'aspetto coreografico: infatti sono proprio le danze a costituire il nucleo fondamentale dello spettacolo e ad esercitare sugli spettatori un interesse quasi ossessivo. Infine il genere dell'operetta non si identifica solo in una forma musicale, ma soprattutto in un gusto ed una dimensione culturale, quella della borghesia francese con la sua predilezione per le storie sentimentali ambientate nella buona società del tempo. Nel clima frivolo e gaudente del secondo impero, tra i compositori ad affermarsi sarà Jacques Offenbach (18191880), tedesco di nascita ma naturalizzato francese, soprannominato il “Mozart des Champs Elysèes”

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♫♫ Di Offenbach ho scelto il Galop infernal tratto dall’operetta Orfeo all’inferno (1830), caratterizzato da uno sfrenato Can-can (il cui nome deriva forse dalla storpiatura della parola francese "scandal"), ballo che conobbe il suo massimo splendore al tempo della Belle Époque, a cavallo tra l’800 e il 900. L’Orfeo

all’inferno

rappresenta

una

divertente satira ai danni della famosa leggenda greca “Orfeo ed Euridice”. Trama: Orfeo ed Euridice, ben lungi dall’essere un modello di fedeltà, non sono altro che una coppia annoiata. Euridice non sopporta più la musica che il marito, violinista di quart’ordine, continua a propinarle ed è divenuta l’amante del pastore Aristeo, il quale non è altri che Plutone travestito. Il dio dell’Ade provoca la morte di Euridice per poterla condurre con sé nel suo regno infero. Orfeo è ben felice di essersi liberato di lei, ma a quel punto interviene un originale deus ex machina: l’Opinione pubblica che, in nome di sacri principi, lo costringe invece a chiedere a Giove il permesso di scendere nell’Ade per riprendersi la moglie. La scena si sposta dunque nel regno di Plutone dove Euridice, trascurata, si annoia. Intanto Giove, trasformatosi in mosca, entra nella stanza di Euridice dal buco della serratura, e riesce a sedurla. Euridice innalza un inno a Bacco, e Giove balla un minuetto che si trasforma a mano a mano in una danza sfrenata, il famoso cancan. I due approfitterebbero della confusione per scappare, ma giunge Orfeo. Giove, minacciato dall’Opinione pubblica, non può che acconsentire al rilascio di Euridice, ma impone a Orfeo la condizione riportata dal mito: nel viaggio di ritorno non dovrà mai voltarsi a guardarla. Orfeo accetta a malincuore e sta per portare a termine la sua impresa, quando Giove gli scaglia contro un fulmine che lo costringe a voltarsi. L’Opinione pubblica è giocata ed Euridice, trasformata in baccante, intona le note del famoso galop infernale. L’Orfeo all’Inferno ebbe una enorme fortuna anche grazie ad un critico dell’epoca che, per paradosso, la criticò aspramente in quanto venivano dissacrati i grandi miti delle leggende greche e l’accusò di aver infangato quello che era la tradizione classica della nostra “civiltà”. Questi contrasti però provocarono una reazione opposta, tanto da suscitare ancora più interesse. Si

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scatenò una vera e propria corsa al biglietto, in molti tornavano più volte a vedere lo spettacolo: in città si favoleggiava di un uomo che aveva occupato per 45 sere consecutive la stessa poltrona. L’’operetta venne replicata per ben altre 200 volte finché gli attori non si videro costretti a rinunciare per il troppo lavoro. Ascoltiamo questo celeberrimo Can-can nella travolgente esecuzione della New York Philharmonic diretta da Leonard Bernstein. ♫♫ Les Contes d’Hoffmann (I racconti di Hoffmann) è un’opera fantastica che ha avuto la gestazione più tormentata e ha subìto il maggior numero di revisioni a causa della morte del suo compositore Jacques Offenbach. Le vicende del libretto si ispirano principalmente ai tre racconti fantastico-demoniaci, di E.T.A. Hoffmann, che sono L’uomo della sabbia, La storia del riflesso perduto e Il violino di Cremona. Ne I racconti di Hoffmann, si narra una storia di amori infelici senza comunque dimenticare quel tocco soave che caratterizza da sempre il mondo dell’operetta. Tra le arie più famose l’indimenticabile melodia della Barcarola, che apre il secondo atto, e che non ha altro titolo che quello della sua forma musicale. La Barcarola è una composizione, vocale o strumentale, originariamente usata da barcaioli e gondolieri (significa infatti propriamente "canto di barcaiuoli"), ma il termine indica una speciale forma musicale la cui andatura generale, col ritmo e con la melodia,

richiama

l'idea

del

monotono dondolio della barca sulle onde e del battere dei remi. La Barcarola di Offenbach offre una melodia dolce e malinconica, distesa su un ritmo uniforme e cullante, che è così affascinante da essere diventata, nella storia della musica,

la

barcarola

per

antonomasia. Le parole della Barcarola sono parole d’amore, e le canta Giulietta, la cortigiana, che si distende in un inno alle ebbrezze della notte, alle carezze, ai baci. Musicalmente parlando vi è l’aggiunta del coro a bocca chiusa, mantenuto sempre in pianissimo, che ispessisce la linea del canto con una sorta di eco e conferisce profondità spaziale alla scena ambientata a Venezia.

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♫♫ BARCAROLE Testo originale : Belle uit, ô uit d’a ou , sou is à os iv esses. Nuit plus dou e ue le jou , ô, elle uit d’a ou ! Le te ps fuit et sa s retour emporte nos tendresses. Loin de cet heureux séjour, le temps fuit sans retour. Zéphyrs embrasés, versez-nous vos caresses, Zéphyrs embrasés donnez-nous vos baisers! Vos baisers! Vos aise s! Ah! Belle uit, ô, uit d’a ou , sou is à os iv esses. Nuit plus douce que le jour, ô, belle nuit d’a ou ! Ah! sou is à os iv esses! Nuit d’a ou , ô, uit d’a ou ! Ah!

Traduzione italiana: Bella notte, oh notte d'amore, sorridi alle nostre ubriachezze. Notte più dolce del giorno, oh, bella notte d'amore! Il tempo fugge e senza ritorno porta via le nostre tenerezze. Lontano da questo felice soggiorno, il tempo fugge e senza ritorno. Zefiri infiammati, versateci le vostre carezze, Zefiri infiammati, dateci i vostri baci! I vostri baci! I vostri baci! Ah! Bella notte, oh notte d'amore, sorridi alle nostre ubriachezze. Notte più dolce del giorno, oh bella otte d'a o e! Ah! so idi alle ost e u ia hezze! Notte d’a o e, oh, otte d'a o e. Ah!

[Agnes Baltsa nel ruolo di Giulietta]

Per questa serata ho scelto in video questa edizione dell’Orchestra of the Royal Opera House diretta da George Prêtre, Giulietta è interpretata da Agnes Baltsa. Questa edizione è unanimemente considerata la migliore disponibile in video. In versione CD vi consiglio questo brano nella “romantica” e quasi sussurrata esecuzione (solo orchestrale) della New York Philharmonic diretta da Leonard Bernstein.

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 RINNOVAMENTO DELL’OPERA Circa a metà ‘800 nasce un nuovo genere nel teatro musicale francese, denominato OpéraLyrique. Numerose le novità: le trame vengono ricavate dalla grande letteratura, con opportuni adattamenti al gusto borghese; scompare quasi completamente il tono drammatico per dare spazio all’intimismo lirico e sentimentale; infine la musica viene modellata sulla metrica poetica francese. Il primo grande autore di Opéra-lyrique fu Charles Gounod (1818-1893), compositore molto prolifico e versatile. Il suo stile si nutre della nuova sensibilità romantica dell'Ottocento francese, anche se rimangono elementi provenienti dal migliore Settecento francese e dal teatro mozartiano: Gounod fu insomma un romantico senza ribellioni formali, di un romanticismo non certo paragonabile a quello di Verdi né a quello di Bizet. ♫♫ Tra le opere teatrali di Gounod spicca il Faust, dramma lirico in cinque atti del 1859, modificato rispetto all’originale di Goethe: infatti l'attenzione viene concentrata sulla vicenda amorosa di Faust e Margherita, mentre invece la complessità della figura faustiana viene semplificata ad un anelito sentimentale diffuso e generico. Vengono anche eliminate le presenze sovrannaturali, con l'eccezione di Mefistofele. Vi propongo l’ascolto del celeberrimo Valzer di Margherita, presente nel II atto: durante un ballo popolare all'aperto (il valzer Ainsi que la brise légère) Faust incontra per la prima volta Margherita, e le rivolge la parola. Il tenero duetto tra i due giovani interrompe il Valzer, che successivamente riprende ma sotto il segno di Mefistofele, che aveva provocato l'incontro di Faust e Margherita. E’ da notare la leggerezza di questo valzer (quasi uno scorrere di parole d’amore) in netto contrasto con l’atmosfera drammatica del contesto dell’opera. [Édouard de Reszke nella parte di Mefistofele in una recita del Faust di Gounod (1887)]

Ho scelto di proporvi questa musica di scena nell’interpretazione brillante e ricca di sfumature gioiose e sensuali dei Berliner Philharmoniker diretti da Herbert von Karajan.

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♫♫ Gounod si divise tra teatro e produzione sinfonico-vocale di carattere religioso. Uomo religiosissimo, fu attratto dalla vita sacerdotale anche se non riuscì mai ad intraprenderla: fu proprio la sua profonda devozione a portarlo a scrivere moltissime opere sacre fino alla morte, tra cui la celeberrima Ave Maria, nata inizialmente come parafrasi per violino e pianoforte sul primo preludio del Clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach, ma successivamente rielaborata per coro e orchestra, comunque non destinata ad esecuzioni liturgiche. L’Ave Maria è cantata da José Carreras, accompagnato dalla Wiener Symphony Orchestra diretta da Uwe Christian Harrer. ♫♫ Il terzo brano che vi propongo è un’altra celeberrima composizione gounodiana, la Marcia dal Funerale di una marionetta, un piccolo gioiello musicale, che venne scritto come un movimento di una Sinfonia burlesca che non venne mai portata a compimento. Fu composta originariamente per pianoforte (1872) e poi arrangiata per orchestra sinfonica dallo stesso autore (1879). La Marcia funebre per una marionetta non ha un programma preciso, ma riporta sulla partitura originale alcune note esplicative scritte dallo stesso Gounod. La prima dice: “La marionetta si spezza”, segue “Mormorii di rimpianto dei partecipanti al funerale”, poi “Il corteo funebre”, “Alcuni dolenti si fermano per rifocillarsi”, e in ultimo “Con maggior garbo tornano a casa”. I timbri strumentali costituiscono l’elemento espressivo determinante per la caratterizzazione globale del brano: in primo piano ci sono legni ed ottoni, soprattutto il clarinetto ed il fagotto, che hanno il ruolo principale, poi gli ottoni, che conferiscono incisività e drammaticità, il triangolo, che ha la funzione di punteggiatura e che accentua gli accenti scherzosi che ascoltiamo durante il brano, i potenti interventi delle percussioni, che riportano imperiosamente il pensiero alla marionetta defunta, infine gli archi che immergono il tutto in una atmosfera grigia e velata di malinconia. Tra gli strumenti utilizzati nell'orchestrazione troviamo l'Oficleide, il cui nome significa serpente a chiave, uno strumento a ottone che deriva dal più antico Serpentone, utilizzato anche nella Sinfonia fantastica di Hector Berlioz.

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Questa marcia ha conosciuto una popolarità universale come sigla della serie televisiva di racconti gialli Alfred Hitchcock presenta. La versione che ho scelto è quella della The Boston Pops Orchestra diretta da Arthur Fiedler, una interpretazione assai briosa, come è tipico di questa orchestra americana. La Boston Pops Orchestra fu fondata nel 1890 come un ramo parallelo della Boston Symphony Orchestra e subito si distinse dalle altre orchestre dell’epoca per il suo variegato programma di musiche classiche: erano soprattutto spezzoni di concerti e di opere facilmente orecchiabili che erano conosciute dagli addetti ai lavori ma non alla maggior parte delle persone che normalmente non assistevano né ai concerti né tanto meno sapevano cosa essi fossero. La sua opera di divulgazione riscontrò da subito un grande successo.

Un altro gigante dell’Opèra-Lyrique fu Jules Massenet (1842-1912), compositore, pianista e organista francese. Musicista assai fertile, ebbe il dono di un raffinato talento per la melodia drammatica, esprimendo un lirismo puro, senza alcuna concessione alla retorica romantica, con un'orchestrazione di grande fascino e, al contempo, di grande rigore. La sua produzione fu prevalentemente operistica, ma compose anche musica per balletto, oratori e cantate, opere per sola orchestra e circa 200 canzoni. Consapevole dei suoi limiti di compositore, non volle (salvo che in poche e poco fortunate eccezioni) dipingere ampi affreschi, né

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tratteggiare figure eroiche o esprimere drammi violenti; preferì esprimere la sua arte con la seduzione di un linguaggio carezzevole, di un'armonia chiara e semplice, di una strumentazione a colori tenui, sfumati, dai toni insinuanti. L'arte di Massenet è stata detta femminile, e d'altra parte in quel teatro la donna occupa una parte molto importante; si può dire anzi che essa ne sia la protagonista, poiché solo i ritratti femminili, almeno i migliori, hanno carattere e rilievo. L'eroina di Massenet è quasi sempre una donna giovane, bella, che oscilla fra il sensuale e il mistico: è la vergine folle del suo corpo, è la cortigiana redenta dall'amore, e tutte, dal più al meno, sono attratte nell'orbita di un misticismo lascivo. L'opera più famosa del compositore fu Manon, del 1884, che è ancora presente nei programmi dei teatri lirici di tutto il mondo, ma in questa serata desideravo porre al vostro ascolto un bellissimo e celeberrimo brano tratto da un’altra sua opera, la Meditation, dal Thaïs, spesso suonato come brano a se stante nei recital. Thaïs è la trasposizione operistica di un romanzo di Anatole France. La vicenda è imperniata sulla conversione della bella Thaïs, una cortigiana devota di Afrodite, che sta conducendo alla perdizione molti cittadini di Tebe. Il monaco cenobita Athanaël si sente investito del compito di redimere la peccatrice: animato da questo scopo, la incontra presso la casa del suo ultimo amante, Nicias. Lei inizialmente lo deride e respinge le sue invettive contro la sua vita dissoluta, poi però si lascia affascinare dalle parole del monaco, che fanno leva sulla sua insoddisfazione interiore per la vita condotta, e si converte, decidendo di seguirlo nella vita eremitica.

[Eva Mei (Thaïs) e Michele Pertusi (Athanaël) – Teatro La Fenice di Venezia, 2014]

Mentre Thaïs ha trovato al tanto agognata pace, ora è Athanaël che, ritornato nel suo monastero, è tormentato sia dalla

superbia

per

aver

convertito la famosa cortigiana, sia dal ricordo dell’incontro con la bella Thaïs di cui si scopre innamorato, al punto da decidere di lasciare tutto pur di poterla abbracciare. Dopo averla vista morente in sogno torna nell’eremo dove lei, ormai santificata ed immune dalle vanità terrene, in effetti sta per morire a causa delle prolungate penitenze. Lui le confessa il suo amore, ma Thaïs non può più sentirlo e muore tra le braccia del monaco avvolta da una celeste visione. ♫♫ Meditation, brano per violino e orchestra, è un intermezzo dopo la scena in cui si è svolto l’incontro tra Thaïs e Athanaël: Massenet indica il brano come Andante religioso nel senso che

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esso deve essere in grado di rendere musicalmente l’emozione della conversione di un’anima: la musica esprime pienamente il travaglio interiore della cortigiana che la sta portando a maturare una scelta decisiva. Il brano è introdotto da un’arpa su cui entra il violino con il motivo della melodia che viene ripetuto due volte; entra quindi l’orchestra contrassegnata da un andamento che diventa a poco a poco sempre più appassionato; rientra quindi il violino con il tema principale e dopo averlo ripetuto due volte si riunisce all’orchestra per terminare di nuovo da solo. Ascoltiamo il brano Meditation, nella dolce e struggente interpretazione della violinista AnneSophie Mutter, accompagnata dai Berliner Philharmoniker diretti da Herbert von Karajan.

Un posto particolare tra i musicisti dell'Ottocento è occupato da Georges Bizet nato a Parigi il 25 ottobre 1838. Il padre, insegnante di canto, fu il suo primo maestro; anche la madre, valente pianista, apparteneva ad una famiglia di musicisti. Il piccolo Georges sin dall'infanzia rivelò spiccate tendenze musicali. I rapidissimi progressi che fece, gli permisero di essere accolto al Conservatorio di Parigi prima di aver raggiunto l'età consentita dai regolamenti; dopo aver superato gli esami con esito brillante, si applicò allo studio del pianoforte e della composizione. Appena diciannovenne, trasferitosi in Italia per approfondire gli studi, vinse il "Premio di Roma". Finito il periodo di studio tornò a Parigi. La sua prima composizione di rilevante importanza fu l'opera in tre atti "I Pescatori di perle", ambientata in Oriente e rappresentata nel settembre 1863. Le prime opere teatrali non ebbero molto successo: Georges Bizet era accusato di rivelare nella sua musica l'influenza di Gounod e di altri compositori. L'opera in cui apparve la piena maturità artistica dell'autore fu quella per cui ancora oggi è ampiamente conosciuto: la Carmen, un’opera innovativa dalla forte impronta tragica, i cui dialoghi rendono la progressione drammaturgica più incalzante e nella quale la forte connotazione spagnola non è un accessorio coloristico ma una parte strutturante della tragedia. La prima rappresentazione dell'opera ebbe luogo a Parigi, al teatro dell'opera Comique, nel 1875, ma fu sommersa dalle critiche: l'intreccio del dramma venne giudicato troppo immorale ed anche la musica non piacque agli amanti della tradizione.

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Purtroppo Georges Bizet non conobbe il successo che arrise in seguito alla sua opera, perché morì in seguito a un attacco di cuore, a soli 37 anni, il 3 giugno 1875, a soli tre mesi di distanza dalla prima rappresentazione. Carmen è un’opera affascinante per la ricchezza dell'invenzione musicale, il melodismo morbido e sensuale, la duttilità dell'armonia, la leggerezza delle danze e degli elementi folkloristici. Un'opera che avrà fra i suoi più entusiastici ammiratori Friedrich Nietzsche, Piotr Iljič Tchajkovskij, Giacomo Puccini, Johannes Brahms e più tardi il giovane Sigmund Freud. Il soggetto, tratto da una novella di Prosper Mérimée è ambientata nella Spagna degli zingari e dei toreri: questa Spagna di Bizet è il luogo della passione, dell’istinto e dei conflitti primari, qui si incontrano e si scontrano – come il toro e il torero nell’arena – il dovere e la trasgressione, il lecito e l’illecito. La storia della Carmen e del suo sfortunato Autore è ampiamente raccontata nell’ultima parte di questo numero della Rivista, dedicata alla Musica lirica (Melomania) e ad essa necessariamente rimando per una visione più completa e approfondita. Nella serata abbiamo ascoltato (e visto): ♫♫ il Preludio del 1° atto, tra i più celebri tra tutte le opere liriche, che ricrea l’ambientazione esotica e spagnoleggiante dell’opera. ♫♫ l’aria “L'amour est un oiseau rebelle” (L'amore è un uccello ribelle), che ha dato il titolo a questa serata musicale degli Amici del Vinile. In questa celeberrima Habanera (una danza dal ritmo lento, di origine spagnola) Carmen esprime la sua visione dell’amore: l’amore è come un uccello ribelle, nessuno può addomesticarlo; o come un piccolo zingaro, che non conosce legge. L’aria si dispiega in un magnetico rito di seduzione marcato dal ritmo dei violoncelli. ♫♫ “Le stringles des sistres tintalent” (Le listelle dei sistri tintinnavano), la travolgente chanson bohème dal ritmo sempre più incalzante, scandita da una sensualissima danza gitana ballata magnificamente dal Metropolitan Opera Ballet. Ricordo quanto scandalosa apparisse a quei tempi la figura di Carmen, e perciò vi invito a guardala ed ascoltarla con “occhi ed orecchie (ed animo) ottocenteschi”. ♫♫ “La Canzone di Escamillo (Toreador)”: è l’entrata del torero, preceduta dal coro dei suoi ammiratori. Il toreador è una figura popolarissima, simbolo di grazia, maestria e di coraggio virile, e in questo momento Escamillo è l'astro nascente. E’ un baritono pieno di sé questo torero dall’intonazione compiaciuta e squillante che, sicuro delle sue conquiste nell’arena come tra le donne, racconta con baldanza agli avventori dell’osteria

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l'atmosfera della corrida, le sue tensioni e il senso di trionfo finale dell'uccisione del toro. Quando arriva l’irresistibile ritornello del “Toreador”, non dimentichiamoci l’indicazione timbrica di Bizet: quel “con fatuità” ci invita a non credere troppo a questo gran vanesio. ♫♫il Preludio III atto: una tenue melodia disegnata da un flauto ed un’arpa ci porta dentro un paesaggio notturno di grande suggestione, arricchito dalle entrate successive di clarinetto, corno inglese, fagotto e archi. Con le nostalgiche note di questo Preludio come sottofondo, ho raccontato gli ultimi tempi della vita di Bizet. Ho proposto l’edizione video della Carmen nell’interpretazione del Metropolitan Opera & Chorus diretta da James Levine, con Agnes Baltsa (Carmen), Josè Carreras (Don Josè), Samuel Ramey (Escamillo).

 RENOVEAU Nel 1870 venne fondata la Societè Nationale de Musique alla quale si deve la grande diffusione nel mondo della musica contemporanea francese. Essa venne concepita in reazione alla tendenza della musica francese del tempo indirizzata prevalentemente alle composizioni operistiche rispetto alla musica per orchestra. Ciò in contrapposizione a quanto avveniva in Germania. Venne fondata da Romain Bussine e Camille Saint-Saëns, che ne condivisero la presidenza, e fra i primi membri figurarono César Franck, Ernest Guiraud, Jules Massenet, Gabriel Fauré, Eduard Lalo. Camille Saint-Saëns

(1835-1921) fu pianista, organista ed

insegnante di composizione. La sua produzione comprende tutti i generi musicali: opere teatrali, balletti, oratori, salmi, messe, sinfonie, poemi sinfonici, concerti per piano, per violino e musica da camera. Per questa serata vi propongo due suoi brani. ♫♫ La prima composizione si intitola Il Carnevale degli animali, composta nel 1886: fu pensata come un divertimento ad uso familiare e per gli amici. Venne eseguita privatamente nel 1887, in occasione della festività del martedì grasso: per volere del compositore, infatti, l'opera doveva essere eseguita pubblicamente solo dopo la sua morte.

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Il carnevale degli animali è composta da 14 brani, tutti molto brevi, spesso a tono umoristico, ognuno dei quali si riferisce ad un animale. Nell’ultimo brano, il Finale (Molto allegro) Camille Saint-Saëns descrive la zuffa finale degli animali in una fantasmagorica ricapitolazione (son ben distinguibili le galline e i ragli dell'asino) scritta con disinvoltura ai limiti della pochade. Sicuramente il più celebre fra i 14 pezzi è Il Cigno (Andantino grazioso), in cui l’Autore, volendo descrivere la bellezza di questo animale, utilizza il violoncello accompagnato dagli arpeggi dei due pianoforti: il suono è altamente suggestivo, solenne e carico di tensione (in realtà sarebbe una sottile parodia del melodizzare lezioso e sentimentalistico). Il brano è conosciuto anche nella versione per il balletto La morte del cigno, coreografia di Mikhail Fokine, su cui hanno danzato tutte le più grandi ballerine del mondo a partire da Anna Pavlova [nella foto], alla quale lo stesso Saint-Saëns concesse di utilizzarlo. La ascoltiamo nell’interpretazione dell’English Chamber Orchestra diretta da Nicholas Cleobury, al violoncello Julian Lloyd Webber. ♫♫ L’altra composizione da me scelta è la famosa Danse macabre, un breve poemetto sinfonico che prende spunto da un poemetto grottesco scritto da Henri Cazalis, il quale, sulla scorta della famosa ballata di Goethe, aveva creato una scena parodistica in cui la morte suonava un violino scordato in un cimitero. ♫♫ Guida all’ascolto: I raggi della luna filtrano a intervalli fra nuvole a brandelli. Dodici cupi rintocchi risuonano dal campanile della chiesa (eseguiti pizzicando una corda d’arpa). Svanito l'ultimo rintocco, dall'attiguo cimitero si odono strani rumori, mentre la luce della luna investe una fantomatica figura: la Morte, che suona il violino, seduta su una pietra tombale. Il violino della Morte, oltre ad avere la corda più alta "scordata" appositamente, suona anche in tonalità diversa rispetto al brano

(Mi

minore,

invece

di

Mi

maggiore). Si odono strida dai sepolcri circostanti (notare l'introduzione "spettrale" del flauto accompagnato dall'arpa per poi passare agli archi) e

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il vento ulula fra le cime degli alberi spogli. Le note sinistre dello scordato violino della Morte chiamano i morti fuori dalle tombe; e questi, avvolti in bianchi sudari, volteggiano attorno in una danza infernale. Questa è suonata da contrabbassi e violoncelli (sempre in fortissimo) che ripropongono il tema inframmezzati da suoni "animaleschi" degli ottoni. La quiete del sacro recinto è distrutta da grida sorde e risa orribili: la danza degli scheletri, col rumore secco delle ossa (qui si presenta lo xilofono, con una rappresentazione comica del rumore secco delle ossa) diviene sempre più selvaggia, e la Morte, nel mezzo, batte il tempo. Improvvisamente, come presi da un sospetto terribile, i morti si arrestano. Nel vento gelido si sentono le note della Morte. Un fremito percorre i ranghi dei trapassati: i teschi sogghignanti si rivolgono in ascolto verso la pallida luna. Ma le note stridenti della Morte di nuovo rompono il silenzio, e i morti riprendono a danzare più selvaggiamente di prima. Il crescendo dell’orchestra (il coro degli spiriti) arriva a un fortissimo, suonato da archi ed ottoni, il tutto scandito dall'assordante esplodere degli archi, che riproducono l’ululato del vento. Improvvisamente la Morte smette di suonare, e nel silenzio che segue si ode il canto del gallo (oboe), che annuncia l'alba. Un rabbioso colpo di timpani e il tremolo d'archi segna la fine della danza macabra e la Morte, vinta dall'arrivo dell'alba, suona il tema conclusivo con il suo scordato violino. La scena (e la composizione) si conclude con un pizzicato d'archi. Ascoltiamo il brano nell’interpretazione dell’Orchestra Nazionale di Francia diretta da Lorin Maazel, che suonerà al violino anche la parte solista.

Gabriel Faurè (1845-1924), con Debussy, Ravel e Saint-Saëns, è uno dei grandi musicisti francesi protagonista dell’arte francese dalla metà dell’Ottocento fino all’alba del Novecento. Fu un musicista raffinato, un poeta dal tono sommesso, che alla luminosità preferisce la penombra, alla dovizia la castigatezza e la purezza dei mezzi espressivi. Le opere di Fauré, di fattura classica, si distinguono tanto per la finezza della loro melodia, quanto per l'equilibrio della loro composizione. Il linguaggio armonico di Gabriel Fauré è ancora oggi studiato nei conservatori. E’ considerato il maestro della melodia francese.

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♫♫ Fra le sue composizioni occupa un posto particolarmente importante il Requiem, di un'avvincente serenità spirituale. Il Requiem è generalmente una Messa in musica per onorare e accompagnare la morte secondo il rito liturgico della Chiesa cattolica, composta sulla base di un testo sacro; prende il nome dall’introito: “Requiem aeternam dona eis, Domine”. Ma qui non c’è la morte, siamo oltre. Il Requiem di Gabriel Fauré è una musica di luminosità intensa, di serenità e leggerezza, che scavalca la sofferenza e la morte, le libera dal peso del terrore e dell’angoscia, e le guarda come dal Paradiso, da una prospettiva senza pathos, senza drammaticità, come se ci fossero soltanto la vita e poi la trasfigurazione, come se Fauré avesse saltato il passaggio angoscioso dell’ultimo istante. E’ un Requiem senza paura, senza dolore, lo stesso Faurè scrisse che molti critici musicali la definivano una ninna nanna funebre. Il musicologo Marco Bernabei scrive che «il Requiem di Fauré è nostalgia della vita piuttosto che terrore della morte, quasi che fossero i morti a cantare per i vivi, e non viceversa.» Desidero farvi ascoltare un brano di questo Requiem, Il Pie Jesu, affidato interamente al soprano solista, la pagina forse più incantevole dell'intera composizione, per la dolcezza della melodia e l'uso estremamente parco dell'orchestra. Testo: Pie Jesu, Pie Jesu Pie Jesu, Pie Jesu Qui tollis peccata mundi, Dona eis requiem, Dona eis requiem. Pie Jesu, Pie Jesu Pie Jesu, Pie Jesu Qui tollis peccata mundi, Dona eis requiem, Dona eis requiem. Kathleen Battle canta il “Pie Jesu”. Carlo Maria Giulini dirige la Philharmonia Orchestra. ♫♫ La Pavane op. 50 in Fa diesis minore per coro ed orchestra è una pagina minore di Faurè. Scritta nel 1877, per la sua accattivante e suggestiva cantabilità è, senza dubbio, la composizione che più ha contribuito alla fortuna del suo autore, tanto che oltre alla versione per orchestra Faurè ne pubblicò una per pianoforte e un'altra per coro e orchestra. La Pavana è una danza di corte tardo-rinascimentale in ritmo binario e di andamento lento e fluente. Si diffuse in Europa a partire dal 1500 e iniziò gradualmente a scomparire nel corso del Seicento.

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[Edwin Austin Abbey: A Pavane. Museum of fine Arts, Boston] Forse era una danza originaria di Padova (a questo sembrerebbe infatti rimandare il nome (‘Pavana’ da ‘padovana’). Per altri storici è di origine spagnola. Molti compositori rinascimentali e barocchi hanno scritto pavane, anche se la più famosa pavana rinascimentale Belle qui tiens ma vie è rimasta anonima. La Pavane , dopo essere caduta nell’oblio, fu poi ripresa proprio da Gabriel Fauré e da Maurice Ravel (Pavane pour une infante défunte, per pianoforte, del 1899), i quali cercavano modi espressivi più intimi, raffinati, caratterizzati da un’eleganza composta, sempre delicata, e per questo rivolgevano lo sguardo alle forme della musica del passato (in particolare alle danze antiche: Pavana, Minuetto, Sarabanda ecc.). Fauré dedicò questa musica alla contessa Elisabeth Greffulhe, sua mecenate [nella foto], della quale la Pavana è intesa essere una sorta di ritratto in musica. Su sua richiesta Fauré aggiunse in un secondo tempo una parte per coro su parole di Robert de Montesquiou-Fezensac, cugino della contessa. Il brano fu eseguito dall’Orchestra della Société Nationale de Musique conquistando un’immediata popolarità, soprattutto per il seducente e indimenticabile tema del flauto. Nel 1917, con le coreografie di Léonide Massine, la Pavane entrò nel repertorio dei Balletti Russi di Sergei Diaghilev. La Pavane di Fauré si caratterizza per una melodia estremamente elegante, limpida, malinconica, dal sapore antico e aristocratico, che rimanda a un passato indefinibile. L’accompagnamento in pizzicato degli archi esalta tale melodia, rendendola più lieve; tranne che nella sezione centrale, gli strumenti (in particolare legni, sfruttati nei loro registri più morbidi e caldi) suonano sempre con un’intensità delicata, mai forte. Gli archi suonano con la sordina.


La ascoltiamo in questa suggestiva interpretazione dell’Academy of St. Martin-in-the-Fields & Chorus diretti da Sir Neville Marriner.

 LA MUSICA IMPRESSIONISTA L’Impressionismo musicale si sviluppò in Europa (in particolare in Francia) tra il 1870 e il 1920, presentando alcune analogie con l'omonima corrente pittorica. Come nell'impressionismo pittorico i contorni del disegno non sono più netti ma sfumati, ugualmente nella musica impressionista i contorni musicali sono più sfuggenti, volti a comunicare atmosfere immaginarie e sensazioni vaghe. I musicisti cercano di rappresentare la natura e comunicare all'ascoltatore le loro "impressioni", ponendo l'accento sul colore e sul timbro dei suoni. Il timbro diventa per questi compositori l'elemento più importante della composizione, attraverso il quale esprimere impressioni e suggestioni. Le tecniche di strumentazione utilizzate sono molto raffinate e gli strumenti sono spinti agli estremi limiti della loro estensione. Le sonorità dell'orchestra così ottenute sono leggere, sfumate e trasparenti. La dinamica non raggiunge quasi mai il forte, ma in genere va dal mezzoforte al pianissimo, sicché le atmosfere delle composizioni appaiono sognanti, vaghe e indeterminate, e le sonorità dell’orchestra così ottenute sono sfumate e trasparenti. L'armonia (cioè gli accordi utilizzati) non segue le regole tradizionali, ma è molto innovativa e crea un effetto di sospensione. Le melodie usano spesso scale antiche, di tradizione medievale, o ispirate all'Oriente come la scala pentafonica (di cinque suoni) e la scala esatonale (di sei suoni). Le atmosfere delle composizioni appaiono così sognanti, vaghe e indeterminate. L'impressionismo musicale rifiuta quindi le forme tradizionali della musica classica, come la sonata, la sinfonia, e il concerto, affidandosi piuttosto a pezzi praticamente brevissimi. L’impressionismo musicale francese trova in Claude-Achille Debussy (1862-1918) il suo più grande interprete, anche se il compositore rifiutava di essere etichettato in questa maniera. Figura geniale di innovatore, profondamente anticonvenzionale, Debussy rivoluzionò l'armonia, il ritmo, la sonorità e la forma della musica occidentale della seconda metà del XIX secolo. Frequentatore di circoli letterari e artistici parigini di fine secolo, fu influenzato dal movimento simbolista francese e condivise con gli impressionisti l'attenzione per la natura.

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La musica di Debussy si caratterizza per il progressivo dissolversi della forma musicale in favore di costruzioni basate su delle "macchie sonore" attraverso l'impiego del cromatismo, cioè con l’Inserimento dei semitoni nella scala diatonica. E’ stata difficile la scelta dei brani musicali da offrire al vostro ascolto, e so che altre splendide composizioni avrebbero meritato di essere ascoltati stasera. ♫♫ Gli Arabesque sono due composizioni per pianoforte composti poco più che ventenne, e rappresentano uno dei primissimi pezzi impressionistici della musica. L’Arabesque n° 1 è un brano di una finezza incredibile, di una leggerezza che sembra farci volare: le dita devono a mala pena sfiorare la tastiera per dare un senso di estrema tranquillità, spensieratezza e leggerezza. Ascoltiamo questa composizione nell’interpretazione di Aldo Ciccolini gigante schivo ma leggendario del pianoforte italiano, scomparso a 89 anni il 1° febbraio di quest’anno (2015), e al quale rendo omaggio stasera proponendovi questo brano. ♫♫ Negli anni Novanta Debussy fu profondamente attratto dal simbolismo, movimento letterario di fine Ottocento attento agli aspetti più misteriosi della realtà, alla dimensione del sogno, alla musicalità della parola. Nasce così il Prélude à l'après-midi d'un faune (Preludio al pomeriggio di un fauno) ispirato ad una poesia di Stephane Mallarmé immersa «dans la nostalgie e dans la lumière, avec finesse, avec malaise, avec richesse». Fu composto da Debussy tra il 1892 e il 1894 e doveva formare il primo pezzo di un trittico (Preludio-Interludio-Parafrasi finale), mai completato. Non mancarono delle critiche a livello di professori di Conservatorio e uno di essi ebbe a pronunciare un giudizio rimasto storico: «C'est une sauce sans lièvre» (è una salsa senza lepre), disse, perché nel preludio debussiano non ci sarebbe un tema e uno sviluppo tematico, ma soltanto una indefinibile modulazione della frase melodica. Lo stesso Mallarmé, dopo un primo istante di sorpresa, apprezzò la pagina di Debussy, al quale inviò un esemplare del suo poema, corredato dal seguente commento: «Questa musica prolunga l'emozione del mio poema

e

ne

fissa

lo

scenario

più

appassionatamente del colore». Il brano evoca i sentimenti di un giovane fauno che, in un caldo pomeriggio, si addormenta e si abbandona a fantasie amorose ed erotiche.

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Formalmente la composizione è semplice e lineare e si basa su due temi: il primo sensuale, enunciato dal flauto solo, in base ad una idea straordinariamente originale del musicista, il secondo cantato dai legni e tonalmente più definito. La melodia del flauto, all'inizio, si profila senza accompagnamento, sospesa, un arabesco che si libra struggente in un vuoto, in una totale assenza di certezze. Iniziando sempre con la stessa nota, che ogni volta fa parte di un'armonia diversa e assume nuovi colori, il flauto ripete la sua melodia in situazioni instabili e mutevoli. Man mano si distende una voce più viva e infuocata che avvolge le fantasie erotiche del fauno tra le dissolvenze danzanti delle procaci ninfe, si allarga il respiro dell'orchestra sino a quando ritorna il tema del flauto, ancora più penetrante e incantevole. La composizione sfocia in una coda che si spegne e dissolve con la massima delicatezza in un'atmosfera sospesa, come se la musica tornasse all'ombra e al silenzio, misteriosamente come ne era uscita. L'impiego dei timbri appare essenzialmente nuovo, di una delicatezza e sicurezza di tocco eccezionali; l'impiego di certi strumenti, flauto, corno o arpa, riveste le caratteristiche principali della maniera che Debussy userà poi nelle sue opere ulteriori; la scrittura dei legni e degli ottoni di una leggerezza incomparabile, realizza un miracolo di dosaggio, di equilibrio e di trasparenza. Per questa serata vi ho portato questo bellissimo filmato del Ballet Opéra de Limoges. La coreografia di Sergio Simón sulle musiche di questo Preludio ha disegnato, in un’atmosfera indefinita, delle movenze sognanti

ed

erotiche,

interpretando

fedelmente i versi della poesia di Mallarmè. E’ il primo balletto classico che vediamo nell’arco di questi incontri degli Amici del Vinile! In CD vi consiglio l’interpretazione della New Philharmonia Orchestra diretta da Pierre Boulez, grande conoscitore della musica di Debussy, nonché celebre compositore di musica contemporanea. ♫♫ La Suite bergamasque è una delle più famose suite composte per il solo pianoforte da Claude Debussy, suddivisa in quattro movimenti Noi ascolteremo il 3°, detto "Chiaro di luna", liberamente ispirato all'omonima poesia di Paul Verlain, sicuramente una delle pagine più note dell'intera produzione musicale di Debussy.

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Si tratta di fama meritata: qui il clima settecentesco dei due movimenti precedenti si dilegua e lascia il passo a sonorità magiche e incantate, che avvolgono l'ascoltatore in una specie di dimensione onirica. E’ un brano di forte impatto emotivo, un notturno evocante l’argenteo pallore lunare con una maestria timbrica prodigiosa, come se il pianoforte “mimasse” le sonorità dell’arpa. Più intenso nella parte centrale, il brano si smorza con delicatezza nella rarefatta incorporeità delle ultime battute. Il brano è interpretato dalla pianista Cècile Ousset, vincitrice di numerosi prestigiosi Concorsi pianistici e una delle grandi interpreti di Debussy. ♫♫ I due volumi dei Préludes, pubblicati rispettivamente nel 1910 e nel 1913, sono costituiti da due serie di dodici brevi composizioni per pianoforte. Il titolo è un evidente riferimento all'opera omonima di Fryderyk Chopin, il quale si era a sua volta ispirato ai preludi del Clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach. Le Préludes di Debussy si distaccano tuttavia da questi modelli per l'assenza di un ordine programmatico nella scelta della tonalità dei pezzi e più in generale per una maggiore libertà formale: non si possono quindi considerare "preludi" in senso classico ed è impossibile codificarli in qualsiasi forma musicale. I Preludi raggiungono una notevole complessità strutturale e richiedono all'esecutore un'estrema padronanza della tecnica pianistica; possono a ragione essere considerate la summa dell’arte pianistica di Debussy: in essi, infatti, è compresa tutta la sua poetica musicale, tutto il suo linguaggio, la forma, la tecnica, vi si può ritrovare tutto il suo mondo, le ascendenze letterarie, le frequentazioni artistiche, i pensieri, gli stati d’animo. ♫♫ Ho scelto, dal 1° libro, il Preludio n° 8, “La fanciulla dai capelli color del lino”, che narra di una fanciulla che, seduta nella brughiera, canta di primo mattino: le ripetitive volute melodiche del tema pentatonico sembrano ritrarre la fanciulla che si pettina dolcemente i lunghi capelli, quasi un quadro pittorico somigliante alle jeunes filles dipinte da Renoir e Degas.

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Il semplice canto della fanciulla si libra gioiosamente all’acuto, per poi ripiegarsi in una lieve china discendente, come uno sguardo che con pudore si abbassa quando i sentimenti diventano troppo intensi. La fanciulla dai capelli color lino è un essere sfuggente d’incommensurabile bellezza ed innocenza, una di quelle creature di sogno la cui visione ricorrente ossessiona costantemente l’arte di Debussy. [Auguste Renoir: Giovane donna che si pettina - Collezione Ailsa Mellon Bruce. 1876]

Desidero ringraziare l’amico Max Guerci che mi ha regalato un CD della Deutsche Grammophon del 1978 con tutti i Preludi suonati da Arturo Benedetti Michelangeli. Di questo peraltro eccelso pianista non ho mai apprezzato l’anti-italianismo, a causa del quale ho delle preclusioni di tipo empatico che pregiudicano un mio ascolto “neutro”, ma prendo atto che le sue esecuzioni di Debussy sono, a giudizio della critica, un modello di perfezione insuperato. A me comunque sembra che questo grande pianista abbia sì una tecnica superlativa ma sia “algido”, manchi cioè di spontaneità e calore; trovo personalmente migliori le esecuzioni debussyane di Walter Gieseking, nonostante la pessima qualità delle sue registrazioni. Ma non posso far torto ad un segno di amicizia così bello e sincero! Ascoltiamo quindi l’interpretazione di Arturo Benedetti Michelangeli ♫♫ La Cathédrale engloutie (La Cattedrale sommersa) è il decimo dei 24 preludi, del 1910, probabilmente un omaggio al compositore tedesco Richard Wagner. La descrizione musicale di Debussy si ispira ad un’antica leggenda bretone: “In un lontano giorno, a causa della cattiveria degli uomini, una enorme quantità di acqua inondò completamente un piccolo paese e la sua chiesa. Da allora la chiesa si poteva ammirare all’alba fra le nebbie mattutine e se ne poteva udire in lontananza il suono della campana, molto lento e calmo, come severo monito contro ogni crudeltà umana”. La cattedrale “dipinta” nel brano è la metafora della mitica città celtica di Ys, inghiottita dal mare per le colpe dei suoi abitanti, la cui cattedrale riemerge all’alba dalle acque dell’oceano a monito dei nuovi abitatori della costa, per poi nuovamente risprofondare nelle onde. Inutile dire che ancora una volta Debussy e l’elemento acqua si ritrovano ad essere fortemente connessi, come in molte delle sue meravigliose composizioni (Ondine, La mer, Le jet d’eau dai Cinque poemi di Baudelaire, Pagodes e Jardin sous la pluie da Estampes, Reflects dans l’eau da Images, En bateau dalla Petite Suite per pianoforte a 4 mani, Pur remercier la pluie au matin

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dai Sei Epigraphes antiques sempre per pianoforte a 4 mani, Pelléas et Mélisande e molti altri ancora…). L'inizio del preludio vuole suggerire l’immagine di una cattedrale sommersa da una gigantesca quantità di acqua; coglie quindi innanzitutto l’elemento più tipicamente musicale di una cattedrale: i rintocchi delle campane, affidati alla magica tastiera del pianoforte. Seguono successivamente accordi leggeri, quasi sfumati, che danno l’impressione della cattedrale che emerge dalle profondità. Il tempo è “profondamente lento” e caratterizzato da accordi consecutivi sul piano o sul pianissimo, che creano un’atmosfera indefinita e misteriosa. La seconda parte, un po’ meno lenta, è caratterizzata da una melodia accompagnata da lunghe note basse. Anche qui il suono è molto debole e le note sono tutte nel registro grave del pianoforte allo scopo di creare un’atmosfera cupa e indefinita, rotta ogni tanto dai soliti rintocchi che malinconicamente ritornano a ricordarci l’immagine della cattedrale. Infine (parte terza del preludio), un arpeggio fluttuante e sordo che va a toccare le note più basse del pianoforte simboleggia le onde del mare che sommergono l’edificio verso le profondità dell’oceano. Il brano termina con una coda che, riproponendo una volta ancora lo schema iniziale, pian piano svanisce nel nulla, a simboleggiare la nebbia fitta e scura che torna ad avvolgere il tutto. La nebbia mattutina, il movimento delle onde, le campane, l'organo sono resi con effetti onomatopeici di grande efficacia, e anche la struttura narrativa viene seguita con esattezza. La Cathédrale engloutie divenne perciò subito celebre, e mantiene da lungo tempo una popolarità pari a quella di certe pagine di Beethoven o dei romantici. Ascoltiamo ancora Arturo Benedetti Michelangeli. ♫♫ Quale ultimo brano debussyano ho scelto i Children's Corner, una suite per pianoforte composta nel 1907, dedicata alla figlia EmmaClaude,

detta

Chou-chou

(“farfalla”,

in

giapponese) «con le più tenere scuse di suo padre per quel che segue». [Claude Debussy con la figlia Emma]

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Emma morirà quattordicenne per difterite, neanche un anno dopo il padre. Questa suite comprende in tutto sei brani, fra i quali ho scelto Golliwogg's cake-walk, il pezzo più spiccatamente ritmico della raccolta, improntato alla vivace danza afroamericana del cakewalk che si immagina ballata da Golliwogg, personaggio di libri per bambini avente le fattezze di una bambina di colore. L'opera non è pensata per essere eseguita da un bambino, ma intende rappresentare in modo poetico il mondo dell'infanzia. Il brano è interpretato dallo stesso Claude Debussy in una registrazione del 1913, rimasterizzata Claude Debussy morì di carcinoma del colon-retto a Parigi il 25 marzo 1918, nel mezzo dei bombardamenti aerei e d'artiglieria in un'azione dell'Offensiva di primavera della Grande guerra. Nel disperato clima bellico che si respirava al tempo in Francia, non fu possibile rendere gli onori di Stato al compositore e la sua processione funebre si tenne in maniera veloce e frugale per le vie della città, deserte e squarciate dai cannoni tedeschi. Venne sepolto nel Cimitero di Passy vicino Parigi, affinché la sua anima che non fosse disturbata dalle bombe.

Un altro grande esponente dell’impressionismo francese fu Paul Dukas (1865-1935). Si dedicò ben presto all’insegnamento e alla composizione: molte sono le opere da lui scritte, e in esse sono assai frequenti gli influssi della musica di Wagner e di Debussy. Di questo compositore oggi non è disponibile l'intero corpus compositivo: Dukas era un critico talmente severo verso se stesso che, nell'intento di lasciare un solo esempio di sue composizioni nei principali generi da lui sperimentati, in tarda età decise di distruggere molte sue opere non ritenendole degne di essere eseguite. La sua fama è legata al poema sinfonico L’Apprendista stregone, capolavoro qualificato dall'originalità del colorito orchestrale e da un umorismo grottesco. Il brano è tratto da una ballata di Goethe che racconta di uno stregone che si assenta dal suo studio, raccomandando al giovane apprendista di fare le pulizie. Quest'ultimo si serve di un incantesimo del maestro per dare vita a una scopa affinché compia il lavoro al posto suo. La scopa continua a rovesciare acqua sul pavimento, come le è stato ordinato, fino ad allagare le stanze; quando l'apprendista si rende conto di non conoscere la parola magica per porre fine

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all'incantesimo, spezza la scopa in due con l'accetta, col solo risultato di raddoppiarla, perché entrambi i tronconi della scopa continuano il lavoro. Per fortuna ritorna lo stregone che immediatamente riporta la situazione alla normalità, e quindi punisce con un colpo di frusta l'incauto apprendista. Il poema sinfonico si avvale delle movenze dello scherzo, nel tempo estremamente rapido di 3/8, e delle armonie create a partire dalla scala esatonale per suggerire un clima tenebroso e misterioso. Un

primo

leitmotiv

caratterizzante

lo

stregone aleggia periodicamente per tutto il brano;

un

secondo

all'apprendista

tema,

stregone,

che

è

allude

introdotto

gradualmente per brevi incisi melodici e solo intorno alla metà della partitura, enunciato dal fagotto come un tema di fuga, esprime un andamento di goffa baldanza che lo rende riconoscibile in tutto il resto del brano. La ballata venne ripresa da Walt Disney nel film d’animazione “Fantasia” del 1940, con Topolino nel ruolo dell’apprendista, un filmato che a distanza di 75 anni (sic! 78 al momento di questa pubblicazione) non ha perso nulla del suo grandissimo fascino, e che ci fa allegramente tornare ai tempi della nostra passata spensierata giovinezza. Nel filmato disneyano il brano è interpretato dalla Philadelphia Orchestra diretta da Leopold Stokowski. In versione CD vi consiglio l’interpretazione della Philharmonia Orchestra diretta da Guido Cantelli.

Nel contesto della musica francese a cavallo tra '800 e '900 occupa una posizione caratterizzata da una forte vena polemica Erik Satie (1866-1925). Erik Satie (si firmava sempre con nome e cognome, anche nei biglietti trasmessi agli amici) è un coerente interprete dell’epoca che ha attraversato anche per quanto riguarda lo stile di vita e i comportamenti.

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Da giovane fu affascinato dall’esoterismo ed aderì alla setta dei Rosacroce: poco più tardi avrebbe addirittura fondato una chiesa, l’Église Métropolitaine d’Art de Jésus Conducteur, di cui però fu l’unico sacerdote e fedele; deluso da questa esperienza non si interessò più di affari religiosi. Per il suo temperamento fuori dagli schemi, irriverente verso le tradizioni musicali, Satie con i suoi componimenti arrivò ad intuizioni ardite per ciò che concerne armonia e ritmo; sperimentò anche nuove forme di suono, usando suoni molto innovativi come sirene, macchine da scrivere ed altri effetti sonori non tradizionalmente musicali. Scrisse brani difficilmente inquadrabili nei generi finora conosciuti, come le Gymnopédie e le Gnossienne; compose inoltre anche il brano più lungo della storia, Vexations, composto da trentacinque battute ripetute 840 volte per una durata totale di circa venti ore. Erik Satie fu in vita un personaggio dalle pose originali e dai comportamenti bizzarri, spesso sottolineati dai cronisti del tempo. Visse in povertà e morì di cirrosi epatica, per abuso di alcool e assenzio, all’età di 59 anni. [Satie House and Museum (Maisons Satie): Abiti, armadi, note e annotazioni (67 boulevard Charles V, 14600, Honfleur, Francia)]

Alla sua morte, gli amici che aprirono la stanza sempre chiusa a chiave del piccolo appartamento in cui Satie viveva ad Arcueil, alle porte di Parigi, (l’unica altra stanza era chiamata da Satie, per le sue dimensioni, l’armadio) trovarono tra l’altro, in un disordine indescrivibile coperto di ragnatele, una vera e propria collezione di ombrelli (oltre 100 di vario genere, a cui lui teneva così tanto che non li usava), mucchi di corrispondenza non aperta, oltre quattromila bigliettini illustrati e scritti da Satie e sette vestiti uguali: il musicista vestiva infatti sempre un completo in velluto grigio, e quando quello indossato era troppo logoro lo sostituiva con un altro acquistandone uno nuovo di scorta.

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Nell’unica stanza dove viveva aveva due pianoforti, uno posto sopra l’altro, i loro pedali interconnessi. Una curiosità… cinematografica: Erik Satie in persona appare in alcune scene del film Entr'acte diretto nel 1924 da René Clair. Una delle numerose idee fisse di Erik Satie era il numero tre, un'ossessione mistica; forse una reliquia del simbolismo trinitario associato all'Ordine cabalistico dei Rosacroce. ♫♫ Molte delle sue composizioni sono raggruppate in cicli di tre, come le Gymnopedies, tre brani autonomi, riuniti in un'unica raccolta. Il termine deriva dal greco “Gumnopaidía” la cui traduzione è “la festa dei fanciulli nudi”. Le originali “Gymnopédies” erano festività religiose tenute a Sparta nel periodo luglio-agosto in onore del dio Apollo e di sua sorella Artemide: esse consistevano essenzialmente in canti, danze ed esercizi ginnici eseguiti dai giovani Spartani, nudi, intorno alle statue rappresentanti gli dei, nella piazza principale della città. Tutte le Gymnopedies di Satie utilizzano lievi dissonanze che producono un effetto malinconia, seguendo anche le indicazioni dell’Autore che indicava la cadenza musicale da suonare “dolorosamente”, “tristemente” o “gravemente”. Vi propongo l’ascolto della Gymnopedie n° 1, un brano intriso di una delicata e soffusa mestizia. Al pianoforte Daniel Varsano, un pianista franco-russo, che per questa interpretazione vinse in giovane età il Grand Prix du Disque. La carriera di Varsano fu assai breve: omosessuale, contrasse l’AIDS, che lo portò a morte all’età di appena 35 anni. ♫♫Le Gnossienne sono anch’esse composizioni per pianoforte. Il termine fu coniato dallo stesso Satie per indicare un nuovo tipo di composizione musicale. Come le Gymnopédies, le Gnossiennes sono spesso state definite delle "danze". Gnossienne deriva apparentemente dalla parola gnosi, cosa non troppo sorprendente data la implicazione di Satie in sette e movimenti gnostici nel periodo in cui iniziò a comporre questi brani. [Martha Graham dancers performing Satie's Gnossienne]

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La spiegazione più comune, tuttavia, è che il titolo si riferisca alle danze rituali eseguite a Creta, nel famoso palazzo cretese di Cnosso (o "Gnossus"), e che le composizioni siano dunque da collegare al mito di Teseo, Arianna e il Minotauro. Vi propongo l’ascolto della bellissima Gnossienne n° 5, suonata anch’essa dal pianista Daniel Varsano.

Maurice Ravel è uno dei massimi rappresentati in ambito musicale dell’impressionismo francese. E’ uno dei grandi compositori dell’inizio del XX secolo. Nato a Ciboure – regione basca francese ai confini con la Spagna – nel 1875, iniziò a studiare il pianoforte a Parigi già all’età di sette anni. Durante i suoi studi incontrò e frequentò numerosi compositori giovani e innovativi, che usavano chiamarsi Les Apaches per la loro vita sregolata. Maurice fu influenzato da diversi stili musicali legati a diverse parti del mondo: il jazz americano, la musica asiatica e le canzoni popolari tradizionali di tutta Europa. Nel 1932 fu coinvolto in un grave incidente d’auto a seguito del quale la sua produzione artistica diminuì sensibilmente. Colpito da ictus all’emisfero sinistro del cervello, non fu più in grado di leggere la musica, ma poté continuare a dirigere l’orchestra. Le sue condizioni peggiorarono inesorabilmente fino al 1937 quando, il 18 dicembre, fu operato al cervello. L’intervento non ebbe alcun esito e Ravel morì dieci giorni più tardi. Ravel guidò, insieme a Debussy, l'innovazione musicale in Francia e ben oltre i suoi confini, esprimendosi ai più alti vertici nelle composizioni per pianoforte e utilizzando con raffinata eleganza diverse espressioni musicali. L'arte di Ravel è caratterizzata da una raffinata bravura compositiva, ed è segnata nello stesso tempo da una sofisticata ricerca stilistica che si realizza nell'uso di un linguaggio musicale eclettico: da qui gli accenti e le movenze spagnolesche della Rapsodia orchestrale e della commedia L'heure espagnole, e la strepitosa miscela tra grande artigianato orchestrale e ossessiva spirale melodica nel celeberrimo Bolèro. Da questo derivano anche le seduzioni dei valzer di sapore viennese nei Valses nobles et sentimentales per pianoforte e in La valse per orchestra. E deriva, infine, l'uso di materiali musicali d'ogni tipo: dall'operetta americana al vecchio jazz di 40


New Orleans (Concerto in sol), al ragtime e così via; per esempio la Sonata per violino e pianoforte contiene un fascinoso movimento di blues. La sua opera universalmente più famosa è il Boléro, una musica da balletto divenuta celebre anche come brano da concerto. In questo numero della Rivista troverete un ampio Focus su questo brano e ad esso vi rimando per una lettura più approfondita.

Purtroppo in occasione di quella serata degli Amici del Vinile non vi fu il tempo (sempre tiranno, corre troppo velocemente!) per poter gustare tutti assieme questa musica seducente Per l’occasione avevo scelto la celeberrima interpretazione della Boston Symphony Orchestra diretta dal maestro Seiji Ozawa, contraddistinta da una grande vivacità interpretativa dell’orchestra e segnata da una ritmicità inebriante dei timpani. Ritroveremo sicuramente questa composizione (e i brani di Satie anch’essi non ascoltati per motivi di tempo) in una successiva Serata degli Amici del Vinile che dedicherò alla Musica europea tra la fine ‘800 e primo ‘900.

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La nostra copertina: “L’Etoile" di Edgar Degas (1878) La copertina di questo numero è un dipinto (pastello su carta) di Edgar Degas, del 1878, intitolato L'Étoile e raffigura una ballerina che danza solitaria sul palco. E’ esposto al Museo d’Orsay di Parigi. Le ballerine furono uno dei soggetti preferiti di Degas che a loro dedicò non solo decine di tele ma anche numerose statue divenute anch’esse famosissime nel corso degli anni ‘70 del 1800. Degas frequentava regolarmente il Ridotto e la Sala prove dell’Opera di Parigi, grazie all’amico Jules Perrot, famoso maestro di ballo. L’artista osservava i movimenti più spontanei e naturali dei ballerini nelle diverse fasi (non solo in scena, ma anche durante le prove) per creare scene immaginarie molto realistiche. Osserviamo il dipinto: notiamo subito l’arditezza dello scorcio dall’alto che da all’immagine un fascino tutto particolare. La ballerina è in punta, in equilibrio con grazia su una gamba, in una posa di grande leggerezza e grazia. La Stella sta vivendo un momento di vera felicità che scaturisce tutta dal dipinto e che coinvolge anche noi che osserviamo il dipinto. Ci sono fiori sul suo vestito bianco; il suo nastro scorre fuori dal suo collo esteso; una corona è in cima alla sua testa. Piega la testa all'indietro e chiude gli occhi in dolce trionfo del successo della sua esibizione (forse il pubblico applaude per questa giovane stella in questo momento), le sue guance rosee arrossiscono per la soddisfazione del risultato. L'illuminazione del palcoscenico brilla su di lei e la sua esibizione. L’uso del pastello da parte di Degas conferisce alle forme e volumi del corpo della ballerina un tocco molto soffice con l’uso del bianco con differenti gradazioni fino al grigio dai cui spiccano delle macchie di rosso per le roselline del tutù e i colori del trucco della ballerina. La figura della Etoile non occupa il centro dell’immagine ma è decentrata. Per quasi due terzi del quadro domina il piano del palco, in un sapiente gioco di ombre, ottenuto con colori più scuri stesi a tratti veloci e sommari, che ci suggerisce la confusione delle altre danzatrici che si intravedono in attesa dietro le quinte. Notiamo anche una figura maschile, probabilmente il maestro di ballo. In questo modo Degas ci permette di vedere non solo la scena sul palcoscenico, ma anche la magia del teatro, con la vera vita dietro di esso.

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I grandi direttori: Georges Prêtre Biografia Georges Prêtre, uno dei massimi direttori del nostro tempo, nacque a Waziers, nell’estremo nord della Francia, il 14 agosto 1924. Era di origini umili, figlio di un calzolaio. Come amava raccontare, scoprì la musica a 7 anni, e, dopo gli studi musicali nella città natale, si trasferì a Parigi seguendo al Conservatorio i corsi di pianoforte, tromba, composizione e direzione d'orchestra. A vent'anni conquistò un primo premio in tromba al Conservatorio di Parigi, e quello strumento gli avrebbe permesso di sopravvivere, negli anni della guerra, suonando jazz al Bobino o nell'orchestra di Glenn Miller. Poi la grande svolta: il podio. Esordì nel 1947 a Marsiglia, quindi in crescendo cominciò ad essere richiesto in tutti i teatri francesi, da Marsiglia a Lille a Toulouse, fino ad arrivare a Parigi, all'Opéra-Comique (dove divenne direttore stabile dal 1955 al 1959); infine il salto verso le più prestigiose platee del mondo: Chicago, Covent Garden, Metropolitan, Vienna (dove per ben 50 anni fu direttore principale della Vienna Symphony), Teatro alla Scala di Milano, con il quale ebbe un legame fortissimo, il loro sodalizio sarebbe durato sino alla morte del Maestro. Alla Scala di Milano debuttò nel 1966, con un “Faust” di Gounod che poggiava sulla mitica terna Freni-Gedda-Ghiaurov. Al repertorio francese, valorizzato in tutti i capolavori, da “Carmen” a “Pelléas” affiancò la predilezione per il repertorio pucciniano: niente Verdi, diceva Prêtre, quello tocca solo agli italiani. Invece Puccini sì, quello di “Bohème”, di “Manon Lescaut”, di “Turandot”, di “Butterfly”. Il suo ultimo concerto al Piermarini fu nel febbraio 2016 con la Filarmonica della Scala e il pianista Rudolph Buchbinder, per festeggiare i suoi cinquant’anni milanesi. Georges Prêtre morì il 4 gennaio 2017 all’età di 92 anni. I familiari che gli furono vicini dissero che il Maestro aveva lasciato il mondo con un sorriso. Un sorriso che da sempre gli illuminava gli occhi e il viso, e si trasformava in musica.

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La figura del Direttore George Prêtre: carisma sul podio e capacità unica di suscitare emozioni attraverso la dimensione incantata della melodia, l'emergere di passioni, sentimenti, sfumature, colori. I suoi maestri erano stati i paladini della scuola francese: André Cluytens, Pierre Dervaux, Richard Blareau. E squisitamente francese era rimasto sempre il suo spirito, il suo modo di dirigere. Senza un battere preciso, fluttuante, non chiaro nel gesto, spudoratamente vago nelle scelte dei tempi, ma assolutamente dentro la musica, alla ricerca dello “charme” e di sensuali sonorità. Nella sua carriera ha diretto molto più con gli occhi che con il braccio. Dal fisico possente, prima della decadenza, e dal piglio atletico che l’esercizio della boxe gli aveva forgiato, dirigeva con il suo corpo massiccio e presente, a volte completamente fermo sul podio: gli orchestrali di tutto il mondo erano entusiasti di lavorare con lui, dicevano che essere diretti da Prêtre significava entrare dentro la musica con tutto se stessi, perdendo la cognizione di tempo e spazio. La risposta francese a Leonard Bernstein, così veniva soprannominato. Molti lo hanno definito un poeta. Perché quello che la sala percepiva durante le interpretazioni di Georges Prêtre era una dimensione incantata della melodia, un emergere di passioni, sentimenti, sfumature, colori che calavano l’ascoltare in un flusso magico di note. Il suo “rubato” era proverbiale: riusciva infatti a plasmare il suono di orchestra e cantanti in punta di bacchetta, variando il rigore geometrico dei tempi con ritardandi e accelerandi. Poulenc, il compositore poeta, e Maria Callas, la diva fragile, lo stimavano come il più grande musicista. Lui, col suo naso schiacciato da pugile (aveva fatto anche quello, nella vita errabonda), gli occhi sempre più sottili, sapeva cogliere sentimenti profondi e tradurli con

semplicità

in

musica.

Dopo

ogni

esecuzione, anche con le compagini più prestigiose del mondo, ringraziava il pubblico, felice, ma soprattutto ringraziava devoto gli orchestrali. Non apparteneva alla squadra dei direttoricapitani, che plasmano, formano, esigono, ma a quella dei direttori-sciamani: mistici, fiduciosi nella musica che eseguono e nelle sensazioni che trasmettono. Discografia Settant’anni di carriera, settant’anni d’amore verso la musica profuso ovunque. Vi elenco quelle che a mio personale ed opinabile avviso sono splendide interpretazioni di George Prêtre che ogni appassionato dovrebbe avere.

 A Georges Prêtre, francese, calzava a pennello la musica della sua terra. Praticava l'arte dell'alchimia timbrica impressionista e il che l'ha reso interprete sommo del fantasmagorico Debussy e del cristallino Ravel, i due autori presenti nel cd postumo (OF 017) con cui la collana

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Maggio Live ricorda questa interpretazione al Teatro Comunale di Firenze datata 6 marzo 2004, alla guida dell’Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino. Del primo ci sono "La mer" e i "Nocturnes", del secondo il "Boléro", suo cavallo di battaglia. Anche al solo ascolto si ritrova l'emozione che Prêtre suscitava in teatro: spettacolo d'eleganza e malia. Del rapporto osmotico tra Prêtre e il Boléro rimando al Focus sul Boléro di Ravel in questo numero della Rivista. (Maggio Live è la collana discografica ufficiale dell’Opera di Firenze che sta pubblicando alcune delle straordinarie registrazioni conservate nell’archivio del Maggio Musicale Fiorentino, un tesoro sonoro inestimabile che, fin dal 1952, vede protagonisti tutti i più grandi direttori d’orchestra, solisti e cantanti dei nostri tempi. Le pubblicazioni storiche sono realizzate partendo dai nastri originali.)

 Sempre nella stessa Collana Maggio Live (OF 011) troviamo il Werther di Jules Massenet, con

l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, con un cast di alto livello: Alfredo Kraus, Lucia Valentini Terrani, Rolando Panerai. La registrazione rievoca con straordinaria evidenza il clima emozionante creato dal direttore e dai protagonisti di questa memorabile edizione del capolavoro di Massenet. I colori orchestrali sono miscelati ed equilibrati per produrre un caleidoscopio continuo di suoni. Splendida la scena d'apertura, ma in molti altri punti Prêtre portò la velocità ad un livello in netto contrasto con i ritmi del metronomo, rendendo difficile ai i cantanti enunciare con chiarezza.  Altro brano dell’impressionismo francese in cui Prêtre ha dato un’eccellente interpretazione è la Sinfonia fantastica di Hector Berlioz, pezzo che piaceva, e molto, a Igor Stravinskij. In questa registrazione RCA Red Seal Prêtre esalta i timbri di questo capolavoro, la sua grandezza surreale e la movimentazione onirica del protagonista.

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La Carmen, fredda e cerebrale, offre l’occasione per ascoltare in disco l’ultima grande creazione di Maria Callas la quale, senza averla mai interpretata in teatro, sviscera, in maniera una volta di più insuperabile, le tante e diverse sollecitazioni di Carmen, che cessa di colpo di apparire la solita donna popolana dai facili costumi: la Carmen di Maria Callas ancora oggi mette i brividi, sia quando intona con accento disincantato e presago la seduttiva Seguidilla sia quando si inabissa in quel suo colore intubato, cupo e brunito della sua celebre voce nella straziante scena delle carte. Cast: Maria Callas, Nicolaï Gedda, Andréa Guiot, Robert Massard. Orchestre Du Théâtre National De L'Opéra De Paris. Chœurs René Duclos. Direttore: Georges Prêtre (EMI classics)  A me piace molto la Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, con il Chorus e l’Orchestra della Scala, con un ottimo cast: Placido Domingo, Renato Bruson, Axelle Gall, Elena Obraztsova. Splendido l’Intermezzo sinfonico. Molto solare la conduzione. Esiste anche una versione video in DVD con la regia di Franco Zeffirelli.  Infine da ricordare le due conduzioni (2008 e 2010) al Concerto di Capodanno nella sala dorata del Musikverein di Vienna alla guida dei Wiener Philharmoniker, l’unico direttore di nazionalità francese ad aver finora ricoperto questo ruolo. Il fil rouge del programma viennese diretto da Prêtre (ovviamente, sottolineò il Maestro, "stabilito dagli stessi Wiener") fu rappresentato in entrambe le occasioni da diversi

pezzi con diretti rimandi alla sua terra natale (compreso l'inno "La Marsigliese"). Prêtre ha diretto due volte (2005 e 2009) anche il Concerto di Capodanno del Teatro La Fenice di Venezia.

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Guida all’ascolto: Boléro, di Maurice Ravel Genesi di un capolavoro Nel 1927 la celebre ballerina Ida Rubinstein chiese a Maurice Ravel di comporre per lei un balletto di ambiente spagnolo. Personaggio centrale nella vita teatrale parigina dei primi decenni del secolo, Ida Rubinstein [nella foto] si era imposta come artista di grande fascino all'interno della celebre compagnia dei Ballets russes, che aveva poi abbandonato per

fondare

una

propria

compagnia

autonoma.

Nonostante non avesse, come ballerina, una tecnica eccelsa e fosse condizionata, come attrice, da un forte accento russo, la sua avvenenza e il suo carisma stimolarono la creatività di molti compositori (Debussy, Stravinskij, Honegger, Sauguet), letterati (D'Annunzio, Gide, Valery) e coreografi (Fokine, Massine, Bronislava Nijinska). Che l'idea del balletto spagnolo piacesse a Ravel non c'è da stupirsi; le sue origini basche lo avevano portato in più occasioni a rifarsi a caratteristiche spagnoleggianti; basterebbe pensare a lavori come Raphsodie Espagnole (1907), L'heure espagnole (1911), Alborada del Gracioso (1923). In un primo momento Ravel aveva pensato di orchestrare alcune pagine pianistiche tratte da Iberia, celebre raccolta pianistica di Albeniz, compositore protagonista della rinascita musicale spagnola; ma dopo aver appreso, qualche settimana dopo, che i diritti per la trasformazione in balletto del brano erano già stati venduti dagli eredi di Albeniz, decise di comporre una nuova musica sua piuttosto che elaborare quella di un altro. Scelse così un bolero, attratto dall'ossessività ritmica e dalla semplicità melodica di questa nota danza spagnola che, nata nel '700, si era rapidamente diffusa in Europa, destando l'interesse, fra gli altri, di Beethoven, Weber, Chopin, Berlioz, Auber e Verdi. La danza e la Spagna, quindi, si ritrovavano ancora una volta insieme in Ravel, a testimonianza di un ininterrotto interesse del compositore nei confronti del folklore musicale iberico. Il Bolero andò in scena all'Opéra di Parigi il 22 novembre 1928, con Walter Straram sul podio e coreografie di Bronislava Nijinska. La prima versione il balletto si svolge all'interno di una taverna, dove si assiste alla rappresentazione di una gitana (nell’occasione la stessa Rubinstein), che danza su un tavolo. Intorno le si avvicinano diversi uomini che attratti dalla sua sensualità

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vogliono danzare con lei. La frenesia del ballo li rapisce in un crescendo di emozioni e di eccitazione, in una sorta di rito carico di spiccato erotismo. La

composizione

ottenne,

fin

dalla

sua

prima

rappresentazione, un clamoroso successo grazie alla stupefacente originalità sia della musica sia dell'invenzione coreografica. Il brano fu poi eseguito sotto la direzione dell'autore ai Concerts Lamoureux (una delle più prestigiose istituzioni concertistiche parigine) l'11 gennaio 1930 senza perdere nulla

del

suo

fascino

misterioso,

imponendosi

immediatamente come una delle pagine più fortunate della letteratura orchestrale del XX secolo. Boléro, analisi della composizione Uno degli aspetti che maggiormente desta meraviglia del Boléro di Ravel, a quasi ottant'anni dalla sua prima rappresentazione, è la forza del coinvolgimento emotivo che esso suscita nello spettatore rispetto all'estrema semplicità dei mezzi musicali impiegati. La sensualità e l'ossessione erotica sono le energie sprigionate dalla musica da Ravel, ma è soprattutto il calibratissimo processo di accrescimento strumentale (metafora dell'ebbrezza dei sensi e dell'atto sessuale) ad eccitare direttamente i sensi di chi ascolta. Ravel propone un unico tema suddiviso in due frasi distinte di 16 battute ciascuna - l'una in do maggiore, l'altra nel più morbido do minore - accompagnato da un unico ritmo di bolero in tempo assai moderato, ben scandito dalle percussioni. La sua idea è quella di procedere non partendo dal tema verso una libera composizione, ma di ripetere il tema per 18 volte consecutive, ciascuna delle quali diversa dalla precedente perché proposta a un livello dinamico via via superiore; insomma un progressivo crescendo, dal pianissimo al fortissimo, basato su diverse "terrazze" sonore, ciascuna delle quali si distingue per l'aggiunta di nuovi strumenti, sia nella linea melodica che nel supporto ritmico. In quest’idea, per certi aspetti assurda e provocatoria, risiede l'intero valore artistico del Boléro: idea tanto semplice quanto impossibile da trasformare in musica se non fosse stato per il genio timbrico di Ravel. Questa la descrizione che lo stesso Ravel dà del pezzo nello Schizzo autobiografico: «E’ una danza in un movimento moderato ed uniforme, sia per l’armonia, sia per il ritmo, quest’ultimo

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suonato senza interruzioni dal tamburo. Il solo elemento di diversità è dato dal crescendo orchestrale.» Analizziamo la composizione. Essa procede secondo questa sequenza strumentale: - l’esordio è in pianissimo con il tamburo che scandisce ritmicamente (e continuerà a farlo per tutta la durata della composizione) accompagnato dal pizzicato di viola e violoncelli; - il flauto (nel registro basso) che presenta il tema; - il clarinetto (nel registro medio), mentre il flauto si aggiunge al tamburo nella sua scansione ritmica; - il fagotto (nel suo registro acuto), mentre l’arpa si aggiunge alle viole e al violoncello; - il clarinetto piccolo (più piccolo e più alto del clarinetto standard); - l’oboe d’amore nel suo registro medio; qui il fagotto sostituisce il flauto nell’accompagnamento ritmico, mentre i secondi violini si aggiungono all’accompagnamento armonico; - il flauto e la tromba silenziati, mentre i corni sostituiscono ritmicamente il fagotto; i primi violini in pizzicato sostituiscono i secondi violini; - il sax tenore (un'inconsueta inclusione in un'orchestra, ma a Ravel piaceva il jazz, mentre la tromba sostituisce ritmicamente il fagotto, ed i secondi violini sostituiscono i primi nell’accompagnamento dove si aggiungono anche i flauti; - il sassofono solista soprano (un piccolo, dritto, sassofono acuto; la tromba si aggiunge all’accompagnamento ritmico, mentre nell’accompagnamento accordale si aggiungono i primi violini, l’oboe e il corno; - l’ottavino, il corno francese e la celesta, mentre il flauto e il corno accompagnano ritmicamente, e i secondi violini, il clarinetto basso e l’oboe accompagnano armonicamente; - i clarinetti e gli oboi, mentre tromba e corno accompagnano ritmicamente; gli archi eseguono l’accompagnamento armonico; - il trombone solista, con la parte ritmica affidata a flauto, corno e viola, mentre clarinetti, fagotto e arpa eseguono la parte armonica: gli impasti timbrici sono sempre più complessi e raffinati; - i violini e i fiati; al corno l’accompagnamento ritmico, al fagotto quello armonico; - agli strumenti precedenti si aggiunge il sax tenore; - gli archi e i fiati; - l’intera orchestra, in un coinvolgimento totale finale, con gli orgiastici glissandi dei tromboni, e con il culmine della tensione emotiva determinata dall'inesorabile amplificazione del suono. Il tema vira bruscamente verso la tonalità di mi maggiore, modificando il proprio profilo melodico, e ritorna poi, dopo solo otto misure, al do maggiore per una rapida conclusione.

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La coreografia del Boléro Dal lontano 1928, anno del debutto del Boléro all’Opéra di Parigi, una moltitudine di coreografi si sono cimentati con la partitura di Ravel. Molte sono state le versioni negli anni successivi. Ricordiamo quelle di Serge Lifar risalente al 1941, la versione “metafisica” di Aurél Milloss (nella quale un demone s'impossessa di un gruppo di avventori presenti in una sordida taverna), di Roland Petit (che lo raffigura come l'attrazione tra un uomo e una donna attraverso un incontro di boxe), ma quella probabilmente più riuscita, e certamente la più famosa e rappresentata sui palcoscenici di tutto il mondo, è quella creata nel 1961 da Maurice Béjart per i Ballet du XXème Siècle, che presenta una perfetta corrispondenza tra la partitura musicale e quella coreografica.

[Maurice Béjart]

Béjart riprese l’idea della Rubinstein con la protagonista che danza su un tavolo, e sottolineò attraverso i movimenti della donna una sinuosità incessante fatta di ondeggiamenti e contorcimenti, mentre gli uomini - che inizialmente sono fermi - alla fine sono coinvolti in una danza crescente fatta di erotismo e desiderio; alla fine la donna viene travolta dagli uomini che le si gettano addosso. Dufka Sifnios fu la prima grande ballerina di questa versione béjartiana. Questa versione di Bejàrt successivamente fu rivista nel 1979 e venne affidata al grande ballerino Jorge Donn, danzatore prediletto da Béjart che fu anche protagonista della versione del balletto inserito nel film Boléro– Les une et les autres di Claude Lelouch (1981).

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Con questo grande interprete, Bejàrt abbandona l'ambientazione folkloristica e dà al balletto un tono più astratto, aggiungendo numerosi plié (è un movimento di danza, tecnicamente espressivo, che consiste nella flessione delle ginocchia) insieme a movimenti di straordinaria bellezza dalle forme geometriche.

Degli anni ‘90 è la splendida interpretazione della ballerina Sylvie Guillem, una delle più grandi ballerine di tutti i tempi sia nel balletto

classico

sia

nella

danza

contemporanea, étoile dell'Opera di Parigi a soli 19 anni.

La melodia di Boléro si è diffusa molto oltre i confini degli ambienti della danza e della musica colta; innumerevoli sono state le trascrizioni di vario tipo e per tutti gli strumenti, le trasposizioni nell'ambito della musica jazz (fra gli altri il Jacques Loussier Trio,) gli impieghi come colonna sonora cinematografica (il già citato Boléro di Claude Lélouche, il film 10 di Blake Edwards (1979) e altri ancora. Il Boléro e Toscanini. Famosa è stata la querelle tra Ravel ed il maestro Arturo Toscanini su come interpretare il Boléro. Ravel auspicava che il Boléro fosse eseguito con un ritmo piuttosto lento che accrescesse l'allucinazione ritmica della pagina; Toscanini, al contrario, amava dirigerlo con un andamento molto più rapido. Durante un concerto tenuto il 4 maggio 1930 all'Opéra di Parigi - in cui Toscanini staccò nel Boléro un tempo più secco e più rapido del previsto (che dice «Tempo di bolero moderato assai»), attenuando molto la sensualità della pagina - scoppiò un diverbio tra i due artisti: Ravel non volle salire sul proscenio dopo l'esecuzione dell'opera in polemica con la scelta di tempo adottata dal maestro parmense, e addirittura non si alzò in piedi a ricevere gli applausi

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scroscianti del pubblico presente. Alla fine invitò il grande Toscanini a non dirigere mai più il Boléro, se non alla velocità stabilita da lui. A testimonianza dell’episodio abbiamo uno stralcio da una severa intervista rilasciata dal compositore nel marzo del 1931: «Devo dire che raramente il Boléro viene diretto come io penso che dovrebbe esserlo. Mengelberg accelera e rallenta in modo eccessivo. Toscanini lo dirige due volte più veloce del dovuto e allarga il movimento alla fine, cosa che non è indicata in nessuna parte. No: il Boléro deve essere eseguito con un unico tempo dall'inizio alla fine, nello stile lamentoso e monotono delle melodie arabo-spagnole. Quando ho fatto notare a Toscanini che si prendeva troppe libertà, ha risposto: "Se non lo suono a modo mio, sarà senza effetto". I virtuosi sono incorreggibili, sprofondati nelle loro chimere come se i compositori non esistessero...». Dopo alcuni mesi il compositore inviò una lettera di scuse. Discografia Georges Prêtre (al quale abbiamo dedicato un profilo in questo numero della Rivista) è colui che si è identificato in questa composizione in maniera totale e totalizzante (caso unico nella storia della musica classica). Nessuno come Prêtre ha riassorbito in se stesso-direttore e uomo, corpo ed anima, ed emanato agli ascoltatori, le spasmodiche tensioni riposte in questa partitura. In una delle sue ultime apparizioni, nel marzo 2013 a Parigi al Theatre du Champs Elysees con i Wiener

Philarmoniker,

successe

un

episodio

commovente: il Maestro dedicò il Boléro al figlio morto, e ne diede la versione forse più d estrema, una “danza di morte: il pubblico era in lacrime. Presentandolo, disse con il filo di voce che i guai fisici degli ultimi tempi gli avevano lasciato: «Avevo deciso di toglierlo dai miei programmi perché lo faccio da sempre, ma mi ha talmente accompagnato nella vita e nell'affetto del pubblico, che lo voglio fare ancora una volta dedicandolo a mio figlio». Prêtre lo ha sempre eseguito dal vivo, senza aver mai pensato di lasciare una sua interpretazione in sala d’incisione. Fortunatamente, esiste questo disco live con l’Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino, del 2004 a riempire questa lacuna (Etichetta: Maggio Live OF 017). Nel mare magnum delle interpretazioni del Boléro, ho scelto le più interessanti: è difficile fare una classifica ben mirata, ma mi sento di consigliare come prima scelta la versione di Celibidache.

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Sergiu Celibidache con la Philharmonia di Monaco, live 1994 (EMI Classics 5 56526 2). Il Maestro, prende alla lettera il tempo moderato assai ed erige una (peraltro orgiastica) cattedrale di suono.

Hermann Scherchen, con la Vienna State Opera, come spesso suo uso "corre" (14 minuti e 46 secondi), ma con tale genialità da trasformare (anche grazie ad un uso straordinario delle percussioni) Boléro in una delirante danza tribale di espressività quasi “africana” (disco Millennium Classic, anno 1957).

L'incisione di Jos Van Immerseel con Anima Eterna presenta un tempo perfetto e la ricerca sui timbri strumentali tipica di questo complesso offre delle sonorità sorprendenti.

Leonard Bernstein, con la New York Philarmonic,, da compositore a compositore (che è sempre stato il suo vero atteggiamento) "entra" in Bolero con tempo "giusto", ma con la tipica "eccitazione" espressiva bernsteiniana.

Karajan, con i suoi Berliner Philharmoniker ha "germanizzato" il brano, regalandoci un fascino sonoro ed una inquietante implacabilità ritmica, ma è un esito comunque discutibile. [Deutsche Grammophon]

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Pierre Boulez è lucido ma la sua interpretazione ricorda quella di Karajan. [Deutsche Grammophon]

Charles Dutoit con l’Orchestra sinfonica di Montreal, ci offre una bella interpretazione morbida, che richiama le atmosfere iberiche. [Decca]

Seiji Ozawa con la Boston Symphony Orchestra presenta un’interpretazione ritmica possente, quasi militaresca. L’esito finale è comunque convincente. [Deutsche Grammophon]

Simon Rattle, con la City of Birmingham Symphony Chorus & Orchestra, coglie un lato swing molto sensuale. [Emi classics]

Tra i direttori italiani, cito Claudio Abbado e Riccardo Muti, che lo hanno eseguito e inciso: grande sonorità, ma interpretazioni “minori” del loro repertorio. Chi, infine, volesse vedere in video tre grandi interpretazioni coreografiche del Bolèro, può cliccare su questi tre link presenti in Rete: 

 

Maja Plisetzkaja: https://www.youtube.com/watch?v=SsSALaDJuN4 Jorge Donn: https://www.youtube.com/watch?v=m5CFJlzlGKM Sylvie Guillem: https://www.youtube.com/watch?v=rybdgpCWk5I

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Musica classica e cinema BARRY LYNDON, di Stanley Kubrick Barry Lyndon, ovvero il Cinema con la C maiuscola, un’amara riflessione su storia e potere. Il film, del 1975, è tratto dal romanzo di William Makepeace Thackeray, “Le memorie di Barry Lyndon”, e narra delle peripezie del bel giovane e ambizioso irlandese Redmond Barry, ma più universalmente del periodo dell’Illuminismo, nel bel mezzo della guerra dei Sette anni, dove quindi la vera protagonista è la Storia. Inizia il film e sembra quasi di essere seduti nella poltrona di un bel salone a pochi passi da un enorme "affresco animato" di epoca neoclassica. La maggior parte delle scene è strettamente correlata con opere pittoriche inglesi del periodo: le citazioni vanno da John Constable a William Hogarth, da Johann H. Fussli a Joshua Reynolds, una serie di tavole viventi composte con cura ed esattezza quasi maniacale.

Anche la luce è l’elemento dominante del film: per le scene di esterni Kubrick ha preferito l’uso dell’illuminazione naturale, sicché il film viene immerso in una atmosfera che restituisce il clima del tempo; per quanto riguarda le numerose riprese interne, le scene vengono illuminate tutte attraverso la luce delle candele, catturata da particolari lenti speciali fornite dalla Carl Zeiss, le stesse utilizzate anche dai satelliti della NASA.

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Un film mastodontico, solenne e malinconico, nella versione in lingua italiana con la bella voce narrante di Romolo Valli che accompagna il racconto con tono suadente e beffardo. Trama. Il film narra la storia tumultuosa ed infelice di Barry Lyndon, un giovane irlandese di bell'aspetto ma dalle origini modeste, e dall'indole impulsiva e irruenta. Innamoratosi di una giovane donna, Redmond sfida a duello il proprio rivale in amore e, credendo di averlo ucciso, fugge verso

Dublino

per

non

essere

catturato. Inizierà da lì un lungo viaggio per un Europa tumultuosa, animata dalla Guerra dei Sette anni alla quale Barry prenderà parte: si arruola nell’esercito inglese ma coglie la prima occasione favorevole per disertare e abbandonare i suoi commilitoni, non facendosi scrupolo di mentire e spacciare false identità pur di sottrarsi ai propri doveri. Entra quindi nell'esercito prussiano, divenendo il beniamino del capitano Potzdorf. Ma anche questa volta la fortuna gli volta le spalle e, costretto a fuggire, diventa il compare di un raffinato avventuriero. Entrato nel mondo del gioco d’azzardo, Barry si troverà presto a scalare posizioni sociali, nelle più lussuose regge e sale da gioco del vecchio continente, tra donne di alto rango e personaggi molto influenti. Ma le sue vicende non sono mai scontate: mosso da lussuria, brama di potere e un prorompente carattere istintivo, Barry andrà incontro ad una parabola discendente condita da momenti dapprima esaltanti ma ben presto molto drammatici. Abbandonata ogni idea iniziale legata al sentimento d’amore, Barry conoscerà e sposerà la ricca contessa di Lyndon, dalla quale avrà un figlio che però morirà in tenera età. La sua vita dissoluta porterà però ben presto la donna a perdere tutti i suoi beni. Barry viene sfidato a duello dal primo figlio della contessa, nato da un altro matrimonio, e che lo ha sempre odiato. Verrà ferito e perderà una gamba, e anche i suoi averi si disperderanno. Un malinconico esilio segna il suo definitivo destino: non gli resterà che accettare dal figliastro il vitalizio di 500 ghinee l’anno e lasciare definitivamente l’Inghilterra. Era l’anno 1789.

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MUSICA Un contributo memorabile al film sono la colonna sonora e i vari brani di musica classica che la compongono, assemblati da Leonard Rosenmann

e studiati da Kubrick ognuno per

accompagnare una particolare scena: così i duelli del protagonista hanno come sottofondo la Sarabanda di Georg Friedrich Händel, riscritta e riorchestrata in alcune parti per esprimere pienamente i momenti drammatici del film.

La Sarabanda è una danza che si suppone sia nata in Spagna (o più probabilmente in Arabia o Persia) come vorticosa danza d'amore; successivamente essa divenne un movimento tipico della Suite barocca: scrissero sarabande Bach, Vivaldi, Corelli, Purcell, Pachebel. Kubrick scelse la bellissima Sarabanda (IV movimento) dalla Suite per solo clavicembalo in Re minore HWV 437 composta da Händel, tra il 1703 ed il 1706 e pubblicata per la prima volta nel 1733: si tratta di una variazione sulla base armonica de La Follia, un antico tema musicale basato su una progressione di 16 accordi.

Nelle scene di battaglia la scelta è stata la Marcia tratta dall’Idomeneo di Mozart che con la sua eleganza si sposava perfettamente con i movimenti geometrici e scanditi delle schiere che avanzavano. L’Idomeneo, re di Creta K 366 è un'opera seria in lingua italiana di Wolfgang Amadeus Mozart.

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In breve la trama. Il re di Creta, Idomeneo, di ritorno in patria dopo la distruzione di Troia, sul punto di naufragare, promette a Poseidone di sacrificargli, se lo trarrà in salvo dalla terribile tempesta, la prima creatura umana che incontrerà sbarcando. E questa disgraziatamente è suo figlio, Idamante. Idomeneo tenta di sottrarsi alla promessa rinunciando al trono e si offre quale vittima per placare la divinità del mare.

Idamante è pronto a morire per mano di suo padre, pur di salvare la sua terra, ma si ode una Voce che perdona ma gli impone di lasciare il trono al figlio Idamante e di dargli in sposa l'amata Ilia. L’opera è considerata un capolavoro assoluto, tutta la partitura è luminosa, ricca, spigliata, esuberante, presenta infinite sfumature espressive. Il brano scelto da Kubrick è contenuta nell’Intermezzo tra il 1° e il 2° Atto, e consiste in una marcia e un coro di guerrieri che si uniscono alle donne cretesi, inneggiante a Nettuno che li ha ricondotti salvi in patria ("Nettuno s’onori").

E ancora, nelle scene al tavolo da gioco, il sottofondo musicale non può che trovare connubio più felice se non con le arie del “Barbiere di Siviglia” di Paisiello.

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L'opera, che ebbe alla sua apparizione un grandissimo successo in tutta Europa, venne poi oscurata dal successivo rifacimento del 1816 di Gioachino Rossini sullo stesso soggetto, che finì per relegare in un lungo oblio la versione di Paisiello. La vicenda essenzialmente segue la commedia di Beaumarchais, traducendone direttamente, in alcuni passi, i dialoghi. La versione di Paisiello e quella di Rossini si assomigliano molto, con qualche sottile differenza: in Paisiello vi è un'enfasi maggiore sulle vicende amorose rispetto agli aspetti comici. Nel film è stata utilizzata la cavatina del Conte Saper bramate in versione strumentale.

Kubrick desiderava che nel film emergesse, dal punto di vista musicale, una componente drammatica che però la musica del XVIII secolo, a suo giudizio, non possedeva. Da questa considerazione nacque questa affermazione: «Inizialmente credevo che fosse giusto usare soltanto musiche del XVIII secolo. Ma le regole che talvolta ci si impone si dimostrano poi inutili e controproducenti. […] Uno dei problemi che emerse ben presto fu che non esistono temi d’amore tragico nella musica del XVIII secolo. Così alla fine decisi di usare l’Opera 100 di Schubert, il Trio in mi bemolle, scritto nel 1828. È un magnifico brano di musica e possiede

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proprio quell’equilibrio contenuto, tra il tragico e il romantico, senza quell’impeto eccessivo del tardo romanticismo». Il Trio n. 2 in mi bemolle maggiore per violino, violoncello e pianoforte di Schubert, adattato appositamente per il film, si impone sulla seconda parte del film: la musica si fa dolcissima fin dal primo incontro di Barry con Lady Lyndon, e ricompare con mestizia e languore nell’ultima scena, proprio mentre Lady Lyndon si accinge a firmare il vitalizio per Barry.

Venne scelto il secondo movimento, Andante con moto: Schubert si ispirò per il tema principale a un canto popolare svedese, “Se solen sjunker”, una mesta melodia in do minore di impronta vocale, intonata su un mesto ritmo di marcia dal violoncello e quindi dal pianoforte in ottave, che rappresenta il nucleo tematico dell'intero movimento. L’accompagnamento oscillante tra il modo maggiore e quello minore dà alla melodia un andamento sinistro e un colore cupo, dalla intensità dolorosa e ossessiva, che esplode alla fine in una grandiosa Ballata di terribile violenza emotiva. Il grande compositore Schumann definì questo Andante “un sospiro che tradisce alla fine un'angoscia profonda”.

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Strumenti musicali antichi: il Liuto Strumento principe del Rinascimento, questo nobile strumento ha dato il nome alla tecnica e all’arte della costruzione di tutti gli strumenti musicali a corde, la liuteria. Venne introdotto in Europa dai musulmani attraverso la Andalusia e la Sicilia: lo rivela l’etimologia del suo nome che deriva dall’arabo ‘ūd, e la fonte linguistica più vicina all’originale è custodita nella lingua portoghese che ne ha mantenuto anche l’articolo: alaude. Raggiunse la massima diffusione nel XVI secolo.  Struttura del liuto

La cassa del liuto, in origine ricavata da un unico blocco di legno, fu in seguito costruita con diversi listelli (da nove a quaranta circa, normalmente con un’alternanza tra legno chiaro e scuro), per ottenere una sonorità più dolce e più intensa. Ha una forma bombata. Il manico, corto e largo, si estende sullo stesso piano della tavola; a esso è fissato, ortogonalmente, il cavigliere a spatola che è reclinato. Una serie di legamenti di minugia divide il manico in otto o nove parti, dette tasti. La tavola armonica ha uno o tre fori di risonanza ricoperti da una rosetta intagliata. Inizialmente il liuto aveva sei corde, ed ogni corda, ad eccezione della prima, era doppia. Il tipo di accordatura era variabile. Il Liuto era suonato con un plettro o anche, per ottenere maggiore morbidezza e fluidità d'esecuzione, con le dita nude.

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ď‚ł La Musica per Liuto Il liuto conobbe una grande popolaritĂ nel Cinquecento e nel Seicento; il suo timbro dolce e la comoda leggerezza lo rendevano adatto sia per eseguire composizioni polifoniche, semplici o complesse, che per accompagnare il canto o la danza. Nonostante l'intensitĂ sonora piuttosto modesta, lo strumento si prestava alle occasioni musicali piĂš svariate, adattandosi alle raffinate esecuzioni che si tenevano presso le corti nobiliari come alle giocose rappresentazioni da strada. La musica per liuto era scritta con un particolare sistema detto intavolatura: ogni nota indica anche la posizione delle dita sul manico dello strumento, metodo utilizzato anche oggi per imparare a suonare la chitarra.

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Il repertorio della musica per liuto a noi pervenuta si estende dal 1507 (anno nel quale comparvero, a Venezia, le prime intavolature dell'editore Petrucci) sino al 1770 circa. Il liuto occupò un posto di considerevole rilievo nella vita musicale, specie nel XVI secolo, quando ebbe la stessa diffusione e la stessa versatilità d'impiego raggiunte nell'Ottocento dal pianoforte. Le fonti cinquecentesche comprendono sia composizioni originali per lo strumento (danze, quali pavane, gagliarde, passamezzi, saltarelli; ricercari, fantasie, variazioni; preludi di carattere improvvisatorio), sia molte trascrizioni di brani vocali, profani e sacri.

[Michelangelo Merisi, il Caravaggio: Il suonatore di liuto (1596-1597), Metropolitan Museum, New York]

I più eminenti compositori di musica per liuto furono in Italia: Giovanni Ambrogio Dalza, Francesco Spinaccino, Francesco da Milano, Pietro Paolo Borrono, Giacomo Gorzanis, Vincenzo Galilei, Marco Fabrizio Caroso, Giovanni Antonio Terzi; in Spagna: Luis Milán, Luis de Narváez, Enríquez de Valderrábano, Miguel de Fuenllana; in Francia: Pierre Attaingnant, Adrien Le Roy, Guillaume Morlaye, Alberto da Ripa, Antoine Francisque, Jean-Baptiste Bésard, Robert Ballard; in Germania: Arnolt Schlick, Hans Judenkünig, Hans e Melchior Neusidler, Matthaüs Waisselius; in Inghilterra, dove la composizione per canto e liuto fu particolarmente sviluppata: John e Robert Dowland, Thomas Morley, Thomas Campion, Daniel Batchelor. In Germania il liuto ebbe cultori anche nel XVIII secolo: Sylvius Leopold Weiss, Johann Sebastian Bach (che scrisse quattro suites, due preludi e due fughe per liuto), Franz Joseph Haydn (autore di alcune Cassazioni). L’Arciliuto Nel XVII secolo il numero delle corde basse aumentò; il liuto giunse così ad avere sino a undici corde. Si ebbero allora vere e proprie famiglie di liuti, variamente accordati; a causa dell'aumentato numero delle corde basse il manico dello strumento fu allungato e vi si aggiunse un secondo cavigliere superiore, cui erano fissate le corde gravi, suonate a vuoto.

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[Leonardo Da Vinci: Angelo in rosso con liuto. 1490 - Londra,National Gallery]

[Rosso Fiorentino: Putto con liuto. 1521 - Uffizi, Firenze]

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Nacque così l’arciliuto, di dimensioni più grandi e con un numero di corde maggiore: più in generale, per arciliuto si intesero gli strumenti con modifiche svolte sul liuto tradizionale allo scopo di aumentarne l'estensione, grazie all'aggiunta di corde fuori dal manico: appartengono alla categoria degli arciliuti il liuto attiorbato e la tiorba.

[A iliuto, dall’o igi ale di Magno Dieffopruchar, 1607 - Muzeum Ceske Hudby, Praga]

L’utilizzo

dell’arciliuto

era

generalmente

limitato,

nelle

esecuzioni

cameristiche,

all'accompagnamento nei complessi strumentali e del canto solista, anche se non mancano nella letteratura musicale, dei brani solisti.

Liuto attiorbato

Il liuto attiorbato era un liuto tradizionale con un cavigliere progettato con un capotasto prolungato all'esterno per ospitare le corde anche fuori dal manico, corde che necessitavano una accordatura su misura per ogni brano.

[Liuto attiorbato, liutaio Stephen Gottlieb]

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Tiorba La tiorba è lo strumento piĂš grande della famiglia dei liuti, le sue origini risalgono alla fine del secolo XVI e la sua invenzione si attribuisce al fiorentino Antonio Bardi. E’ caratterizzata da due caviglieri sovrapposti. Possiede un doppio sistema di corde: uno, collocato sulla normale tastiera del liuto, presenta 14 corde che passano sopra un (o tre) foro di risonanza e vengono suonate come d'uso; l'altro, situato nel prolungamento del manico, con 10 corde che non passano sopra il foro di risonanza e suonano a vuoto producendo suoni gravi. Veniva generalmente suonata con il pollice, l'indice ed il medio della mano destra.

[Tio a, dall’o igi ale di Vendelio Venere, 1611. Sammlung alter Musikinstrumente, Vienna]

La cassa era quella d'un grande liuto ma la disposizione dei piroli era differente. Il cavigliere era ritto invece che ripiegato indietro, sopra di esso il manico continuava per considerevole lunghezza e recava in cima un altro cavigliere per i bordoni. La tiorba non aveva una sonoritĂ molto intensa, ma sosteneva molto bene, con la pienezza del suo timbro, la voce umana e per questo era adoperata nelle primitive orchestre per eseguire la parte del basso continuo. Lo strumento veniva utilizzato come solista e, soprattutto, come basso continuo nell'accompagnamento sia di un gruppo

strumentale sia di

uno

strumento solista. Esistono

due

tipi

di

questo

strumento, la tiorba romana detta chitarrone (alta 1,80 metri, con sei ordini di corde sulla tastiera), e quella padovana (alta oltre 2 metri, con otto ordini di corde sulla tastiera), che differiscono per dimensioni e numero delle corde.

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[Antiveduto Gramatica: Il suonatore di tiorba. 1605 circa – Galleria sabauda, Torino]

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Melomania: le pagine della Musica lirica

Georges Bizet Carmen 68


GENESI DELL’OPERA Nel 1872, Camille Du Locke e Adolphe de Leuven, direttori dell’Opéra-Comique, contattarono Georges Bizet, proponendogli di comporre un’opera in collaborazione con i due librettisti Henry Halèvy, cugino della moglie di Bizet, e Ludovic Meilhac. Vennero offerti al compositore tre differenti scenari da cui far partire la sua opera; Bizet, però, rifiutò, impuntandosi su una sua idea: lavorare ad un’opera che si basasse sulla Carmen di Prosper Mérimée [nel riquadro]. I direttori del teatro desideravano un’opera leggera, allegra e con un lieto fine, cosa a cui il pubblico, composto prevalentemente da famiglie, era abituato. Sul palcoscenico dell’Opéra-Comique non si era mai assistito alla morte di un personaggio, tantomeno a quella dell’eroina dell’opera, e nemmeno alla trattazione di temi come il contrabbando o l’omicidio. Un pubblico borghese sarebbe rimasto decisamente scioccato davanti alla morte della protagonista e anche dinanzi alla rappresentazione estremamente realistica di personaggi del popolo mossi dalle loro passioni. I due librettisti cercarono di alleggerire i toni della novella di Mérimée, ma il contenuto del libretto risultò comunque troppo crudo rispetto ai canoni dell’Opéra-Comique. A complicare la situazione anche l'ambiguo atteggiamento del direttore dell'Opéra-Comique, Camille Du Locle, difensore sì della nuova musica e di quella di Bizet, ma poco convinto del libretto e terrorizzato da un insuccesso, che - sommatosi a quelli precedenti della sua gestione - avrebbe portato, come difatti avvenne, alle sue dimissioni. Le idee di Bizet riguardo alla messa in scena lo portarono a scontrarsi anche con gli interpreti stessi. Zulma Bouffar e Marie Roze rifiutarono la parte di Carmen, la prima per il rifiuto di “essere accoltellata” sulla scena, la seconda perché convinta che Carmen fosse un personaggio troppo scabroso per lei. Fu Célestine Galli-Marié [nella foto], l'unica forse pienamente convinta e in totale consonanza con le intenzioni del compositore, ad accettare la parte e sostenere il progetto. Bizet riscontrò problemi anche con il coro, che minacciò uno sciopero. Era usanza porre il coro di fronte al direttore di orchestra, ma Bizet chiese qualcosa mai fatto prima e considerato impossibile: cantare e muoversi

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contemporaneamente, soprattutto nei due cori del primo atto, all’entrata delle sigaraie e allo scoppio della rissa dopo l’arresto di Carmen. Persino gli orchestrali ebbero modo di lamentarsi, sostenendo che le partiture fosse ineseguibili. Ci vollero cinque mesi di prove straordinarie perché anche la parte musicale venisse eseguita a dovere. Bizet [a destra un suo ritratto, autore sconosciuto] fece modifiche, ma non cedette mai alle pressioni che lo spingevano a modificare il finale dell’opera. Fece anche in modo che la caratterizzazione

dei

personaggi

non

snaturasse la novella di Mérimée, arrivando a lavorare anche sul libretto, dove necessario. La composizione della Carmen iniziò nel 1873 e venne concepita nello stile dell’Opéra-Comique, vale a dire con dialoghi recitati senza musica e alternati alle parti cantate. Il 3 marzo 1875 fu rappresentata per la prima volta proprio nel Teatro dell’Opéra-Comique, ma l’opera fu accolta freddamente, a causa delle tematiche forti affrontate con realismo. Il pubblico rimase scandalizzato e giudicò Carmen un’opera dissoluta e immorale. Bizet, convinto del valore della sua opera, si ritirò nella sua casa a Bougival e si prodigò nell’elaborazione di una nuova versione, ma quando la sera del 23 ottobre 1875 il pubblico viennese decretò il trionfo della Carmen, lavando l'onta dell'insuccesso che era toccato all'opera alla prima parigina, il destino del suo autore si era purtroppo già compiuto. Georges Bizet infatti non poté assistere alla resurrezione del suo capolavoro: era morto il 3 giugno, mentre le repliche erano ancora in corso, vittima di un infarto. Alcuni hanno parlato di un suicidio dovuto a varie cause, non ultima l'insuccesso della prima della Carmen. Le figure dei protagonisti Quella narrata in Carmen è la storia moderna e sfrontata di una bella zingara che non si fa scrupolo di utilizzare le proprie grazie per ottenere ciò che vuole, né di godere felicemente di varie passioni per vivere in nome di ciò che ama di più: la libertà. [Beth Clayton nel ruolo di Carmen. New York City Opera. 2008]

Diversamente da come ai più appare, Carmen non è una libertina gaudente, bensì una donna forte e coraggiosa, pronta a consegnarsi alla morte per

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non tradire il proprio spirito libero; e in questa sua fervente dedizione alla libertà dimostra una profonda coerenza e anche una sua “moralità”. Nella novella di Mérimée Carmen accetta di morire solo per rivendicare la propria libertà, e la scena conclusiva si svolge, non nella plaza de toros come sarà nel libretto, ma in una gola solitaria, dove Don José scongiura Carmen di cambiare vita e di seguirlo. La gitana, tuttavia, può accettare la morte, ma non altri vincoli: è nata libera e libera morrà. A questa rappresentazione appassionata ed insolita fa da contraltare una figura di donna casta e delicata, Micaëla, personaggio introdotto ex novo rispetto alla novella di Mérimée, con la voce “buona” di soprano, che fa da contraltare alla voce da mezzosoprano, bruna e seducente, di Carmen. Poi ci sono gli uomini, che in quest’opera rivoluzionaria, anche in termini sociologici, appaiono in balìa delle donne. Pavidi, gelosi e tradizionalisti. Don José [a dx, Enrico Caruso in questo ruolo] è presentato nella novella come un militare di animo semplice, travolto dalla passione per una donna fatale e libera da ogni vincolo che lo spinge a trasformarsi in brigante e assassino: nel libretto, la sua figura punta piuttosto sulla sua debolezza sentimentale. La sua voce tenorile è ricca di pathos e sentimentalismo, ma non riuscirà mai a coinvolgere Carmen, donna indifferente alle lusinghe. Nella novella il torero Lucas (che nell’opera diventa Escamillo), è solo un capriccio passeggero di Carmen, senza alcuna influenza. Nell’opera, Escamillo ha un maggior rilievo: la sua tipologia è quella dell’uomo pieno di sé, del toreador sempre certo della vittoria, e perciò ha la voce di un baritono dall’intonazione particolarmente virile. Eppure quando si innamora di Carmen anch’egli traballa, rivelando un atteggiamento ambiguo e superficiale, alla fine non dissimile nei sentimenti dal pavido Don José. [Mijaíl Bocharov (1872-1936) nel ruolo di Escamillo]

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GUIDA ALL’ASCOLTO  PRELUDIO Pochi brani vantano maggior fama di questo Preludio e poche opere possono fregiarsi di un inizio così coinvolgente. Un trionfo per orchestra caratterizzato da due temi che tornano spesso nel corso dell’opera e che immergono immediatamente in un’avvolgente atmosfera mediterranea: il primo ritmato e festante con un uso quasi bandistico delle percussioni; il secondo cantabile e corale, ma ben scandito sulla suggestione di una grande marcia. Il ritorno del primo tema sembra segnare la fine del Preludio, ma improvvisamente compare un nuovo tema drammatico e misterioso, scandito da colpi di timpano funebri, presagio della tragedia che fatalmente incombe sulla vicenda.  ATTO I E’ su una scena piena di sole che s’alza il sipario. Siamo a Siviglia. Una quindicina di soldati (dragoni del reggimento di Alcalà), insieme al loro brigadiere Morales, sono raggruppati innanzi al corpo di guardia, fumando appoggiati coi gomiti sulla balaustra della galleria. I fiati e gli archi suonano note leggere e frizzanti. Tra il viavai di gente, ad un certo punto spunta una ragazza, Micaëla, gonna azzurra e trecce sulle spalle, che, esitante, imbarazzata, guarda i soldati, avanza, si ritrae, infine si avvicina per chiedere di poter parlare col brigadiere Don José. I soldati le dicono che arriverà dopo, al cambio della guardia. Morales cerca di approfittare dell’attesa per far colpo sulla fanciulla ma questa, per nulla intimorita, riesce a liberarsi dalle attenzioni schernendo finemente i soldati facendo il verso alla loro canzone. In lontananza si sente un suono di tromba. Un ufficiale esce dal posto di guardia, i soldati si allineano davanti al corpo di guardia. I passanti si radunano per assistere alla parete. Al momento del cambio della guardia, arrivano i soldati, accompagnati da un gruppetto di bambini che intonano un travolgente ritornello militare e si divertono ad imitare la loro marcia. In una magnifica scena ispirata al mondo dell’infanzia, l’orchestra accompagna la marcia con piatti, triangoli, pizzicato di archi, ottavini.

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♫♫ Marche et choeur des gamins (Marcia e coro dei monelli) Avec la garde montante, nous arrivons, nous voilà. Sonne, trompette éclatante! Taratata, taratata! Nous marchons la tête haute comme de petits soldats, marquant sans faire de faute, une, deux, marquant le pas. Les épaules en arrière et la poitrine en dehors, les bras de cette manière tombant tout le long du corps. Avec la garde montante, etc. [Con la guardia che monta, arriviamo, eccoci qua! Suona, tromba squillante! Taratata, taratata! Noi camminiamo a testa alta come piccoli soldati, marciando senza fare errori, uno, due, marcando il passo. Le spalle indietro e il petto in fuori, le braccia così, lungo il corpo. Con la guardia che monta, ecc.] Don José viene informato della visita della giovane amica, e lui spiega che si tratta di Micaëla, una giovane ragazza adottata da sua madre. Con il suono della campana arriva il momento tanto atteso dai giovani sivigliani: l’arrivo delle sigaraie, che stanno uscendo proprio in quel momento dalla vicina fabbrica di tabacchi.

[Nancy Fabiola Herrera (Carmen) Royal Opera House, 2014]

[Questa scena è di una sorprendente modernità: è il mondo operaio e proletario che si propone, con la visione di una fabbrica di tabacchi, con le povere operaie oltretutto costrette ad essere importunate dai soldati ogni volta che viene loro permesso di uscire a prendere una boccata d’aria. La tematica del lavoro femminile in una fabbrica a confronto con la vita quotidiana di giovanotti perditempo e soldati occupati a guardare passare la gente suonò davvero inedita, in un’epoca in cui il romanticismo la faceva ancora da padrone con i suoi soggetti eroici o mitici, spesso impregnati di sentimentalismo. Scopriamo però subito che tra quelle operaie vi sono anche scaltre

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contrabbandiere, capaci di corrompere i militari con uno schiocco di dita, e di trovare sulle montagne dell’Andalusia la loro autentica dimensione di selvagge creature della notte.] La più bella è Carmen, una zingara molto corteggiata, al centro dell’attenzione generale, i giovani si accalcano attorno a lei ansiosi di ricevere, se non un gesto, almeno una promessa d’amore. Ma la bella Carmen sintetizza immediatamente la sua filosofia sull’amore: ella rivendica alla donna innamorata il diritto di essere capricciosa ed imprevedibile, come un uccello selvatico o un ragazzo gitano. Su queste parole si dispiega la danza dell’Habanera (affine al tango), in un magnetico rito di seduzione. ♫♫ L’a ou est u oiseau e elle Carmen. L’a ou est u oiseau e elle ue ul e peut app ivoise , et ’est ie e vai u’o l’appelle, s’il lui o vie t de efuse . Rie ’ fait, e a e ou p i e, l’u pa le ie , l’aut e se tait; et ’est l’aut e ue je p f e: il ’a ie dit, ais il e plaît. L’a ou ! et . [L’a o e u u ello i elle he essu o pot à ai addo esti a e, ed davve o i utile hia a lo, se lui preferisce sottrarsi. Niente lo smuove, minaccia o preghiera, u o pa la e e, l’alt o ta e; ed l’alt o he io p efe is o: o ha detto ie te, a i pia e. L’a o e! e . Chœu . L’a ou est u oiseau e elle, et . Carmen. L’a ou est e fa t de oh je t’ai e, p e ds ga de à toi! et . [L’a o e u pi olo zi ga o, o ha ti amo, stai attento a te! ecc.]

e, il ’a ja ais o

u de loi: “i tu e

ai o os iuto legge al u a: “e tu o

Chœu . P e ds ga de à toi! et . L’a ou est e fa t de oh

’ai es pas, je t’ai e; si i a i, io ti a o; se io

e, et .

Carmen. L’oiseau ue tu o ais su p e d e attit de l’aile et s’e vola – l’a ou est loi , tu peu l’atte d e; tu e l’atte ds plus, il est là! Tout autou de toi vite, vite, il vie t, s’e va, puis il evie t – tu ois le te i , il t’ vite, tu ois l’ vite , il te tie t. L’a ou ! et . [L’u ello he tu edevi di attu a e o u olpo d’ali volato via – l’a o e lo ta o, tu puoi aspetta lo; o l’aspetti più, e olo là! Tutto i to o a te, velo e velo e, vie e, se e va, poi to a – tu credi di tenerlo, lui ti evita, tu edi di evita lo, lui ti tie e. L’a o e! e .] Chœu . Tout autour de toi, etc. Carmen. L’a ou est e fa t de oh e, il ’a ja ais o u de loi, “i tu e je t’ai e, p e ds ga de à toi! “i tu e ’ai es pas, je t’ai e, etc. [L’a o e u pi olo zi ga o, o ha ai o os iuto legge al u a: “e tu o ti amo, stai attento a te! Se tu non mi ami, io ti amo, ecc.] Chœu . P e ds ga de à toi! et . L’a ou est e fa t de oh

’ai es pas, je t’ai e;si i a i, io ti a o; se io

e, et .

Tutti i giovanotti di Siviglia appaiono irretiti dalla sigaraia, solo don José non le presta la benché minima attenzione, ma proprio la sua indifferenza attira Carmen che in un gesto di sfida gli lancia il fiore che porta sul corsetto prima di tornare nella manifattura: questo indica che lei lo ha scelto.

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La voce appassionata degli archi lascia intendere che Carmen ha fatto centro: Don José, rimasto solo, confessa a se stesso di sentirsi colpito dal fiore come da un proiettile, mentre dall’orchestra echeggia ancora il tema ammaliante dell’Habanera. Da quell’uomo semplice che dimostrerà di essere, è combattuto tra l’ammirazione per la sfrontatezza della ragazza e un oscuro timore per esserne stato stregato. Raccoglie comunque il fiore e lo infila sotto la giacca. In quel momento arriva Micaëla; Don José le chiede notizie della Navarra, il suo paese, e di sua madre («Parle-moi de ma mère!»); Micaëla gli consegna una lettera e, prima di separarsi da lui, gli dà un bacio da parte della madre. Nella lettera, la madre di José esprime il desiderio che un giorno lui possa sposarsi proprio con Micaëla. Questo lungo duetto fra i due è caratterizzato da una melodia tenera e pura, ricca di nostalgia e di lirismo. [Arena di Verona, 2010]

Ma improvvisamente succede un gran trambusto nella fabbrica delle sigaraie, e il tenente Zuniga manda Don José a vedere cosa sia successo. Com’è nel suo carattere, Carmen ha lanciato una battuta velenosa contro una collega, è venuta alle mani con lei e le ha sfregiato il volto con un coltello.

[Viktoria Vizin nel ruolo di Carmen]

E’ scoppiata una rissa generale, ben sottolineata da una convulsa orchestrazione, con gli ottoni sincopati, i violini e i violoncelli irruenti, mentre i legni esplodono in scale discendenti come fossero fulmini.

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Il tenente Zuniga ordina a Don José di entrare nella manifattura per arrestare Carmen. Portata davanti al tenente, invece di sottoporsi al suo interrogatorio, Carmen si mette a canticchiare con fare provocante. Zuniga ordina a Don José di portarla in prigione. La piazza viene sgomberata e i due rimangono soli. Carmen rivela a Don José di essere una strega e di averlo ammaliato facendogli mettere sul cuore un fiore incantato. Sempre più inerme, Don José ascolta la donna che, con passione, guardandolo negli occhi, gli promette il suo amore in cambio della libertà. L’uomo si sente sempre più inebetito da questa promessa ed è la stessa musica a richiamare un andamento barcollante. Carmen con un canto sensuale e colorito gli prospetta visioni di piacere da condividere con lui e conquista definitivamente il suo potere su questo uomo ormai senza più difese. Lui all’inizio non vuole, ma lei gli dice che lo farà… perché la ama! E gli promette che poi lo aspetterà all’osteria di Lillas Pastia, presso le mura di Siviglia, e che lo amerà. ♫♫ Près des remparts de Séville (Seguidilla di Carmen) Carmen. P s des e pa ts de “ ville, hez o a i Lillas Pastia, j’i ai da se la s guedille, et oi e du a za illa. J’i ai hez o a i Lillas Pastia! Oui, ais toute seule o s’e uie, et les v ais plaisi s so t à deux. [Vicino alle mura di Siviglia dal mio amico Lillas Pastia, andrò a ballare la Seguidilla, e a bere del manzanilla. Andrò dal mio amico Lillas Pastia! Sì, ma da soli ci si annoia, i veri piaceri si gustano in due.] Do , pou e te i o pag ie, j’e e ai o a ou eu ! Mo a ou eu …il est au dia le : je l’ai is à la po te hie . Mo pauv e œu t s o sola le, œu est li e o e l’ai .

o

[Allora, pe te e i o pag ia, po te ò il io i a o ato. Il io i a o ato… a dato al diavolo: l’ho esso alla po ta ie i. Il io pove o uo e he si o sola p esto, il io uo e li e o o e l’a ia.] J’ai des gala ts à la douzai e, ais ils e so t pas à o gré. Voici la fin de la semaine, qui veut ’ai e ? je l’ai e ai. Qui veut o â e? Elle est à p e d e! Vous a ivez au o o e t! Je ’ai gu e le te ps d’atte d e, a ave o ouvel a a t… [Ho dozzine di spasimanti, ma non mi vanno a genio. Ecco la fine della settimana, chi vuole amarmi? Io l’a e ò. Chi vuole la ia a i a? P e detela! A ivate al o e to giusto! No ho i a te po di aspetta e, pe h o il io uovo a a te…] Don José si convince a farla scappare, purché lei mantenga la promessa. Rientrano in scena il tenente Zuniga, le donne e i passanti. Mentre si avviano alla prigione, Carmen dà una spinta a Don José che si lascia cadere a terra. Nella confusione generale che segue,

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Carmen fugge, lancia una corda dal ponte e si mette in salvo, mentre, con grandi scoppi di risa, le sigaraie circondano Zuniga.  ATTO II Con un motivo da caserma, sospeso ed enigmatico, inizia il 2° atto: fagotti, tamburino militare, pizzicato sommesso degli archi sono gli elementi coloristici dal sapore antico. Sono trascorsi due mesi, Carmen si trova all’osteria di Lillas Pastia insieme a Mercedes e Frasquita, due sue amiche. Ci sono anche degli ufficiali. Si apre il tema di apertura di ispirazione ispanico-gitana. Mentre gli altri zingari danzano, suonano e fanno schioccare le nacchere, un vero e proprio vortice di musica e colori, Carmen canta una chanson bohème (Les tringles des sistres tintaient) dal ritmo sempre più travolgente. Il finale strumentale è uno sfrenato inno alla sensualità. ♫♫ Les tringles des sistres tintaient Carmen. Les tringles des sistres tintaient avec un éclat métallique, et sur cette étrange musique les zingarellas se levaient. Tambours de basque allaient leur train, et les guitares forcenées grinçaient sous des mains obstinées, e ha so , e ef ai . T alalalala… [Le lamine dei sistri tintinnavano con un fragore metallico, e su questa strana musicale zingarelle si alzavano. Tamburi di baschi andavano alla loro maniera, e le chitarre forsennate cigolavano sotto mani ostinate, stessa a zo e, stesso ito ello. T alalalala…] Les a eau de uiv e et d’a ge t eluisaie t su les peau ist es; d’o a ge et de ouge z es les étoffes flottaient au vent. La da se au ha t se a iait, d’a o d i d ise et ti ide, plus vive ensuite et plus rapide, cela montait, o tait, o tait! T alalalala… [Gli anelli di rame e argento rilucevano sulle pelli brune; striate di arancio e di rosso le vesti fluttuavano al vento. La danza si univa al canto, prima timida e indecisa, poi più vivace e rapida, tutto cresceva, cresceva, es eva! T alalalala…] Les bohémiens à tour de bras de leurs instruments faisaient rage, et cet éblouissant tapage, ensorcelait les zingaras! Sous le rythme de la chanson, ardentes, folles, enfiévrées, elles se laissaient, enivrées, emporter par le tou illo ! T alalalala… [Gli zingari con la forza delle braccia si sfogavano sui loro strumenti, e questo baccano abbagliante stregava le zingare! Al ritmo della canzone, ardenti, folli, infervorate, si lasciavano, inebriate, trascinare dal vortice! T alalalala…]

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[Teatro alla Scala di Milano, 2015]

Tra gli avventori della taverna c’è anche il tenente Zuniga, che corteggia Carmen, ma lei non gli presta attenzione, ed il militare pensa che possa essere ancora arrabbiata con lui per averla fatta arrestare. Zuniga la informa che Don José è stato arrestato e che ha pagato con un mese di prigione l’aiuto datole per fuggire; e proprio quel giorno stesso ha finito di scontare la sua pena. D’un tratto si sente un coro di voci che si avvicina: sono gli ammiratori del torero Escamillo, trionfante alla corrida di Granata, che lo accompagnano con canti e grida di giubilo sino alla taverna di Lillas Pastia.

[Trieste, Teatro Verdi. 2013]

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Escamillo viene invitato a brindare insieme ai soldati; lui accetta ed entra nella taverna. Sulle note di un’enfatica introduzione, Escamillo con tono trionfante e compiaciuto racconta le proprie imprese nell’arena e le sue conquiste amorose. E’ la famosissima Chanson du Toréador! ♫♫ Chanson de Escamillo (Toréador) Escamillo. To ado , e ga de! Et so ge ie , oui, so ge e ue l’a ou t’atte d! To ado , l’a ou t’atte d!

o

atta t, u’u œil oi te ega de et

[Torero, in guardia! E tieni a mente, sì, tieni a mente, mentre combatti, che un occhio nero ti guarda e he ti aspetta l’a o e! To eado , l’a o e ti aspetta!] Tous. Toréador, en garde! etc. [Tutti. Torero, in guardia! ecc] Escamillo. Tout d’u oup, o fait sile e, o fait sile e, ah! ue se passe-t-il? Plus de is, ’est l’i sta t! Le tau eau s’ la e e o dissa t ho s du to il! Il s’ la e! Il e t e, il f appe! U heval oule, entraînant un picador! [Tutto d’u t atto, ala il sile zio, ala il sile zio, ah! Che su ede? Basta g ida e, l’o a! Il to o si sla ia balzando fuori dal suo recinto! Si butta in avanti! Entra, colpisce! Un cavallo corre, portando un picador!] « Ah! bravo Toro! » hurle la foule; le taureau va, il vient, il vient et frappe encore! En secouant ses banderilles, plein de fureur, il court! Le cirque est plein de sang! On se sauve, on franchit les grilles. C’est to tou ai te a t! Allo s! e ga de! ah! Toréador, en garde ! etc. [ Ah! B avo, to o! , u la la folla; il to o va e ito a, vie e e olpis e a o a! Corre, scuotendo le sue a de illas pie o di fu o e! L’a e a pie a di sa gue! È un fuggi fuggi, si superano le inferriate. Tocca a te, ora! Avanti! In guardia! Ah! Torero, in guardia!, ecc.] Tous. Toréador, en garde! etc. Tutti bevono, congratulandosi con il torero. Carmen non sfugge agli occhi di Escamillo, la corteggia, ma lei risponde con fermezza che per il momento non lo può amare; Escamillo se ne va rassegnato, dicendo che la aspetterà. Subito dopo arrivano i contrabbandieri, il Dancairo e il Remendado, che propongono alle donne di aiutarli in uno dei loro affari. Carmen risponde che non può seguirli, perché è innamorata di Don José, e infatti in quel momento stesso si sente la voce di Don José che si avvicina alla taverna; canta la melodia comparsa per la prima volta nell’interludio, che ora si rileva essere una chanson dei dragoni di Alcalà. Don José entra, e finalmente può abbracciare Carmen dopo tanti giorni di prigionia. I due innamorati sono felici, anche se Don Josè mostra un’ottusa gelosia. Carmen, con una melodia eterea, senza parole, con il semplice accompagnamento delle nacchere danza e canta solo per lui. Ma dopo poche battute, si odono gli squilli di tromba che suonano il rientro in caserma per i dragoni. L’incantesimo si è spezzato, il dovere chiama, e quello che sarebbe potuto essere il momento dell’amore vero si dissolve. Per Don José è ora di andar via, e

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chiede a Carmen di fermarsi. Carmen non capisce e non accetta che lui la lasci per obbedire alla disciplina militare. Gli propone di disertare e diventare un contrabbandiere, per vivere con lei, libero e senza doveri. Don José rifiuta. E’ finita, Carmen lo disprezza e gli dice che non crede al suo amore. Ma Don José vuole farle capire quanto l’ama, e pretende di essere ascoltato. Tira fuori dalla sua giubba il fiore che Carmen gli aveva gettato il giorno del loro primo incontro; il fiore che gli ha tenuto compagnia durante i lunghi giorni passati in prigione, pensando sempre a lei, Carmen…! La fleur que tu m’avais jetée è un’aria in cui José esprime dolore, tormento, rimorso, devozione, amore appassionato e totale: è bastato uno sguardo perché il suo destino fosse per sempre legato a quello di Carmen, e perché lei si impadronisse di tutto il suo essere. ♫♫ Le fleu

ue tu

’avias jetée

José. La fleu ue tu ’avais jet e, da s a p iso ’ tait est e. Fl t ie et s he, ette fleu ga dait toujours sa douce odeur; et pendant des heures entières, sur mes yeux, fermant mes paupières, de cette odeur je ’e iv ais et da s la uit je te vo ais! [Il fiore che tu mi avevi gettato è rimasto con me in prigione. Appassito e secco, questo fiore ha conservato sempre il suo dolce profumo; e per ore intere, chiudendo le palpebre, mi inebriavo di questo profumo e durante la notte ti vedevo!] Je me prenais à te maudire, à te détester, à me dire: pourquoi faut-il ue le desti l’ait chemin ? [Mi ettevo a strada? ]

aledi ti, a odia ti, a di e a

e stesso: Pe h il desti o l’ha voluta

Puis je ’a usais de lasph e, et je e se tais e oidésir, un seul espoir: te revoir, ô Carmen, oui, te revoir!

ise là su ette e sulla

o ia

e, je e se tais u’u seul d si , u seul

[Poi mi accusavo di blasfemia, e non sentivo altro in me stesso, che un solo desidero, un solo desiderio, una sola speranza: rivederti, Carmen, sì, rivederti!] Ca tu ’avais eu u’à pa aît e, u’à jete u ega d su Ca e ! et j’ tais u e hose à toi! Ca e , je t’ai e!

oi, pou t’e pa e de tout

o

t e, ô

a

[Perché ti è bastato apparire, il tempo di gettare uno sguardo su di me, per impossessarti di tutto il mio essere, o mia Carmen! E sono stato tuo! Carmen, ti amo!] Carmen insiste, ma lui risponde che disertare sarebbe un’infamia troppo grande. I due parlano lingue diverse, appartengono a mondi diversi, e non c’è amore tra loro. Carmen ora lo sa e, quando Don José conclude la sua appassionata dichiarazione d’amore, lei risoluta la nega. No, non basta mantenere un fiore sul cuore per dirsi innamorati, bisogna osare di vivere l’amore in piena libertà!

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[Elina Garanca interpreta Carmen alla Royal Opera House. 2009]

Dal punto di vista musicale è splendida l’efficacia del brano scritto da Bizet: inizia in pianissimo, come proveniente da un’altra dimensione, e accelera progressivamente in un inno alla libertà a cui Don José non sa opporre che una sterile e pavida difesa. I due si dicono addio per sempre, e l’orchestra accompagna in modo appassionato questo distacco. Qualcuno all’improvviso picchia dei colpi alla porta, voci e musica tacciono e tutto si sospende, anche Don José che stava andando via si ferma. E’ Zuniga, tornato per conquistare Carmen. Ne nasce una contesa per gelosia nei confronti della bella zingara, si risveglia la folle gelosia di Don José che impugna la spada contro il suo superiore. Chiamati in soccorso da Carmen, contrabbandieri e zingari evitano lo scontro e immobilizzano Zuniga, che minaccia Don José e che quindi è obbligato ad accettare di unirsi a Carmen e ai contrabbandieri. Carmen lo consola confidando nel potere rigenerante della vita tra le montagne e, soprattutto, di quel bene inebriante che è la libertà. Ed è proprio con l’inno corale alla libertà che l’atto trova la sua vera conclusione. Interludio atto III Ecco in musica, la vita errante e l’universo come luogo per vivere tanto sognati da Carmen. Un flauto ed un’arpa disegnano in cielo all’aria aperta, un notturno di grande suggestione ampliato dalle entrate successive di clarinetto, corno inglese, fagotto ed archi, he tingono il paesaggio di colori diversi.

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Atto terzo Dopo l’estasi dell’Interludio, giungono due severe note lunghe di corno, la prima in forte, la seconda come un’eco, in piano. E’ notte, siamo in montagna, il flauto richiama una melodia misteriosa su un ritmo severo di marcia, accompagnando la discesa dei contrabbandieri che sbucano dal buio e da dietro le rocce: devono spostarsi con cautela, stando attenti a non essere visti. Don José pensa che non molto lontano da lì c’è la casa di sua madre; è tormentato dalla nostalgia e dai sensi di colpa. Carmen gli dice che farebbe meglio ad andare da lei, perché non è tagliato per fare il contrabbandiere. Don José, però, non vuole lasciarla, è tormentato dalla gelosia. Mentre i contrabbandieri si accampano per riposarsi un pò, Frasquita e Mercedes, amiche di Carmen, mischiano le carte e le voltano per vedere cosa riserva loro il destino: ricchezze, fortuna, amore! E’ una scena di gran fascino, pervasa da un alone di mistero. Introdotta dalle viole, si tinge via via di elementi fantasiosi con lo sfarfallio di violini e fiati ed i gorgheggi eccitati di Frasquita e Mercedes. Anche Carmen ci prova, ma ogni volta che interroga le carte, esse le predicono sempre, in modo ossessivo ed impietoso, la stessa cosa: la morte per lei e per il suo compagno. Anche la musica adesso si incupisce: i colori strumentali si scuriscono, compaiono funerei ottoni e ritmi da marcia funebre. Da ora in poi l’opera assumerà un altro colore, cominciando a scivolare verso la tragedia finale. E’ ora di ripartire. C’è un solo ostacolo sulla via, tre doganieri, ma Carmen e le altre donne sanno come conquistarsene le simpatie, e ottenere così il via libera. (E’ una sorta di canto celebrativo delle arti seduttive delle donne, nonché un vero e proprio manifesto di come gli uomini in quest’opera siano sciocchi e vanitosi, mentre le donne ottengono ciò che vogliono con coraggio e scaltrezza.) Don José è geloso, ma i contrabbandieri lo lasciano nell’accampamento di sentinella perché non sia presente quando Carmen e le sue compagne terranno a bada i contrabbandieri. Intanto,

scortata

da

una

guida,

all’accampamento dei contrabbandieri è arrivata Micaëla. [Nicole Car, nel ruolo di Micaëla. Royal Opera, 2015]

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Il suo intento è parlare con Don José e convincerlo a tornare a casa, al capezzale della madre morente. Micaëla si ritrova sola, in un luogo inospitale e pericoloso; anche se cerca di farsi coraggio, ha in realtà molta paura; ma deve portare a termine la sua missione; invoca quindi la protezione del Signore. Je dis que rien ne m’épouvante è un’aria in cui Micaëla, con la sua voce dolcissima, brilla di luce e candore, in contrasto con l’ambiente cupo e tenebroso in cui si trova. Immerso in un’atmosfera notturno, che richiama il Preludio di quest’atto, il suo canto esprime paura, fragilità, innocenza, ma presto emerge anche la sua determinazione e forza d’animo, oltre che la fede in Dio. Anche se soltanto per il tempo di un’aria, Micaëla appare come un’autentica eroina positiva. ♫♫ Je dis ue ie

e

’épouva te

Micaëla. C’est des o t e a die s le efuge o di ai e. Il est i i, je le ve ai…et le devoi sa e sa s t e le je l’a o pli ai. [È il rifugio abituale dei o t a a die i. Lui compito assegnatomi da sua madre.]

ui, lo ved ò… e po te ò a te

ue

’i posa

i e se za t e a e il

Je dis, ue ie e ’ pouva te, je dis, h las! ue je po ds de oi; ais j’ai eau fai e la vailla te,au fo d du œu , je eu s d’eff oi! “eule e e lieu sauvage, toute seule j’ai peu , ais j’ai to t d’avoi peu ; vous e do e ez du ou age, vous me protégerez, Seigneur. [Dico che niente mi spaventa, dico, ahimè, che so badare a me stessa; ma per quanto faccia la coraggiosa, in fondo al cuore, muoio di paura! Sola in questo luogo selvaggio, tutta sola ho paura, ma ho torto ad aver paura; voi mi darete coraggio, voi mi proteggerete, Signore.] Je vais voir de près cette femme dont les artifices maudits ont fini par faire un infâme de celui que j’ai ais jadis: elle est da ge euse, elle est elle, ais je e veu pas avoi peu , je pa le ai haut deva t elle. Ah! Seigneur, vous me protégerez! [Sto per vedere da vicino questa donna i cui sortilegi maledetti hanno finito per rendere un infame colui che io un tempo amavo: è pericolosa, è bella, ma io non voglio aver paura, parlerò forte e chiaro davanti a lei. Ah! Signore, voi mi proteggerete!] Je dis, ue ie e ’ pouva te, je dis, h las! ue je po ds de oi; ais j’ai eau fai e la vailla te, au fo d du œu , je eu s d’eff oi! “eule e e lieu sauvage, toute seule j’ai peu , ais j’ai to t d’avoi peu ; vous e do e ez du ou age, vous me protégerez, Seigneur. Protégez-moi, Seigneur. [Dico che niente mi spaventa, dico, ahimè, che so badare a me stessa; ma per quanto faccia la coraggiosa, in fondo al cuore, muoio di paura! Sola in questo luogo selvaggio, tutta sola ho paura, ma ho torto ad aver paura; voi mi darete coraggio, voi mi proteggerete, Signore. Proteggetemi, o Signore!]

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Lo vede sull’alto di una rupe, ma proprio in quel momento lui spara un colpo di fucile. Micaela fugge spaventata. Sulla scena appare Escamillo, bersaglio del colpo da sparo. Il torero rivela a José la ragione della sua vita notturna: cerca una zingara di nome Carmen che stava con un disertore, ma pensa che adesso tra i due non ci sia più niente. Gli amori di Carmen non durano neppure sei mesi! Don José impugna il suo pugnale e lo sfida a duello. Vi è una rapida e vivacissima colluttazione tra i due, corpo a corpo. Escamillo scivola e cade sul prato. Mentre Don José sta per colpirlo, sopraggiungono Carmen ed i contrabbandieri che separano i due contendenti. Escamillo si alza, ringrazia Carmen di averlo salvato, e, dopo aver detto a Don José che il duello è solo rimandato, se ne va tranquillamente, e invita Carmen ad andare a vederlo alla corrida di Siviglia. Don José lo guarda carico di gelosia, e avverte Carmen di essere stanco di soffrire per lei. Intanto i contrabbandieri scoprono Micaëla, che esce dal suo nascondiglio e supplica Don José di tornare a casa da sua madre, perché sta morendo. ♫♫ Moi, je viens te chercher Micaëla. Moi, je viens te chercher. Là-bas est la chaumière, où sans cesse priant une mère, ta mère, pleure, hélas sur son enfant. Elle pleu e et t’appelle, elle pleu e et te te d les as; tu p e d as piti d’elle,Jos , ah! Jos , tu e suiv as! […] É oute- oi, je t’e p ie, ta e te tend les bras, cette chaîne qui te lie, José, tu la briseras! [Ve go a e a e te. Laggiù ’ la apa a, dove, p ega do se za sosta, u a ad e, tua ad e, pia ge, ahimè, su suo figlio. Piange e ti chiama, piange e ti tende le braccia; avrai pietà di lei, José, ah! José, tu mi seguirai! Una pa ola a o a, sa à l’ulti a. Ahimè! José, tua madre sta morendo, e tua madre non vorrebbe morire senza averti perdonato.] Non c’è gelosia che tenga di fronte ad una madre che muore. Anche Carmen lo incita a partire, la vita di contrabbandiere non fa per lui. Don José decide di seguire Micaëla, benché il pensiero di lasciare Carmen lo renda folle di gelosia. «Ma ci ritroveremo», annuncia minaccioso a Carmen. Intanto in lontananza si sente il canto di Escamillo, che ormai è sicuro di averla vinta sul rivale. Interludio atto IV Simile al primo tema del Preludio, questo terzo interludio (basato sul ritmo dell’aragonese, danza spagnola tradizionale simile al bolero) ci conduce nell’atmosfera colorata di una Siviglia in festa: i tipici strumenti a percussione, il pizzicato degli archi, la sinuosa melodia affidata all’oboe, il ritmo tipicamente spagnoleggiante, disegnano un quadro allegro e di festa. Atto IV Il quarto atto si apre sull’entrata dell’arena di Siviglia, dove sta per cominciare la corrida.

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Vari venditori ambulanti cercano di vendere la loro mercanzia alla gente che arriva per vedere lo spettacolo della corrida. Chi vende arance, chi acqua, chi ventagli… Gridano “A deux cuartos!”, cioè “A due quarti!” per attirare i passanti a comprare (Il ‘cuarto‘ è un’antica moneta spagnola). ♫♫ A deux cuartos! Chœu . À deu ua tos! À deu ua tos! Des ve tails pou s’ ve te ! Des o a ges pou g ig ote ! Le programme avec les détails! Du vi ! De l’eau! Des iga ettes! À deu ua tos! À deu ua tos! et . Vo ez! À deux cuartos! Señoras et caballeros! [A due quarti! A due quarti! Ventagli per sventolarsi! Arance per mangiucchiare! Il programma dettagliato! Vino! Acqua! Sigarette! A due quarti! A due quarti! ecc. Guardate! A due quarti! Signore e signori!] Tra l’eccitazione e l’euforia generale, la folla saluta l’apparizione dei picadori, dei banderilleros, e dei toreri. La lunga e festosa cerimonia si conclude con l’arrivo di Escamillo accompagnato da Carmen. Escamillo e Carmen arrivano insieme; prima che Escamillo entri nell’arena, Carmen gli giura che non ha mai amato nessuno quanto ama lui.

Tra la folla, però, si aggira Don José; Frasquita e Mercedes lo riconoscono; dicono a Carmen di stare attenta, e che magari sarebbe meglio per lei andarsene. Ma Carmen non si lascia intimorire, e rimane a sfidare il destino. La folla entra nell’arena per assistere allo spettacolo. Carmen e Don José rimasti soli sulla scena restano faccia a faccia (“C’est toi! C’est moi!”). Don José dice a Carmen di essere ancora innamorato di lei, e la supplica di seguirlo e di cominciare una nuova vita insieme, in un altro paese. Carmen gli dice che non lo ama più; Don José insiste, afferma che non è troppo tardi per ricominciare, la supplica, le dice che la adora.

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Carmen vuole invece restare unica padrona di se stessa, anche a costo della vita. ♫♫ Ca

e , je t’ai e

José. Ca e , je t’ai e, je t’ado e! Eh ie , s’il le faut, pou te plai e, je este ai a dit, tout e ue tu voudras – tout, tu ’e te ds ? Tout! [Carmen, io ti amo, ti adoro! Va bene, se occorre, per farti contenta, resterò un bandito, tutto ciò che vuoi – tutto, hai capito? Tutto!] Mais ne me quitte pas, ô ma Carmen, ah! souviens-toi, souviens-toi du passé! Nous nous aimions naguère! Ah! ne me quitte pas, Carmen, ah, ne me quitte pas! [Ma non mi lasciare, o mia Carmen, ah! ricordati, ricordati del passato! Ci amavamo, una volta! Ah! non mi lasciare, Carmen! Ah! non mi lasciare!] Carmen. Jamais Carmen ne cédera! Libre elle est née et libre elle mourra! [Carmen non cederà mai! Libera è nata, e libera morirà!] Dall’arena si sentono le fanfare e le grida festose della gente, ma all’improvviso l’orchestra si ferma intonando fortissimo il tema del destino. La tragedia incombe: Carmen si toglie l’anello che lui le aveva regalato, e glielo getta addosso, si avvia quindi verso l’arena e grida a José il suo amore per il torero. Don José, fuori di sé dalla rabbia e dal dolore, trafigge con un pugnale Carmen, che cade morta mentre la folla esce dall’arena. “Sono io che l’ho uccisa”, confessa José, mentre Escamillo appare sui gradini dell’arena e scorge Carmen stesa morta per terra.

[Elina Garanca e Roberto Alagna]

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DISCOGRAFIA La discografia della Carmen è ampissima, fra le più frequentate: si contano oltre una cinquantina di edizioni attualmente sul mercato.  Herbert von Karajan ha inciso più volte la Carmen: del 1955 è questa interpretazione con l’Orchestra della Scala di Milano. Oltre al Direttore austriaco, a suo agio nella tavolozza dei colori di quest’opera, con una splendida Orchestra del Teatro alla Scala di Milano, giganteggia Giuseppe di Stefano nel ruolo di Don José, voce sublime e fascino solare. Ottima l’interpretazione della Simionato.

Giulietta Simionato, Giuseppe di Stefano, Michel Roux, Rosanna Carteri. Orchestra Teatro alla Scala di Milano, dir: Herbert von Karajan. Myto 052.H101

 Il tempo ha tolto un po’ di smalto a questa registrazione, ma la celebre edizione RCA del 1963 diretta da Herbert Von Karajan rimane un trionfo di colori sgargianti e sensuali, con ampio risalto alle atmosfere iberiche. Carmen è interpretata dal soprano (anziché l’usuale mezzosoprano) verdiano Leontyne Price idolo incontrastato del Metropolitan di New York, che sfoggia una voce ricca e sensuale; Franco Corelli è bravo, ha una potenza vocale splendida, ma esibisce un francese imbarazzante; Merrill è

un torero perfetto; infine nel cast si aggiunge una sensazionale giovane Mirella Freni nel ruolo di Micaela. In quest’opera non troviamo le parti con i dialoghi. Leontyne Price, Franco Corelli, Mirella Freni, Robert Merrill. Wiener Philharmoniker, dir: Herbert von Karajan. RCA Red Seal 15872-5

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 Questa del 1983 fu l’ultima registrazione di Carmen di Herbert Von Karajan, in un suono digitale DDD chiaro, ma a volte freddo. Anche se questa incisione è inferiore a quella dello stesso Karajan del 1963 (EMI) descritta prima, le prestazioni complessive sono eccellenti. Agnes Baltsa è un’ottima Carmen, il suo tono è apertamente

seducente,

una

femminilità

quasi

sfacciata, uno spirito libero e un po’ selvaggio. José Carreras ha fatto proprio il personaggio di Don José e tutte le sue emozioni: si tratta probabilmente del ruolo che più si associa alla sua figura artistica. I ritmi e il fraseggio di Karajan mostrano la familiarità di molti anni con Carmen. Eccellenti come sempre i Berliner Philharmoniker. Agnes Baltsa, José Carreras, José van Dam, Katia Ricciarelli. Berliner Philharmoniker, dir: Herbert von Karajan Deutsche Grammophon B000001G4J

 I conduttori più esperti imparano la loro arte nella fossa del teatro, quindi è strano che alcuni

dei più grandi - come George Szell e Bruno Walter - non abbiano mai realizzato registrazioni commerciali di opere complete. Almeno Fritz Reiner ne fece una: la Carmen, nel 1953. Fritz Reiner rende questa registrazione memorabile: la sua musicalità è forte, incessante, ha un'immediatezza vivace ed irruenta. Risë Stevens brilla nel ruolo della protagonista, è considerata una delle migliori Carmen del suo tempo. La scienza finale della morte è una performance indimenticabile. Il suo amante Don José è cantato con eloquenza dai toni forti (e in un ottimo

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francese!) da Jan Peerce: il suo canto è forte, diretto e sempre sicuro. Il virile Escamillo di Robert Merrill dimostra un ritratto più fresco del remake del cantante, un decennio dopo, sotto von Karajan. Licia Albanese eleva Micaela dallo status di protagonista secondaria a un ruolo forte e di supporto. Il suono è bello e ricco come se fosse stato fatto di recente (è stata incisa 55 anni fa!), ci sono momenti in cui si pensa che Carmen stia per saltare fuori dagli altoparlanti della stanza d'ascolto. Dovremmo tutti rattristarci per il fatto che non ci sia alcun DVD di questo eccezionale spettacolo dei primi anni '50. Per gli spettatori di allora che l'hanno vista, Stevens sarà sempre la "loro" Carmen di riferimento. Risë Stevens, Jan Peerce, Robert Merrill, Licia Albanese. RCA Victor Orchestra, dir: Fritz Reiner.

Rca Red Seal B00J4C1BY

 L’edizione Emi, del 1963, diretta dal francese George Prêtre, è la Carmen della Callas che finalmente trova la sua dimensione, il suo personaggio, scavato e analizzato fino al midollo. Lei è la prima della discografia a seminare qualcosa di nuovo: una Carmen disillusa, oscura, scostante e terribilmente magnetica, ma anche vittima di se stessa e del suo destino. Solitudine e fragilità: due aspetti condivisi con Maria Callas donna. Un’interpretazione soggiogante, inestimabile. Gedda è abbastanza all'altezza, il resto del cast è senza infamia e senza lode.

Maria Callas, Nicolai Gedda, Andrea Guiot, Robert Massard. Choeurs René Duclos. Orchestre de Théâtre National de l'Opéra de Paris, dir: Georges Prêtre EMI Classic 1779-46910-2

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 Di rilievo è il contributo discografico di Claudio Abbado che fissa nella edizione DG del 1977 la sua celebre edizione con il mezzosoprano spagnolo Teresa Berganza e un grandissimo Placido Domingo nel ruolo di Don Josè. La Carmen della Berganza, dotata di una tecnica superlativa, è

quella

cantata

meglio

in

assoluto,

ma

come

caratterizzazione del personaggio non centra l’obiettivo: la sigaraia un po' di malaffare, un po' libertina, arrogante e sfacciatamente sensuale, condannata ad una vita randagia ma sempre ferma, libera per scelta ma sola per destino, ragazzina incosciente e donna consumata, niente di tutto questo emerge. La Berganza fa una Carmen sorridente e velatamente maliziosa, non molto sensuale: qui si perdono tutta la violenza e le contraddizioni del personaggio. Domingo ha una dizione francese perfetta, a differenza di quello pessimo di Corelli nell’edizione Karajan. La direzione di Abbado è sfavillante. In questa edizione sono presenti i dialoghi. Teresa Berganza, Placido Domingo, Sherrill Milnes, Ileana Cotrubas. The Ambrosian Singers. George Watson's College Boys' Chorus. London Symphony Orchestra, dir: Claudio Abbado. Deutsche Grammophon 0289 445 4622 4

 La Carmen di sir Georg Solti è caratterizzata da una direzione sgargiante, e Solti è uno dei pochi che tenta di unire ventagli e nacchere (cioè l’aspetto esotico iberico-gitano) al vero senso del dramma. La Troyanos è molto brava ed affascinante, la voce scurissima e ben emessa, esprime una sensualità generica. Domingo è coinvolgente e generoso come sempre, addirittura migliore dell’edizione con Abbado. Kiri Te Kanawa è nel pieno della sua finezza e bellezza vocale. Di buon livello l'Escamillo di van Dam.

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Tatiana Troyanos, Placido Domingo José van Dam, Kiri Te Kanawa. London Philharmonic Orchestra, dir: Sir Georg Solti Decca 414489-2

 La Carmen di Bernstein, caratterizzata dai toni accesi, è di gran lunga più vicina al realismo di West Side Story. Il suono di matrice inconfondibilmente popolare delle scene iniziali è intriso di sensualità, della giusta dose di rudezza e di una assoluta autenticità, molto vicino all’ideale delle danze tradizionali che venivano ballate un tempo nelle strade. Vestendo i panni dell’eroina di Bizet, Marilyn Horne delinea con i suoi straordinari mezzi vocali una Carmen dal carattere incredibilmente variegato, al punto che si fa spesso fatica a credere che la sua parte sia stata eseguita da una sola cantante. In un primo momento si sente la voce leggera di una giovane ragazza che si accinge ad andare incontro alla vita e alla fine il grido raggelante di un mezzosoprano che segna la morte di Carmen per mano del suo amante tradito. Al fianco della Horne si mette in evidenza James McCracken, un tenore dal timbro stentoreo e dalla accesa passionalità, due caratteristiche che contribuiscono a renderlo l’interprete ideale per il personaggio di Don José. McCracken è affiancato dal baritono drammatico Tom Krause, che veste i panni del torero Escamillo. Da rilevare che Bernstein anticipa l’inevitabile tragedia finale già nel doloroso clangore dei piatti che segna il sorprendente inizio lento. Questa non è per me e per molti critici la Carmen di Bizet, ma uno splendido musical: a Broadway siamo e a Broadway restiamo. Harry Pearson, fondatore ed ex caporedattore della rivista specializzata The Absolute Sound assegnò a questa straordinaria versione della Carmen una menzione speciale nella sua classifica dei dischi migliori di tutti i tempi. Non commento. Marilyn Horne, James McCracken, Tom Krause, Adriana Maliponte. The Metropolitan Opera Orchestra and Chorus, dir: Leonard Bernstein. Deutsche Grammophon 2709 043

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Questa registrazione del 1963 presenta Regina Resnik nel ruolo di una Carmen davvero interessante: ex-soprano, assolutamente sottovalutata, presenta una gamma vocale impressionante che colpisce l’ascoltatore; Joan Sutherland è un’espressiva Micaela, e Krause è un duro torero. Il coro merita una menzione, molto presente e spesso in primo piano. La direzione di Schippers è alquanto superba: viva e teatrale. Decca ha prodotto alcune incredibili registrazioni dell'orchestra Suisse Romande e questa è una di quelle. Il grande intoppo è il José di Mario Del Monaco. Il suo tono è troppo forte e troppo duro. Anche il suo francese è atroce. Regina Resnik, Mario Del Monaco, Joan Sutherland, Tom Krause. Chorus of the Grand Théâtre de Genève.Orchestre de la Suisse Romande, dir: Thomas Schippers. Decca-London 0289 443 8712 4

Questa Carmen è un “buco nero” nella discografia di Sinopoli. La protagonista è Jennifer Larmore, sensuale e volitiva: la sua Carmen è fondamentalmente cinica, dura e manipolativa, ciò che conta per lei è la libertà di agire come vuole. Degli altri cantanti, Thomas Moser non ha una voce particolarmente accattivante o distintiva, ma qui canta abbastanza bene, Ramey è un Escamillo muscolare, Gheorghiu è una Micaela positiva. La direzione non fa disastri, ma è lenta di una lentezza che non dice nulla. Il suono Teldec è chiaro e mai possente. Jennifer Larmore, Thomas Moser, Angela Gheorghiu, Samuel Ramey. Bayerische Staatsoper and Chorus, dir: Giuseppe Sinopoli Teldec 0630126722

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Tra le versioni in video consiglio queste interpretazioni:  Ci sono allestimenti che non hanno età: a distanza di tanti anni (la registrazione è stata effettuata nel 1967), tutto rimane estremamente di altissimo livello, e anche versioni più moderne vengono superate perfino nella qualità del suono. Siamo di fronte a uno dei maggiori allestimenti di Carmen, una di quelle registrazioni da avere assolutamente nella propria discoteca. La direzione d'orchestra di Herbert von Karajan è straordinaria: vigorosa, appassionante, capace di evocare tutta la sensualità vibrante di questa partitura. Voci eccezionali. Grace Bumbry ha le caratteristiche tipiche di Carmen, gitana, sensuale, aggressiva, rende l'idea di chi sia Carmen: una donna fatale, non necessariamente bellissima, ma capace di provocare un uomo con la sua astuzia e abilità, facendolo crollare ai suoi piedi. John Vickers, senz'altro il miglior Don José della discografia, con un timbro unico e una capacità di immedesimarsi nel ruolo veramente esemplare: è semplicemente perfetto, con una voce sempre impostata alla grande, potentissima ma anche dolce e suadente. Comprimari di lusso Mirella Freni e Justino Diaz, come sempre all'altezza nei loro ruoli. Le scene e la regia, curate dallo stesso Karajan (che compare in un cameo di pochi secondi interpretando uno dei personaggi comprimari), sono scrupolosamente aderenti alla storia e al libretto. Spettacolare la tecnica di registrazione che coglie in pieno ed esalta i colori e i timbri del capolavoro di Bizet. Il solo difetto che si può riscontrare è che tutto è tirato a lucido, sin troppo pulito. Grace Bumbry, Jon Vickers, Mirella Freni, Justino Díaz Wiener Philharmoniker, dir: Herbert von Karajan Deutsche Grammophon 00440 073 4032

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 La Carmen di Maria Ewing è tra le più belle mai incise, potente come una forza della natura, meravigliosa e avvincente. È giovane, grintosa e molto credibile. Voce bellissima La sua interpretazione racchiude carisma, grazia, sensualità, fascino, tristezza e disperazione. La sua disperazione fatalistica nella scena delle carte è molto commovente, così come la sua grazia e il suo coraggio di fronte alla morte nel finale. Sa che probabilmente morirà, ma uscirà con dignità e coraggio. Morirà ma non si inchinerà o implorerà. Luis Lima come Don José è inferiore solo a Vickers. Lima lo canta molto bene, sembra spagnolo, la sua faccia e il suo corpo sono sempre sensibili al testo: guardandolo si “vede” José, non solo un tenore o anche solo un tenore che canta molto bene. La Micaela di Vaduva è una delle due migliori in DVD (l'altra è Mirella Freni) ed è probabilmente la migliore data la sua combinazione di canto intelligente, bellezza e recitazione. Zubin Mehta conduce molto bene, anche se gli mancano il fascino, la precisione e la bellezza pura di Von Karajan. Buona la qualità audio, purtroppo non è dolby surround. Maria Ewing, Luis Lima, Leontina Vaduva, Gino Quilico. Orchestra Royal Opera House, dir: Zubin Mehta Kultur Video 6304469594

 Questa è una produzione sontuosa dal Met, ed è stata quella

che abbiamo potuto ammirare durante la serata degli Amici del Vinile. Agnes Baltsa è magnifica, decisamente convincente, sia il canto che la recitazione sono superbi. Il canto è abbastanza accurato e la quantità di energia e gestione del mix di registri bassi e superiori è piuttosto impressionante. Carreras (giovane e prima di ammalarsi) è un meraviglioso ed appassionato Don José. Il giovane Ramey è sontuoso.

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James Levine (non ancora coinvolto negli scandali a sfondo sessuale che ne hanno decretato quest’anno il suo licenziamento dal teatro newyorkese) e la Metropolitan Opera Orchestra sfoggiano un suono molto bello e colorato. Anche la produzione e la messa in scena sono di alto livello. La qualità del suono DVD è molto buona. Agnes Baltsa, Jose Carreras, Samuel Ramey, Leona Mitchell, Myra Merritt Metropolitan Opera Orchestra, dir: James Levine Deutsche Grammophon B000050X2Y

 Antonio Pappano e l'Orchestra della Royal Opera House sono i veri protagonisti della nuova produzione di Carmen al Covent Garden. Il direttore anglo-italiano dimostra il suo talento nell'esaltare i colori orchestrali, e fin dalle prime battute dell'overture l'ascoltatore è catturato dalla fantasmagoria sonora della Spagna immaginaria di Bizet. Si tratta di una lettura quasi classicista, il cui rigore esalta l'intensità della scrittura. Anna Caterina Antonacci si conferma una delle migliori cantantiattrici del momento, la sua Carmen è sensuale, perversa e allettante. Canta molto bene, con la giusta dose di oscurità fumosa nella sua voce. Jonas Kaufmann è un ammaliante Don José, lirico ed intenso, dal timbro scuro ma dagli acuti sicuri, che unisce toni dolci e disperati, è drammaticamente coinvolto, e crea un reale coinvolgimento emotivo. Nelle fasi finali canta con tale impegno e passione, le sue mani si muovono come quelle di un cieco che cerca di trovare i tratti amati che un tempo conosceva, sconcertati, arrabbiati e difficilmente sapendo quello che fa. Micaela ed Escamillo forniscono un supporto eccellente, specialmente Micaela in termini di purezza di emozioni che è il perfetto contrappeso alla sua rivale sensuale ma fatale, a cui gli uomini non sanno resistere. Splendidi i momenti coreografici del secondo atto. L'immagine HD e il suono sono entrambi eccellenti. Una Carmen da avere. Anna Caterina Antonacci, Jonas Kaufmann, Ildebrando D'Arcangelo, Norah Amsellem. Orchestra Royal Opera House, dir: Antonio Pappano Decca B001BWQVW2

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